PAUL CEZANNE

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    PAUL CEZANNE







    Paul Cézanne, che ebbe antenati piemontesi, originari di Cesana[1], fu il primogenito di Louis Auguste, proprietario di una fabbrica di cappelli, e di Anne Elisabeth Honorine Aubert, operaia nella stessa fabbrica: i suoi genitori si erano sposati il 29 gennaio 1844, dopo la nascita di un'altra figlia, Marie; nel 1848, Louis Auguste Cézanne fondò con un socio la banca "Cézanne et Cabassol".

    In una famiglia che godeva di notevole agiatezza, Paul poté frequentare le migliori scuole: dopo gli studi primari dal 1844 al 1849, dal 1849 al 1852 al pensionato Saint Joseph, entrò nel Collège Bourbon - oggi Mignet - dove ricevette un'istruzione umanistica, ed ebbe per compagni, fra gli altri, Émile Zola - che viveva allora ad Aix con la madre - con il quale si legò di profonda amicizia. Lo stesso scrittore ricorda quell'amicizia di adolescenti intellettuali: «Avevamo libri in tasca e nelle borse. Per un anno, Victor Hugo regnò su di noi come un monarca assoluto. Ci aveva conquistato con le sue forti andature di gigante, ci rapiva con la sua retorica potente». E dalla passione per Victor Hugo passarono a quella per de Musset: «De Musset ci sedusse con la sua spavalderia di monello di genio. I Racconti d'Italia e di Spagna ci trasportarono in un romanticismo beffardo, che ci riposò, senza che ce ne rendessimo conto, del convinto romanticismo di Victor Hugo». Questa sua formazione spirituale improntata al romanticismo - Cézanne scrisse anche poesie, che fece leggere a Zola - non fu senza conseguenze nelle sue scelte pittoriche.

    Ancor prima di conseguire, nel 1859, il baccalauréat, frequentò dal 1856 l'École de Dessin di Aix, conseguendo un secondo premio in disegno, e studiò musica, suonando, insieme con Zola, in un'orchestra



    Il periodo romantico [modifica]
    Dopo un breve soggiorno a Parigi, insieme con Zola e con Jean-Baptistin Baille, altro suo compagno di collegio, tornò ad Aix per iscriversi, ma soltanto per assecondare il desiderio del padre, alla Facoltà di legge. Zola era rimasto a Parigi e i due amici mantennero un fitto contatto epistolare, quando pure Cézanne non andava quasi mai a fargli visita nella citta capitale. Da tempo stava pensando di dedicarsi alla pittura e nel 1859, nella casa di campagna presso Aix, chiamata Jas de Bouffan, organizzò il suo studio di pittore. Se il padre - borghese pratico che sapeva valutare il certo e l'incerto - era ostile a quell'attività che faceva trascurare al figlio una possibile, fruttuosa carriera legale, Paul veniva incoraggiato dalla madre e dalla sorella Marie. Frequentò una piccola cerchia di artisti, formata dai pittori Emperaire e Villevieille, dallo scultore Solari, dallo scrittore Gasquet, suo futuro biografo, e dal critico d'arte Valabrègue.

    Fu esonerato dal servizio militare nel 1860 e smise di frequentare l'università. Nella sala della casa di campagna dipinse in uno stile «che fa pensare a un maldestro affresco di uno strano quattrocentista» [2], le Quattro stagioni, firmate scherzosamente Ingres, oggi trasportate su tela e conservate al Petit Palais di Parigi.

    Monaco domenicano, ca 1865Ottenuto dal padre il permesso di recarsi a Parigi, da aprile a settembre vi frequentò l' Académie Suisse, visitando frequentemente il Louvre e il Salon, attratto dai pittori del naturalismo storico alla Meissonier. Dopo aver cercato invano di entrare nella prestigiosa École des Beaux-Arts, ritornò ad Aix per riprendere i corsi di disegno e lavorare, senza nessun interesse, nella banca del padre. La lasciò tuttavia l'anno successivo per tornare nuovamente a Parigi e riprendere i corsi dell' Académie Suisse; qui fece la conoscenza dei pittori Bazille, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley.

