CARAVAGGIO - MICHELANGELO MERISI

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    Michelangelo Merisi da Caravaggio




    Michelangelo Merisi, o, più probabilmente, Merisio, detto il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), è stato un pittore italiano. Attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, fu uno dei più celebri pittori italiani di tutti i tempi, dalla fama ancora oggi universale.



    I musici, 1594-1595


    La giovinezza e la formazione

    Michelangelo Merisi detto il Caravaggio nacque a Milano[1] probabilmente il 29 settembre 1571, dai genitori Fermo Merisi e Lucia Aratori, originari di Caravaggio, un piccolo centro del Bergamasco dove si erano sposati nel precedente gennaio.[2] Fu battezzato il giorno dopo nella chiesa di Santo Stefano in Brolo[3], nel quartiere milanese dove alloggiavano le maestranze della Fabbrica del duomo delle quali faceva probabilmente parte anche il padre di Michelangelo, di mestiere mastro muratore.


    I musici, 1594-1595. Olio su tela, 92 x 118,5 cm. New York, Metropolitan Museum of Art.Nel 1576 a causa della peste, la famiglia Merisi lascia Milano e si trasferisce a Caravaggio per sfuggire all'epidemia, ma qui muoiono il padre e i nonni del pittore. Nel 1584 la vedova e i suoi quattro figli tornano a Milano dove il tredicenne Michelangelo viene accolto nella bottega di Simone Peterzano, pittore di successo, tardomanierista di scuola veneta: «il contratto di apprendistato lo firma la madre, il 6 aprile 1584: per poco più di quaranta scudi d'oro [...] Va dietro il maestro ad affrescare, nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, in quella di San Barnaba».

    L'apprendistato del giovane pittore si protrasse per circa quattro anni, durante i quali apprese la lezione dei maestri della scuola lombarda e veneta. Giulio Mancini, uno dei suoi biografi, nelle "Considerazioni sulla pittura" del 1621, racconta dell'infanzia di Caravaggio, sottolineando il forte carattere dell'artista già in quei primi anni: «Studiò in fanciullezza per quattro o cinque anni in Milano, con diligenza ancorché di quando in quando, facesse qualche stravaganza causata da quel calore e spirito così grande». Il 6 aprile 1588 scadeva il contratto con il suo maestro; il giovane pittore probabilmente in quegli anni abbandonò Milano per trasferirsi a Venezia, e conoscere da vicino l'opera dei grandi maestri del colore, Giorgione, Tiziano e Tintoretto.



    Ragazzo con canestro di frutta, 1593-1594






    I bari. Olio su tela



    In ogni caso, al di là della certa frequentazione della bottega del Peterzano, il seguito dell’apprendistato di Caravaggio e in particolare gli anni che vanno dal 1588 al 1592, resta piuttosto nebuloso e così l'individuazione delle fonti che hanno influenzato la sua pittura. Secondo il Longhi – in alternativa alla tesi “veneta” – di capitale importanza per lo sviluppo del futuro stile di Caravaggio sarebbe stata la riflessione giovanile sull’opera di alcuni maestri lombardi, soprattutto di area bresciana, quali il Foppa, il Bergognone, Savoldo, Moretto e Il Romanino (che il Longhi definisce precaravaggeschi), maestri che avrebbero posto le basi di quelli che saranno i capisaldi dell’arte del Merisi. A questa scuola, il cui capostipite è individuato dal Longhi nel Foppa, si dovrebbero infatti l’avvio della rivoluzione luministica e la caratterizzazione naturalistica (contrapposta a certa aulicità rinascimentale) dei soggetti dipinti. Elementi centrali della pittura del Caravaggio.


    Riposo durante la fuga in Egitto, 1596-1597. Olio su tela, 135,5 x 136,5 cm. Roma, Galleria Doria Pamphilj.Nel 1592 Caravaggio si trasferisce a Roma e ha rapporti, più o meno fugaci, con diversi pittori locali. Prima presso un non meglio identificato pittore siciliano, autore di opere grossolane destinate alle fasce più modeste del mercato, poi ha un breve sodalizio con Antiveduto Gramatica e, infine, frequenta per alcuni mesi la bottega del Cavalier d'Arpino. Successivamente per una malattia viene ricoverato presso l'Ospedale della Consolazione e a causa di questo evento interrompe il rapporto con il Cesari. Durante queste esperienze probabilmente Caravaggio venne impiegato come esecutore di nature morte e come realizzatore di parti decorative di opere più complesse, ma in merito non si ha nessuna testimonianza certa. Un'ipotesi, priva in ogni caso di riscontro documentale, è che Caravaggio possa aver realizzato i festoni decorativi della Capella Olgiati, nella Basilica di Santa Prassede a Roma, cappella affrescata dal Cavalier d’Arpino.




    Conversione di San Paolo, 1600-1601



    I successi degli anni romani

    L'amicizia con il cardinal Del Monte
    Grazie a Prospero Orsi (meglio noto come Prosperino delle Grottesche), pittore con il quale strinse una forte amicizia, il Merisi nel 1595 conobbe il suo primo protettore: il cardinal Francesco Maria Del Monte, grandissimo uomo di cultura ed appassionato d'arte che, incantato dalla sua pittura, acquistò alcuni dei suoi quadri; il giovane lombardo entrò al suo servizio, rimanendovi per circa tre anni. Il Del Monte secondo il Bellori: «ridusse in buono stato Michele e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini».

    La fama dell'artista grazie al suo importante committente cominciò a decollare all'interno dei più importanti salotti dell'alta nobiltà romana. L'ambiente fu scosso dalla sua rivoluzionaria pittura che si pose immediatamente al centro di forti discussioni ed accese polemiche. Grazie alle commissioni e ai consigli dell'influente ed illuminato prelato, Caravaggio mutò il suo stile: abbandonando le tele di piccole dimensioni ed i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse con gruppi di più personaggi che interagiscono tra loro, descrivendo all'interno di un'ambientazione un episodio specifico. Uno dei primi lavori di questo periodo è il Riposo durante la fuga in Egitto.

    Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe in maniera esponenziale, Caravaggio divenne un mito vivente per un'intera generazione di pittori che ne esaltavano lo stile e le tematiche.





    Riposo durante la fuga in Egitto, 1596-1597




    David con la testa di Golia



    Le prime commissioni importanti

    Nel 1599 Caravaggio, grazie all'aiuto del cardinal Francesco Maria Bourbon Del Monte, ricevette la prima commissione pubblica per due grandi tele da collocare all'interno della cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. I dipinti che Caravaggio doveva realizzare riguardavano degli episodi tratti dalla vita di san Matteo: la vocazione ed il martirio.

    In meno di un anno il pittore concluse le due opere, e tale fu il successo di questi due dipinti che Caravaggio ebbe immediatamente un altro importante incarico per la Chiesa di Santa Maria del Popolo. Per ordine del monsignor Tiberio Cerasi, che aveva acquistato una cappella della chiesa romana, gli vennero commissionati due dipinti: la Crocefissione di San Pietro e la Conversione di san Paolo. Contemporaneamente gli fu chiesta la realizzazione di una terza tela per la Chiesa di San Luigi dei Francesi: San Matteo e l'Angelo. Il pittore, nonostante conoscesse bene il gusto estetico dei suoi committenti, scelse dei soggetti popolari, che esprimessero in una dimensione reale e drammatica lo svolgersi degli eventi, rappresentando così i valori spirituali della corrente pauperista all'interno della Chiesa Cattolica.

    La prima versione del San Matteo e l'Angelo, distrutta in Germania durante la Seconda guerra mondiale, fu però rifiutata e poi sostituita con quella ancora in loco dipinta nel 1602. La stessa sorte toccò ai due quadri per la Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo, che dopo esser stati rifiutati vennero comprati dal cardinal Giacomo Sannesio.

