IL CIELO.............

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  1. gheagabry
     
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    LE NUVOLE




    L'uomo libero è come una nuvola bianca.
    Una nuvola bianca è un mistero;
    si lascia trasportare dal vento, non resiste, non lotta, e si libra al di sopra di ogni cosa.
    Tutte le dimensioni e tutte le direzioni le appartengono.
    Le nuvole bianche non hanno una provenienza precisa e non hanno una meta;
    il loro semplice essere in questo momento è perfezione.
    (Osho Rajneesh)



    ......La Terra vista dalla Luna......



    Scendere giù sulla terra è un’operazione difficile di questi tempi......Seguire con gli occhi la scia luminosa della luce lunare abbracciare le città, respirare un’aria che a voler rifiatare occorrerebbe, che ne so’, almeno un balzo pirotecnico.
    Scendere giù sulla terra non è solo un viaggio, è il viaggio.
    Quando si scende si perde ogni cognizione del tempo. C’è sempre bisogno di dormire, sulla terra. Scendere giù sulla terra comporta fatica, bisogna comprenderne la lingua e gli usi e i colori. Quando si scende ci si addormenta sempre. Si diventa come bambini, come quei bambini che, finalmente addormentati, stronfiano sgraziati. Abbiamo cieca fiducia e cieca ammirazione per gli esseri umani. Sanno essere simpatici, quando vogliono. Scendere giù sulla terra è questione di stile. Alcuni scendono giù strafottenti, altri rispettosi per il glorioso passato. Qualcun altro scende giù sulla terra per morire. Ma sono soltanto i nostalgici e i poeti e qualche reietto senza meta. Altri ancora, e sono i peggiori, scendono con una noncuranza e un disinteresse che mi fanno paura. Quando si scende giù e ci si addormenta, poi ci si risveglia sempre. Sono gli odori, anzi i non odori, a svegliarti. La prima cosa che noti sulla terra è l’assenza di equilibrio. Non il nostro, abbiamo imparato prestissimo a camminarci sopra. L’equilibrio di tutto quello che ci circonda, è quello a mancare.
    Per chi dalla luna si avvicina alla terra non conviene intraprendere il percorso più semplice. Per amare la terra bisogna concedersi un piccolo giro, attraversare luoghi non registrati dai navigatori satellitari, perdere e ritrovare la strada. Scendere giù sulla terra vuol dire perdere il fiato, prendere di sbieco la costa, inerpicarsi sulla vetta più alta, cercare le prime vallette montane o un’ombra per ripararsi, tuffarsi nelle ultime acque che acquietano il terreno.
    Quando si scende giù sulla terra ci si affida alla conoscenza dei luoghi, al senso profondo della nostra vista e alla saldezza delle proprie gambe e dei propri muscoli e del proprio cervello.
    Io non ho detto per quale motivo scendo sulla terra né ho detto qual è il modo di scendere. Io scendo giù sulla terra per vivere, o meglio per sopravvivere. Io scendo giù come se fosse l’ultima volta e ogni volta sembra che sia l’ultima e poi ancora e ancora, sempre a pensare che sia l’ultima volta. Anche oggi è l’ultima volta che scendo sulla terra. Soffro nel guardare le atroci convulsioni che avvolgono ogni cosa.
    Scendere giù sulla terra è per noi qualcosa di unico, stupefacente e doloroso. Come quando il sole si cela dietro la luna, la nostra luna. Quando si scende giù sulla terra, se non si dorme, si osserva e si cammina soltanto. Non importa che il vento diventi un gelo o che ombre infinite si chiudano velocemente su di noi, non importa neanche che quelle strane creature che sulla terra vivono e parlano e dormono e mangiano e bevono e fanno l’amore come noi, si stupiscano della nostra presenza.
    Per essere l’ultima volta che sono sceso sulla terra, posso essere soddisfatto. Ho visto moltissimo in questi viaggi. Quando si scende sulla terra bisogna stare attenti a non cadere nel tranello di vedere solo quegli aspetti negativi che tanto ci rendono fieri di abitare lassù. Scendere giù sulla terra comporta una scelta ben precisa, quella di non alzare mai la testa e lo sguardo verso casa, provocherebbe malinconia. Io ho girato i cinque continenti, esplorato vecchie e nuove città, lembi di foreste e deserti ma non ho mai guardato lassù, neanche di nascosto. Fino ad ora, almeno.
    Anni fa mi hanno parlato di una cosa chiamata nuvole ma non hanno saputo spiegarmi cosa fossero. Mi hanno detto che le nuvole non sono niente ma sono bellissime. Ci sono e non ci sono e se ci dovessero essere sarebbero grandi e piccole, bianche o nere o di molti altri colori. Ma se gli chiedo cosa sono le nuvole non sanno rispondere.
    Scendere giù sulla terra significa dimenticare il blu scuro e cogliere sconosciuti tratti turchesi. Quando scendi giù sulla terra impari a comprendere il turchese, l’azzurrino, il celeste.
    Quando scendi sulla terra si perde ogni capacità di decisione. È per questo che non riesco a voltarmi e guardare in alto. Ed è per questo che inizio a pensare che non potrà essere neanche stavolta l’ultima volta. Ho deciso che tornerò e tornerò a breve. Devo anche ricordarmi di domandare ad una di quelle strane creature qualcosa su queste nuvole. Chissà se sapranno rispondere.
    Matteo Chiavarone


