GOETHE JOHANN WOLFGANG

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  1. gheagabry
     
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    Un uomo che si vanta di non cambiare mai opinione è uno che si impegna a camminare sempre in linea retta, un cretino che crede all'infallibilità.In realtà, non esistono principi,
    ci sono soltanto avvenimenti;
    non esistono leggi, ci sono soltanto circostanze: l'uomo superiore sposa gli avvenimenti e le circostanze per guidarli
    [Johann Wolfgang von Goethe, Le affinità elettive)



    JOHANN WOLFGANG
    GOETHE





    Johann Wolfgang Goethe, poeta e scrittore tedesco, nasce a Francoforte Sul Meno il 28 agosto 1749 da un'agiata famiglia borghese di un consigliere imperiale. Aiutato dalla madre, giovane e intelligente, mostrò genialità precoce, imparando facilmente più lingue, e scrivendo prestissimo per il teatro delle marionette (dove poté conoscere, tra l'altro, la popolare leggenda del dottor Faust). A sedici anni lasciò Francoforte per studiare legge a Lipsia. Furono anni di intensa vita sociale e culturale; si interessò alla medicina, alle arti figurative e al disegno, e cominciò a scrivere versi di tonalità anacreontica, libertina e scherzosa.
    Alla rottura del breve idillio con Kathchen Schonkopf segui una fase di turbamento e agitazione; poi, col ritorno a Francoforte (1768), una pericolosa malattia. In quel difficile periodo Goethe venne in contatto con l'ambiente religioso dei pietisti, in particolare con Susanne von Klettenberg (alla quale si ispirerà nel "Meister" per il personaggio dell'"anima bella"), e si diede a letture alchimistiche ed esoteriche. Nel 1770 Goethe si recò a Strasburgo per finire gli studi. Vi ebbe la rivelazione dell'arte gotica che, di Shakespeare e di Ossian, soprattutto grazie all'amicizia con Herder, e si innamorò di Friederike Brion, figlia del pastore protestante di Sesenheim.
    La gioia e le tensioni di quell'amore, insieme alla partecipazione alla bellezza della natura, intesa come immediata vitalità, gli ispirarono alcune delle più belle liriche di questo periodo, mentre il sentimento di colpa seguito all'abbandono di Friederike diventerà, trasposto, quello di Faust verso Margherita.
    Nel 1771, a Francoforte, Goethe scrisse una prima versione (una seconda la pubblicherà nel 1773) del dramma "Gotz von Berlichingen" cavaliere dell'età della Riforma il cui ribellismo libertario esaltava i giovani scrittori dello Sturm und Drang. Di quegli anni (1771-75) sono anche i frammenti lirici di due drammi mai scritti, "Prometeo e Maometto", nei quali troviamo la coscienza orgogliosa della lotta e del dolore degli uomini e I'immagine della vita dell'umanità come acqua che scorre dalla sorgente al mare. Questo momento "titanico" di Goethe si espresse in inni scritti in ritmo libero; fra questi è il cosiddetto "Ciclo del viandante", composto fra il 1772 e il 1774, e concluso nel 1777, quando il poeta era già a Weimar, col "Viaggio d'inverno nello Harz".
    Tra il maggio e il settembre 1771 Goethe era stato a Wetzlar, praticante presso il tribunale. Là si era innamorato di Charlotte Buff. Di ritorno a Francoforte, traspose quell'amore irrealizzabile nel romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther". Il travolgente successo internazionale di quest'opera, e lo scandalo da essa suscitato, fecero di Goethe il dominatore incontrastato della scena letteraria tedesca. Entrò in rapporto con Klopstock, Lavater e i fratelli Jacobi, e si accostò al misticismo di Swedenborg e a Spinoza.
    Un nuovo amore (Lili Schònemann) ispirò a Goethe altre liriche, il dramma "Clavigo" (da un episodio della autobiografia di Beaumarchais), che ha come protagonista la figura del fidanzato infedele, e il "dramma per innamorati" "Stella", che tratta il tema scabroso del "doppio matrimonio". Nel 1775 viaggiò in Svizzera insieme ai fratelli Stolberg e si spinse fino al Gottardo, attirato dall'Italia. Tornato a Francoforte, ruppe il fidanzamento con la Schònemann.
    Nell'ottobre, il diciottenne duca di Weimar, Karl August, gli offrì il posto di suo precettore, carica che Goethe accettò.
    Aveva già scritto (dopo il 1772), e nel dicembre lesse alle dame di corte, un dramma su Faust: è il cosiddetto "Urfaust", il capolavoro dello Sturm und Drang, ritrovato nel 1887 fra le carte di una damigella che l'aveva copiato. Nelle linee principali la vicenda corrisponde a quella che sarà la prima parte del Faust definitivo: ci sono il dramma del mago e la tragedia di Margherita, espressi in un linguaggio duro e vibrante, soprattutto nelle scene in prosa, che la successiva rielaborazione in versi attenuerà in vista d'una diversa armonia.
    In seguito, si dedicò anche allo studio delle scienze, soprattutto mineralogia, botanica e ottica (la sua celeberrima e anti-newtortiana "Teoria dei colori" è l'opera a cui profuse la forze maggiori, con l'intento di farne il suo più importante capolavoro). Il primo decennio weimariano (1775-1786) è profondamente segnato dalla relazione amorosa e intellettuale, di reciproca educazione sentimentale, con Charlotte von Stein; con lei scambiò un memorabile carteggio, ne educò il figlio, le dedicò molte delle sue poesie più belle. In quegli anni Goethe continuò a lavorare al Faust, scrisse la prima versione del "Meister" ("La vocazione teatrale di Wilhelm Meister", anch'essa pubblicata dopo più di un secolo).
    Ben presto però anche Weimar gli sta stretta, nasce così l'idea di un viaggio in Italia, nato non tanto dal bisogno di un esteriore omaggio alla classicità (che per lui era la fusione tra natura e cultura), quanto da quell'immagine che lui perseguiva e che avrebbe rintracciato nella grecità e nella "naturalezza" italiana. Arrivato a Roma ne 1786, sente subito rinascere dentro di lui la volontà poetica, il desiderio di stendere versi sublimi che riportassero sulla pagine le sensazioni offerte dal Bel Paese. Visita dunque anche Palermo e Napoli, dove sale sul Vesuvio. Dirà ad Eckermann in un colloquio datato 6 ottobre 1829: "Non mi dispiace affatto che il dottor Gottling parli dell'Italia con tale entusiasmo. So bene anch'io quale era allora l'animo mio! Sì, io posso dire che solamente a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo".
    Il suo viaggio termina nel 1788. Tornerà ancora brevemente a Venezia nel 1790 e poi ancora definitivamente nella sua Weimar dove, separatosi da Charlotte, inizierà la sua vita con Cristiane Vulpius, anche se da questo momento in poi è forte la sua crisi nei confronti della società e dell'ambiente mondano. Da un altro vero, però, ha inizio il forte e straordinario sodalizio con Schiller, improntato ad un recupero, soprattutto da parte di Goethe di un nuovo e rinvigorito "Calssicismo". Con Schiller, inoltre, scriverà violenti epigrammi polemici ("Xenien"), oltre ad articoli e saggi su varie riviste.
    Nel 1809 pubblicò, per l'editore Cotta, "Le affinità elettive" e cominciò la sua autobiografia, "Della mia vita. Poesia e verità" (1831). Nel 1814, la lettura del "Divan dello scrittore persiano Hafiz" gli ispirò le poesie del "Divano occidentale-orientale" (1819). Negli ultimi anni la sua creatività raggiunse livelli altissimi: oltre a scrivere numerose recensioni, elegie, poesie, portò a termine il Meister e il Faust.
    Morì a Weimar il 22 marzo 1832.





    Certi libri sembrano scritti non perché leggendoli s'impari,
    ma perché si sappia che l'autore sapeva qualcosa.



