NAPOLEONE BONAPARTE

..l'Imperatore...

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  1. gheagabry
     
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    «Per essere dei grandi leader è necessario diventare studiosi del successo e il miglior modo che conosco è quello di conoscere la storia e la biografia degli uomini che già hanno avuto successo.
    Così la loro esperienza diventa la mia esperienza.»



    NAPOLEONE BONAPARTE


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    Napoleone Buonaparte (cognome successivamente francesizzato in Bonaparte), nasce il 15 agosto 1769 ad Ajaccio, in Corsica, secondogenito di Carlo Buonaparte, avvocato di origini toscane e di Letizia Ramolino, bella e giovane donna che avrà addirittura tredici figli. E' proprio il padre che, contrario all'idea che il figlio intraprendesse la carriera forense, lo spinge ad intraprendere quella militare.

    Il 15 maggio 1779, infatti, Napoleone si trasferisce nel collegio militare di Brienne, un luogo nel quale, a spese del re, venivano preparati i figli delle famiglie nobili. Accettato a seguito delle raccomandazioni del conte di Marbeuf, vi rimase cinque anni. Nel settembre del 1784, a quindici anni, viene invece ammesso alla scuola militare di Parigi. Dopo un anno ottiene il grado di sottotenente di artiglieria. Grandi rivolgimenti politici e sociali attendevano l'Europa e il giovane Napoleone era forse bel lungi dal credere che ne sarebbe stato l'artefice principale.

    Tutto ha inizio a seguito della Rivoluzione Francese, Al suo sanguinoso scoppio, i realisti còrsi si schierarono a difesa dell'antico regime e lo stesso Napoleone aderisce con entusiasmo alle idee che il nuovo movimento popolare professa. Dopo l'assalto e la presa della Bastiglia, Napoleone cerca di diffondere la febbre rivoluzionaria anche nella sua isola. Si getta nella vita politica del posto e combatte nelle fila di Pascal Paoli (il futuro realizzatore dell'unità morale e politica della Corsica). I suoi meriti sono tali che nel 1791 viene nominato comandante di battaglione nella Guardia Nazionale di Ajaccio. Il 30 novembre 1789 l'Assemblea nazionale proclama la Corsica parte integrante della Francia, ponendo così fine ad un'occupazione militare iniziata nel 1769.

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    Intanto la Francia versa in una crisi politica senza precedenti. Alla caduta di Robespierre, Napoleone si vede affidare, nel 1796, poco prima del suo matrimonio con Joséphine de Beauharnais, il comando delle truppe per la campagna d'Italia nel corso della quale alla sua stoffa di stratega militare si aggiunge quella del vero Capo di Stato.
    Ma vediamo le tappe di questa "escalation". Il 21 gennaio Luigi XVI viene ghigliottinato in Place de la Révolution e Napoleone Bonaparte, promosso capitano di prima classe, partecipa alla repressione dell'insurrezione girondina e federalista delle città di Marsiglia, Lione e Tolone. Nell'assedio di Tolone il giovane capitano, con una intelligente manovra, ottiene la capitolazione della piazzaforte.
    Il 2 marzo 1796 viene nominato appunto comandante dell'armata d'Italia e, dopo aver battuto Piemontesi ed Austriaci, impone la pace con il trattato di Campoformio (1797), gettando in questo modo le basi di quello che più tardi diverrà il Regno d'Italia.

    Dopo questa notevole prova, si imbarca nella Campagna d'Egitto, apparentemente per colpire gli interessi orientali degli inglesi; in realtà, vi è inviato dal Direttorio francese, che lo considerava troppo pericoloso in patria. Sbarcato ad Alessandria, sconfigge i mamelucchi e la flotta inglese dell'Ammiraglio Oratio Nelson. La situazione in Francia intanto peggiora, disordine e confusione regnano sovrane, senza contare che l'Austria sta raccogliendo numerose vittorie. Deciso a tornare, affida il comando delle sue truppe al generale Kleber e si imbarca per la Francia, contravvenendo agli ordini di Parigi. Il 9 ottobre 1799 sbarca a S. Raphael e fra il 9 e il 10 novembre (il cosiddetto 18 Brumaio del calendario rivoluzionario), con un colpo di stato abbatte il Direttorio, prendendo in questo modo il potere quasi assoluto. Il 24 dicembre vara l'istituzione del Consolato, di cui si nomina Primo Console.

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    Capo dello Stato e delle Armate, Napoleone, dotato di una capacità di lavoro, d'una intelligenza, e d'una immaginazione creativa straordinaria, riforma in tempo record l'amministrazione e la giustizia. Ancora una volta vittorioso contro la coalizione austriaca, impone la pace agli Inglesi e firma nel 1801 il Concordato con Pio VII che mette la Chiesa francese al servizio del Regime. Poi, dopo aver scoperto e sventato un complotto monarchico, si fa proclamare nel 1804 Imperatore dei Francesi sotto il Nome di Napoleone 1° e, l'anno dopo, anche Re d'Italia.

