I GRANDI FOTOGRAFI

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  1. gheagabry
     
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    Lynn Johnson





    Curiosando nella biblioteca del liceo che frequentava, Lynn Johnson si imbatté per caso in un volume di immagini di Dorothea Lange e altri fotografi che avevano documentato la Grande Depressione per conto dell’FSA (Farm Security Administration), l’organismo federale nato per combattere la crisi nelle campagne. Quella scoperta fortuita cambiò la sua vita.

    «Mi innamorai subito del potere di quelle fotografie», ricorda Johnson. «Ero molto giovane ed ero cresciuta nella bambagia. Non avevo mai visto lavoratori migranti o mezzadri, né avevo mai provato il senso di perdita o il dolore che pervadevano quelle immagini. Non avevo mai provato un’emozione così intensa e sentii il desiderio di prendere in mano una macchina fotografica». Lynn cominciò a farsi le ossa scattando ritratti per l’annuario scolastico del liceo. «Se sei timido, la fotocamera ti apre le porte della vita», ricorda. «Era come uno scudo dietro il quale potevo nascondere la mia timidezza e mi permetteva di diventare un’osservatrice attiva».



    Fu in quel periodo che un amico di famiglia le presentò Robert Gilka, il leggendario direttore del settore fotografico di National Geographic. Lei giurò a se stessa che un giorno avrebbe lavorato per il magazine. Dopo la laurea al Rochester Institute of Technology, Lynn venne assunta al Pittsburgh Press, dove sarebbe restata per sette anni.

    Era la prima donna fotografa della redazione: iniziò con la cronaca ma ben presto conquistò sul campo l’incarico di realizzare reportage fotografici. Nel 1982, quando lasciò il giornale, fu invitata a partecipare al progetto Men’s Lives, della durata di un anno, sui pescatori di Long Island. Cominciò poi a lavorare per Life e divenne l’assistente di Yoichi Okamoto, ex fotografo della Casa Bianca. Lynn Johnson ha pubblicato la sua prima foto su National Geographic nel 1989, in un servizio sui grattacieli, e da allora lavora regolarmente per la rivista. È anche collaboratrice fissa di Sports Illustrated.

    Ha realizzato servizi su molti personaggi famosi, come Stevie Wonder, Michael Douglas e l’intera Corte Suprema degli Stati Uniti, ma la sua passione resta documentare la vita delle persone ordinarie. Nel 2000, Johnson ha portato a termine, in qualità di Knight Fellow, la tesi del suo Master alla School of Visual Communications della Ohio University. La tesi è diventata un libro e una mostra itinerante sull’impatto degli hate crimes, i crimini basati sul pregiudizio razziale, sessuale, religioso o sociale. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Robert F. Kennedy Journalism Award for Coverage of the Disadvantaged, quattro premi World Press Photography, e il Picture of the Year della National Press Photographers Association. Vive a Pittsburgh, la città dove è nata.








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  2. gheagabry
     
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    Randy Olson






    «Non so perché riesco ad adattarmi così bene ai luoghi isolati del mondo in cui vado in missione», racconta il pluripremiato fotografo Randy Olson.

    «Sono nato nel Midwest degli USA, e fino a 20 anni non ho mai viaggiato. Eppure, quando mi trovo in un paese in cui le differenze culturali sono grandi e i comfort pochi, con la macchina fotografica in mano le difficoltà scompaiono. Penso solo a portare a casa le immagini che contano». Forse in questa frase è racchiuso il segreto di un fotografo tra i più importanti dell’ultimo ventennio di National Geographic.



    Randy Olson è un fotografo affidabile, di grande professionalità, ma eclettico fino al punto di sfuggire alle definizioni: ha girato mezzo mondo affrontando i temi più disparati, dai monsoni del subcontinente indiano alla crisi mondiale della pesca.

    Senz’altro non lo si può etichettare semplicemente come fotografo antropologico o naturalistico (filoni che peraltro è in grado di coprire con grande abilità), ma di certo si può affermare che Olson sia un fotogiornalista con la F maiuscola: le sue immagini possiedono quella qualità cristallina che piace agli editor dei giornali, quella preziosa capacità di raccontare una storia, di racchiudere un mondo intero in un solo scatto.















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  3. gheagabry
     
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    Andrew Zuckerman



    Andrew Zuckerman è una figura importante nella prossima generazione di fotografi. A soli 31, che ha già prodotto due libri, lavorato a lungo per riviste top, e anche attraversato in film indipendenti.
    Un ex allievo della Scuola di Arti Visive, ha assistito subito dopo la laurea. In poco tempo, stava girando il suo lavoro per una stalla client che comprendeva Vogue. In quella rivista, Zuckerman editori gli ha dato indicazioni molto specifiche per le assegnazioni che egli descrive come Le assegnazioni di Vogue anche alimentato un'estetica cristallizzata nel suo primo libro, Creature "nature morte di borse e scarpe.": "Dovevamo avere un perfetto bianco di fondo ", dice. "E doveva essere ben fatto." Durante quel periodo, ha lavorato da un appartamento di pre-guerra, sulla 46ma Strada, dotato di un prestito semaforo Speedotron. "Non ho avuto abbastanza potere nel mio appartamento", dice, "così ho dovuto correre i cavi fuori dalle finestre in appartamenti miei vicini di casa 'e pagare le bollette elettriche."
    Di espansione-il tema della nostra immagine caratterizzare-è un argomento di montaggio per la carriera di Zuckerman, che si estende su libri d'arte, fotografia commerciale, spot televisivi e film. L'immagine descritta è una fotografia ad alta velocità di un pallone d'acqua essere trafitto da una pallina e fa parte di una più ampia opera di esplorare la teoria del Big Bang. Ha usato un pezzo di materiale spesso utilizzato nella fotografia ad alta velocità chiamato La macchina del tempo per creare un'interfaccia tra la sua macchina fotografica, strobo e un microfono montato in cima alla sua pistola della pallina. Zuckerman ha utilizzato un alimentatore Broncolor Graphite A4 fissato a potenza molto bassa con un Twin Pulso 4 testa bi-tubo. La ragione per l'impostazione di bassa potenza è stato quello di ottenere la durata massima del flash, in questo caso intorno a 1/6000th di secondo, per congelare correttamente il movimento del palloncino scoppia. Ha usato una Hasselblad H2 con un Leaf Aptus 75S dorso digitale e un obiettivo da 120mm. L'esposizione è stata f/11 a 50 ISO con l'otturatore lasciato aperto. Una volta che tutto era a posto Zuckerman avrebbe premuto il grilletto della pistola e Il TempoMachine, collegato ad un microfono montato sulla pistola e un wizard tasca collegato alla fotocamera e il flash singolo, sarebbe allora fare tutto il lavoro. "Il suono del fucile è in realtà quello che prende l'immagine," dice. La pistola era di cinque metri di distanza dal pallone e il pellet stava viaggiando ad una 1000ft/sec così è stato per lo più solo la matematica e "un sacco di tentativi ed errori", ricorda.
    Tutto il suo lavoro, dal suo primo libro, Creature, al suo lavoro attuale, la Sapienza, è il concetto guidato. La sua media è un problema secondario. "Quando sono alla ricerca di qualcosa che cerco il modo migliore per comunicare è coeso. Credo che lavorare senza soluzione di continuità tra medium offre punti di ingresso più nel progetto, "dice. "Io tendo a elevare i miei soggetti, riducendo gli elementi che li circonda. Sono interessato a nudo l'essenza del soggetto. "Creature, un libro per presentare animali esotici provenienti da tutto il mondo su nude sfondi bianchi, esemplifica questo concetto. Un colpo quando è uscito, è stato caratterizzato in entrambi i mezzi di comunicazione commerciale e mainstream, tra cui Ellen.
    Il suo prossimo libro, a volte Sapienza chiesto otto tiri in otto giorni in cinque paesi. Per una singola pagina del suo lavoro-in-progress, il suo equipaggio di quattro volato in Sud Africa per tre minuti con Nelson Mandela, che ha definito una sfida. "Ho usato uno strobo enorme set up per tutti gli altri e avevo bisogno di farlo inserire nel libro, senza soluzione di continuità. Dopo alcune prove ho capito una soluzione, "dice. "Ho avuto una profondità di campo e quasi nessuna messa a fuoco e non vi era ogni sorta di rumore perché dovevano essere ai più alti ISO." Non importa: l'immagine liquidazione sulla copertina del Time.
    I suoi metodi erano semplici con queste persone famose (con il quale, l'esperienza ha insegnato lui, "l'adorazione e baciare il culo a qualsiasi livello non funziona."), Ma più al punto, dice, è la curiosità. "Quando un progetto è completato è demistificato e vado avanti per la prossima cosa. Penso che sia malsano pensare di successi come arrivare da qualche parte, "dice. "La proprietà può davvero fermare."
    Zuckerman è stato intervistato dal nostro Editor Zack Seckler sulla sua carriera e il suo mestiere:
    STOP F: Parlaci del concept per l'immagine in primo piano.
    Zuckerman: L'immagine in vetrina era parte di un corpo più grande di lavoro. Mi interessava esplorare espansione. Stavo imparando molto sulla teoria del Big Bang. I palloncini d'acqua fosse un dispositivo ideale per esplorare questo.
    F STOP: Parliamo un po 'di come hai cominciato. Quanto tempo sei riprese per? Sei andato a scuola per la fotografia?
    Zuckerman: Ho iniziato le riprese quando ero un ragazzino. Sono di Maryland, ma ho trascorso le mie estati durante le scuole superiori presso il Centro Internazionale di Fotografia di New York, in fondo rastrellamento i pavimenti delle stanze buie e la creazione di chimica per le classi in cambio di tempo libero in camera oscura. Ho fatto un po 'di viaggio dopo la laurea e poi è venuto a New York e ha studiato alla School of Visual Arts. Ho fatto qualche assistendo in questo periodo e ha iniziato le riprese di piccole missioni molto più o meno subito dopo la laurea.



    STOP F: Che tipo di incarichi?
    Zuckerman: Il mio primo lavoro è stato lavorare per Vogue. Avrei sparato nature morte di borse e scarpe. L'art director di Vogue sono stati davvero particolari. Abbiamo dovuto avere uno sfondo bianco perfettamente e che doveva essere ben fatto. Ho lavorato a partire da un pre-guerra vecchio appartamento sulla 46 ª Strada. Un fotografo fantastica ho assistito mi ha dato un set di luci per iniziare con. Sono stati veramente vecchi sistemi piggyback Speedotron. Non ho avuto abbastanza potere nel mio appartamento e ho dovuto correre i cavi fuori dalle finestre in vicini di casa 'mia appartamenti e pagare le bollette elettriche. Ho avuto una tanica completamente attrezzato di sistema. Grazie a Dio nessuno da Vogue mai realmente è venuto al mio studio! Non avrei neppure vestirsi. Stavo girando come una giornata di otto prodotti per Vogue e altre riviste. In pratica ho passato un anno a fare nature morte, che non ho mai avuto l'intenzione di fare. E mi ha insegnato a leggere e essere efficiente e di lavoro per conto mio. Non ho mai lavorato con un assistente. E 'stato solo me solo nel mio appartamento.
    STOP F: Che cosa è successo da lì? Come ci si arriva a quello che stai facendo ora?
    Zuckerman: Non c'era un momento in cui tutto è cambiato. Ho trattato il mio lavoro con rigore se stavo lavorando per me stesso o qualcun altro. Essa in realtà non importa quello che stavo facendo. Ho imparato presto che la gente si accorse del mio lavoro personale e mi ha dato l'opportunità di replicare per loro. E 'diventato fondamentale per me per creare il mio lavoro perché la pubblicità sarebbe poi cooptare un pezzo di esso per i propri mezzi. La mia idea iniziale era poco a che fare con il concetto che erano disponibili dopo nell'annuncio. Avrebbero solo prendere in prestito l'estetica e la sua applicazione alle loro esigenze.
    STOP F: Come sei arrivato a fare il lavoro film?
    Zuckerman: Ho anche stato interessato a immagini in movimento da quando ero un ragazzino, rendendo i libri a fogli mobili, ecc ho fatto un film quando ero alla scuola d'arte e voleva tornare ad essa. Ho avuto un cliente che mi ha permesso di sperimentare con la pellicola, dopo ho fatto una campagna stampa di successo per loro. Ho fatto alcuni spot spec e poi cominciò a dirigere spot pubblicitari per loro, che ha portato a dirigere di più. A un certo punto ero pronto a fare il mio primo film, quindi ho applicato i soldi dal lavoro commerciale per finanziare il mio cortometraggio proprio e poi ha continuato a Sundance e che mi ha creato nel mondo del cinema corretto e ha permesso po 'di spazio per le persone a ascoltare le mie idee per una caratteristica.
    STOP F: Come hai ottenuto i maggiori attori di Hollywood di Maggie Gyllenhaal e Peter Sarsgaard per il tuo primo film High Falls e come lo si produce?
    Zuckerman: Sono stati molto amici di mio per anni. Non mi presta molta attenzione agli Us Weekly e Hollywood, in modo per essere onesti non mi rendo conto di quanto bene sono stati considerati nel business. Ho scritto un film e hanno gentilmente accettato di andare in fondo alla strada e farlo con un regista molto inesperto. Abbiamo avuto un esplosione e davvero un piacere lavorare insieme.