    La descrizione da parte del Bellori dell'episodio del rifiuto della pala di San Matteo e l'Angelo, fa da introduzione ad un altro importante protettore di Caravaggio:


    Conversione di San Paolo, 1600-1601, Basilica di Santa Maria del Popolo, Roma. « Qui avvenne cosa, che pose in grandissimo disturbo, e quasi fece disperare Caravaggio in riguardo della riputazione; poiché avendo egli terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo sù l'altare, fu tolto via dai Preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di santo, stando à sedere con le gambe incavalcate, e co' piedi rozzamente esposti al popolo. Si disperava il Caravaggio per tale affronto nella prima opera da esso pubblicata in chiesa, quando il Marchese Vincenzo Giustiniani si mosse à favorirlo, e liberollo da questa pena; poiché interpostosi con quei Sacerdoti, si prese per sé il quadro, e glie ne fece fare un altro diverso, che è quello che si vede ora sul'altare. »


    Il Marchese Giustiniani era un ricco banchiere genovese nell'orbita della corte pontificia - oltre che vicino di casa del cardinal Del Monte, visto che aveva sede in palazzo Giustiniani di Roma con il fratello cardinal Benedetto Giustiniani - e fu protettore di Caravaggio per molti anni; collezionò moltissime delle sue opere e contribuì moltissimo alla formazione culturale del pittore. In più di un'occasione, grazie alle sue ramificate influenze, riuscì a salvare l'artista dalle gravose questioni legali nelle quali era spesso implicato per colpa della sua indole aggressiva.



    Crocifissione di San Pietro



    I guai con la legge

    Durante il suo soggiorno presso Palazzo Madama, dimora del cardinal Del Monte, Merisi si rese protagonista di un episodio spiacevole il 28 novembre del 1600: malmenò e percosse con un bastone Girolamo Stampa da Montepulciano, un nobile che si trovava come ospite del prelato: ne conseguì una denuncia. In seguito gli episodi di risse, violenze e schiamazzi andarono via via aumentando; spesso il pittore venne arrestato e condotto presso le carceri di Tor di Nona.

    Non sarebbe comunque stato il primo guaio con la legge per il turbolento artista. Giovanni Pietro Bellori (uno dei suoi primi biografi) sostiene che, intorno al 1590-1592, Caravaggio - già distintosi per risse tra bande di giovinastri - avrebbe commesso un omicidio, a causa del quale era fuggito da Milano prima per Venezia (dove studiò la pittura locale, in particolar modo Giorgione), e poi per Roma. Il suo trasferimento nella Città Eterna non sarebbe stato, dunque, una meta prefissata, ma la conseguenza di una fuga.


    Amore vincitore, 1601-1602, Staatliche Museen, Berlino.Nel 1602 dipinge La cattura di Cristo e Amor Vincit Omnia. Nel 1603 fu processato per la diffamazione di un altro pittore, Giovanni Baglione, che querelò sia Caravaggio sia i suoi seguaci Orazio Gentileschi e Onorio Longhi, colpevoli di aver scritto rime offensive nei suoi confronti. Grazie all'intervento dell'ambasciatore francese, Merisi, condannato al processo, venne liberato e trasferito agli arresti domiciliari, seppur per poco (in precedenza, aveva scontato già un mese di carcere a Tor di Nona).

    Tra il maggio e l'ottobre del 1604 il pittore fu arrestato varie volte per possesso d'armi abusivo e ingiurie alle guardie cittadine; inoltre, fu querelato da un garzone d'osteria per avergli tirato in faccia un piatto di carciofi.

    Nel 1605 fu costretto a scappare a Genova per circa tre settimane, dopo aver ferito gravemente un notaio, Mariano Pasqualone da Accumuli, a causa di una donna: Lena, l'amante di Caravaggio. L'intervento dei protettori dell'artista riuscì ad insabbiare l'accaduto anche se, al ritorno a Roma, il pittore venne querelato da Prudenzia Bruni, sua padrona di casa, per non aver pagato l'affitto; per ripicca, Merisi prese nottetempo a sassate la sua finestra, finendo nuovamente querelato. Nel novembre dello stesso anno, il pittore risulta degente per una ferita, che dice di essersi procurato da solo, cadendo sulla propria spada.


    Morte della Vergine, 1601-1606, Museo del Louvre, Parigi.Il fatto più grave però si svolse a Campo Marzio, la sera del 28 maggio 1606: a causa di una discussione causata da un fallo nel gioco della pallacorda, il pittore venne ferito e, a sua volta, ferì mortalmente il rivale, Ranuccio Tommasoni da Terni, con il quale aveva avuto già in precedenza delle discussioni, spesso sfociate in risse. Anche questa volta c'era di mezzo una donna, Fillide Melandroni, le cui grazie erano contese da entrambi. Probabilmente dietro l'assassinio di Ranuccio c'erano anche questioni economiche, forse qualche debito di gioco non pagato dal pittore, o addirittura politiche: la famiglia Tommasoni infatti era notoriamente filo-spagnola, mentre Michelangelo Merisi era un protetto dell'ambasciatore di Francia.

    Il verdetto del processo per il delitto di Campo Marzio fu severissimo: Caravaggio venne condannato alla decapitazione, che poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per la strada. In seguito alla condanna, nei dipinti dell'artista lombardo cominciarono ossessivamente a comparire personaggi giustiziati con la testa mozzata, dove il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato.



    Flagellazione di Cristo



    La fuga da Roma

    La permanenza nella città eterna non era più possibile: ad aiutare Caravaggio a fuggire da Roma fu il principe Filippo I Colonna, che gli offrì asilo all'interno di uno dei suoi feudi laziali di Marino, Palestrina, Zagarolo e Paliano.

    Il nobile romano mise in atto una serie di depistaggi, grazie anche agli altri componenti della sua famiglia che testimoniarono la presenza del pittore in altre città italiane, facendo così perdere le tracce del famoso artista.

    Per i Colonna Caravaggio eseguì in quel periodo diversi dipinti, su tutti la Cena in Emmaus, nella splendida e scarna versione che oggi è a Brera.


    Gli ultimi anni (1606 - 1610)

    Il periodo napoletano
    Alla fine del 1606 Caravaggio giunse a Napoli, nei quartieri spagnoli, dove rimase per circa un anno. La fama del pittore nella città era ben nota a tutti. I Colonna lo raccomandarono ad un ramo collaterale della famiglia: i Carafa-Colonna, importanti membri dell'aristocrazia napoletana. Qui il Merisi visse un periodo felice e prolifico per quanto riguarda le commissioni: la più importante, ad opera di un mercante croato di Ragusa, Nicola Radulovic, fu la Madonna del Rosario; l'iconografia del dipinto venne impostata dal committente stesso che alla fine non acquistò più l'opera, che venne così modificata dal pittore e collocata all'interno della Cappella del Rosario nella chiesa dei domenicani. In tale periodo realizzò una delle sue opere più importanti, che si rivelerà cardine per la pittura in sud Italia e per la pittura italiana in genere, la cui composizione, rispetto alle pitture romane, è più drammatica e concitata, non esistendo più un fulcro centrale dell'azione. Questo sarà di grande stimolo per la pittura barocca partenopea successiva. L'opera in questione è: le Sette opere di Misericordia.