    Nel maggio 1863 visitò con Zola il Salon des Refusés – l’esposizione dei dipinti rifiutati dal Salone ufficiale, che ispirava le scelte delle opere a criteri accademici, favorendo la pittura tradizionale - ma era attratto soprattutto dagli artisti che poteva ammirare al Louvre: qui si esercitava copiando i classici della pittura, da Caravaggio a El Greco, dai cinquecentisti veneti fino ai moderni Delacroix, Daumier, Corot e Courbet. Tornò ad Aix nel 1864 e a intervalli soggiornò in varie località della Francia.

    Al Salon del 1865 – quello che vide lo «scandalo» dell’ Olympia di Manet - inviò un’opera che venne però rifiutata, mentre Zola pubblicò il romanzo La confession de Claude, dedicato a lui e a Baille. Nella presentazione del libro ad Aix, Marius Roux, amico di Cézanne e di Zola, scrive che «grande ammiratore dei Ribera e degli Zurbarán, il nostro pittore procede solo da sé stesso, dando alle sue opere un timbro particolare. Io l’ho visto all’opera nel suo atelier, e se non posso ancora predirgli il brillante successo di coloro che l’ammirano, sono però certo di una cosa, che la sua opera non sarà mai mediocre». [3]


    In quest'anno dipinse i nove, energici ritratti dell' oncle Dominique, lo zio materno Dominique Aubert, costruiti utilizzando largamente la spatola per dare intensità al colore e senso del volume alla tela e, pur in assenza di contrasti di luce, «l'immagine è fortemente pronunciata, e benché il problema spaziale sia qui assente, almeno come problema di spazio-colore, come sarà invece dopo la lezione impressionista, l'immagine si determina in una sua consistenza, squadrata e sintetizzata, anticipazione di quell'organicità monumentale che Cézanne raggiungerà in pieno dopo il 1880». [4]

    Dopo che fu nuovamente rifiutato al Salon del 1866 un suo dipinto, il Ritratto di Anthony Valabrègue, uno scrittore suo amico, Cézanne scrisse all’intendente delle Belle Arti, responsabile della scelta dei dipinti, una lettera di protesta, dichiarando di rifiutare il giudizio della giuria e di voler esporre egualmente le sue opere: «Non mi sembra che il mio desiderio abbia nulla di esorbitante e se voi chiedeste a tutti i pittori che si trovano nella mia posizione, vi risponderebbero tutti di rifiutare la giuria e di voler partecipare in un modo o in un altro a un’esposizione che deve essere necessariamente aperta a tutti coloro che lavorano seriamente». [5].

    Hortensie Fiquet, 1877È questo il periodo in cui Cézanne cercava uno stile personale, fuori da ogni accademicismo e da ogni scuola, ma i riferimenti ad artisti da lui conosciuti e studiati si rilevano egualmente: oltre ad aver appreso il disegno accademico all’Ecole des Beaux-Arts di Aix da Joseph Gibert, le sue prime tele mostrano richiami ad alcuni pittori provenzali, come Émile Loubon – tele di questo pittore sono esposte nel Museo di Aix – all’allievo di questi, Monticelli e a Paul Guigou, due pittori di gusto romantico, e anche al ben più noto Daumier, artista che sintetizza in sé il romanticismo di Delacroix e il realismo di Courbet, i due grandi maestri ammirati da Cézanne.

    Délacroix gli mostrò come aprire le forme, che la tradizione accademica conserva nella chiusura della plasticità, costruendole secondo le vibrazioni del colore sotto gli effetti della luce: di lui Cézanne disse che era «la più bella tavolozza di Francia» e che nessuno in Francia, come Délacroix, aveva avuto il senso della «vibrazione del colore. Noi tutti dipingiamo seguendo lui», [6] mentre la lezione di Courbet gli servì da correttivo agli eccessi romantici di Delacroix.

    Dal 1866 al 1870 si divise tra Aix e Parigi: qui conobbe e convisse, senza che la famiglia sapesse nulla, con una giovane parigina, Hortense Fiquet. Allo scoppio della guerra franco-prussiana si trovava ad Aix, ma poi, per sei mesi, si stabilì con Hortense a L'Estaque, un villaggio di pescatori presso Marsiglia e, alla fine della guerra e della Rivoluzione comunarda, ritornò a Parigi, dopo aver evitato l'arruolamento grazie al padre che pagò un sostituto del figlio alla leva, come consentito dalle leggi allora in vigore.





