L' Africa.............

..la sua impalpabile magia

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  1. gheagabry
     
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    Africa…




    L’Africa non è un viaggio come tanti altri. L’Africa ti prende dentro, ti accoglie e ti sputa a terra come un nocciolo succhiato se non sei capace di viverla. Un antico adagio kenyota recita: mangia, che l’africa mangia te. E ti mangia in ogni senso.

    Ti fiacca fisicamente, ti consuma emotivamente, ti ruba mentalmente. In Africa si torna da dove si è partiti, da dove lucy qualche milione di anni fa ha alzato la sua schiena curva e metro dopo metro, passo dopo passo ha dato il soffio evoluzionistico all’uomo. L’Africa è dunque il nostro passato più remoto ma è anche forse dove noi dovremmo volgere lo sguardo se vogliamo capire come eravamo e dove andremo. L’occidente ha perso molto dell’africa e sotto alcuni punti di vista menomale.
    Nessuno di noi vuole morire per uno stupido morso di zanzara, a nessuno di noi fa piacere fare chilometri per un sorso d’acqua. Ma a tutti noi manca l’umanità che l’africa offre ad ogni incrocio di ogni minuscolo villaggio disperso nel nulla. L’Africa è natura, ma natura nel senso totalizzante della parola.
    È natura nei rapporti interpersonali che si creano. Tutto è ridotto al livello basico, senza infrastrutture di sorta. Resisterà la società africana ai profondi cambiamenti che la stanno squassando dall’interno? Resisterà alle sempre più forti influenze occidentali? Resisterà al profondo sentimento di attrazione per un mondo che sembra essere migliore? Certo, le condizioni di vita non sono invidiabili, ma forse nella nostra presunzione da “buana” (uomo bianco) dovremmo vedere quello che l’africa ci offre: l’umanità che ancora suona nelle nostre orecchie con una voce di nonna che sussurra:”ai nostri tempi si stava meglio”.
    (dal web)




    Quante afriche esistono… cos’è veramente l’Africa… dov’è l’Africa…?
    Chissà perché sono capitato in Africa tantissimi anni fa… nell’Africa più vicina a noi italiani, la Tunisia!
    L’africa araba… ma la cosa che mi ha attirato subito sono stati i deserti, gli spazi.

    Alla tunisia hanno fatto seguito il marocco e l’egitto, sempre l’Africa araba… e sempre la mia attenzione focalizzata sugli spazi…

    A grandi linee si può dire che esistono 3 afriche, l’africa araba, l’africa nera o degli uomini e l’africa degli animali.
    E’ una suddivisione sommaria, semplicistica ma è un punto da cui partire per iniziare ad osservarla… capirla no, è impossibile, non si potrà mai capire completamente l’africa, i più fortunati di noi potranno arrivare ad una totale e serena accettazione…

    L’Africa non si può catalogare, schematizzare, l’Africa è tutto ed il contrario di tutto, ogni cosa in Africa ha un senso ed una sua logica… l’Africa è l’enorme palcoscenico in cui va in scena l’esistenza.
    In Africa il “tutto”, l’armonia fra ogni forma vivente presente sulla terra trova la sua massima applicazione.

    Cos’è il “tutto”? noi facciamo parte del “tutto”, ogni cosa che vediamo, percepiamo fa parte del “tutto”, il “tutto” è l’armonia fra ogni cosa, l’equilibrio, la dipendenza, la vita di ogni cosa dipende dall’armonia del “tutto”.

    Ma attenzione, il “tutto” non è amore universale e bontà, è armonia, talvolta secondo noi crudele ma è armonia.

    L’Africa è la massima espressione di questa armonia, laddove l’uomo moderno non è ancora riuscito a stravolgerla.

    Dicevo della suddivisione in tre afriche, è puramente accademica, gli animali un tempo erano ovunque, poi stravolgimenti climatici e l’uomo hanno modificato il loro areale e la loro distribuzione, ma l’Africa ha trovato ugualmente un suo equilibrio.

    Gli uomini sono ovunque, il popolo nero è ovunque, ed esistono popoli non tipicamente neri ma ugualmente importanti per insegnarci cos’è il “tutto”, penso ai boscimani, uno dei popolo primitivi più in equilibrio con ciò che ci circonda che io conosca, paragonabili tranquillamente agli aborigeni australiani.