    .....il Faust......



    Due testimonianze da chi ha conosciuto personalmente il personaggio storico di Faust:

    "Quell'uomo, del quale tu mi scrivi, che ebbe la sfrontatezza di definirsi principe dei negromanti, è un vagabondo, chiacchierone e giramondo, degno di essere frustato".
    Dalla lettera di un abate, 1507.

    "Otto giorni fa giunse a Erfurt un chiromante di nome Giorgio Faust, un vero e proprio spaccone, pazzo per giunta".
    Dalla lettera di un commerciante, 1513.

    Non sono dei ritratti molto lusinghieri che tracciano le fonti dell'epoca del personaggio storico di Faust. In verità, di lui si sa poco di sicuro. Georg (o Johann) Faust nasce nel 1480 a Knittlingen (Württemberg). Fa il maestro di scuola girando per tutta la Germania. Poi fa il mago, forse anche il medico e il barbiere (che nel '500 era spesso la stessa persona che, in caso di necessità, faceva anche il dentista) e il consigliere di varie corti. Viaggia sempre e opera incantesimi.Già quando era ancora in vita cominciarono a formarsi le leggende più avventurose intorno a lui ed è difficile separare verità e invenzioni. La voce che il diavolo lo accompagnava era molto diffuso. Le sue apparizioni suscitarono sempre paura, ma anche ammirazione. Faust muore attorno al 1540 a Staufen (Breisgäu).





    Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d'oro
    Un vento lieve spira dal cielo azzurro..Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
    Lo conosci tu bene?..Laggiù, laggiù..Vorrei con te, o mio amato, andare!



    ......viaggio in Italia..........



    Nel settecento il "turismo" come lo conosciamo oggi non esisteva. Viaggiare era pericoloso, i ladri erano sempre presenti nelle strade. Inoltre le carrozze facilmente si rompevano per il cattivo stato delle strade. Per i viaggi all'estero c'era un ulteriore problema: la lingua. Pochissimi sapevano una lingua straniera. I viaggi erano lenti e lunghi, in una settimana si riuscivano a fare forse 500-600 chilometri, e solo i più ricchi avevano i soldi per fare un viaggio così lungo.
    Era una piccola minoranza che viaggiava: nel medioevo c'erano i commercianti che lo facevano per necessità. Poi i pellegrini che andavano a Roma per ottenere l'indulgenza. E infine gli scrittori, i pittori e architetti che volevano imparare presso maestri stranieri o cercavano ispirazioni artistiche.

    Il viaggio di Goethe fu una specie di fuga. Il lavoro come ministro a Weimar aveva soffocato la sua creatività. Sentì la necessità di cambiare pelle. L'Italia era sempre stata il suo sogno, l'Italia classica della Magna Grecia e dei Romani. Tuffandosi in quell'ambiente classico sperava di poter rinascere come artista. Preparava questa fuga di nascosto, nessuno doveva sapere quando e per dove sarebbe partito. Il 3 settembre, alle tre di notte, partì con la carrozza della posta, senza salutare nessuno. All'inizio viaggiava sotto un falso nome, non voleva essere riconosciuto, voleva godersi l'Italia senza dover rendere conto a nessuno. Per molto tempo nemmeno sua madre e i suoi amici più stretti avevano notizie di lui.
    Quello che Goethe cercò in Italia non era tanto l'Italia di Michelangelo, di Leonardo, della grande pittura rinascimentale e barocca. Durante il primo soggiorno a Firenze si fermò per appena 3 ore, e a Roma, nella Cappella Sistina si annoiava e si addormentò. La situazione politica in Italia gli era del tutto indifferente. Giotto non lo vedeva e il grande architetto barocco Bernini, onnipresente a Roma, non lo nominava neanche una volta nel suo diario. Cercava l'antichità greca-romana e quando, a Verona, vide per la prima volta un monumento romano "dal vivo", cioè l'Arena, era felice. Una volta arrivato a Roma, si sentì subito a casa e si comportava come se non fosse mai vissuto da un altra parte.
    Il viaggio doveva durare alcuni mesi, alla fine erano quasi due anni. Più che un viaggio in Italia era una vita in Italia, e più si fermò, più si rilassò, più cominciò ad interessarsi anche della vita italiana. Goethe cambiò e si può notare un fatto curioso, ma piuttosto significativo: lui che in passato aveva scritto innumerevoli poesie d'amore e romanzi pieni di passione, solo qui, in Italia, a 37 anni, scopre l'amore, quello fisico, sensuale.
    Oltre a dipingere continuamente (portò a casa ca. mille disegni), ricominciò a scrivere e a diventare creativo. Il suo diario, pubblicato nel 1829, è un libro molto interessante, ma insolito. Non è tanto una descrizione del paese, piuttosto è una descrizione delle impressioni che riceveva dal paese e dalla gente, mescolata con riflessioni su arte, cultura e letteratura. Leggendo il libro si capisce più di Goethe che dell'Italia. Ma nonostante ciò e anche un libro sull'Italia, ma su un'Italia del tutto goethiana, è la sua Italia, un'Italia che nessun'altro poteva vivere così.



    "Oggi mi son dato alla pazza gioia, dedicando tutto il mio tempo a queste incomparabili bellezze. Si ha un bel dire, raccontare, dipingere; ma esse sono al disopra di ogni descrizione. La spiaggia, il golfo, le insenature del mare, il Vesuvio, la città, i sobborghi, i castelli, le ville! Questa sera ci siamo recati alla Grotta di Posillipo, nel momento in cui il sole, passa con i suoi raggi alla parte opposta. Ho perdonato a tutti quelli che perdono la testa per questa città e mi sono ricordato con tenerezza di mio padre, che aveva conservato un'impressione incancellabile proprio degli oggetti da me visti oggi per la prima volta."


    "È questa la terza opera degli antichi che ho innanzi a me e di cui osservo la stessa impronta, sempre grandiosa: l'arte architettonica degli antichi è veramente una una seconda natura, che opera conforme agli usi e agli scopi civili. È così che sorge l'anfiteatro, il tempio, l'acquedotto. E soltanto adesso sento con quanta ragione ho sempre trovato detestabili le costruzioni fatte a capriccio [...]. Cose tutte nate morte, poiché ciò che veramente non ha in sé una ragione di esistere non ha vita e non può essere grande, né diventare grande."



    "Roma è la capitale del mondo! In questo luogo si riallaccia l'intera storia del mondo, e io conto di essere nato una seconda volta, d'essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede a Roma. Le sue bellezze mi hanno sollevato poco a poco fino alla loro altezza.
    Si trovano a Roma vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo tali, che superano l'una e l'altro, la nostra immaginazione.
    Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma."





    Io chiamo l'architettura musica congelata.
    (J.P. Eckermann, Conversazioni con Goethe)




    .....una poesia....



    Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
    E via! Con l'impeto dell'eroe in battaglia.
    La sera cullava già la terra, e sui monti si posava la notte;
    se ne stava vestita di nebbia la quercia, gigantesca guardiana, là
    dove la tenebre dai cespugli con cento occhi neri guardava.

    Da un cumulo di nubi la luna sbucava assonnata tra le nebbie;
    i venti agitavano le ali sommesse, sibilavano orridi al mio orecchio;
    la notte generava migliaia di mostri, ma io mille volte più coraggio avevo;
    il mio spirito era un fuoco ardente, il mio cuore intero una brace.

    Ti vidi, e una mite gioia passò dal tuo dolce sguardo su di me;
    fu tutto per te il mio cuore, fu tuo ogni mio respiro.
    Una rosea primavera colorava l'adorabile volto,
    e tenerezza per me, o numi, m'attendevo, ma meriti non avevo.

    L'addio, invece, mesto e penoso. Dai tuoi occhi parlava il cuore;
    nei tuoi baci quanto amore, oh che delizia, e che dolore!
    Partisti, e io restai, guardando a terra, guardando te che andavi, con umido sguardo;
    eppure, che gioia essere amati, e amare, o numi, che gioia!





