MITOLOGIA NATIVI D'AMERICA

miti e leggende

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  1. gheagabry
     
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    La leggenda dei Guerrieri Arcobaleno



    “Ci sarà un giorno in cui gli uccelli cadranno dal cielo, gli animali che popolano i boschi moriranno, il mare diventerà nero e i fiumi scorreranno avvelenati. Quel giorno, uomini di ogni razza si uniranno come guerrieri dell’arcobaleno per lottare contro la distruzione della Terra”
    (leggenda degli indiani nordamericani Kwakiutl)



    Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto,
    l’ultimo fiume avvelenato,
    l’ultimo pesce pescato,
    vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
    La nostra terra vale più del vostro denaro.
    E durerà per sempre.
    Non verrà distrutta neppure dalle fiamme del fuoco.
    Finchè il sole splenderà e l’acqua scorrerà,
    darà vita a uomini e animali.
    Non si può vendere la vita degli uomini e degli animali;
    è stato il Grande Spirito a porre qui la terra
    e non possiamo venderla
    perchè non ci appartiene.
    Potete contare il vostro denaro
    e potete bruciarlo nel tempo in cui un bisonte piega la testa,
    ma soltanto il Grande Spirito sa contare i granelli di sabbia
    e i fili d’erba della nostra terra.
    Come dono per voi vi diamo tutto quello che abbiamo
    e che potete portare con voi,
    ma la terra mai.

    Piede di Corvo, Tribù dei Piedineri

     
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  2. gheagabry
     
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    Un vaso pieno di buio



    Molto tempo fa il Sole stava sempre nel cielo. La Notte non esisteva: i Pellirosse dormivano nelle loro tende, ma fuori era sempre giorno. Una vecchia teneva la Notte chiusa in alcuni vasi e non faceva avvicinare nessuno. Mokwanì, un giovane della tribù che correva straordinariamente veloce, tentò di prendere la Notte alla vecchia. Andò dalla vecchia e, chiamandola nonnina, le chiese di poter avere la Notte. La vecchia trovò Mokwanì gentile, gli mostrò i vasi e gli disse di sceglierne uno. Il ragazzo scelse il più grande, lo apri e ne uscì la Notte con i gufi e i pipistrelli. Poi corse al villaggio portando con sé il vaso da cui usciva ancora il buio. Da allora l’oscurità del vaso basta per tutte le notti del mondo.
    j. Bierhorst, Miti Pellirosse, TEA






    Il Mago della Terra
    Mito dei pellerossa dell'Arizona



    In origine non esisteva nulla: regnava l’oscurità che col tempo era diventata una massa enorme.Da qui uscì il Mago della Terra, spirito leggero che volteggiava nell’aria come un fiocco di cotone.

    Per fissare la sua dimora il Mago preparò un impasto con quel po’ di polvere che aveva e fece una pagnottella di terra. C’era finalmente un primo pezzo di terreno. Il Mago vi fece crescere un cespuglio; sui rami si vedevano passeggiare strani insetti neri che producevano senza sosta una gomma nera.
    Una termite raccoglieva le gocce di gomma e via via dava loro la forma. Così il mondo cresceva ad era meraviglioso. Il Mago pensò di dare al mondo una copertura circolare e fece il Cielo. La Terra era ancora fragile e instabile: continuava a capovolgersi.

    Il Mago allora ordinò al ragno di filare una tela per legare i bordi alla terra e al Cielo. Poi creò tutto ciò che doveva esistere: le acque, le montagne,ogni genere di pianta. Gettò nel Cielo un blocco di ghiaccio e fece il Sole: con un pezzo più piccolo costruì la Luna e con i frammenti le Stelle. Infine con il suo bastone tracciò nel Cielo la via Lattea.

    Ora la Terra era pronta per essere abitata e il Mago vi pose ogni specie di animali; infine con della creta plasmò gli uomini. A quel tempo gli uomini non conoscevano la morte, continuavano a vivere e a riprodursi; aumentavano continuamente e soffrivano per la mancanza di cibo e di spazio.

    Il Mago della Terra decise allora di cancellare tutto ciò che aveva creato: fece precipitare il Cielo sulla Terra e schiacciò ogni forma di vita. Poi iniziò a ricreare tutte le cose: il Cielo, le Stelle, gli esseri viventi e gli uomini. Ma questa volta stabilì che gli uomini non potessero vivere per sempre. Pose un termine alla loro vita in modo che la Terra non rischiasse di sovraffollarsi




    La donna Buffalo Bianco


    E’la figura dominante delle leggende degli indiani Sioux


    Questo mito Lakota narra di due uomini che stavano facendo una battuta di caccia, quando notarono una bella giovane che si avvicinava a loro. Era vestita con una pelle di bufalo bianca e portava un fagotto sulle spalle.
    Uno dei due uomini concepì cattive intenzioni nei suoi confronti, ma nel momento in cui si avvicinò a lei, fu avvolto improvvisamente da una nebbia bianca. Quando la nebbia si diradò, dell’uomo non rimaneva che lo scheletro. La donna si girò verso l’altro uomo e gli disse di andare a casa e preparargli una grande abitazione. L’uomo ritornò a casa e fece esattamente quello che la donna gli aveva detto.

    Quando questa arrivò al villaggio, aveva già portato a termine il suo incarico. Ella allora disse alla gente del villaggio che era venuta dal Cielo e che si trovava sulla Terra per insegnare loro come vivere e quale sarebbe stato il loro futuro. Diede alla gente il mais, insegnò loro l’uso della pipa e le sette sacre cerimonie. Inoltre, diede loro i colori del quattro venti, ossia le direzioni.

    Quando ebbe terminato, si trasformò in un bisontino bianco, poi cambiò il suo colore in nero, poi in rosso e infine in giallo, il colore delle quattro direzioni. Dopo di che scomparve.

    Il buffalo albino era sacro tra le tribù delle praterie, una pelle di questo animale era un talismano, un bene personale che non aveva prezzo.

    Fonte: R.Erdoes & A. Ortiz. American Indian mythis and legends.
     