    Nella capitale, il 4 gennaio, nacque il figlio Paul; Cézanne, prima di trasferirsi per due anni con la famiglia ad Auvers-sur-Oise, soggiornò alcuni mesi a Pontoise, il paese di Pissarro, col quale dipingeva, en plein air e a volte anche gli stessi temi, quali La cöte des boeufs a Pontoise o Il sentiero del torrente a Pontoise, ora all'Ermitage di San Pietroburgo, mentre il suo Louvanciennes è persino una copia di un dipinto di Pissarro. Questi scrisse in quel tempo che Cézanne «ci dà speranze e ho visto e ho con me una pittura di un vigore e di una forza notevole». [7]Pissarro gli insegnò a porsi davanti al soggetto con obiettività, strutturandolo liberamente sulla tela senza imposizioni di sovrastrutture letterarie, in modo da renderlo solo successivamente secondo il proprio spirito, con l'utilizzo di mezzi puramente pittorici, come le tonalità del colore e le vibrazioni della luce.

    Il risultato più alto di questa esperienza, che è alla base del nuovo indirizzo intrapreso da Cézanne, è La casa dell'impiccato a Auvers: «Lo spazio non è più amorfo, ma la vibrazione luminosa, ottenuta nonostante il consueto spessore della materia, lo rende quasi compatto, come una massa che però non ha pesantezza, ma corposità, data la finezza dei passaggi. È la luce che crea questa sintesi tra volume e spazio, una sintesi che dà alle cose [...] il senso della loro 'durata reale', del ripercuotersi nella coscienza. Cézanne ha fuso il suo concetto di monumentalità [...] con il desiderio di struttura appreso da Pissarro e naturalmente va oltre, perché non si contenta di una dimensione puramente ottica delle sue immagini, ma è già in cerca di una dimensione emotiva della forma». [8]

    Tornato a Parigi nel 1874 per partecipare alla prima mostra degli impressionisti, vi presentò La casa dell'impiccato e Una moderna Olympia, senza però ottenere, come gli altri espositori di indirizzo impressionista, alcun successo. Per quanto Cézanne accettasse l'impressionismo e ne condividesse gli obiettivi, non si identificava con esso e i suoi risultati sono infatti diversi: la rappresentazione della realtà mediante la vibrazione luminosa e cromatica non disfa e svuota la forma, ma assicura compattezza ed esalta i volumi; del resto, gli stessi impressionisti - a parte Pissarro, Monet e Renoir - mostravano diffidenza verso la sua pittura.

    Victor Chocquet, 1877Cézanne - che continuava a dividere il suo tempo tra Parigi, Aix, Pontoise, Auvers e l'Estaque - non partecipò alla seconda mostra degli Impressionisti, tenuta nel 1876; in compenso prese parte alla terza mostra nel 1877, presentando sedici dipinti, in maggioranza acquarelli, e ottenendo la consueta disapprovazione dei critici, anche di quelli che guardavano con interesse e comprensione al movimento impressionista. Fece eccezione Georges Rivière, che scrisse di lui: «L'artista più attaccato, più maltrattato da quindici anni dalla stampa e dal pubblico, è Cézanne. Egli è, nelle sue opere, un Greco della belle époque; le sue tele hanno la calma, la serenità eroica delle pitture e delle terrecotte antiche, e gli ignoranti che ridono davanti alle Bagnanti, per esempio, mi fanno l'effetto dei Barbari che criticano il Partenone. Il signor Cézanne è un pittore e un grande pittore. Coloro che non hanno mai tenuto in mano una pennellessa o una matita hanno detto che non sa disegnare, e gli hanno rimproverato delle imperfezioni che non sono che un raffinamento ottenuto attraverso un'enorme scienza [...] la sua pittura ha
    <p align="center">l'inesprimibile fascino dell'antichità biblica e greca, i movimenti dei personaggi sono semplici e grandi come nelle sculture antiche, i paesaggi hanno una maestà imponente, e le sue nature morte così belle, così esatte nei rapporti tonali hanno, nella loro verità, qualcosa di solenne. In tutti i suoi dipinti, l'artista commuove, perché egli stesso prova, davanti alla natura, un'emozione violenta che l'abilità trasmette alla tela». [9]

