LE FIABE DI JEAN DE LA FONTAINE

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  1. gheagabry
     
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    Il tempo e la pazienza possono più della forza o della rabbia.


    JEAN DE LA FONTAINE




    Prodotto dell'immaginario collettivo, partecipe di un fondo comune di conoscenze immediate, risalente probabilmente a un modello orientale, la favola si codifica in testi redatti sia in prosa sia in versi con finalità a carattere morale-didascalico, pertanto la sua trama non si esaurisce nella vicenda narrativa, ma vuole piuttosto evidenziare un messaggio di ordine etico, giacché assai spesso gli scrittori se ne valsero in rapporto a un contesto politico-sociale corrotto, da biasimare.
    Ed è proprio grazie a Jean De La Fontaine che la favola conosce il proprio momento d'auge in Europa durante il '700. Nato a Château-Thierry il giorno 8 luglio 1621 questo delicato ma corrosivo scrittore era un bambino sognatore e spensierato. Suo padre, sovrintendente alle Acque e Foreste a Chateau-Thierry, avrebbe voluto che egli prendesse gli ordini, ma il piccolo scrittore non si sentiva per nulla adatto alla vita ecclesiastica. A ventisei anni, invece, si sposò e il padre gli affidò una parte del suo incarico. A Parigi, dove soggiornava sempre più spesso, egli compì le prime prove letterarie e condivise la sorte di Nicolas Fouquet, uomo politico francese che a quel tempo era all'apice del suo potere. La caduta in disgrazia di quest'ultimo, nel 1661, piombò lo scrittore in gravi difficoltà finanziarie. Nel 1664 fu raccolto dalla duchessa d'Orleans e nel 1672 da Madame de la Sablière. Ormai al riparo dalla miseria, diventato l'amico di Racine, Boileau e Molière, La Fontaine poté pubblicare una prima raccolta di Favole nel 1668, una seconda nel 1678, alcuni racconti e libretti d'opera.
    Nel 1684 entrò nell'Accademia di Francia. Tuttavia, più che al titolo di accademico, La Fontaine deve l'immortalità alla sua opera letteraria e soprattutto alle Favole che, rifacendosi agli antichi modelli latini (in particolare, ovviamente, ad Esopo), rappresentano senz'altro la sua opera meglio riuscita ed ispirata, soprattutto perchè dipingono la società francese del XVII secolo. Il narratore, infatti, in questi mini racconti, sorta di apologhi, mette in bocca agli animali parole che nessuno a quell'epoca avrebbe osato pronunciare. Soprattutto perchè, spesso e volentieri, erano parole che andavano a toccare punti sensibili del potere dominante. Bisognava indubbiamente possedere un bel coraggio per fare questo, un coraggio d'altronde che La Fontaine ha dimostrato largamente di possedere quando, arrestato Fouquet, non aveva esitato a sfidare la collera del re nel tentativo di salvare il suo protettore.
    Morì a Parigi il 13 aprile 1695.





    “ È doppio il piacere nell'ingannar chi inganna. "