    Flagellazione di Cristo, 1607, Museo di Capodimonte, Napoli. Il soggiorno a Malta
    Nel 1607 Michelangelo Merisi parte per Malta, sempre per intercessione dei Colonna, qui entra in contatto con il Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, Alof de Wignacourt, a cui il pittore fece anche un ritratto. Il suo obiettivo era diventare Cavaliere per ottenere l'immunità, in quanto su di lui pendeva ancora la condanna alla decapitazione. Il Caravaggio firma un documento dove dichiara che il suo luogo di nascita è proprio Caravaggio in provincia di Bergamo: "Carraca oppido vulgo de Caravagio in Longobardis natus". A rimettere in discussione il suo luogo d'origine, è stata recentemente presentata un'ulteriore attestazione, proveniente dalla scoperta di un documento nuovo; in esso si legge la dichiarazione resa a Roma da un garzone, Pietro Paolo Pellegrino mediolanensis, nel corso di un interrogatorio: «questo pittore Michelangelo... al parlare tengo sia milanese», ma poi specifica «mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda». Pellegrino non riconobbe nella cadenza del pittore l'accento che gli era familiare, essendo lui stesso milanese per nascita.

    Nel 1608 Caravaggio dipinge la Decollazione di San Giovanni Battista, il suo quadro più grande per dimensioni, tuttora conservato nella Cattedrale di La Valletta.



    Dopo un anno di noviziato, il 14 luglio 1608 Caravaggio fu investito della carica di Cavaliere di grazia, di rango inferiore rispetto ai Cavalieri di giustizia di origine aristocratica. Anche qui ebbe dei problemi: fu arrestato per un duro litigio con un cavaliere del rango superiore e perché si venne a sapere che su di lui pendeva la condanna a morte. Venne rinchiuso nel carcere di Sant'Angelo a La Valletta, il 6 ottobre: riuscì incredibilmente ad evadere e a rifugiarsi in Sicilia a Siracusa. Il 6 dicembre i Cavalieri espulsero Caravaggio dall'Ordine con disonore: «Come membro fetido e putrido».



    Bacco




    Canestra di frutta



    Caravaggio in Sicilia

    A Siracusa, Caravaggio fu ospite di Mario Minniti, suo amico di vecchia data, conosciuto durante gli ultimi anni romani. Nella città siciliana si interessò molto all'archeologia studiando i reperti ellenistici e romani della città siciliana: durante una visita assieme allo storico Vincenzo Mirabella coniò il nome "Orecchio di Dionigi" per descrivere la Grotta delle Latomie.
    Durante questo soggiorno dipinse per la Chiesa di Santa Lucia una pala d'altare del Seppellimento di santa Lucia (la patrona della città siciliana) la cui ambientazione sembra proprio quella delle vicine grotte da lui tanto ammirate.

    Durante il suo tragitto, secondo molti critici e secondo lo scrittore Andrea Camilleri, si sarebbe fermato a Licata, dipingendo il S. Girolamo nella fossa dei leoni, dipinto che avrebbe creato il culto della festa del Venerdì santo nella località dell'agrigentino e il San Giacomo della misericordia presente nella omonima chiesa.

    A Messina dipinse la Resurrezione di Lazzaro, tetra incompiuta e cimiteriale rappresentazione, la cui parte centrale è occupata dal corpo spasmodicamente teso nel gesto del braccio verso la luce, e l'Adorazione dei pastori, umile, raccolta, essenziale, calma.
    Fece a Palermo per l'Oratorio della Compagnia di San Lorenzo una Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi, ricordata da Giovan Pietro Bellori, di lì poi trafugata da Cosa nostra nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969. Secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza l'opera, passata da cosca a cosca ed esposta nei summit come simbolo di potere e di prestigio, fu bruciata negli anni Ottanta perché rosicchiata dai topi nel periodo in cui i Pullarà la tenevano in una stalla.



    Il ritorno e la fine


    Alla fine dell'estate del 1609 Caravaggio tornò a Napoli. Il 24 ottobre, affrontato con violenza da alcuni uomini al soldo del suo rivale maltese, all'uscita della Locanda del Cerriglio (nei pressi di Via Monteoliveto), rimase sfigurato e la notizia della sua morte cominciò a circolare prematura. La fase creativa del suo secondo periodo napoletano è ricostruita dagli storici con molte congetture: dipinse sicuramente il Martirio di sant'Orsola per Marcantonio Doria (definito l' ultimo dipinto di Caravaggio, conservato a Palazzo Zevallos a Napoli), la Negazione di San Pietro, il San Giovanni Battista e il Davide con la testa di Golia conservati alla Galleria Borghese, San Giovanni Battista disteso (1610) Collezione Privata Monaco di Baviera . Ancora del periodo di Napoli sono da attribuire i due diversi quadri con medesimo soggetto: la Salomè con la testa del Battista esposto solo di recente in prestito alla National Gallery di Londra che il pittore avrebbe dovuto recapitare ai Cavalieri dell'Ordine, e la Salomè con la testa del Battista conservato a Madrid. Inoltre, il San Francesco che riceve le Stimmate, il San Francesco in meditazione e una Resurrezione (quest'ultima nota oggi attraverso una copia di Louis Finson ad Aix en Provence) andarono perduti durante il terremoto del 1805 col crollo della Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi (Napoli), per la quale erano stati dipinti.


    David con la testa di Golia, 1609-1610, Galleria Borghese, Roma.Da Roma gli fu inviata la notizia che Papa Paolo V stava preparando una revoca del bando. Caravaggio, da Napoli, dove abitava presso la marchesa Costanza Colonna, si mise in viaggio con una feluca traghetto che settimanalmente faceva il tragitto: Napoli-Porto Ercole e ritorno; era diretto segretamente a Palo, feudo degli Orsini in territorio papale, luogo distante 40 km da Roma. In quel feudo avrebbe atteso in tutta sicurezza il condono Papale prima di ritornare, da uomo libero, a Roma.
    Ma l'arrivo a Palo, disatteso perché segreto, avvenuto probabilmente di notte, causò il fermo dalla sorveglianza della costa per l'accertamento dell'identità. La feluca che lo aveva sbarcato, non potendo aspettare, proseguì il viaggio per Porto Ercole dove era diretta, portandosi dietro il bagaglio dell'artista. Quelle casse, però, contenevano anche il prezzo concordato dal Merisi con il Cardinale Scipione Borghese per la sua definitiva libertà: un'opera, il "San Giovanni Battista" (della Borghese) in cambio della revoca della pena di morte; pertanto, quel bagaglio era da recuperare perché letteralmente vitale. Quando gli Orsini lo liberarono, fornirono al Caravaggio una loro imbarcazione con marinai per giungere a Porto Ercole, distante da Palo 40 miglia, per recuperare le sue cose. L'artista giunse mentre la feluca-traghetto stava ripartendo riportando a Napoli i suoi averi.

    In preda alla febbre per infezioni intestinali, dopo quel lungo viaggio, il Caravaggio fu lasciato alle cure della locale Confraternita che il 18 luglio 1610 certificò la morte avvenuta nel loro ospedale[7]. Il giorno successivo, l'artista fu seppellito nella fossa comune del cimitero di S.Sebastiano ricavata nella spiaggia e riservata agli stranieri, e che oggi è il retroporto urbanizzato di Porto Ercole, dove nel 2002 è stato collocato il monumento. Pertanto, morto in ospedale e sepolto nella spiaggia.
    Il condono papale fu spedito qualche giorno dopo a Napoli, alla Marchesa Costanza che abitava a Cellammare, a Palazzo Carafa Colonna da dove il Caravaggio era segretamente partito.



