CERVI, DAINI, ALCI E RENNE

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  1. gheagabry
     
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    Se gli animali potessero parlare ci direbbero
    che gli esseri umani dovrebbero essere semplicemente più semplici e meno complicati.

    ~ Jean-Paul Malfatti ~



    IL CERVO



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    Parlando di cervo, spesso si fa riferimento a quegli animali selvatici molto simili a piccoli cavalli con le corna. Ma 'cervo', in realtà, è un solo un termine volgare utilizzato per indicare generalmente una famiglia ben più ampia: quella dei cervidi.
    Il cervo vive in boschi misti e foreste ricche di radure. Questo animale si spinge talvolta anche sui pascoli più elevati. E’ originario dei boschi umidi situati lungo i corsi d’acqua , ma si é ben adattato a tutti i nostri tipi di foresta. Lo troviamo infatti dalla pianura fin al di sopra del limite del bosco. Gran parte dei cervi mostra un comportamento di tipo migratorio che può avvenire in modo verticale o dal fondo verso l’imbocco di una valle. Le zone di svernamento vengono abbandonate verso fine aprile per recarsi sui pascoli alpini dove trascorrerà tutta l’estate. Il ritorno è previsto dall’inizio di ottobre, a seconda delle condizioni climatiche e delle attitudini individuali.Il cervo, rigorosamente erbivoro, ha una discreta capacità di adattamento e cambia la propria dieta a seconda delle stagioni e della disponibilità di cibo. In autunno e in inverno si ciba di frutti selvatici ed erba secca e, quando questi cominciano a scarseggiare, di corteccia di alberi. In primavera ed estate si nutre invece di varie specie foraggiere, di gemme e frutti selvatici.

    Il palco, che sembra essere un ornamento degno di questi re della foresta, riveste un ruolo essenziale nella vita dei cervi, infatti, ne determina il ruolo all'interno del branco e la possibilità di riprodursi... la presenza e le dimensioni del palco, sono fondamentali per poterne identificare il sesso, l'età e la possibile posizione all'interno della gerarchia...Già in giovane età iniziano a crescere, sulle ossa frontali dei maschi, li 'steli' che termineranno poi il loro completamenteo attorno ai 14 o 17 mesi di vita. A questo punto il trofeo risulta completamente sviluppato, ma la solidificazione avverrà solo più tardi, per effetto dell'ormone maschile. Questo ormone è lo stesso che provoca la caduta del palco nel periodo primaverile, che può avvenire anche più precocemente nel caso l'animale sia molto anziano. Il primo trofeo è formato da una semplice asta a cui, negli anni a venire, si aggiungeranno molte diramazioni il cui numero varia a seconda dell'età: nei giovani esemplari di due anni, le cime saranno 4 o 6; a tre anni sono solitamente 8; a quattro anni, solitamente considerata l'età del pieno sviluppo, le cime raggiungono il numero di 12.il palco è essenziale per poter definire il ruolo del maschio all'interno del branco; nella stagione degli amori, per esempio, queste maestose corna diventano pericolossime armi con cui battersi e far valere il proprio diritto a riprodursi con una femmina.
    Anche la gerarchia è stabilita grazie alla presenza ed alle dimensioni del palco, in quanto indicatore di età e, dunque, anche di una certa classe sociale.

    Il cervo si muove leggero ed elegante nei boschi più fitti, nelle praterie a diverse altitudini; è maestoso, veemente e veloce nel trotto e nel galoppo, tanto che in piena corsa può raggiungere e superare gli 80 km/h.


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    ......nella mitologia.......



