ALBERI - CONIFERE, LATIFOGLIE..

..nei boschi, nella giungla insomma proprio tutti

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  1. gheagabry
     
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    "..quando si spoglia ...eleganti ramificazioni affiorano come rami di corallo.."



    l'ALBERO del CORALLO

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    Erythrina crista-galli nasce dove il clima è mite. Mostra foglie sfumate di verde e azzurro, formate da tre foglioline, e grappoli di fiori rosso corallo intenso, che in genere compaiono prima delle foglie. I fiori, dai 3 ai 5 centimetri, sbocciano in continuazione nei mesi di giugno e luglio. E' originaria del Brasile ma può, nelle località climaticamente meno fortunate, essere allevata anche in vasi o mastelli: formerà allora un piccolo arbusto, non meno bello degli esemplari ad alberello.
    Vi sono circa 130 varietà di Erythrina distribuite in tutto il mondo, nelle regioni tropicali e subtropicali. Molte varietà portano spine nel tronco e sui rami. La maggior quantità ha fiori rossi e data anche la somiglianza dei rami al corallo di mare queste varietà vengono comunemente chiamate “Albero corallo”. Molte varietà sono molto conosciute e coltivate nei tropici nei viali per la loro resistenza alla siccità. Tutte portano dei baccelli più o meno grandi secondo la varietà. Si dice che i semi delle Erythrine siano i più belli del mondo, la maggior parte di colore rosso brillante. La più comune Erytrina crista galli è il fiore nazionale dell’Argentina.

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    Nelle zone d’origine i fiori sono impollinati prevalentemente dai Colibrì. La conformazione di questi piccoli uccelli fa sì che possano raggiungere facilmente il nettare alla base dei petali all’interno della corolla tubolare, con una alta concentrazione di saccarosio per soddisfare il fabbisogno energetico di questi. In Sudafrica e nelle isole caraibiche le popolazioni usano fare collane e rosari con questi semi e i bambini li raccolgono come portafortuna.
    Sono stati fatti 4 Simposi, durante gli anni 70 e 80 per discutere di questo straordinario genere. Non si è venuto a conoscenza di come siano stati propagati in tutti i più importanti continenti, si presume però che la maggior fonte di distribuzione siano le correnti oceaniche ( idrofilia ) e la migrazione degli uccelli (zoofilia). Nel primo caso la permeabilità dei semi ha permesso il galleggiamento e si pensa che possano sopravvivere in acqua salata e mantenendo la loro germinabilità anche per un anno, nel secondo caso la riproduzione avviene tramite l’ingestione dei semi che, attraversando il passaggio nel tubo digerente degli uccelli, viene poi immesso in varie zone tramite gli escrementi.
    Parecchie specie dell'albero di Erythrina sono usate dalla gente indigena in Amazzonia come medicinali, gli insetticidi e veleni dei pesci. L’Erythrina mulungu o verna è usata nel Brasile dagli indigeni come sedativo naturale, per calmare un sistema nervoso sovraeccitato e per promuovere un sonno tranquillo. E’ usata anche sia per agitazione che tosse nervosa, ansia e insonnia, utilizzando la corteccia e la radice. In Brasile e Perù è usato anche per l’epilessia. Anche L’Erythrina vespertilio viene usata dagli aborigeni australiani come sedativo. L’Erythrina edulis è una fonte importante di alimento per gli esseri umani e gli animali negli altopiani tropicali del Sudamerica.
    Le radici e la corteccia di molte specie producono una tintura arancione usata per tingere i tessuti.
    Alcune specie di Erythrina sono usate come piante di alimento delle larve di alcune specie di Lepidoptera.




    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:09
     
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  2. gheagabry
     
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    La THUJA

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    Botia dal greco "bios" vita, è il nome inglese della Thuja orientalis, detta anche "Arborvitae" cioè 'albero della vita'
    La tuia nome comune per thuya è un piccolo genere appartenente al gruppo delle conifere e alla famiglia delle Cupressaceae. La sua origine si colloca lungo la costa del Pacifico nel Nord America - dall'Alaska fino alla California - e nell'Asia orientale. In natura si presenta come un albero dalla media taglia, essendo capace di raggiungere un'altezza di 40 metri circa. Ha un portamento colonnare ed è munita di rami appiattiti con un rivestimento di foglie squamiformi.
    Le tuie sono bellissimi esemplari del tipo sempreverde e, nel passato, il loro legno veniva di frequente utilizzato dagli indiani d'America per diversi lavori, come la costruzione di case, ma anche di canoe e dei celebri pali che davano vita ai totem. Questo legno era preferito agli altri poiché, al tempo stesso, possiede caratteri di forza, leggerezza e durevolezza.

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    Sono tre le specie a maggior diffusione: la tuia gigante, o thuja plicata – la più comune - che raggiunge nel nostro paese altezze di 25 o 30 metri circa e presenta crescita molto rapida e utilizzo ornamentale. Le cime dei suoi rami sono solide al tatto con colore rossastro e anche la corteccia dei giovani rami ha tonalità rossa. La tuia occidentale, o thuja occidentalis, famosa per i boschi fitti, ai limite della penetrabilità, che forma in Nord America quando cresce a più esemplari ravvicinati. E’ una bella pianta rustica che arriva, a crescita lenta, ai 15 metri di altezza. Ha anch'essa utilizzo ornamentale e comprende diverse varietà, come la columnaris, la globosa, la pendola, la aurea. Alcune di queste sono piante nane che vanno a formare apprezzati cespugli tondeggianti che decorano giardini rocciosi. Infine la tuia orientale, o thuja orientalis, originaria appunto dell'Est del mondo: Cina settentrionale e occidentale e Corea. E’ pianta arbustiva e rustica, con un'altezza che va dai 6 agli 8 metri ed è particolarmente apprezzata per la formazione di siepi a rami fogliari con disposizione verticale.

    La tuia gigante ha foglie verde lucente nella pagina superiore, più chiare in quella inferiore. Queste sono composte da piccoli ramuscoli appiattiti e, nel caso in cui vengano schiacciate, sprigionano nell'aria un odore aromatico e fruttato assai piacevole. Il fogliame è assai somigliante a quello delle felci: ha squame pressate contro i rami, cosicché i ramoscelli più piccoli finiscono con l'essere coperti e nascosti. Col tempo, quando i rami maturano, le squame delle foglie invecchiano, prendono colore marrone rossiccio e poi cadono. I coni della tuia occidentale si presentano color giallo bruno, con poche squame e si trovano solo in esemplari adulti. La tuia occidentale ha foglie con colore verde scuro nella parte superiore, più vicine al giallo in quella inferiore. L'odore sprigionato dal fogliame è più resinoso. I suoi coni sono di taglia più piccola rispetto alla specie precedente e sono formati da tenere squame con una consistenza erbacea. La tuia orientale, infine, ha piccole foglie di forma ovoidale, disposte sui rami verticali. I coni della pianta sono di numero inferiore rispetto alle precedenti. Hanno color verde marrone e sono formati da spesse squame.
    (giardinaggio.net)


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    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:15
     
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  4. gheagabry
     
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    LA PIANTA DEL CARAMELLO

    Cercidiphyllum_japonicum_JPG01d



    Lo chiamano "falso albero di giuda" e in effetti una certo somiglianza con Cecis siliquastrum, rispetto al quale ha foglie simili ma mentre il Censis ha il suo momento di gloria in primavera, il Cercidiphyllum japonicum è spettacolare in autunno quanto le foglie passano dal verde a tutte le tonalità del giallo, arancio rosso e rosa. Il Cercidifillo del giappone si sviluppa crescendo in altezza, e sviluppano un fusto spoglio, che porta una folta chioma. Il Cercidifillo del giappone non è sempreverde e ha lo sviluppo di un albero....gli esemplari adulti sono di taglia grande e raggiungono i 18 m di altezza. Le foglie caduche sono arrotondate.
    Chiamato anche Katsura, dal suo nome in giapponese, è originario del Giappone, dove si trova nei boschi misti di latifoglie a clima temperato-freddo. E' stato introdotto in Europa nella seconda metà dell'Ottocento come specie ornamentale.
    Questo albero, ancora poco conosciuto ha un ulteriore singolare caratteristica...le foglie soprattutto in autunno, profumano di caramello o, per qualcuno, di cacao.
    Il Cercidiphyllum japonicum, comincia a virare nei colori autunnali e, improvvisamente, le foglie emanano un intenso profumo di caramello, che incuriosisce e attira chiunque gli passi vicino...il profumo è così intenso che si può godere già a parecchi metri di distanza, anzi, mano a mano che ci si avvicina, cambia intensità: da lontano sembra zucchero caramellato, poi dolce di mele.