    La Fontaine scrisse commedie, poemi, racconti di vario genere. Tra i suoi poemi si ricordano Gli amori di Psyché e di Cupidon (Les amours de Psyché et de Cupidon), e un Adonis (1669). Un volumetto di Racconti e novelle in versi (Contes et nouvelles en vers, 1664-1671) è una raccolta di racconti desunti da Ariosto, Boccaccio, Bracciolini, e dai novellieri del XVI secolo. In questi racconti accoglie spesso temi licenziosi. Fu definito per questo "un Aretino mitigato".
    La Fontaine è celebre oggi soprattutto per le sue Favole (Fables). Esse furono pubblicate a Parigi nel 1668 (libri 1-6), nel 1679 (libri 7-11) e nel 1694 (libro 12). La materia è tratta da Esopo, Foedrus, dal "Romulus" e dalle raccolte di exempla medievali, dai favolisti del XV-XVI secolo, dal "Libro dei lumi" attribuito all'indiano Bidpai. In un'epoca di trionfante classicismo, La Fontaine intrattiene con questi testi né classici né 'regolari' un rapporto di simpatia e consonanza. E' uno degli aspetti in cui rivela la sua insofferenza verso la rigida codificazione del gusto, il suo amabile anarchismo. Il suo linguaggio non esclude arcaismi, termini tecnici delle arti, dei mestieri, dell'agricoltura, della caccia, ma anche espressioni della convenzione preziosista e cortigiana. La sua versificazione è libera e irregolare. La stessa scelta della favola di animali mostra il suo scarto rispetto alla cultura dominante. Protagonisti della sua commedia umana animalizzata non sono le leggi né la virtù , ma il capriccio, l'astuzia, la forza. Nella favola di animali si ha un rovesciamento di prospettiva, un'idealizzazione negativa.
    La raffinata semplicità di La Fontaine ha trovato eco e fortuna durevoli nella diffusione popolare, in cui ha coscienti radici. Esiste una differenza tra i primi sei libri e i rimanenti. I primi sono ancora legati al modello didattico e moralistico della favola per bambini. Gli ultimi trattano una tematica etico-politica più vasta, hanno messaggi più profondi. Fluidità, naturalezza, una trasparente eleganza sono le caratteristiche della sua scrittura. Il pretesto iniziale, la narrazione e la morale conclusiva sono collegati con una serie di passaggi quasi inavvertibili. La varietà di registri, dotto e parlato, nobile e volgare, raggiunse spesso singolari effetti, risonanze etiche di grande efficacia. Agisce in lui uno stile mediano, una 'suavitas' che fanno di lui uno dei maggiori lirici francesi. E' forse l'ultimo autore in cui la poesia si costituisca attraverso l'imitazione di un discorso orale capace di familiarità e abbandono. Il suo è un 'miracolo di cultura'.





    ......una favola.......



    Nel Mogòl c'è dei folletti abilissimi valletti, che alla casa e all'orto attendono, ma bisogna aver rispetto o scompiglia chi le tocca le faccende del folletto.
    Un di questi folletti in illo tempore coltivava il giardin d'un galantuomo in riva al Gange, e svelto, lieto, amabile, non aveva pensier da quello in fuori de' suoi padroni e dei suoi cari fiori.
    Gli zeffiri, che sono coi folletti buoni compagni, il campo rinfrescavano, e il nostro giardiniere, lavorando con mano attenta ed agile, accoglievali sempre con piacere.
    I folletti si sa che son volubili, ma questo alla sua casa si attaccò con tanto amor, che stuzzicò l'invidia: e tanto i suoi fratelli congiurarono, che il Capo di partir gli comandò.
    O sia questa una legge di repubblica, o sia che così volle il presidente, o per capriccio o per ragion politica, il fatto sta che in fondo alla Norvegia fu traslocato perentoriamente.
    In quel freddo paese gli assegnarono una casa sepolta entro la neve. Così provvede spesso la repubblica, e così fu che in forza del congedo il nostro Indou divenne Samoiedo.
    Ma prima di partir volle lo spirito parlar co' suoi padroni, e disse lor: - Partire mi costringono e non vado a cercarne le ragioni; però nel breve tempo a me concesso ancora m'è permesso di soddisfar tre vostri desideri, e il faccio volentieri. Chiedete ciò che in l'animo vi frulla, un bel desiderar non costa nulla -.
    I suoi padroni cercan l'Abbondanza, e l'Abbondanza versa il cornucopia. Piovon marenghi, gli scrigni ne crepano, le biade da' granai quasi traboccano, e luogo non c'è più per la Speranza.
    E conta e conta e scrivi sui registri, ahi! non c'è tempo per tirare il fiato, quindi i ladri si svegliano e congiurano, quindi i signori chiedono gl'imprestiti, piovon le tasse... O voto sciagurato!
    Quella povera gente disperata, anzi quasi malata di fortuna, - Basta! basta! - pregando alfine esclama, - o poveretti, o povertà beata, o gran virtù, che il troppo mai non chiama.
    O pia Mediocrità, torna e discaccia quest'Abbondanza che avvelena l'ore; ite, o tesori, e tu vieni, ritorna del buon umore amica e del buon core! - A questo dir Mediocrità si affaccia.
    Le fan largo, con lei la pace stringono, né chiedono di più. Ride il folletto di lor come di quei che sempre sognano fantasmi, e il bene perdono più schietto. Sul punto di pigliar da lor licenza, pegno di sua bontà, lasciava loro, amabile tesoro, la Sapienza.