    «Guglielmo, che cos’è mai il nostro cuore senza l’amore! È come una lanterna magica senza lume! Basta che tu ci metta dentro la piccola lampada, e ti appaiono le più belle immagini sullo schermo bianco. Anche se non sono fuggevoli fantasmi, ci danno tuttavia la felicità, quando stiamo lì davanti come ragazzi, estatici per le meravigliose apparizioni. […] Guglielmo, sono fantasmi se sono la felicità? »

    « Ho tante cose, e il sentimento per lei le assorbe tutte; ho tante cose, e senza lei tutto mi è nulla. Se non sono stato almeno cento volte sul punto d’abbracciarla! Lo sa Dio onnipotente quel che deve provare uno che si vede passare e ripassare davanti tanta delizia, e non gli è permesso afferrare; eppure afferrare è l’impulso più naturale dell’umanità. I bambini non allungano la mano verso tutto quello che colpisce i loro sensi? E io? »
    I dolori del giovane Werther





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  2. gheagabry
     
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    Verona, 16 settembre 1786

    << Son salito sull'orlo dell'anfiteatro, che ha l'aspetto di cratere, nell'ora del tramonto e ho goduto la vista più deliziosa sopra tutta la città e dintorni. Ero perfettamente solo, mentre in basso, sul largo marciapiede di Piaza Bra, una folla di uomini di tutte le condizioni e di donne del ceto medio andavano a spasso. Quest'ultime con le loro sopravesti nere, vedute così a volo d'uccello parevano altrettante mummie...Quest'oggi, al mio ritorno dall'Arena,mi sono imbattuto a qualche migliaio di passi da lì, in uno spettacolo pubblico di genere nuovo. Erano quattro gentiluomini di Verona che giocavano a pallone contro quattro di Vicenza. A questo gioco si divertono qui tutto l'anno, per circa due ore prima di notte. Questa volta c'era molto concorso di popolo per esser gli avversari forestieri. Vi saranno stati non meno di quattro o cinquemila spettatori. Donne non ne ho viste, di nessun ceto.>>

    Goethe è affascinato da Verona; si aggira per le vie della città con l'entusiasmo di un bambino, godendo i colori e i suoni che scandiscono ovunque i ritmi della vita quotidiana. Mentre passeggiamo sottobraccio, ogni tanto si ferma , di colpo, attratto dagli abiti dei passanti, chiede informazioni alla nostra guida circa i nomi dei costumi..li ripete più volte sorridente:- Io non intraprendo questo viaggio per ingannarmi - mi dice con tono sommesso - bensì per imparare a conoscere me stesso...- e ribadendo la sua impreparazione nel valutare un'opera d'arte, rimarcando il suo approccio unicamente sensoriale con il Bello, mi conduce al nostro primo appuntamento con la pittura: la Chiesa di San Giorgio, vera e propria pinacoteca, ricca di pale d'altare, dove spiccano Felice Ricci, Francesco Caroto, Paolo Farinati: il fiore del Rinascimento veronese. Usciamo all'aria aperta, mentre Goethe ancora mi confessa di non apprezzare il tema di alcuni dipinti appena veduti:- Ma quei poveri diavoli di artisti che cosa han dovuto dipingere e per chi? - Solo l'abilità dei pittori lo convince a lasciarsi coinvolgere dall'armonia dei colori e delle forme. La nostra passeggiata pittorica prosegue fino al Duomo dove, dopo uno sguardo ammirato d'insieme, ci dirigiamo senza indugio verso la grande Pala del Tiziano, L'Assunzione di Maria, i cui colori sono piuttosto offuscati dal tempo. Goethe mi rivela, quasi bisbigliando, di essere molto colpito dalla posizione in cui Tiziano ha immortalato la Vergine; in particolare l'inclinazione del capo di Maria rivolto non al cielo, come si vede nella maggior parte dei dipinti a questo tema, ma piegato verso il basso, con grazia, quasi a voler sottolineare la costante attenzione della Madre di Cristo per l'umanità intera.
    Il suono dei nostri passi accompagna la nostra uscita dal Duomo, passeggiamo ancora, mentre sta per scendere la sera; Goethe si guarda attorno con meraviglia ed eccitazione, non ancora abituato a vedere le vie riempirsi di vita col calare delle ombre notturne. Mi parla del suo Paese, di come i giorni e le notti siano scanditi da altri suoni, più silenziosi e cupi, ovattati dalla nebbia; mi mostra un foglietto, su cui ha annotato in forma di schema un metodo per contare le ore all'uso italiano, tenendo conto della luce..dei rintocchi delle campane: circolo comparativo dell'ora tedesca ed italiana, così lo ha chiamato...mi lascio trascinare nella sua lunga e complessa spiegazione con gioia, domani proseguiremo la nostra passeggiata pittorica, intanto intorno a noi le prime carrozze incrociano i passanti che rientrano dal lavoro alle loro case..la vita gioiosa ci circonda e noi ci lasciamo catturare dalla dolcezza di questa sera settembrina..a Verona.



    Verona........lascerò con un velo di triste nostalgia questa splendida città. L'ho attraversata con Goethe, passeggiando lungo le sue vie, osservando la gente che per le strade trascorre tutta la giornata, lavorando o divertendosi con poco. Camminando in mezzo a questa varia umanità di ogni ceto sociale, ho goduto dei commenti del mio compagno di viaggio, che sta diventando sempre di più la mia guida. E' proprio dal suo entusiasmo che mi lascio guidare; lascio che siano la sua passione per l'arte e la sua curiosità a condurmi e sui suoi passi tutto assume nuovi contorni, nuovi colori illuminano le scene cittadine...ho la sensazione di passeggiare in un dipinto di genere.
    Questa mattina Goethe mi aspettava sulla porta della locanda, impaziente di terminare la visita alle raccolte d'arte della città; indossava un paio di scarpe basse, al posto degli stivali di notevole fattura che porta di solito; accortosi del mio sguardo interessato, dopo avermi dato il braccio ed esserci incamminati verso la Galleria Gherardini, mi ha confessato che i suoi amati stivali erano stati per lui motivo di riflessione sul carattere dei veronesi <<...benché attenda con molta negligenza ai fatti suoi, il popolo bada però con occhio acuto ai fatti altrui. Così ho potuto notare fin dai primi giorni che tutti osservavano attentamente i miei stivali, non essendo qui l'uso di portarli nemmeno nell'inverno, quasi una calzatura di troppo lusso. Adesso invece che porto scarpe basse, nessuno mi bada più. Ma ho notato con sorpresa che stamane, di buon'ora, mentre la gente andava e veniva con fiori, legumi, agli e non so quali altri prodotti del mercato, non mancava di osservare un ramoscello di cipresso che io tenevo in mano.>> Intanto siamo giunti alla galleria Gherardini, entrarvi è come un viaggio nel viaggio: Goethe si entusiasma di fronte ai dipinti dell'Orbetto, mi dichiara sottovoce, con il garbo che sempre dimostra di fronte all'Arte, il suo amore per i pittori minori, che sta scoprendo proprio in questo itinerario italiano. Definisce il patrimonio artistico italiano un cielo stellato in cui, a mano a mano che ci si avvicina << incominciano a brillare anche gli astri di seconda e terza grandezza, e ad uno ad uno tutti si presentano come facenti parte dell'intera costellazione, allora il mondo ci appare più grande e l'arte più ricca.>> Sorrido, estasiata dalla delicatezza delle sue parole, ma lui già mi sospinge dolcemente verso una tela che lo ha colpito particolarmente: raffigura Sansone addormentato in grembo a Dalila, la quale con soave fermezza accenna il gesto di afferrare le forbici, poste su un tavolo lì accanto, per compiere il tanto sospirato taglio delle chiome. Da una finestra aperta si sente il brusio della gente in strada aumentare d'intensità, voci impazienti di donne richiamano bambini scalzi e scalmanati, gli ultimi venditori stanno per ripartire coi loro carretti quasi vuoti...campane insistenti portano il mezzogiorno tra le tele della Galleria; usciamo nel sole, appagati dalla visione di tutti quei capolavori e il mio compagno mi annuncia esultante che nel pomeriggio andremo a visitare il Palazzo Bevilacqua...spero vivamente in un pranzo abbondante.
    Nel silenzio del primo pomeriggio il cinquecentesco Palazzo ci accoglie, mostrandoci i suoi tesori. Goethe è impressionato dalla tela dipinta ad olio dal Tintoretto, intitolata "Il Paradiso". Percorre incessantemente la sua lunghezza, di oltre tre metri, osservandone attentamente i particolari, poi si allontana per godere di una veduta d'insieme e nuovamente si avvicina, attirato da una figurina laterale: nel rivelarmi che si tratta di Eva, mi confessa di considerarla la più bella figura di tutto il dipinto e aggiunge <<...certo, per ammirare tutto questo e per provare una vera gioia, bisognerebbe possedere il quadro e tenerlo innanzi agli occhi tutta la vita.>>