    F STOP: Quanto tempo ci vuole per sparare?
    Zuckerman: Abbiamo girato in quattro giorni, più di quarto fine settimana di luglio e modificato attraverso il resto di quella estiva. Fortunatamente, eravamo nel circuito dei festival di quell'anno.
    F STOP: Hai sparato ancora fotografia, film, spot televisivi e hanno pubblicato due libri, quello che fa appello a voi su come utilizzare mezzi diversi per raccontare una storia?
    Zuckerman: è raccontare una storia in ogni mezzo. Ho sempre trovato che la fotografia informa le immagini in movimento e immagini in movimento informare fotografie. Le parole possono fare la stessa cosa per entrambi i progetti. Cosa spinge un sacco del mio lavoro è il concetto e l'esecuzione tende a seguire. Quando sono alla ricerca di qualcosa che cerco il modo migliore per comunicare è coeso. Credo che lavorare senza soluzione di continuità tra medium offre il pubblico più punti di ingresso nel progetto.
    F STOP: Avete un messaggio generale nel vostro vari organi di lavoro?
    Zuckerman: E 'difficile per me a guardare tutto il mio lavoro e dire: "Queste sono le linee attraverso io impongo." Penso che ognuno di noi ha uno stile unico, come la scrittura a mano. Per esempio, visivamente, mi interessa di riduzione. Ma questo è meno di quello che il mio lavoro è di circa concettualmente, e più su come eseguirlo. I gravitano verso il lavoro riduttivo e minimalismo. Cerco di creare un'arena che è davvero pulito e chiaro in modo che il mio soggetto o il mio soggetti collettivi sono facilmente comprensibili e non offuscato da stile o informazioni estranee. Io tendo a elevare i miei soggetti, riducendo gli elementi che li circonda. Sono interessato a nudo l'essenza del soggetto.
    F STOP: Questo è certamente il caso con il progetto Sapienza, tutto girato su uno sfondo bianco. Come hai fatto a ottenere una gamma così ampia di persone? Avete tutti da Clint Eastwood a Nelson Mandela!
    Zuckerman: Il popolo della Sapienza hanno cambiato il mondo in qualche modo. Faccio i miei libri tramite un packager libro in Nuova Zelanda e che avevano in precedenza fatto un libro su Mandela. Arcivescovo Tutu è stato molto generoso e si offrì di scrivere lettere per nostro conto ai contribuenti. E 'stato un fattore determinante nell'ottenere persone coinvolte inizialmente. Una volta avevo un sito dove ho potuto presentare il lavoro, si presentava da solo. Abbiamo dedicato tutto al progetto. La maggior parte del mio lavoro di altri è stato messo in attesa per un paio di mesi.
    F STOP: Hai fatto le foto e le interviste sul set del film stesso?
    Zuckerman: Abbiamo creato un efficiente sistema davvero. Siamo stati e fuori un sacco di aeroplani. Abbiamo volato in Sud Africa per tre minuti per incontrare Mandela. Abbiamo avuto i viaggi dove abbiamo fatto otto tiri in otto giorni in cinque paesi. E 'stato un progetto folle. C'erano quattro di noi e il finanziamento non è stato tremendo.



    STOP F: Come hai fatto a pagarla?
    Zuckerman: Abbiamo usato la mia per fare avanzare il progetto, ma poi abbiamo avuto un appoggio. Avevamo creato un sistema che si potrebbe istituire ovunque in pochi minuti e completare un servizio fotografico e un'intervista in circa 20 minuti. Ho avuto 14 minuti con Ted Kennedy. L'intera giornata con Willie Nelson. Avevamo una squadra. Non ci sono state assunte le pistole per il giorno, tranne per una presa a volte se abbiamo bisogno di aiuto. L'unica cosa che non viaggiava con attrezzatura è stata presa. Abbiamo viaggiato con flash e luci calde sul cavalletto stesso su un braccio, li avremmo flip in giro e le macchine fotografiche hi-def sarebbe venuto in, e la fotocamera che sarebbe venuto fuori. E 'stato come un ballo.
    STOP F: Dimmi circa ottenere i vostri soggetti a lavorare con voi sul set, hai un certo modo di affrontare o trattare i tuoi soggetti ritratto?
    Zuckerman: Dopo essere stato in giro abbastanza persone che sono agli occhi del pubblico che ho learned l'adorazione e la bacia il culo a qualsiasi livello non funziona. Trasparenza, onestà e rispetto per il loro tempo è assolutamente cruciale. Ogni volta che un soggetto ha mi ha parlato di una cattiva esperienza su un tiro precedente, è perché il fotografo regia troppo e ci sono stati lunghi set up e troppe immagini. Io uso una tonnellata di luce. E 'scomodo e fa male agli occhi, così cerco di farlo in meno di 20 fotogrammi. Non prendo un sacco di foto.
    STOP F: Quindi lei non diretto a tutti?
    Zuckerman: ho un'idea di quello che vorrei e alcuni soggetti sono più orientabili di altri. Il pittore Andrew Wyeth chiede soggetti a sedere per tre settimane, quando si fa un quadro. Quando si è seduto per me ha chiesto: "Come mi vuoi?" Così ho semplicemente posizionato lui e lui era lì per me, finché avrò bisogno di lui. Altri non vogliono sentirsi dire che. Hai bisogno di essere un ascoltatore ed essere flessibile, aperto e onesto. E 'importante iniziare con un tiro pulito e chiaro le intenzioni. In generale, se si rispettano i soggetti otterrete buoni risultati dalla gente.



    F STOP: Chi ti ha avuto l'interessante esperienza di lavoro con più?
    Zuckerman: Nelson Mandela è stato tecnicamente impegnativo e molto interessante socialmente. Non avevano concesso una sessione di ritratto con lui per un certo numero di anni. Tutti nel mondo ci ha detto che non potevamo farlo, ma con un po 'di persuasione e di fortuna siamo riusciti a ottenere la sessione. Tuttavia, ci hanno detto che avevamo solo tre minuti e non ha potuto usare le luci. E 'stata una sfida, perché ho ​​usato uno strobo enorme set up per tutti gli altri e avevo bisogno di farlo inserire nel libro, senza soluzione di continuità. Dopo alcuni esperimenti ho capito una soluzione con le luci fluorescenti che erano piuttosto lontani, ma ho avuto una bassa profondità di campo molto e quasi nessuna messa a fuoco e non vi era ogni sorta di rumore perché dovevano essere ai più alti ISO. Sono riuscito a piedi con un'immagine importante, che poi avvolte con l'essere la copertinadi Time Magazine per il suo 90 ° compleanno e un'immagine iconica Mandela.
    F STOP: Il lavoro nel cinema influenza la tua visione e la pratica ancora in fotografia?
    Zuckerman: Tutto quello che ho incontrato informa tutto il resto. Non esiste nulla nel vuoto. Quando sto prendendo fotografie non sono solo di scattare fotografie. Sto lavorando con la fotografia come uno strumento. I vari comparti sono completamente diverse piattaforme per l'impegno con un soggetto. C'è una quantità illimitata di conoscenze è possibile ottenere ed applicare tra i vari comparti. Su ogni sparare sei costantemente l'apprendimento. Credo che un senso di realizzazione ti trattiene dal fare di più.



    STOP F: Che cosa la spinge, allora?
    Zuckerman: Semplicemente la mia curiosità.
    STOP F: Non ha nessun senso di realizzazione di finitura su un grande progetto?
    Zuckerman: E 'appena diventa demistificato. Il mondo è un luogo misterioso e trovo che la curiosità è guidata dalla voglia di demistificare le cose. Quando un progetto viene terminato è demistificato e vado avanti per la prossima cosa. Penso che sia malsano pensare di successi come arrivare da qualche parte. Io non credo che ci sia ovunque da raggiungere. Sei in continuo movimento.
    F STOP: Quanto tempo i vostri progetti in genere prendere?
    Zuckerman: Alcuni progetti sono compressi e alcuni progetti si sviluppano nel tempo. Ho girato Creature per oltre cinque anni. Sto ancora facendo le fotografie degli animali. Proprio ora sto lavorando su un libro chiamato Bird. Sono stato a fotografare uccelli in volo per un certo numero di anni. Saggezza avuto un mese di ripresa calendario-nove, ma a differenza di alcuni degli altri progetti è stata back to back.
    F STOP: stavi lavorando su qualcos'altro mentre si sparavano Sapienza?
    Zuckerman: ho preso un paio di pause per i progetti di pubblicità. Ho fatto una campagna di BMW e una grande campagna di stampa Puma. E 'stato impegnativo però. Avevo bisogno di girare un sacco di progetti in giù.
    F STOP: Il tuo lavoro pubblicitario per lo più immagini in movimento?
    Zuckerman: No. In realtà, è tv e stampa.
    F STOP: Sembrava come se ci fossero un sacco di pubblicità sul tuo sito web.
    Zuckerman: Ognuno si impegna con il mio sito web in modo diverso. Mi piace sviluppare siti micro così i miei progetti possono stare da soli.



    STOP F: Da quanto tempo hai fatto questo?
    Zuckerman: Ho fatto il mio primo sito di micro High Falls. E poi ho fatto uno per Creatura, e poi per la Sapienza. I miei progetti ora sono più grandi siti di stand alone.
    STOP F: Pensi che è una buona strategia?
    Zuckerman: Non è possibile effettuare il lavoro per tutti. Hai un pubblico specifico per ogni corpo di lavoro. Qualcuno che ama intensamente gli animali e ama solo il mio libro Creature potrebbe interessare di meno le mie foto in Svizzera. Quindi hanno un posto dove andare. Per loro io esisto come il tizio che ha fatto Creatura. Non credo che sia rilevante per loro che ho fatto High Falls.
    F STOP: Pensando al vostro lavoro nel suo insieme, lei ha detto che la curiosità ti spinge. C'è una quantità uguale di voler educare, informare e ispirare il pubblico come bene?
    Zuckerman: No. E 'soprattutto per me, ma sono contento che io possa condividere. In generale, mi interessa ill'esperienza umana come tema. High Falls è su come si passa le relazioni in uno spazio di ambiguità morale e durante un periodo in cui non c'è alcun diritto reale e sbagliato. Creatura è sul nostro rapporto con gli altri animali del mondo oltre a noi. La saggezza è su come navigare nel viaggio come un essere umano e come ti relazioni con il resto del mondo e gestire la propria esperienza. Quindi penso che molto del mio lavoro è guidato dalla mia curiosità per l'esperienza umana.
    STOP F: Lei vede qualche legame tra la Sapienza e la creatura? Sono entrambi girato su uno sfondo bianco e gli esseri umani sono, dopo tutto, gli animali.
    Zuckerman: E 'divertente, molto presto nel progetto dopo che avevo finito Creatura ho pensato che stavo per fare un progetto denominato Human. Sono così felice non l'ho chiamata dell'uomo, perché non è quello che si è rivelato. Ci sono somiglianze tra i progetti perché sono interessato, in sostanza, e la connettività. In un sacco di ritratti di animali c'è una consapevolezza di fondo all'interno della polizia e mi auguro che un nudo giù senso di umanità è evidente in Sapienza. Io non sono interessato a Willie Nelson con la sua chitarra nel suo studio. Questo tipo di ritratto ambientale in realtà non mi dice chi è, che mi dice quello che fa per vivere. Mi interessa chi è e la sua prospettiva sulla vita.
    F STOP: Ti piace fare pubblicità, per quanto belle arti?
    Zuckerman: Penso che la divisione tra di loro è antiquato. Sono interessato a comunicare in generale. A volte sono comunicanti da un concetto di auto-generato, a volte sto comunicando un concetto che è stato generato da un gruppo di persone e sto aiutandoli eseguirlo.
    F STOP: Potresti descrivere il tuo processo di concettualizzazione?
    Zuckerman: Penso che tutti noi abbiamo di più dialoghi in corso in ogni momento e da quando siamo costantemente confrontati con la presente, siamo costantemente inondati di idee. Io in realtà non hanno un processo. Il mioprocesso è soggiornare aperto a possibilità e non di arrivare a un punto in cui mi sento di proprietà. Penso che la proprietà può davvero fermare. Ho fatto le fotografie esplosione e poi ho visto un certo numero di fotografi che utilizzano esplosioni. Vorrei ricevere email dagli amici: "Guardate questo ragazzo strappato fuori." Ma questo non esiste. La copia non esiste per me. Credo che viviamo in una coscienza collettiva e siamo tutti interessati a fare le cose per motivi diversi. Per me, è importante iniziare con concetti e non di esecuzione.



    Le immagini a colori, ci trasportano in un viaggio ipnotico nel mondo animale, raccontato con ritratti “posati” in studio, come si potrebbe fare per i grandi cantanti o attori del cinema, di leoni, scimmie, serpenti, coloratissimi pappagalli, orsi bruni. Ritratti che ci fissano negli occhi, sostengono il nostro sguardo con forza e sincerità e ci mettono, faccia a faccia, a contatto con “un’altra parte” del mondo: quello animale.
    L’interesse di Zuckerman per gli animali nasce all’interno delle sale del Museo di Storia Naturale di New York, dove comincia ad appassionarsi alle riproduzioni a grandezza naturale degli esemplari esposti.
    Durante i suoi numerosi viaggi in Sud e Centro America, Andrew continua a studiare il legame tra le creature, il loro ambiente naturale e le profonde connessioni tra gli esseri viventi e l’ambiente in cui ognuno di loro nasce e cresce. L’interesse del fotografo è insieme scientifico e stilistico: curioso come un bambino in un museo e insieme in grado di cogliere di ognuno particolarità e caratteristiche come solo un sensibile osservatore del mondo può fare.
    Fotografati contro il “limbo” degli studi fotografici, le “creature” si svelano in tutta la loro autentica bellezza e in tutto il loro selvaggio splendore. A noi osservatori resta la meraviglia di scoprire non solo l’esistenza di un’enorme varietà di esseri e specie, ma anche l’innegabile prova della profonda spiritualità degli animali.

    “Ecco forse l’altro mistero: guardare negli occhi questi animali ci mostra la loro personalità e ci pone in una profonda connessione con loro.”








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  4. gheagabry
     
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    «Ho voluto fotografare le nuvole per scoprire ciò che avevo appreso in quarant'anni di fotografia. Attraverso le nuvole volevo riportare sulla carta la mia filosofia della vita: mostrare che le mie fotografie non erano dovute al contenuto o ai soggetti, agli alberi, ai visi, agli interni,né a doni particolari: le nuvole sono lì per tutti... sono libere.»


    ALFRED STIEGLITZ



    Hoboken (New Jersey), 1º gennaio 1864 – New York, 13 luglio 1946

    E'stato un fotografo e gallerista statunitense.