    Vocazione di San Matteo




    Amore vincitore




    Cena in Emmaus

     
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  2. tappi
     
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    GRAZIE GIULIA
     
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  3. tomiva57
     
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    grande giulia....ciao
     
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  4. gheagabry
     
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    La riforma del Caravaggio ed i caravaggeschi



    Michelangelo Merisi da Caravaggio (1569-1609), il rinnegatore delle consuetudini, sopprime gli ornamenti ed il paesaggi...,; del secondo c'è un'unica traccia nel giovanile "Riposo in Egitto" (Roma, Galleria Doria).
    La luce signoreggia l'ambiente ed avvolge le forme, non staccandole dalla composizione..., essa ha le funzioni della vita, e sa rendere la massa e la materia, senza ingannare con l'artificio.
    Intorno al 1590, anche questo elemento si modifica: i colori si temperano, e l'atmosfera notturna sviluppa con straordinaria immediatezza i corpi..., è sempre la luce che costruisce lo spazio, che segna i piani, che modella i volumi e che ci costringe a pensare.
    Le prime conquiste non bastano..., la luce si rompe, lampeggia ed investe le superfici...., le immagini continuano ad apparire nella loro solida plasticità, e dove i raggi convergono c'è un'idea che vuol essere rilevata.
    Sulla prepotente natura dell'artista ebbero efficacia, insieme con il Lotto, alcuni bergamaschi e bresciani..., prima, si pensava a Giorgione e al Savoldo, ma anche oggi si deve concludere che tali influssi non sono sufficienti a creare la complessa personalità del dominatore che scopre in se medesimo le profonde ragioni dell'arte avvenire, e che insegna i principi luministici al Velazquez e al Rembrandt.

    Il "San Matteo" (Berlino, Museo Federigo), il quale scrive il vangelo sotto l'ispirazione dell'angelo, sembrò ai contemporanei senza "decoro né aspetto di santo, stando a sedere con le gambe accavallate e coi piedi rozzamente esposti al popolo", e l'autore dovette rifarlo per venir ammesso in chiesa (Roma, S. Luigi dei Francesi).

    La "Vocazione" ed il "Martirio di San Matteo" nel medesimo tempio noti sono quadri sacri ma 'rivelazioni' pittoriche, e tengono piú della vita del popolo che delle stampe popolari.

    I toni delicati non si desiderano nel citato "Riposo in Egitto" e nella "Maddalena" (Roma, Galleria Doria), così pure primitiva e simile nell'attitudine alla famosa "Vergine di Loreto".

    Con la "Crocifissione di San Pietro" (Roma, S. Maria del Popolo) lo sfondo annerisce, i colori si spengono ed i toni freddi danno risalto ai corpi con improvvisa pienezza di contrasti.
    L'apostolo si leva con una penosa contrazione del torace e del con il legno al quale gli hanno inchiodato le mani ed i piedi, ed intorno a lui tre manigoldi trascinano la croce con l'incontrastabile verità dell'esistenza spesa in abiette fatiche.

    La "Deposizione" (Città del Vaticano, Pinacoteca), ammansí con la solidità della modellatura e con l'anima della luce balzante a sprazzi i piú aspri contradittori del maestro.

    Il cadavere del Cristo emerge marmoreo, ed i suoi portatori - Nicodemo che, curvo e addolorato, rivolge il viso allo spettatore e Giovanni che interroga le immobili sembianze sono seguiti dalle donne..., tutti i personaggi occupano il breve spazio della pietra tombale, e dietro alla piangente Maria Salome, la Maddalena innalza ed agita le braccia con la frenesia del l'angoscia che vuol essere ben distinta barocca.

    La "Morte della Vergine" (Parigi, Louvre), dipinta per Santa Maria della Scala in Trastevere, fu tolta dall'altare perché i censori contemporanei inorridivano dinanzi alla "imitazione d'una donna morta e gonfia".
    Le parole oziose si moltiplicarono, ma la luce che si proietta sul corpo di Maria, ricercandone il valore plastico, la luce che scava dall'ombra le teste pie calve degli apostoli e la figura della Maddalena - la duale siede ed abbassa il capo con uni singhiozzo che la scuote tutta - sono indizi cosí singolari di "sovranità" espressiva, che i confronti attraverso i secoli non scemano l'ammirazione per questo realismo popolare, antiaristocratico e non plebeo.

    La "Vergine di Loreto" o "Madonna del Popolo" (Roma, S. Agostino), ricavata dall'ombra con la vigoria di una luce intensa, a riflessi caldi, si appoggia allo stipite d'una porta, tiene il Bimbo fra le braccia e curva il callo ed il viso per ascoltare due pellegrini che la supplicano..., l'uomo non é un bandito, come parve ad un critico francese, e la vecchia dalle grosse mani morde le guance con le giaculatorie.

    Nella "Cena in Emmaus" (Londra, Galleria Nazionale) la luce - mi sia lecito dire - entra nello spirito, e fa parlare e muove i tre seduti alla mensa.

    Il "San Girolamo" (Roma, Galleria Borghese) abusa forse del metodo luministico, di cui conosce la spavalda acutezza il "David" della stessa raccolta, il quale non si sfascia interamente dall'ombra e presuppone lo studio d'altri problemi plastico-luminosi.

    Per il nome di grande ritrattista sono bastevoli " Paolo V" di Principi Borghese in Roma ed "Alof de Vignacourt "(Parigi, Louvre), che chiude la serie dei condottieri dipinti e vivi, aperta da Andrea del Castagno e chiusa dal Velazquez..., si vuole che il secondo fosse pagato con una croce di cavaliere, una catena d'oro e due schiavi musulmani.

    Il Caravaggio non coltiva l'insegnamento..., pittore senza maestri e senza scolari diretti, originale e poderoso, esercita un'azione preponderante su intere scuole, come la napoletana e la genovese.
    Un numero incalcolabile di imitatori lo segue, lo fraintende o lo falsifica, impossessandosi con abilità delle sue scoperte tecniche..., fra critici d'oggi non cessa il fervore della riabilitazione ormai avvenuta, e c'è chi vede nel secondo Michelangelo un possibile precursore dell'impressionismo ottocentesco e perfino del senso volumetrico di Cézanne.

    caravaggeschi romani

    BARTOLOMEO MANTREDI (1575-1605), nativo di Mantova, dopo aver abbandonato la pratica manieristica del Pomarancio, studia e contraffà abilmente il grande modello..., CARLO SARACENI (I585-1625) concede molto al novatore, ma non gli sacrifica le tinte della sua tavolozza veneta..., ORAZIO BORGIANNI (1578-1616) si mantiene fedele al colorismo e cerca d'approfondire l'aspetto drammatico delle composizioni..., e, fra gli stranieri, GHERARD HONTHORST detto DELLE NOTTI (1590-1656) è un tecnico della pittura..., voglio ancora ricordare la "Fanciulla con "La lampada" (Roma, Galleria Doria-Pamphili).
    - sauvage27 -


    LA MORTE DELLA VERGINE




    Museo del Louvre a Parigi
    Tela cm. 369 x 245



    Nel quadro LA MORTE DELLA VERGINE l'intensa emozione coinvolge tutti i personaggi della scena.
    La drammaticità della tela riflette forse la coscienza tragica di Caravaggio, che nega ogni forma di speranza in una prospettiva ultraterrena, e mostra il suo sgomento di fronte ad un evento irrevocabile e definitivo come la morte.
    Può essere tuttavia riconosciuto come il "quadro più profondamente religioso del Diciassettesimo secolo" e si può ritenere che Caravaggio avesse aderito alla dottrina pauperista e populista diffusa nell'ambiente della Controriforma cattolica che egli frequentava.
    Nella grande intimità dei sentimenti, nella profonda tensione morale si esprime tutta l'angoscia esistenziale dell'artista.
    E' un periodo che annuncia la serie della grandi pale meridionali, eseguite con una notevole potenza espressiva durante i quattro anni trascorsi a Napoli, a Malta e in Sicilia.
    LA MORTE DELLA VERGINE scandalizzò il clero: il quadro venne rifiutato.
    Il dipinto è considerato una delle ultime realizzazioni del Caravaggio compiute a Roma, prima della fuga dalla città, provocata dall'omicidio di Ranuccio Tomassoni, il 28 maggio 1606, e la conseguente condanna alla pena di morte.