    Da sempre, il cervo è presente nella mitologia di quasi tutti i popoli; a questo animale, considerato sacro a gli dei, venivano persino attribuiti dei poteri curativi e moltissime sono le leggende che lo trovano nel ruolo di protagonista. Molte leggende e credenze lo descrivevano come elegante ed imponente destriero degli dei, altre lo dipingevano come protettore e guaritore del corpo e dell'anima, mentre altre ancora lo rappresentano con un'entità negativa e distruttrice...Quello che però non sfuggì a nessuna delle popolazioni presso le quali il cervo era venerato, fu certamente la sua maestosità, l'andatura aggraziata e veloce, le grandiose corna che portava con fierezza e solennità.
    Per il suo aspetto e per il suo carattere fugace, il cervo era il re della foresta, temuto e rispettato da tutti: uomini e animali.
    Le leggende che narrano di questo nobile animale sono veramente affascinanti e ricche di simboli che ne arricchiscono ulteriormente l'aria di mistero e misticità.
    Come per tutti i simboli, anche per la figura del cervo le interpretazioni sono molteplici e spesso contrastanti: se alcuni popoli lo vedevano come simbolo della rigenerazione vitale, del ciclo della vita, delle rinascite e della longevità per il rinnovarsi ed il crescere continuo delle sue corna; altri popoli, come quelli germanici, lo vedevano invece come un'entità malefica che tenta di distruggere l'albero originario.
    Nella mitologia germanica infatti, sono famosi i quattro cervi che tentarono di distruggere l'albero cosmico Yggdrasill (l'albero del mondo da cui ha origine la vita) mangiandone i germogli per indebolirlo ed impedirgli di crescere.
    Oltre che in quella germanica, in Europa, il cervo è presente anche nella cultura celtica, in quella slava e, ancora più in dietro nel tempo, in quella greca e romana.
    Animale soprannaturale nella mitologia e nelle fiabe dei popoli celtici ed in quella degli slavi, dove viene spesso dipinto con un grosso animale dalle corna dorate; il cervo assume un ruolo di grande rilievo nella mitologia greca e latina dove, assieme al cipresso, è uno dei due simboli della dei della caccia Diana (o, per i greci, Artemide).
    Il mito di Atteone è forse uno dei più famosi e racconta del giovane Atteone che, durante una battuta di caccia, avrebbe involontariamente visto la dea Artemide intenta a lavarsi in un lago assieme alle ninfe.
    La dea volle assicurarsi che il ragazzo non proferisse parola dell'accaduto tramutandolo in un cervo e, impedendo alla muta di cani di riconoscere il loro padrone, per mezzo di un sortilegio, fece sì che Atteone fosse ucciso dai suoi fidati animali.
    Certamente però, quando si vuole collegare il cervo alla mitologia greca, non si possono dimenticare Eracle e le sue fatiche: infatti, il compito di catturare la Cerva di Cirnea fu la quarta delle sue dodici fatiche.
    Ma la fama di questo animale non si fermò solo all'Europa, bensì arrivò fino in India e neppure il grande oceano fu in grado di fermare la venerazione per il maestoso cervo: la sua nobiltà conquistò persino i nativi americani che ne furono tanto affascinati da farne un simbolo di vita e di forza.
    Il cervo magico rappresentava infatti il potere del granturco che era in grado si sostenere e nutrire il corpo, ed il potere del peyote che era quello di illuminare lo spirito offrendo una guida spirituale e l'ispirazione artistica.
    In una leggenda induista invece, il cervo, assumendo una connotazione negativa, è la forma scelta da un demone, il quale si trasformò in cervo dorato per trarre in inganno un giovane uomo ed allontanarlo dalla moglie che, intanto, veniva rapita dal fratello.
    Anche il cristianesimo, religione severa e più vicino a noi nel tempo, non è privo di simboli che riportano al cervo: nella sua iconografia infatti, il cervo è simbolo del Cristo che combatte e vince il serpente demonio.



    ..........simbologia............



    Il cervo è il simbolo della rigenerazione vitale, per il rinnovarsi periodico delle sue corna, che sono paragonate anche ai rami degli alberi per il loro valore allegorico di sviluppo e di unione tra le forze superiori e quelle inferiori. Quindi le corna sono il simbolo della longevità e del ciclo delle rinascite successive. Nella leggenda greca di Ciparisso, la morte del cervo è all’origine del cipresso, simbolo dell’immortalità e dell’eternità. Da tempi antichissimi nell’area circumpolare il cervo è associato al simbolismo del sole e della luce, incarnandone gli aspetti di creazione e civilizzazione. Il cervo è contrapposto nel simbolismo al toro, elemento della forza cieca generatrice e tipico delle precedenti civiltà matriarcali. Il cervo in questa contrapposizione assume l’emblema di animale tipico della civiltà indoeuropea. È il principio paterno che si scontra con la “civiltà della madre”; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità. In Grecia era consacrato a dei della purezza e della luce, come Apollo e Atena.


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    ...una favola...