    “Eeee, e che so’ quelle?”
    “Quelle sono, sono, le nuvole.”
    “E che so’ ste nuvole?”
    “Ma…”
    “Quanto so’ belle, quanto so’ belle, quanto so’ belle”
    “Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato”.


    (da "Che cosa sono le nuvole?" uno dei sei episodi di Capriccio all'italiana diretto da Pier Paolo Pasolini)





    Vedi, sta arrivando una nuvola, inconsapevole della sua forma.
    E io mi chiedo se sia questo il cuore della sua bellezza. (Elisa)



    ......una favola......



    C' era una volta una nuvola molto piccolina e molto solitaria, che se ne stava sempre lontana dalle nuvole grandi.
    Era proprio piccolina, appena una codina di nuvola. E quando le nuvole grandi diventavano pioggia per dipingere di verde le montagne, la nuvoletta arrivava volando per offrire i suoi servigi, ma veniva disprezzata perchè era troppo piccola. “Tu non servi a niente perchè sei troppo piccola!” le dicevano le nuvole grandi. E la prendevano così tanto in giro che la nuvoletta se ne andava tutta triste a piovere da un' altra parte, ma dovunque arrivasse le grandi nubi la mettevano sempre da parte.
    E fu così che la nuvoletta andò molto lontano, finchè arrivò in una zona molto secca, senza neanche un ramoscello, e la nuvoletta disse allora al suo specchio (pare infatti che la nuvoletta portasse con sè uno specchio per chiacchierare quando rimaneva sola) : “Questo posto va bene per piovere perchè qui di certo non viene nessuno”.
    E allora la nuvoletta cominciò a sforzarsi di piovere e alla fine le uscì una gocciolina. Poi la nuvoletta si dissolse e divenne una gocciolina di pioggia. A poco a poco, la nuvoletta - che ormai era una gocciolina di pioggia - cominciò a cadere. Sola soletta se ne stava cadendo, e di sotto non c' era niente ad aspettarla. E sola soletta alla fine la gocciolina alla fine cadde. Siccome in quel deserto c' era molto silenzio, quando la gocciolina cadde su una pietra fece molto rumore. Allora la Terra si risvegliò e chiese :
    “Che cos'è tutto questo rumore?”...“E' caduta una goccia di pioggia.”
    “Una goccia di pioggia ? Allora sta per piovere. Presto! Preparatevi perchè sta per piovere!”
    Avvertì le piante che se ne stavano sotto la Terra al riparo dal Sole.
    Le piante si risvegliarono in tutta fretta e si affacciarono , e per un istante tutto quel deserto si ricoprì di verde.
    Le nuvole grandi da lontano videro così tanto verde e dissero: “Laggiù c'è molto verde, andiamo a piovere in quel posto che non sapevamo fosse verde!” E andarono a piovere in quel posto che prima era un deserto, e piovve a lungo, le piante crebbero e tutto rimase verde per sempre.
    “Per fortuna che ci siamo noi,” - dissero le nuvole grandi - “perchè senza di noi non c'è verde”.
    E nessuno si ricordò in quel momento della codina di nuvola che era diventata goccia e che con il suo rumore
    aveva risvegliato chi stava dormendo. Nessuno se ne ricordò tranne la pietra, che conservò il ricordo della gocciolina di pioggia...Passò il tempo e le prime nuvole grandi si dissolsero e morirono le prime piante.
    E alle nuove piante che nacquero e alle nuove nuvole che arrivarono... la pietra che non muore raccontò la storia della codina di nuvola che divenne gocciolina di pioggia.