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    IL LUPO e LA CICOGNA



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    I Lupi sono bestie che, si sa,
    mangian sempre con grande avidità.
    Un giorno uno di questi in compagnia,
    per ghiottornia mangiando a più non posso,
    gli cadde in gola un osso.

    Con quell’affar confitto in mezzo all’ugola
    che strozza la parola,
    sarìa morto, se a trarglielo di gola,
    una Cicogna pia
    col becco non venìa.

    Con colpo veramente da cerusico
    il Lupo liberò.
    Quindi la buona grazia
    per sé gli dimandò.

    - Tu scherzi, - disse il Lupo, - anzi ringrazia
    i morti tuoi parenti,
    se il collo t’ho lasciato uscir dai denti.
    Vattene, o scellerata,
    impara ad esser grata, e prega i santi
    di non tornar agli occhi miei davanti -.



    La morale : non sperate mai nulla dai potenti e non aspettatevi da loro alcun compenso per i vostri favori.

     
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    LA VOLPE E L'UVA




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    Una Volpe, chi dice di Guascogna,

    e chi di Normandia,

    morta affamata, andando per la via,

    in un bel tralcio d'uva s'incontrò,

    così matura e bella in apparenza,

    che damigella subito pensò

    di farsene suo pro.

    Ma dopo qualche salto,

    visto che troppo era la vite in alto,

    pensò di farne senza.

    E disse: - è un'uva acerba, un pasto buono

    per ghiri e per scoiattoli -.

    Ciò che non posso aver, ecco ti dono.

     
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  8. ZIALAILA
     
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    Il Corvo e la Volpe -




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    Sen stava messer Corvo sopra un albero
    con un bel pezzo di formaggio in becco,
    quando la Volpe tratta al dolce lecco
    di quel boccon a dirgli cominciò:

    - Salve, messer del Corvo, io non conosco
    uccel di voi più vago in tutto il bosco.
    Se è ver quel che si dice
    che il vostro canto è bel come son belle
    queste penne, voi siete una Fenice -.

    A questo dir non sta più nella pelle
    il Corvo vanitoso:
    e volendo alla Volpe dare un saggio
    del suo canto famoso,
    spalanca il becco e uscir lascia il formaggio.

    La Volpe il piglia e dice: - Ecco, mio caro,
    chi dell'adulator paga le spese.
    Fanne tuo pro' che forse
    la mia lezione vale il tuo formaggio -.

    Il Corvo sciocco intese
    e (un po' tardi) giurò d'esser più saggio.
     
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  9. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    Il Gatto, la Donnola e il Coniglio
    Un bel mattino donna Donnoletta,
    colto il momento, nella casa entrò
    d'un giovane Coniglio.
    E mentre ch'egli è fuori a far l'amore
    nella rugiada, in mezzo al timo in fiore,
    le masserizie sue vi collocò.

    Quando il Coniglio ebbe mangiato ed ebbe
    saltato e rosicchiato,
    a casa sua tornò.
    Ma proprio in quel momento
    ch'entrava nell'oscuro appartamento,
    alla finestra l'altra si affacciò.

    - Santa ospitalità! che vedo io qui? -
    disse il Coniglio fermo sulla porta.
    - O signora Faina prepotente,
    faccia il piacer d'uscirne immantinente,
    o chiamo tutti i Topi del paese
    che la faran sgombrar ed a sue spese.

    - Che? la terra - risposegli madama
    dal naso aguzzo, - è di chi se la piglia.
    E proprio non consiglio per sì poco
    d'una guerra tentar l'incerto gioco.

    E poi per qual ragione
    soltanto suo proclama
    un luogo ove si arrampica
    pel primo anche il padrone?

    Qual legge, qual diritto,
    e su qual carta è scritto
    che questa tana sia
    di Pietro, di Martin quondam Iseppe,
    o piuttosto di Gianni od anche mia? -

    Gian Coniglio rispose che anche l'uso
    è buona legge e che per questo ei crede
    d'aver diritto. Il nonno suo Belmuso
    lasciò la casa al padre suo Belpiede,
    dal quale venne al figlio,
    ch'è lui, Giovan Coniglio.

    - Se del primo occupante tu ritieni -
    la Donnola rispose, -
    giusta la legge, vieni
    e interroghiam Mammone,
    ch'è giudice sicuro in queste cose -.