    In quella mostra Cézanne presentò anche il Ritratto di Victor Chocquet, suo amico che lo incoraggiava comprandogli anche delle tele. La somiglianza del Chocquet con un criminale di nome Billoir, allora molto noto alle cronache, diede occasione al pubblico di ribattezzare ironicamente l'opera Billoir al cioccolato. Ma per il Venturi questo ritratto - immagine di uomo serio, sensibile, dotato di profonda vita morale - è un esempio della raggiunta unità in Cézanne, attraverso i valori propri dell'Impressionismo, di pittura e umanità, di oggetto che raggiunge il valore dell'arte in quanto in esso sono rappresentati i valori dello spirito. «Le carni rossastre risaltano sopra un fondo di verde chiaro; effetto dunque di tono scuro su chiaro. I tocchi, anche se spessi di colore, variano perché la luce possa vibrare, anzi possa essa stessa formare l'immagine». [10]

    I continui insuccessi, tanto alle mostre degli impressionisti quanto presso i Salons "ufficiali", che continuavano a respingere regolarmente le opere che Cézanne si ostinava ad inviare, lo portarono a un periodo di isolamento, aggravato anche dai contrasti con il padre il quale, già disapprovando la convivenza del figlio con Hortense, quando venne a conoscenza della nascita di un bambino, giunse a ridurgli gli aiuti economici che fino ad allora non aveva mancato di fargli pervenire. Cézanne continuò a mantenere rapporti soltanto con la madre e, a Médan, con Zola, mentre per il resto dell'anno viveva a Estaque






    Il periodo costruttivo [modifica]
    Autoritratto, 1881.Nella pittura romantica la realtà viene trasformata coscientemente dall’artista in una sua realtà: la percezione di essa è solo la base dell’elaborazione personale del pittore; nell’impressionismo, al contrario, la realtà deve essere costituita unicamente dalla percezione degli oggetti: quanto più immediatamente la percezione viene afferrata e trasmessa nella tela, senza interventi perturbatori della riflessione personale del pittore, tanto più esatta sarà, secondo l'impressionista, la riproduzione della realtà.

    Questa consapevolezza è la base della nuova pittura ricercata da Cézanne: «un nuovo classicismo, non più fondato sull'imitazione scolastica degli antichi, ma rivolto a formare una nuova, concreta immagine del mondo» da ricercare non nella realtà esterna, ma nella coscienza. [11] Questo significa rifiutare tanto la concezione romantica della pittura come «letteratura figurata», quanto quella impressionistica della pittura come «tecnica capace di rendere al vivo la sensazione visiva». [12] La pittura deve esprimere «le strutture profonde dell'essere», deve essere «una ricerca ontologica, una sorta di filosofia» [13]

    Anche se la realtà esiste fuori di noi, essa può essere conosciuta solo in quanto è percepita dalla nostra coscienza; egualmente, noi possiamo indagare la struttura della nostra coscienza solo in quanto in essa sono presenti immagini reali: struttura del reale e struttura della coscienza coincidono. La percezione, una volta portata al livello della coscienza, non è più semplice, non è costituita soltanto da una quantità di luce colorata, ma si struttura in una immagine formata da dati sensibili complessi di luce, di colore, di massa, di volume, di spazio. Il problema è di non sopraffare la sensazione con sovrastrutture intellettualistiche: il pensiero deve far propria la sensazione fondendosi con essa e mantenendo, per quanto possibile, l’identità fra la struttura della coscienza e la struttura oggettiva. La pittura è l’oggettivazione nella tela dei reali dati sensibili strutturati nella coscienza.



    Ultimi anni [modifica]
    Cezanne passò gli ultimi anni in un quasi totale e volontario isolamento. Dopo aver partecipato alla Terza Mostra Impressionista, l'artista cominciò a rinchiudersi in se stesso, alla ricerca di sempre nuove sperimentazioni formali. Altra causa fu il suo carattere chiuso con tendenze paranoiche, che mal s'adattava alla presenza degli amici che lo circondavano: celebri in questo senso furono le "sfuriate" con Manet ("non le stringo la mano, signor Manet, perché sono due settimane che non la lavo"), e con Zola di cui non gradiva la cerchia. Proprio con quest'ultimo, amico fraterno dall'infanzia, arrivò ad un punto di rottura, soprattutto dopo che, nel 1886, l'amico pubblicò il romanzo L'oeuvre, nel cui protagonista, Claude Lantier - pittore fallito che si suicida davanti ad un quadro che non riesce a terminare - lo stesso Cezanne si sarebbe identificato. Da allora i due amici di un tempo non si videro più.