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    Edited by gheagabry - 11/4/2012, 20:48
     
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  2. gheagabry
     
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    Da quando l'uomo ha alzato gli occhi in alto per osservare la volta celeste, la sua fantasia ha iniziato a popolare il cielo di immagini, leggende e storie di fantasia che ancora ci affascinano per la loro originalità. Così, alle costellazioni notturne sono stati dati nomi di animali, oggetti, divinità, mentre le nuvole, con le loro forme bizzarre e la loro capacità di scaricare fulmini e precipitazioni, sono divenute appannaggio degli dei dell'Olimpo greco. Non a caso, Zeus aveva nel lampo la sua arma più micidiale; il signore dei venti, Eolo, dimorava nelle omonime isole spesso spazzate da raffiche impetuose; Poseidone col suo tritone comandava i marosi tanto da poter decidere le sorti delle battaglie per mare; Apollo guidava instancabile il carro del sole.Anche gli antichi romani hanno cercato di scandagliare i segreti del cielo, se ne ritrova traccia nelle osservazioni di Plinio, e persino nelle descrizioni geografiche di Giulio Cesare. Per gli Etruschi poi, la caduta di un fulmine era un evento che richiedeva l'interpretazione degli indovini: se cadeva ad est delle loro terre era di buon auspicio, ad ovest una sciagura certa. Oggi è ben noto che, su quei territori, tra alto Lazio e bassa Toscana, i temporali provenienti dal Tirreno destano sicuramente maggiori preoccupazioni di quelli che avanzano dal vicino Appennino...Il sottile fascino della meteo ha, da sempre, ammaliato la mente degli uomini che, spesso non comprendendone i meccanismi profondi, hanno cercato di immortalarlo in poesie e romanzi pieni di descrizioni bucoliche.Già Dante, tra le pene infernali inseriva delle tempeste senza fine, dei laghi congelati, dei venti portentosi. Altri poeti hanno sublimato nei loro versi le prime rudimentali osservazioni meteorologiche. Come ad esempio Leopardi, nei quadretti idilliaci che aprono molti dei suoi componimenti (una su tutti, "La quiete dopo la tempesta") oppure nei dialoghi della Natura con un Islandese che si lamenta della rigidità del clima delle sue terre; celeberrima la "nebbia agli irti colli che piovigginando sale" di Carducci; la minuziosa descrizione della "pioggia nel pineto" D'Annunziana... e se ne potrebbero citare molti altri.E nella musica? Come potevano mancare le citazioni meteo anche nelle canzoni?Il panorama è davvero sconfinato. Spesso le città sono vissute nel mezzo di un temporale, oppure si canta alla bellezza di una calda giornata di sole dopo un episodio di forte maltempo nella famosissima aria. Si nominano pomeriggi azzurri, venti caldi dell'estate, acquazzoni che si abbattono improvvisamente, la pioggia che va... Uno straordinario esempio di osservazione meteorologica "in versi" è senz'altro il testo della canzone "Il mare d'inverno" interpretato dalla Bertè. Alcuni passi recitano:"...e verso l'interno, qualche nuvola dal cielo si butta giù. Sabbia bagnata, una lettera che il vento sta portando via..." oppure "...Macchine tracciano solchi su strade dove d'estate la pioggia non cade...", "...passerà il freddo e la spiaggia lentamente si colorerà...". La simpatica e tempestosa Loredana, che ogni giorno ci regala autentici momenti di interpretazione Shakespeariana nel reality show di Rai 2, avrà sicuramente subito il fascino di intere giornate col mare in tumulto mentre scriveva quella canzone.Gli eventi del cielo hanno da sempre esercitato un fascino magnetico sulle persone, inutile negarlo, se ne ritrova traccia in moltissime forme d'arte, espressione dei sentimenti e dei vissuti umani. Per chi, come noi, si interessa con passione a perturbazioni, venti, nevicate, ondate di caldo, giornate assolate, rovesci e temporali, ben si addice l'inizio di un'altra notissima canzone: "Quante volte ho guardato il cielo...".