    Si crea così intorno a lui una vera e propria " monarchia " con Corti e Nobiltà d'Impero mentre il regime stabilito prosegue, sotto il suo impulso, riforme e modernizzazione : insegnamento, urbanismo, economia, arte, creazione del cosiddetto "Codice napoleonico", che fornisce una base giuridica alla società uscente dalla Rivoluzione. Ma l'Imperatore è presto preso da altre guerre.
    Fallito un attacco all'Inghilterra nella famosa battaglia di Trafalgar, porta a buon fine una serie di campagne contro gli Austro-Russi (Austerlitz, 1805), i Prussiani (Iéna, 1806 ) ed edifica il suo grande Impero dopo il trattato di Tilsit nel 1807.


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    L'Inghilterra, comunque, rimane sempre la sua spina nel fianco, l'uno vero grande ostacolo alla sua egemonia europea. In risposta al blocco marittimo applicato da Londra, Napoleone mette in atto, tra il 1806 ed il 1808, il blocco continentale al fine di isolare quella grande potenza. Il blocco dinamizza l'industria e l'agricoltura francese ma infastidisce l'economia europea ed obbliga l'Imperatore a sviluppare una politica espansionistica che, dagli Stati Pontifici al Portogallo ed alla Spagna passando dal controllo d'una nuova coalizione dell'Austria (Wagram 1809), lascia le sue armate sfinite.

    Nel 1810, preoccupato di lasciare una discendenza, Napoleone sposa Marie Louise d'Austria che gli dà un figlio, Napoleone II.

    Nel 1812, intuendo l'ostilità dalla parte dello Zar Alessandro 1°, la grande Armata di Napoleone invade la Russia.

    Questa sanguinante e disastrosa campagna, totalmente fallimentare per le forze napoleoniche che vennero brutalmente ricacciate indietro a seguito oltretutto di migliaia di perdite, farà suonare il risveglio dell'Europa Orientale e vedrà Parigi invasa dalle truppe nemiche il 4 marzo 1814. Qualche giorno più tardi, Napoleone sarà obbligato ad abdicare in favore di suo figlio poi, il 6 aprile 1814, a rinunciare alla totalità dei suoi poteri.

    Spodestato dal trono e solo, è costretto all'esilio. Dal maggio 1814 al marzo 1815, durante il suo soggiorno forzato all'Isola d'Elba, fantasmatico sovrano dell'isola su cui ripristinerà una pallida imitazione della sua passata corte, Napoleone vedrà Austiaci, Prussiani, Inglesi e Russi dividersi, nel corso del Congresso di Vienna, ciò che fu il suo Grande Impero.

    Sfuggendo alla sorveglianza Inglese, Napoleone riuscì però a rientrare in Francia nel Marzo 1815 dove, sostenuto dai Liberali, conoscerà un secondo ma breve Regno conosciuto sotto il nome di "Regno dei Cento Giorni". La nuova e riconquistata gloria non durerà a lungo: presto le illusioni di ripresa verranno cancellate dal disastro seguito alla battaglia di Waterloo, ancora una volta contro gli inglesi. La storia si ripete, dunque, e Napoleone deve nuovamente abdicare al suo ripristinato ruolo di Imperatore il 22 Giugno1815.

    Ormai in mano agli inglesi, questi gli assegnano coma prigione la lontana isola di Sant'Elena, dove prima di spegnersi il 5 maggio 1821, evocherà spesso con nostalgia la sua isola natale, la Corsica. Il suo rammarico, confidato alle poche persone rimastigli vicine, era quello di aver trascurato la sua terra, troppo occupato in guerre ed imprese.

    Il 5 maggio 1821, quello che è stato indubbiamente il più grande generale e condottiero dopo Cesare, si spegne solo e abbandonato a Longwood, sull'isola di Sant'Elena, sotto la sorveglianza degli inglesi.



    «L'immortalità è il ricordo che si lascia nella memoria degli uomini.
    Quest'idea spinge a grandi imprese. Meglio sarebbe non aver vissuto
    che non lasciare tracce della propria esistenza.»



    dal web

    Edited by gheagabry1 - 6/9/2020, 15:54
     
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  2. gheagabry
     
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    Soldats, songez que, du haut de ces pyramides, quarante siécles vous contemplent.
    Soldati, considerate che dall'alto di queste piramidi quaranta secoli vi guardano.
    (discorso all'esercito in Egitto prima della battaglia delle Piramidi, 21 luglio 1798).


    LA CAMPAGNA d'EGITTO


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    Alle prime luci dell'alba del 19 maggio 1798, trecento vascelli battenti bandiera francese, ancorati nel porto e nella rada di Tolone, ricevettero l'ordine di prepararsi a salpare, uno dopo l'altro. La confusione e la tensione erano al massimo. Ci vollero otto ore affinche' tutta la flotta prendesse il largo, formando una colonna lunga dieci chilometri. L'ultima a partire fu la nave ammiraglia L'Orient: era il tramonto. Le navi erano cariche di armi e munizioni, viveri e cavalli, ma anche di casse con strumenti scientifici di ogni genere, dai telescopi alle soluzioni chimiche per conservare esemplari di animali. Questi preparativi avevano insospettito gli inglesi e l'ammiraglio Nelson in persona teneva d'occhio la situazione incrociando nei paraggi. Ma la flotta francese riusci' a prendere il largo indisturbata. Cominciava cosi' una delle avventure piu' straordinarie, piu' folli e piu' tragiche degli anni a cavallo fra il 700 e l'800: la campagna militare e scientifica di Napoleone Bonaparte in Egitto (1798 - 1801). Fu un'avventura straordinaria, perche' unica nella storia: mai prima di allora una campagna militare era stata associata a una spedizione scientifica che aveva lo scopo di studiare approfonditamente un Paese, la sua storia e la sua civilta'. Straordinaria perche' la messe di scoperte, di studi e di rilevamenti compiuti da quegli uomini di scienza nel corso dei 38 mesi passati nella terra dei faraoni fu ricchissima e porto' alla pubblicazione della "Description de l'Egypte", opera monumentale il cui successo fece dimenticare il fallimento della campagna militare, consolidando il mito di Napoleone....Il corpo di spedizione era formato da 32.300 soldati (15 brigate di fanteria con 24.300 uomini; 7 reggimenti di cavalleria con 4.000 uomini; 28 compagnie di artiglieri con 3.000 uomini), 12.000 marinai, 168 scienziati, 300 donne, 680 cavalli. Le navi erano 400.