    C’era una volta un Cervo color dell’oro. I suoi occhi erano come tondi gioielli, le sue corna erano bianche come argento, la sua bocca era rossa come un fiore, i suoi zoccoli erano duri e brillanti. Lui aveva un corpo grande ed una coda lunga e sottile.
    Esso viveva nella foresta di Banyan ed era il capo di un branco di cinquecento Cervi. Lì vicino viveva un altro branco di Cervi, chiamati Cervi Scimmia. Anche loro avevano un capo. …Al Re di quel paese piaceva cacciare i Cervi e mangiare la carne di cervo. Non gli piaceva però andarci da solo così un giorno lui chiamò le persone della sua città chiedendo loro di andare a caccia con lui.
    Al popolo tutto ciò non piaceva perché mentre loro erano via nessuno faceva il loro lavoro. Quindi decisero di fare un parco e portare i Cervi in esso. Così il re avrebbe potuto andare e cacciare nel parco e loro potevano proseguire nel loro lavoro quotidiano.
    Quindi fecero un parco, vi piantarono l’erba e provvidero che i Cervi avessero l’acqua, costruirono un recinto tutto intorno ad esso e vi guidarono i Cervi.
    Poi chiusero il cancello ed andarono a dire al re che nel parco vicino lui avrebbe potuto trovare tutti i Cervi che voleva.
    Il re andò subito a cercare i Cervi. Prima vide là i due Cervi Reali, e garantì ad essi di risparmiare le loro vite. Poi controllò i loro grandi armenti. Talvolta sarebbe andato il Re a cacciare i Cervi, e talvolta sarebbe andato il suo cuoco. Nonappena alcuni Cervi li videro, cominciarono a tremare per la paura e si misero a correre. Ma quando venivano colpiti una volta o due, si lasciavano cadere giù morti.
    Il Cervo Reale di Banyan andò dal Cervo Reale delle Scimmie e disse, “Amico, molti Cervi sono stati uccisi. Oltre a quelli uccisi ci sono molti feriti. Dopo questo suppongo che un giorno dovrà essere ucciso uno del mio armento, ed il giorno dopo dovrà toccare ad uno del tuo armento. In questo modo si perderanno meno Cervi”.
    Il capo-Cervo Scimmia fu d’accordo. Ogni giorno il Cervo di turno sarebbe andato e si sarebbe sdraiato, mettendo la sua testa sul ceppo. Così il cuoco sarebbe venuto e avrebbe portato via quello che giaceva là.
    Un giorno la sorte cadde su un Cervo-madre che aveva un piccolo. Lei andò dal suo re e disse, “O Reale Cervo delle Scimmie, lascia che il mio turno salti finché il mio piccolo sia grande abbastanza per farcela senza di me. Poi io andrò e metterò la mia testa sul ceppo”. Ma il re non l’aiutò. Lui le disse che la sorte era toccata a lei e lei doveva morire. Poi lei andò dal Cervo Reale di Banyan e chiese a lui di salvarla.
    “Ritorna alla tua tribù. Andrò Io al posto tuo”, disse lui.
    Il giorno dopo il cuoco trovò il Cervo Reale di Banyan disteso con la sua testa sul ceppo. Il cuoco andò dal re per informarlo di questo fatto.
    “Cervo Reale di Banyan! Non ricordi che io garantii la tua vita? Perché sei disteso qui?” disse il Re accorrendo sul posto.
    “O grande Re!” disse il Capo dei Cervi di Banyan, “una madre venne col suo piccolo e mi disse che la sorte era toccata a lei. Io non potevo chiedere ad alcun altro di prendere il suo posto, così venni io”.
    “O Cervo Reale di Banyan! Io non vidi mai una tale gentilezza e misericordia. Alzati! Io accordo la tua vita e quella della madre. Io non caccerò più alcun Cervo, né nel parco e né nella foresta.”



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    Un vecchio Cervo un giorno
    sfasciò cò dù cornate
    le staccionate che ciaveva intorno.

    Giacchè me metti la rivoluzione,
    je disse l'Omo appena se n'accorse
    te tajerò le corna, e allora forse
    cambierai d'opinione...

    No, disse er Cervo - l'opinione resta
    perchè er pensiero mio rimane quello;
    me leverai le corna che ciò in testa
    ma no l'idee che tengo ner cervello.

    (Trilussa)



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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 16:48
     
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  2. erica la torre
     
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    sono bellissimi i cervi e i daini che sono in questa immagine
     
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  3. gheagabry
     
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    Dall'animale e dalla pianta dobbiamo imparare che casa è fiorire....
    è conformemente imparare da capo ciò
    che riguarda l'uomo
    - F.Nietzsche -



    L'ALCE


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    L'alce lo si trova in Alaska, in Norvegia, Russia, Siberia, Manciuria e Mongolia. Le foreste selvagge, ricche di platani, di betulle e alberi frondosi, costituiscono il soggiorno preferito dell'alce. Trascorre l'estate nelle pianure basse e umide, mentre d'inverno si rifugia nei luoghi più alti al sicuro dalle inondazioni e mai coperti dal ghiaccio. L'alce ha corpo robusto e tarchiato, il collo è corto e sorregge una testa enorme e allungata, con un muso lungo. Nel maschio le corna a forma di pale frastagliate possono raggiungere i due metri e venti chili di peso. La femmina è più piccola del maschio e non ha le corna. Il mantello dell'alce è folto e lungo. La sua pelliccia in estate è marrone-nerastra sul dorso e il ventre e le zampe sono più chiare; in inverno è grigiastra. L'alce possiede un udito eccezionale e le sue orecchie possono essere ruotate di 180°; l'olfatto è ben utilizzato per individuare il cibo sotto la neve. L'alce sembra che veda soltanto oggetti in movimento. Si nutre in primavera di cespugli, foglie, germogli e cortecce. In inverno quando la vegetazione risulta secca, si nutre degli aghi delle conifere.
    L'alce è il tipico animale solitario che raramente conduce una vita gregaria.
    L'alce si muove con grande agilità anche sulla neve di 60-70 cm, ma trova maggiori difficoltà con il ghiaccio il quale rallenta i suoi spostamenti e lo rende più vulnerabile al lupo.
    L'alce è un ruminante, infatti in estate può arrivare ad ingoiare anche 20 Kg di foglie e piante, mentre in inverno si limita alle conifere.