    Alla fine del secolo scorso, è stato recuperato il contratto con il quale Laerzio Cherubini commissionò il dipinto a Caravaggio per la sua cappella in Santa Maria della Scala a Roma.
    La data del documento, il 14 giugno 1601, ha sconvolto la cronologia del quadro, attestata pressocgé unanimemente intorno al 1605 - 0606.
    Poiché non si è ancora ritrovato il documento del pagamento del saldo, è stata avanzata l'ipotesi che l'esecuzione possa essere stata rimandata di qualche anno, in tale modo la datazione su cui la critica si è prevalentemente espressa - per i motivi stilistici che fanno inserire l'opera fra la tarda produzione del soggiorno romano del pittore - potrebbe essere ancora la più plausibile.
    Il dipinto fu acquistato nel 1607 dal Duca di Mantova..., nel 1627 - 1628 finì nella raccolta del re Carlo I d'Inghilterra e nel 1649 in quella del banchiere Iabach, che nel 1671 lo cedette a Luigi XIV per Versailles..., di qui nel 1793, dopo la Rivoluzione Francese, al Musée Central des Arts e, infine, al Louvre di Parigi.


    CARAVAGGIO E IL RIFIUTO DEI COMMITTENTI

    Ciò che ha colpito fin dalla prima apparizione dell'opera, come sottolineano i biografi dell'epoca, è l'inusuale realismo della rappresentazione (pare che il pittore si sia servito del corpo di un'annegata per ritrarre il personaggio della Madonna), che dovette essere insopportabile per il committente, che la rifiutò, è poiché rompeva con una tradizione iconografica che tendeva a mettere in secondo piano la tragedia terrena dell'avvenimento.
    A una simile sorte sarà destinata anche LA VERGINE DEL SERPENTE, per l'altare di Sant'Anna dei Palafrenieri, rifiutata perché la Vergine, il Bambino e Sant'Anna vi erano indegnamente raffigurati..., dopo averla esposta al pubblico per due giorni soltanto le autorità ecclesiastiche, nel giugno 1606, la vendettero al cardinale Borghese.
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    DECOLLAZIONE DEL BATTISTA (1608)
    Caravaggio (1573 - 1610)
    Pittore italiano
    Oratorio della Cattedrale di San Giovanni a La Valletta - Malta
    Diciassettesimo secolo
    Olio su tela cm. 361 x 520



    La tela, di grandissime dimensioni, venne eseguita da Caravaggio nel 1608 durante il soggiorno nell'isola di Malta, dove si era rifugiato, protetto dai Cavalieri di Malta, dopo la fuga da Roma.
    L'azione, drammaticamente illuminata da una cupa luce, si sviluppa in primo piano, nella parte inferiore della tela.
    Il carnefice, dopo aver affondato la spada sul collo del Battista, disteso a terra a bocconi, si appresta a dargli il colpo di grazia con un coltello.
    Due figure assistono all'esecuzione, affacciate da una finestra a grate, che indica che l'episodio si svolge all'interno di un'austera prigione.

    I soliti personaggi caravaggeschi fanno la loro comparsa: la vecchia e lo sgherro a torso nudo.

    Scomparsa la passionalità delle opere del periodo napoletano, come ad esempio, LA MADONNA DEL ROSARIO (Kunsthistorisches Museum di Vienna), l'opera de La Valletta ci presenta un dramma pacato, dove ogni personaggio è isolato all'interno del proprio tragico ruolo.

    La tela è considerata, insieme al SEPPELLIMENTO DI SANTA LUCIA di Siracusa, il capolavoro della tarda attività di Caravaggio: il Longhi l'apostrofò come "il più bel quadro del secolo".

    La sua bellezza e la sua fama stimolarono molti pittori italiani ad affrontare il viaggio verso Malta: fra questi anche il Bollori (1672), biografo di Caravaggio, che ne fornì una minuziosa descrizione.



    Il quadro venne offerto da Caravaggio all'Ordine dei Cavalieri di Malta come ringraziamento per la nomina di "Cavaliere di Grazia" ricevuta il 14 luglio 1608.

    Fu subito destinato a decorare la parete di fondo dell'Oratorio dell'Ordine nella chiesa conventuale dei Cavalieri di Malta (attuale cattedrale de la Valletta), dove si può ammirare ancora oggi.

    La grande tela è stata restaurata in Italia nel 1955, un lavoro accurato che ha consentito di mettere alla luce la firma "F. (frate) MICHELA...", incisa nel rivolo di sangue che fuoriesce dal collo del Battista.



    IL SOGGIORNO DI CARAVAGGIO A MALTA

    Fuggito da Roma dopo l'omicidio di Ranuccio Tomassoni, Caravaggio riparò nei feudi del principe Marzio Colonna nei dintorni di Roma, poi a Napoli e in Sicilia e, infine, si rifugiò nell'isola di Malta, dove fu protetto dal Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, Alof de Vignacourt, ritratto dal Caravaggio nei quadri oggi conservati al Louvre di Parigi e alla Galleria Palatina di Firenze.

    Dopo pochissimo tempo dalla nomina a "Cavaliere di Grazia", lo sciagurato pittore venne imprigionato probabilmente a causa di una lite.
    Nell'ottobre del 1608 egli riuscì ad evadere e ad abbandonare l'isola alla volta della Sicilia.
    Del periodo passato a Malta si conoscono cinque dipinti: i due ritratti del Vignacourt..., l?AMORINO DORMIENTE (Galleria Palatina di Firenze)..., il SAN GIROLAMO SCRIVENTE, ritrovato alla fine del secolo scorso a Malta dopo essere stato trafugato dal Museo isolano molti anni prima..., e la DECOLLAZIONE DEL BATTISTA.






    BACCO (1596)
    Caravaggio (1517-1610)
    Galleria degli Uffizi – Firenze
    XVI secolo
    Tela cm. 95 x 85

    Per la prima volta nella storia della pittura europea il tema di Bacco, dio del vino, diventa un pretesto per raggruppare frutta e oggetti d’uso quotidiano, i veri protagonisti della scena che circonda un adolescente coronato da tralci di vite.
    In un’altra opera Bacco viene rappresentato come un ragazzo di bettola malnutrito e malaticcio (BACHINO MALATO, Roma, Galleria Borghese).
    Nei molteplici aspetti della realtà che ispirano Caravaggio non esiste né la gerarchia dei valori né la differenza di classe.
    E’ uno dei primi in assoluto ad avere una visione profana e provocatoria riguardo alle tematiche ritenute tra le più sacre, così la sua MADDALENA PENTITA è vista come una donna del popolo, sola con la sua sofferenza all’interno di una povera camera spoglia.
    Sarà questa poesia realistica ad affascinare Courbet, Manet e Cézanne.
    Il BACCO è un’opera giovanile, dove però l’artista esibisce già una straordinaria abilità nella resa della bellissima natura morta in primo piano. Nel volto dell’adolescente è stato individuato un possibile autoritratto, ma probabile che possa aver posato l’amico Mario Minniti, come nel SUONATORE DI LIUTO (oggi all’Ermitage di San Pietroburgo) e nella BUONA VENTURA (oggi al Louvre di Parigi).


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  6. gheagabry
     
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    SUONATORE DI LIUTO (1597 circa)
    Caravaggio (1573 - 1610)
    Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo
    Olio su tela cm. 94 x 119


    Seduto oltre un tavolo, con sguardo melanconico e dolce, un giovane mi osserva suonando il suo liuto.
    Di fronte a lui si aprono le pagine di uno spartito e un foglio con un lato ancora sospeso nell'aria come se dovesse ancora ricadere del tutto dopo essere stato appena girato.
    Appoggiati sullo spartito, sotto il quale si intravede la copertina sgualcita di in altro libretto musicale, s'incrociano un archetto e un violino il cui ricciolo terminale invade il mio spazio e mi coinvolge illusionisticamente nella scena.