    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:18
     
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  5. gheagabry
     
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    ROBINIA


    La robinia è un albero appartenente alla famiglia delle Leguminosae. La robinia è un albero di media grandezza che arriva a un altezza che si aggira intorno ai 25 metri. E' una pianta a crescita piuttosto rapida, con valore ornamentale soprattutto in virtù della bellezza del proprio fogliame, che risplende di una suggestivo colore giallo chiaro dalla primavera fino alla stagione autunnale: il suo valore viene evidenziato qualora sia coltivata come esemplare singolo all'interno di un prato. Uno spazio medio ampio intorno al suo tronco le permetterebbe infatti di espandere a dovere la sua regale chioma, con i bellissimi fiori che raggiungono il massimo splendore nei mesi di maggio e giugno. Ma, durante estati particolarmente torride, il fogliame può mutare colore e da giallo ritornare verde chiaro, perdendo di conseguenza una delle sue caratteristiche più amate.
    Le affascinanti foglie pinnate sono un segno della sua bellezza, ma anche i suoi penduli racemi di fiori candidi, o rosa chiaro o porpora a cui segue la produzione di semi che saranno contenuti da appiattiti baccelli.
    La robinia ha portamento a chioma eretta e fusti abbastanza fragili e spinosi, che spesso possono ricevere danni se sottoposti alle sferzate ripetute di un vento forte. Anche i ramoscelli hanno piccole spine, che si presentano sempre a paia, non presenti invece sui rami più forti. A proposito delle spine, la cultivar Pyramidalis, con portamento colonnare, ne è totalmente priva.
    Il tronco e gli steli della robinia si presentano sempre irregolari e scanalati, e la corteccia sempre molto accidentata. Questo particolare, se da un lato conferisce maggior bellezza all'esemplare, dall'altro lo rende poco usufruibile per l'utilizzo di moderno legname per la produzione di oggetti di vario genere, nonostante il suo legno sia forte e durevole.
    Il fogliame consiste in una massa di foglie, divise con delicatezza. Queste sono pinnate, composte di 9 paia di foglioline di colore verde chiaro. I fiori sono bianchi e molto profumati. Si aprono all'inizio della primavera e sono la parte più apprezzata esteticamente dell'albero: candidi come la neve si presentano pendenti come se formassero dei grappoli delicati
    (giardinaggio.net)

    ....la storia...


    Il suo nome latino è robina pseudoacacia. “Pseudoacacia” perché quando fu trovata dai primi uomini che popolarono il Nord America fu subito battezzata “acacia” a causa delle sue spine che la facevano rassomigliare a un albero descritto fra le pagine dell'Antico Testamento. Falsa acacia, fu considerata quindi per qualche tempo ( in inglese, per esempio, il suo nome è “golden acacia” ), ma le differenze con quest'albero sono sostanziali.

    La “Robinia pseudoacacia” è così chiamata onore di Jean Robin (1550-1629), erborista e farmacista dei re francesi, che aveva avuto l’incarico di organizzare l’Orto botanico dell’Università di Parigi. I semi di robinia, provenienti dall’America, erano capitati nelle sue mani nel 1601; Robin li piantò e ne ottenne dei bellissimi alberi ornamentali, divenuti in poco tempo di gran moda e ben presto diffusi in tutta Europa. In Italia la robinia fu coltivata per la prima volta già nel 1602 nell’Orto botanico di Padova da dove si diffuse in Piemonte e in Lombardia. Alessandro Manzoni introdusse la robinia nel giardino della sua bella villa di Brusuglio in Brianza, e ne consigliò l’uso per il rimboschimento e il consolidamento dei terreni collinari erosi. Lo scrittore Carlo Emilio Gadda aveva rimproverato a Manzoni di aver avuto la malaccorta idea di diffondere una così “pungentissima” pianta. Sulla "Nuova Enciclopedia Popolare Italiana", edita dalla Unione Tipografica Editrice di Torino, anno 1863:


    "E' stata propagata in tutta Europa in grazia del suo rapido accrescimento e dell'eccellente qualità del suo legno e principalmente come albero d'ornamento, stante la vaghezza del suo fogliame e dei suoi fiori candidi che appaiono sul finire della primavera ed esalano un odore soavissimo... Il fogliame è appetito al bestiame e coi fiori si produce uno sciroppo gradevole e temperante.... Non va coltivata vicino agli orti per i suoi effetti dannosi......."(dal web)


    ... a Parigi ...


    L’albero ritenuto il più antico di Parigi è la Robinia pseudoacacia di Square René Viviani. L’albero fu piantato nel 1601 nientemeno che da Jean Robin, botanico francese alla corte dei re Enrico III, Enrico IV e Luigi XIII, che, credendolo una specie di acacia. L’albero, pericolosamente inclinato, è sorretto da una colata di cemento ed è alto 15 metri con una circonferenza di 3,5 metri. Si trova all’interno del piccolo giardino intitolato a René Viviani situato in una posizione davvero notevole: se dalla cattedrale di Notre-Dame attraversate la Senna dal Pont au Double e poi la Quai de Montebello vi ritrovate davanti alla Square Viviani, piccolo spazio verde abbellito da una fontana in bronzo dello scultore George Jeanclos, e dove è possibile trovare un pozzo del XII secolo oltre ai resti di balaustre, pinnacoli e capitelli. Il giardino è curatissimo e vissuto dai parigini come solo loro sanno fare.

    .....curiosità.....


    Quella sull’asciugamano di Robinia è una battuta che tutti hanno ascoltato almeno una volta, qui a Milano e dintorni: una di quelle frasi impossibili da tradurre, o quantomeno che lo sono diventate, col tempo. Una cosa del genere, molto italianizzata per farsi capire da tutti: “per quello lì...ci vorrebbe el sugamàn de robinia”. Purtroppo il dialetto non lo parla più nessuno, la vita quotidiana è ormai tutta fatta di oggetti di plastica, e di conseguenza oggi dovrò mettere giù un bel po’ di spiegazioni. Si capisce al volo che il significato non va preso alla lettera: la robinia è una pianta d’alto fusto, quasi un albero. Come molte altre piante più o meno simili (il salice e il ligustro, per esempio) la robinia produce rami giovani che sono molto lunghi e flessibili: rami che una volta venivano usati per fare cesti, gerle, perfino bauli. Un ramo giovane di robinia, o di salice, può servire anche come sferza, o magari come bastone (dipende dal diametro e da quanto è flessibile): l’asciugamano di robinia è dunque una bastonatura, una sferzata. “Per quello lì ci vuole l’asciugamano di robinia” è dunque un’espressione rivolta a qualche giovane un po’ troppo – come dire – vivace. Per fortuna, lo si dice quasi sempre scherzando.
    La cosa curiosa è che con la robinia si può davvero ottenere una fibra tessile, non molto diversa dalla canapa o dalla iuta; lasciando a macero i rami si ottengono delle fibre molto lunghe e molto flessibili, che possono essere filate e poi tessute. Il tessuto così ottenuto non è ovviamente paragonabile per morbidezza alla seta e al cotone, e quindi ecco un altro significato dell’espressione “sugamàn de robinia”, che era sicuramente noto ai nostri antenati....Ne ho trovato una variante divertente in un film di Ermanno Olmi (“La cotta”, o forse "Piccoli discorsi", girati nel 1965): il padre del ragazzo si lamenta perché lo trova svogliato, e dice che per lui ci vorrebbe “el sugamàn de robina”. Robina, e non robinia: robina, cioè roba fine, sicuramente un altro doppio senso più che una pronuncia dialettale diversa.
    (deladelmur.blogspot)
     
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  6. gheagabry
     
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    "Poca gente osserva le piante, forse le trovano noiose. Pochi sanno riconoscere un leccio, o addirittura distinguere un ippocastano da un tiglio. E' un vero peccato, le piante non sono affatto noiose.."
    (dal web)


    L'ACACIA


    Albero di medie dimensioni, originario dell'Asia, diffuso in Italia già dal 1700; molte altre specie di albizia sono presenti anche in Africa ed in Australia. Il fusto è eretto, con corteccia liscia, di colore verde scuro, tende a fessurarsi con il passare degli anni; gli alberi adulti raggiungono i 10-12 metri di altezza, sviluppando un'ampia chioma ad ombrello. il fogliame è molto delicato e leggero, costituito da foglie bipennate, costituite da piccole foglioline ovali, di colore verde brillante, caduche. In estate produce, da giugno-luglio, fino alla fine di agosto, numerosi fiori profumati, costituiti da capolini di colore rosato, riuniti in corimbi. In autunno ai fiori seguono i frutti, silique allungate, che seccano sull'albero, contenenti alcuni semi fertili

    ...simbolismo, miti e leggende...


    Considerata sacra presso gli egizi e gli arabi, l'acacia simboleggia la speranza e la continuazione della vita dopo la morte, ergendosi così a emblema della persistenza dell'energia indistruttibile della vita. Possiamo affermare con certezza che l’albero di Acacia è il simbolo del mondo vegetale più rappresentativo e significativo della Massoneria e, in tale contesto, rappresenta l’idea di immortalità. L'origine di questo simbolo, che frequentemente vediamo come distintivo sul bavero del vestito dei Liberi Muratori risale al mito di Hiram, l'architetto del Tempio di Gerusalemme. Infatti, dopo la sua morte, i suoi aguzzini seppellirono il corpo inumato e, nel luogo della sua sepoltura, germogliò una piantina di acacia, rivelandone quindi la presenza. Ma questo episodio è diventato anche simbolo della rinascita ad una vita nuova e rinnovata. L’origine del nome Acacia si può far derivare dal termine greco a-kakon riferito all’innocenza, o meglio, all’assenza di forze maligne.