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    Con l'Armata partirono anche trecento donne Si parla sempre di uomini, ma alla volta dell'Egitto, insieme a Napoleone, partirono anche molte signore. Secondo le cronache, fra prostitute, addette alla biancheria e mogli dei partecipanti erano 300, ma in poche hanno lasciato qualche traccia di se' nelle memorie della spedizione. La piu' "chiacchierata" fu l'intraprendente Pauline Bellile, 20 anni. Per potersi imbarcare insieme al marito, il capitano dei cavalleggeri Jean - Noel Foures, si travesti' da uomo. Giunta al Cairo incontro' Napoleone a un ricevimento, si separo' dal bel cavalleggero e divenne l'amante del Generale. L'avventura era nota a tutti e le truppe chiamavano Pauline "la generalessa Bellilote" e "Cleopatra". Agli abiti della regina preferiva pero' le uniformi: per introdursi nel quartier generale di Napoleone e salutarlo prima della partenza per la campagna di Siria, Pauline si travesti' da ussaro. Piu' morigerata fu la sposina del tipografo e orientalista Jean - Joseph Marcel: di lei si sa soltanto che si sposo' due mesi prima della partenza e che non ne volle sapere di restare a casa da sola, come molte altre. Segui' il marito in quello che, allora, era davvero un luogo "in capo al mondo". La piu' nobile era un'italiana, moglie del generale Verdier. Accompagno' il marito nella campagna di Siria, durante la quale scoppio' una terribile epidemia di peste. Di lei si racconta che assisteva con grande umanita' i feriti e i piu' bisognosi e che senza esitazione condivideva insieme a loro viveri e razione d'acqua.


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    La spedizione in Egitto di Napoleone del 1798 fu un episodio breve e di poca importanza dal punto di vista politico e militare...Colpì, invece, fortemente i sentimenti e la fantasia degli Europei e dei Musulmani. Gli Europei si rappresentarono Napoleone come un condottiero che partiva dalla minuscola Europa, così piccola che a lui sembrava «una collina di talpe», alla conquista dell’Oriente sterminato, percorrendo dapprima a ritroso l’itinerario di Alessandro Magno: Egitto-Arabia-Persia, per raggiungere, infine, l’India, meta ultima dei sogni di gloria di entrambi i condottieri.
    L’Egitto era allora sotto il dominio ottomano, ma in realtà vi spadroneggiava, senza troppo preoccuparsi degli ordini del sultano, la casta militare dei Mamelucchi. Napoleone giustificò la spedizione, sostenendo di essere venuto a liberare l’Egitto dall’oppressione degli usurpatori; nello stesso tempo assicurava la popolazione del suo assoluto rispetto per il Corano e non tralasciò nessuna occasione di ribadire che stava combattendo per la causa dell’Islam. I soldati francesi erano continuamente esortati a non commettere atti che potessero offendere la sensibilità musulmana.
    Per i Musulmani la spedizione è una Crociata cristiana contro l’Islam... videro in quell’evento un segnale di distruzione: per la prima volta dopo le Crociate un esercito europeo aveva invaso una terra islamica; erano ritornati i cavalieri Franchi, che allora avevano lasciato una scia di sangue e di odio non dimenticata. L’ordine ormai millenario delle cose e degli uomini, voluto da Allah, protetto e conservato dai califfi e dai sultani, si andava nuovamente disfacendo. Per lo storico arabo al-Jabarti, che viveva in quell’epoca al Cairo e scrisse una cronaca della guerra, l’anno 1798 segnò l’inizio «di formidabili avvenimenti, di eventi funesti, di catastrofi terribili, del moltiplicarsi del male e del concatenarsi
    degli orrori, dello sconvolgimento delle regole della vita umana e della corruzione politica». Nei confronti dei Francesi vincitori lo storico arabo nutre sentimenti di grande ostilità, ma attribuisce la causa della sconfitta dei suoi compatrioti all’orgoglio che li ha resi ciechi e li ha portati a disprezzare e a sottovalutare la forza e la superiorità militare dei nemici.