    Alla destra del giovane, in un vaso di vetro trasparente con riflessi luminosi, è composto un mazzo di fiori che nella loro semplicità sembrano essere stati appena raccolti.
    Una calda luce gialla, come di un giorno che volge ormai verso sera, penetra nella stanza da una finestra posta fuori dallo spazio visibile del quadro, illuminando la parte alta della parete e insinuandosi lievemente nelle pieghe del drappo bianco che riveste all'antica il busto del liutista.
    Le sue mani affusolate e femminee toccano appena le corde dello strumento accennando una musica dolce che le labbra traducono in un malinconico canto.

    Oltre all'immagine rappresentata, la tela contiene significati nascosti eppure immediatamente percepibili dal pittore e dai suoi committenti: come l'androginia che si cela nel fare femmineo del giovane, non a caso spesso descritto come una suonatrice..., o il monito all'inafferrabilità del tempo che passa espresso dalla caducità dei frutti deposti sul tavolo..., la foglia accartocciata, la pera ammaccata da un colpo di bastone, la buccia dei fichi screpolata da un'eccessiva maturazione.


    Un quadro del Caravaggio con un uomo che suona il liuto compare nell'inventario dei Beni del cardinale Del Monte (febbraio - maggio 1627) e un altro in quello della Collezione Giustiniani (febbraio 1638).
    La descrizione riportata nell'inventario Del Monte corrisponde quasi certamente al quadro oggi in una collezione privata di New York, anch'esso autografo del Caravaggio come la tela di San Pietroburgo, già appartenuta a Vincenzo Giustiniani.
    Cantato in versi come una rappresentazione di Santa Cecilia da Giovan Michele Silos nel 1673, il quadro, databile intorno al 1597, fu acquistato dal Museo dell'Ermitage nel 1808 a Parigi, durante la fase di smembramento della Raccolta Giustiniani.


    CARAVAGGIO E IL CARDINAL DEL MONTE

    Il SUONATORE DI LIUTO..., come i BARI..., la BUONA VENTURA della Pinacoteca Capitolina..., la MEDUSA degli Uffizi..., il CONCERTO (o la MUSICA) del Metropolitan di New York, appartiene al gruppo di opere del Caravaggio possedute dal cardinal Del Monte, suo protettore e committente.
    Il Del Monte ebbe una parte importante nella formazione intellettuale del Caravaggio che, proprio nel suo circolo, venne in contatto con alcuni esponenti di spicco della cultura e dell'alta società romana.
    Il SUONATORE DI LIUTO, come la MUSICA, si lega in modo particolare agli interessi del cardinale, grande amante della musica e cultore delle scienze in generale.
    Anche gli interessi prospettici, evidenti nella definizione degli scorci degli strumenti musicali, trovano spiegazione nella cerchia del Del Monte il cui fratello Guidobaldo stava lavorando ad un trattato di prospettiva, pubblicato nel 1600, proprio quando il Caravaggio frequentava la casa del fratello.
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  7. gheagabry
     
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    GIUDITTA E OLOFERNE (1600 - 1602 circa)
    Michelangelo Merisi detto CARAVAGGIO (1573 - 1610)
    Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma
    Tela cm 145 x 195


    L'evento, già di per sé drammatico, è bloccato nel momento culminante e decisivo, cioè nell'attimo in cui, con un sicuro colpo di spada, Giuditta trapassa la gola di Oloferne.
    Il viso della giovane, di una bellezza incontaminata, è attraversato da un'espressione corrucciata che rivela un istante di ripensamento.
    Ma il gesto è fermo e la crudezza delle intenzioni è manifestata anche dal portamento quasi altero, dalla fronte che si corruga e dallo sguardo impietoso che accompagna la sua volontà omicida.
    Il viso e le membra giovanili contrastano con l'apparizione dell'inserviente, pronta a raccogliere nel telo che tiene in mano la testa mozzata di Oloferne.
    Impietosamente, Caravaggio si sofferma a descrivere la bruttezza quasi caricaturale del viso della donna la cui epidermide è irrimediabilmente segnata da rughe profonde sottolineate da un persistente indugiare nell'ombra.
    Anche le sue mani, pur nella presa volitiva, testimoniano la vecchiezza incipiente, soprattutto per quello sgranarsi della pelle scura messa ancor più in risalto dal braccio porcellanato della vicina Giuditta: sotto un grande tendone rosso alzato come il sipario di un teatro, Oloferne urla il suo dolore e si torce in uno spasimo, volgendo gli occhi all'in
    dietro, almeno per capire chi è l'aggressore che gli sta dando la morte.
    Il suo viso mostra anche la sorpresa di chi, assalito nel torpore dell'ebbrezza, ha solo il tempo di sollevarsi, ma non la forza di reagire e salvarsi la vita.

    Il soggetto, tratto dal Vecchio Testamento, rappresentava la vittoria della virtù sulla forza bruta e sul male.
    Giuditta era infatti considerata un simbolo di castità in quanto, resistendo ad Oloferne ed uccidendolo, aveva salvato il popolo ebreo dall'invasione assira: l'evento prefigurava la venuta della Madonna e il suo ruolo di salvatrice del popolo cristiano.


    L'opera

    Sul retro della cornice originale compare la scritta "D'Orazio", certo un'antica attribuzione del quadro ad Orazio Gentileschi.
    L'opera ebbe molta fortuna negli ambienti caravaggeschi e se ne conoscono due mirabili varianti dipinte da Artemisia Gentileschi.
    La tela è identificabile con quella citata nell'inventario di Ottavio Costa, stilato dopo la sua morte nel gennaio 1639.
    La notizia riportata dal Baglione riferisce che Caravaggio aveva dipinto per i Costa una Giuditta.
    Il quadro passò poi alla famiglia Coppi nel 1640, che la vendette allo Stato italiano nel 1971.


    Le intemperanze del Caravaggio all'osteria del Moro

    Nel 1605 il carattere irruente del Caravaggio si manifestò più volte e con insolita violenza.
    L'artista finì in carcere per avere tirato in faccia un piatto di carciofi ad un garzone d'osteria, per avere aggredito una certa Laura, la figlia di lei Isabella e la propria padrona di casa, Prudenzia Bruna, alla quale non aveva pagato l'affitto.
    Il teatro delle vicende fu l'osteria del Moro e il quartiere circostante dove il Caravaggio aveva molti nemici, quali il caporale Malanno e il capitano Pino, che gli sequestrò spada e pugnale e, realizzando uno dei primi identikit della storia, ne tracciò un disegno nell'atto di accusa.
    La zona era frequentata anche da Onorio Longhi e Prosperino delle Grottesche, amici dell'artista che poteva comunque contare sulla protezione del cardinal del Monte, sempre pronto a toglierlo dai guai.
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    SETTE OPERE DI MISERICORDIA (1607)

    Caravaggio (1573 - 1610)

    Pittore italiano

    Chiesa del Pio Monte a Napoli

    Tela cm 390 x 260




    La complessa iconografia qui raffigurata sintetizza le "Sette Opere di Misericordia", integrata dalla presenza della Madonna con il Bambino, avvolta tra le ali degli angeli che vegliano sulle opere di carità.

    Sebbene si tratti di un'opera eseguita nel primissimo soggiorno di Caravaggio a Napoli, dove riparò per sfuggire alla galera per avere ucciso un uomo, l'impianto compositivo è ancora legato alla sua esperienza romana, in particolare a opere quali la Morte della Vergine (Parigi, Louvre) eseguita perla cappella Cherubini della chiesa di Santa Maria della Scala.

    II forte naturalismo mostra legami stringenti con la cultura lombarda; in particolare la figura dell'uomo sdraiato a terra a torso nudo ricorda quella del profeta Michea affrescata da Moretto nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Brescia nel 1561.