    Fra i tanti simboli massonici ve n'è uno che ha tutta una sua particolarità e che più degli altri riscuote, per così dire, la simpatia da parte dei Fratelli. Intendo parlare della foglia di acacia, quel simbolo cioè che frequentemente vediamo come distintivo sul bavero del vestito dei Liberi Muratori...Il simbolismo dell'acacia arriva da molto lontano e questo dimostra, anche
    in termini antropologici, come sia naturale, cioè connaturato nell'animo umano, questo atteggiamento di "simpatia" nei confronti della pianta, capace di stimolare nelnostro inconscio particolari sensazioni e suggestioni.
    E così, troviamo riferimenti all'albero dell'acacia nelle antichissime iscrizioni sacre sulle tavolette di argilla scoperte a Nippur in Babilonia. Nell'Antico Testamento, nel libro dell'Esodo, si legge che: "Besalcel fece l'Arca di legno di acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga e alta un cubito e mezzo. La ricoprì d'oro puro di dentro e di fuori e le fece intorno una corona d'ora". E più avanti: "Preparò due stanghe di legno di acacia e le ricoprì d'oro e le fece passare negli anelli ai lati dell'Arca, per poterla portare". Ed ancora: "Fece pure la mensa di legno di acacia, lunga due cubiti, larga un cubito e alta un cubito e mezzo; la ricoprì di oro puro e le fece un bordo d'oro all'intorno... Fece anche le stanghe di legno di acacia per portare la mensa e le
    ricoprì d'oro".
    Va ricordato inoltre che, secondo la leggenda, il roveto ardente attraverso il quale Dio si presentò a Mosè, era un'acacia. Appare chiaro così il valore sacro che, già migliaia di anni fa', gli Ebrei attribuivano al legno di acacia ("shittah" nella loro lingua), legno incorruttibile, l'unico degno di contenere le Tavole della Legge, ossia il patto fra Dio e l'uomo, e con il
    quale era pure costruito il Tabernacolo e l'Altare. Va osservato in proposito che il Libro dell'Esodo racconta l'uscita degli Ebrei dall'Egitto e questo ci fa dedurre che la particolare considerazione del legno dell'acacia era stata ereditata dalle ancora più antiche tradizioni della civiltà dei Faraoni.
    Gli antichi Egizi, infatti, tributavano all'acacia onori divini ed un esempio emblematico lo si ritrova nel culto di Osiride. Nel mito osirideo Iside, sorella-sposa di Osiride, ricerca il corpo dell'amato sposo che era stato ucciso dal fratello Seth e quindi fatto in pezzi. Ritrovate le membra
    disperse le ricompone in una bara di legno d'acacia facendolo così rivivere.
    Questo mito è particolarmente vicino ad una simbologia predominante che identifica il ramoscello di acacia come simbolo di resurrezione. Va ricordato che il nome stesso "acacia" è di origine egizia e lo ritroviamo identico nel greco antico e in numerose lingue, fino alla nostra.
    Per riferire ancora dell'importanza dell'acacia nella tradizione massonica va ricordata la leggenda secondo la quale, dal tronco dell'albero dell'acacia, si irradiano tre rami: uno di fico, uno di quercia ed uno di acacia, che rappresentano rispettivamente la Massoneria Egizia (il fico), la Massoneria Svedese (la quercia) e la Massoneria Scozzese (l'acacia), quest'ultima, pertanto, come più diretta e immutata trasmissione del messaggio iniziatico. I fuochi sacri venivano fatti con il legno di acacia e di acacia erano fatte le pire sulle quali, nell'antichità, venivano cremati i cadaveri dei re
    e dei sacerdoti. Il poeta romantico inglese Shelley nel suo romantico entusiasmo per gli ideali di libertà di tutti i popoli, partecipò ai moti carbonari italiani del 1821. L'anno successivo mentre viaggiava in nave da Genova a Livorno per andare a trovare l'amico Byron, fu colto da un'improvvisa tempesta che affondò la nave. Il suo corpo fu trovato a Viareggio dove, sulla spiaggia, Byron volle che il corpo fosse arso con rituale massonico su una pira di legno di acacia.
    Il secondo esempio riguarda Giuseppe Garibaldi che, con disposizione testamentaria, aveva stabilito che il suo corpo venisse cremato su una pira di acacia. Ma, come sappiamo, il desiderio di Garibaldi non venne rispettato perché il Governo decise, suscitando la fiera protesta di Carducci, che il corpo venisse imbalsamato e seppellito a Caprera. Dirà più tardi Giuseppe Guerzoni "Tutto questo mondo di gloria e di virtù si nascose in una povera urna, fra due bambine, sotto un'acacia". Così, almeno in parte, si rispettarono le volontà di Garibaldi, ponendo la sua urna ai piedi di un'acacia secolare.

    Nell'antico Herbario di Castore Durante, il famoso testo di erbe medicinali del 1585, leggiamo:
    "Ambustis prodest, oculisque, acacia, sacroque igni..." (Giova alle scottature l'acacia, ed agli occhi, ed al sacro fuoco). Le virtù di questa pianta, invero, sono veramente tante. Pianta umile, dall'aspra corteccia, dal legno durissimo, che nessuno cura o coltiva ma che cresce rigogliosa, col suo tenero fogliame composito ed i suoi fiori profumati riuniti in grappoli vellutati. Basta tagliare un ramo ed infiggerlo per terra perché questa radifichi e germogli crescendo rigogliosa. Grazie all'acacia viene così garantita la stabilità dei pendii scoscesi per le sue profonde radici e per le sue poche pretese a crescere e sviluppare anche nei terreni più aridi e più ingrati.
    (di F. D. C., dal web)
     
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  7. gheagabry
     
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    ALBERI LEGGENDARI



    Il cipresso di Montezuma


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    Infinita Highway, Getty Images

    GlI alberi più alti del mondo sono le sequoie giganti della California, che possono superare i 110 metri d’altezza. Tuttavia il record mondiale per la circonferenza spetta al “cipresso di Montezuma” o “cipresso messicano” (Taxodium mucronatum), un parente della sequoia. L’esemplare più famoso di questo albero si trova 12 chilometri a est della città messicana di Oaxaca, nella cittadina di Santa María del Tule. È noto come “albero di El Tule”. La sua circonferenza alla base misura ben 46 metri. Per avere un’idea della sua grandezza, pensate che per abbracciare la parte più massiccia del tronco ci vogliono almeno 30 persone con le braccia tese, e la sua ombra può offrire riparo a più di 500 persone!
    Si pensa che l’“albero di El Tule” abbia più di 2.000 anni..Si narra che venne piantato da un sacerdote azteco. Quando fu potato, nel 1996, furono eliminate circa dieci tonnellate di legname. La gente del posto lo chiama El Gigante. In Messico questa specie arborea si chiama ahuehuete, che in lingua nahuatl significa “vecchio dell’acqua”, in quanto di solito cresce vicino a specchi d’acqua o in zone acquitrinose.
    (wol.jw.org)





    "In una delle città messicane dall’atmosfera quasi siciliana e il nome seducente nell’antica lingua locale, vive l’albero dalla circonferenza più ampia che si conosca: il tule. 58 metri per girargli intorno e 42 per arrivare alla sommità della cattedrale naturale accanto a cui la graziosa chiesetta ben più giovane sembra un giocattolo.

    A Oaxaca si producono oggetti di latta colorata e specchi dalle cornici dello stesso materiale argentato e lavorato preziosamente: teneri pezzi di immaginazione di gente che da almeno 2000 anni ha visto espandersi il corpo e la criniera del sempreverde cipresso di Montezuma. Una creatura capace di essere un intero bosco di incantesimi per i bambini cresciuti in quel luogo arido e caldo che un tempo doveva essere stato una palude, come rivela il nome zapoteco dell’albero.

    Il potentissimo signore, da tanto tempo l’acqua se la va a cercare nelle profondità più lontane, dove si è ritirata a forza di essere malamente sfruttata dagli uomini. Qualche anno fa, tuttavia, le sue profonde radici non ce l’hanno fatta più a trovare le vene umide della terra: l’acqua sembrava essersi ritirata per sempre. I lunghi filamenti sensibili, che nei secoli avevano percorso per centinaia di metri lo spazio sotterraneo, cucendo i granelli di terreno uno all’altro fino a farne un immenso materasso, non ce la facevano più. La loro grande sensibilità li avvertiva che, molto lontano, avrebbero trovato ciò che cercavano, ma le forze stavano diminuendo a causa delle privazioni ed il viaggio davanti a loro era lungo. La poca acqua che mandavano alle foglie, perché potessero continuare a prodursi il cibo, era sempre più scarsa. Così, le foglioline sempreverdi avevano cominciato a seccare. Solo allora, gli uomini si sono accorti che era tempo facessero qualcosa. Hanno chiamato degli esperti che, data la fama dell’albero, non si sono fatti aspettare troppo. “E’ solo sete!” avevano detto. Sembrava una sciocchezza, ma dar da bere ad un gigante simile non è impresa da poco. L’acqua, per una volta sono andati loro a cercarla. Il tule si è ripreso ed ha davanti a sé ancora tempo per stupire, mentre i resti dell’antica civiltà umana, prospera nella sua giovinezza, sono ora rovine."
    (ascuoladaglialberi.net)