    Era questi un gatton grasso e bonario,
    un sant'uomo di gatto,
    tutto pel, tutto gozzo e tutto lardo,
    e che facea la vita
    beata di pacifico eremita.

    Buon giudice del resto in ogni sorta
    di casi... Vanno, picchiano alla porta,
    deo gratias... - Miei figliuoli, -
    dice padre Leccardo, -
    venite pure avanti,
    perché sapete, gli anni
    m'han fatto sordo, oltre agli altri malanni -.

    Vanno i due litiganti,
    senza nessun sospetto,
    al suo santo cospetto.
    Quando il padre Leccardo, il santo scaltro,
    li vide bene a tiro,
    aprendo le due zampe, all'uno e all'altro
    aggiustò le partite in un sospiro.

    Così capita spesso
    a certi staterelli, che giustizia
    chiedon a un diplomatico congresso.

    (J.De La Fontaine)
     
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  10. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    I Due Piccioni
    Da un pezzo insiem vivevano
    due teneri Colombi innamorati,
    quando l'un d'essi un dì, forse già sazio
    della sua casa o dal desìo trafitto
    di vedere paesi inesplorati,
    volle partir.
    - Fratello, - all'infedele
    disse l'altro, il dolor delle sue pene
    premendo in cor, - fratello, a chi vuol bene
    l'assenza è un mal crudele.
    A te forse non pare
    così crudel? oh almen potesse il danno
    e d'un lungo viaggio il lungo affanno
    il tuo grande coraggio sgomentare!
    Aspetta almeno che il tornar di Zefiro
    april rinnovi. Ascolta, ascolta il torvo
    grido che manda il corvo.
    Dal dì che tu sarai lunge e sul mare,
    falchi soltanto ed orridi
    sparvieri io sognerò: te in pena, in pianto
    sempre vedrò, senza pan, senza tetto,
    e non potrò, diletto, esserti accanto -.

    A queste voci che nel cor gli scendono
    stette il Colombo in forse,
    ma poi sì forte è il desiderio e tanta
    ribellion nell'anima gli corse,
    che disse: - Orsù, non piangere
    che presto tornerò. Bastan tre giorni
    al desiderio di veder le belle
    contrade dei dintorni.
    Di mie venture poi minutamente
    ti conterò, fratello, le novelle,
    e romperan la noia
    del soggiornar. Colui che non si muove
    non ha mai da contare cose nuove,
    mentre udendo le mie strane avventure,
    ti sembrerà di viaggiar tu pure -.

    Quindi, piangendo, si scambiar l'addio.
    Parte il viaggiator, ma fuori appena
    non è che l'uragano si scatena
    dal ciel sul pellegrino.
    Vola e cerca un ricovero il tapino
    a un tronco solitario
    che male lo raccoglie
    tra le battute foglie.

    Quando torna il seren, prende coraggio,
    asciuga come può l'umide penne
    e mettesi in viaggio.
    E va, finché non giunge a un campicello
    ove un piccione messo per zimbello
    lieto saltella. Un gran desìo lo piglia
    d'esser con lui, discende,
    v'era un laccio nascosto e vi s'impiglia.
    Fortuna o il ciel l'aiuta. Il vecchio laccio
    i colpi e le strappate non sostenne,
    onde col danno di non molte penne
    ei poté facilmente uscir d'impaccio.
    E mentre ei fugge, simile a un forzato
    che nella fuga si trascina al piede
    la sua catena, ecco a sinistra scendere
    un avvoltoio, che a ghermirlo l'unghie
    ferocemente rota.
    E sarebbe per lui certo finita
    la storia della vita,
    se dall'alto del ciel non fosse un'aquila
    coll'ali aperte uscita.

    Mentre i due ladri vengono alle prese,
    il piccion l'ali sue rapido stese
    in altra parte e si appiattò sicuro
    dietro un antico muro.
    Ma un fanciulletto, ancora in quell'età
    che non sente pietà,
    con un colpo di fromba lo sorprese
    e mezza fracassò l'ala al meschino.
    Imprecando alla sua curiosità
    e al suo crudel destino,
    zoppicando del piè, l'ala trafitta,
    col suo compagno amato
    mezzo ammazzato torna alla soffitta
    il mesto pellegrino.