    Anche i busti piacciono molto al mio compagno di viaggio e qui ne possiamo ammirare una bella collezione, non posso trattenere una risata quando egli commenta il restauro effettuato sui nasi di alcune teste di imperatori romani... Nel lasciare il Palazzo Bevilacqua, di cui Goethe mi fa apprezzare l'elegante architettura, continuiamo a commentare i ritratti del Veronese che abbiamo potuto ammirare nella quadreria. Usa il sostantivo "venerazione", per descrivere ciò che prova davanti ad un capolavoro di questo grande pittore manierista e nel farlo il suo viso si illumina per l'entusiasmo, i suoi occhi brillano come pervasi da un piacere intenso e conosciuto. Probabilmente è la mia espressione piacevolmente sorpresa che lo spinge a sussurrarmi <<venerare con piacere, anzi con gioia il grande ed il bello è nella mia indole; e il potere di educare questa mia inclinazione naturale al cospetto di così splendide opere d'arte, giorno per giorno, di ora in ora, è la più deliziosa di tutte le sensazioni.>> Poi, nuovamente sottobraccio, riprendiamo a passeggiare. La sera è scesa sulla città quando rientriamo alla locanda, lasciando le vie che si riempiono nuovamente di gente per il divertimento serale. Ci salutiamo augurandoci la buonanotte: ceneremo nelle nostre stanze come ogni sera e poi riposeremo, perchè Goethe è molto mattiniero e la partenza per Vicenza è prevista per le prime luci dell'alba. Chiudo a chiave la porta della mia camera e tolgo le scarpe: i miei piedi sono stanchi e doloranti. Esco sul balcone per ammirare ancora una volta la bellezza di Verona; da dove mi trovo posso vedere la finestra della camera del mio compagno di viaggio, illuminata ancora dalla luce delle candele che proiettano l' ombra di Goethe, tremula ma immobile, sulla parete. Intuisco che probabilmente sta scrivendo il suo diario, come ogni sera, raccogliendo le impressioni che questa città bellissima gli ha suggerito: i capolavori dei grandi Maestri e dei minori, gli scorci pittoreschi pieni di vita, le splendide architetture dei palazzi dagli eleganti porticati, purtroppo quasi sempre invasi da immondizia e usati dal popolo per scopi non propriamente nobili...e i magnifici cipressi plurisecolari del giardino Giusti, sotto i quali Goethe mi ha raccontato dei giardini del suo Paese, dove i cipressi non si trovano e sono sostituiti dai tassi, potati a punta per imitarne la svettante eleganza. Rientro e chiudo le imposte, domani proseguiremo il nostro meraviglioso viaggio, buonanotte Verona......



    Brani tratti da
    Viaggio in Italia
    1786-1788
    di Johann Wolfgang Goethe
    nella traduzione di Eugenio Zaniboni
     
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  3. gheagabry
     
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    27 settembre 1786

    E' da poco sorto il sole , quando il locandiere mi avvisa , con un brusco bussare alla porta , che la mia carrozza per Padova è arrivata. Ieri sera il vetturino ci avvisò che solo un posto era disponibile su quella carrozza e Goethe , da vero gentiluomo , si affrettò a dirmi che proprio quello sarebbe stato riservato a me. A nulla servì la mia insistenza nel chiedergli di lasciarmi partire con lui: avrebbe lasciato Vicenza circa due ore dopo di me, viaggiando su una "sediola", una piccola carrozza ad un posto non proprio comodissima. Mentre scendo le strette scale della locanda, il mio pensiero non può che andare con immediata nostalgia al nostro soggiorno in quella bellissima città; ma Goethe, che mi aspetta sulla porta della locanda, non mi lascia il tempo di essere malinconica e incalzandomi dolcemente mi sospinge verso la carrozza, raccomandandomi di non dimenticare l'indirizzo della libreria di Padova dove fra circa sei ore ci ritroveremo. Incrocio il suo sguardo sorridente, mentre la carrozza parte, lo saluto con la mano......ho la gola stretta dall'emozione per quella inaspettata separazione dal mio adorato compagno di viaggio, ma il suo sorriso e lo sguardo fermo con cui segue la carrozza in partenza sono per me il più consolatorio degli abbracci.

    Mentre mi aggiro tra i volumi della libreria, legati e disposti tutto attorno, ascolto le conversazioni della gente che entra ed esce in continuazione dalla bottega. Goethe mi aveva descritto molto bene l'atmosfera delle librerie italiane, frequentate da persone di varia estrazione culturale: ecclesiastici, nobili, artisti...... Finalmente il mio compagno di viaggio fa il suo ingresso e mi raggiunge con passo frettoloso. Dopo avermi salutato con la consueta galanteria mi porta verso il tavolo oltre il quale il padrone della bottega serve i suoi clienti. La richiesta di Goethe di un libro sul Palladio cattura subito l'attenzione dei presenti e in men che non si dica siamo circondati da volti sorridenti e incuriositi, avvolti dal calore della cortesia italiana. Credendo Goethe un architetto, si complimentano con lui per la scelta di studiare un così grande Maestro. Goethe ne approfitta per farsi dare alcune indicazioni sui monumenti della città e quando usciamo dalla bottega è ormai tardo pomeriggio. Goethe mi propone una pausa e davanti ad una tazza di cioccolata mi racconta finalmente il suo viaggio solitario fino a Padova.

    "E' un tratto che si percorre comodamente in tre ore e mezzo; ma volendo godere all'aria aperta della bellissima giornata, non mi fece per nulla dispiacere che il vetturino fosse in ritardo. Si attraversava una pianura fertilissima, sempre verso sud - est, fra siepi ed alberi, senza veder nient'altro finché si scorgono finalmente, a man destra, i bei monti che si protendono dall'est a sud: La quantità delle piante e della frutta, su tutti quegli alberi, lungo i muri e dietro le siepi, non si descrive. Vi sono delle zucche che opprimono i tetti, mentre i più meravigliosi poponi pendono dalle assicelle e dalle spalliere." Mentre lo osservo, raggiante nel descrivermi le sue sensazioni, mi prende la mano e mi conduce fuori all'aria aperta :- Vieni - mi dice sorridendo - ti porto all'Osservatorio dell'Università; lì potremo godere di una vista davvero unica sulla città - e così dicendo si dirige verso la carrozza che ci aspetta. Dall' Osservatorio ammiriamo un panorama mozzafiato :- ...... a nord le montagne del Tirolo, coperte di neve e mezzo nascoste dalle nubi; a nord - ovest le vicentine, che vi si addossano; infine verso ovest e più da vicino, i monti di Este dei quali si può nettamente distinguere la struttura e le sinuosità. Verso sud - est non è che tutto un mare di verzura senza traccia di colli; alberi sopra alberi, cespugli sopra cespugli, piante sopra piante, case bianche a non finire, ville e chiese che occhieggiano tra il verde." Seguo con lo sguardo il gesto disteso con cui il mio compagno di viaggio indica le varie direzioni, poi con sorpresa e meraviglia, mi soffermo su alcuni campanili in lontanaza, fra questi si distingue benissimo la sagoma inconfondibile del campanile di San Marco: Venezia è una promessa deliziosa nella luce argentata della sera.