    Il mio grande amore per il popolo degli animali mi ha portato un giorno in Africa australe… e qui ho trovato gli animali, popolazioni ancora in armonia con il “tutto” e spazi immensi con deserti di tutti i tipi.
    Ho trovato ciò che forse si avvicina di più alla mia idea di “tutto”, ho trovato il palcoscenico dove perdermi ad osservare... cercare di accettare… e dove perdere tute le certezze che anni di occidente e uomo moderno mi avevano inculcato….

    Roberto Armani





    Spero che dopo che avrò parlato non sarò più uno straniero e avrò dato e ricevuto qualche cosa. Mi piace considerare l'Africa come un discorso, perché questo mi ricorda la forza, l'energia, la ricchezza che sono nella parola creatrice, nel verbo. E se l'Africa è come un discorso che è stato scritto dai nostri antenati, dobbiamo sapere che la storia non è terminata, che il discorso va proseguito. (...) Un momento decisivo nella storia dell'umanità fu quello in cui l'uomo assunse la posizione eretta, e ciò è avvenuto in Africa.
    Questa tappa dell'evoluzione è considerata come un inizio di liberazione dell'uomo. Infatti prima di allora l'uomo era costretto a dedicarsi completamente al presente. Ma dal momento in cui ha assunto la posizione eretta ha potuto finalmente utilizzare le sue mani, e attraverso di esse iniziare la sua civilizzazione. Nel frattempo la parte inferiore del cranio ha assunto dimensioni più piccole dando spazio all'encefalo, che si è accresciuto, ed egli ha imparato a guardare altrettanto bene davanti e dietro di sé, cioè a contemplare il suo passato e a prevedere il suo avvenire. (...) Questa storia non è di nostra proprietà, è di proprietà del mondo. Essa è in accordo con la concezione africana della proprietà, che non è fondata soltanto sulla dimensione del presente, ma evoca gli antenati - per esempio con la concezione della terra che appartiene agli avi - e contempla ancora di più i discendenti, i figli, ai quali viene trasmessa.
    lo penso che ciò che ci interessa oggi della storia è proprio questa capacità di reinvestire il passato nel presente e nell'avvenire. Non per riprodurre la storia in maniera meccanica e robotica, non per dare vita a dei cloni delle società africane di un tempo, ma per fondarci credibilmente sulle nostre proprie radici, senza esserne schiavi. Ho appena terminato di scrivere un saggio dal titolo "Storia critica dell'Africa nera" - inserito nell'opera più vasta "Storia critica dell'umanità" - il cui scopo è quello di determinare i periodi di rottura e i periodi di ascesa della storia africana.
    Non vogliamo coltivare la recriminazione e l'odio, ma rifondarci e ritrovare la nostra identità. Nella storia africana - come in quella europea - ci sono stati dei periodi di ascesa e di sviluppo, così come periodi di decadenza, a volte infernale. Ma questi periodi di rottura erano i nostri.
    Per centinaia di migliaia di anni, fino al XV secolo, l'Africa - anche quella sahariana - si è evoluta, tanto da essere alla pari con le civiltà di altri continenti, o addirittura alla loro testa. II termine "preistoria", inventato dai miei colleghi europei, non è esatto. lo non lo accetto. Esso si basa sul presupposto che fino a che un fatto non è riportato per iscritto esso non può essere considerato come un fatto storico, ma preistorico. lo preferisco definirlo protostorico. Dal momento in cui c'è l'uomo c'è storia. Non c'è motivo per considerare preistoria il momento in cui l'umanità ha inventato la parola, l'arte, la religione, l'agricoltura. E' ridicolo. Dovremmo dire che tutti i popoli che ancora oggi sono analfabeti e che non hanno una cultura scritta sono dei popoli preistorici, e questo non ha senso. In Africa ha dunque avuto inizio la storia dell'umanità, che è poi proseguita nell'antico Egitto, nella cui civiltà ritroviamo molti elementi religiosi e della struttura sociale propri dell'Africa nera. L'Africa ha continuato a svilupparsi fino al XIV-XV secolo. In questo periodo alcuni grandi imperi africani potevano rivaleggiare con l'Europa.
    Le statistiche dimostrano che le capitali dell'impero del Mali e del Ghana erano più popolate di quanto lo fosse Londra nello stesso periodo. Ho condotto personalmente una ricerca sulla densità della popolazione scolastica in quei tempi nella regione: tra i cittadini liberi l'insegnamento primario era più diffuso di quanto non lo fosse in Europa nello stesso periodo. Vi invito di approfondire questo argomento nella mia "Storia dell'Africa nera".