    Autore : Simone Maio

    Edited by gheagabry - 26/3/2012, 22:29
     
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  3. gheagabry
     
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    Continua a fissare con la mente la tua magnifica notte stellata. E fra tutte le stelle del tuo cielo, raccogline una, e fà che la tua vita diventi la sua luce. Poi trasformala in una stella tanto speciale, tanto bella che tutte le stelle del cielo per un attimo smettano di brillare, soltanto per un istante, al solo cospetto di tanta luminosità.
    (dal web)


    notte%20di%20stelle



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    Edited by gheagabry - 26/3/2012, 22:32
     
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  4. gheagabry
     
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    Cirri

    Un volo di cirri
    nel cielo azzurro
    segue le rondini che vanno là...
    dove la forza che han dentro
    le spinge.
    Si spostano e vanno,
    si spostano e vengono.
    Sono come il pensiero
    che corre su tutto;
    sul bene e sul male
    nel chiaro e nell'ombra.
    E si ferma là...
    dove nessuno può dire s'è bene,
    dove nessuno sa dire s'è male.

    Emilio Benincasa




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  5. gheagabry
     
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    All’alba, irresistibili i filati di scorie d’aeroplani
    con tratti liberi e curve sconfinate, ci risvegliano
    da ipnosi: sono segnali di soccorso indecifrabili?
    una minuta fioritura, invece, una generazione
    del confine o, pura e semplice, un’ascesi?
    (qui attorno c’è una serra di piante ora seccate
    e cumuli di effigi, di collane sopra i letti). sospese,
    pure scie di circostanze e reti degli amori
    instabili che tracciano le direzioni
    di quel che resta all’aria.

    Mario De Santis





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  6. gheagabry
     
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    ... NUVOLE … NUBI ...
    … In queste giornate di sole cocente, di caldo che fa sudare perfino l’asfalto delle strade; in queste lunghe ore trascorse con la palla infuocata che illumina e prende tutte le attenzioni, lì al centro del cielo … quante volte accade di desiderare che, anche solo per un attimo, appaiano nubi ad interrompere quel lungo e caldo monologo del nostro amico sole? Quante volte distesi in un prato, oppure sul telo sulla spiaggia, abbiamo osservato e ci siamo lasciati rapire da quelle sagome buffe, particolari, imponenti, tenere che sono le nubi? Segni che mano divina sembra divertirsi a mostrare, come la mano del pittore che, desideroso di dare visibilità e concretezza al suo estro, lascia qua e là sulla tela bianca segni col pennello di tanti colori come a voler esaltare con quel contrasto cromatico l’immensa purezza di quella tela. Le nubi si rincorrono, intrecciano e giocano a far capriole e con esse la nostra mente rapita da tanta naturale e spontanea bellezza si diverte ad inseguirle, immaginarle e poi disegnarle. Dita rivolte verso il cielo sembrano i pennelli sopra una tela mentre le nubi si divertono a farsi trascinare, disegnare e poi scappare. Le nubi sono gioia perché rappresentano il movimento e la variazione rispetto alla stasi; sono i colori e le forme che immaginiamo, sono le parole su un foglio bianco quando cerchiamo l’ispirazione; sono le note su un rigo musicale che interrompono la pausa per dar vita ad una melodia … le nubi sono compagne e compagni di viaggio … sono la rappresentazione che il mondo, l’universo non smetteranno mai di stupire, di meravigliarci e di farci dire che noi siamo al centro di un meraviglioso miracolo chiamato vita … anche questa mattina voglio farvi dono di un racconto preso del web col desiderio di donarvi leggere carezze che accompagnino il vostro risveglio in queste calde mattine d’estate … è una poesia che spero vi piaccia proiettandovi in un magico mondo incantato … Vi abbraccio fortissimo … e, ovviamente, Buona Estate a tutti ….
    (Claudio)



    ... Le Nuvole Si Baciano ...