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    Ogni popolo ha le sue tradizioni e spesso anche il suo oroscopo. Oggi parliamo di quello indiano, ovvero degli indiani d’America anche chiamati Pellerossa. Alla base di questa filosofia non c’è il cielo, ma la terra con tutti suoi animali e le sue stagioni. Ovviamente le stagioni climatiche di riferimento sono quelle del Nord America, la zona abitata dai pellerossa. La prima Luna d’inverno corrisponde all’inizio dell’anno astrologico indiano, ed è rappresentato dall’Oca Polare. Ognuna delle 12 lune è guidata dal suo animale protettore, quindi anche in questo caso troviamo 12 segni zodiacali, molto diversi tra loro. Vediamoli insieme.



    Le stagioni sono: il tempo di Wabun corrisponde alla primavera: il Grande Spirito si avvicina e la natura si risveglia. Il tempo di Shawnodese corrisponde alla nostra estate durante cui viene lo Spirito del Sud protettore del Coyote, simbolicamente riferito alla conoscenza. Il tempo di Mudjekewis è il nostro autunno, quello dello spirito occidentale protettore dell’orso Grizzly, infine, il tempo di Waboose, il corrispondente dell’inverno.

    L’Oca Bianca inizia il 22 dicembre e finisce il 19 gennaio, è ambiziosa e idealista
    La Lontra va dal 20 gennaio fino al 18 febbraio ed è caratterizzata da positività, inventiva, creatività, individualismo.

    Il Puma sta tra il 19 febbraio e il 20 marzo, è leale e romantico
    Il Falco Rosso va dal 21 marzo fino al 19 di aprile e rappresenta passionalità, istintività, indipendenza.
    Il Castoro è dal 20 aprile fino al 20 di maggio è il segno della laboriosità, tenacia, creatività, gelosia.
    Il Cervo è dal 21 maggio al 20 di giugno rappresenta la simpatia, intuitività e intelligenza.

    Il Picchio va dal 21 giugno al 22 di luglio ed è sensibile e altruista.
    Lo Storione che va dal 23 luglio al 22 di agosto e è il simbolo del coraggio e della determinazione.
    L’orso si attesta dal 23 di agosto al 22 settembre, è fedele e disponibile.
    Il Corvo va dal 23 settembre al 23 ottobre, è diplomatico ed allegro.
    Il Serpente è dal 24 ottobre al 21 novembre, è curioso e ostinato.
    L’Alce va dal 22 novembre al 21 dicembre., è tenace e onesta.
     
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  5. gheagabry
     
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    LA CREAZIONE DELL'UOMO




    Leggenda dei Nativi Americani

    In una notte scura e stellata, un gruppo di Pellerossa stava accovacciato intorno ad un falò. Improvvisamente il guerriero più anziano si alzò in piedi. Il suo volto era vecchio e bruno come la terra e portava sulle spalle una coperta dai vivaci colori. Cominciò a narrare la storia dell’inizio del mondo…


    Quando Coyote, il cane del deserto, teminò di creare il mondo, prese il vento, che era fatto a forma di conchiglia, e rovesciandolo, formò il cielo. Dispensò vivaci colori ai cinque angoli del mondo e un arcobaleno si alzò nel cielo a dividere la notte dal giorno.

    Poi si accucciò, ululò e il sole e la luna cominciarono a muoversi nel cielo.
    Coyote riempì le pianure di alberi e di stagni e di montagne e di fiumi e fece tutti gli animali.
    “Per ultimo e come cosa migliore farò l’Uomo” mormorò a mezza voce.

    Gli animali lo udirono e vollero aiutarlo. Così si sedettero tutti in circolo nella foresta; Coyote, l’Orso Grigio, il Leone, l’Orso Biondo, il Cervo, la Pecora, il Castoro, il Gufo e il Topo.

    “Puoi fare Uomo della forma che più ti piace” disse il Leone, “ma io credo che dovrebbe avere denti aguzzi per masticare la carne e anche delle lunghe zampe.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sì, come le mie”, rispose Leone. “Avrà bisogno anche di una pelliccia e di una voce forte e potente.” “Come la tua?” chiede di nuovo Coyote. “Come la mia”, rispose Leone.

    “Nessuno vuole una voce come la tua” interruppe Orso Grigio. “Tu fai scappare tutti. Uomo deve poter camminare sulle zampe di dietro, deve poter afferrare gli oggetti con quelle davanti e stringerli fino a schiacciarli.” “Come fai tu?” chiese Coyote. “Beh, sì, come faccio io.” Replicò Orso Grigio.

    Cervo tremò nervosamente e gettando timide occhiate al di sopra della spalla disse: “Cos’è tutto questo parlare di divorare carne e di distruggere le cose? Non è bello. Uomo deve poter sentire quando è in pericolo e scappar via velocemente. Dovrebbe avere orecchie come conchiglie marine per poter sentire ogni più piccolo suono, e occhi come la Luna, che vede tutto; e naturalmente corna ramificate; avrà assoluto bisogno di corna.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sì, come le mie” rispose Cervo.

    “Come le tue?” schernì Pecora.”Ma a che servono le corna ramificate? Aggeggi appuntiti che si impigliano in tutti i rami e cespugli! Come farebbe a dare cornate? Ma se invece avesse due cornini ai lati della testa….” “Come i tuoi?” chiese Coyote. Pecora, offesa, tirò su col naso. Non le piaceva essere interrotta. Allora saltò su Castoro e disse: “Vi state dimenticando della cosa più importante: la coda di Uomo. Code lunghe e sottili possono andare bene per scacciare le mosche, credo. Ma Uomo deve avere una coda larga e piatta. Come farebbe a costruire dighe nel fiume?” “Come le tue?” chiese Coyote. “Nessuno sa fare dighe come le mie” disse Castoro con superbia.

    “Sentite me” squittì Topo. “L’Uomo che volete fare è troppo grande. Fareste meglio a farlo piccolo.”

    “Tutti matti siete!” gridò Gufo. “E le ali? Non ci avete pensato alle ali? Se volete che Uomo sia il migliore degli animali, deve poter volare. Deve avere le ali!” “Come le tue?” chiese Coyote. « Ma è tutto quello che sai dire ? » si lamentò Gufo. “Non hai idee tue?”