    Con la moglie e il figlio a Parigi, Cezanne visse solitario ad Aix en Provence, dividendosi tra la casa in città e l'atelier in località Chemin des Lauves, ritirandosi a dipingere tele di grande formato, rappresentanti principalmente le Bagnanti o la Montagna Sainte Victoire, e le cui ricerche formali anticipano nettamente il cubismo. Unico ad occuparsi di lui fu il grande mercante d'arte Ambroise Vollard, che stipulò con lui un contratto nel 1895 e di cui fu il primo -dopo 18 anni- ad esporre opere e ad organizzare una mostra nella propria galleria.

    Nell'ottobre 1906, mentre dipingeva en plein air, Cezanne venne sorpreso da un temporale. Riportato a casa da un contadino su un carretto scoperto, semincosciente e in preda a violenta polmonite, morì pochi giorni dopo senza aver potuto riprendere i pennelli in mano. Hortense e Paul giunsero ad Aix quando lui era già morto.
    Nel febbraio del 1907, al Salon d'Automne, gli fu dedicata una imponente retrospettiva commemorativa, che sconvolse un'intera generazione di nuovi artisti (tra cui Picasso e Modigliani), pose le basi del cubismo ed aprì le strade alle avanguardie artistiche del '900.
















    Edited by tappi - 12/2/2011, 21:44
     
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    “La luce è una cosa che non può essere riprodotta ma deve essere rappresentata attraverso un’altra cosa, attraverso il colore. Sono stato contento di me, quando ho scoperto questo.”

    Queste parole di Paul Cézanne ci fanno capire con quale spirito si accingeva a riprodurre la realtà che lo circondava. La luce nelle sue opere appare, è la protagonista, e lo porta a decostruire un’immagine fino a trasformarla in un mosaico che si ricompone come per magia davanti agli occhi di chi lo osserva. Il risultato è una visione disincantata della realtà e, tuttavia, non meno romantica o affascinante, fatta talora di toni cupi e profondi, talora di colori pastello e brillanti. I contorni non sono netti e squadrati ma morbidi e dolci come solo quelli che rapide pennellate sanno descrivere, i contrasti talvolta tenui talvolta decisi come nelle nature morte o nei paesaggi provenzali, temi tanto cari al maestro da divenire parte integrante della sua opera.


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    La SCATOLA NERA di CEZANNE


    Ritratto di Ambroise Vollard, 1899 © service presse Rmn-Grand Palais /Agence Bulloz

    Ogni europeo vissuto nel XX secolo e appassionato di pittura è dovuto venire a patti con il successo, il mistero, il fallimento o il trionfo dell’opera realizzata da Paul Cézanne nel corso della vita. Cézanne è morto sei anni dopo l’inizio del secolo, a sessantasette anni. È stato un profeta, benché, comemolti altri profeti, non se lo fosse proposto.

    Partiamo dal nero che si trova in molte delle sue prime opere, quando aveva tra i venti e i trent’anni. È un nero come non ce ne sono altri nella storia della pittura. Ha una tale presenza, una tale sostanza. Vi predomina qualcosa di simile all’oscurità degli ultimi lavori di Rembrandt, ma questo nero è infinitamente più tangibile. Somiglia al nero di una scatola che contiene virtualmente tutto quel che esiste nel mondo solido.



    Quai Bercy a Halle aux vins, 1872 - © Portland Art Museum, Oregon. Museum Purchase : Private Donors' Fund

    All’incirca dieci anni dopo, Cézanne comincia a estrarre i colori dalla scatola nera: non colori primari, dato che sono astrazioni, bensì colori sostanziosi, complessi, e cerca di trovare loro una sistemazione in quel che osserva con tanta intensità: un tetto o una mela per il rosso, un corpo per un color pelle, un particolare punto del cielo fra le nuvole per un azzurro. I colori che tira fuori assomigliano a campioni di tessuto salvo che, invece di esser fatti di filo o cotone, sono prodotti dalle tracce che un pennello o una spatola lascia dietro di sé nella vernice a olio.