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    La più importante conseguenza della conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno nel IV secolo
    a.C. era stata la diffusione della civiltà greca nella terra dei Faraoni. Napoleone volle prendere a modello il re dei Macedoni anche in questo. La «campagna d’Egitto»,così, non si prefisse soltanto obiettivi politici e militari: assieme ai soldati francesi doveva penetrare in Oriente la cultura europea. Fino ad allora l’Egitto era stato conosciuto dagli Europei soprattutto attraverso le descrizioni favolose degli autori
    antichi e dei viaggiatori: ora questa terra di misteri sarebbe stata resa accessibile alla scienza moderna.
    Secondo le idee dei filosofi illuministi care a Napoleone, anche in terra d’Oriente i lumi della ragione
    dovevano dissolvere le nebbie delle favole e trasformarle in storia, geografia, astronomia, geologia,
    biologia, ecc. Per conseguire questo scopo Napoleone volle che dell’armata francese facesse parte una numerosa équipe di scienziati: non c’erano soltanto storici, archeologi, esperti di antichità, ma anche chimici, mineralogisti, geografi, astronomi, medici, ecc. Il loro compito era descrivere, misurare, registrare, raccogliere, catalogare e spiegare tutto ciò che vedevano.
    I risultati del lavoro dei dotti furono pubblicati tra il 1809 e il 1828 in un’opera di ventitrè volumi, intitolata Descrizione dell’Egitto, grandiosa anche materialmente, con pagine della dimensione di un metro quadrato ciascuna. Importanti sezioni dei principali musei archeologici europei furono da allora in poi dedicate alla raccolta delle testimonianze della civiltà e dell’arte dell’antico Egitto.
    L’entusiasmo per la civiltà egiziana contagiò anche i soldati, molti dei quali raccolsero e poi portarono in Francia e in tutta l’Europa antichità egiziane di ogni età e di ogni genere. Fu appunto un soldato di
    questa spedizione a trovare e a conservare la pietra di basalto nera (la «stele di Rosetta», ora al British
    Museum di Londra), contenente l’iscrizione in tre lingue – il greco, l’egiziano geroglifico e l’egiziano
    demotico – sulla quale, qualche anno più tardi, Jean François Champollion basò la sua decifrazione dei geroglifici. Lo storico arabo Al-Jabarti ammira la scienza europea Al-Jabarti è molto colpito dall’eccellenza della scienza degli Europei .. Degli scienziati e degli studiosi che erano al seguito di Napoleone, egli parla con ammirazione e rispetto: «Se qualche musulmano veniva da loro spinto dalla curiosità di conoscere il loro lavoro, essi non gli impedivano di penetrare nei loro luoghi più cari [i laboratori dove facevano i loro esperimenti]… e se trovavano in lui qualche desiderio di conoscenza, gli dimostravano amicizia e gli facevano vedere ogni genere di disegni e di cartine, e animali e uccelli e piante, e storie degli antichi e delle nazioni e racconti dei profeti… Io mi recai spesso da loro ed essi mi mostrarono tutto ciò».
    - Paolucci, Signorini, L’ora di storia -



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    Edited by gheagabry1 - 6/9/2020, 15:45
     
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    Napoleone era basso, ma non "così" basso: gli storici concordano che fosse alto circa 1,68 cm, 3 centimetri più della media dei francesi de suo tempo (e 3 centimetri in più dell'ex presidente francese Nicolas Sarkozy). Quella di Napoleone "formato mignon" sarebbe una maldicenza degli inglesi per sminuirne la fama sui campi di battaglia.

    Non è neppure vero che trafugò la Gioconda di Leonardo: secondo gli storici il dipinto si trovava in Francia dal 1517, dove lo aveva portato proprio l'autore. In seguito il quadro fu acquistato molto probabilmente dal Re Francesco I: Napoleone, grande appassionato d'arte nel 1800 si limitò ad appenderlo nelle stanze della moglie Josephine e in seguito la Monna Lisa entrò a far parte della collezione permanente del Louvre (che all'epoca si chiamava Museo Napoleone). La bufala del furto napoleonico nasce forse dal fatto che i soldati napoleonici trafugarono davvero alcune opere d'arte durante la campagna d'Italia. Ma non la Gioconda.

    Nabulio fu il soprannome con cui lo chiamavano i genitori da piccolo.

    Fu durante le campagne napoleoniche che si cominciò a sperimentare il cibo in scatola: merito del pasticciere Nicolas François Appert che ideò un metodo di cottura del cibo in vasetti di vetro a chiusura ermetica. Appert per la sua invenzione fu premiato con 12 mila franchi.

    E non è vero che avesse la fobia dei gatti. Lo ha precisato la storica Katharine MacDonogh nel libro "Storia dei cani e gatti a corte dai tempi del rinascimento", dopo averlo letto da più parti: non esiste alcuna evidenza storica che Napoleone soffrisse di ailurofobia. Ma era superstizioso e come molti europei del tempo si teneva lontano i gatti neri.

    John K. Lattimer urologo della Columbia University, nel 1972 disse di aver acquistato il pene di Napoleone per 4.000 dollari. «La misura del pene di Bonaparte - spiegò, senza fornire dettagli - era di 4,5 centimetri in stato di riposo che diventavano 6,1 in erezione». Come l'urologo abbia fatto a capirlo rimane un mistero. La sua diagnosi? L'imperatore avrebbe sofferto di un problema endocrinologico che ha limitato la crescita degli organi genitali di Napoleone.
    Il primo a possedere la reliquia sarebbe stato l'abate Vignali, suo cappellano a Sant'Elena. Sulla vicenda è stato scritto anche un saggio sul Journal of Sex Research: La peregrinazione postuma e itinerante del pene di Napoleone. Jean Tulard, esperto di storia napoleonica, sull'evirazione post mortem è sempre stato scettico e finché non si riesuma la salma, la questione si può archiviare come "leggenda metropolitana".