    Coyote balzò in piedi e avanzò al centro del cerchio. “Stupidi animali. Non so proprio a cosa stessi pensando quando vi ho fatto. Volete tutti che Uomo sia esattamente come voi!”

    “Immagino che invece vorresti che fosse come te, vero Coyote?” ringhiò Orso Biondo.
    “E come faremmo allora a distinguerci?” replicò Coyote. “Tutti potrebbero indicarmi e dire: “Ecco Uomo.” E poi indicherebbero Uomo e direbbero: “Ecco Coyote! No, no, no, Uomo deve essere differente.”

    “Ma con le ali!” gridò Gufo.
    “E corna ramificate!” bramì Cervo.
    “E dei bei cornini!” belò Pecora.
    “E deve avere una vociona!” tuonò Orso Grigio.
    “E deve essere piccino!” squittì Topo.
    “E non senza coda!” aggiunse Castoro.

    Ma nessuno lo udì. Tutti erano troppo occupati a litigare. Mordendo e caricando, gli animali lottarono nella foresta mentre Coyote stava a guardare scuotendo la testa.

    Peli e piume, unghie e pezzi di corna volavano tutt’intorno. Coyote li raccattò, li mise di nuovo insieme e creò altri animali ancora, come Cammello e Giraffa.

    Presto tutti gli animali giacquero in un ammasso confuso, troppo stanchi per continuare a combattere.
    “Mi pare che ora riuscirò a trovare la risposta”, disse infine Coyote.
    Gli animali lo guardarono di sottecchi e alcuni gli ringhiarono contro.

    Ma Coyote parlò ugualmente.
    “Orso aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe camminare sulle gambe di dietro. Così potrà salire sugli alberi. E Cervo era nel giusto dicendo che dovrebbe avere udito fine e vista acuta. Ma se Uomo avesse ali, cozzerebbe la testa contro il Cielo. L’unica parte simile ad un uccello di cui ha bisogno sono le lunghe estremità dell’Aquila. Credo che le chiamerò dita. E Leone aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe avere la voce forte. Ma ha anche bisogno di una vocina per non spaventare troppo. Uomo dovrebbe essere liscio come Pesce, che non ha peli che gli facciano caldo. Ma la cosa più importante di tutte, disse Coyote infine, è che Uomo deve essere più intelligente e furbo di tutti voi!”
    “Come te”, borbottarono tutti gli animali. “Beh, sì, grazie”, rispose Coyote, “Come me.”

    Ci fu un gran rimescolìo fra gli animali, ringhi irati e sibili e poi tutti insieme gridarono. “Siediti Coyote! Le tue stupide idee non ci piacciono!” “Bene”, disse Coyote pazientemente. “Facciamo una gara.
    Ognuno di noi farà un modello di Uomo col fango. Domani esamineremo tutti i modelli e decideremo qual’è il migliore.”

    Tutti gli animali corsero via a cercare dell’acqua per fare il fango. Gufo fece un modello con le ali. Cervo ne fece un altro con lunghe corna e grandi occhi. Il modello di Castoro aveva la coda larga e piatta. Topo fece un modello piccolino.
    Ma Coyote fece l’Uomo.

    Il sole tramontò prima che essi riuscissero a finire i loro modelli. Così si accoccolarono nel folto della foresta per dormire.
    Tutti eccetto Coyote.

    Egli prese l’acqua dal fiume e la versò su tutti gli altri modelli. La coda di fango di Castoro venne spazzata via. Le corna di fango di Cervo vennero spazzate via. Le ali di fango di Gufo vennero spazzate via.

    Coyote soffiò la vita nel naso del suo modello di Uomo fatto di fango e quando gli altri animali si svegliarono, trovarono un nuovo animale nella foresta.
    Il suo nome era Uomo.”


    Dopo aver pronunciato queste parole, il vecchio guerriero si sedette, avvolgendo la coperta intorno a sé.
    Mentre il fulgore del fuoco si spegneva, sedette, silenzioso come la terra stessa, fissando l’oscurità.

    E in lontananza risuonava il grido del coyote.

     
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  6. gheagabry
     
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    Non mi interessa cosa fai per vivere. Voglio sapere quello che desideri ardentemente e se osi sognare quello che il tuo cuore brama… Non mi interessa quanti anni hai, voglio sapere se ti renderesti ridicolo per amore, per i tuoi sogni, per l’avventura di esistere. Non mi interessa quanti pianeti quadrano la tua luna, voglio sapere se hai toccato il centro della tua sofferenza, se i tradimenti della vita ti hanno aperto o se ti hanno accartocciato e chiuso per paura di altro dolore…. Voglio sapere se puoi stare col dolore mio o tuo, senza muoverti per nasconderlo, logorarlo o ripararlo…. Voglio sapere se puoi stare con la gioia, mia o tua, se puoi danzare selvaggiamente e lasciare che l’estasi ti riempia fino alla punta delle dita di mani e piedi senza avvertirci di stare attenti, di essere realistici o di ricordarci i limiti dell’essere umani… Voglio sapere se puoi vedere la bellezza anche se non è bello ogni giorno, e se puoi scaturire la tua vita dalla presenza di Dio. Voglio sapere se puoi vivere col fallimento, il tuo ed il mio e sapere stare ancora sulla riva di un lago e gridare alla luna argentea “si!” Non mi interessa dove vivi o quanti soldi hai, voglio sapere se riesci ad alzarti dopo una notte di dolore e disperazione consumata fino all’osso e fare ciò che deve essere fatto per i bambini, non mi interessa sapere chi sei o come sei giunto qui. Voglio sapere se staresti al centro del fuoco con me senza indietreggiare… Non mi interessa sapere dove o cosa o con chi hai studiato. Voglio sapere se puoi stare solo con te stesso, e se veramente ami la compagnia che tieni a te stesso nei momenti vuoti….