    Stieglitz viene al mondo a Hoboken vicino a New York durante la guerra civile americana in una famiglia benestante ebrea di origine tedesca molto ben inserita nella società americana. Fu uno dei principali fautori della separazione della fotografia dal semplice ambito del reportage, inaugurando la stagione ancora oggi feconda della fotografia artistica. Si trasferisce nel 1871 con la famiglia a New York in una grande casa prospiciente Central Park, dove il giovane Alfred inizia i primi studi tecnici.

    Nel 1882 il padre vende la propria impresa e ritorna in Germania con la famiglia. Alfred Studia ingegneria meccanica all'Università di Berlino e inizia a scattare le sue prime fotografie in giro per l'Europa non ancora ventenne. Egli considerò sempre questi anni giovanili come i suoi migliori e i più determinanti per la scoperta della fotografia. Nel 1884 vince il primo premio al concorso indetto dalla rivista londinese Amateur Potographer. Nel 1890 rientra a New York dove crea con altri soci la Photochrome Engraving Company, una stamperia di fotoincisione e stampa il giornale American Amateur Photographer(1893-1896.



    Nel 1897 fonda un altro giornale: Camera Notes organo del Camera club di New York, dove espone per la prima volta nel 1899. Nel 1902 forma il gruppo dei Foto Secessionisti e apre le prime sue gallerie, dove espongono fotografi fortemente influenzati dai pittorialisti europei e l'anno dopo fonda e dirige una nuova rivista: Camera Work (usciranno numeri fino al 1917).

    L'associazione “Photo-Secession” venne creata il 17 febbraio 1902. La nascita di tale gruppo deriva da un escamotage ideato da Stieglitz, al quale venne affidato dal National Arts Club il compito di organizzare una mostra antologica con tutti i migliori fotografi americani del momento. Avendo incontrato veti e contrasti da parte dei membri più conservatori del Club, onde rafforzare il proprio potere decisionale, mise in piedi un gruppo di cui si poteva entrare a far parte solo su invito. I fotografi invitati, sarebbero poi confluiti nella mostra, dopo esser diventati membri del gruppo. La mostra, dal titolo “American Pictorial Photography Arranged by the “Photo-Secession””, ebbe luogo lo stesso anno. I fotosecessionisti si fecero promotori di una concezione della fotografia come arte, ed in particolar modo attraverso la poetica del pittorialismo. Lo stesso Stieglitz ebbe a precisare: “The object of the Photo -Secession is: to advance photography as applied to pictorial expression”. Secondo i dettami estetici soggiacenti alle opere dei fotografi selezionati, la fotografia dovrebbe emulare la resa visiva della pittura. Con questo fine si inventarono nuovi accorgimenti meccanici, si sperimentarono nuovi filtri ed effetti stilistici.



    La rivista "Camera Work" nasce come organo dell'associazione, con l'esplicito obiettivo di promuovere i fotografi pittorialisti. Ma dal 1910 Camera Work inizia ad abbandonare l'esclusività degli interessi per il pittorialismo ma mantiene l'approccio culturalista alla fotografia, che lo distingue storicamente come prima rivista che non parli solo della fotografia indagando questioni squisitamente tecniche.

    Nel 1905 apre insieme al fotografo Steichen la galleria 291 di Fifth Avenue (New York) che chiuderà 12 anni più tardi. Dopo la chiusura della 291 e l'ultimo numero di Camera Work, Stieglitz apre altri due spazi: la Intimate Gallery nel 1925 e la An American Place nel 1929. In questi spazi ospiterà fino alla sua morte avvenuta nel 1946, qualsiasi forma d'arte: dalla scultura alla grafica. Stieglitz è una figura fondamentale per la fotografia mondiale e per l'arte americana perché grazie alle sue attività editoriali e alle numerose gallerie dirette è stato un punto di contatto tra gli artisti del nuovo continente e quelli europei e un ottimo divulgatore per il grande pubblico a cui ha raccontato, con grande efficacia, il movimento delle avanguardie artistiche. Continuerà sempre la ricerca fotografica, anche oltrepassando, a partire dal 1907, il pittorialismo stesso.

    Si considerino, ad esempio, Steerage del 1907 e l'evoluzione raggiunta con la serie Equivalence alcuni anni più tardi. Nel 1924 sposa la pittrice Georgia O'Keeffe. Nel 1937 scatta le sue ultime fotografie.

    Muore nel 1946 nella sua New York..






    Nel 1903 fondò e diresse una nuova rivista: Camera Work. Inizialmente accanto al desiderio di accreditarsi come arte, la fotografia su Camera Work si propone come mezzo privilegiato per cogliere in modo fulmineo - con «l'istantanea» - il mondo moderno in rapida crescita, in una prontezza di visione che nessun altro mezzo possiede. Il cammino verso la progressiva conquista della libertà di espressione, maturata attraverso la consapevolezza dei fotografi di non essere meri riproduttori ma autori, passa attraverso un fitto scambio culturale tra scrittori, filosofi ed artisti europei. Camera Work grazie alle segnalazioni del fotografo Edward Steichen, fidato ambasciatore di Stieglitz in Europa, pubblica opere di Rodin, Matisse, Picasso, gli scritti di George Bernard Shaw e lo Spirituale nell'arte di Vassilij Kandinskij, discutendo sulle questioni teorico-metodologiche. Se in un primo momento il valore artistico dell'opera fotografica deriva dall’avvicinarsi e riprendere i temi pittorici anche per mezzo di particolari tecniche come la gomma bicromata,la decalcomania al bromolio ed i ritocchi in fase di stampa.
    Col tempo la fotografia si affranca dai modelli pittorici: mentre la pittura tendeva a ritrarre un soggetto ritenuto già "bello", la fotografia di Stieglitz tende verso un concetto di bellezza non già immanente nelle cose, ma che al contrario si crea nel momento dell'incontro tra il mondo (soggetto fotografato) e la macchina fotografica. Questa concezione rivoluzionava completamente i canoni estetici stabiliti fino a quel momento e permette di nobilitare anche i soggetti più banali ed ordinari.




    Stieglitz, fondatore di un vero e proprio movimento, volle dare dignità artistica a questo nuovo modo di rappresentare l'immagine, ormai lontano dall'essere un puro procedimento tecnico legato al semplice scatto. Egli visse in un'epoca di grandi cambiamenti che vide la rivoluzione delle Avanguardie Storiche, una fase storica che di lì a breve, avrebbe portato al tracollo finanziario e al primo conflitto mondiale. Vorrei segnalare alcune fotoincisioni a mio avviso molto interessanti. The Hand of Man di Alfred Stieglitz del 1903 che evoca la locomotiva fumante di Giuseppe De Nittis nell'opera Passa il treno del 1898, simbolo del progresso e della velocità. Sempre di Stieglitz, la bellissima fotoincisione intitolata The Street-Design for a poster (1903). Le seducenti immagini delle Cattedrali gotiche francesi ed inglesi in stile normanno francese ed inglese del fotografo Frederick H. Evans, Ely Cathedral (1903) e Height and Light in Bourges Cathedral (1903). I ritratti di Alvin Langdom Coburn, Study-Miss R. e Portrait (Miss N.) (riportata come foto di copertina del volume della Taschen) del 1903 della fotografa Gertrude Kaseibier e i ritratti di Rodin e di Bernard Shaw (1903) di Alvin Langdom Coburn. La raffinata sensualità dei nudi di W.W.Renwick (1907) e di Alice Boughton, Sand and Wild Roses, (1909) e Nude, sempre del 1909. Infine, le preziose atmosfere degli interni di Guido Rey, The Letter e A Flemish Interior entrambi del 1908 che ricordano le delicate atmosfere degli interni del pittore olandese Jan Vermeer. Auguro a tutti voi una buona lettura ed una buona visione delle affascinanti fotoincisioni dei fotografi di Camera Work.



    "vidi un cappello rotondo, un fumaiolo inclinato verso sinistra, la scala inclinata verso destra, il ponte mobile con il corrimano di catene arrotondate, le bretelle bianche incrociate dietro la schiena di un uomo sul ponte di terza classe in basso….(conclude dicendo) vidi un quadro di forme, e sotto a quello, il mio modo di vedere la vita."






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  5. gheagabry
     
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    Il était une fois Willy Ronis.
    Mort d’un géant de la photographie....
    scattava fotografie di vita quotidiano, soprattutto era il fotografo di Parigi




    WILLY RONIS

    Scattava fotografie «come cantano gli uccelli», alla maniera di un fotografo umanista, «senza porsi domande», aveva spiegato in un’intervista a luglio. Willy Ronis, leggenda della Parigi in bianco e nero con Robert Doisneau e Henri Cartier-Bresson, è morto ieri notte a 99 anni, concludendo una carriera di 100.000 fotografie. Aveva perso sua moglie, ritratta mentre si lava nella celebre ‘Nudo provenzale’, e anche suo figlio, precipitato con un deltaplano, ma non l’entusiasmo per le cose semplici e le scene di tutti i giorni, di cui andava a caccia nella capitale francese armato di obiettivo e cavalletto. Fino alla fine dei suoi giorni è rimasto fedele alla storica agenzia Rapho, di cui faceva parte anche Robert Doisneau. Ronis ha vissuto grazie ai reportage fotografici in bianco e nero pubblicati in giornali e periodici, in particolare nella rivista ‘Regards’. Fa parte di quella scuola di fotografi francesi che nel dopoguerra hanno dato un’immagine sorridente al paese transalpino, fatta di bambini monelli, baci tra innamorati, mestieri semplici e scene quotidiane. Amante dei quartieri parigini di Belleville e Menilmontant, aveva una particolare predilezione per le viste dall’alto, che lasciano lo spazio a Notre Dame e alla Tour Eiffel. Quando salì sulla Torre di Luglio, in Piazza della Bastille, scattò quel bacio alla tempia tra i due innamorati senza che loro se ne accorgessero. Avrebbe incontrato ‘Riton’ e Marinette, ‘Les amoureux de la Bastillè, solo trent’anni dopo. Il suo successo conobbe l’apice negli anni ’70. Ebreo, si rifugiò nel sud della Francia durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua sensibilità per i temi sociali ne fece il fotografo simbolo degli anni del Fronte Popolare. Sono sue le immagini dei grandi scioperi della Citroen nel 1938. La sua ultima apparizione in pubblico fu a luglio scorso al festival internazionale ‘Incontri fotograficì di Arles, in cui era l’invitato d’onore. Figlio di un fotografo di quartiere ucraino e di una professoressa di piano lituana, ha donato tutta la sua opera allo stato francese.

    Ansa,12 settembre 2009















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  6. gheagabry
     
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    "C'è un istante in cui tutti gli elementi che si muovono sono in equilibrio".



    HENRI CARTIER-BRESSON





    Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L'Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) è stato un fotografo francese, da molti considerato il padre del fotogiornalismo.
    Dopo gli studi giovanili, Henri fu presto attratto dalla pittura, grazie allo zio Louis, e comincerà i suoi studi con Jaques-Emile Blanche e André Lhote, che lo inizieranno all'ambiente dei surrealisti francesi, inizialmente disinteressato alla fotografia.
    Solo più tardi, nel 1930, durante un viaggio in Costa d'Avorio, per via della sua continua ricerca di immortalare la realtà, comprò la sua prima macchina fotografica, una Leica 35mm con lente 50mm che l'accompagnerà per molti anni.

    Nel 1931 lavora nel cinema come assistente del regista francese Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to life.
    Intanto, nel 1934, conosce David Szymin, un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour (1911–1956). Diventano subito ottimi amici, hanno molto in comune culturalmente. Sarà Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che verrà poi ricordato col nome di Robert Capa.



    Durante la Seconda guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica.

    Nel 1947 fonda, insieme a Robert Capa e a David Seymour, la famosa Agenzia Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale.

    La fotografia porta Henri in molti angoli del pianeta: Cina, Messico, Canada, Stati Uniti, Cuba, India, Giappone, Unione Sovietica e molti altri paesi. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell'Unione Sovietica del dopo-guerra. Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura.
    Nel 1979 viene organizzata a New York una mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage. Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Muore a Céreste, (Alpes-de-Haute-Provence, Francia) il 3 agosto 2004, all'età di 95 anni.



    Nella sua carriera ha anche ritratto personalità importanti in tutti i campi; Balthus, Albert Camus, Truman Capote, Coco Chanel, Marcel Duchamp, William Faulkner, Mahatma Gandhi, John Huston, Martin Luther King, Henri Matisse, Marilyn Monroe, Richard Nixon, Robert Oppenheimer, Jean-Paul Sartre ed Igor Stravinsky. Dalla morte di Cartier-Bresson, per evitare sfruttamenti commerciali slegati dal valore artistico delle opere, la Fondazione non autorizza più alcuna stampa di fotografie del maestro, offrendo però un servizio di autenticazione di eventuali stampe in circolazione in gallerie o antiquari. In una lettera datata 30 ottobre 2000, per evitare il commercio di stampe o lo smercio di copie sottratte, lo stesso fotografo dichiarava: “Io sottoscritto Henri Cartier-Bresson, domiciliato al 198 di rue de Rivoli, Parigi, dichiaro quanto segue. Ho sempre firmato e dedicato le stampe di mie fotografie a coloro ai quali intendevo donarle; tutte le altre stampe che recano solamente timbri o etichette «Magnum Photos» o il mio nome «Henri Cartier-Bresson» sono di mia proprietà. Tutti coloro che detenessero queste stampe non potranno invocare la buona fede".



    Curiosità

    - Come già detto nel 1968 Henri Cartier-Bresson lascia la fotografia per dedicarsi alla pittura dichiarando: "In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l'unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà".

    - Durante gli anni 90 andarono distrutte in Francia 551 foto di Henri Cartier-Bresson, la notizia la riporta il quotidiano Le Monde.
    Gli scatti furono donati allo Stato dallo stesso Cartier-Bresson e gettati nella spazzatura perché erano danneggiati. Un tesoro andato perduto per sempre.




