    Gli accoppiamenti dell'alce avvengono tra il mese di settembre e quello di ottobre e i piccoli nascono di appena 11-16 Kg. Di solito nasce un piccolo ogni anno, ma nelle annate favorevoli con una buona disponibilità di cibo ne possono nascere anche due. I piccoli di alce sono preda facile di lupi ed orsi. La maturità sociale e fisica viene raggiunta nei primi 5 anni di vita: i maschi iniziano a sfoggiare un bel palco e le femmine iniziano a riprodursi.
    L'alce può raggiungere anche i 60 km/h ed è un potente nuotatore.
    L'alce è fra i mammiferi più grandi del Nord America, solo il bisonte ed alcuni orsi hanno dimensioni maggiori.



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    "Se tu parli agli animali,
    loro anche ti parleranno..così vi conoscerete.
    Se non parli agli animali, non li conoscerai mai.
    E ciò che non conosci lo temerai per sempre.
    Ciò che si teme, si distrugge"
    - Antico proverbio indiano -



    ...........animali sacri.......



    L'Alce rappresenta lo spirito amoroso
    Gli animali vengono considerati dagli Indiani d'America come degli antenati mitici e secondo molte leggende sono loro che aiutano gli umani a vivere (regalando loro il fuoco, il cibo ecc.) ed è attraverso questa chiave di lettura che possiamo capire il perchè del profondo rispetto verso la fauna del pianeta che li circondava. Gli animali intervenivano nelle visioni degli uomini come messaggeri del Grande Spirito e da quel momento diventavano gli spiriti protettori di quella persona infondendogli le loro doti: la forza, la saggezza, l'agilità ecc.



    ...miti e leggende....



    Essendo la più antica popolazione del Nordeuropa, il popolo dei Lapponi possiede la memoria collettiva che risale ai tempi più remoti: una carta stellare, la quale propone anche i nomi di stelle e di costellazioni, fu scolpita sulla pietra 4.000 - 4.100 anni fa, il che non è molto più tardi della prima definizione storica delle costellazioni, datata a 4.600 - 4.700 anni fa).
    Se questa voce che si ode da dietro il velo dei millenni è correttamente compresa, noi possiamo partecipare a cose affascinanti: la vita di una nazione indigena ed i cambiamenti che sono avvenuti, oscuri eventi storici ed eventi naturali straordinari.
    Il cielo è concepito come una grande sfera con molti buchi (le stelle) che lasciano intravvedere il fuoco presente all'esterno e attraverso i quali cadono giù sulla terra la neve e la pioggia: ecco perché dicono che quando le costellazioni sono tante, cioé ci sono tanti buchi, in quel periodo arriva la neve.
    L'Alce (Sarva) è una costellazione composta da molte nostre costellazioni. La parte superiore delle grandi corna è la costellazione di Cassiopea, le corna e la parte anteriore del corpo sono Perseo e un paio di stelle dell'Auriga formano la parte posteriore del corpo dell'Alce.
    E l'alce è sicuramente la preda preferita degli “abitanti del cielo”, infatti è cacciata dai Cuoigahaegjek (“i due sciatori” rappresentati da Castore e Polluce dei Gemelli), da una vecchia con un branco di cani (Miese-cora, le Pleiadi), dai figli di Galla (le tre stelle della cintura di Orione) e da Favtna (la stella Arturo).


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    ...una favola...