    Orian Mountain Dreamer Capo degli Oglala Sioux ( Nativi Americani )




    «Eravamo un popolo senza leggi, ma eravamo in ottimi rapporti con il grande spirito, Creatore e Signore del tutto. Ci giudicavate dei selvaggi. Non capivate le nostre preghiere; né cercavate di capirle. Quando cantiamo le nostre lodi al Sole, alla Luna o al vento ci trattate da idolatri. Senza capire ci avete condannati come anime perse solo perché la nostra religione è diversa dalla vostra. »
    (Capo indiano del XIX secolo)


     
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  7. gheagabry
     
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    IL CIELO NELLA LA RELIGIONE E NELLA MITOLOGIA


    Il principale rapporto tra il cielo, con i suoi moti apparenti, e la religione consiste nel già citato legame esistente tra le feste religiose stagionali ed il movimento del Sole nella volta celeste, la cui osservazione sistematica rendeva gli sciamani in grado di determinare con esattezza i tempi opportuni per lo svolgimento delle stesse. Ne è prova la grande quantità di antichi osservatori solari trovati. Tutto ciò contribuisce a rendere il Sole una delle divinità principali anche presso la civiltà degli indiani d’America come in tutte le culture legate a tradizioni antichissime; nella mitologia religiosa indiana il Sole diventa il dispensatore di luce e di vita, ma anche Colui che può distruggerla. Per i Natchez (che popolavano il basso Mississippi) era la divinità suprema e costituiva il simbolo della massima autorità politica e sacerdotale del popolo nonché della casta dominante. Tra i popoli delle pianure della regione centrale degli odierni Stati Uniti d’America, ad esso è dedicata la cerimonia votiva più importante di tutto il rituale indiano: la “Danza del Sole”, comune a tutte le famiglie indiane delle pianure (Sioux, Pawnee, Crow...), che in molti casi prevedeva il terribile rituale dell’hock swinging (descritto dettagliatamente dal pittore-giornalista americano R. Catlin che fu il primo bianco autorizzato ad assistervi, e immortalato nel film “Un uomo chiamato cavallo”). In esso, tra l’altro, colui che formulava il voto, dopo quattro giorni di digiuno assoluto, e dopo lunghi e complessi preparativi, si autolesionava facendosi conficcare nella pelle del petto dei cavicchi appuntiti e dello spessore di un dito, veniva poi agganciato alla sommità di un alto palo centrale tramite delle corde, sollevato da terra e fatto ruotare lentamente fino allo sfinimento per il dolore, sopportato stoicamente per ore invocando il Grande Spirito con lo sguardo rivolto ai feticci collocati alla sommità del palo o direttamente al Sole.

    Nella mitologia il rapporto tra gli indiani e la Natura (e quindi il cielo) si esprime nel modo più vario e ricco di colore e poesia. Gli antropologi suddividono la mitologia indiana in tre diversi temi fondamentali: l’origine del mondo (la cosmogonia), i miti dell’eroe furfante (tra cui quelli che hanno come protagonisti il vecchio uomo-coyote o il corvo, che rivestono la doppia funzione di eroi fondatori e di ladri astuti), i miti sulla natura.

    Vediamo ora alcuni tra miti indiani sulla creazione più curiosi: per i Pueblos, ad esempio, il cielo non ha un ruolo attivo nella nascita del mondo ma esso si forma nelle viscere della terra, per la stessa legge di natura per la quale dai semi ha origine la vita. Ma la vita che si crea nelle caverne sotterranee è un immondo e oscuro miscuglio di tutte le sue forme; il mondo viene liberato dalle tenebre grazie all’intervento dei Gemelli della Guerra, capostipiti della razza umana, i quali risalgono il fusto di un alto albero da loro seminato, portando con sé gli animali sacri: il ragno, il falco, il coyote, la rondine e la locusta e liberano il loro popolo. Giunti in superficie il coyote libera le stelle, il ragno tessendo la sua tela disegna la luna, il falco con il battito delle sue ali dirige le acque verso l’oceano, ed il popolo, ucciso un cervo bianco costruisce il sole con la sua pelle.






    Secondo una leggenda Wasco poi, Coyote, in compagnia di quattro lupi ed un cane, notò che ogni notte essi volgevano lo sguardo verso un punto del cielo buio; per tre notti egli chiese ad uno di loro che cosa vedesse, senza ottenere risposta. Alla fine il lupo più giovane gli indicò un punto nel cielo in cui si trovavano due orsi Grizzly, e Coyote, per raggiungerli lanciò molte frecce nel cielo in modo che la prima si conficcasse nella volta celeste, e le successive si conficcassero in quella precedente in modo da formare una scala su cui tutti potessero salire per poter osservare gli orsi da vicino. Quando i lupi ed il cane furono saliti in cielo e Coyote li vide fermi e assorti, pensò di immortalarne l’immagine nel cielo in modo da formare l’insieme di stelle della “tazza” (il grande carro), in cui il manico è formato da tre lupi dei quali quello centrale tiene il cane vicino a sé (la stella doppia Mizar e Alcor) mentre gli orsi formano il lato della tazza allineato con la stella polare (Dubhe e Merak). Quindi Coyote, divertito, proseguì la disposizione delle stelle nel cielo in varie configurazioni.

    I Pawnee invece affidano al cielo un ruolo di primo piano nella creazione del mondo: per loro la divinità principale è Tirawa, sposato ad Atira, “volta del cielo”. Egli è padre e signore dell’universo e comanda i movimenti degli astri; in tal modo impone il matrimonio tra la stella del mattino con quella della sera, dal quale nasce la donna, e del Sole con la Luna, dal quale nasce l’uomo, al quale poi vengono affidati i “fagotti” dei feticci rituali e le regole dei cerimoniali religiosi. In particolare gli vengono impartite le direttive per la costruzione delle “case” in cui si dovevano svolgere le cerimonie: esse per la tribù Wolf dovevano avere un soffitto a forma di volta (in analogia con la volta celeste) sorretta da 4 colonne che simboleggiavano le 4 stelle più importanti, la stella rossa (forse Antares), la stella gialla (Capella nella costellazione dell’Auriga), la stella bianca (Sirio) e la stella nera (qualcuno pensa si tratti di Vega, che tuttavia non si può definire in alcun modo “nera”, ma l’interpretazione più veritiera, anche alla luce della traduzione letterale delle testimonianze originali, che parla di “grande stella nera sparsa intorno”, afferma che doveva trattarsi di un grosso bolide esploso disgregandosi in uno stillicidio di meteoriti), con un’apertura nel centro collocata esattamente sul fuoco centrale (per fare uscire il fumo) consacrata alle stelle che man mano venivano a trovarsi allo zenith (“i Capi che siedono in Consiglio”).
    L’ingresso era rivolto verso Est, mentre dal lato occidentale si trovava un altare; tale allineamento permetteva alla luce del Sole e della stella del mattino al loro sorgere di illuminare un teschio di bufalo collocato vicino al fuoco. Oltre a ciò la disposizione dei villaggi doveva riprodurre la volta celeste, in modo che ogni villaggio corrispondesse ad una stella del cielo, e fosse ad essa consacrato. Al sorgere di una stella sacra per un certo villaggio, in esso si svolgevano i cerimoniali propiziatori opportuni grazie ai quali l’astro avrebbe assicurato prosperità e fortuna agli abitanti.