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  7. gheagabry
     
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    Lewis W. Hine
    (1874-1940)





    Nato a Oshkosh nel Wisconsin, dopo una lunga esperienza giovanile di lavoro in fabbrica (cosa che gli permise di avere una conoscenza diretta e di prima mano di quello che fu poi il mondo della sua indagine fotografica), Hine frequentò con profitto le Università di Chicago e di New York e si laureò in Sociologia.
    Iniziata la carriera di professore presso una scuola di New York, decise di utilizzare la fotografia per drammatizzare e rendere più efficace il suo insegnamento, ma abbandonò presto questo lavoro, almeno sul piano formale (poichè nella sostanza egli rimase sempre un maestro, nel senso più profondo della parola) per dedicarsi a tempo pieno alla fotografia.
    Non credo sia eccessivo considerarlo un crociato nella lotta contro la tragedia dello sfruttamento e dell'ingiustizia sociale, spinto sempre dal desiderio di mostrare agli altri, ai più fortunati, a quelli che immersi nell'apatia e nell'ingordigia del loro benessere vanificano le aspettative che il nuovo mondo ha fatto intravedere a milioni di esseri umani che dai più remoti angoli dellla terra vi si stanno rifugiando in cerca di condizioni di vita migliori.



    E' proprio questo mondo di promesse tradite e di aspettative disattese che Hine cercò di mostrare, documentandolo in tutta la sua crudezza ed il suo squallore, ma sempre con un occhio affettuoso verso i soggetti ritratti, sempre con una capacità di sintesi, dovuta sia alla sua formazione culturale sia alle sua sensibilità di vero artista. Nel primo decennio del secolo Hine concentrò la sua attenzione sugli immigrati che sbarcavano a migliaia ad Ellis Island, seguendoli poi nelle loro squallide abitazioni, entrando nei luoghi miserabili del loro lavoro, gettando uno sguardo carico di simpatia sui giochi dei loro bambini in mezzo alla spazzatura ed ai relitti umani che affollavano le strade dei bassifondi della città di New York.
    Perfettamente conscio del valore soggettivo delle proprie fotografie, egli riteneva, a ragione, che esse portassero in se una carica dirompente, capace di suscitare sdegno e desiderio di cambiamento in una società basata quasi esclusivamente sullo sfruttamento dei più umili e dei più diseredati.

    Forte della sua preparazione culturale si mosse sempre con disinvoltura in questo difficile mondo dell'emarginazione e le sue immagini non contengono mai inutili orpelli. Si può senz'altro far riferimento al suo lavoro come al primo esempio di photo story: egli stesso definiva le sue immagini delle "fotointerpretazioni" e le pubblicava come dei " documenti umani ".



    Le immagini dei bambini, fuori e dentro le fabbriche, realizzate per conto del National Child Labor Committee, quelle stesse immagini che seppero attrarre l'attenzione degli americani sullo sfruttamento del lavoro minorile e che riuscirono a far votare alcune leggi fondamentali a protezione dei minori, sono molto spesso di una incredibile bellezza formale, elemento questo che, non essendo mai fine a se stesso, nulla toglie alla forza informativa legata alle loro implicazioni sociali.

    L'occhio di Hine d'altronde non si rivolse mai esclusivamente agli aspetti negativi della realtà che lo circondava: nato nelle campagne del Wisconsin, egli portò sempre dentro di se, pur vivendo in una grande metropoli, quel senso di stupore e quel rispetto per la grandezza della natura che caratterizza appunto coloro le cui radici affondano in un ambiente rurale.



    Lewis W. Hine sentiva molto quello che considerava un dovere primario, mostrare ai suoi concittadini come spesso la prospgttiva di nuove opportunità aperte dal progresso tecnologico venisse tragicamente e brutalmente tradita. Molte immagini, scattate nel 1918, documentano con grande partecipazione l'attività assistenziale della Croce Rossa americana in un'Europa devastata dalla prima guerra mondiale.
    Nel 1932, venne pubblicato un volume dal titotlo Men at Work (Uomini al lavoro) tra le cui immagini spiccano per bellezza e originalità quelle scattate da Hine tra gli uomini che partecipavano alla costruzione dell'Empire State Building, all'epoca l'edificio più alto del mondo. Questo lavoro ebbe poi un seguito in un volume successivo, Women at work.



    Considerato quasi un genio nel corso della sua vita attiva, Hine ebbe la sventura di chiudere i suoi giorni praticamente povero m dimenticato da una società che non aveva più né tempo né voglia di occuparsi di quei temi a lui tanto cari come l'impegno sociale e la solidarietà. Solo in tempi recenti, tempi in cui purtroppo questi temi sono tragicamente tornati di attualità, il lavoro di Hine è stato riscoperto e nuovamente rivalutato in tutta la sua importanza
    (Maurizio Berlincioni)

















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  8. gheagabry
     
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    «La fotografia – sosteneva – registra la gamma dei sentimenti inscritti sul volto umano, la bellezza della terra e dei cieli che l’uomo ha ereditato e la ricchezza e la confusione che l’uomo ha creato. È una forza fondamentale per spiegare l’uomo all’uomo».

    Edward Steichen



    Bivange, 27 marzo 1879 – West Redding, 25 marzo 1973





    Lussemburghese di nascita ma naturalizzato statunitense, Edward Steichen (1879-1973 ) è stato un prolifico fotografo che eccelse in tutti i generi a cui si dedicò: nella fotografia di moda, in quella pubblicitaria, nella ritrattistica, nei nudi, nelle nature morte, nei paesaggi, nelle immagini delle città, nel reportage di eventi teatrali e come fotografo di guerra.
    Negli anni Venti-Trenta era di gran moda per i divi di Hollywood farsi ritrarre da Steichen.




    Instancabile sperimentatore e raffinato stampatore delle sue opere, Steichen è una delle figure più eclettiche e geniali della storia della fotografia. Non esiste genere fotografico in cui non si sia cimentato con risultati straordinari. Foto artistiche o industriali, di moda, ritratti di celebrità, paesaggi o studi di nudi, la sua eredità è onnipresente. Spirito curioso e creativo, dall’incredibile talento, riusciva come pochi a concedersi una tale varietà, lui che deprecava la routine e metteva in guardia dalle scuole di pensiero...Edward Steichen (Bivange, Lussemburgo, 1879 – West Redding, USA, 1973) fu un grande innovatore e sperimentatore; infatti, nella sua prolifica e densa carriera settantennale, che si dispiegò principalmente fra Parigi e New York, sperimentò vari generi fotografici, cercando per ciascuno di essi di valorizzarne le specifiche opportunità: realizzò ritratti con la stessa cura dedicata agli still life; riservò alle immagini di moda la stessa dedizione che offrì alle foto di guerra.



    a soli ventidue anni “l’enfant terribile della fotografia” – come venne soprannominato – aveva allestito la sua prima mostra personale alla Maison des Artistes. Di questo periodo si possono osservare pregevoli ritratti (da Matisse a Stieglitz a Roosevelt) di cui uno dei più suggestivi è Rodin, Le Penseur, un omaggio che Steichen dedicò al sessantenne scultore francese: in un gioco di rimandi nella foto appare Rodin di profilo sulla sinistra, la sua statua di profilo sulla destra; entrambi, però, sono completamente oscurati e il nero delle sagome viene esaltato dalla candida ed evanescente immagine retrostante. Straordinaria è anche la stampa alla gelatina ai sali d’argento Lo specchio rotondo, in cui appare una donna nuda, in piedi e di schiena, mentre si guarda in un piccolo specchio rotondo inarcando morbidamente la schiena. Ci sono anche delle vedute (come quella del ponte di Brooklyn) che, pur nella diversità del soggetto ripreso, condividono con i ritratti lo stesso alone di poesia e di mistero. Tutto ciò è dovuto all’uso di chiaroscuri fortemente giocati sul ruolo preponderante dei toni scuri, dell’effetto flou (deliberata mancanza di nitidezza) e dei procedimenti pigmentari come la gomma bicromata che dà una parvenza pittorica alle foto. E, in effetti, in questo primo periodo Steichen aveva aderito a Photo-Secession, versione americana del pittoricismo europeo, collaborando alla sua promozione anche attraverso la redazione della rivista Camera Work e attraverso l’attività espositiva della ‘galleria 291’.



    Poi, dal 1914 all’inizio degli anni Venti Steichen attraversò un periodo di transizione che lo portò ad abbandonare gli stilemi del pittoricismo (finì la collaborazione con il suo mentore Alfred Stieglitz) per avvicinarsi agli emergenti principi della Fotografia Diretta. Di questo periodo l’esposizione reggiana propone alcuni still life con conchiglie, fiori e farfalle, tutti resi con nitidezza e perfezione compositiva. Ma, del medesimo periodo, si possono osservare anche delle vedute aeree, risalenti al 1918 e realizzate in qualità di responsabile dell’equipaggiamento fotografico delle forze aeree: la strada per Forges vista dall’alto appare come un cumulo di macerie e fango, mentre la cittadina francese di Vaux è una distesa di case distrutte e inanimate.
    Dal 1923 al 1937, invece, comincia una nuova fase della carriera che coincide con l’assegnazione a Steichen dell’incarico di primo fotografo delle edizioni Condé Nast e di responsabile, in particolare, delle riviste Vogue e Vanity Fair. Le immagini di questi anni dimostrano che non fu un mero esecutore al servizio della moda, ma seppe dare una tale spinta innovativa da essere a ragione considerato l’iniziatore della moderna fotografia di moda. Di questo periodo si può apprezzare un’ampia selezione di immagini ai Chiostri di San Domenico, immagini caratterizzate dall’esaltazione di linee angolari e diagonali, dalla nitidezza dei dettagli e dalla ricercatezza delle composizioni grazie anche a un’attenta orchestrazione delle luci. Le modelle (fra cui la sua musa Marion Morehouse e la futura fotografa Lee Miller vengono riprese in pose e ambientazioni che valorizzano le qualità degli abiti: siedono girate di schiena su poltrone, se devono mostrare l’ampio scollo di un vestito; sono di profilo, se devono far vedere la linea di un cappello; posano fra muri decorati e riflessi di luce, se devono evidenziare i motivi decorativi di un abito. Ma ci sono anche molti ritratti mondani (fra cui i più celebri sono quelli scattati a Greta Garbo), diversificati gli uni dagli altri per valorizzare il più possibile le qualità del soggetto ripreso: il pugile Carnera è immortalato a mezzo busto con il muscoloso torso nudo; lo scrittore Thomas Mann appare in una posa il cui portamento esprime signorilità; il sorridente scrittore H. G. Wells, comodamente seduto su una poltrona di pelle nera, trasmette rilassatezza; l’atteggiamento teso dell’autore teatrale Eugene O’Neil mostra severità; la gioia della creazione è al centro del ritratto a Walt Disney, il quale compare seduto per terra con una tavola da disegno appoggiata sulle gambe, mentre dietro di lui appaiono due grossi pupazzi di Topolino; l’attore e cantante Maurice Chevalier viene ripreso davanti a un muro sul quale, grazie a un gioco di luci, è proiettata la sua ombra diverse volte, moltiplicando così il suo ballo.



    Una piccola sezione, poi, è dedicata alle fotografie pubblicitarie realizzate dal 1924 al 1938 per l’agenzia Walter Thompson per promuovere saponi, tovaglioli, le pellicole Kodak. Steichen seppe cogliere le opportunità offerte persino da questo genere fotografico, ottenendo risultati apprezzabili, anche se la sua scelta venne fortemente criticata da Stieglitz, Strand ed Evans. A seguire, ci sono le fotografie di guerra che scattò dal 1942 al 1945 nella veste di direttore del Naval Photographic Institute: le immagini sono tratte dalle serie Road to Victory e Power in the Pacific create per tranquillizzare i civili e convincerli della necessità degli Stati Uniti di entrare in guerra; difatti, non sono quasi mai immortalati momenti di violenza, bensì piloti a riposo o mentre si preparano a decollare, navi che solcano il mare, un marinaio di schiena sulla cui camicia c’è il disegno di una donna che si spoglia. Per concludere, l’esposizione reggiana presenta l’attività di curatore che Steichen svolse dal 1947 al 1962 in qualità di direttore del dipartimento di fotografia del MoMA di New York. In quegli anni organizzò quarantasei mostre, privilegiando fotogiornalisti e giovani autori e caratterizzando la sua attività con originali scelte di allestimento grazie al supporto di architetti e scenografi: egli usava esporre le foto senza incorniciarle, le faceva stampare di dimensioni diverse, le raggruppava, non le appendeva soltanto alle pareti ma le faceva calare direttamente dal soffitto.




























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  9. gheagabry
     
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    "Le società, come gli individui, sono nutrite dal sole,dalla terra
    e da tutte le forme di vita.
    Più bellezza nella mente e più pace nello spirito."



    ANSEL ADAMS

    1902 San Francisco - 1984 Carmel, California





    Nel 1916, Ansel Adams scatta le sue prime fotografie durante un soggiorno di vanza al Yosemite National Park della California. Già allora si annunciano i contenuti della sua futura attività artistica: il collegamento tra l'interesse per la fotografia e l'amore e l'impegno nei confronti del paesaggio americano.
    In un primo momento, tuttavia, Adams sceglie di studiare pianoforte. Solo grazie all'incontro con Paul Strand nel 1930 scopre nella fotografia il suo vero mezzo espressivo. Nel 1932, insieme ai fotografi costituisce il gruppo "f-64". I membri si schierano in modo dogmatico a favore di una fotografia caratterizzata dalla massima profondità di campo e accuratezza dei dettagli.
    Nel 1941 il fotografo mette a punto il suo "sistema a zone", uno strumento per determinare il tempo di posa e di sviluppo, che consente una gradazione ottimale delle componenti del grigio. Adams illustra le proprie concezioni e tecniche in numerosi libri e seminari. Nel 1946 fonda l'istituto di fotografia all'interno della California School of Fine Arts di San Francisco. Nel 1962, sceglie di vivere in pianta stabile nelle Carmel Highlands.
    Come fotografo di paesaggi, Adams ha trascorso gran parte della sua vita nei parchi nazionali americani, cui ha dedicato oltre 24 volumi. La sua attività non si è limitata alla fotografia fine a se stessa, ma ha sensibilizzato il pubblico alla causa dei parchi: egli ne ha sostenuto infatti il mantenimento e contribuito all'istituzione di nuovi.