    Non è per non parlare degli orrori, ma in Africa esistevano molti fattori positivi di sviluppo in ogni campo (...). I miei ascoltatori si stupiscono sempre quando racconto che l'inno nazionale del Mali di oggi è un antico canto del XIII secolo intonato dalla madre di Sundiata, un ragazzo handicappato. Per riscattare l'onore della madre, derisa dalle altre donne del villaggio, Sundiata si ripropose di drizzarsi e di camminare correttamente e quando riuscì a farlo, sorreggendosi al bastone che la madre gli aveva donato, ella intonò un canto, che oggi, dopo sette secoli, è ancora importantissimo, tanto da essere l'inno nazionale del Mali. Si tratta di una narrazione in cui il mito si unisce alla storia. Anche l'Africa dunque ha avuto l'idea di reinvestire il passato nel presente per il futuro.
    Personalmente ho la sensazione che una delle cause interne del rallentamento dello sviluppo in Africa sia da ricercarsi nella disponibilità di spazi immensi; quando all'interno delle società nascevano dei contrasti essi venivano risolti con la partenza di coloro che erano in minoranza. Questa soluzione era favorita dalla certezza che dovunque fossero andati avrebbero trovato una terra e che avrebbero avuto diritto al territorio su cui si fossero insediati.
    Tutti gli "stranieri" che arrivavano avevano diritto al suolo, poiché non esisteva il concetto di "proprietà privata". La terra era una proprietà collettiva a disposizione degli autoctoni e degli stranieri. Dunque i conflitti non venivano risolti con la guerra, ma in maniera "orizzontale", attraverso l'allontanamento di una parte della comunità e delle ragioni del contrasto. Al contrario, nella Valle del Nilo e nell'antico Egitto lo spazio era limitato; qui le contraddizioni non potevano essere risolte sfruttando le terre circostanti, ma solo attraverso la guerra, o attraverso le innovazioni tecnologiche, o ancora attraverso la riorganizzazione sociale. Si è così passati ad un livello di società superiore a causa dei conflitti e attraverso i conflitti.
    I conflitti africani interni all'Africa sono sempre stati risolti dagli africani stessi e hanno portato alla configurazione di grandi realtà sociali e politiche come l'Impero del Mali o l'Impero del Ghana, così come sono descritti dagli scrittori arabi o dagli stessi scrittori africani del XV, XVI e XVII secolo. (...) Si trattava dunque di una regione molto sviluppata dal punto di vista economico, dove si producevano anche merci con valore aggiunto, come tessuti, oggetti metallici, vetro.
    In alcune importanti città, ad esempio della Nigeria, si produceva così tanto che l'intera regione fu soprannominata la "Bisanzio nera". Quando i primi Portoghesi arrivarono in Congo, essi rimasero talmente impressionati al cospetto del re che lo salutarono e gli resero omaggio come se si trattasse del proprio re. Sono solito dire che l'incontro tra Africa ed Europa fu un incontro storicamente mancato, perché le cose potevano andare ben diversamente.
    Quando il re congolese Alfonso chiese dei tecnici europei per l'educazione, le infrastrutture, le costruzioni, ci si è rifiutati di inviarglieli. Lui desiderava importare dall'Europa ciò che avrebbe potuto migliorare la situazione del suo regno, ma gli è stato rifiutato qualsiasi aiuto, perché in quel periodo iniziava la tratta degli schiavi. (...)
    I quattro secoli di tratta degli schiavi hanno letteralmente bloccato l'Africa, ma hanno fatto meno danni di quanti ne ha fatti un secolo di colonizzazione, sia perché a quel punto gli europei disponevano di mezzi tecnicamente troppo superiori, sia perché si trattò di una vera e propria sostituzione della civilizzazione africana da parte di quella europea, in tutti i campi, religioso, politico, culturale. La tratta degli schiavi rappresentò una profonda ferita nel corpo dell'Africa, ma il condizionamento fu più marginale, e il sistema africano restò strutturato secondo la propria tradizione.
    Durante la colonizzazione invece l'Africa smise di vivere e di produrre per se stessa, e il concetto di sviluppo endogeno fu completamente abolito.
    Ha servito gli altri invece di servire se stessa, in vista di un cambiamento o di un'evoluzione, che avrebbero potuto compiersi, nel bene o nel male, e che le furono impediti, almeno fino alle lotte di liberazione, negli anni Sessanta. Le indipendenze furono in buona parte delle false "liberazioni"; il neocolonialismo ha infatti sostituito il colonialismo, e ancora oggi non possiamo dire che il colonialismo è stato sradicato in Africa. Non voglio terminare in un'ottica afropessimista. L'Europa ha portato molti elementi positivi: la scienza, la religione, la coscientizzazione, le lingue, attraverso le quali possiamo attingere all'enorme ricchezza culturale e intellettuale a livello mondiale. Tutto questo pesa in modo positivo sul piatto della bilancia.
    Ma quello che noi avvertiamo ancora oggi è che per la massa della popolazione - non per i privilegiati che hanno potuto emergere, per gli intellettuali, come me, che hanno potuto beneficiare di questa eredità positiva ma per la stragrande maggioranza della gente, la bilancia continua a pendere dalla parte negativa.