    La mitologia Pawnee è complessa e contiene molti riferimenti al cielo; in particolare è oggetto di culto la stella del mattino (il pianeta Venere, nella loro mitologia erroneamente distinto dalla stella della sera) cui è dedicato un rito che prevede il sacrificio di una giovane prigioniera, la quale viene dipinta di rosso e di nero ad indicare il confine tra il giorno e la notte segnato dall’astro e viene trafitta con le frecce che la invieranno verso Stella del Mattino, suo sposo celeste.





    Anche i Pueblos venerano la stella del mattino (che fa parte delle “divinità naturali”, o “kachina”); essa identifica una divinità maschile protettrice dei cacciatori, che viene invocata perché conceda al popolo gli animali cui potersi nutrire (nella mitologia spiega al cacciatore mitologico Giovane Freccia il motivo che non riesce più a uccidere cervi perché una strega malvagia ha rapito e ucciso la sorella Donna Gialla, divinità della Luna).

    Vi sono poi tanti motivi par cui anche la Luna sia oggetto di osservazione e di culto; il fatto che la luna piena illumini la terra al punto da consentire la caccia anche nelle ore notturne, la sorprendente corrispondenza tre il ciclo lunare e il ciclo biologico femminile, il fatto che la gestazione prima del parto abbia una durata di nove lunazioni. Tutto ciò determina il fatto che le divinità della Luna siano imparentate o talvolta identificate con divinità protettrici della caccia (Kochinako o “Donna Gialla” dei Pueblos è sorella di Giovane Freccia), ma siano anche spesso divinità femminili o responsabili della creazione della donna (come in un magnifico mito della creazione Sioux così narrato dallo sciamano Leonard Dog Crow:

    «E quindi venne il momento di creare la donna.
    Allora non c’era la Luna; era ancora il periodo della sacre novità. Il Sole convocò ancora tutti i pianeti e le creature sovrannaturali, e quando furono riuniti, il Sole con uno dei suoi vividi lampi, si tolse un occhio. Lo gettò sul vento della sua visione in un certo luogo e divenne la Luna. E su questo nuovo globo, quel pianeta “occhio” creò la donna.
    “Tu sei un pianeta vergine, una fanciulla Luna” le disse “Ti ho toccata e fatta con la mia ombra, voglio che cammini sulla terra”, e quando lei chiese “Come potrò camminare su quella terra?” il Sole creò il potere e la ragione della donna, impiegò il fulmine per costruire un ponte tra la Luna e la Terra e la donna camminò sul fulmine...
    Essa camminò sul lampo, ma essa camminò pure su una vena di sangue che andava dalla terra alla Luna.
    Questa vena era una corda, un cordone ombelicale che andava dentro il suo corpo, e per mezzo di esso lei è sempre collegata con la Luna. Ed a lei furono dati i nove mesi della creazione)».


    Il cielo per i Pawnee è anche l’aldilà; ad esso salgono le anime dei morti; alcune anime di guerrieri o cacciatori morti sono divenute stelle o gruppi di stelle. In particolare le anime dei codardi e dei malati (la codardia è vista come una malattia in quanto come la malattia rappresenta una menomazione per un guerriero), percorrono la Via Lattea, e sorvegliati dalla Stella del Mattino, vengono condotti dalla Stella della Malattia (forse la stessa Antares) verso la Stella del Sud.

    Molte leggende indiane riguardanti la natura hanno come protagonista il cielo non solo presso i Pawnee, ma anche presso molte altre popolazioni: l’identificazione tra stelle ed eroi mitologici ha un suo esempio nella storia del grande capo Lunga Fascia, identificato nella costellazione di Orione, il quale riunito il suo popolo presso le due stelle dei gemelli, dopo averle consultate, lo condusse di vittoria in vittoria lungo la Via Lattea. Dalla sua morte il suo corpo riposa nelle Pleiadi (ammasso aperto nella costellazione del Toro), ed il suo cuore nel Presepe (altro ammasso aperto nella costellazione del Cancro).

    Per gli indiani Chinook (popolo del Nord-Ovest) invece la cintura di Orione (le tre stelle allineate al centro della costellazione) e la spada (gruppo di stelle a semicerchio che seguono Bellatrix, cioè la mano) sono due canoe.



    La stella Arturo, brillante stella arancio localizzabile prolungando l’arco del timone del grande carro, viene identificata con il grande cacciatore Falco Bianco, mentre Alphecca, la stella più luminosa della corona boreale è la sua sposa.

    Gli indiani del New England (Mohicani, Massachusset, Delaware), considerano le tre stelle del timone del Grande Carro tre cacciatori impegnati nella caccia all’orso; la stella centrale, che è doppia (Mizar e Alcor), è vista come il cacciatore che regge la pentola in cui cucinare l’orso. La caccia ha buon esito all’inizio dell’autunno, quando il sangue dell’orso ucciso arrossa le foglie degli alberi.