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    Edited by gheagabry1 - 6/9/2020, 15:33
     
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    WATERLOO


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    Parigi, sera dell’11 giugno 1915.
    Napoleone Bonaparte è nei suoi appartamenti con il fratello Giuseppe. La partenza per il Belgio è imminente: dopo il ritorno dall’esilio dell’isola dell’Elba, Napoleone è di nuovo imperatore dei francesi, ma l’Europa l’ha messo al bando come “nemico e perturbatore della pace del mondo”. E’ una dichiarazione di guerra. Terreno dello scontro finale: Waterloo.
    Rimangono da discutere gli ultimi particolari. Giuseppe consegna all’imperatore diamanti per un valore di 800mila franchi. Napoleone li fa riporre dal primo valletto Louis Joseph Marchand nel suo nécessaire, insieme alla collana di brillanti che la sorella Paolina gli aveva donato all’isola d’Elba, alla vigilia del suo rientro in Francia. Il tutto viene sistemato nella sua carrozza, pronta per la partenza. E questi non sono gli unici valori che l’imperatore porta con sé.
    In carrozza. Dopo aver dormito qualche ora, alle 4 del mattino raggiunge la sua armata, ma non a cavallo. Per le lunghe trasferte preferiva le comodità della sua modernissima “dormeuse” che fungeva da studio, camera da letto, sala da pranzo e toilette. Tutto nello spazio limitato dell’abitacolo. Fu proprio con questa carrozza che l’imperatore si mise in viaggio. Al suo seguito anche un “landau” decapottabile, veloce e leggero, utile nelle ricognizioni del campo di battaglia. Qualche giorno prima era partito, alla volta del Belgio, anche il furgone del tesoro. “Desidero che vi sia caricato un milione in oro. [..]” , Napoleone si raccomandò con il barone Guillaume Joseph Peyrusse, tesoriere generale. “Mettete nel furgone 100 o 200 mila franche in argento per il servizio corrente [..]. Per quanto riguarda il milione in oro, non vi si potrà attingere se non in virtù di un mio decreto”.L’imperatore non poteva immaginare che il prezioso carico che lo seguiva, doveva essere protetto non solo dal nemico, ma anche dai suoi stessi uomini.

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    Prede facili. Ma facciamo un salto in avanti di sette giorni, fino a domenica 18 giugno, ore 21.00 circa. La battaglia è ormai finita e l’esercito francese allo sbando. Decine di migliaia tra morti e feriti, su ambedue i fronti, giacciono sul terreno reso fangoso alle piogge del giorno prima. Il frastuono dei cannoni, spari, grida hanno lasciato spazio a lamenti e richieste d’aiuto. Da poco l’imperatore si è allontanato dal campo di battaglia e l’esercito francese, in rotta, si sta disperdendo in un fuggi fuggi generale. I prussiani però non mollano e si lanciano all’inseguimento del nemico in fuga, uccidendo e derubando a man bassa.
    In questo scenario, la prima carrozza, del seguito imperiale a cadere nelle loro mani fu quella su cui viaggiava il valletto Marchand, intercettata a circa 14 km a sud del terreno di battaglia. Lì si era formato un ingorgo, per un cannone che ostruiva il passaggio. In pochi istanti una massa di vetture si trovarono di traverso nel pantano. Impossibile proseguire. “Il nemico, anch’esso bloccato, saccheggiava le ultime vetture, la mia sarebbe presto diventata una preda”, raccontò nelle sue memorie lo stesso Marchand. “Aprii prontamente il nécessaire, mi impossessai dei 300mila franchi in banconote, che misi nel mio petto fermandoli con la mia uniforme e abbandonai il resto”. Nell’abitacolo rimasero 100mila franchi in oro.
    Poi toccò il landau, incrociato dai prussiani 9 km più a sud. C’era una grande confusione: anche Napoleone, intorno alle 22.00 si imbottigliò in quel punto. Secondo il racconto dei prussiani, l’imperatore salì a bordo del landau, ma vedendo arrivare i nemici, me uscì sottraendosi per un soffio alla cattura. Di sicuro c’è che la carrozza fu depredata e venne offerta poi, gravemente danneggiata, al feldmaresciallo prussiano Gebhard Leberech von Blṻcher, che la inviò al suo castello di Krieblowitz, vicino a Breslau (Polonia).