    (sintesi dall'intervento tenuto da Joseph Ki Zerbo, uno dei più grandi intellettuali africani, a Roma, l'undici settembre 2002.)


     
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  2. gheagabry
     
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    “Amo il deserto, amo la pianura infinita che trema nel riflesso della Fata Morgana, amo le frastagliate vette di roccia, le catene di dune che somigliano a onde di un oceano pietrificato. Amo il semplice, duro lavoro nella semplicità del campo, sia quando la notte è chiara sia quando la tempesta di sabbia infuria e morde la pelle. Il deserto è terribile e spietato, ma chi lo ha conosciuto è costretto a ritornarci”.

    Chiedo venia se inizio il “Life” con una citazione. La frase è di Laszlo de Almasy, il conte ungherese – reso famoso soprattutto dal film “Il Paziente Inglese” – che può essere considerato come uno degli ultimi, veri esploratori dell’Africa, avendo a cavallo degli anni Trenta battuto a fondo i meandri più remoti e reconditi del Sahara Libico-Egiziano.
    L’ho voluta inserire perché la considero una delle più belle frasi mai scritte sul deserto, nella quale mi ritrovo appieno, se avessi tentato di parafrasarla sarei scivolato probabilmente nel banale o nello scontato.

    Ma l’Africa e i suoi deserti non sono il tema di questo “Life”, sono solo l’ambiente, il palcoscenico che vede protagonisti quelli che quotidianamente ci vivono, che lottano ogni giorno in un ambiente ostile, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante e spirituale.

    Viaggio in Africa da vent’anni, per lavoro e per piacere, e in oltre trenta viaggi ho conosciuto molte persone, gente semplice o importante, bambini o anziani, e queste persone, pur nella brevità e nella superficialità degli incontri, hanno lasciato un’impronta forte dentro di me, mi hanno aperto gli occhi su tante cose, mi hanno aiutato ad apprezzare le piccole cose della vita, spesso le più importanti, a vivere con maggiore serenità la quotidianità, anche le difficoltà. Come spero aiutino a crescere mio figlio, che da quando ha quattro anni (ora ne ha dodici) mi accompagna nelle “scorribande” africane.

    Ecco, l’Africa non è l’Africa, il deserto non è il deserto se si tolgono le persone da quel contesto. Conosco troppi “viaggiatori” impegnati a scavalcare mille dune, evitando il più possibile il contatto con la gente: dell’Africa hanno capito poco o nulla.

    Il piccolo contributo di questo “Life” vuole in primo luogo cercare di far conoscere gli Africani, aiutando a sfatare i luoghi comuni di cui ormai ci siamo infarciti la mente. La paura del diverso, questo ci propinano i nostri Media quotidianamente. Alzi la mano chi non pensi immediatamente al terrorismo, incontrando un arabo in metropolitana! L’immagine distorta e a senso unico che ci viene offerta ogni giorno ha fatto distanziare ulteriormente le rispettive culture. Non so, non voglio pensare che si tratti di un grande disegno precostituito, ma la storia è piena di esempi di questo tipo, alimentare la paura per tenere tutti buoni e ottenere consenso… l’America insegna…
    Salvo poi dimenticarsi dell’Africa quando la cronaca non interessa né petrolio né terrorismo: Darfour, chi ne sente più parlare? Africa dimenticata, sfruttata, ignorata, depredata, c’è di che vergognarsi dei nostri “splendidi” concetti di democrazia, solidarietà, supremazia economica e culturale.