    Il flauto di alce
    C'era una volta un giovane molto coraggioso, ma pareva che tutte le ragazze lo odiassero. Egli passeggiava, tutto triste, in una regione collinosa. Ad un certo punto arrivò a un lago, e sulla riva del lago vide il teschio di un animale. Il ragazzo si mise davanti al teschio e cominciò a piangere. Era tanto triste che si addormentò. Nel cuore della notte, sentì le belle, limpide note di un flauto. Il suono si avvicinava sempre di più....Ed ecco che gli apparve un alce: era grande e la sua pelliccia sembrava d'argento. L'alce parlò e gli disse:
    " Fratello mio, questo che ti sta vicino, è il mio teschio. Lo so perchè piangi: non piaci alle ragazze e vorresti piacere. Prendi i denti di questo teschio: con quelli grossi fai una collana e con i piccoli fai due orecchini e indossali per mio ricordo. Poi prendi questo flauto e torna al tuo villaggio: suonalo e vedrai che le ragazze ti ameranno."
    Così disse l'alce: lasciò il flauto ai piedi del giovane e sparì.
    Il giovane,meravigliato, fece tutto ciò che l'alce gli aveva ordinato. Tornò a casa e provò a suonare il flauto. Tutte le ragazze accorsero e gli fecero festa. Il giovane suonò più volte, e alla fine sposò la ragazza più bella. Ora era molto felice, ma appena suonava il flauto, tutte le donne accorrevano, anche quelle sposate.....
    Passarono i mesi,e gli uomini del villaggio non lo poterono più sopportare....
    Una sera, segretamente, si riunirono e decisero di ucciderlo.
    Un giorno il ragazzo uscì dal suo tepee, la tenda degli indiani,e si diresse a caccia,portando con sè il flauto. Ma gli uomini gli saltarono addosso e lo uccisero. Gli tolsero la collana e gli orecchini di alce, e anche il flauto.
    Ma ebbero paura di seppellirlo, e lo lasciarono lì dove lo avevano ucciso.
    Egli giacque per parecchi giorni, ma venne l'alce dalla pelliccia d'argento, lo leccò sugli occhi e sparì. Il giovane si alzò e tornò alla tenda di sua madre. La madre non voleva credere che egli fosse tornato, ma lo vide fumare il calumet, la pipa sacra e capì che era proprio vivo. Gli uomini del villaggio ebbero paura, ma il ragazzo sembrava tranquillo.
    Ma un bel giorno disse:"Io non voglio più vivere qui, andiamo al grande lago che sta qui vicino: c'è molto pesce da pescare e ci sono molti alci da cacciare....."
    Gli uomini che lo aveva assalito lo seguirono. Il ragazzo arrivò sulle rive del lago e ordinò agli uomini di entrare nell' acqua: ma come essi vi entrarono, scomparivano.....
    Uno di essi fu trasformato in lontra, un altro in orso, molti furono trasformati in pesci, a seconda di quanto si bagnarono.
    Il ragazzo rimase all'ascolto, col flauto e i denti di alce che si era fatto restituire. Tornò al villaggio e sposò tutte le donne che erano rimaste!
    (fiabe dei pellerossa)




    Un recente studio, da verificare, ha dimostrato
    che l'alce quando è in difficoltà la butta sul ridere.
    Gene Gnocchi



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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:02
     
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  4. gheagabry
     
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    Il parco di Richmond a Londra – a sudovest del centro della città – è grande quasi mille ettari e originariamente era una riserva di caccia. Adesso è un parco pubblico e una riserva naturale ed è stato nominato sito di particolare interesse scientifico. Nel parco vivono più di 300 cervi e di 350 daini, che in questo periodo sono alle prese con la stagione degli accoppiamenti. Gli esemplari maschi – che di solito vivono in branco tra loro – iniziano ad aggirarsi in cerca di femmine. Per attirare la loro attenzione emettono forti bramiti – il verso del cervo – e si affrontano con altri maschi, scontrando con forza le corna. Ogni cervo cerca di radunare un gruppo tra le 5 e 15 femmine, che poi partoriranno un cerbiatto – più raramente due – verso giugno, dopo circa 250 giorni di gestazione.

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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:13
     
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  5. gheagabry
     
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    Il cervo dalla coda bianca