    Dino Buzzati

    LA LEGGE DI MONTEZUMA

    Un giorno, lungo una scorciatoia per la città di Tenochtitlán, Xoco vide da lontano un uomo accanto alla strada. L’uomo sembrava un gigante che stava in piedi, alto come un pino e forte come una quercia.
    Più si avvicinava, più Xoco rimase impressionato da quell’uomo, che indossava una maglia con le maniche ricamate d’oro e d’argento. L’uomo e Xoco si scambiarono un caloroso saluto e iniziarono a parlare sotto l’ombra di un albero. Parlarono soprattutto della natura e di come fosse importante per tutti. Erano così presi da quella conversazione che non si accorsero nemmeno che si stava facendo buio.
    “Ascolta”, disse l’uomo, “tra poco non saremo nemmeno capaci di vederci la punta del naso. Penso che dovremo trascorrere la notte qui”.
    Xoco adorava dormire sotto le stelle.
    “Accendiamo un fuoco per riscaldarci” continuò a dire l’uomo “Vai a cercare della legna mentre cerco delle rocce per contenere le fiamme”.
    Xoco andò a cercare la legna ma, siccome quel paese aveva una vegetazione così lussureggiante, non trovo rami secchi.
    “Non importa se non ce ne sono di secchi,” disse l’uomo quando vide Xoco tornare a mani vuote. “Rompi dei rami verdi. Dovrebbero andare”. “Mi rifiuto di rompere anche un singolo ramoscello” disse Xoco irritato. “Ogni pianta qui è piena di foglie e fiori. Inoltre, il Re Montezuma dice che dobbiamo rispettare la natura”.
    Allora l’uomo prese la corona dalla borsa che portava ed esclamò,
    “Io sono Re Montezuma!”
    “Allora, vostra Maestà, dovreste vergognarvi di voi stesso. Chi ha mai sentito di un Re che non rispetta le sue stesse leggi?”
    Il Re si vergogno così tanto di essere stato sgridato dal piccolo Xoco che se ne andò a dormire senza dire altro. Quella notte fece freddo, molto freddo. Ma Xoco sapeva che era meglio aver freddo che distruggere la natura. Il mattino dopo, Montezuma e Xoco partirono insieme per la città di Tenochtitlán senza dire una singola parola.
    In questa città il re aveva ordinato di costruire un bellissimo palazzo. Era fatto a cerchio, l’oro massiccio, e splendeva più lucente del sole stesso. Quando raggiunsero la città, il re chiese gentilmente a Xoco di accompagnarlo al palazzo.
    “Beh, vostra Maestà, siamo arrivati. Ora ognuno di noi andrà per la sua strada. Arrivederci!” disse Xoco salutando il Re.
    “Aspetta un momento!” ordinò il re. “Ora mi ascolterai”.
    “Oh-oh” pensò Xoco “sono davvero nei guai”.
    Xoco si aspettava di essere sgridato dopo essere stato così rude. Ma la faccia del re, che per tutta la mattina era stata inbronciata, cambio espressione in un sorriso da orecchio a orecchio.
    “Quello che ti voglio dire, piccolo Xoco, è che mi hai dato una bella lezione. E siccome vedo che sei così forte da difendere le tue posizioni perfino davanti al re, ho deciso di dichiararti mio erede. Sono sicuro che sarai un grande re e metterai in atto ciò che predichi”
    Il Re Montezuma pose una corona verde sulla testa di Xoco, che simbolizzava il suo amore per la natura. Gli diede anche una maglia come la sua, con le maniche ricamate d’oro e d’argento.
    Da allora, Xoco non ha mai smesso di mettersi in viaggio verso quei posti che hanno bisogno della protezione della legge di Montezuma.
    (super3.cat)

     
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  8. gheagabry
     
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    Un albero nudo
    fuori della mia finestra
    solitario
    leva nel cielo freddo
    i suoi rami bruni.
    Il vento sabbioso la neve il gelo
    non possono ferirlo.
    Ogni giorno quell'albero
    mi dà pensieri di gioia:
    da quei rami nudi
    indovino il verde che verrà.

    Wang Ya-Pung



    Edited by gheagabry1 - 6/12/2019, 14:43
     
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  9. gheagabry
     
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    “… è il più sfortunato, senza né pregi, né salute. Non serve per il fuoco, né per la scultura. Viene consolato dalle liane che sono le suore del bosco…”.
    (Mauro Corona)


    IL PIOPPO


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    Il pioppo appartiene alla famiglia delle Salicacee e nella denominazione botanica Popolus. L'altezza dei pioppi va dai 15 ai 20 metri d'altezza, con fusti che possono superare i 2,5 metri di diametro. Il pioppo ha origine nell'emisfero settentrionale e vanta una trentina di specie diverse. In Italia è ampia la sua diffusione nella Pianura Padana. La caratteristica leggerezza delle sue foglie, così come della sua chioma, non eccessivamente fitta, e del suo colore molto chiara unito alla forma elegante e colonnare che si riscontra in molte tra le sue specie, rendono il pioppo particolarmente apprezzato nella formazione di viali, sia in parchi che in giardini.
    Il pioppo viene anche spesso utilizzato nella costruzione di schermature o barriere frangivento. Il tronco del pioppo è eretto e nodoso con molte ramificazioni. La sua corteccia è bianca, oppure di colore grigio chiaro che con il trascorrere degli anni va a intensificarsi verso una tonalità bruna o grigio-scura. Il pioppo presenta foglie ovali, oppure romboidali, o anche lobate, a seconda delle diverse specie. Hanno una lunghezza di otto centimetri circa e colore bruno-verde, più lucide nella lamina superiore meno nella loro superficie inferiore. I fiori maschili e quelli femminili sono collocati su individui diversi disposti in amenti separati. Gli amenti maschili possono arrivare a una lunghezza anche di nove centimetri e presentano fiorellini fitti e divesi stami. Quelli femminili arrivano anche a dodici centimetri di lunghezza e hanno un colore tendente al giallo-verde, con fiorellini molto meno fitti rispetto ai maschi. I frutti del pioppo, invece, sono delle piccole capsule di forma ovoidale che contengono al loro interno dei semi lanuginosi. Giunte alla giusta maturità le capsule lasciano uscire i semi aprendosi in due parti, e questi si spargono spinti dal vento.
    Il legno del pioppo vanta numerosi utilizzi: viene infatti impiegato per vari usi come la fabbricazione di fogli di compensato, cassette da imballaggio, carta, fiammiferi, pannelli di compensato.


    E'chiamato anche “l’albero del cotone”: infatti, cottontree è il soprannome con il quale gli anglosassoni hanno denominato questo albero per via dei pappi bianchi attraverso cui i semi vengono trasportati dal vento.

    Il termine "pioppo" deriva dal latino e, secondo una diceria romana riportata dagli antichi, sarebbe da legare a popolus "popolo" perché la sua folta chioma mossa dal vento produce un brusio che ricorda quello della folla. A tal proposito, si può citare un detto comune che fa derivare il nome piazza del Popolo di Roma da un antico boschetto di pioppi neri.

    La Monnalisa di Leonardo da Vinci e i primi aerei costruiti sono i testimoni d’eccezione dello stesso legno: "il pioppo". Durabilità, resistenza, duttilità e soprattutto leggerezza sono infatti le qualità che hanno permesso a Leonardo di farci pervenire una delle più grandi opere di tutti i tempi e ai primi aerei di volare.
    A Napoleone che si deve attribuire la folgorante progressione della razza italiana di pioppo nero, varietà a crescita rapida introdotta in Francia a partire dal 1745. Egli la fece piantare in grande stile un po’ lungo tutte le strade francesi percorse dalle sue armate, per evitare che esse marciassero in pieno sole d’estate e per migliorare il loro orientamento durante l’inverno.
    (dal web)

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    "Le narrano piano le onde e i pioppi le stanno a ascoltare."
    (Francesco Guccini)


    ...storie miti e leggende....


    Questa pianta da sempre rappresenta la vita nella morte, una volta oltrepassata la soglia fatale. Un esempio di tale significato simbolico si può rinvenire nelle tombe delle popolazioni sumeriche (4000 a.C.), dove si sono trovate delle acconciature con foglie di pioppo bianco dorate.
    Oltre a ciò, si può citare il fatto che, antica tradizione vuole, davanti alla tomba di un Zeus cretese crescesse un pioppo bianco, come simbolo di resurrezione. Il pioppo bianco “Leukè” personificava la vita che sfugge alla morte, anche se ciò significava abbandonare la forma umana per un'altra non umana.
    Omero cita nell'Iliade il pioppo bianco come “acheronteo”, ovvero rappresentativo dell'omonimo fiume dell'afflizione. Eracle (Ercole), dopo avere sconfitto il cane Cerbero, si costruì una corona con l'intreccio di un ramo di pioppo bianco. Da allora questo albero coronò la fronte di coloro, che avevano attraversato i due mondi senza perdersi. La Madre Terra veniva consultata a Egira, in Acaia, che significa 'il luogo dei neri pioppi'. Durante il suo viaggio nel Regno dell' Oltretomba, Ulisse incontra i Pioppi neri nel bosco di Persefone, che insieme ai Salici stanno alla soglia che divide il Regno dei Vivi e il Regno dei Morti. Una credenza bretone fa corrispondere le foglie bianche del pioppo bianco con le anime dei bambini morti, promesse alla resurrezione. Se il pioppo bianco é l'albero della resurrezione, il pioppo nero ha un significato diametralmente opposto.
    Questi alberi infatti segnalavano l'ingresso agli inferi e indicavano a chi passasse questo confine, la perdita di ogni speranza. Il pioppo nero, come d'altronde quello bianco, venne generato da una metamorfosi (mirabilmente descritta da Ovidio): quella delle tre sorelle del temerario Fetonte, le Eliadi, che dalla disperazione, di fronte alla tomba di Fetonte stesso, si tramutarono in alberi. Da questo avvenimento in poi il pioppo nero fu considerato l'albero della dea della Morte. Una leggenda narra, che il pioppo fu scelto dai soldati per la costruzione della croce di Gesù.
    L'albero ne fu orgoglioso e drizzò i suoi rami. Il Signore lo maledì e condannò le sue foglie a tremare in eterno ad ogni soffio di vento. Le api raccolgono una specie di gomma che viene prodotta dalle gemme del pioppo nero per produrre la propoli.
    Nel linguaggio dei fiori indica il timore. Esistono molte varietà di pioppi, uno in particolare prende il nome di "tremolo", Populus tremula è il nome botanico. Il Pioppo Tremolo viene così chiamato a causa del fatto che, anche con un minimo di vento, produce un specie di ticchettio, a sua volta causato dal peduncolo delle foglie. Una leggenda dice che il suo ticchettio è una punizione data dal Signore , perchè il Pioppo, superbo, si rifiutò di inchinarsi a lui quando, secoli e secoli fa, arrivarono i primi evangelizzatori cristiani; il pioppo venne quindi punito e per questo motivo trema. In una regione francese, la Beace , esiste un'usanza legata al Pioppo tremolo: quando una persona soffre di febbre ostinata si usa legare un nastro a questo albero nella speranza di liberare la persona dai brividi.
    (madameblatt.myblog)