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    “Ho messo fine una volta per tutte alle danze di Napoleone”, scrisse alla moglie. “Il suo esercito è in rotta e tutta la sua artiglieria, bagagli, cassoni ed equipaggi, sono nelle mie mani. Due cavalli sono morti sotto di me. Presto sarà tutto finito”. Nel 1975 un suo discendente dono il landau al museo del castello di Malmaison, che era stato residenza di Napoleone e della moglie Giuseppina. Dopo tante traversie, era tornata nel garage di casa, a Parigi.
    Anche la dormeuse subì la stessa sorte del landau: intorno alle 23.00 del 18 giugno fu intercettata dal maggiore Von Keller e dai suoi uomini del 15° reggimento fucilieri. Uno dei fedelissimi di Napoleone ebbe appena il tempo di portare con sé la cartella porta documenti dell’imperatore, abbandonando il prezioso, ma pesante, nécessaire e chiudendo a chiave la carrozza. Quel mazzo di chiavi è ancora oggi conservato a Malmaison. Per Von Keller una serratura chiusa non era certo un problema: in un attimo con la sua sciabola scardinò la portiera e si servì abbondantemente. Anche lui inviò la dormeuse a sua moglie a Dṻsserdorf. Il maggiore vendette il suo bottino al principe reggente inglese, futuro Giorgio IV. Poi la dormeuse passò nelle mani del collezionista William Bullock, che la mise in mostra nel 1816. Rivenduta dopo 3 anni, sparì dalla circolazione per 25, fino a quando nel 1842, Madame Tussaud la espose nel suo museo. Li rimase fino al 1925, quando un incendio la distrusse.
    “Di una cosa i fan di Napoleone si possono rallegrare: il glorioso cappello che l’imperatore indossava a Waterloo non cadde nelle mani del nemico. Acciaccato, sporco di sudore e fango, tornò a Parigi con l’imperatore e fu portato dal suo cappelliere di fiducia Delaunay per essere rimesso in forma. Ma con quello che accadde in seguito nessuno si prese la briga di andarlo a ritirare. Il bicorno rimase di proprietà dei Delaunay per quasi un secolo. Poi una discendente sposò lo zio del generale Jacques Duchesne, di Sens, in Francia, e portò il cappello in dote al marito che, alla morte, lo donò al museo della città, dove è tuttora conservato”
    La ritirata era continuata a singhiozzo: ancora più a sud, a Charleroi, si formò un altro imbuto. Era tutto bloccato e il commissario che aveva la responsabilità del furgone del tesoro si rese conto del pericolo. Sperando di mettere al riparo il prezioso carico, decise di distribuirlo ai fedelissimi e ai soldati della scorta, per portarlo sulla riva opposta del fiume, in un punto indicato. Cominciò così a consegnare le borse con i soldi: di ogni soldato si registravano il nome e la somma affidata. All’inizio tutto andò bene, poi si sentirono degli spari in lontananza. Fu il caos: “Avevamo appena cominciato a ritirare qualche centinaio di migliaia di franchi, quando un improvviso panico, forse premeditato da parte di qualche furfante, gettò improvvisamente il disordine tra gli addetti al servizio” raccontò Hippolyte de Mauduit, granatiere della guardia imperiale. “ognuno voleva la sua parte: si sfoderano le sciabole, si colpisce con le baionette e il sangue cola! Ben presto il cassone viene svaligiato e non vi rimangono intorno che morti e feriti”. Nessuno si presentò all’appuntamento: molti incapparono nei prussiani e furono derubati. Di quel furgone oggi ci rimane solo la serratura supertecnologica, dotata di ben 427 combinazioni.
    Inventario. Difficile fare un calcolo del bottino prussiano. Sappiamo che nella carrozza di Napoleone si trovavano il collier di brillanti di Paolina Bonaparte (valore di 300mila franchi) e i diamanti non montati di Giuseppe (altri 800mila). Secondo una fonte inglese, nella dormeuse erano nascosti 200mila napoleoni d’oro. Poi c’erano i 300mila franchi in banconote “salvati” dal valletto Marchand che dovette lasciare però i 100mila franchi in oro. Se aggiungiamo il milione d’oro nel furgone del tesoro, ne risulta una cifra da capogiro, difficilmente spiegabile come tesoretto per far fronte alle necessità dell’armata in battaglia. Perché Napoleone portò con sé una simile quantità di diamanti, oro e banconote? A spingerlo probabilmente fu la preoccupazione per il clima politico a Parigi. L’imperatore, prima di partire, aveva detto al tesoriere Peyrusse: “La capitale non è al riparo da un colpo di mano”.

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    Nell’inventario del maltolto, c’erano poi molti oggetti personali, come il nécessaire per la toilette in vermeil (argento dorato) dell’orafo di corte Martin Guillaume Biennais, regalato da Maria Luisa a Napoleone, con più di cento elementi, tra cui un servizio da tè, caffè e cioccolata, con piatti, candelabri e posate. Ogni articolo aveva lo stemma imperiale inciso. C’era anche un portaliquori in mogano, che conteneva due bottiglie, una di rhum, l’altra di un buon vecchio malaga. Poi, uno scrittoio estraibile con calamaio, penne, la cartella portafogli, il sigillo imperiale, mappe, telescopio, due pistole fabbricate a Versailles e un’altra a due canne. Tutte e due cariche. Sul lato interno era appeso un cronometro con una catena d’argento. E ancora: un elegante nécessaire per la pulizia dei denti, profumi (acqua di Colonia e lavanda). Tuti questi oggetti furono esposti a Londra nel gennaio 1816, insieme alla carrozza e ai cavalli, in una mostra che ebbe un successo epocale. Tutta la stampa inglese ne diede notizia con grande risalto. Poco più di due mesi dopo uno di questi giornali arrivò a Sant’Elena, sulla scrivania dell’imperatore, di nuovo in esilio. Napoleone era furibondo. Il giornalista si soffermava infatti su alcuni oggetti trovati nella carrozza, come le bottiglie di liquore, sottolineando, con tipico humour anglosassone, che Napoleone non si faceva mancare proprio niente. Anche se, di fatto, alla fine gli mancò tutto.