    Poi, negli ultimi vent’anni di vita, comincia a applicare quei tamponi di colore sulle tele, non nei punti in cui corrispondono alla tinta locale di un oggetto, ma dove, in sé, possono indicare ai nostri occhi la traiettoria lungo la quale arretrare o avanzare attraverso lo spazio. Nello stesso tempo le zone della tela bianca che lascia inalterate si fanno sempre più numerose. Questi varchi intatti, però, non sono muti; rappresentano il vuoto, l’apertura cava da cui emerge il sostanziale, con tutto lo spazio che lo circonda.


    Porcellane, tazza e frutti sur una nappa bianca, 1877 ca © The Metropolitan Museum of Art, Dist. Service presse Rmn-Grand Palais/ Malcom Varon

    Le ultime, profetiche opere di Cézanne parlano di creazioni: della creazione del mondo o, se volete, dell’universo. Ora sono tentato di chiamare in modo diverso la scatola nera che considero il suo punto di partenza, di definirla un buco nero. Ma sarebbe un’astuzia verbale e, di conseguenza, troppo facile. Mentre quel che faceva Cézanne era ostinato, persistente, difficile.

    Sono convinto che durante il suo itinerario di pittore, lo stato d’animo di Cézanne sia mutato dal punto di vista escatologico. L’enigma del sostanziale lo ossessionò fin dall’inizio. Perché le cose sono solide? Perché tutto — inclusi noi in quanto esseri umani—è fatto di materia? Nei suoi primissimi lavori tese a ridurre il sostanziale al corporeo, così evidente nel corpo umano in cui siamo costretti a vivere. E guardando il corpo umano era profondamente consapevole della cieca brama del desiderio e di un’inclinazione alla violenza gratuita. Da cui la scelta ripetuta di soggetti come Assassinio e Tentazione. Forse era meglio che la scatola nera fosse tenuta chiusa.



    "Les Joueurs de carte" Olio su tela cm. 47x57, Museo d'Orsay, Parigi.


    In modo graduale, tuttavia, cominciò a espandere o a estendere l’idea o il senso della corporeità in modo che potesse includere cose cui di solito non attribuiamo un corpo. È particolarmente evidente nelle sue nature morte. Le mele dipinte da Cézanne hanno l’autonomia di corpi. Ogni mela è padrona di sé. Ogni mela è stata tenuta nella sua mano e riconosciuta come unica. Le sue scodelle di porcellana vuote aspettano di essere riempite. Il loro vuoto è colmo d’attesa. Il suo bricco di latte è incontestabile. Il tavolo su cui dispone le cose che vuole unire e dipingere diventa un’agorà ateniese, dove si discute di tangibilità nella lingua dell’articolazione spaziale. Difficile da afferrare: era un profeta.

    Nella terza e ultima fase della sua opera, secondo il mio diagramma, Cézanne spinse ancora più in là l’idea di corporeità e scoprì una complementarietà tra l’equilibrio dell’anatomia di un corpo e l’inevitabilità geologica e naturale di un paesaggio. Un adolescente (probabilmente suo figlio) è disteso sull’erba presso l’argine di un fiume da qualche parte non lontano da Parigi, ed è visibilmente toccato dall’aria che lo circonda così come il monte Sainte-Victoire in Provenza è toccato dalla luce del sole e dal vento di una particolare giornata. Le incavature di certe rocce nella foresta di Fontainebleau hanno l’intimità di ascelle. Le sue tarde Baigneuses formano catene che ricordano le montagne. La cava abbandonata di Bibémus somiglia a un ritratto. Quale segreto c’è dietro? La convinzione da parte di Cézanne che ciò che avvertiamo come visibile non è un dato, ma una costruzione di cui la natura e noi stessi siamo artefici. «Il paesaggio— diceva—si pensa in me e io sono la sua coscienza». Diceva anche: «Il colore è il luogo in cui il nostro cervello e l’universo si incontrano».

    Ecco come ha disfatto la sua scatola nera.

    John Berger
    (Traduzione di Maria Nadotti)

     
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