    Il fascio di luce che filtra dall'alto e colpisce trasversalmente la scena, può essere intesa come anello di congiunzione fra vita terrena (le scene di carità che si susseguono nella parte inferiore della composizione) e vita spirituale (i personaggi sacri che occupano la parte superiore della composizione).

    La presenza nel dipinto del ritratto del proprietario tedesco dell'albergo Cerriglio di Napoli nella veste dell'oste che accoglie il pellegrino, suggerisce che al tempo dell'esecuzione di quest'opera Caravaggio soggiornasse presso di lui; la notizia non è suffragata da documenti, ma comunque è certo che l'artista si fermò presso l'albergo del tedesco nel 1609, al ritorno del suo avventuroso soggiorno nell'isola di Malta.

    La presenza della grande tela nella chiesa del Pio Monte richiamò a Napoli molti artisti, affascinati dalla potenza espressiva di Caravaggio, risultando così elemento determinante per il futuro percorso dell'arte locale di tutto il Seicento.


    L'OPERA

    Nel settembre del 1606, appena giunto a Napoli, Caravaggio ricevette la commissione per una grande tela da col locare sopra l'altare maggiore della chiesa del Pio Monte di Napoli, dove è ancora oggi.
    Dai documenti trovati son riuscito a sapere che, già nel febbraio del 1607, l'artista aveva ricevuto il saldo di quattrocento ducati, dato questo che induce a credere che la tela fosse stata consegnata alla chiesa proprio in quel periodo.


    LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA

    Le "Sette opere di misericordia", espressione della pietà umana, sono qui raffigurate con una straordinaria sintesi; mai il testo evangelico di San Matteo aveva trovato un interprete così anticonvenzionale come Caravaggio.

    Gli episodi si snodano lungo un buio vicolo popolare di Napoli, illuminato dall'alto da una luce mistica e in basso dalla torcia in mano a un uomo.

    A destra sono rappresentate le opere spirituali: "Cimone in carcere allatta la fîglia Pero" (nutrire ali affamati e visitare i carcerati)..., "Il trasporto del cadavere alla presenza di un chierico con la torcia" (seppellire i morti)...; nella parte sinistra della composizione sono le opere materiali: "San Martino e il povero" (vestire gli ignudi)..., "San Giacomo di Compostella e l'oste" (ospitare i pellegrini)..., "Sansone che bere dalla mascella dell'asino" (dare da bere agli assetati).

    È probabile che la figura isolata in primo piano, nuda di spalle, possa richiamare il precetto di curare gli infermi.



    CENA IN EMMAUS (1601 - 1602 circa)
    Caravaggio (1573 - 1610)
    Pittore italiano
    National Gallery a Londra
    Olio su tela cm 141 x 196


    È la prima delle due versioni con lo stesso tema dipinte dal Caravaggio e raffigura il momento in cui Cristo, giovane e imberbe come nel "Cenacolo" milanese di Leonardo o nel "Giudizio" di Michelangelo nella Sistina, viene riconosciuto dagli apostoli mentre benedice il pane.

    A parte il giovane servo con la berretta bianca che non comprende quanto sta accadendo, i due apostoli reagiscono con violenta sorpresa alla scoperta.
    Quello di sinistra è bloccato mentre, alzandosi di scatto, sospinge nel nostro spazio, invadendolo anche con il suo gomito, lo spigolo della sedia; quello di destra mentre allarga le braccia per l'intera profondità della tela.

    Nell'altra versione (Milano, Brera), dipinta intorno al 1606, i gesti sono semplificati e Cristo, con maggiore aderenza al tema, è un uomo adulto, barbuto e provato dalla sofferenza.
    Ha già spezzato il pane e gli apostoli hanno superato lo stupore dell'inatteso riconoscimento.
    Per questo i gesti sono più contenuti e calmi anche se il volto di Cristo è percorso da un'espressione malinconica che precede la sua definitiva scomparsa dalla vista degli apostoli.
    Lenticolare, in entrambe le opere, l'attenzione portata sui semplici oggetti deposti sulla tavola: il pollo, la cestina di frutta e le bottiglie di vino nella "Cena in Emmaus" londinese..., la caraffa, i piatti vuoti e la pagnotta in quello milanese.

    È per raffigurazioni immediate, semplici e realistiche come queste che Caravaggio ha sconvolto, e insieme rinnovato, la pittura del proprio tempo.


    L'OPERA

    La prima citazione sicura dell'opera è nell'Inventario della Villa Borghese del 1650.
    Tuttavia, anche se7e fonti antiche descrivono il quadro nella sua collezione, siamo certi che esso fu acquistato dal cardinale Scipione alcuni anni dopo la sua esecuzione in quanto la tela mostra i caratteri della pittura di Caravaggio intorno al 1601-1602-, mentre Scipione giunse a Roma solo nel 1605.
    Rimasto nella Collezione Borghese fino alla fine del 1700, i I quadro fu venduto dal principe Camillo, marito di Paolina Bonaparte ad un certo Durand, un mercante parigino.
    Nel 1831 apparteneva a un inglese, l'onorevole George Vernon che lo donò alla National Gallery nel 1839.


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    Studioso napoletano: Caravaggio... morì assassinato a Palo

    Paolo Pacelli, Università di Napoli: fu omicidio di Stato



    'Assurdo' pensare che il Caravaggio possa essere stato sepolto con indosso il pesante mantello da cavaliere di Malta. Convinto che il pittore sia morto a Palo di Ladispoli e non a Porto Ercole, come indica la storiografia ufficiale, il professor Vincenzo Pacelli, ordinario di storia dell'arte dell'università Federico II di Napoli, smonta anche i criteri della ricerca in base alla quale un anno fa è stato annunciato il ritrovamento delle ossa del genio lombardo nella cittadina toscana.

    Per lo studioso- cui si deve anni fa l'attribuzione del Martirio di Sant'Orsola- è impossibile che il Merisi, avesse ancora con sè l'ingombrante mantello da cavaliere gerosolimitano e la spada da miles.

    Le immagini/ I documenti

    Questo per una questione di praticità ("come avrebbe fatto a portarli con sè in tutte le sue fughe compresa quella 'impossibile' dalla prigione maltese?") ma non solo: "bisogna ricordare che nel 1608, quando venne cacciato con ignominia dall'Ordine di Malta, Caravaggio fu sottoposto anche alla privatio habitus".

    Quanto alla tomba, "è comprensibile che i cittadini di Porto Ercole siamo orgogliosi di una tradizione falsa e tendenziosa che vuole che Caravaggio morto su quei lidi per una malattia, di cui però nessun medico ha redatto il referto.- ragiona Pacelli- Se ciò fosse accaduto nel piccolo centro, un personaggio così famoso e per giunta fratello di un prete, avrebbe certamente ricevuto un funerale solenne, alla presenza dei suoi familiari, che avrebbero provveduto alla sua sepoltura, ma anche dei tanti illustri committenti, che avevano fatto a gara per avere le sue opere. Se in realtà Caravaggio fosse stato onorato di degna e pubblica sepoltura, possiamo essere certi che nessuno da allora avrebbe dimenticato la sua tomba".

    Più logico pensare, conclude Pacelli, che il corpo del grande pittore sia stato fatto sparire dai suoi assassini, quegli emissari dei Maltesi che già avevano cercato di farlo fuori a Napoli. "Forse, addirittura gettato in mare".



    repubblica
     
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  10. gheagabry
     
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    Caravaggio, ritrovati 100 disegni mai visti.
    Gli studiosi li cercavano da un secolo




    Per la storia dell'arte potrebbe essere una svolta storica. Si tratta di un centinaio di opere assolutamente inedite - disegni e alcuni dipinti - attribuite da un'equipe di studiosi ai 'primi passi' di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio quando, appena adolescente, era allievo nella bottega del pittore manierista Simone Peterzano, dal 1584 al 1588.