    Brani tratti da
    Viaggio in Italia
    1786-1788
    di Johann Wolfgang Goethe
    nella traduzione di Eugenio Zaniboni

    Edited by gheagabry - 18/6/2011, 13:54
     
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  4. gheagabry
     
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    Il canto di Mignon

    Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni
    Nel verde fogliame splendono arance d'oro
    Un vento lieve spira dal cielo azzurro
    Tranquillo è il mirto, e sereno l'alloro
    Lo conosci tu bene?
    Laggiù, laggiù
    Vorrei con te, o mio signore, andare!
    Conosci tu la casa? Su colonne riposa ilsuo tetto
    La sala splende, rifulgono le stanze,
    Statue di marmo immobili mi guardano:
    Ma a te, povera bimba, cosa hanno fatto?
    Lo conosci tu bene?
    Laggiù, laggiù
    Vorrei con te, mio signore, andare!
    Conosci il monte, il sentier che gira nelle nuvole?
    Cerca il mulo la strada nella nebbia
    Nelle rotte si cela la stirpe dei draghi
    La roccia precipita, su di essa il torrente:
    Lo conosci tu bene?
    Laggiù, laggiù
    Porta il sentiero, signore, andiamo!

    J. W. Goethe

     
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  5. gheagabry
     
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    Vicenza, 19 settembre 1786

    Non dimenticherò mai la via che da Verona ci ha condotti qui, a Vicenza, molte circostanze me la rendono indimenticabile, non ultima l'averla percorsa insieme ad un compagno di viaggio entusiasta e colto qual è il mio adorato Goethe. Dal momento della partenza e per tutto il tragitto egli ha annotato, con il consueto acutissimo spirito di osservazione, ogni cambiamento del paesaggio, ogni sfumatura di colore e profumo nella vegetazione abbondante, sottolineando ogni momento, con passione e ammirazione per tutto ciò che è espressione di italianità. Goethe ama davvero l'Italia; il suo sguardo, così preciso e puntuale, non scruta i dintorni con la severità critica di uno straniero in viaggio, ma anzi accarezza dolcemente, direi amorevolmente, il profilo dei contrafforti sabbiosi e calcarei che scorrono a sinistra insieme ai monti, le file di alberi lungo la strada ampia e battuta, la colorata e vociante presenza dei contadini e della gente di ogni sorta che incontriamo lungo la strada. Seduto di fronte a me nella piccola carrozza che ci ospita, Goethe non smette di attirare la mia attenzione su tutto ciò che ci circonda con esclamazioni di meraviglia, o con un lieve tocco della mano sul mio braccio appoggiato al finestrino: gesto tanto inconsueto per un uomo del nord quanto lusinghiero ai miei occhi, perché da questo intuisco il piacere sincero che egli prova nel dividere con me questa avventura italiana. Ecco i paeselli e i casolari sparsi sulle colline ai piedi dei monti; ecco la vasta pianura a destra e le lunghe file di alberi cui si aggrappano i tralci delle viti; ecco il profumo dell'uva matura, il suono chiassoso della strada piena di gente, i carri che trasportano i tini vuoti pronti per la vendemmia, dall'interno dei quali i carrettieri guidano il tiro a quattro dei buoi, strappando a Goethe esclamazioni di piacevole sorpresa e pittorici paragoni a visionari trionfi di Bacco.



    Ormai non mi stupisco più della grande vitalità di Goethe. Dopo un viaggio sufficientemente comodo ma molto intenso e fitto di novità, speravo candidamente in un meritato riposo, ma circa mezz'ora dopo il nostro arrivo a Vicenza un leggero bussare alla porta della mia camera mi avvisa che Goethe mi sta aspettando da basso. Lo raggiungo e scendendo i gradini lo vedo sorridente, ai piedi della scala che porta alle camere della locanda, il viso acceso dall'entusiasmo di essere giunto qui, nella città dove la sua Mignon canterà i fiori di limone. Ha tra le mani un libricino rilegato, che agita nel salutarmi: è un volumetto corredato di incisioni, che guida i visitatori all'incontro con le bellezze artistiche di Vicenza; a Goethe sembra molto interessante e me lo mostra soddisfatto, mentre a passi lesti ci dirigiamo verso l'uscita. Vicenza ci accoglie con i suoi colori, ma Goethe non ha che un nome in mente e i suoi occhi sono brillanti come stelle quando sorridendo lo pronuncia: Andrea Palladio...<< ...un uomo straordinario, sia per quello che che ha sentito in sé, sia per quello che ha saputo esprimere fuori di sé >>. Ammiriamo il Teatro Olimpico, ultima grande opera del Maestro, terminata dopo la sua morte dall'architetto Vincenzo Scamozzi; la vista delle costruzioni palladiane in città spinge Goethe a numerose riflessioni sulla difficile convivenza di tali capolavori con altre brutture sorte al loro fianco. Non manca di notare quanto l'edilizia dimentichi spesso e volentieri il suo legame con la madre architettura e indulga facilmente nell'accontentare le spesso assurde richieste dei ricchi committenti, a scapito della Bellezza e delle preziose regole della grammatica architettonica. Rientriamo dalla passeggiata giusto in tempo per cenare; più tardi avremo l'occasione di ammirare con tutta calma l'interno del Teatro Olimpico, con le sue splendide scene lignee d'epoca rinascimentale, potremo godere la bellezza delle sue architetture ascoltando "Le tre Sultanine" e "Il Ratto dal serraglio" di W. A. Mozart. Per la prima volta ceniamo da basso, nel brusio contagioso degli altri avventori; Goethe mi sorride, sollevando il bicchiere che ha appena accolto il profumato vino dei colli vicentini: ricambio volentieri il suo sorriso e unisco il mio bicchiere al suo nel brindisi...il suono cristallino del vetro lucente mi sembra un anticipo di mozartiane armonie.




    Brani tratti da
    Viaggio in Italia
    1786-1788
    di Johann Wolfgang Goethe
    nella traduzione di Eugenio Zaniboni
     
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  6. gheagabry
     
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    Johann Wolfgang von Goethe e il Ginkgo



    Il 15 settembre 1815, un venerdì, è un giorno speciale per gli ammiratori di Goethe, perché in questo giorno Goethe
    regalò a una donna amata, Marianne Willemer, una foglia di Ginkgo. Il luogo è il Mulino dei Conciatori, una piccola tenuta nei dintorni di Francoforte, rifugio estivo dalla famiglia Willemer. Goethe, che è originario di Francoforte, si trova qui, ospite del suo amico Johann Jakob Willemer.
    Willemer, nato nel 1760, è Consigliere Segreto e Senatore, figlio ed erede di un ricco banchiere di Francoforte. Nel 1792 conduce le trattative con le truppe della Rivoluzione francese, che occupano Francoforte e pretendono grandi contributi dalla libera città imperiale. Il suo destino personale è segnato da molte perdite: a sette anni perde il padre, la sua prima mogliemuore dopo la nascita del quarto figlio e anche la seconda moglie non sopravvive alla nascita del secondo figlio. Quarantenne, Willemer è vedovo per la seconda volta con i suoi figli ancora piccoli e senza mamma. Trova conforto soprattutto nel teatro e si diletta come scrittore. Nel 1798 Willemer viene eletto nella Commissione per il Teatro della città di Francoforte, dove, per primo, si adopera con successo per creare agli attori e agli artisti un’assicurazione per la vecchiaia. Proprio in quell’anno, nel novembre 1798, una ragazza quattordicenne, Marianne Jung e sua madre, con una coppia di ballerini, arrivano a Francoforte da Vienna e Marianne recita regolarmente come attrice giovane, cantante e ballerina al Teatro Nazionale. La madre di Goethe, un’appassionata frequentatrice del teatro, la vede nel ruolo di un Arlecchino che sguscia fuori da un uovo, e ne è incantata. Anche il giovane poeta Clemens Brentano si entusiasma subito di lei. Naturalmente anche Johann Jakob Willemer, allora soprintendente del teatro, si accorge subito della giovane artista di bell’aspetto con occhi ardenti. Nella primavera del 1800 Willemer ospita la giovane artista di 15 anni e mezzo nella sua casa borghese come pupilla, dove viene educata insieme ai suoi quattro figli. In compenso la madre di Marianne riceve una somma di 2000 fiorini d’oro e una rendita vitalizia e ritorna a Linz, il suo paese. A un primo sguardo una simile offerta può sembrare sorprendente. Ma se si pensa alla situazione estremamente insicura degli attori in quei tempi, per non parlare della loro fragile posizione sociale, si può comprendere come la madre, priva di mezzi, veda nell’offerta di Willemer una possibilità di assicurare il futuro alla figlia naturale Marianne.