    Le immagini di Ansel Adams sono per lo più in bianco e nero. I paesaggi ritratti variano poco, la maggior parte sono vedute di montagna, di laghi alpini, situati nei grandi parchi naturali americani.
    La profondità di campo è molto vasta, ciò rende un'immagine altamente dettagliata.
    I critici hanno frequentemente definito Adams come un fotografo di una natura selvaggia che non esiste più. Al contrario, i luoghi che Adams ha fotografato sono, con poche eccezioni, precisamente quei luoghi selvaggi e parchi che sono stati conservati fino a oggi», molti salvatisi grazie agli sforzi di ambientalisti come Adams e dei suoi colleghi.



    «Visto nel contesto più tradizionale della storia dell'arte», continua Turnage, «Adams è stato l'ultimo esempio del pittore e fotografo americano nella tradizione romantica del XIX secolo. Diretto erede filosofico dei trascendentalisti americani come Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau», cresciuto in un periodo e in un luogo caratterizzato dalla «nozione che la civilizzazione europea era stata reinventata – in meglio – nella nuova nazione e, particolarmente, nel nuovo West». Che cosa ha generato l'amore dal grande pubblico per Adams, si chiede infine Turnage. «Il soggetto di Adams, la magnificente bellezza naturale del West, era assolutamente, inconfondibilmente americano, e lo strumento prescelto, la macchina fotografica, era la quintessenza della cultura del ventesimo secolo».



    Ciò che colpisce nell’opere di Ansel Adams è la gamma tonale estesa dal bianco puro al nero assoluto, unita ai sorprendenti contrasti. Secondo il pensiero di Ansel le sue fotografie non sono mai pura rappresentazione della realtà, da cui l’affermazione: “Molti ritengono che le mie immagini rientrino nella categoria delle “foto realistiche”, mentre di fatto quanto offrono di reale risiede solo nella precisazione dell’immagine ottica; i loro valori sono invece decisamente “distaccati dalla realtà”. L’osservatore può accettarlo come realistico in quanto l’effetto visivo può essere plausibile, ma se fosse possibile metterli direttamente a confronto con i soggetti reali le differenze risulterebbero sorprendenti”.
    Tali risultati sono possibili grazie al concetto che Ansel Adams ha della fotografia, costruito attorno a due dimensioni concettuali importanti: la forte capacità di perseguire un’idea per la creazione di un nuovo progetto fotografico (la pre-visualizzazione) e l’approccio tecnico-metodologico utilizzato per compiere e divulgare tale idea. (il sistema zonale).
    Della pre-visualizzazione egli dice: “… visualizzare un’immagine consiste nell’immaginarla, ancor prima dell’esposizione, come una proiezione continua, dalla composizione dell’immagine fino alla stampa finale. La visualizzazione deve essere considerata più esattamente come un atteggiamento verso la fotografia piuttosto che un dogma. Ciò significa che il fotografo ha la totale libertà di espressione, e non è in nessun modo limitato…”. Ed ancora: “… Non si tratta solo di mettersi in relazione con il soggetto, ma anche di prendere coscienza delle potenzialità espressive della sua immagine ” Vedere” in anticipo le soluzioni alternative con cui si può restituire un soggetto lascia ampio spazio all’interpretazione soggettiva, permettendo di utilizzare in ogni fase i mezzi più adeguati necessari alla realizzazione dell’immagine che abbiamo visualizzato.”



    Grazie alla sua capacità di calcolo e pre-visualizzazione, Ansel sviluppo quello che oggi universalmente noto con il nome di “Sistema Zonale” che è una supposizione tecnica finalizzata alla controllata trascrizione in bianconero della realtà: Ansel Adams ha elevato fino a livelli eccelsi l’estetica del bianconero fotografico.
    Erroneamente, qualcuno confonde l’esposizione zonale con la massima estensione della scala dei grigi sulla stampa fotografica bianconero ma queste tecniche e non regole, legate all’esposizione, allo sviluppo e alla stampa , sono utili al fotografo per esprimere la sua creatività attraverso la propria chiave di lettura emozionale del soggetto ritratto. Queste sono infatti finalizzate ad una riproduzione personale dei valori tonali letti nella realtà senza però distorcere la descrizione fotografica di base. Come diceva egli stesso: “E’ importante rendersi conto che tanto la fotografia espressiva quanto quella di documentazione non sono in rapporto diretto con quello che noi chiamiamo realtà. Noi, senza percepire determinanti valori del soggetto cerchiamo di duplicarlo sulla stampa. Se lo desideriamo, possiamo simulare l’apparenza dei termini di valori di densità riflessa, oppure possiamo restituirlo ricorrendo ad altri valori, basati sull’impatto emotivo”.
    La sintesi tra tecnica e creatività è di fatto uno degli elementi portanti di tutta l’opera fotografica di Ansel Adams. L’azione combinata dell’obiettivo e della pellicola deve simulare al possibile la reazione occhio-cervello.



    Le teorie di sul Sistema Zonale furono messe a punto da Ansel Adams insieme a Fred Archer, nel 1939 , per ragioni puramente didattiche, come metodo di insegnamento per gli studenti della Art Center School di Los Angeles. Queste sono riunite nella serie di tre titoli tecnici pubblicati da Zanichelli. Didascalicamente Il negativo, La stampa e La fotocamera sono rispettivamente lucide e dettagliate analisi sulle componenti principali della ripresa fotografica.
    Dopo l’importanza della pre-visualizzazione del soggetto e dell’accurato calcolo di esposizione su una zona ritenuta “centrale” e significativa nel complesso dell’intera scena osservata, Ansel Adams puntualizza come sia assolutamente fondamentale il processo di sviluppo delle pellicole: esso si basa sul tempo e sulle reazioni chimiche; la componente tempo incide sulle aree più luminose, attraverso ciò è controllabile il contrasto definitivo del negativo bianconero, sia locale sia totale, la chimica influisce invece sul contrasto e sulla definizione.
    (Barraco Biagio.)





























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  10. gheagabry
     
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    "Ho deciso per una serie di no. No alla luce raffinata, no alle composizioni artefatte, no alla seduzione delle pose o della narrativa. E tutti questi no mi hanno portato verso il "sì". Ho uno sfondo bianco. Ho la persona che mi interessa e quella cosa che accade tra noi."



    AVEDON, Richard

    1923, New York - 2004, San Antonio




    Richard Avedon studia filosofia alla Columbia University di New York prima di dedicarsi alla fotografia come autodidatta. Nel 1944, incontra Alexey Brodovitch, il leggendario art director di "Harper's Bazaar", con il quale collabora per molti anni. Pubblicato nel 1959, il suo libro Observations fa molto scalpore: Brodovitch ne ha curato l'aspetto grafico e Truman Capote il testo. Il volume contiene innanzi tutto ritratti di famose personalità, ma anche alcune immagini con modelli. "Sia clemente con me" ebbe a dire Henry Kissinger, prima di essere ritratto da Avedon. Infatti, è proprio la sua mancanza di riguardi nel portare alla luce, su sfondo bianco, gli aspetti più intimi dei soggetti ad attirare su di lui l'attenzione di critica e pubblico.
    Grande pubblicità deriva anche dalla sua attività nel campo della moda, in cui egli esprime vivaci e realistiche concezioni visuali. Abbandona per sempre la fotografia ideata nello studio e porta le modelle sulle strade di Parigi, nei caffè e nei varietà. Dovima con elefanti, Abito da sera di Dior, Cirque d'Hiver, Parigi, agosto 1955 è la più celebre fotografia di moda di Avedon e di certo una delle più originali. Essa vive dei fascino dei contrasto ed esprime ineffabile eleganza. Segna l'inizio di una nuova era della fotografia messa in scena: l'approccio alla moda di Avedon, sempre più minimale con il passare dei tempo e vicino a quello dei suoi ritratti negli anni Settanta, diviene esemplare per un'intera generazione di fotografi.
    Poco più tardi, sconvolge pubblico e critica con la serie sulla lenta morte dei padre Jacob lsrael Avedon, dove egli documenta anche il proprio rapporto con il genitore, rubandogli la mimica e le espressioni che ricorda tipiche della sua giovinezza e che caratterizzano la propria visione di lui. Si tratta però anche di una commovente testimonianza della lenta decadenza di una forte personalità e dei suo progressivo ritrarsi in se stessa.



    Con il libro In the Americon West, Avedon intende infrangere il mito dei West americano, il sacro mondo dell'idillio dei cowboy, per mostrarne un'altra faccia: braccianti e minatori, disoccupati e piccoli impiegati, bianchi, neri, sudamericani. La triste immagine dell'Ovest americano che ne deriva scatena l'indignazione dei pubblico e viene recepita come distruttiva.
    Seguono una serie sul Louisiana State Hospital, un servizio di fotografie a grana grossa sui malati di mente e, come amara presa di posizione contro la guerra, una sequenza sulle vittime dei napalm in Vietnam. Sono le uniche sue opere in cui appaia chiaramente la violenza che Avedon ha sempre rifiutato di rappresentare, perché convinto che le immagini di violenza producano solo nuova violenza.
    I suoi schermi fotografici a grande formato costituiscono vere pietre miliari della storia della fotografia. Ritrasse i membri della "Warhol Factory", i "Chicago Seven", la "Ginsberg Family", il "Mission Council" e altri.



    “Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia,
    è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale.
    E' come se mi fossi dimenticato di svegliarmi”.




    Tra i suoi ritratti, particolare rilievo va attribuito a I generali delle figlie della Rivoluzione americana, 1963. Nato evidentemente come preparazione di un ritratto di gruppo ufficiale, affascina per la sua composizione originale e la molteplicità delle relazioni che legano le persone ritratte, che appaiono per altri versi isolate. Ugualmente insolito è il ritratto di Charles Chaplin, nel quale quest'ultimo si finge un diavolo. E' lo stesso Chaplin a volerla per esprimere il suo atteggiamento battagliero nel momento in cui è costretto a lasciare gli Stati Uniti a causa delle sue convinzioni politiche. Il ritratto di un Ezra Pound completa mente chiuso in se stesso, quasi dolorosamente concentrato, è il principale di una serie in cui, di fronte alla macchina fotografica, lo scrittore manifesta anche mimicamente tutta la gamma dei suoi sentimenti e delle sue sensazioni.



    Alla caduta dei muro di Berlino, Avedon fotografa la folla in festa durante la notte di San Silvestro del 1989. I colori delle immagini della serie della "Porta di Brandeburgo" esprimono una varietà di emozioni: dalla felicità più sfrenata alla paura dei futuro. Anziché un reportage fotografico, Avedon propone una piccola selezione di costellazioni cariche di significati simbolici, che culminano nei contorni minimali di una testa calva contro il cielo notturno.
    Recentemente, il fotografo ha realizzato ritratti di personaggi della nobiltà italiana, dove attinge a piene mani alle possibilità offerte dal montaggio fotografico. Che nei primi anni della sua attività Avedon si sia anche occupato del genere dei reportage è emerso dalla retrospettiva a lui dedicata nel 1994.
    Avedon è considerato uno dei più grandi fotografi viventi. Soltanto a New York, egli può vantare esposizioni al Museum of Modern Art, al Metropolitan Museum e al Whitney Museum of American Art. Nel 1994, il Museum Ludwig ha organizzato un'imponente retrospettiva e una rassegna delle sue fotografie di moda. Richard Avedon è sempre riuscito a lasciare un'impronta inconfondibile in qualsiasi genere abbia visitato.
    (dal web)



    Avedon rivoluziona la fotografia di moda del tempo, tralasciando le pose statiche, per introdurre uno stile giovane e anticonformista. Ispirato dal fotografo ungherese Martin Munkacsi, Avedon porta le sue modelle fuori dallo studio per realizzare ritratti “en plein air”, che giocano con il movimento e le pose. Nello sfondo di un’affascinante Parigi, pervasa da una malinconia post bellica, il fotografo americano cattura i movimenti liberatori della personalità delle sue modelle.
    Tuttavia, il suo lavoro non si rivolge solo alla moda, rappresentando uno strumento per capire mutamenti politici, risvolti psicologici o filosofici. Così nel 1974 espone al MOMA di New York una serie sulla lenta morte del padre Jacob Israel Avedon, sconvolgendo critica e pubblico.
    Si tratta di una commovente testimonianza dell’inevitabile declino di una personalità forte, nonché una tenera testimonianza del rapporto tra padre e figlio. Più tardi, pubblica In the American West, libro che infrange il mito del West a stelle e strisce focalizzando l’attenzione su minatori, braccianti, piccoli impiegati e disoccupati.
    Ancora dopo realizza una serie dedicata ai malati di mente del Louisiana State Hospital e una sequenza sulle vittime del napalm in Vietnam. La novità di Avedon sta nell’aver dato pari dignità alle immagini “frivole” della moda ed a quelle “impegnate” che colgono l’attualità. La sua fotografia filtra la vita attraverso la luce dello stile. I contrasti, di eleganza e bellezza da una parte, brutalità e sofferenza dall’altra, vengono ovattati da composizioni al limite della perfezione. Immagini che dall'artificio creano arte e dall'eleganza intense emozioni.