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    Il pioppo nero viene detto così a causa del colore grigiastro della corteccia, colore che lo differenzia dal pioppo bianco. Fetonte figlio di Elio il dio del sole e dell’oceanina Merops, era stato abbandonato dal padre in giovane età. Solo dopo molto tempo la madre, che nel frattempo l’aveva allevato amorevolmente, rivelò al figlio la vera identità del padre. Il giovane, spinto non già da collera ma da sincero amore filiale, riuscì a giungere, dopo varie peripezie, alla cospetto del padre che, commosso da questo gesto d’affetto promise al figlio di realizzare qualunque suo desiderio. Fetonte chiese di guidare il carro del sole, il carro che trasporta l’astro lucente nella volta celeste da oriente ad occidente, il padre lo accontentò. Ma il giovane auriga, spaventato dall’altezza, finì col dirigere il carro troppo in basso provocando vasti incendi sulla terra, a questo punto cercando di correggere la rotta si diresse troppo in alto suscitando le proteste degli astri che si lamentarono vivacemente con Zeus; quest’ultimo, deciso a ripristinare l’ordine delle cose, colpì Fetonte con una saetta facendolo precipitare nel fiume Eridàno (fiume che secondo alcuni sarebbe il Po). I resti del poveretto vennero raccolti dalle sorelle, le Eliadi che piansero e si disperarono così a lungo da essere trasformate in pioppi neri e le loro lacrime si trasformarono in ambra (anticamente si credeva che l’ambra venisse prodotta da liquido secreto dalla corteccia dei pioppi ed essiccato al sole).
    LEÙKE il pioppo bianco sacro ad eracle...Il pioppo bianco (Populus alba) si distingue da quello nero per il colore del tronco, molto più chiaro e per la forma e la colorazione delle foglie; in particolare queste ultime hanno la pagina inferiore molto chiara, quasi bianca, e quella superiore decisamente più scura. I greci antichi chiamavano il pioppo bianco Leùke dal nome di una ninfa. Secondo il racconto dello storiografo Servio, la ninfa Leùke inseguita da Ade e non volendo cedere alle brame amorose di quest’ultimo, giunse durante la sua fuga disperata fino al confine con gli inferi nei pressi del fiume Mnemosyne (“la memoria”). Questo fiume sacro rappresentava il confine tra il Tartaro soggetto ad Ade e l’Eliseo, il regno dei beati governato da Crono. La poverina, non trovando più via di scampo, chiese agli dei di essere trasformata in un albero, un pioppo bianco, preferendo una morte luminosa alla capitolazione alle brame amorose del dio degli inferi. L’albero di Leùke ritorna poi nell’epopea di Eracle che, alla fine della dodicesima fatica, di ritorno dagli inferi, intrecciò una corona con le foglie del pioppo bianco che cresceva sulle rive di Mnemosine. A contatto con l’aria la parte superiore delle foglie rimase di un colore scuro, a ricordare le tenebre dell’oltretomba ma la pagina inferiore delle foglie assunse da quel giorno, a contatto del sudore dell’eroe, un colore molto più chiaro, bianco-argenteo. Da allora il pioppo bianco divenne sacro ad Eracle perché il colore delle sue foglie simboleggia le vittorie dell’eroe nei due mondi. Tra i greci il culto del pioppo bianco, simbolo di morte luminosa, si contrappone a quello della morte funesta rappresentato dal pioppo nero.
    La maledizione del pioppo tremolo.. Il pioppo tremolo (Populus tremula) è detto così dalla caratteristica delle sue foglie, molto sottili e dotate di un picciolo lamellare molto lungo ed appiattito tale da farle agitare, “tremare”, con il minimo soffio di vento. Il tremolio deriva, secondo un’antica leggenda di tradizione cristiana, dalla vergogna. Il pioppo tremolo fu infatti l’unico albero che non si inchinò, peccando di superbia, davanti ai primi evangelizzatori cristiani. Il Signore lo punì condannandolo a tremare per l’eternità. Il motivo della vergogna ritorna anche nella tradizione russa, un antico proverbio dice: “c’è un albero che trema anche quando il vento non soffia”, il tremolio cominciò da quando Giuda Iscariota, dopo aver tradito Gesù, si impiccò per la vergogna ad uno dei suoi rami. Le leggende negative nei confronti di quest’albero non gli rendono del tutto giustizia, paradossalmente dalla corteccia e dalle gemme del pioppo tremolo si ricavano preparati molto utili per l’uomo ad esempio nella cura dell’influenza.
    (montebrianza.blogspot)[/color]


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    Sotto la brina il pioppo è di cristallo:
    se lo tocchi l'infrangi; e piomba al suolo con tintinnio di frantumate lastre.
    Lo diresti un altissimo zampillo che un incanto invetrò;
    ma dentro è vivo, e lo strazia desìo di primavera.
    « Oh, mai più tornerà la primavera, pensa. - Mai più. Son vecchio.
    Non mi resta foglia sui rami, uccello che mi canti
    in vetta, linfa nelle vene, strido di cicala sul tronco.
    E ciascun giorno che passa, accresce il gelo; e già mi sento
    vicino a morte ».

    Ma un mattino, il sole rompe l'algore:
    scioglie in molle pianto sugli stecchiti rami il vel di ghiaccio:
    torna la linfa e il verde:
    giovinezza ritorna, e n'ha sì gran sorpresa il pioppo
    ch'ogni sua foglia, anche se tace il vento,
    trema di gioia: anche la notte, in sogno,
    trema di gioia in ogni foglia il pioppo.
    (Ada Negri)



    Edited by gheagabry1 - 6/12/2019, 14:40
     
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    IL TIGLIO



    Il tiglio appartiene al genere Tilia ed alla famiglia delle Tiliaceae. Sono alberi che crescono spontanei in quasi tutta l'Europa fino a 1500 m s.l.m., molto longevi che possono arrivare ad avere anche 1000 anni. In nome deriva dal greco "ptilon = ala o penna leggera" per la caratteristica brattea laterale dei peduncoli dell'infiorescenza. Il tiglio è un albero alto dai 15 ai 30 m di altezza a foglia decidua, con tronco diritto, corteccia liscia che diventa screpolata, grigiastra e con venature longitudinali quando la pianta ha più di vent'anni di età. Presenta la particolarità di sviluppare numerosi polloni alla base che sono normalmente utilizzati per la moltiplicazione della pianta.
    Le radici sono profonde ed espanse. Le foglie del tiglio sono alterne provviste di un lungo picciolo, cuoriformi, di colore verde più o meno intenso, con i margini seghettati e l'apice acuminato e presentano una leggera peluria più o meno sviluppata a seconda della specie.
    I fiori sono ermafroditi, molto profumati, di colore bianco-giallastri, riuniti in piccoli mazzetti portati da un peduncolo che parte dalla brattea laterale che serve a favorire la disseminazione dei frutti, una volta maturi, ad opera del vento. I frutti del tiglio sono a forma di capsula ovale delle dimensioni di un pisello.
    Il legno del Tiglio è anche utilizzato per la preparazione di mobili e dai semi si produce un olio simile a quello d'oliva. Con le fibre ricavate dalla corteccia si fabbricano stuoie e corde. Le foglie sono un alimento molto gradito dal bestiame. Gli spagnoli lo usano per preparare una tisana (la Tila) al posto del tè.

    ...storia di Tigli....


    Il tiglio di Morat
    Uno degli alberi più conosciuti della Svizzera, per la storia cui è legato, è il tiglio di Morat. Contrariamente al a quanto si può pensare, non si trova però nella cittadina di Morat, ma a 17 Km di distanza, nella città di Friburgo. Il tiglio commemora la battaglia di Morat del 1476, in cui le truppe guidate dai bernesi distrussero l'armata di Carlo il Temerario, duca di Borgogna. Narra la leggenda che un messaggero strappò il ramo di un albero che si trovava sul campo di battaglia e, brandendolo in segno di vittoria, corse con la buona notizia fino a Friburgo, per poi accasciarsi al suolo ormai esanime; e il ramo mise radici proprio nel punto in cui cadde il giovane. Sfortunatamente la storia è piuttosto inverosimile poiché sembrerebbe che l'albero in questione sia - o era - addirittura più antico della battaglia. In ogni caso il tiglio fece una fine ingloriosa: nel 1983, un automobilista ubriaco ci si schiantò contro. Continua comunque a sopravvivere grazie a una talea fatta con i resti dell'albero originale che è stata piantata in una zona più tranquilla. Per quanto riguarda l'eroico messaggero, egli viene ricordato ogni anno nella prima domenica di ottobre, quando circa 8'000 sportive e sportivi ripercorrono i sui passi nella corsa Morat-Friburgo.
    Il tiglio di Linn
    Un altro albero con una storia alle spalle è il tiglio di Linn, nei pressi di Brugg nel Canton Argovia. Secondo la leggenda l'albero cresce sulla fossa dove furono sepolte le vittime della peste. La leggenda vuole che l'intera popolazione di Linn fosse stata sterminata dal contagio, risparmiano un solo sopravvissuto. Poichè anche il carrettiere che aveva il compito di portare i cadaveri ad un distante cimitero era morto, il sopravvissuto dovette trovare un modo per liberarsi dei corpi e li gettò perciò in una fossa comune sotto l'albero. La storia si riferisce con tutta probabilità alla peggiore epidemia mai registrata nella zona, la peste del 1660 che uccise più di due terzi della popolazione. Per quanto riguarda il tiglio, è sicuro che esistesse già all'epoca della peste: la sua età viene stimata tra i 600 e gli 800 anni. Oggi ha raggiunto dimensioni imponenti ed un diametro di 3,4 metri.
    Il tiglio di Casola
 di Caserta
    Nel piazzale antistante l’ingresso della Chiesa di Casola, dedicata a San Marco Evangelista, si trova appunto un tiglio europeo dell’età di circa 400 anni. Si racconta che fu piantato, insieme ad altri due esemplari, verso la fine del 1600 in occasione dell’arrivo nella piccola comunità di un sacerdote della curia di Capua, don Vitaliano che in seguito fu nominato Santo.
    Gli altri due tigli, di minori dimensioni, hanno avuto una sorte avversa, infatti non sono più presenti perché furono abbattuti a metà del novecento per far posto ad alcune strutture funzionali al locale oratorio. L’esemplare sopravvissuto, secondo la tradizione popolare, è sotto la protezione diretta del Santo Patrono del paese, San Marco Evangelista.
    A tal proposito gli anziani raccontano una storia che si perde tra mito e leggenda e che narra di una persona del posto che in un momento di collera, bestemmiando il Santo Patrono, tagliò per rabbioso sfregio alcuni rami del tiglio; quella stessa persona non sopravvisse a lungo, poche ore dopo mori e da allora c’è la credenza che chiunque tagli un ramo dell’albero può subire una disgrazia.
    Vi è inoltre la tradizione che il giorno del 25 aprile, in occasione della festa del Santo Patrono, la cerimonia religiosa termini con il saluto a San Marco proprio sotto la chioma del tiglio.
    In passato tra i suoi rami vi nidificava un barbagianni.