    Tra i Pueblos del gruppo linguistico Tewa si racconta la storia di Cacciatore di Cervi e di Fanciulla Grano Bianco, due giovani bellissimi che non avevano occhi che l’uno per l’altra e che, cresciuti insieme con il loro amore si sposarono; ma un giorno Fanciulla Grano Bianco si ammalò e in tre giorni morì. Si dice che dopo la morte l’anima vaga sulla terra per quattro giorni e che in essi può apparire in sogno a coloro che può avere offeso per chiedere il loro perdono. Gli abitanti del villaggio per liberare sé stessi e consentire all’anima di accedere al Regno dei Morti, devono accordarle il perdono con una preghiera; ma Cacciatore di Cervi era così disperato che venne meno a questo dovere.
    Un giorno mentre si aggirava intorno al villaggio, notò, vicino ad un cespuglio una piccola fiamma accesa. Si avvicinò ad essa e con grande sorpresa vide davanti ad essa la sua donna; ella lo implorò di lasciarla andare nell’Aldilà, ma lui si rifiutò e anzi volle che lei tornasse con lui a casa. Fanciulla Grano Bianco inizialmente cercò di convincerlo a desistere, in quanto ella ormai era morta, ma alla fine commossa cedette e accettò di tornare da lui. Quando gli abitanti del villaggio la videro si spaventarono e cercarono di dissuaderlo, ma non vi riuscirono.
    A poco a poco, però il bell’aspetto di lei mutò, la pelle divenne grigia e si disseccò, e cominciò ad emanare l’odore delle cose morte ed egli prima cominciò a volgerle le spalle nel letto, poi a vegliare tutta la notte sul tetto della sua capanna, finché un mattino non apparve una creatura imponente, avvolta in una pelle di daino bianco, e armata di arco e frecce che con voce profonda annunciò di essere stato inviato dal regno dei morti a ristabilire l’ordine che i due giovani sposi avevano sovvertito. quindi scagliò una freccia parallela al suolo verso occidente che li trasportò nel cielo nel quale avrebbero continuato ad inseguirsi e cercarsi come avevano fatto in vita (e come oggi fanno Mercurio e Venere, quando appaiono a occidente poco dopo il tramonto). Cacciatore di Cervi divenne una stella molto luminosa (Venere) e Fanciulla Grano Bianco una stella più tenue e tremolante (Mercurio).


    dal web
     
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  8. gheagabry
     
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    " Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,
    il cui respiro dà vita a tutte le cose.
    Ascoltami; io ho bisogno
    della tua forza e della tua saggezza,
    lasciami camminare nella bellezza,
    e fa che i miei occhi sempre guardino
    il rosso e purpureo tramonto.
    Fa che le mie mani rispettino la natura
    in ogni sua forma e che le mie orecchie
    rapidamente ascoltino la tua voce.
    Fa che sia saggio e che possa capire le cose
    che hai pensato per il mio popolo.
    Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a
    tutti quelli che verranno contro di me.
    Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto
    in ogni foglia ed in ogni roccia.
    Aiutami a trovare azioni
    e pensieri puri per
    poter aiutare gli altri.
    Aiutami a trovare la compassione
    senza la opprimente contemplazione di me stesso.
    Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,
    ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.
    Fammi sempre essere pronto a venire da te
    con mani pulite e sguardo alto.
    Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,
    il mio spirito possa venire a te senza vergogna".


    Preghiera per il Grande Spirito
    Tatanka Mani (Bisonte che Cammina)
    (1871 – 1967)

     
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    NONNA RAGNO RUBA IL SOLE



    In principio c’era soltanto oscurita’, e nessuno riusciva a vedere qualcosa. Gli uomini continuavano ad urtarsi l’uno contro l’altro e a brancolare alla cieca. Essi dissero: “Cio’ che occorre a questo mondo e’ la luce”.
    La volpe disse che conosceva certa gente dall’altro lato del mondo che aveva una gran quantita’ di luce, ma che era troppo avida per dividerla con gli altir.
    L’Opossum disse che sarebbe stato felice di rubarne un po’. “Io ho una coda folta” disse, “Posso nascondere la luce dentro tutta quella pelliccia”. Quindi si avvio’ verso l’altro lato del mondo. La’ trovo’ il sole appeso ad un albero che illuminava ogni cosa. Striscio’ su fino al sole, prese un pochino di luce e la stivo’ nella sua coda. Ma la luce era calda e brucio’ tutta la pelliccia. La gente scopri’ il suo furto e si riprese la luce, e per sempre da allora la coda dell’Opossum fu pelata.
    “Lasciatemi tentare”, disse la Poiana. “Io conosco qualcosa di meglio che nascondere un po’di luce rubata nella coda. La mettero’ sulal testa”. Volo’ all’altro lato del mondo e, tuffandosi dritta sul sole, afferro’ il suo raggio. Se lo mise sulla testa, ma quello le brucio’ le piume. La gente le acchiappo’ il sole e per sempre da quel momento la testa della Poiana rimase pelata.
    Allora Nonna Ragno disse: “Lasciatemi tentare!”. Con la creta fece innanzitutto una pentola ben spessa. Poi filo’ una ragnatela fino a raggiungere per tutto il tragitto l’altro lato del mondo. Era cosi’ piccola che nessun individuo tra quella gente noto’ il suo arrivo. Velocemente Nonna Ragno raccolse il sole, lo mise nel vaso di creta e si arrampico’ indietro verso casa lungo un filo della sua ragnatela.
    Ora il suo lato del mondo aveva la luce ed ognuno si rallegrava. Nonna Ragno porto’ ai Cherokee non solo il sole, ma con esso anche il fuoco. Ed oltre a cio’ insegno’ al popolo dei Cherokee l’arte di fare i vasi.
    (leggenda Cherokee)
    J.,Mooney – 1890.
     