    Le opere, il cui valore stimato e' di circa 700 milioni di euro, sono venute alla luce grazie ad una lunga ed accurata ricerca svolta da un gruppo di esperti, guidato da Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, da domani pubblicata da Amazon in due e-book di 600 pagine dal titolo 'Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate'.

    Attraverso un migliaio di immagini e puntuali confronti con i capolavori romani e napoletani del Merisi, le due pubblicazioni illustrano e ricostruiscono, in quattro lingue, la prima produzione artistica del genio lombardo, fino a oggi rimasta sconosciuta. Per due anni, gli studiosi hanno compiuto frequenti sopralluoghi nell'area di Caravaggio e nelle chiese milanesi ed hanno letteralmente setacciato il Fondo Peterzano, custodito nel Castello Sforzesco (di proprieta' del comune di Milano) e contenente 1.378 disegni del maestro e degli allievi che lavoravano con lui.



    ''Era impossibile che Caravaggio non avesse lasciato nessuna testimonianza della sua attivita' durata dal 1584 al 1588 presso la bottega di un pittore all'epoca famoso e ricercato'' sostiene Bernardelli Curuz, direttore artistico della Fondazione Brescia Musei. E infatti ha messo a punto una rigorosa metodologia di indagine che ha permesso in primo luogo di individuare il canone geometrico che sottende le raffigurazioni del primo periodo romano, i volti di efebo fino al 'Ragazzo morso dal ramarro'.

    ''Ogni pittore ne ha uno, come fosse una matrice stilistica'', sottolineano i due studiosi che quindi hanno proceduto a rintracciare quelle stesse proporzioni nei disegni di studio che ogni allievo aveva il compito di realizzare fino a impararli a memoria, declinandoli nelle piu' diverse fisionomie e posture. Dei circa cento disegni rinvenuti nel Fondo della Bottega di Peterzano, ben 83 ''saranno ripresi piu' volte nelle opere della maturita' - sottolineano - a dimostrazione che il giovane pittore parti' da Milano con canoni, modelli, teste di carattere e alcune possibili varianti stilistiche, pronti per essere utilizzati nei dipinti romani''. I due ricercatori hanno individuato il ''canone geometrico'' dei volti anche in un dipinto di Simone Peterzano, il ''quadrone'' nella chiesa milanese dei Santi Paolo e Barnaba in cui viene raffigurato 'Il Miracolo dei santi Paolo e Barnaba a Listri'', eseguito dal maestro manierista nel 1573, ma considerato da Roberto Longhi ''fortemente precaravaggesco''. Qui un sospetto gruppo di ritratti giustificherebbe l'intuizione di Longhi, in quanto quei personaggi sarebbero stati, come lo stesso Caravaggio, ancora troppo giovani per apparire in tali ruoli e fogge.




    Le evidenti incongruenze temporali, e le diversita' di stile, hanno portato gli studiosi a indagare quello che ritengono un rifacimento eseguito nel 1590 dal Merisi, probabilmente proposto dalla sua storica protettrice Costanza Sforza Colonna, benefattrice dei Barnabiti. In quello che potrebbe essere stato il suo primo lavoro in autonomia, emerge ''una cifra di assoluta originalita''', senza contare, sottolinea Bernardelli Curuz, che almeno nove di quei ritratti tornano nella sua successiva produzione. ''Come la raffigurazione di Carlo Bascape', superiore generale dei Barnabiti e direttore spirituale di Costanza, che ha lo stesso volto di un personaggio dell''Ecce Homo' o quello di Alessandro Sauli che riappare nell''Incredulita' di San Tommaso'''.

    Quella ''rapida e violenta modalita' di stesura del segno'' potrebbe infine essere la stessa che il giovane allievo infonde nelle brevi righe di un biglietto di protesta, anch'esso rinvenuto nel Fondo Peterzano, che ''mette in luce attriti e incomprensioni tra due temperamenti agli antipodi''. Il breve scritto e' stato sottoposto (ma solo in foto) a perizia grafologica in un confronto con ricevute vergate da Caravaggio nel 1605-1606. Per l'esperta grafologa Anna Grasso Rossetti, perita del tribunale di Brescia, i diversi biglietti sarebbero della stessa mano, quindi tutti autografi di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.



    (Nicoletta Castagni , Ansa)

     
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  11. gheagabry
     
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    4 cose sui cento “nuovi” Caravaggio

    caravaggio

    Da venerdì i quotidiani italiani dedicano molto spazio alla notizia per cui un gruppo di ricercatori sostiene di avere trovato nuovi disegni e dipinti giovanili di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, uno dei più importanti pittori della storia dell’arte mondiale, vissuto in Italia alla fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. I ricercatori stimano un valore di 700 milioni di euro per le opere scoperte e le hanno pubblicate in quattro e-book in vendita su Amazon.
    Chi li ha trovati?
    Gli autori della scoperta sono due storici dell’arte: Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli. I due non hanno incarichi accademici dentro l’università, ma Bernardelli Curuz è direttore della Fondazione Brescia Musei. La loro scoperta è stata annunciata all’Ansa, in esclusiva, alle 17,30 di giovedì.
    Dove sono stati “trovati”?
    Non in una cantina polverosa, ma nel Fondo Peterzano, custodito nel Castello Sforzesco a Milano. Di fatto, non sono stati “trovati”, né “scoperti”: la novità è la loro attribuzione. Il fondo contiene dipinti e disegni della bottega di Simone Peterzano – probabile allievo di Tiziano – nella quale Caravaggio studiò dal 1584 al 1588. Il fondo è sempre stato frequentato e studiato da grandi studiosi e alcuni disegni erano stati presi in considerazione per un’attribuzione a Caravaggio. Questa è la prima volta in cui uno studioso gli attribuisce senza dubbi un numero così ampio di disegni.
    Perché sono attribuiti a Caravaggio?
    Principalmente perché alcuni volti e alcune pose nei disegni scoperti somigliano a opere del Caravaggio maturo. I due studiosi affermano anche di aver messo a punto un metodo che loro chiamano “canone geometrico”. Ogni pittore avrebbe il suo canone, un approccio alla costruzione del contenuto dei disegni che i due ricercatori non hanno descritto in maggiore dettaglio per quanto riguarda Caravaggio: ma che avrebbero riconosciuto confrontando i disegni con altre sue opere note. «Ottantatré disegni dei cento da noi scoperti furono applicati dal Merisi nelle prove romane e post-romane. Ciò dimostra che Caravaggio era partito dalla Lombardia con un bagaglio figurativo molto ricco». La ricerca sarebbe partita da un’ipotesi spiegata dai due: «La madre di Caravaggio, Lucia Aratori, aveva speso una fortuna per pagargli la salata retta di allievo per quattro anni nella bottega di Simone Peterzano. Impossibile che non avesse voluto vedere i risultati, che non ci fossero i disegni».
    Cosa ne pensano gli esperti?
    Diversi critici e gli storici dell’arte sono molto scettici sull’attribuzione e diffidano dei metodi utilizzati dai due autori della scoperta. Francesca Rossi, custode del Fondo Peterzano, ha raccontato al Corriere di non aver mai incontrato i due studiosi, ma di aver soltanto ricevuto una loro richiesta di materiale fotografico un anno fa. Molti esperti ricordano che, in assenza di documenti, non esiste un metodo scientifico per attribuire un’opera con certezza. Gianni Papi, uno dei massimi esperti di Caravaggio, in un’intervista all’Adnkronos, spiega che in questo caso l’attribuzione è ancora più difficile visto che non ci sono disegni ufficiali del Caravaggio con cui confrontare gli schizzi che gli sono attribuiti. In ogni caso dopo un’ipotesi di attribuzione è fondamentale discuterne e pubblicare i risultati della ricerca nelle sedi accademiche e scientifiche appropriate. Che non sono Amazon, sostengono.
    (ilpost.it)

     
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