    Un altro tiglio antico si trova nel cortile del Castello imperiale di Norimberga, che secondo la tradizione fu piantato dall’imperatrice Cunegonda, moglie di Enrico II di Germania, il che lo portava ad avere 900 anni nel 1900 quando fu catalogato. Nell’aspetto appare vecchio e malato, ma ancora nel 1900 sui pochi rami rimasti spuntavano le foglie e veniva curato teneramente. Anche il tiglio di NeuenstadtamKocher nel Baden-Wuerttemberg è degno di nota, ne parla anche Harriet L. Keeler nel suo libro “Our Native Trees and How to IdentifyThem” (I nostri alberi indigeni e come riconoscerli) edito nel 1900 a New York da Charles Scriber’sSons.
    C’è poi il tiglio Alte Linde di Naters, in Svizzera, di cui si parla in un documento del 1357 e già a quel tempo definito dall’autore “enorme”. Ai piedi dell’albero una targa ricorda che nel 1155 un albero di tiglio si trovava già in questo luogo.

    ... storia, miti e leggende ....


    I greci conoscevano le proprietà calmanti dei fiori di tiglio, e ne facevano risalire l’uso ai tempi di Cronos (età dell’oro).
    La ninfa Filira, figlia d’Oceano, concepì da Saturno un bambino mostruoso, e per la vergogna chiese di essere trasformata nell’albero che allora portò il suo nome, il quale è una parola cretese, quindi preellenica. Il figlio, il centauro Chirone, diventò un illustre guaritore, potere che gli veniva dalla madre, essendo il tiglio uno dei più antichi rimedi conosciuti.
    Oltre ai fiori i greci ne utilizzavano il libro che si trova tra la corteccia e il legno che chiamavano phlyra, ottenendo da questo carta e stuoie. Dalla corteccia, lasciata a macerare nell’acqua, ottenevano una flora tessile “il Tiglio”, le fibre venivano separate attraverso una tecnica detta “stigliatura”, operazione usata successivamente con il lino e la canapa.
    Il tiglio è inoltre da sempre considerato l'albero dell'amore coniugale. Questo deriva da un'antica leggenda greca nella quale si narra che Bauci e Filemone erano due vecchi sposi, ancora molto innamorati l'uno dell'altra. Un giorno bussarono alla loro porta Zeus ed Ermes sotto sembianze umane e furono gli unici che li accolsero benevolmente e non li scacciarono. I due dei gli concessero allora di sopravvivere alla punizione che avrebbero inflitto a tutti gli altri uomini e di esaudire la loro preghiera di morire insieme. Un giorno, Filemone e Bauci ormai vecchi e stanchi improvvisamente iniziarono a trasformarsi, Bauci in una quercia e Filemone in un tiglio. Erano finalmente uniti per sempre, l'uno accanto all'altra.

    Nella vecchia mitologia slava il tiglio era considerato un albero sacro, in particolare in Polonia molti villaggi hanno un nome che si ricollega al tiglio. L’albero del tiglio è inoltre un emblema nazionale della Slovacchia, della Slovenia e della Repubblica Ceca. Nel mondo cristiano ortodosso il legno di tiglio era il preferito come pannello su cui dipingere le icone, grazie alla facilità con cui lo si può lavorare e levigare e per la sua resistenza alla deformazione una volta stagionato.
    Anche nella mitologia germanica pre-cristiana il tiglio era un albero altamente simbolico e sacro. Le varie comunità usavano riunirsi sotto l’albero del tiglio più importante del villaggio non solo per festeggiare e ballare, ma anche per dirimere le vertenze giudiziarie al fine di ristabilire la giustizia e la pace, ritenendo che l’albero avrebbe aiutato a svelare la verità. Fu così che il tiglio, anche dopo la cristianizzazione della Germania, è rimasto associato alla giurisprudenza. Del resto, la consuetudine di riunirsi sotto un tiglio per prendere le decisioni importanti era una tradizione anche in molte comunità della nostra penisola, dall’altopiano di Asiago, come ci ricorda Mario Rigoni Stern, al Beneventano, come narrato da Annibale Paloscia.

    In Persia prese il nome di albero “Oracolare” per questo racconto: “Gli Enarei che vivevano presso gli Sciti, furono scoperti a saccheggiare il tempio di Afrodite, la quale , furibonda gli tolse tutta la loro virilità, lasciandogli in dono la capacità di predire il futuro.Gli Enarei praticavano la divinazione mediante tre strisce di corteccia di tiglio; che dopo averle rotolate e srotolate più volte attorno alle dita svelavano il loro responso.
    In Lituania si dice che per avere un buon raccolto gli uomini offrissero dei sacrifici alle Querce (albero maschile per eccellenza), mentre le donne facevano le loro offerte ai Tigli, sempre per lo stesso scopo.
     
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  11. gheagabry
     
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    GLI ULIVI DEL GETSEMANI



    Sono sopravvissuti al tempo, agli eventi e ora persino all’inquinamento che persino a Gerusalemme non manca. La ventina di ulivi antichi, antichissimi, vecchi quasi come il mondo, che nel racconto dei Vangeli hanno assistito silenziosi al tradimento più terribile, quello di Giuda, sono stati recentemente sottoposti ad una complessa analisi molecolare che ha permesso di stabilire lo stato di salute di queste piante, ma anche di datarle.Per gli scienziati del Cnr che hanno lavorato un paio d’anni nel Giardino del Getsemani, prelevando campioni, analizzando pezzi di corteccia, scrutando al microscopio minuscoli frammenti di radici, non ci sono più dubbi. Alcune di queste piante - non tutte - sono sopravvissute fino ai giorni nostri dai tempi di Cristo. Sono verosimilmente compatibili con quel periodo sia per la struttura delle molecole della cellulosa, che per la tipologia della pianta di ulivo. A guidare lo staff scientifico è stato il professor Antonio Cimato, responsabile dell’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (Ivalsa) che ha spiegato di come l’esame finale al radio carbonio (C14) - lo stesso esame che fu fatto a suo tempo anche per la datazione della Sindone - «offre la possibilità di datare l’oggetto in esame con una certa accuratezza». «Si tratta di piante che hanno una storia particolare e che siamo stati riusciti a ricostruire, passaggio dopo passaggio». La cosa che però stava maggiormente a cuore alla Custodia della Terra Santa, l’organismo cattolico che dato l’incarico agli scienziati, era di fare un check up completo sulla salute della piante. «Abbiamo potuto appurare che sono piante vecchissime ma sane, insomma, stanno bene. Nonostante la loro veneranda età sono nutrite e non hanno problemi di sorta. Non abbiamo trovato nemmeno parassiti che li hanno danneggiate» ha spiegato il professore. Nessun virus, dunque, nè tanto meno micosi. «Lo stato fito sanitario degli ulivi è soddisfacente». I risultati della ricerca saranno presentati la prossima settimana alla Radio Vaticana. La prima testimonianza conosciuta dell’effettiva esistenza degli ulivi del Getsemani è contenuta nell’Itinerarium Hierosolymitanus, il più antico racconto conosciuto di un pellegrinaggio. Un resoconto scritto nel 333-334 da un anonimo pellegrino francese durante il viaggio da Burdigala, l'attuale Bordeaux, fino a Gerusalemme, dove era diretto per andare a pregare al Santo Sepolcro.
    (Franca Giansoldati, il messaggero)




    I risultati della ricerca hanno indicato la datazione del fusto di tre degli otto ulivi (gli unici per i quali è stato tecnicamente possibile eseguire lo studio), come risalente alla metà del Dodicesimo secolo. Perciò, alle piante viene riconosciuta un'età di circa novecento anni. Occorre però fare una precisazione: la datazione indicata è da intendersi riferita solamente alla parte epigea delle piante, ovvero quella costituita dalla parte emersa della pianta, cioè dal tronco e dalla chioma. Infatti la stessa ricerca ha dimostrato che la parte ipogea, ovvero quella costituita dalle radici, è di certo più antica.

    L'esito dell'indagine, inoltre, deve essere messo in relazione con antiche cronache di viaggio dei pellegrini, secondo le quali la seconda basilica del Getsemani venne costruita fra il 1150 e il 1170 (periodo, durante il quale i Crociati erano impegnati nella ricostruzione delle grandi chiese della Terra Santa e di Gerusalemme in particolare). Appare dunque verosimile che, in occasione della costruzione della basilica del Getsemani sia stato anche risistemato il giardino, realizzando un intervento di recupero degli ulivi presenti a quel tempo.