    (Silvia Bṻchi, articolo Focus Storia nr 105, luglio 2015)
     
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    Imperatori si nasce, ma Napoleone immodestamente, non lo nacque. Genio della strategia militare, fiero e carismatico, Bonaparte fu il “selfmade man, uno di quegli uomini che si sono fatti da soli, venuti su dal basso spinti dalla voglia di essere qualcuno. Da “qualcuno” ad imperatore dei francesi la strada è lunga. Ma Napoleone quando decise di percorrerla? Si incamminò fin da piccolo, come quei bambini che finiscono per fare, da grandi, quello che avevano scritto nel tema delle elementari, o ci si ritrovò per caso, guidato dalle sue innegabili doti di comandante e dalle contingenze storiche? A sentir lui, non aveva la benchè minima idea di dove volesse arrivare. E non solo da ragazzo, quando il suo sogno era soltanto quello di diventare scrittore.
    “Al tempo del Consolato (1799-1804) alcuni veri amici mi domandavano, con le migliori intenzioni e per potersi regolare, dove volevo arrivare. Risposi sempre che non lo sapevo. Ne rimanevano colpiti, forse delusi e tuttavia dicevo loro la verità. Più tardi, nel periodo dell’impero, [..] molti visi sembravano pormi la stessa domanda e io avrei potuto dar loro la stessa risposta. Non ero padrone delle mie azioni perché non ero così folle da voler forzare gli avvenimenti secondo il mio sistema, al contrario piegavo il mio sistema sul contesto imprevisto degli avvenimenti”, scrisse sul suo Memoriale di Sant’Elena.

    Napoleone-Bonaparte

    La parola di Bonaparte, che seppe usare al meglio le bugie o l’addomesticamento della realtà per rincorrere il potere, non è sempre attendibile. Ma stavolta il generale non si discosta troppo dalla verità. Incerto sull’avvenire, era però convinto, come diceva spesso che “nello zaino di ogni soldato si trova il bastone da maresciallo”. Intendeva dire che tutti in Francia, dopo la Rivoluzione, avevano la possibilità di farcela secondo le proprie capacità, a prescindere dalla nobiltà della loro nascita. E lui ne era l’esempio più lampante.
    Malinconico e arrogante, egocentrico e un po’ complessato, sognatore e realista, ma soprattutto “straniero” (era nato nel 1769 in Corsica) in casa degli oppressori della sua terra, Napoleone era un uomo dalle mille contraddizioni.
    Il futuro imperatore dei francesi pare fosse stato un bambino vivace, membro di una famiglia di non altissimo rango. Poco brillante negli studi, durante la difficile adolescenza nel collegio militare francese di Brienne-le- Chateau si era rifugiato nei libri degli autori classici latini, tra i suoi eroi, i grandi romani alla Giulio Cesare.
    “Si è molto considerata la psicologia di Napoleone, ragazzino di 9 anni che sbarca in Francia senza sapere una parola di francese, viene trattato male dai compagni e matura una voglia di riscatto nei confronti di quel mondo che sente ostile. Ma credere che all’epoca già progettasse di diventare imperatore è del tutto improbabile: il successivo scenario storico non era prevedibile, perché la rivoluzione sarebbe scoppiata solo una decina di anni dopo”, spiega Vittorio Criscuolo, docente di Stria moderna all’Università di Milano e tra i maggiori studiosi italiani di Napoleone. Sul carattere di Bonaparte è stato detto di tutto: alcuni sostengono che soffrisse di bipolarismo, come molte menti geniali del passato e de presente, mentre lo psicanalista Alfred Adler (1870-1937) diede il suo nome a una forma specifica di complesso d’inferiorità, La sindrome del nano”. Di sicuro Bonaparte era dotato di una bella dose di megalomania ed egocentrismo, contivati fin dalla più tenera età insieme alla volontà implacabile di superare ogni ostacolo a dispetto di chi lo aveva disprezzato. A questa incandescente mix caratteriale, che lo portò ad indossare la corona di imperatore, si aggiunge l’abilità militare.
    Fu la Rivoluzione francese (1789) a dargli la possibilità di imporsi con una serie di trionfi militari, soprattutto negli anni successivi, durante la guerra civile. Leggenda vuole che, il 5 ottobre del 1795, il “corso” avesse spazzato via a colpi di cannone i monarchici insorti contro il Direttorio, l’organo di governo collegiale allora a capo della Francia. Quest’impresa segno l’inizio del viaggio che lo avrebbe portato al potere assoluto.
    Cinque mesi dopo, nominato comandante generale dell’Armata d’Italia, sconvolgendo tutti i piani del governo sconfisse gli austriaci a Lodi il 10 maggio 1796 e l’anno dopo strinse una tregua col trattato di Campoformio. “Solo dopo Lodi, annotò il generale in una pagina del suo Memoriale, “mi venne d’idea che avrei potuto diventare un attore decisivo sulla scena politica.” L’esaltazione di quella scoperta fu tale che “vedevo il mondo fuggire sotto di me, come se fossi portato per l’aria”.
    Quella ventata di megalomania lo condusse al potere, il 9 novembre 1799, con un colpo di Stato. Si dice che i francesi lo accolsero con entusiasmo, certi che il generale sarebbe riuscito a riportare la pace a Parigi dopo 10 anni di guerra. Per questo permisero ai cospiratori di rovesciare il Direttorio e di sostituirlo con tre consoli provvisori.
    Napoleone che aveva in mano l’esercito, ebbe il ruolo di primo console: che i parigini se ne rendessero conto o meno, il generale possedeva adesso più potere di quanto ne avesse il re Luigi XVI prima della rivoluzione. E lo usò senza risparmio, convinto, come lo era stato ai tempi Robespierre, che solo un regime autoritario fosse in grado di assicurare l’ordine, la coesione nazionale e la vittoria nella guerra alle altre potenze europee. Obbiettivi che in effetti riuscì a raggiungere a tempo di record, insieme alla carica, il 2 agosto 1802, di console a vita.
    “Napoleone è diventato Napoleone dopo la rivoluzione, ma non fu il solo generale a imporsi grazie agli strumenti, primi fra tutti l’esercito, che quell’evento gli aveva fornito. Rispetto agli altri, però, lui ebbe il genio organizzativo, le doti di statista, l’abilità di usare la propaganda”, osserva Criscuolo. Qualche esempio? Fondò (e chiuse) i giornali, cercò l’appoggio dei letterati e mise a tacere, con bavagli ed esili, chi lo criticava; oltre a sfruttare l’arte e la pittura per esaltare la propria immagine, proprio come facevano gli antichi imperatori romani.