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    I cervi dalla coda bianca, i membri più piccoli della famiglia dei cervi del Nord America, si trovano dal Canada meridionale fino all'America del Sud. Durante la calura estiva, vivono abitualmente in campi e prati, utilizzando, come riparo, l'ombra delle foglie larghe dei fitti boschetti di conifere. Durante l'inverno, solitamente, preferiscono rimanere nelle foreste, tra le conifere che offrono riparo dal freddo.
    Gli esemplari adulti sono coperti, durante l'estate, da un manto marrone-rossiccio, che in inverno sbiadisce diventando di un più spento colore marrone-grigiastro. I maschi sono facilmente riconoscibili in estate e in autunno dalle loro corna ramificate, che crescono ogni anno e cadono in inverno. Solo i maschi hanno le corna ramificate, con diverse terminazioni anche molto appuntite. Durante la stagione dell’accoppiamento i maschi lottano per il territorio utilizzando le corna nei combattimenti.
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    A maggio o giugno, dopo un periodo di gestazione di sette mesi, le femmine partoriscono da uno a tre piccoli alla volta. I giovani cervi, hanno un manto marrone-rossiccio a macchie bianche che li aiuta a mimetizzarsi meglio nella foresta. I cervi dalla coda bianca sono erbivori, e amano pascolare in tranquillità mangiando quasi tutti i tipi di piante disponibili. Lo stomaco consente loro di digerire cibo molto vario, che include foglie, ramoscelli, frutta e noci, erba, mais, erba medica, e anche licheni e altri funghi. Anche se occasionalmente possono avventurarsi durante le ore diurne, i cervi dalla coda bianca sono essenzialmente animali notturni o crepuscolari che normalmente gironzolano all'alba e al tramonto. Nelle zone selvagge possono essere preda di linci rosse, leoni di montagna, e coyote, e questo vale specialmente per i piccoli. Usano l’agilità e la velocità per sfuggire ai predatori, arrivando a correre fino a 48 km all'ora e a saltare, con un unico balzo, fino a tre metri in altezza e nove metri in lunghezza. Poiché la loro popolazione si era notevolmente ridotta, per la caccia consentita negli Stati Uniti, sono state introdotte misure più rigorose che hanno contribuito a ripopolare la specie.
    (National geographic)


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    Le microcamere installate in Nord America dai biologi del Northern Prairie Wildlife Research Centre, del Nord Dakota, hanno permesso ai biologi di osservare lo strano comportamento ‘carnivoro' delle alci e dei cervi dalla coda bianca. Secondo quanto spiegato dai ricercatori, non dovremmo sorprenderci, poiché non si tratterebbe di una modifica del comportamento di questi animali, bensì di un evento raro del quale ancora c'erano solo poche prove. Per raggiungere questo traguardo, gli scienziati hanno osservato due anni di riprese ininterrotte. Dei 29 nidi predati, 2 erano stati attaccati dai cervi dalla coda bianca. Non si tratta dunque di una pratica regolare, ma è comunque un evento da segnalare, visto che questi animali sono conosciuti per essere erbivori.

    Secondo i biologi, i cervi dalla coda bianca si alimentano dei pulcini poiché non riescono a trovare la quantità giusta di nutrienti dalle piante, dalla frutta e dalle noccioline. I pulcini sono infatti un'ottima fonte di proteine, grassi e altre sostanze nutrienti. Dello stesso parere è l'esperto di animali Darren Naish che, su Tetrapod Zoology, ha pubblicato alcuni video che mostrano un cervo e una mucca cibarsi di pulcini. Secondo lo studioso, questo comportamento sarebbe legato al bisogno di calcio, ottenuto quindi dalle ossa degli animali predati. In pratica non sarebbero interessati alla carne, ma, per poter arrivare allo scheletro, non possono che cibarsene.



    https://scienze.fanpage.it

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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:22
     
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  6. gheagabry
     
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    LA RENNA


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    Le renne vivono in grandi gruppi, composti da un minimo di dieci ad un massimo di mille individui tra maschi e femmine, le mandrie sono sempre in movimento e percorrono anche grandi distanze sempre alla ricerca del cibo. Le renne sono dotate di un ottimo olfatto che le permette di scovare il cibo nella neve e nel ghiaccio. All'età di tre anni circa le giovani renne si possono già accoppiare, nella stagione degli amori i maschi combattono fra loro per guadagnarsi il diritto all'accoppiamento, in media un maschio si accoppia con circa nove femmine.


    ...Storia di una renna qualunque...



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    Mikko, la renna, si accorse di essere al mondo la prima volta che si rizzò sulle traballanti gambe. Era molto buffo, Mikko, in quel difficile momento della sua vita: il pelo chiaro chiaro, troppo rado, la testa enorme, sospesa a un collo tutto rugoso di pelle cascante, una testa della quale si vedevano soltanto due immensi occhi neri. Le gambe sottili erano infilate in zoccoli che sembravano quelli di un altro, perché, si sa, le renne vengono al mondo un pochino sproporzionate. Senza corna e senza coda, Mikko era decisamente ridicolo. In compenso egli era molto felice di essere al mondo. Era nato da poche ore, ma, veramente, gli sembrava di essere esistito sempre, adagiato sul soffice letto di lichene croccante, sul quale ora si teneva in piedi. Tentò di gridare la sua gioia, ma non ne fece nulla: così imparò che le renne sono mute e non gli rimase altra soddisfazione che quella di attaccarsi alle mammelle di mamma renna che ruminava tranquilla. Quando fu in grado di camminare speditamente, Mikko fu accompagnato dalla madre a visitare gli immensi pascoli di lichene, imparò come si possa estirpare il cibo con le radici senza dover inghiottire troppa terra. Erano tutti questi gli insegnamenti che una povera renna poteva dare al figliolo e Mikko gliene fu molto riconoscente. Conobbe presto anche il padre, ammirò le sue folte corna e sentì proprio in quell’istante il solletico che lo avvertiva che presto sarebbero spuntate anche a lui. Allora si sdraiò per terra e strofinò il vertice del cranio contro alcune pietre rugose. Con le gambe in aria si accorse che il mondo, visto alla rovescia, era del tutto differente. Ma questa stupefacente scoperta non ebbe il potere di spiegargli perche mai l’acqua del lago e il cielo avessero lo stesso colore, cioè, secondo i pensieri che possono passare per il capo a una povera renna, sembrassero la stessa cosa. Poi il branco emigrò, Mikko conobbe le verdi foreste di pini e di betulle, imparò a galoppare sulle lunghe gambe, a sentire nel vento l’odore del lichene e a distinguere da lontano le zone buone per il pascolo. Volle assaggiare anche il muschio profumato e i germogli di betulla. Ma il giorno dopo stava malissimo e aveva completato il primo capitolo delle sue esperienze.