    Innamorati, o cari innamorati,
    se vi piglia desìo di cose ignote,
    non andate a cercar spiagge remote,
    ma in voi cercate ciò che vi consoli.
    Potete tra voi soli
    essere l'un per l'altro il più giocondo
    e il più vario spettacolo del mondo.
    Il vostro amore vale l'universo
    e il resto è tempo perso.
    Anch'io talvolta amai; ma la superba
    dimora del Gran Re, l'Olimpo, il mare,
    il dolce bosco non valeano e l'erba
    che di lei mi faceano innamorare.
    Ed ella pastorella
    d'amor giovine e bella
    de' suoi passi fiorìa,
    de' suoi guardi schiarìa l'erba ed i fiori.
    Io primo fra i pastori
    al figliuol di Citera il giuramento
    prestai contento e sotto la bandiera
    militai del figliuolo di Citera.
    Ahimè! passâr quei tempi e non vedrò
    tornar l'aprile della vita mia.
    Come resister può
    l'alma inquieta a tanti
    e così dolci incanti?
    Oh se il mio vecchio cuore
    bruciasse ancora dell'antico ardore!
    Non sentirò più mai d'una magìa
    il filo che mi arresta?
    Passò d'amor, passò d'amor la festa?

    (J.De La Fontaine)
     
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  11. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    Il Gatto e il Topo
    Un certo Gatto gran rubaformaggio
    e un Topo rodicorda assai stimato,
    un'orrida Civetta
    e la dal lungo corpo Donnoletta,
    nel buco spesso usavan d'un selvaggio
    abete rosicchiato.
    quattro bestie di cui l'una non era
    per nulla all'altra eguale,
    ma in quanto a far il male
    anime triste tutte a una maniera.

    E tanto vanno e vengono che un giorno
    l'uomo tese una rete tutt'intorno,
    e adesso sentirete:
    esce il Gatto al mattin, siccome suole,
    pria del levar del sole
    a caccia, ma non vede ahimè! la rete...
    Vi resta e non gli resta
    che di gridar, se vuol salvar la testa.

    Accorre il Topo e il suo mortal nemico
    preso nel laccio vede,
    e s'ei fu lieto ognuno me lo crede.
    Il Gatto piagnoloso: - O amico, amico, -
    dicea frattanto, - è noto
    quanto tu fosti verso noi devoto,
    aiutami a scappar da questi nodi
    in cui venni a cader, tu che lo puoi.
    Ed è giustizia, se ricordi i modi
    che sempre usai fra cento pari tuoi
    verso di te, che caro ognor mi sei
    come quest'occhi miei.

    Non me ne pento io già, fratello mio,
    ma ognor ringrazio il ciel nell'orazioni.
    E appunto stamattina
    nel fosco uscìa per far le devozioni,
    che ogni buon gatto fa quando è cresciuto
    nel santo amor di Dio,
    e il maledetto fil non ho veduto!
    Nelle tue mani io metto la mia vita,
    sciogli i nodi e procurami un'uscita.
    - Qual compenso mi dài? - l' altro gli chiese.
    - Prometto teco eterna l'alleanza,
    e nelle zampe mie pronte difese
    contro i nemici in ogni circostanza.
    Sarò la tua vendetta
    contro la Donnoletta e la Civetta
    che voglion la tua morte...

    - Basta così, - rispose
    il Topo, - credo poco a queste cose.
    Sarìa tre volte matto
    quel topo che affidasse la sua sorte
    all'onestà del gatto -.

    E ciò detto partì. Presso la tana,
    guardando alla lontana,
    vede in agguato la sinistra Donnola.
    Va sulla pianta e mentre ancor si arrampica
    sul tronco in alto la Civetta vede...
    Or come fare? scivola
    di quell'abete al piede
    e in mezzo a tre pericoli
    sceglie il minore. Rosicchiando un nodo
    e un altro della rete e un terzo e il resto,
    all'impostore procurava il modo
    di scappar dalla morte allegro e lesto,
    ma guai se in quel momento
    non giungeva opportun l'uom della rete
    che li facea scappare come il vento.

    Non molto tempo dopo
    il Gatto trova il Topo,
    che stava a una distanza rispettosa.
    - Fratel, o vieni, abbracciami, -
    con una voce tenera e amorosa
    gli disse, - e non guardare un alleato
    con quel far diffidente e disgustato.
    A te, dopo il buon Dio,
    devo la vita, lo conosco anch'io -.