    Bouchot_-_Napoleon_signe_son_abdication_a_Fontainebleau_4_avril_1814

    La scrittrice francese Madame de Stael provò sempre una viscerale antipatia nei suoi confronti, sostenendo che “Per lui non c’è che lui [..] i suoi successi sono dovuti più alle qualità che gli mancano che al genio che possiede”, ma anche chi ci aveva creduto reagì indignato quando il primo console si proclamò imperatore. Ludwig van Beethoven che gli aveva dedicato la sua terza sinfonia, L’Eroica, quando seppe dell’incoronazione sbottò: “Anche quello non è dunque altro che un uomo comune? Adesso calpesterà tutti i diritti dell’umanità e seguirà soltanto la sua ambizione; si metterà al di sopra di tutti gli altri e diventerà un tiranno”. Il compositore non si sbagliava troppo. Ormai sovrano assoluto della Francia, dopo aver ottenuto la nomina dal Senato in maggio, si incoronò imperatore il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Ma, ci teneva a sottolineare, non era un monarca come quello rovesciato dalla rivoluzione, “re di Francia e di Navarra per grazia di Dio”: lui era “l’imperatore dei francesi per volontà del popolo”. In effetti, però, le differenze con la testa coronata rotolata ai piedi della ghigliottina 12 anni prima finivano più o meno qui. E a ben vedere, della Corona ferrea dei Longobardi e di Carlo Magno, che indossò proclamandosi re d’Italia del 1805, disse “Dio me l’ha data, guai a chi me la toglie”. A 35 anni, Napoleone governava, dunque sullo Stato più forte d’Europa, i cui confini aveva esteso come mai prima d’allora; il resto degli Sati europei era o suo satellite o suo alleato. Nessuno, e probabilmente neppure l’imperatore, aveva previsto questi eccezionali risultati. “Si dice avesse immaginato di costruire un tipo d’impero sul modello carolingio, dando l’amministrazione dei territori conquistati ai parenti, come Stati vassalli, ma che poi si pentì e, con la nascita del figlio, centralizzò il potere per lasciarlo all’erede; secondo un modello più romano d’impero” spiega Criscuolo “Ma queste sono solo elucubrazioni: in realtà Napoleone decise cosa fare, anche quando si trattava di guerra, sempre basandosi sulle situazioni contingenti” Un po’ come aveva fatto per tutta la sua vita.
    I 10 anni che lo separavano dall’abdicazione del 6 aprile 1814 furono un susseguirsi di matrimoni, alleanze e guerre con le maggiori potenze europee, fino al primo tragico epilogo a Lipsia (1813) contro l’alleanza antifrancese, seguito dalla definitiva disfatta di Waterloo (1815). Il trascorrere del tempo, le preoccupazioni e gli impegni, l’amministrazione dell’impero non cambiarono solo l’aspetto di Napoleone, appesantendolo e dandogli una precoce calvizie, ma anche la sua personalità: l’ambizione e l’orgoglio prevalsero su ogni altro tipo di sentimento.
    “La sua ambizione è al centro della grande domanda che si pone la storio-geografia: perché non si è fermato? Si poteva stabilire un limite? E se fosse successo, Austria e Prussia avrebbero accettato la presenza in Europa di una Francia nutrita dallo spirito rivoluzionario?”. D’altra parte, gli stessi francesi, oltre agli altri Stati europei, erano stanchi di quell’aggressivo figlio della rivoluzione: l’ordine interno, ormai ottenuto, on giustificava più il ferreo autoritarismo imperiale.
    Nel 1815 la forza del destino spezzò Napoleone con gli stessi mezzi con cui nel 1800 l’aveva fatto trionfare: i soldati e i borghesi gli voltarono le spalle. E lui, che nei momenti di sconforto aveva vagheggiato al suicidio, a Sant’Elena si chiese: “Non credete che sarei dovuto morire a Mosca? La mia gloria militare sarebbe stata senza sconfitte, la mia carriera politica senza esempio nella storia del mondo"



    (Maria Leonarda Leone, Focus-Storia nr 92 giugno 2014)
     
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