    Strani gas fatti sogni
    come gabbie racchiudono ricordi
    e si aggrappano all'azzurro
    lamentandosi del mondo

    Le nuvole di panna
    Le nuvole di Mamma
    che le vedi come vuoi
    e le rincorri anche se poi non ce la fai

    e si Baciano discretamente
    fabbricando disegni e forme
    abbracciate una ad una
    giocano a nascondino con la Luna

    le trovi lì quando cerchi compagnia
    quando vuoi muovere la fantasia
    quando non ne puoi più della tua vita
    e allora provi ad attaccartici con le dita

    le Nuvole Si Baciano
    e piano piano si consumano
    si mescolano nell'Oblìo
    e si dimenano nel vento con il suo fruscìo.


    (FolleSognatrice strana)





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  7. gheagabry
     
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    Ho sempre pensato che se lascio aperta la finestra
    prima o poi entrerà tutto il cielo.
    - Massimo Bisotti -






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  8. gheagabry
     
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    ... OGGETTI NEL CIELO …
    ... Guardare le stelle, perdersi nell’infinito avvolgente e profondo spazio che ci sovrasta è da sempre ispiratore di poesie e foriere di sogni e belle emozioni. Non c’è innamorato, sognatore o disperato che non abbia rivolto il suo sguardo al cielo, alle stelle, al sole, alle nubi; ogni singola componente di quelle meraviglioso mondo è simbolo di poesia mista ad intrigante mistero. Il cielo, lo spazio, sono da sempre meta delle ambizioni dell’uomo che cerca in esso altre frontiere da esplorare, alla ricerca di mondi nuovi da esplorare. Nel corso degli anni l’uomo, proprio grazie a questa sua ricerca, ha popolato lo spazio di satelliti, e quant’altro; da qualche tempo i giornali parlano di detriti, di relitti che lo spazio ha deciso di restituirci. Relitti in caduta libera sulla Terra col timore che essi possano interrompere la loro caduta in luoghi popolati causando disastri. Così ora quando ci soffermeremo a guardare il cielo lo faremo cercando di scorgere non solo stelle o le magie che lo popolano con un palpito in più di emozione mista a paura per la possibilità di vedere avvicinari alla nostra Terra oggetti che lo spazio generosamente ci restituisce … .
    (Claudio)

     
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  9. gheagabry
     
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    "Una nuvola bianca esiste senza radice alcuna, è un fenomeno sradicato, che non si appoggia in alcuno luogo, o meglio si appoggia nel non luogo. Però, anche così, esiste ed esiste in forma abbondante. [...] Una nuvola non ha dove andare. Si muove, si muove per tutti i lati, padrona di tutte le dimensioni, così come delle direzioni. Niente le è vietato. Tutto è, esiste, in una completa accettazione. Le nuvole non hanno un cammino proprio: vanno alla deriva. [...] Mi piacerebbe che tu fossi come le nuvole bianche che vanno alla deriva nel cielo. Vanno alla deriva; non si dirigono verso un punto. Dovunque ti trovi, quello è l'obiettivo. L'obiettivo è ogni momento: il percorso è la meta. Trasformarsi in nuvole bianche. Rimanere solo li, non opporre resistenza, non lottare: semplicemente godere dell'esistenza, celebrare il momento, il piacere, l'estasi di vita".
    (Tratto da Felicità – Un Anno di Pensieri Positivi)

     
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  10. ZIALAILA
     
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    AirFrance_LEnvol




    Chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare.

    (Leonardo da Vinci )



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    Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella..
    Se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo..
    Se stai guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa..