    Un altro risultato di grande interesse è emerso quando i ricercatori hanno definito l’impronta genetica (fingerprinting) delle otto piante. Le analisi di particolari regioni del Dna hanno descritto «profili genetici identici» tra tutti gli otto individui. Tale conclusione fa emergere la peculiarità che gli otto ulivi siano, usando un termine metaforico, «gemelli» tra loro e, quindi, appartenenti allo stesso «genotipo». Questo può voler dire solo una cosa: che gli otto ulivi sono tutti «figli» di uno stesso esemplare. Ovvero si può sostenere che, in un preciso momento della storia - nel Dodicesimo secolo, ma probabilmente anche molto prima -, vennero messe a dimora nel giardino del Getsemani porzioni di rami più o meno grossi (talee di ramo) prelevate da un'unica pianta, con modalità simili a quelle tuttora adottate dai giardinieri palestinesi. Occorre allora domandarsi in che momento, nel corso dei secoli, sarebbero state messe a dimora queste talee. Per i Vangeli, al tempo di Gesù Cristo, gli ulivi erano già lì ed erano adulti. E la loro successiva esistenza è testimoniata da un attento esame comparato delle descrizioni del luogo santo, fatta da storici e pellegrini, nel corso dei secoli.
    (terrasanta.net)


     
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  12. gheagabry
     
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    “E’ chiamato albero dei miracoli perche’ ogni sua parte ha qualche proprieta’ benefica.”
    (Balbir Mathur, presidente della Trees for Life)


    LA MORINGA


    Alle pendici della catena himalayana, crescono alberi alti dai cinque ai dieci metri, con foglie piccole e ovali raggruppate tra loro, e con fiori color crema dal profumo delicato. Questi alberi appartengono alla specie Moringa oleifera – la piu’ coltivata tra le 14 specie del genere Moringa, conosciute anche col nome di ‘alberi dei miracoli’.
    Nativa del Nord dell’India, ma ora presente in tutta l’Asia, Africa e America Latina, la specie moringa e’ usata nei paesi in via di sviluppo da centinaia di anni, nelle ricette della medicina tradizionale, negli alimenti e come olio da condimento, come pesticida naturale, prodotto per la pulizia domestica, e – ultimamente – anche come biofuel. La Moringa oleifera è un albero ad accrescimento molto rapido: nel primo anno può sviluppare vari metri, fino a tre o perfino cinque in condizioni ideali di coltivazione.
    In Senegal, presso le principali etnie dei Serer, Diola e Wolof questo albero è chiamato nébédaay (dall’inglese never die ), per indicare che la pianta non muore mai e che può sopravvivere alle intemperie.
    Per i Diola, la moringa è una pianta mistica ma non mitologica, non appartiene, infatti, alla cosmogonia (miti di fondazione) di questa comunità come il baobab ma viene utilizzata per allontanare gli spiriti maligni, come sorgente di fecondità per gli uomini e per gli animali e per la predizione del futuro (divinazione)Le specie moringa sono alberi estremamente tenaci, crescono in suoli poveri, ricrescono dopo essere stati tagliati, e sono tra i pochi alberi che producono frutti durante il periodo della siccita’. La moringa può essere coltivata tranquillamente anche nelle nostre zone.

    ....tracce nella storia....


    Al limite del deserto di Menfi si venerava il dio Herybakef - "colui che sta sotto l'albero di moringa" ("moringa oleifera", una pianta ancora usata per purificare l'acqua del Nilo e per scopi terapeutici). Quest'albero aveva la prerogativa di dare ristoro al Ba dei defunti, adagiata sui suoi rami.

    In una necropoli vicino Chiusi, è stato ritrovato, miracolosamente intatto, un unguento etrusco. L'unguento si trovava nella sepoltura di una donna e risale alla seconda metà del II secolo a.C.
    La grande piastrella di terracotta che sigillava la tomba ha permesso agli studiosi di affermare che la donna era di nobili origini. E' stato ritrovato anche il suo nome, inciso in rosso porpora: Thana Presnti Plecunia Umranalisa, che ha confermato l'appartenenza della defunta ad una delle famiglie aristocratiche più importanti della Chiusi etrusca. All'analisi il preparato è risultato composto da olio di moringa (usato sia da Greci che Egizi), resina di pino e resina di lentisco. Visto che gli alberi di moringa si trovano solo in Sudan ed in Egitto, gli archeologi hanno concluso, anche tenendo conto che l'unguentarium in alabastro era di chiare origini egizie, che la preziosa crema profumata sia stata importata proprio dal paese del Nilo.

    L'olio di moringa veniva utilizzato anche dai Greci e dagli Egiziani per produrre profumi. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua NATURALIS HISTORIA parla dell'olio di moringa come uno degli ingredienti per realizzare" un profumo reale "per il re dei Parti.


    Un antica tradizione indiana dell’Ayurveda dice che le foglie della pianta Moringa prevengono 300 malattie. La ricerca scientifica ha dimostrato le foglie sono in realtà una centrale di valore nutritivo. C’e’ una proprieta’della Moringa oleifera, in particolare, che sta scatenando la curiosita’della scienza. Se macinati, i semi dell’albero possono servire per purificare l’acqua non potabile, rendendo cosi’ la pianta indispensabile per contrastare le morti – circa 1.6 milioni secondo i dati della Organizzazione Mondiale della Sanita’ – che ogni anno si registrano nel mondo a causa dell’acqua non adeguatamente sanitizzata per scarse condizioni igieniche.
    In alcune aeree rurali del Sudan, le donne gia’ usano la Moringa per purificare l’acqua: quando raccolgono l’acqua dal fiume Nilo, mettono infatti una polvere fatta coi semi in una piccola borsa di stoffa a cui e’attaccato un laccio. In questo modo, muovendo la borsa in senso circolare, creano un vortice nel secchio affinché le particelle fini e i batteri fluiscano con la polvere dei semi dell’albero, sedimentando sul fondo. Per poterla bere, l’acqua deve essere ulteriormente sanitizzata – sia bollendo, oppure filtrandola attraverso della sabbia o mettendola in piena luce in una bottiglia pulita per alcune ore (processo anche chiamato solarizzazione).

    La Moringa oleifera, come anche la Moringa stenopetala, è senz'altro una pianta notevole, è considerata di enorme potenziale per combattere fame e povertà. Le foglie sono usate come cibo umano e sono molto ricche in proteine, vitamine e sali minerali, hanno un sapore leggermente piccante e grato anche allo stato crudo, spesso sono preparate in insalata, ma possono essere cotte come gli spinaci; contengono il 25 per cento in peso di proteine - più che le uova ed il doppio del latte di mucca, il quadruplo di vitamina A delle carote, quasi otto volte la vitamina C delle arance, il triplo del potassio delle banane. (Fonte: C. Gopalan et al. (1994), Nutritive Value of Indian Foods, Istituto Nazionale di Nutrizione, India). In condizioni di difficoltà sono ovvie le potenzialità di supporto per le gestanti e per l'allattamento umano. E' pur vero che le foglie pesano poco (e quindi l'apporto in massa è limitato) ma tali valori sono comunque stupefacenti. Le foglie, ad alto contenuto proteico, oltre che direttamente per l'alimentazione umana, possono essere utilizzate come ricchissimo foraggio per gli animali, in assoluto il migliore che si conosca. L'uso più popolare e frequente dei frutti è la preparazione mediante bollitura dei baccelli immaturi (detti 'mazze da tamburo'), hanno il sapore degli asparagi. Nella medicina Siddha sono considerati dei potenti afrodisiaci per ambedue i sessi. I semi sono bolliti o tostati, hanno il sapore dei ceci.

    Oltre che come complemento nutrizionale e per le proprietà terapeutiche, la pianta viene utilizzata in molti altri modi. In Senegal la moringa è spesso utilizzata come supporto per siepi vive, è piantata negli orti per proteggere le colture dal vento, come fertilizzante biologico e le foglie vengono consumate direttamente dagli animali come foraggio. In alcune zone del Paese l’albero viene utilizzato come parte integrante dell’intelaiatura delle case. I fiori sono fonte di nettare per le api che producono il miele. Il popolo Peuhls utilizza i grani per produrre sapone, con le tecniche moderne vengono prodotti oli e creme per uso cosmetico.
     
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  13. gheagabry
     
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    Gli alberi sono lo sforzo infinito
    della terra per parlare al cielo....