    Rispose il Topo: - Grazie, n'ho piacere,
    ma non è scritto sopra alcun trattato
    che un gatto abbia il dovere
    d'esser per gratitudine obbligato.
    Del carattere tuo chi mi assicura?
    Un gatto è sempre gatto per natura.

    (J.De La Fontaine)
     
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  12. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    Il Pesciolino e il Pescatore
    Un pesciolin diventa un pesciatello,
    e poi, la Dio mercé, se mangia e cresce,
    è ver, diventa un pesce;
    ma non dimostra aver troppo cervello
    chi lascia il pesce piccolo
    per pigliarlo di poi più grosso e bello.

    Un Carpioncel meschino
    nella rete incappò del Pescatore.
    - Ogni poco fa numero, - in suo core
    disse quell'uomo, e il butta nella cesta
    per cominciar la festa.

    - Sono così piccino e inconcludente, -
    il pesciolin gridò, -
    che in me non hai da consolare un dente.
    Lasciami andar, quando sarò carpione,
    nella tua rete, il giuro, tornerò.

    Allora sì che avrò la proporzione
    da far un buon contratto:
    mentre occorron dugento pari miei
    a riempire un piatto,
    e tal piatto, che anch'io non mangerei -.

    A lui rispose il furbo Pescatore:
    - Insipido sì o no, nella padella,
    pesce predicatore,
    andrai stasera, e quasi mi lusingo
    che sarà la tua predica più bella -.

    Un ho vale di più di cento avrò,
    l'uno almeno è sicuro e l'altro no..

    (J.De La Fontaine)
     
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  13. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    L'Uomo e la sua immagine
    Un uomo molto di se stesso amante
    e che, senza rivali, d'un bell'uomo
    si dava l'aria, in ciò fisso e beato,
    se la prendea di rabbia con gli specchi
    ch'ei dicea tutti falsi e accusatori.
    Per trarlo d'illusion fece la sorte
    benevola che, ovunque egli girasse
    coll'occhio, non vedesse altro che specchi.
    Specchi dentro le case e in le botteghe
    de' merciai, specchi in petto ai bellimbusti
    e fin sulle cinture delle belle,
    ovunque insomma a risanarlo il caso
    gli facea balenar davanti questo
    tacito consigliere delle belle.
    Al mio Narciso allor altro non resta
    che andare, per fuggir tanto tormento,
    in paesi selvaggi e sconosciuti,
    ove di specchi non vi fosse il segno.
    Ma specchio ancora, o illusion, discende
    ivi un bel fiume, che da pura fonte
    sgorga e l'attira di sì strano incanto
    ch'ei non può dal cristal torcer lo sguardo.

    Della favola è questa la morale,
    che non d'un solo io traggo a beneficio,
    ma di quanti son folli in questo mondo.

    L'anima umana è l'uomo vanitoso
    troppo amante di sé: gli specchi sono
    gli altrui difetti in cui come in ispeglio
    ogni nostro difetto si dipinge.
    E il libro delle Massime, o mio Duca,
    è quel fiume che l'anima rapisce.

    (J.De La Fontaine)
     
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  14. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    La Volpe e la Cicogna
    Monna Volpe un bel dì fece lo spicco
    e invitò la Cicogna a desinare.
    Il pranzo fu modesto e poco ricco,
    anzi quasi non c'era da mangiare.
    Tutto il servizio in ultimo costrutto
    si ridusse a una broda trasparente
    servita in un piattello. Or capirete
    se, in grazia di quel becco che sapete,
    la Cicogna poté mangiar niente.
    Ma la Volpe in un amen spazzò tutto.

    Per trar vendetta dell'inganno, anch'essa
    la Cicogna invitò la furba amica,
    che non stette con lei sui complimenti.
    La Volpe, a cui non manca l'appetito,
    andò pronta all'invito.
    Vide e lodò il pranzetto preparato,
    tagliato a pezzi in una salsa spessa,
    che mandava un odore delicato.
    Ma il pranzo fu servito per dispetto
    in fondo a un vaso a collo lungo e stretto.
    Ben vi attingea col becco la Cicogna
    per entro la fessura,
    ma non così Madonna Gabbamondo,
    per via del muso tondo e non ridotto
    dell'anfora alla piccola misura.