    Scopritore di icone femminili che hanno segnato gli immaginari di intere generazioni, come Veruschka, Twiggy e Lauren Hutton, il fotografo americano ha realizzato ritratti per star del cinema come Katherine Hepburn, Humphrey Bogart, Brigitte Bardot, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Buster Keaton, Charles Chaplin e personalità del calibro di Karen Blixen, Truman Capote, Henry Kissinger, Dwight D. Eisenhower, Edward Kennedy, The Beatles, Andy Warhol e Francis Bacon.
    Ritratti che non sono il semplice frutto dell'osservazione, ma rappresentano atti creativi in cui la personalità forte e complessa di Avedon, riesce a cogliere diverse e molteplici sfaccettature di un soggetto. Noto per il suo proverbiale distacco, Avedon non cercava mai un rapporto umano, mantenendo una distanza che talvolta sembrava crudele, asettica e quasi ostile. A questo riguardo il celebre "Sia clemente con me" pronunciato da Henry Kissinger prima di essere fotografato.
    Maniaco della perfezione, il fotografo americano poteva scattare interi rullini prima di realizzare una foto buona. Avedon è riuscito a dare al soggetto una centralità indiscussa. I suoi scatti si caratterizzano per compostezza, perfezione formale, intensità e allo stesso tempo ironia e leggerezza. Da una fotografia di moda in esterno, negli ultimi anni passa ad una sperimentazione in studio, costruendo immagini che isolano il soggetto dall'ambiente e ne esaltano la vitalità contro uno sfondo neutro, grazie alla luce fredda e calibrata del flash.
    (Giuseppe Santagata)




























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  11. gheagabry
     
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    james_natchwey_112803

    "Vorrei che il mio lavoro potesse appartenere alla storia visiva del nostro tempo per radicarsi nelle nostre memoria e coscienza collettive. Sono stato un testimone e queste fotografie sono la mia testimonianza. Ho dato conto della condizione delle donne e degli uomini che hanno perduto tutto, le loro case, le loro famiglie, le loro braccia e le loro gambe, la loro ragione. E al di là e nonostante tutte queste sofferenze ciascun sopravvissuto possiede ancora l'irriducibile dignità che è propria di ogni essere umano."



    JAMES NACHTWEY

    1948 Syracuse NY

    YorkcopyrightPhotoJamesNachtweyAgenceVIIGraziaNeri

    E’ cresciuto in Massachusetts e si è laureato al Dartmouth College, dove ha studiato Storia dell’Arte e Scienze Politiche (1966-70). La scelta di diventare fotoreporter è stata fortemente influenzata dalle immagini della Guerra in Vietnam e dal Movimento per i Diritti Civili in America. Ha lavorato a bordo delle navi della Marina Mercantile, come apprendista capocronista e camionista, e al contempo studiava fotografia da autodidatta.
    Nel 1976 ha cominciato a lavorare come fotografo di un giornale nel Nuovo Messico. Nel 1980 si è trasferito a New York per cominciare una carriera come fotografo freelance per un giornale. Il suo primo incarico all'estero fu un servizio sulla lotta civile nell’Irlanda del Nord nel 1981, durante lo sciopero della fame dell’IRA. Da allora Nachtwey si è dedicato esclusivamente alla documentazione di guerre, conflitti e questioni sociali. Il vasto repertorio dei suoi lavori fotografici copre un raggio di quattro continenti.

    sovocopyrightPhotoJamesNachtweyAgenceVIIGraziaNeri

    Nachtwey è stato un fotografo di contratto con Time sin dal 1984. Ha lavorato in associazione con la Black Star dal 1980 al 1985 ed è stato membro della Magnum dal 1986 al 2001. E’ socio della Royal Photographic Society e ha ricevuto un Dottorato Honoris Causa in Belle Arti dal Massachusetts College of Arts. Nel settembre 2001 è diventato membro fondatore dell’Agenzia Fotografica VII.
    La grandezza di James Nachtwey, ciò che lo rende un autore e non un semplice reporter di guerra è che nelle sue fotografie c'è sempre un'attenta composizione. Forse ci si aspetta che un fotografo di fronte ai bambini affamati o ai cadaveri decomposti, diventi incapace di svolgere il suo lavoro, dimentico della sua professionalità, così come chiunque sarebbe incapace di dire qualsiasi parola di fronte a scene del genere. Invece le fotografie di Nachtwey sono sempre chiare e precise testimonianze e l'attenzione alla composizione diventa il mezzo con cui Nachtwey informa, comunica in modo efficace quello che ha visto, con la partecipazione di chi assiste alla sofferenza umana e vuole combatterla.

    nachtwey_war_vlog01



    "Sono stato un testimone e queste fotografie sono la mia testimonianza.
    Gli eventi che ho registrato non deve essere dimenticato e non deve essere ripetuto. "
    James Nachtwey

    Come la Fotografia può cambiare la storia

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    La fotografia investe tutto il mondo della comunicazione visiva : moda, fashion, pubblicità, turismo, società.
    La sfera d’interesse che però fa della fotografia un mezzo grandioso, capace d modificare il corso degli eventi è la fotografia “Sociale”.

    Essendo un’“arte visiva”, la fotografia possiede intrinsecamente la capacità di trascinare, pervadere e scuotere il fruitore delle immagini. Quando queste caratteristiche vengono declinate in ambito umanitario e informativo, al fine di mostrare una realtà e di dare voce a fatti altresì silenti, la macchina fotografica diventa uno dei più potenti mezzi espressivi applicabili nel sociale.

    Questo tipo di fotografia deve suggerire mostrando, indagare e creare scompiglio. Il fruitore dell’immagine è direzionato verso un’interpretazione maieutica della fotografia, abbracciando un coinvolgimento della sfera sentimentale , etica e umana dell’individuo. Non si può più far finta di non aver visto.
    È un frammento di reale che racchiude una situazione. Un linguaggio che crea una realtà. Non è scritto eppure è capace di comunicare storie, situazioni e vite. Quell’immagine non fugge come nei telegiornali, non è infarcita da descrizioni e notizie. La si osserva e pur non conoscendo assolutamente nulla del contesto nella quale è stata scattata, rimane impressa. Crea una realtà distante ma vera, che un momento prima non esisteva ma che adesso c’è.

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    Dalla necessità di comunicare istantaneamente ma efficacemente nasce la figura del Photojournalist o fotoreporter. Sin dalla prima guerra mondiale di documentare, dire “questa è la guerra” ha trascinato giornalisti e fotografi nelle prime linee di ogni fronte, pronti a cogliere l’istante e renderlo vero per il resto del mondo. Decisi a rendere solido, fotografico, una parte di tempo. Disposti dopotutto a dare la vita mantenendo alto lo stendardo dell’informazione.

    “mettono le loro vite in prima linea, perche la tua opinione e la tua influenza conta” dice James Nachtwey.
    L’opinione pubblica di fatti , in un paese democratico, orienta la politica stessa (dove ciò non accade non si parla di democrazia) ed è proprio a questo che mira l’immagine fotografica. Una fotografia è capace di creare una coscienza innegabile su ciò che accade. Un articolo di giornale può essere tralasciato, ma il contatto visivo con un’immagine si imprime nella nostra retina allo stesso modo con la quale la fotografia fu precedentemente impressa sul supporto fotografico. Non lascia scampo, si è informati di ciò che accade.


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    Kalashnikov contro lenti 70-200, spacciatori di armi e droga contro trafficanti di immagine e informazione. La vita di un photoreporter si mescola all'ideale a cui è devoto, la loro vita diventa l’ ideale stesso. Sempre sull’orlo del baratro, soggetti a osservare ingiustizie profonde e radicate, occhi indiscreti posati su vite al termine della loro esistenza, su situazioni imbarazzanti. Demonizzati spesso come sciacalli dopo un terremoto, apostrofati come approfittatori del male e della disgrazia. Pronti a incanalare tutta la loro rabbia al fine di chiarificare il loro modo di osservare. Tempi indeterminati su eventi d’incommensurabile propagazione. Vogliono mutare il corso di un evento, cambiare la storia.
    Un Utopia? I fatti raccontano che non lo è.

    Mostrare inevitabilmente “cambia” qualcosa. Creando un’oggettività visiva e pubblicabile si dà voce a quelle realtà altrimenti invisibili. "it gives voices to who otherwise would have not a voice" dona voce a chi altrimenti voce non avrebbe (J.Nachtwey)

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    Ruanda, 1994. Due differenti etnie si massacrano a colpi di machete. 800.000 i morti ,migliaia le fosse comuni da dove emergono grottescamente membra amputate, teste , seni sbrindellati, tutto inconfondibilmente marchiato dal taglio grosso del machete. Il medioevo. Una guerra inarrestabile e invisibile.
    Grazie all’intervento di alcuni fotografi , primo fra tutti Nachtwey, gli orrori di questo mattatoio nero sono venuti a galla tra i paesi occidentali. Non possedendo petrolio, il caso Ruanda era stato completamente ignorato dai potenti dell’Europa del tempo, i quali, di fronte allo scandalo fotografico non poterono più tacere , inviando i contingenti di pace dell’ONU. Da lì a breve il massacro fu quietato. 800.000 morti e la forza di sognare di alcuni fotogiornalisti sono riuscite a placare un conflitto.

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    I problemi della società non possono essere risolti fino a quando non sono identificati. Su questo principio si basa il lavoro e il coraggio di questi grandissimi militanti dell’informazione.
    Molti sono coloro attualmente impegnati su fronti differenti, tutti con lo scopo di rendere visibile ciò che non lo è.
    Invisibili tra invisibili pronti a indagare e indignare, pronti a creare una realtà che chiede giustizia o la semplice fuga dall’invisibilità.
    In prima linea per cambiare qualcosa.
    (dal web)

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    Edited by gheagabry - 22/9/2011, 00:04
     
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    SEAMUS MURPHY



    Seamus Murphy, nato il 1° ottobre 1959 in Inghilterra, è cresciuto a Dublino in Irlanda. Ha frequentato Rathmines, specializzandosi in comunicazioni e cinematografia. Dopo una serie di lavori, da telegiornali via cavo negli Stati Uniti a video commerciali in Inghilterra, nel 1990 Murphy ha cominciato la carriera di fotogiornalista freelance e ha lavorato come fotoreporter in Africa (Eritrea, Ruanda, Gabon, conflitto nella Sierra Leone, epidemia Ebola in Uganda, carestia in Etiopia), Asia (ribelli maoisti in Nepal, giovani a Teheran, Iraq-Kurdistan prima della guerra in Iraq, Afghanistan), Europa (Albania e Kosovo). Le sue foto sono comparse in varie pubblicazioni tra cui The New York Times, Sports Illustrated, Newsweek, Time e Der Spiegel.



    A Murphy sono stati insigniti diversi premi per le sue opere. Le sue foto sulle corse di cavalli di Beirut in Libano hanno vinto il primo premio del World Press Photo 1999 e si sono assicurate il terzo posto, nella categoria storia delle immagini sportive, durante il concorso Foto dell’Anno 1999 indetto dalla Missouri School of Journalism. Anche Life Magazine ha riconosciuto il valore del progetto di Beirut con il premio Best Magazine Photography of the Year. Murphy si è aggiudicato anche il secondo premio del World Press Photo 1999 con le foto dei veterani dell’IRA.
    Nel 2008 ha pubblicato “A Darkness Visible: Afghanistan”.



    A Darkness Visible: Afghanistan
    (Un’oscurità visibile: Afghanistan)

    La verità dell’Afghanistan è custodita dal popolo afgano e Seamus Murphy gli riconosce tutta la sua magnificenza. Dopo l’opera diligente e suggestiva perseguita per così tanti anni per giungere al cuore della faccenda, Murphy non si lascia scoraggiare dalla guerra in Afghanistan. Non può farlo. La guerra fa parte integrante dell’esperienza afgana proprio come le stagioni, le montagne e il tempo. Questo paese è la terra natale di milioni di racconti di guerra che, fondendosi alla storia, vengono a costituire una lunga saga. Ma i racconti di guerra non sono altro che la storia della gente o dei popoli, dei loro fallimenti, punti deboli e punti forti e della loro lotta per continuare a vivere e mantenere la propria dignità di fronte alle sfide estreme poste dal conflitto. Murphy lo sa. E capisce perfettamente. L’umanità essenziale di questa consapevolezza, associata al suo naturale impegno sull’argomento, si riflette in tutta la sua opera. Nelle sue foto gli afgani appaiono sempre superiori a quella parte della loro vita che è la guerra.



    Di recente l’Afghanistan è diventato un soggetto di grande attualità per gli editori che si interessano di fotografia e il rispettivo pubblico. Gli attentati terroristici dell’11 settembre hanno riportato questo paese alla ribalta della consapevolezza occidentale. Il successivo coinvolgimento degli eserciti degli alleati e della NATO in Afghanistan, la lotta contro Al Qaeda e i Talebani e la caccia ad Osama Osama bin Laden garantiscono che tale interesse possa continuare, almeno per un po’. Il destino dell’Afghanistan è ormai legato alla sicurezza futura della gente in Europa e America. Nei paesi occidentali, i leader politici e i capi militari ammettono candidamente che questo conflitto sarà un’esperienza decisiva che determinerà sia il risultato della guerra con i fondamentalisti islamici di tutto il mondo sia la sorte della stessa NATO. Ci sono tutti gli ingredienti per fare di questo paese una meta ambita dai fotografi. Ma non è sempre stato così.



    Ben poco lasciava pensare che ci sarebbero stati tali sviluppi nella guerra afgana quando Murphy ha messo piede a Kabul per la prima volta. Era il 1994. L’Afghanistan era in preda a una guerra civile talmente violenta ed estesa che tutte le infrastrutture del paese erano implose. Assolutamente distrutta, annichilita e rovinata, l’autorità centrale non c’era più. Vigeva invece il potere delle armi e di chi le imbracciava. Niente lasciava presagire che ci potessero essere cambiamenti imminenti. Il coinvolgimento degli Occidentali in Afghanistan era finito nel momento in cui l’ultimo soldato russo aveva lasciato il paese, ben cinque anni prima. Era una voragine, il vuoto, il buio. E nessuno avrebbe potuto immaginare che un giorno le vite quotidiane degli afgani potessero di nuovo interessare agli Occidentali.



    Murphy ha continuato il suo andirivieni dall’Afghanistan, molto prima che il paese tornasse a essere al centro della rinnovata attenzione degli editori, per motivi molto più semplici dell’investimento professionale. Nonostante la vita dura, la sfortuna e le crudeltà, a Murphy piaceva quel posto e provava empatia per il suo popolo: apprezzava negli afgani le qualità di stoicismo, capacità di opporsi, belligeranza, senso dell’umorismo e speranza che li caratterizzano.