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  11. gheagabry
     
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    FARFALLE




    Un giorno il Creatore, mentre seduto se ne stava riposando, osservo’ dei bambini che giocavano in un villaggio. I bambini ridevano e cantavano, ma tuttavia, mentre li guardava, sentiva che il suo cuore era triste. Pensava: “Questi bambini diventeranno adulti, La loro pelle si raggrinzira’, i loro capelli diventeranno grigi ed i loro denti cadranno. Il braccio del giovane cacciatore perdera’ il vigore e queste amorevoli ragazzine diventeranno brutte e grasse. I cuccioli giocherelloni diverranno ciechi cani rognosi e quei meravigliosi fiori –gialli e blu, rossi e purpurei- appassiranno. Le foglie cadranno dagli alberi e seccheranno. E stanno gia’ diventando gialle!”.
    Percio’ il Creatore si sentiva sempre piu’ triste. Era autunno, ed il pensiero dell’inverno che stava arrivando, con il suo freddo e la scarsita’ di selvaggina e di verde, rendeva il suo cuore sempre piu’ triste.
    Tuttavia faceva ancora caldo ed il sole stava splendendo.
    Il Creatore osservo’ il gioco della luce del sole e delle ombre sul terreno mentre le gialle foglie erano sospinte qua e la’ dal vento.
    Vide l’azzurro del cielo e la bianchezza della farina macinate dalle donne; e d’un tratto sorrise. Penso’: “Tutti questi colori dovrebbero essere preservati. Faro’ qualcosa che rallegrera’ il mio cuore, qualcosa che questi bambini guardandola ne gioiranno”.
    Il Creatore tiro’ fuori la sua borsa e comincio’ a raccogliere delle cose: una macchia di luce solare, una manciata di blu nel cielo , la bianchezza della farina, l’ombra dei bambini che giocano, il nero dei capelli corvini di una bella ragazza, il giallo delle foglie cadenti, il verde degli aghi di pino, il rosso, il viola e l’arancio dei fiori che gli erano attorno. Mise tutte quelle cose nella sua borsa e. dopo un ripensamento, vi aggiunse anche il canto degli uccelli.
    Poi ando’ nel luogo erboso dove i bambini stavano giocando e chiamandoli porse loro la borsa: “Bambini, piccoli bambini, questo e’ per voi. Apritela, c’e’ qualcosa di bello dentro”.
    I bambini aprirono la borsa e all’istante centinaia e centinaia di farfalle colorate volarono via, danzando intorno alla testa dei bambini, posandosi sui loro capelli, tornando a battere le ali per sorseggiare il polline da questo o da quel fiore. Ed i bambini incantati dicevano che non avevano mai visto niente di cosi’ bello.
    Le farfalle cominciarono a cantare, ed i bambini ascoltavano sorridendo.
    Ma in quel momento un uccello canterino arrivo’ volando, si poso’ sulla spalla del Creatore e lo rimprovero’ dicendo: “Non e’ giusto che tu dia le nostre canzoni a queste nuove graziose creature. Quando ci hai fatto ci hai detto che ogni uccello avrebbe avuto un suo canto. Ed ora l’hai dato anche a loro, a caso. Non e’ sufficiente che tu abbia dato ai tuoi nuovi balocchi i colori dell’arcobaleno?”
    “Hai ragione”, ammise il Creatore. “Ho creato un canto per ogni ucclelo e non avrei dovuto prendere cio’ che vi appartiene”.
    Cosi’ il Creatore tolse i canti alle farfalle, ed ecco perche’ sono silenziose. “Sono belle anche cosi’” penso’.
    (leggenda dei Papago)
     
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  12. gheagabry
     
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    Oh dei della pioggia,
    dee della pioggia,
    oh giovani dee della pioggia,
    vi chiediamo di aspirare questa santa umidità,
    di tessere con questa sacra nebbia i vostri vestiti.
    Oh dei della pioggia che siete ovunque,
    dei della pioggia che siete rossi, azzurri e gialli,
    e grigi e trasparenti come l’acqua,
    vi chiediamo di essere felici senza lacrime,
    sereni senza tristezza
    e tranquilli senza solitudine.
    Continuate a vivere sopra di noi,
    a fare ciò che avete sempre fatto
    con amore e benevolenza,
    donateci le cose migliori della vita,
    permetteteci di essere amati e benvoluti,
    di ottenere quanto sempre abbiamo desiderato.*





    “I riti della pioggia, presso gli indiani d’america, erano rivolti alle forze che presiedevano alla formazione della pioggia stessa e che si riteneva vivessero negli oceani che circondavano la terra, nelle sorgenti, nei fiumi, nei corsi d’acqua sotterranei, nei cumuli di nuvole e nelle nebbie. Queste cerimonie avevano luogo all’inizio dell’estate, subito dopo il solstizio ed erano dirette da particolari sacerdoti, il cui nome significava: “coloro che per far piovere cantano”. Durante il rito, che non era pubblico, i sacerdoti si disponevano in punti diversi dislocati a nord, a est, a sud, a ovest, in alto, in basso, nel centro e in posizione laterale.”



    (*"Quanto sempre abbiamo desiderato": la richiesta allude alla pioggia, fondamentale per un popolo come i Pueblo, che basavano la loro economia sull’agricoltura.)

    (dal web)
     