    A pancia vuota e piena di vergogna,
    se ne partì quell'animale ghiotto
    mogio mogio, la coda fra le gambe,
    come una vecchia volpe malandrina
    che si senta rapir da una gallina.
    Vuol dimostrare questa favoletta
    che chi la fa l'aspetta.

    (J.De La Fontaine)


    Favole Classiche

    La Canna e la Quercia
    Disse la Quercia ad una Canna un giorno:
    - Infelice nel mondo è il tuo destino:
    non ti si posa addosso un uccellino,
    né un soffio d'aria ti svolazza intorno,
    che tu non abbia ad abbassar la testa.

    Guarda me, che gigante a un monte eguale,
    non solo innalzo contro il sol la cresta,
    ma sfido il temporale.
    Per te sembra tempesta ogni sospiro,
    un sospiro a me sembra ogni tempesta.

    Pazienza ancor, se concedesse il Cielo
    che voi nasceste all'ombra mia sicura:
    ma vuole la natura
    farvi nascer di solito alla riva
    delle paludi, in mezzo ai venti e al gelo.

    - La tua pietà capisco che deriva
    da buon cuore, - rispose a lei la Canna. -
    Il vento che mi affanna
    mi può piegar, non farmi troppo male,
    ciò che non sempre anche alle querce arriva.

    Tu sei forte, ma chi fino a dimani
    può garantirti il legno della schiena? -
    E detto questo appena,
    il più forte scoppiò degli uragani,
    come il polo non soffia mai l'uguale.

    La molle Canna piegasi,
    e resiste la Quercia anche ai più forti
    colpi del vento, per un po', ma infine
    sradica il vento il tronco,
    che mandava le foglie al ciel vicine,
    e le barbe nel Regno imo dei morti.

    (J.De La Fontaine)


    Favole Classiche

    La Donnola nel granaio
    Madamigella Donnola, fresca di malattia,
    e fatta ancor di corpo più lungo e mingherlino,
    in un vicin granaio un giorno penetrò
    per un foro, che meglio diremo un forellino.
    E qui tanto mangiò,
    con tanta indiscrezione,
    di lardo e d'ogni tenero boccone,
    che grassa e bella in breve diventò.

    Un dì, verso la fine di quella settimana,
    udito dopo il pranzo un gran rumor di là,
    volea fuggir, ma - Come? - esclama, - è cosa strana!
    Non sono io forse un giorno passata per di qua?
    Com'è che il buco a un tratto divenne così stretto? -
    E dopo molti inutili
    giri e rigiri, ovunque ch'ella vada
    crede sempre d'aver sbagliato strada.

    Un topo che la vede in imbarazzo e in pena,
    le disse: - Ma non sai
    che allora non avevi ancor la pancia piena?
    Magra venisti, amica, e magra tornerai -.
    Ciò che di te si dice, anima mia,
    a molti altri conviene,
    ma confonder le cose non conviene
    per far gran pompa di filosofia.

    (J.De La Fontaine)





    Favole Classiche

    La Gatta cambiata in Donna
    C'era una volta un Uomo ed una Gatta,
    una Gatta sì cara fra le care,
    ch'ei ne provava una passione matta
    a sentirla soltanto miagolare.

    E pregò tanto il cielo, che il Destino
    per contentare le sue strane voglie,
    a forza d'incantesimo, un mattino
    la fece donna e gliela diede in moglie.

    Dir non vi posso in rima
    i baci e le finezze e le carezze,
    che fa questa sposina al malinconico
    suo marito, più pazzo ancor di prima.
    Essa lo bacia ed ei muore distrutto
    nel ben della sua Gatta,
    che crede donna in tutto e dappertutto.

    Un giorno, sul più bello, ecco le pare
    d'udire un topolino a rosicchiare...
    Alzasi, guarda, ascolta,
    le pare e non le par; ma un'altra volta
    che il topo venne, e sotto la sembianza
    di donna non conobbe ancor la Gatta,
    questa, dall'indol tratta,
    ad inseguirlo prese per la stanza.

    Tale e tanta è la forza di natura,
    che a un certo punto più non si ripiega:
    invano poi di toglier si procura
    la fragranza che il vaso abbia assorbita,
    o alla stoffa di togliere la piega.
    Càcciala fuori a colpi di bastone,
    a colpi di staffile pur la caccia,
    àrmati pur di forca e di balestra,
    l'indole torna... e se le chiudi in faccia
    la porta, tornerà dalla finestra.