    La giovane ora impara latino, italiano e francese, riceve lezioni di canto e pianoforte e anche di disegno, ed essa anima la casa Willemer con la sua serenità e col suo buon umore. Clemens Brentano, il giovane poeta, le dà lezioni di chitarra, si innamora di lei e probabilmente Marianne anche di lui, ma Willemer lo scaccia geloso dalla casa. Marianne ora ha 18 anni, una bellissima voce e suona benissimo la chitarra. Willemer, ora 42enne, la corteggia lui stesso. Continua ad occuparsi della sua istruzione (ma non intraprende nulla per la sua carriera teatrale), viaggia con lei in Svizzera ed in Italia. Lei diventa la sua compagna e questo viene notato come scandalo nell’alta borghesia di Francoforte.
    E Goethe? Il poeta concittadino, ormai Consigliere Segreto e Ministro del duca di Sassonia-Weimar vive da decenni a Weimar e nell’estate 1814 ritorna per la prima volta dopo 17 anni nella sua patria. Solo dopo la vittoria degli eserciti alleati sulle truppe di Napoleone nella battaglia di Lipsia Goethe può rivedere la sua città nativa. Qui a Francoforte vuole far visita agli amici e iniziare una cura termale nella vicina Wiesbaden. Ha 65 anni, ancor sempre un aspetto imponente, è il poeta e pensatore più importante della Germania, un uomo di scienza e spirito universale, la cui compagnia e amicizia è ricercata nei circoli colti tedeschi. Da qualche tempo si occupa dell’Oriente e della sua letteratura, affascinato dalla poesia ricca di immagini, sensuale e simbolica.
    Conosciamo generalmente poco della letteratura orientale; però un libro orientale di poesia d’amore, il Cantico dei Cantici del re Salomone, fa parte del patrimonio europeo perché è stato accolto nel Vecchio Testamento è come tale ha lasciato tracce profonde nella teologia e liturgia della chiesa cristiana. L’editore di Goethe, Johann Friedrich Cotta di Stoccarda, gli aveva regalato una raccolta di liriche persiane, appena comparse per la prima volta in traduzione tedesca. Questa raccolta di poesie del poeta persiano Hafis, vissuto 500 anni prima di Goethe, lo incanta subito. Goethe è affascinato dalla spiritualità di Hafis, dalla sua forza di amare e di vivere, dalla sua sensualità, e ammira la maestria dei suoi versi. Catturato da questa scoperta letteraria e nutrito di questo spirito, trova
    una nuova vena poetica: è l’inizio della sua grande opera, il Divano occidentale orientale (West-östlicher Divan). Con Divano però non si intende un mobile per riposare, è anche il termine arabo per Raccolta di poesie!
    Tale esperienza interiore sprona Goethe a lasciare l’angusta residenza sassone nel luglio 1814. È un ritorno alla città della sua giovinezza, ma nello stesso tempo - dopo un periodo di depressione - desidera liberarsi, consapevole di un rinnovarsi della sua forza poetica. E, quasi presagendo il futuro, nel primo giorno di viaggio scrive:

    Vegliardo vispo, non devi dunque addolorarti,
    i tuoi capelli sono bianchi - ma amerai!




    Quando Johann Jakob Willemer viene a sapere del soggiorno di Goethe a Wiesbaden, prima meta del suo viaggio,
    coglie l’occasione per fargli visita nella località termale gli presenta anche la sua compagna Marianne.
    Una settimana più tardi Goethe ricambia la visita andando a trovare la coppia al Mulino dei Conciatori vicino a
    Francoforte. Marianne mostra apertamente la sua ammirazione per il grande poeta, e non nasconde certo anche un
    nascente intenso sentimento. La giovane trentenne convive ormai da 12 anni more uxorio con Willemer, di 24 anni più anziano di lei. Una situazione che Goethe conosce bene per esperienza personale ma specialmente ricorda le conseguenze sociali di un tale comportamento. Goethe stesso aveva sposato Christiane Vulpius solo dopo una convivenza di 18 anni. Probabilmente è stato lo stesso Goethe a consigliare al suo amico Willemer di legalizzare il rapporto, visto che il matrimonio si celebra precipitosamente, senza pubblicazioni e senza poter presentare l’atto di nascita di Marianne, il 27 settembre 1814, sei settimane dopo la visita di Goethe al Mulino dei Conciatori. Forse Willemer intuisce una reciproca attrazione tra Marianne e Goethe.
    Nell’ottobre 1814 Goethe è di nuovo a Francoforte, si trattiene nove giorni e quasi ogni sera, con amici o anche da solo, si reca al Mulino dei nuovi sposi Willemer. Questi amichevoli incontri finiscono il 20 ottobre, quando Goethe ritorna a Weimar.
    Cosa era successo in quei giorni, durante quelle visite?
    Dalle annotazioni sul suo diario, dalle sue lettere e da ciò che riferiscono i suoi amici, sappiamo che Goethe traendo
    come molti altri poeti forza creatrice dal contatto con la natura, si era trovato benissimo in questo posto tranquillo, sereno, alle porte di Francoforte. Gusta la casa, il giardino e il piccolo parco, la vista sul paesaggio ameno scorso dal fiume, i tramonti e il cielo stellato nella notte. E gode la compagnia degli amici e specialmente di Marianne. Le racconta di Hafis, il poeta persiano, e le legge naturalmente anche le proprie poesie. Chiama il suo progetto “Divan” proprio nel senso del poeta persiano da lui ammirato e la sua intenzione è “connettere in modo sereno l’Occidente con l’Oriente, il passato e il presente, il persiano e il tedesco…”
    Quel soggiorno in patria lontano dagli obblighi della corte di Weimar è un ozio letterario. Lavora con disciplina di mattina, e solo nel pomeriggio si unisce agli amici. A Francoforte e specialmente al Mulino, che conosceva già da quando a 25 anni corteggiava Lili Schoenemann (Marianne a quel tempo non era nemmeno nata), i ricordi di gioventù rivivono in lui e i fili della sua vita si riallacciano.È un’atmosfera intellettualmente stimolante, serena e creativa, che lo spinge a una prolifica produttività artistica. E questa creatività viene nutrita da un’importante componente che possiamo definire erotica. Quando tutti insieme il 18 ottobre 1814 guardano i fuochi d’artificio per la ricorrenza della battaglia di Lipsia, il 65enne poeta, ricco di esperienze di vita e di amori, viene colpito da un’occhiata ardente della giovanne Marianne, che non rimarrà senza conseguenze. Il giorno successivo, come annota nei suoi diari, fa ancora una volta visita a Marianne, poi, dopo un’assenza di tre mesi, ritorna a Weimar, ai suoi uffici e alla moglie malaticcia Christiane. Nei mesi successivi Goethe e Marianne mantengono un rapporto complicato, da cospiratori, grazie ad amici, a Rosine, la figliastra della stessa età di Marianne e a lei profondamente legata, persino grazie ad allusioni nelle lettere di Goethe a Willemer.
    Marianne risponde in modo intelligente e pieno di spirito con lettere cifrate, con riferimenti a poesie di Goethe e al poeta persiano Hafis. È l’inizio di un gioco poetico tra due amanti il cui amore non deve venire allo scoperto. Per Goethe, che chiama Marianne “cara piccola”, è successo quello cui intimamente tendeva dalla sua partenza da Weimar alla fine di luglio: una vera cura di ringiovanimento. Molti anni più tardi, nel 1828, in un colloquio con il suo segretario privato e confidente Johann Peter Eckermann, dice di aver vissuto questo periodo come una temporanea gioventù, come una nuova pubertà! Nell’inverno 1814 e nella primavera 1815 Goethe si dedica ai suoi studi sull’Oriente e nel contempo la sua raccolta di poesie diventa il Divano.