    La mia piccola esperienza so che è un granello di sabbia nello sconfinato deserto della menzogna mediatica, ma se farà riflettere almeno una persona avrò raggiunto il mio umile obiettivo.
    Ne ho conosciute molte di persone in questi anni, chissà, azzardo la cifra di un migliaio. Quelle “sgradevoli” le conto sulle dita di una mano. Dalla Siria all’Egitto, dalla Libia alla Tunisia, dalla Namibia al Madagascar ho sempre incontrato gente disponibile, disinteressata, amichevole e ospitale.
    Qualità che vanno ben oltre a quelle cui siamo abituati: ci sogneremmo mai di ospitare in casa nostra un africano incontrato mezz’ora prima? In Africa accade, anzi, spesso è normale.

    Concludo con una riflessione: non limitiamoci a quello che ci fanno vedere alla televisione, non giudichiamo popoli, razze, persone solo da quello che vediamo per le nostre strade, nelle nostre città. Cerchiamo di documentarci di più da fonti indipendenti e, se possibile, cerchiamo di toccare con mano queste realtà, viaggiamo da viaggiatori, non da turisti.


    Edo, dal web

     
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  3. tomiva57
     
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    grazie gabry...condivido...l'Africa è ....unica...
     
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  4. gheagabry
     
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    Pensieri senza frontiera

    Affetti da mal d'africa
    ci sono due mal d'africa
    il nostro che e come un sogno
    ed il loro che e come un incubo
    il mal d'africa bianco e dolce come la vita
    quello nero e amaro come la morte
    per noi il mal d'africa e un bellissimo ricordo
    per loro e un pessimo futuro
    il vero mal d'africa non viene a chi parte
    rimane a chi resta
    prima o poi il mal d'africa a noi passa
    a loro no
    non c'è da stupirsi se dall'africa
    ci portiamo via il mal d'africa
    dal momento che abbiamo sempre portato via tutto.
    diamanti e avorio oro giallo e oro nero
    gazzelle e leoni uomini e donne
    noi lo chiamiamo mal d'africa.
    loro dovrebbero chiamarlo mal d'occidente
    prima che i bianchi mettessero piede
    nel continente nero
    il mal d'africa non esisteva
    lo capisce anche un bambino
    soprattutto se africano



    Oliviero toscani – fotografo
    tra gli artisti di quaderno africano agenda 2006
    a favore dei bambini di strada di nairobi





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  5. arca1959
     
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    grazie Gabry.......che dire dell'Africa......e semplicemente nel mio cuore!!!
     
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  6. ZIALAILA
     
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    TUGELA FALLS






    52014641.Tugela_falls





    Le cascate piu' alte d'Africa e le seconde del mondo , superate solo dal Salto Angel , si gettano con una sottile cataratta dalla parete piu' elevata del Drakensberg nel Royal Natal National Park

    Hanno una altezza massima di 947 m. ,sono alimentate da un fiume che varia la sua portata secondo i periodi dell'anno .

    tugela



     
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  7. gheagabry
     
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    Africa, Africa mia…Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane..Africa che la mia ava canta..In riva al fiume lontano…Mai t’ho veduta..Ma del sangue tuo colmo ho lo sguardo..Il tuo bel sangue nero sui campi versato..Sangue del tuo sudore..Sudore del tuo lavoro..Lavoro di schiavi..Schiavitù dei tuoi figli..Africa dimmi Africa..Sei dunque tu quel dorso che si piega…E si prostra al peso dell’umiltà..Dorso tremante striato di rosso..Che acconsente alla frusta sulle vie del Sud..Allora mi rispose grave una voce..Figlio impetuoso il forte giovane albero…Quell’albero laggiù..Splendidamente solo fra i bianchi fiori appassiti….E’ l’Africa l’Africa tua che di nuovo germoglia..Pazientemente ostinatamente..E i cui frutti a poco a poco acquistano L’amaro sapore della libertà. Ndjock Ngana.

     
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6 replies since 8/5/2011, 19:20   793 views
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