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  13. gheagabry
     
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    LE QUATTRO STREGHE



    Un giorno il Distruttore, figlio del Sole, se ne andò per il mondo in cerca di quattro terribili streghe, i cui nomi erano Freddo, Fame, Miseria, Morte.
    La sua intenzione era quella di ucciderle, in quanto era persuaso che solo così gli uomini sarebbero riusciti ad avere un’esistenza un po’ migliore.
    Strada facendo incontrò la prima strega, Freddo, la quale, sebbene indossasse un pesante mantello, tremava in tutte le parti del corpo.
    «Io so chi tu sei,» gli disse la strega. «Tu sei il Distruttore, figlio del Sole.»
    «In persona,» quegli rispose. «Sai anche perché sono qui?»
    «Questo lo ignoro.»
    «Sono venuto per ucciderti.»
    Freddo non mostrò alcun segno di paura, anzi, con molto coraggio, esclamò:
    «Puoi farlo, certo! Ma se mi sopprimi, in ogni luogo della terra ci sarà un caldo insopportabile, a causa del quale soffriranno uomini, piante e animali. Tutto seccherà inesorabilmente, per mancanza di acqua e refrigerio.»
    Il Distruttore rimase un istante pensieroso, le braccia incrociate sul petto.
    «Hai ragione,» disse alla fine. «Se ti uccido, la vita scomparirà in qualsiasi parte del mondo.»
    Quindi, senza aggiungere altro, voltò le spalle e riprese il cammino.
    Non molto tempo dopo, egli incontrò la seconda strega, il cui nome era Fame.
    «Sai chi sono?» le domandò il figlio del Sole.
    «Sicuro! E so anche perché mi hai cercato: per uccidermi.»
    «Infatti!»
    «Che aspetti, dunque?» disse Fame, quasi in tono di sfida. «Ma prima devi sapere che senza di me tutti gli esseri, su questa terra, periranno per troppo nutrimento.»
    Il Distruttore rifletté su quelle parole, mentre distrattamente si accarezzava una guancia. Poi, con debole voce:
    «Hai ragione anche tu!» disse. «Come mai non ci avevo pensato? Non ti ucciderò, sta’ tranquilla.»
    Di nuovo riprese il cammino e, seduta per terra ai margini di un bosco, vide la terza strega, Miseria, che era magra, minuta, vestita di vecchi stracci.
    «Uccidimi pure,» questa disse al figlio del Sole, quando apprese il motivo per cui l’aveva cercata. «In fondo desidero proprio che tu lo faccia. Sono stanca e infelice. Meglio farla finita con questa esistenza di privazioni e di stenti.» Rimase un momento in silenzio, poi, sostenendo lo sguardo del Distruttore, aggiunse: «Ma uccidendo me, gli uomini non avranno più alcuna ragione di lavorare o essere attivi per vivere, e ben presto, possedendo ogni cosa in abbondanza, cadranno nell’apatia, nell’inerzia, nella noia. È questo quello che vuoi?»

    «No di certo!» l’altro rispose.
    Anche questa volta, le parole della strega gli parvero vere e piene di saggezza.
    Non la uccise.
    Continuò a camminare e, finalmente, incontrò Morte, che era molto orribile a vedersi.
    Intuendo il motivo per cui il Distruttore era lì, gli disse:
    «Se tu mi sopprimi, gli uomini non moriranno mai più, ma tra alcuni anni il mondo sarà pieno di troppi popoli, per di più molto vecchi e inadatti a qualunque lavoro.»
    Il figlio del Sole trovò che aveva ragione anche lei.
    La risparmiò e, non appena fece ritorno al luogo da dove era partito, spiegò a tutti come stavano le cose, e cioè come il freddo, la fame, la miseria e la morte fossero indispensabili all’uomo, per avere continuamente stimoli, interesse e desiderio della vita.
    (da una leggenda del popolo Navajo, A cura di Paolo Secondini)




    farwest.it
     
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  14. gheagabry
     
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    La prima donna dispose le stelle
    per aiutare la luna a far luce.
    Ad una ad una le ordinò per bene,
    in forma di animali luccicanti
    appesi alla notte.
    Ma il vecchio Coyote irruppe festoso,
    e sparse le stelle come oggi le vedi.

    (Tratta da: Canti degli Indiani d'America - Chochise)

     
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  15. gheagabry
     
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    L'ARCOBALENO



    Per aiutarti, costruirò un passaggio tra la tua capanna e il pueblo e trasformerò le ragazze e te, affinché gli uccelli non vi riconoscano e vi uccidano a beccate. Così, emerse dalla terra un arco gigantesco formato da strisce di colori brillanti; saliva molto in alto nel cielo e scendeva in lontananza sulla terra. Quando Atsosi Bagani si incamminò su questo ponte, fu trasformato in una farfalla, i cui colori si confondevano con quelli dell’arcobaleno. Gli uccelli non lo notarono e l’uomo farfalla arrivò sul tetto di una grande casa e scese attraverso un’apertura scura; nella penombra, vide le due sorelle occupate a tessere un magnifico tappeto dai colori dell’arcobaleno, i cui motivi ricordavano i fiumi e le montagne. “Guarda, sorellina – disse la maggiore – una farfalla si è posata in cima alla scala”. La sorella minore, molto eccitata, si precipitò verso la scala e un raggio di sole la sfiorò; la maggiore cercò di trattenerla ma entrambe furono attratte dal potere magico dei raggi solari. Sul tetto, la farfalla si trasformò nel giovane uomo. “Il Sole mi ha mandato a cercarvi, sarete mia moglie e mia sorella”.




    Gli uccelli li videro e si precipitarono su di loro con gridi stridenti; ma il Sole vegliava e trasformava i giovani in delicate farfalle, gli uccelli non riuscirono a trovare i fuggitivi. Atsosi Bagani ritornò alla sua capanna e il Sole e la Terra assistettero al matrimonio. Il giovane continuò a cacciare, mentre le due sorelle tessevano meravigliosi tappeti. Nella piccola capanna illuminata dal sole, però, le due ragazze avevano nostalgia della loro vecchia casa buia. Vedendole tristi, il Sole disse loro: “Se lo desiderate tanto, potrete rivedere la vostra cupa dimora; ma adesso gli uccelli sono diventati diffidenti e dovete difendervi”. Così prima di trasformarle in farfalle, diede a ciascuna due grossi chicchi di grandine.
    Quando gli uccelli le attaccarono, la sorella maggiore scagliò contro di loro il primo chicco, che si tramutò in una grossa nube nera che avvolse gli uccelli. Le ragazze-farfalle proseguirono il volo, ma presto gli uccelli le raggiunsero; dovettero lanciare il secondo chicco di grandine, che si trasformò in una pioggia scrosciante, poi il terzo, che si ruppe in migliaia di piccoli chicchi. Ma la grandine finì e gli uccelli ripresero l’inseguimento; il pueblo era in vista, ma le farfalle non erano abbastanza veloci. Dovettero quindi lanciare l’ultimo chicco, che infiammò il cielo di lampi e tuoni.
    Gli uccelli scapparono spaventati e le ragazze furono salve.
    Le sorelle tornarono da Atsosi Bagani, ma ogni volta che sentivano nostalgia visitavano la loro vecchia casa.
    Così, dopo ogni temporale, si forma un arcobaleno tra il pueblo e la capanna del giovane, che riconcilia il mondo delle tenebre con il regno del Sole.



     
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