    Bob Marley



    Occhio-stelle



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  11. gheagabry
     
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    Oggi...sole e nuvole si alternano...in giochi di luci e immagini...quasi li...a plasmare colori.....come per dipingere una tela...il venticello...quella leggera brezza tiepida...fa loro da pennelli...per dipingere immagini oniriche..immagini che appaiono a tutti....ma sempre con sembianze diverse...per peter giocare d'immaginazione...quanto si dice...avere la testa fra le nuvole...non c'è termine piu' adatto che questo...chiunque in certe giornate...un po così...in certi momenti...si sofferma...e guarda il cielo...come d'istinto....sta li anche ore...guarda questi ghiri gori di nuvole...immagini che tramutano...ai suoi occhi....ma sara' solo quello che i suoi occhi...voglion vedere....come le immagini della vita (dal web)



     
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  12. gheagabry
     
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    Le nubi ... l’alfabeto del cielo ...

    Chi di noi da bambino non ha sognato o fantasticato di poter volare su di una nube e guardare dall’alto il nostro mondo? Quante volte al mare o in un prato ci siamo distesi a fissare il cielo e a fare gara di fantasia con gli amici attribuendo ad esse figure e immagini a cui esse assomigliavano? Io, tante tante volte ... spesso ho sognato di essere sopra una nube ed assaporare la dolcezza e soavità del suo abbraccio. Per me hanno sempre rappresentato l’immagine della purezza, del candore e della leggerezza…. Che meraviglia, nei giorni di vento forte, vedere le nuvole sfrecciare sopra di noi... che spettacolo vedere all’orizzonte cumuli di nubi nere addensarsi e preannunciare il temporale. Ogni volta che questo accade realizzo quanto sia imponente la natura e quanto siamo ciechi e sordi davanti alla sua bellezza ….Ogni cosa che ci circonda ha il suo alfabeto…il suo codice…vuole dialogare con noi e se ci fermassimo ogni tanto..ad ascoltare potrenmmo riuscire a capire quei piccoli segnali…e finalmente saremmo in armonia col mondo….

    (Claudio)

     
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  13. gheagabry
     
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    Il cielo con le nuvole mi piace…Passerei ore a fantasticare nel silenzio con gli occhi fissi al cielo reso ovattato dalle nuvole, dove storie di personaggi incantati e buffi animali si intrecciano con mille pensieri che prendono quotidianamente posto nella testa… Un viaggio tra le nuvole: un fascinoso mistero nel quale è possibile trascendere la propria dimensione corrente in una sognata…forse perchè un cielo con le nuvole..dà l'idea che si possa raggiungere qualcuno che è partito, scomparso dietro le nuvole e andato lontano..



    dal web
     
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  14. gheagabry
     
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    LO STRANIERO

    (di Charles BAUDELAIRE)

    - Chi ami di più, o uomo enigmatico? Di’…Tuo

    padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?

    - Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.

    - I tuoi amici?

    - Usate una parola il cui senso mi è rimasto

    ignoto fino ad oggi.

    - La tua patria?

    - Non so sotto quale latitudine sia.

    - La bellezza?

    - L’amerei volentieri, ma dea e immortale.

    - L’oro?

    - Lo odio come voi odiate Dio.

    - Eh! Ma che ami, dunque, o straniero straordinario?

    - Amo le nuvole… le nuvole che passano… là,

    lontano… le nuvole meravigliose.

     
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  15. gheagabry
     
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    "...Ci sono certi venti che si possono chiamare gentili. Sono quelli che soffiano piano ma soprattutto sono quelli caldi. Si avvicinano con un sospiro tiepido e leggero, come il respiro di un amante timido che sussurri prima di appoggiare le labbra alla pelle. Sono le brezze di mare e di monte, il ponente quando l'aria è dolce e il levante, che se è bagnato di pioggia in arrivo è come un secondo bacio, più intenso e umido di saliva

    Sul Molo Vecchio i venti gentili suonavano piano, scivolavano tra le arcate e le lamine di copertura stendendo un mormorio sottile e sommesso come un fondo di archi, da cui si staccava ogni tanto un violino più agile o il tocco più acuto di un triangolo.

    [...]

    Ci sono poi certi venti che si possono chiamare arroganti. Sono quelli che arrivano all'improvviso, senza pudore, e spingono, scostano con durezza, come se veramente il loro soffio non fosse solo aria in movimento ma un corpo fisico, fatto di materia che ha bisogno di spazio e lo vuole in fretta. Sono venti ruvidi, che non hanno tempo, gonfi e pesanti come mani appoggiate sul petto a spingere lontano, per farsi strada, e si chiamano maestro o maestrale, bora e tramontana. Più cattivo il libeccio, che prima di arrivare si annuncia con una scarica di raffiche nere, sprezzanti come una risata.