    Non era mai stato così produttivo. Nella primavera del 1815 Willemer invita nuovamente Goethe e gli scrive: “se è stanco del sole e del lavoro, mia moglie le canterà dei suoi lieder”. Ed effettivamente Goethe il 24 maggio 1815 intraprende un nuovo viaggio nella soleggiata regione di viticoltura fra Meno e Reno.
    Già per strada viaggiando in diligenza e poi a Wiesbaden nascono molte poesie destinate al Libro dell’amore e al Libro Suleika del suo Divano. Suleika, questo è il nome poetico destinato a Marianne, lui stesso diventa Hatem, il non più giovane amante di Suleika nelle poesie di Hafis.
    Goethe rivede Marianne però solo in piena estate quando il 12 agosto arriva al Mulino dei Willemer. È l’inizio di quelle sei settimane che il poeta definirà più tardi come il più bel periodo della sua vita. Accompagnato dal suo giovane amico Sulpiz Boisserée, l’erudito antiquario di Colonia, si sente viziato da Marianne e l’atmosfera di serena villeggiatura lo incanta di nuovo.
    Marianne canta spesso e si accompagna con una chitarra napoletana. Si gusta il soggiorno in campagna, come l’anno precedente e di sera la compagnia e i colloqui con gli amici. A volte Goethe legge le poesie composte durante il giorno: nelle voci di Hatem e Suleika si esprime la segreta intesa fra Marianne e Goethe. Cade in questo periodo di fine estate il compleanno del poeta (nato il 28 Agosto 1749) che viene onorato con una grande festa al Mulino. Trenta poesie d’amore composte in un brevissimo arco di tempo sono a testimonianza dei sentimenti intensi vissuti dal poeta in questi giorni.
    Non conosciamo il grado della intimità di Goethe e Marianne, entrambi hanno sempre custodito il loro segreto. Ma
    ovviamente nasce una tensione erotica tra i due, poiché Goethe, all’inizio di settembre, decide di trasferirsi nell’abitazione di città dei Willemer, a Francoforte. Lontano da Marianne si può dichiarare senza equivoci e il 12 settembre le invia i versi seguenti:


    L’occasione non fa il ladro
    Il grande ladro è lei,
    perché ha rubato quel po’ d’amore
    che ancora in cuore mio restava.
    Lo ha consegnato a te
    tutto il guadagno della vita mia,
    e adesso, impoverito, attendo
    solo da te la vita.
    Ma nei tuoi occhi di carbonchio
    Avverto già la compassione
    E nelle tue braccia godo
    Del mio destino rinnovato.


    Chissà se il 66enne Goethe sospettava quale fuoco di passione aveva suscitato?
    Marianne gli risponde pochi giorni dopo con una poesia in cui corrisponde altrettanto chiaramente all’amore offertole. Ma c’è di più: i suoi versi rivelano così tanta forza poetica che possono stare tranquillamente a fianco di quelli del grande maestro.

    Fortunata e felice nel tuo amore,
    non me la prendo con l’occasione,
    se per te divenne ladra,
    come sono felice del suo furto.
    E a che scopo poi rubare?
    Concediti spontaneamente,
    penserei volentieri: io sono stata,
    sì, io ti ho derubato.

    Quanto hai dato di buon grado
    Ti tornerà a splendido guadagno,
    la mia pace, la ricchezza della vita
    te le dono felice, sono tue.
    Non scherzare. Non parlare
    di miseria. Non ci arricchisce amore?
    Se ti stringo fra le braccia,
    ogni felicità sarà mia.




    E con questa sua risposta inizia un duetto poetico particolare tra due amanti, tra Suleika-Marianne e Hatem-Goethe.
    Il grande poeta include questi versi ed altri, che lei scriverà ancora, nel Libro Suleika, che diventa il centro del suo
    Divano. Queste poesie sono senza dubbio tra le più belle mai scritte da una donna.
    Goethe, l’uomo dei sensi, rivolto con tutta la sua personalità verso il femminile, aveva amato molte donne e reso eterni questi amori nei suoi versi, ma nessuna gli era mai stata alla pari nella sua arte poetica. Ora l’aveva trovata, l’amata a lungo desiderata: Suleika non è solo un’immagine poetica, ma esiste come una persona viva con cui si sente spiritualmente uno. Eppure sà che questo amore non può trovare compimento fisico, né comunanza di vita.
    Goethe è certamente l’amante che sente “Frühlingsrausch und Sommerbrand” (ebrezza primaverile e arsura estiva), ma nello stesso tempo è il poeta creativo che cerca nella forma poetica la distanza dal coinvolgimento personale.
    In un giardino di Francoforte trova ciò che conosceva già grazie al suo interesse per la botanica: un giovane albero di Ginkgo, le cui strane foglie lo affascinano. Coglie una foglia dal ramo e la manda al Mulino con un saluto a Marianne “come simbolo di amicizia” annota nel suo diario l’amico Boisserée. La sera Goethe e Boisserée conversano sul simbolismo di questa foglia:

    È una cosa viva che in se stessa si è divisa?
    O sono due, che hanno scelto le si conosca in una?


    È il 15 settembre 1815, i versi sui quali Goethe e Boisserée riflettono diventeranno la strofa centrale di quella famosa poesia, nella quale alcuni giorni più tardi Goethe approfondisce i suoi pensieri. Perché questa foglia non vale solo come simbolo dell’amicizia, ma esprime la dualità dell’uomo nella sua divisione fra femmina e maschio, e diventa così l’emblema di due amanti che si uniscono nell’amore.
    Tre giorni dopo, il 18 settembre Goethe e Boisserée partono per la città romantica di Heidelberg. Sembra che il grande poeta, con così vaste esperienze di vita, non riesca a fronteggiare il terremoto dei suoi sentimenti in altro modo che andando altrove e grazie a una nuova attività dello spirito.
    Ma Marianne non resiste senza di lui e con il marito e la figliastra Rosine (gli unisce l’adorazione per il poeta) lo segue ad Heidelberg. Qui Goethe si è immerso in studi eruditi cercando i contatti con professori della celebre Università. La gioia dell’inaspettato rivedersi si esprime nella poesia Wiederfinden (Ritrovare):

    Possibile! Stella tra le stelle,
    ti stringo di nuovo sul mio cuore!
    Che dolore, che baratro
    La notte della lontananza!
    Sei tu che, dolce, cara,
    rispondi alla mia gioia.
    Memore delle passate sofferenze,
    tremo ora del presente.