    Una sera egli corse spaventatissimo in cerca della mamma. Il sole si era abbassato sotto l’orizzonte e ciò per lui ch’era nato verso la fine di maggio rappresentava una cosa sbalorditiva. M vide la madre che ruminava come nulla fosse accaduto e si sentì più tranquillo. Rimase però vagamente inquieto e l’allegria gli riempì di nuovo il cuore, quando l’astro maggiore, poco dopo, risalì nel cielo. In seguito, un po’ alla volta, si abituò a vederlo scomparire per periodi sempre più lunghi e fece dei lunghissimi sonni come mai gli era accaduto prima di allora. Un mattino, aprendo gli occhi vide che il pascolo era diventato tutto bianco e che il branco si metteva in cammino tranquillamente come verso una meta invisibile ma sicura. Mikko si sentì stringere il cuore da un presentimento difficile da enunciarsi. Avrebbe voluto abbandonare il branco, andarsene tutto solo per la sua bella tundra in cerca di lichene e di silenzio. Ma ebbe paura di qualche cosa di imprecisabile e e seguì gli altri.
    Così fece conoscenza dell’uomo e del cane, anzi, del cane e dell’uomo, perché fu Trilluk, un fragoroso pastore lappone, che lo costrinse a non abbandonare neppure per un istante il fianco tiepido della madre. Poi scorse uno strano animale che camminava su due zampe, che sembrava una buffissima renna ma non poteva esserlo perchè urlava, urlava, urlava, agitando una lunga frusta. Quando gli fu vicino, Mikko avverti l’odore della morte, perchè lo strano animale era coperto di pelli di renne. Non poteva capire, Mikko, cosa fosse la morte, tanto più che non sapeva neppure di essere nato. Tuttavia cominciò a temere l’uomo. Nevicava solennemente quando Mikko, confuso fra le altre renne, cominciò, a galoppare in ronda, sollevando una piccola nuvola di polvere di neve. Si fermò quando vide sua madre legata ad un albero, senza immaginare neppure che, così facendo, esaudiva precisamente il desiderio dell’uomo. Questi correva da tutte le parti e, armato di un nodoso bastone, espelleva dal recinto tutti i maschi, di modo che, fra le palizzate artificiali, rimasero ben presto solamente le femmine e i loro piccoli. Allora un uomo si avvicinò a Mikko con un oggetto lucente nella mano destra. Guardò prima il marchio della madre, quindi, con un gesto rapidissimo che sorprese e sconvolse la giovane renna, afferrò l’orecchio destro di Mikko, tracciandovi con il coltello affilato una stella a sei punte. Il piccolo tentò di sfuggirgli, guardò il proprio sangue che gocciolava sulla neve e, per la seconda volta, avrebbe voluto gridare. Madovette starsene silenzioso. Del resto non sapeva che, da quel momento, aveva un padrone. Poi il branco riprese la via dei boschi. Mikko imparò a spaccare la neve gelata collo zoccolo ormai robusto per scoprire il vitale lichene. Ben presto fu il più abile e il più forte fra i giovani maschi, che batteva anche nella corsa con una facilità davvero incredibile. I due alberi delle corna erano spuntati ed egli si sentiva capace di qualunque impresa. La temperatura diminuiva ogni giorno ed ormai il sole non spuntava più. La Lapponia era un mare di ghiaccio.....
    (Felice Bellotti)

    ...le renne di Babbo Natale....