    (J.De La Fontaine)






    Favole Classiche

    La Ragazza
    Una Ragazza un poco superbiosa
    volea marito a patto
    ch'ei fosse bello e giovane e ben fatto,
    non freddo, non geloso
    (notate bene questa circostanza),
    che non fosse scipito e avesse poi
    oltre i denari un gran di nobiltà.
    Gran Dio! come si fa, ditelo voi,
    a trovar queste mele sopra un ramo?

    Eppur a contentar le sue pretese
    la Sorte fu cortese
    di mandarle partiti onesti e buoni.
    Ma lei: - Che, che... si celia? figurarsi
    se mi devo pigliar questi straccioni!
    Il fastidio non val d'incomodarsi...
    Tutta gente pezzente, inconcludente,
    che mi ripugna e che mi fa pietà.

    L'un spirito non ha, l'altro non ha
    quel non so che di garbo e di finezza... -.
    E sprezza l'uno e sprezza
    quell'altro per il naso...
    Non c'è cosa sì bella e sì preziosa,
    che possa contentar la schifiltosa.

    Dopo i partiti buoni
    si presentaron sposi più modesti;
    ma quella ancor: - Oh sì, ch'io voglio a ques
    adesso l'uscio aprir di casa mia,
    chi pensan ch'io mi sia?
    Una donna in fastidio di me stessa,
    che di pianger la notte mai non cessa
    per la malinconia
    di dormir sola in letto? -.

    E superba così del suo dispetto,
    vede passar intanto il suo bel tempo,
    e diradar la schiera degli amanti.
    Un anno passa, un altro viene avanti,
    oggi muore un sorriso, e muore un gioco,
    diman sloggia l'amore,
    ed entra a poco a poco
    in casa col rimorso anche il dolore.

    Cadono i vezzi e spiace
    quel volto ch'essa cerca inutilmente
    di rendere leggiadro
    con cipria e con belletto,
    fin ch'ella cede inesorabilmente
    al Tempo, delle belle il più gran ladro.

    e oggi mi crolla un muro,
    di rifarlo dimani ancor procuro,
    ma né in parte rifar posso, né in tutto,
    un bel volto che il tempo abbia distrutto.
    Madonna schifiltosa, che allo specchio
    più tardi si consiglia,
    cangia parere e - Piglia, -
    dice, - un marito. - Piglialo, -
    susurra in un orecchio
    un certo desiderio,
    che parla anche alle donne schifiltose;
    ed ebbe in cortesia,
    al destin rassegnata delle cose,
    di trovare un babbeo comechessia.

    (J.De La Fontaine)
     
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  15. gheagabry
     
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    Favole Classiche

    Le Rane vogliono un Re
    Già sazie le Rane di stare in repubblica,
    gracchiarono tanto, che Giove pensò
    di dare allo stato la forma monarchica,
    e un re tranquillissimo ad esse mandò.

    Ma tanto fu il chiasso ch'ei fe' nel discendere,
    che scappan le Rane in preda al terror.
    Sott'acqua, nel fango, quegl'umidi sudditi
    non osano mettere il muso di fuor.

    Ma quel che un gigante dapprima credettero
    apparve più tardi un re travicel.
    Sentendo dell'acqua finito il subbuglio,
    or questa, ora quella, le rane, bel bel,

    due prima, poi quattro, tremando in principio,
    poi dieci si accostano a sua Maestà.
    Poi piglian coraggio, si fanno domestiche,
    e c'è qualche ardita, che in groppa gli va.

    Il re travicello, che adora i suoi comodi,
    non parla, non si agita, pacifico in sé.
    Allora i Ranocchi con Giove borbottano,
    ché vogliono un re, che faccia da re.

    Il re degli Dèi per tôrsi il fastidio,
    - Prendete, - risponde, e manda la Gru,
    che becca, che stuzzica, che infilza, che storpia:
    resistere i sudditi non possono più.

    Ma Giove, gridando, pon fine agli strepiti:
    - Ognuno il governo che merita avrà.
    Un re non voleste leale e pacifico
    tenete la bestia che addosso vi sta -.

    (J.De La Fontaine)
     
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17 replies since 5/6/2011, 13:09   7338 views
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