    Nel corso di innumerevoli avventure intraprese nell’arco di 13 anni per portare alla luce l’indomito Afghanistan, sia umano che geografico, Murphy ha infranto la visione miope che si aveva di questo paese per rivelare i luoghi e i volti della gente, una guerra e una vita che altrimenti non avremmo mai avuto occasione di scoprire. Alcuni viaggi nell’entroterra sono durati solo pochi giorni. Altri hanno comportato settimane di trekking, spostamenti, rafting e cavalcate in condizioni spartane.



    L’oscurità dell’Afghanistan non sta nel male o nella guerra, ma nel manto dell’ignoranza che avvolge la nostra comprensione di questo paese, una cecità che lo ha ridotto a poco più di uno sfondo per statistiche stantie, immagini trite e ritrite e frasi fatte su cui poggiano le fuggevoli notizie della stampa mondiale.
    Pochi hanno cercato – e ancor meno sono riusciti a raggiungere il risultato che Murphy ha perseguito con la sua pazienza e persistente volontà di raggiungere lo scopo. Molto più di un’abile testimonianza di un popolo, un’epoca e un luogo, la sua opera ha aperto la strada a qualcosa di più profondo ed etereo ed è riuscita a cogliere la più difficile di tutte le rivelazioni: lo spirito di un paese.
    (Anthony Loyd da Afterword in A Darkness Visible: Afghanistan, Saqi Books 2008.)



























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  13. gheagabry
     
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    Il corrispondente di guerra beve di più, ha più ragazze, è meglio pagato, ed ha una maggiore libertà rispetto al soldato, ma in questa fase del gioco, avere la libertà di scegliere il suo posto e di poter essere un codardo senza essere giustiziato, è la sua tortura.



    ROBERT CAPA



    Rober Capa non era un soldato, ma visse, la maggior parte della sua vita nei campi di battaglia proprio come un soldato, con i soldati in un arco temporale che va dal 1925 circa fino al 1954. La sua fama è legata alle immagini della guerra, in prima linea:

    “ nessuno –raccontano i suoi colleghi fotografi a lui contemporanei- sbarcava nel cuore della battaglia fianco al fianco con i soldati esattamente nel momento dell’inizio della battaglia…”

    egli ha infatti seguito tutti i maggiori conflitti mondiali cinque, per la precisione (il primo fu la guerra civile spagnola a cui seguono la guerra cino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina).



    Nelle sue foto voleva cogliere l’attimo per eccellenza, quel singolo istante nella folle frenesia della guerra , era la sua missione la sua ambizione più grande che controbilanciava il forte rischio a cui Capa in prima persona si esponeva. Il fotografo era solito ripetere ai suoi colleghi

    “Se le vostre foto non sono abbastanza buone è perché non siete andati abbastanza vicino al soggetto”,

    l’importanza di una vicinanza espressiva al racconto messo in scena è questo il pensiero di un uomo per alcuni considerato il padre del fotogiornalismo, e per altri colui che ha dato al fotogiornalismo una nuova veste e una nuova direzione. Endre Friedman, il vero nome di Robert Capa, nasce a Budapest il 22 ottobre del 1923. Esiliato dall’ungheria nel 1931 per la sua partecipazione ad attività studentesche di sinistra, si trasferisce a Berlino dove si inscrive al corso di giornalismo della Deutsche Hochschule fur Politik, la sua ambizione originaria era di diventare uno scrittore. Per pagarsi gli studi a Berlino trova lavoro come fattorino e aiutante presso un’importante agenzia fotografica la Dephot, il direttore Simon Guttam nota il suo talento e gli affida servizi fotografici via via sempre più importanti. Nel 1933 con l’ascesa al potere di Hitler fugge dalla capitale tedesca e trova rifugio a Parigi. La Parigi degli anni ‘30 era una città dinamica, colta e cosmopolita che sembrava fatta apposta per lui, lì continuò a lavorare come fotogiornalista ed incontrò la sua compagna Gerda Taro un esule tedesca.



    Di lì a poco tempo viene inviato in Spagna per documentare la guerra civile. La guerra di Spagna è stata una delle prime guerre ad aver avuto una grande copertura mediatica, grazie anche alla fotografia di Capa che stava iniziando a diventare l’occhio testimone del mondo. Nessuno, come Robert Capa, è riuscito a fermare nelle foto la Morte.

    L’ esempio più celebre del suo stile e della sua maestria è la foto del miliziano dell’esercito repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti, scattata vicino a Cordoba il 5 settembre 1936.



    In uno scatto, in questo scatto, viene immortalato l’attimo che segna la fine di un’esistenza. Nel conflitto Capa è presente su vari fronti spagnoli, da solo e con Greda diventata nel frattempo una fotogiornalista indipendente. Nel luglio del 1937 durante una ritirata del governo spagnolo nella confusione del conflitto per errore Greda muore schiacciata da un carro armato spagnolo. In questo conflitto il fotografo viene tragicamente e direttamente coinvolto, la morte della sua compagna lo avvicina ancora di più al coraggio, alla determinazione e alla tenacia di uomini e donne comuni, attori e vittime, loro malgrado, di un orribile gioco al massacro. Dirà Capa:

    «La guerra è un inferno che gli uomini fabbricano da soli».



    Richard Whelan maggior biografo del fotografo dice di Robert Capa:

    “nonostante realizzasse le sue fotografie per sostenere le cause di coloro nei quali egli credeva fermamente, come gli antifascisti spagnoli, i cinesi, gli alleati della seconda guerra mondiale, gli ebrei durante la guerra di indipendenza israeliana, paradossalmente testimoniava la propria simpatia ad entrambe le parti in conflitto … Sebbene, alcuni di questi soldati rappresentassero «il nemico», essi erano anche vittime, in quanto esseri umani, delle orrende strategie della guerra”.

    Amico di personaggi importanti – specialmente artisti e scrittori – Capa viene descritto da tutti coloro che lo conoscevano come un uomo che amava la pace e odiava la violenza e il terrore, ma il destino volle che quasi tutta la sua vita fosse invece legata proprio alle sofferenze causate agli uomini dal loro coinvolgimento nel gioco mortale della guerra e dell’oppressione, diceva sempre ai suoi più cari amici :

    “Come fotografo di guerra spero di rimanere disoccupato per il resto della mia vita”.

    Dopo l’esperienza in Spagna decide di partire di andare in Cina per documentare la resistenza contro l’invasione giapponese. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si imbarca per New York per realizzare vari servizi per il giornale Life, attraversa l’Atlantico con un convoglio americano e giunge in Inghilterra per documentare le attività belliche degli alleati in Gran Bretagna. Capa parte per il Nord Africa, per la Sicilia per documentare le vittorie degli alleati partecipando nel 1944 allo sbarco ad Anzio. Famoso per la sua temerarietà, il fotografo sbarcò con il primo contingente americano il 6 giugno a Omaha-Beach in Normandia paracadutandosi da un aereo assieme ai militari professionisti per ritrarre da vicino l’attraversamento del Reno.



    Purtroppo la maggior parte delle foto scattate quel giorno ad Omaha Beach a causa di un errore del tecnico di laboratorio addetto allo sviluppo, andarono perdute. Si salvarono solo undici fotogrammi danneggiati, che trasmettono tutta la drammaticità dell’impresa la maggior parte sono, citando le parole di Capa:

    “slightly out of focus” (ovvero “leggermente fuori fuoco”),

    nome con il quale , non a caso, Robert intitolò l’autobiografia pubblicata nel 1947.

    A proposito delle esperienze vissute durante lo sbarco in Normandia, Capa disse :

    «Il corrispondente di guerra ha in mano la posta in gioco, cioè la vita, e la può puntare su questo o quel cavallo, oppure rimettersela in tasca all’ultimo minuto. Io sono un giocatore d’azzardo.»



    Terminato il conflitto mondiale, divenne cittadino americano e nel 1947 insieme ad Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Geroge Rodger e William Vandivert fonda l’agenzia fotografica cooperativa “Magnum”. La sua passione ovvero la sua vita, l’amore per la fotografia, lo porta ad intraprendere quello che per Capa fu il suo ultimo viaggio, con l’intento di documentare la prima Guerra d’Indocina in veste di inviato “Live”. Il fotogiornalista si imbarca al seguito di una squadra di truppe francesi, ma il 25 maggio del 1954 in Indocina dopo essersi inoltrato inavvertitamente in un campo minato salta in aria morendo a 40 anni. L’amico Ernest Hemingway, ricordandone l’ improvvisa morte, disse:

    «È stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo… Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto».

    Osservando le foto, l’intero lavoro di Capa ci si sente rapiti da una viscerale intimità da una forte immediatezza delle immagini, dalla compassione e dall’immedesimazione nel dolore nella vita delle persone impresse dalla pellicola indipendentemente dagli schieramenti, o dal conflitto, ci si scontra con sensazioni che sono degli elementi salienti dell’opera di questo artista.



    In conclusione riporto le parole dello scrittore statunitense John Steinbeck nonché tra i più cari amici di Robert Capa, che brevemente disegnano con tratti semplici e fluidi la descrizione di un uomo che per tecnica, sensibilità ed ingegno ha lasciato un lavoro prezioso e a tutt’oggi fonte di grande interesse per la fine qualità artistica da collocarsi al di fuori del tempo :

    “sapeva cercare, e poi sapeva usare ciò che trovava. Sapeva, ad esempio, che la guerra, fatta in così larga misura di emozione, non si può fotografare; ma egli spostò l’angolo, e la fotografò. Su un volto di bambino sapeva rivelare l’orrore di tutto un popolo. Il suo apparecchio coglieva le emozioni, e le conservava. L’opera di Capa è da sola, tutta insieme, l’immagine di un grande cuore e di una irresistibile pietà. …. Capa era in grado di fotografare il moto, la gaiezza, la desolazione, Era in grado di fotografare i pensieri. Ha creato un mondo, che è il mondo di Capa”.
    ( Mariagrazia Marano)







    Quante volte ciascuno di noi ha visto questa famosissima foto, qui sopra, scattata da Robert Capa, uno dei più grandi fotografi della storia, a Cordoba, durante la guerra civile spagnola. La foto del miliziano ucciso è divenuta, nel corso del Novecento, una vera e propria 'icona' dell'antimilitarismo, contro gli orrori della guerra.

    E su questa foto, come su tutte le immagini 'troppo' famose, si è scatenato nel corso dei decenni il classico complottismo, che voleva la foto un falso, realizzato da un Capa senza scrupoli, che aveva messo in scena la finta morte del miliziano per realizzare uno scatto epocale, e aveva poi fatto sparire i negativi.



    La vicenda è perciò emblematica, di come spesso pur di non credere alle realtà più evidenti, e semplici, si cercano per forza complotti, mistificazioni, imbrogli. Adesso, la verità è venuta clamorosamente a nudo, dopo che qualche mese fa il New York Times ha dato notizia che dopo 70 anni, l'Internation Center of Photography di Manhattan aveva recupeto il negativo di quella celebre foto, andato perduto. E insieme alla Caduta del soldato, altre migliaia di pellicole erano riemerse dall'oblio, in tre valige custodite a Città del Messico nella casa che fu di un ex diplomatico messicano che combattè ai tempi del generale Pancho Villa.



    C'è stato chi ha ricostruito minuziosamente la vicenda, scoprendo che in realtà la perdita di quel negativo era semplicemente dovuta al fatto che Robert Capa lo dimenticò, insieme a tanti altri, da Robert Capa in una camera oscura di Parigi.

    Il recupero di quelle tre formidabili valigie ha permesso di svelare una volta per tutte il presunto mistero, perchè - come si sperava - sono state ritrovate anche le altre foto, di quel medesimo rullino fotografico, e che ritraggono il soldato, insieme ai suoi commilitoni, mettersi in posa per l'obbiettivo del fotografo, qualche istante prima dello sparo che lo uccide.






    Per «valigia messicana» si intendono tre scatoloni di rullini che i tre fotogiornalisti produssero documentando di persona, dal 1936 al 1939, scene di battaglie ed esodi di civili sfollati, parate e funerali, ritratti di donne e bambini affamati, palazzi bombardati e aerei abbattuti. Ci sono inediti preziosi come la foto di García Lorca (scattata da Chim, tra le ultime immagini del poeta, assicurano all’Icp), quella della Pasionaria Dolores Ibarruri e quella dove si vede Ernest Hemingway. Un patrimonio di immagini che era stato dato per perso, ma è poi riemerso a Città del Messico, tra gli oggetti conservati da un ex ambasciatore messicano a Parigi negli Anni 90.



    Solo nel 2007, però, il materiale è arrivato all’Icp, la sua casa naturale. Il centro, infatti, era stato fondato nel 1974 da Cornell Capa, fratello di Robert e lui pure valente fotografo. Si sapeva che Capa, fuggito da Parigi prima che arrivassero i nazisti, aveva lasciato una cassa piena di rullini, ma la sorte di quel tesoro artistico-storico non fu mai ricostruita, neppure dall’interessato, che morì nel 1954 a 41 anni senza saperne più nulla.



    «Il moderno fotogiornalismo di guerra è nato con Capa, e non c’è dubbio che il suo stile abbia influenzato le generazioni successive di reporter di prima linea», ci spiega la curatrice della mostra, Cynthia Young. Ora, grazie ai 4500 negativi – in parte esposti nella mostra e tutti inseriti nei due volumi del catalogo – la tecnica dei reportage bellici di Capa e compagni può essere indagata nei dettagli. «Il loro lavoro era finora apprezzato per quanto era stato pubblicato dai giornali», continua la curatrice, «ma visti qui su fogli di stampa allargati e completi ci mostrano per la prima volta l’ordine originale in cui sono state scattate le immagini, e in molti casi l’intera produzione delle foto fatte in progressione per riprendere un certo evento».