    Eppure arriva il giorno del commiato; è il 26 settembre 1815 gli amici di Francoforte e Goethe passeggiano un’ultima volta nel giardino pensile del vetusto castello in rovina che troneggia sopra la città. Goethe e Marianne rimangono un po’ indietro. Le regala nuovamente una foglia di Ginkgo, la bacia e scrive il nome Suleika sul bordo di una fontana. I due amanti si promettono di pensarsi nelle notti di luna piena. I Willemer ritornano a Francoforte, Goethe rimane ad Heidelberg.
    Nella situazione dell’addio definitivo, della separazione dalla donna amata, il poeta crea i versi Ginkgo biloba, cercando una parabola per la loro relazione. Il giorno successivo manda la poesia a Rosine, ma la destinataria è Marianne:

    Ginkgo biloba
    La foglia di quest’albero, affidato
    dall’Oriente al mio giardino,
    sensi segreti fa gustare
    al sapiente e lo conforta.
    È una cosa viva che
    in se stessa si è divisa?
    O sono due, che hanno scelto
    le si conosca in una?
    In risposta alla domanda,
    il senso giusto l’ho trovato;
    non avverti nei miei canti
    che sono duplice e sono uno?


    Soffrono entrambi. Goethe si sente malato, vuole persino fare testamento e nella sua profonda disperazione si
    immerge negli studi persiani. All’inizio di ottobre ritorna a Weimar. Sulla strada verso Heidelberg, Marianne aveva scritto un lied al vento dellest, Was bedeutet die Bewegung (Che vuol dire questa agitazione? Porta il vento dell’Est notizie liete?) che esprime tutta la sua nostalgia per l’amato. Al ritorno verso Francoforte compone il lied al vento dell’ovest, che svela il suo profondo dolore. Ora solo la speranza di rivedere l’amato la tiene in vita.

    Vento dell’Ovest, come ti invidio
    Per l’umido vibrare delle ali!
    Perché puoi portargli notizia
    Di come soffro per la separazione.
    Il movimento delle tue ali
    Desta nel cuore quieta nostalgia;
    i fiori, gli occhi, le colline, i boschi
    sono in lacrime per il tuo respiro.
    Ma il tuo alitare tranquillo e dolce
    Rinfresca le palpebre arrossate.
    Ah, potrei morire di dolore,
    se non sperassi di vederlo ancora.
    Corri, dunque, corri al mio amore,
    parla al suo cuore con dolcezza,
    evita però di rattristarlo
    e non svelargli questa sofferenza.
    Digli invece, dillo con cautela,
    il suo amore è la mia vita:
    sentimento gioioso di noi due
    me lo darà l’averlo accanto.


    Ma Marianne non rivedrà mai più Goethe. L’anno seguente, dopo la morte di sua moglie, che lo addolora molto, Goethe vuole andare ancora una volta con un amico sul Reno. Ma già a poche ore di viaggio da Weimar, si rompe l’asse della diligenza: Goethe vede in questo un segno e ritorna indietro.



    Nella sua vita Goethe ha molto amato e molto sofferto e sa che solo l’attività dello spirito lo sottrae al buio della tristezza. Marianne non ha molta esperienza di questo dolore: per la prima volta nella sua vita ha provato un amore e una passione così profondi per un uomo. Deve passare tempo prima che i due siano di nuovo capaci di comunicare almeno per lettera.
    Quattro anni più tardi, nel 1819 viene finalmente pubblicata la grande raccolta di liriche di Goethe, Der West-östliche Divan (Il Divano occidentale orientale) e Marianne è la prima a riceverne una copia. Fra le sue poesie proprio Goethe ha accolto tutti i versi con i quali Marianne gli aveva risposto, inserendoli nel dialogo immaginario degli amanti Suleika e Hatem. Nessuno avrebbe immaginato che quelle poesie, giudicate tra le più belle e più tardi musicate da Schubert, Mendelson-Bartholdy e Hugo Wolf, erano di Marianne.
    Fino al 1832, anno della morte di Goethe, i due rimangono in contatto epistolare e per le principali ricorrenze si scambiano piccoli doni come segno del persistere del loro legame. Già un anno prima della sua morte, il grande poeta ormai anziano, ordina lettere e carte e alla fine, il 29 febbraio 1832 spedisce a Marianne un pacchetto accuratamente sigillato con tutte le lettere di Marianne e una sua poesia, che esprime ancora un profondo sentimento per lei.
    Il 16 marzo Goethe si ammala e una settimana dopo, il 22 marzo 1832, muore. Marianne accoglie la notizia con
    rassegnazione e con profonda gratitudine per questo legame intimo con l’uomo insigne. A suo marito Willemer che perde già quattro anni dopo, rimane sempre legata con amore riconoscente. Dal matrimonio non erano nati figli, ma le sue sorellastre (poi diventate figliastre) e i loro figli le sono molto affezionati perché è una bravissima narratrice. Dalla ricchezza della sua vita racconta certo anche il suo amore e la sua venerazione per Goethe, ma tiene per sé l’intimo legame con quest’uomo.
    Ai nostri giorni, quando veniamo subissati da confessioni intime di ogni genere, questo atteggiamento susciterebbe
    stupore. Conservare un amore profondo, protetto come un meraviglioso segreto, come vediamo per Marianne, può colmare una persona di una grande e luminosa forza.
    Nel 1857 un giovane studente di germanistica, Hermann Grimm, figlio e nipote di Wilhelm e Jacob, i fratelli Grimm, che conosciamo dalla famosissima raccolta di fiabe, fa visita occasionalmente a Marianne, ora più che 60enne, ma dalla figura ancora piena di grazia giovanile.
    Durante una passeggiata a Francoforte si alza il vento e Grimm cita il Lied an den Westwind. (Vento dell’Ovest, come ti invidio). Sono i versi che Marianne aveva scritto per Goethe dopo la partenza da Heidelberg. Alla domanda di Marianne, come gli sono venuti in mente, risponde: “mi sono venuti in mente in modo così vivo; è una delle più belle poesie di Goethe”. Allora “Suleika” gli confida il segreto della sua vita. Il mondo però ne doveva venire a conoscenza solo dopo la morte di Marianne Willemer, deceduta il 6 dicembre 1860, al età di 76 anni.
    Solo poche settimane prima vuole ancora visitare Heidelberg e il parco del castello. Lì indica alla sua giovane
    accompagnatrice l’albero di Ginkgo, da cui Goethe aveva colto per lei una foglia quale segno del suo tenero legame.

    (Testo di una conferenza tenuta dalla Storica dell´arte Martina Brunner-Bulst il giorno sabato 12
    maggio 2007 presso il teatro Giotto di Vicchio di Mugello.)



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    Edited by gheagabry - 13/9/2011, 20:44
     
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  7. gheagabry
     
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    IL PESCATORE

    L'acqua frusciava, l'acqua cresceva,
    un pescatore stava sulla riva,
    tranquillo, intento solo alla sua lenza,
    ed era tutto freddo, anche nel cuore.
    E mentre siede e ascolta,
    si apre la corrente:
    dall'acqua smossa affiora
    una donna grondante.
    A lui essa cantava, a lui parlava:
    "Perchè tu attiri con astuzia umana,
    con umana malizia, la mia specie
    su alla luce che la ucciderà?
    Ah, se sapessi come son felici
    i miei piccoli pesci là sul fondo,
    anche tu scenderesti, come sei,
    e solo là ti sentiresti sano.
    Non si ristora forse il dolce sole
    nel mare, e così anche la luna?
    Il loro volto, respirando l'onda,
    non risale più bello?
    Non ti alletta il cielo profondo,
    l'azzurro che nell'acqua trascolora?
    E il tuo volto stesso non ti chiama
    quaggiù, nell'immutabile rugiada?".
    L'acqua frusciava l'acqua cresceva,
    e a lui lambiva il piede.
    Il cuore si gonfiò di nostalgia,
    come al saluto della sua amata.
    A lui essa cantava, a lui parlava,
    e per lui fu finita:
    un pò lei lo attirava, un pò lui scese,
    e non fu più veduto.
    (WOLFGANG GOETHE)

     
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