    21 novembre

    La Festa degli alberi



    La festa degli alberi rappresenta una delle più antiche e gloriose cerimonie forestali che la tradizione nazionale eredita da culture lontane nel tempo e nello spazio. Infatti presso i Greci e gli antichi popoli orientali era molto diffusa l'usanza di celebrare feste in occasione della piantagione di alberi. Fin dai tempi più antichi all'albero ed ai boschi veniva attribuita una grande importanza e già nella primissima epoca romana gli alberi erano classificati in olimpici, monumentali, divinizzanti, eroici, ferali, felici, infausti, mentre i boschi erano suddivisi in sacri, divinizzanti e profani.
    Le popolazioni celtiche e i romani, con le loro usanze ed i loro culti, precorsero l'odierna "Festa dell'Albero"; questi infatti erano tutelati e conservati anche per motivi legati alla religione ed era consuetudine consacrare i boschi al culto delle divinità dell'epoca.
    Numerosi sono i documenti del passato che testimoniano quanto diffuso fosse l'impianto di nuove piantine in occasione di feste, ricorrenze ed avvenimenti. La più grande festa silvana in epoca romana era la "Festa Lucaria" che cadeva il 19 luglio, nel corso della quale, oltre ai riti propiziatori si festeggiavano le particelle di bosco impiantate nei mesi precedenti.
    Numerosi erano inoltre i numi e i geni tutelari dei boschi e delle selve come Silvano che veniva rappresentato in procinto di collocare a dimora una piantina di cipresso.
    In epoca moderna la necessità di educare la popolazione al rispetto ed all'amore degli alberi anche attraverso una celebrazione si concretizzò per la prima volta in alcuni stati del Nord America intorno alla seconda metà dell'Ottocento quando, in conseguenza di spaventose inondazioni, larga parte del territorio fu colpita da disastrosi disboscamenti. Per questo motivo, nel 1872, il Governatore dello Stato del Nebraska, Sterling Morton, pensò di dedicare un giorno all'anno alla piantagione di alberi per creare una coscienza ecologica nella popolazione e per accrescere, così, anche il patrimonio forestale del proprio paese. Lo stesso anno venne istituito il primo parco naturale del mondo, quello di Yellowstone. Nella prima edizione pare che furono piantati un milione di alberi in tutti gli Stati Uniti. Quel giorno fu chiamato Arbor day e la sua risonanza giunse anche in Europa dove trovò molti estimatori che diffusero l'iniziativa.

    In Italia la festa degli alberi è arrivata alla fine dell’Ottocento e, pur avendo conosciuto periodi di maggiore o minore fortuna, viene tuttora celebrata e, alla luce delle grandi questioni ambientali, tende ad assumere significati sempre più rilevanti.

    La prima "Festa dell'albero" fu celebrata nel 1898 per iniziativa dallo statista Guido Baccelli, quando ricopriva la carica di Ministro della Pubblica Istruzione. Nella legge forestale del 1923, essa fu istituzionalizzata nell'art. 104 che recita: "E' istituita la Festa degli alberi. Essa sarà celebrata ogni anno nelle forme che saranno stabilite di accordo fra i Ministri dell'Economia Nazionale e dell'Istruzione Pubblica" con lo scopo di infondere nei giovani il rispetto e l'amore per la natura e per la difesa degli alberi.
    Nel 1951 una circolare del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste stabiliva che la "Festa degli alberi" si dovesse svolgere il 21 Novembre di ogni anno, con possibilità di differire tale data al 21 marzo nei comuni di alta montagna.

    La celebrazione si è svolta con regolarità e con rilevanza nazionale fino al 1979; successivamente è stata delegata alle Regioni.





    Il Decalogo dell'Albero.


    1 - Osserva l’albero, testimone della memoria.
    L’albero antico custodisce in sè le radici della storia e può narrare le vicende più remote. Nessun altro essere vivente eguaglia lontanamente la sua età: che in qualche caso, come quello del Pino longevo della California, detto Matusalemme, può aggirarsi intorno ai 5.000 anni.

    2 - Onora l’albero, padre della spiritualità.
    Presso tutti i popoli semplici e primitivi l’albero è sacro, e come narra Plinio il Vecchio “le foreste furono i templi delle divinità”. Ed infatti le prime colonne di questi templi non erano costruite da blocchi di marmo, ma da autentici tronchi giganteschi di Cipresso di Creta e di Cedro del Libano.


    3 - Rispetta l’albero, radice dei miti.
    Nei tempi più remoti, si credeva che l’origine del mondo fosse collegata all'albero cosmico, un albero straordinario ed immenso, con chioma espansa e forte, che costituiva l’asse dell’Universo ed univa il mondo degli abissi sotterranei, esplorati da radici possenti, al cielo più alto e alla stessa divinità.
    Ancor oggi molti popoli primitivi, come gli indios amazzonici, ritengono che i grandi alberi della foresta tropicale pluviale sostengano la volta celeste, e che il cielo crollerà il giorno in cui questi alberi verranno abbattuti.


    4 - Ammira l’albero, fonte di ispirazione.
    Dalla contemplazione dello splendore e della varietà degli alberi scaturisce la scoperta e l’apprezzamento per l’armonia e la bellezza del mondo. Ogni albero racchiude una storia, un mistero, una sorpresa per la mente e il cuore dell’uomo che sappia penetrare oltre la sua scorza. Ed offre equilibrio e creatività a quanti si avvicinino ad esso con occhio giovane, libero e aperto.

    5 - Conserva l’albero, casa degli animali.
    L’albero è anche l’insostituibile dimora segreta per mille creature di tutte le specie, animali grandi e piccoli, familiari e sconosciuti, che vi trovano cibo, tana e rifugio.
    Soprattutto i grandi alberi plurisecolari, nella fase finale del loro ciclo vitale, e lo stesso legno morto che ne deriva, offrono l’ambiente ideale per la riproduzione di una biodiversità tanto rara, quanto ricca e preziosa, essenziale per il funzionamento e la stabilità degli ecosistemi.


    6 - Tutela l’albero, custode del suolo.
    Un grande albero sano, in un bosco ben conservato, può assorbire con la sua chioma metà della pioggia, restituendo poi gradualmente l’acqua raccolta, sotto forma di vapore acqueo. Ma anche la pioggia che raggiunge e penetra il suolo vi arriva sapientemente dosata e smorzata, senza quella terribile forza dinamica di erosione che, sui suoli denudati, ha creato nel nostro Paese la piaga di frane, alluvioni, smottamenti e dissesto idrogeologico.

    7 - Proteggi l’albero, sorgente di forza e di vita.
    Ogni albero sprigiona colori inarrivabili, suoni indecifrabili e profumi sconosciuti in ogni ora del giorno e della notte, e nelle varie stagioni. Ed anche dopo la morte, i rami caduti, i tronchi in disfacimento e i ceppi marcescenti offrono asilo e nutrimento alla più varia, ricca e preziosa microfauna e microflora: una straordinaria comunità vivente, dalla quale dipendono la fertilità del suolo e gli equilibri dell’ecosistema.

    8 - Difendi l’albero, purificatore dell’aria.
    Un albero grande e bello costituisce un patrimonio insostituibile: tagliarlo quando è maturo, sostituendolo con un giovane germoglio, non garantisce affatto la compensazione di tutti i servizi ecologici perduti. La superficie fogliare di un albero appena piantato è infatti di circa un metro quadrato, vale a dire oltre mille volte inferiore a quella d’un albero adulto.


    9 - Apprezza l’albero, sorgente di benessere e di felicità.
    L’albero offre generosamente molti ecoservizi inestimabili per l’umanità, tra cui in primo luogo un’efficace azione di climatizzazione soprattutto nei periodi più caldi ed afosi, donando ombra fresca e ristoro, riducendo la temperatura ed aumentando l’umidità. Lo stesso albero può inoltre smorzare fino a metà la velocità del vento, attenuando sensibilmente anche tutti i fastidiosi rumori circostanti.

    10 - Godi dell’albero e dei suoi doni preziosi.
    L’albero può offrire risorse materiali inestimabili – legno, rami e fogliame, frutti, bacche e radici – ricche di utilità molteplici per la vita dell’uomo: da sfruttare però con misura e saggezza, raccogliendo sì i frutti e le altre risorse rinnovabili, ma senza mai impoverire né intaccare il basilare patrimonio che le produce.



    Decalogo degli alberi
    Festa degli alberi Sardegna 1959


    1 - Ama e salva da ogni cagion di danno l’albero e la foresta

    2 - Ricorda che i boschi sono la maggiore ricchezza della montagna, presidio e salute del piano, espressione mirabile della natura.

    3 - Ricorda che il disboscamento, segno di ignoranza, nuoce alla Patria e la sminuisce all'estero.

    4 - Non dimenticare che l’Italia, in pace e ancor più in guerra abbisogna di legname, mentre ora paga un tributo non, lieve allo straniero anche per questo indispensabile prodotto.

    5- Insegna al montanaro che l’amore del luogo natio non si concilia con la rovina dei boschi.

    6 - Adoperati perché ogni anno si affidino alla tua terra con sacra cura poche o molte piantine per celebrare la “Festa nazionale dell’albero”.

    7- Migliora, senza estenderli a danno del bosco, i prati e i pascoli montani.

    8 - Riconosci che la pastorizia, tanto utile, riesce dannosa al monte se male esercitata.

    9 - Rammenta sempre e ovunque che la capra è indice di miseria e di economia silvana primitiva.

    10 - Risuscita l’antica e gloriosa coscienza forestale, coopera con i tecnici al provvido apostolato, ammaestra chi deve osservare le patrie leggi, a tutela del bosco e del monte.



    raccontidifata.com

    Edited by gheagabry - 7/12/2012, 23:46
     
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  14. gheagabry
     
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    “Si tratta di onorare un albero.
    Se lo onori, rendi omaggio anche a tutti gli altri”.


    il "Presidente", la sequoia gigante alta 75 metri


    f3184eac-649e-4abc-a623-bf06b708ea15

    Michael Nichols, NGM



    Edited by gheagabry1 - 27/1/2023, 00:23
     
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  15. gheagabry
     
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    61509501_2689125571160524_5542948289

    Sai che gli Alberi parlano?
    Si parlano. Parlano l'un con l'altro,
    e parlano a te, se li stai ad ascoltare.
    Ma gli uomini bianchi non ascoltano.
    Non hanno mai pensato
    che valga la pena di ascoltare noi indiani,
    e temo che non ascolteranno nemmeno
    le altri voci della Natura.
    Io stesso ho imparato molto dagli alberi:
    talvolta qualcosa sul tempo,
    talvolta qualcosa sugli animali,
    talvolta qualcosa sul Grande Spirito.
    (Tatanga Mani)



    Edited by gheagabry1 - 22/5/2020, 15:27
     
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