    Insomma, veri «filmati» che permettono di capire più a fondo il taglio preferito dai fotografi, i loro gusti a proposito di soggetti e angolature.


















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  14. gheagabry
     
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    PAOLO SALVIATI



    Fu tra i più attivi fotografi veneziani della seconda metà dell’Ottocento, pur essendo la sua biografia ancora oggi poco conosciuta. Alcune interessanti notizie sono verificabili nel Registro Anagrafe del Comune di Venezia del 1857, nello Stato Famiglia del 1854 e nel Registro della popolazione di Venezia di inizio Novecento, conservati presso l’Archivio Storico Municipale.

    Paolo Salviati nacque a Venezia il 23 maggio 1818, ed è quindi quasi coetaneo di Carlo Naya (nato nel 1816). Nel 1854 risulta domiciliato al numero civico 1121 del Sestiere di San Polo (ubicato nell’attuale Pasina San Silvestro, nei pressi dell’omonimo campo), ma trascorse forse un breve periodo lontano da Venezia, poiché nel citato Stato Famiglia viene segnato il suo rientro in città il giorno 11 marzo 1854 (tre anni prima dell’arrivo di Naya). Due anni più tardi è domiciliato al numero 1414 del sestiere di Santa Croce (nell’attuale Calle Orsetti, che collega la Lista dei Bari con Campo Nazario Sauro), con moglie e cinque figli (dei quali una sola femmina, morta in tenera età). Curiosamente, nello Stato Famiglia del 1854, Salviati è indicato, oltre che come fotografo, anche come falegname (la dicitura è però barrata e potrebbe perciò trattarsi di un errore di trascrizione dell’addetto alla compilazione del registro). Da questo momento in poi Salviati entra attivamente nella vita artistica e culturale della città. Possedeva un negozio ed alcune vetrine in Piazza San Marco, sotto i portici delle Procuratie Nuove, ai numeri civici 44, 45 e 76 ed un altro (forse il laboratorio?) in Calle dell’Arco 3500, nel sestiere di Castello, poco distante dalla chiesa di Sant’Antonin (cfr. I. Zannier, Alcuni fotografi della Venezia dell’800, in: I. Zannier, Archivio Naya, O. Böhm Editore, Venezia, 1981).



    Tra il 1880 e il 1882, Salviati compare nel gruppo dei fotografi veneziani citati in giudizio e condannati ad un cospicuo risarcimento danni, per aver contraffatto e venduto abusivamente alcune fotografie di Carlo Naya. Gli altri fotografi coinvolti sono: Carlo Ponti, Beniamino Giuseppe Coen e Antonio Perini, tutti con rivendita in Piazza San Marco. Le stampe venivano acquistate nel negozio di Naya da alcuni clienti complici, quindi riprodotte nello stabilimento di un altro importante fotografo, Tommaso Sargenti, soprattutto per opera della vedova, considerata la “regista” dell’intera operazione, ed infine rivendute nei suddetti ateliers. Al di là dei sui esiti giudiziari, questo episodio testimonia l’ampia diffusione e l’alto valore di mercato raggiunto dalla fotografia a Venezia nell’ultimo ventennio del XIX secolo, al punto da creare concorrenza e competizione tra i fotografi più rappresentativi (per il processo in questione: Leopoldo Bizio, Processo per contraffazione di fotografie. Tip. Naya, Venezia, 1882; la relazione è stata pubblicata, tra gli altri, da Italo Zannier in Archivio Naya, op. cit; un altro commento si trova in I. Zannier, Storia della fotografia italiana, La Terza, Bari, 1986, pp. 229-230).



    Oltre che per la fotografia di architettura e di paesaggio lagunari, Paolo Salviati era particolarmente apprezzato nel ritratto, un genere allora molto richiesto, e per la tecnica del ritocco cromatico. Si tratta, questa, di un’operazione assai diffusa all’epoca, che consisteva nel colorare i negativi a mano, allo scopo di mascherare i difetti di un'immagine o per conferire una maggiore vivacità alla veduta. Come si evince dal Registro della popolazione di Venezia conservato nell’Archivio Storico Muncipale, Salviati morì a Venezia il 20 gennaio 1894.














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    ERNST HAAS



    Colore, forma, composizione, immagini “mosse” o statiche, sono solo alcune delle parole che ricorrono nel vocabolario, nella testa, di un fotografo o appassionato di fotografia. Questi termini possono arrivare a raggiungere la sublimazione quando entrano in relazione con il lavoro di personalità dotate di un eccezionale capacità artistica e intuitiva, in grado di plasmarli, svuotarli di contenuto e riscoprirli al di là di ogni definizione.



    Ernst Haas è stato uno di quelli, il suo tratto distintivo, il fascino delle sue fotografie, l’insaziabile curiosità creativa lo ha fatto approdare all’analisi del movimento e del colore , alla ricerca di uno stile fotografico in grado di catturarlo e riprodurlo. Il suo nome per molti è legato alla modalità di rappresentazione di un’immagine volutamente mossa e ricca di colore. Invece che “fermare” il movimento del soggetto utilizzando un breve tempo di esposizione Haas adottava un tempo più lungo affinchè il soggetto continuasse il suo moto e l’immagine risultasse mossa. Capì come dosare l’intensità e le sfumature combinando le variazioni di tempo di esposizione e movimento della macchina fotografica in funzione degli spostamenti del soggetto. Le immagini che Haas ha realizzato evocano magistralmente il senso del fluire di un corpo accompagnato dal colore che rende mirabili i ritratti.



    Ernst Haas nasce a Vienna nel 1921, fin da giovane coltiva l’ambizione di diventare pittore, ma con l’inizio della guerra abbandona ogni progetto futuro e si arruola nell’aeronautica tedesca come addetto alla costruzione e alla manutenzione degli aeroporti. Barattando nove chili di margarina con una Rolleiflex inizia a scattare nel primo dopoguerra le sue immagini. Nel 1946, durante un viaggio in Svizzera, mostra alcuni suoi lavori ad Alfred Kubler, direttore di Du che gli fa conoscere l’opera di Werner Bischof. Tra Haas e Bischof nasce un’amicizia i due lavorano entrambi per la stessa agenzia fotografica, la Black Star. Nel 1947 Haas prepara la sua prima mostra nel Quartier Generale della Croce Rossa Americana a Vienna, a questo evento partecipa anche Warran Trabant, direttore di Heute una rivista americana destinata ai tedeschi dei territori occupati, l’uomo rimane molto colpito dai lavori di Ernst e gli propone di collaborare per la rivista.



    In realtà è nel 1949 che nella carriera di Haas avviene la prima svolta decisiva, inviato a realizzare un servizio di moda, assiste al rimpatrio di prigionieri di guerra austriaci e li fotografa. La rivista Heute apprezza il servizio dandogli gran rilievo, lo stesso fu in seguito ripreso da Life, che offre al fotografo un posto nel suo staff. Anche Robert Capa si interessa allo stile di Haas e lo invita a lavorare per la Magnum, Ernst accetta questa proposta incline con l’ autonomia creativa di cui è alla ricercca. Nello stesso anno inizia a lavorare con il colore. Spiegava il fotografo:

    “Lo desideravo, ero pronto, esisteva la pellicola con cui operare… Kodachrome 1 da 12 ASA… Nei miei ricordi, gli anni della guerra – tutti gli anni di guerra, ivi inclusi almeno cinque duri anni di dopoguerra saranno per sempre anni in bianco e nero, o meglio, anni in grigio. In qualche modo, forse simbolicamente, volevo dire che il mondo e la vita erano cambiati, come se tutto, all’improvviso, fosse stato ridipinto di fresco. 1 tempi grigi erano finiti; come all’inizio di una nuova primavera, volevo celebrare col colore i tempi nuovi, colmi di nuove speranze“.



    Ed Aggiunge: “Penso che il colore rappresenti una sfida maggiore. Col bianco e nero esistono solo tonalità di grigio. Col colore ci si trova davanti alle più incredibili combinazioni di sottili sfumature che possono essere sfruttate per esprimere profondità o rilievo. Il bianco e nero riproduce le linee essenziali nel modo più immediato. Se, per esempio, si deve fotografare una situazione in cui il soggetto principale è vestito in grigio mentre un personaggio secondario è in rosso, l’occhio sarà costantemente attratto da quest’ultimo. Col bianco e nero il problema non sussiste, ma col colore bisogna procedere con molta attenzione. Fotografare a colori è più difficile: è necessario pensare e sentire in un modo diverso… Continuo a non capire tutte queste problematiche discussioni sul bianco e nero e il colore. Amo sia l’uno che l’altro, ma parlano lingue diverse nello stesso ambito. Sono entrambi affascinanti. Il colore non significa bianco e nero più colore, come il bianco e nero non è solo un’immagine senza colore. Ciascuno di questi mezzi richiede una diversa sensibilità nel vedere e, di conseguenza, una diversa disciplina.. Ci sono gli snob del bianco e nero, e ci sono gli snob del colore. Incapaci di usare bene entrambi, si mettono sulla difensiva e militano in campi opposti. Non bisognerebbe mai giudicare un fotografo dal tipo di pellicola che usa, ma solo da come la usa“.



    Il suo primo servizio fotografico importante è stato un’ emozionante susseguirsi di immagini della nuova città, New York, in cui il fotografo è emigrato nel 1951. Pochi anni dopo Life pubblica il suo lavoro in ben ventiquattro pagine, il più lungo servizio a colori mai pubblicato da quel settimanale, dal titolo: Immagini di una città magica. La fotografia a colori all’epoca di Haas è ancora un eccezione non solo dal punto di vista tecnico: le limitazioni dei primi mezzi, ma anche a causa della guerra e dallo sconvolgimento che l’avvento del conflitto portò con sé.
    Solo alla luce di questo possiamo comprendere le parole di Alexander Liberinan che nel 1951 nella sua prefazione al testo: The Art and Technique of Color Photography scrive : “questo libro appare agli albori dell’epoca del colore“.



    Nel periodo che segue, Haas prova un’ attrazione sempre più evidente per la sperimentazione del colore nelle sue opere, siluette sinuose e discrete in movimento questo ricercava il fotografo utilizzando la luce in tutte le sue intensità. Da qui prende vita la sua abilità nel combinare il tempo di esposizione con la luce, il colore e i il movimento. L’esposizione a lungo tempo comporta la staticità della fotografia e questo non coincide con la concezione che ha Ernst del suo essere fotografo. Haas ama andarsene in giro liberamente, col minimo possibile di attrezzatura, pronto a cogliere tutte le opportunità di scattare una fotografia. Un altro problema che si presenta nella fotografia del tempo è l’emulsione in grado di catturare solo una gamma limitata di intensità luminose, il risultato è la quasi omogeneità tra zone di luce e ombra. Per ovviare questo problema Haas nel servizio fatto a Venezia utilizza un ingegnoso espediente che rende uniche le sue foto. Fissa i contorni delle sagome e degli edifici, a fargli da sfondo è il cielo luminoso nelle ore del tramonto, questo consente al fotografo di ricorrere a tempi molto più rapidi di esposizione, grazie alla luce solare, senza rinunciare all’effetto elegante dei soggetti mossi nelle sue foto.



    Il contrasto che ne deriva tra le componenti dell’immagine, diventa un’affermazione stilistica. Questo è stato solo l’inizio di una serie di espedienti tecnici ideati dal fotografo anche nei suoi tanti servizi su New York, Londra, Francia e Spagna. Nel 1957 Life pubblica il lavoro di Ernst sulla corrida dal titolo Bellezza in un’arte brutale, il risultato è sensazionale. Il fotografo muove l’apparecchio nella stessa velocità e direzione del soggetto per catturarlo nel mirino con il suo movimento nell’esposizione, così da ottenere lo sfondo più sfocato del soggetto che è più o meno definito in alcuni tratti della sua figura. Questa tecnica deriva dall’idea di Ernst per cui l’occhio umano quando guarda mira un punto fermo, nitido, come riferimento dell’intera immagine e quel punto è per il fotografo la chiave di lettura della foto, la parte più importante dell’immagine su cui lavorare. Scrive Haas: “La realtà pura e semplice non mi interessa più. Senza toccare il mio soggetto voglio arrivare al momento in cui, attraverso la pura concentrazione del vedere, l’immagine composta diventa più ‘fatta’ che ‘presa’”.



    Life chiede ad Haas di fotografare anche altre competizioni e attività sportive con la stessa tecnica innovativaì. Il fotografo accetta la proposta, la sfida era catturare il movimento imprevedibile. Dice Ernst: “Una formula è la morte di tutto…Deve sempre esserci un qualche segreto, una qualche sorpresa. E la cosa strana, nell’estetica, è che anche quando si ha l’impressione di avere una formula, è vero anche l’esatto opposto. Alcuni, per esempio, parlano di formule per quanto riguarda il colore, sostenendo che non si dovrebbero abbinare mai certi colori, e così via. Ma dai pittori impariamo che, se tali formule esistono, possiamo anche infrangerle. Si possono trovare modi stupendi di mettere insieme i colori. Se si giunge a una formula, bisogna cercare di contravvenirvi”. Soddisfatta del risultato la rivista, l’anno seguente, pubblica il servizio di Haas col titolo: Il movimento nello sport.



    Per il fotografo : “L’idea fondamentale era di liberarmi dal vecchio concetto di un momento statico per giungere a un’immagine che comunicasse allo spettatore la bellezza di una quarta dimensione da scoprire più tra i momenti che nell’ambito del momento. Nella musica non ci si ricorda mai di un tono, ma di una melodia, di un tema, di un movimento. Nella danza non si tratta mai di un momento ma, anche in questo caso, della bellezza di un movimento nel tempo e nello spazio”.

    Concludo l’articolo con le parole di John Szarkowski , direttore Dipartimento Fotografia del Museum of Modern Art di New York, che scrive di Ernst Haas durante la sua mostra nel 1962: ” Ernst Haas ha fatto del colore l’oggetto stesso della sua ricerca Nessun fotografo ha espresso meglio di lui la pura gioia fisica del vedere”
    (lucidistorte.it)



























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