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    Tradizionalmente le renne di Babbo Natale sono un gruppo di renne volanti che tirano la slitta di Babbo Natale la notte della Vigilia per consegnare i doni a tutti i bambini del mondo.
    Solitamente però, quando si parla delle renne di Santa Claus, si pensa a Rudolph, quella con il naso rosso.
    In realtà la presenza delle renne nella lunga storia di Babbo Natale risale al 1823 quando fu pubblicata per la prima volta la poesia "Una visita di San Nicola" (A Visit from St. Nicholas). L'autore della poesia, nota anche con il titolo "La notte di Natale" (The Night Before Christmas), sembra essere (è ancora incerta l'attribuzione) Clement Clarke Moore, che la scrisse per i propri figli.
    Clarke descrisse Babbo Natale come un omino un pò robusto e tozzo, tipo folletto, e le sue otto renne a cui diede anche un nome: Comet, Dancer, Dasher, Prancer, Vixen, Donder, Blitzen, Cupid, che in italiano possiamo tradurre come: Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato, Cupido.
    Rudolph arrivò solo nel 1939 quando Robert L. May pubblicò un libro per bambini per la catena di grandi magazzini Montgomery Ward. Nella storia di Robert L. May, Rudolph, nato con un naso rosso luminoso e figlio di Donner, è sempre emarginato per il suo aspetto dalle altre renne. In una Vigilia di Natale c'era troppa nebbia perchè Babbo Natale potesse fare il giro del mondo per consegnare i regali. Santa Claus stava per annullare la consegna dei doni quando improvvisamente notò il naso di Rudolph, cui fu dato il ruolo di capo renna, per illuminare il lungo cammino della slitta intorno al mondo. Da allora Rudolph diventò un membro permanente della Santa's team!
    (dal web)

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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:37
     
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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:38
     
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  8. gheagabry
     
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    Mancava dall'Inghilterra da 800 anni...

    È nato il cucciolo di renna Blue, gli ultimi esemplari si erano estinti nel 1300 a causa della caccia. Blue è la prima renna a essere nata in Inghilterra dopo ottocento anni. La specie e' estinta nel 1300 a causa della caccia, ma i responsabili del Parco di Trevarno, in Cornovaglia, hanno importato un maschio adulto di renna e cinque femmine dalla Scandinavia per permettere la nascita di una cucciolata in territorio inglese. Blue è nato il primo maggio 2010.

     
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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:41
     
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  12. gheagabry
     
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    Splendida creatura, con occhi lunghi e profondi,
    i tuoi brusii sono magici,
    si confondono con il fruscio delle foglie,
    ogni tuo respiro è emozione per il mio cuore,

    vorrei poter appoggiare la mia mano sul tuo manto,
    fare vibrare le mia dita sulla tua groppa,
    sfiorare le tue corna, che sono la tua corona da re,

    cerchiamo tanto la felicità.
    ma volte è solo questione di un incontro,
    un ritrovo tra i boschi colorati,
    di un autunno malinconico e silenzioso,
    attimi di sguardi, tra creature diverse,
    nella brezza del vento,
    tra le foglie che cadono silenziose, e il mormorio,
    di un chiaro ruscello, tra le rocce,
    per essere contenti, abbiamo bisogno di cose semplici,
    che toccano il cuore,
    e tu, piccolo cervo, sei il dolce pensiero [..]
    (Daniela Cesta)


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    Edited by gheagabry1 - 29/9/2019, 17:43
     
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    Gli occhi delle renne cambiano colore in inverno: diventano blu, per raccogliere meglio la luce durante gli scuri mesi artici. Tornano marroni o dorati durate la primavera e l’estate.

    Il neuroscienziato di Londra Glen Jeffry, esperto di visione animale, ha studiato questo fenomeno a fondo, per capire come mai gli occhi della renna diventano blu in inverno, tornando al normale colore marrone-dorato in primavera.
    Ciò che cambia il colore è il tapetum lucidum della renna, ovvero uno strato riflettente posato dietro la retina. Questo strato aiuta gli animali a vedere quando c’è pochissima luce, riflettendo la luce che passa attraverso la retina di nuovo su di essa, per raddoppiare le possibilità di intercettare i fotoni.

    Le renne hanno un tapetum dorato in estate, ma non in inverno. Il motivo è l’oscurità che quei mesi portano negli habitat di questi animali.
    I muscoli dell’iride si contraggono per dilatare le pupille in mancanza di luce, per farne entrare il più possibile. Questo succede anche alle renne, e per mesi di fila. E impedisce al sangue di defluire dall’occhio, aumentandone la pressione interna e facendolo gonfiare.
    Questo mette pressione sul tapetum, fatto soprattutto di collagene. Il fluido tra le fibre di collagene viene fatto uscire a causa della pressione, e queste si comprimono. Lo spazio tra le fibre influenza il tipo di luce da loro riflessa. D’estate riflettono le lunghezze d’onda del giallo. Ma quando sono compatte, riflettono le lunghezze d’onda del blu.
     
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