    Più che dal colore o dal loro effetto sul mare o sul suo corpo, l'ufficiale postale li riconosceva dalla voce. Sulla pelle se li era sentiti soltanto le rare volte che usciva dal faro, mai negli ultimi tempi, e vederli scompigliare le onde gli era quasi impossibile, avvolto com'era da quella nebbia biancastra che quasi ogni giorno gli appannava le finestre come vetro smerigliato. Se li riconosceva, se riusciva a immaginarne la consistenza o a ricordarne il carattere, era da come suonavano. I venti arroganti suonavano strumenti a fiato e a percussione. Soffiavano forte dentro un crescendo di trombe, tube e tromboni, e picchiavano a pugni chiusi sulle grancasse e sui tamburi. Martellavano insistenti sulle campane. Da quel sipario di ovatta oltre le vetrate del faro, così bianco e così vuoto da sembrare abbagliante, arrivava un crescendo di tuoni strappati a forza dagli occhielli dei piloni, di boati schiacciati contro le strutture tese del molo, di strilli scoccati dalle borchie dei tiranti, acuti e veloci come fulmini. Era una sinfonia che montava, che si gonfiava rapida in quel nulla accecante, gli squilli delle trombe che si rincorrevano, arrampicandosi come topi, uno dietro l'altro, sempre più in alto, il muggito profondo delle tube e dei bassi che si allargava violento come uno schianto, le raffiche acute delle campane e le esplosioni dei tamburi, sempre più serrate, sempre più forti, sempre più veloci, finché il libeccio non sollevava un'onda di mare e la spaccava contro il molo, metallica e schiumosa come un colpo di piatti.

    Ci sono certi venti che si possono chiamare diabolici. Sono quelli che vengono dall'Africa e si potrebbero anche chiamare seducenti o insistenti ma diabolici è meglio. Sono venti che fanno impazzire. Sono venti che avvolgono, che soffiano forte, ma invece di spingere sembra che girino attorno. Sono venti caldi, così secchi che asciugano la gola o così umidi che appiccicano i vestiti addosso. Sono venti che si appoggiano, che pesano sul collo e sulle spalle e intanto soffiano, soffiano e soffiano, insistentemente, anche quando sembra che non lo stiano facendo. Perché sono venti che fingono, che coprono il sole di polvere e sabbia come fosse notte, che sciolgono la neve d'inverno come fosse estate, che riempiono gli occhi e le orecchie, si infilano dentro e svuotano, grattano via il cuore e il cervello, lasciando un involucro inutile, vuoto, ronzante di polvere e mosche.

    Alcuni di questi venti l'ufficiale postale li conosceva di persona, come lo scirocco, di altri aveva sentito parlare da chi era ritornato dalla Tripolitania e li chiamava simùn, harmattan e ghibli. E anche un vento del nord, il föhn, portato da chi aveva fatto la guerra sul Carso.

    Uno solo dei venti africani arrivava a volte fino all'isola, guidato dalle correnti marine attraverso un buco tra le masse d'aria lungo e stretto come un corridoio era il khamsïn, il vento nero e rovente che aveva portato le tenebre in Egitto ai tempi di Mosè.

    Il khamsïn suonava il flauto. Era un flauto a due canne, una più bassa e l'altra più acuta ma sempre insinuante e sottile. Le note sibilavano rotonde e leggere, volavano attorno, giravano veloci ma ogni tanto ne usciva una diversa, disarmonica e dissonante, che restava sospesa nell'aria come un granello di polvere.

    Gli altri venti diabolici suonavano i violini. Ma non piano, in sottofondo, li suonavano forte come solisti, compatti e insistenti come uno scroscio di pioggia, vibranti come fiamme, sempre più intensi, più stretti e più acuti, e anche tra quelli ce n'era qualcuno che si alzava, che usciva, storto, inclinato dalla parte sbagliata, pungente come uno spillo dimenticato. ... "

    tratto da L’isola dell’angelo caduto - Carlo Lucarelli

     
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