LUDWIG VAN BEETHOVEN

compositore, pianista

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  1. tomiva57
     
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    Ludwig van Beethoven


    Da Wikipedia




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    « Dal tubare della colomba allo scrosciare della tempesta, dall'impiego sottile dei sagaci artifici al tremendo limite in cui la cultura si perde nel tumultuante caos della natura, egli ovunque è passato, tutto ha sentito. Chi verrà dopo di lui non continuerà, dovrà ricominciare, perché questo precursore ha condotto l'opera sua fino agli estremi confini dell'arte. »

    (Franz Grillparzer, orazione funebre, 29 marzo 1827)


    Ludwig van Beethoven (pronuncia tedesca [ˈluːtvɪç van ˈbeːthoːfn̩]; Bonn, battezzato il 17 dicembre 1770 – Vienna, 26 marzo 1827) è stato un compositore e pianista tedesco. Figura cruciale nella transizione tra il classicismo e la musica romantica, fu l'ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese ed è considerato uno dei più influenti compositori di tutti i tempi.

    Benché abbia avuto una vita segnata dalla sordità, Beethoven ha lasciato una produzione musicale fondamentale nella storia della musica per la sua forza espressiva, capace di evocare una gran mutevolezza di emozioni. Beethoven influenzò così fortemente il linguaggio musicale del successivo romanticismo, che nel XIX secolo e fino agli inizi del XX secolo fu un modello per molti compositori. Crebbe in tal modo il mito del Beethoven artista eroico, capace di trasmettere attraverso la sua opera ogni sua emozione, esperienza personale o sentimento; ciò nondimeno, la sua adesione alle regole dell'armonia nelle modulazioni e il rigetto dei cromatismi nelle melodie lo collocano a metà strada fra Classicismo e Romanticismo.

    Nel vasto catalogo di composizioni beethoveniano, i ruoli di maggior rilievo e importanza sono occupati dalla sua produzione cameristica, dalle opere per pianoforte e dalla sua produzione sinfonica; quest'ultima è forse ancora oggi il simbolo principale della sua universale popolarità.

    La vita

    Le origini e l'infanzia
    « Ludwig van Beethoven è un ragazzo di otto anni dal talento assai promettente. Suona il pianoforte con molta abilità e potenza, legge molto bene a prima vista e suona soprattutto il Clavicembalo ben temperato di Sebastian Bach che il signor Neefe gli ha messo fra le mani [...] Ora gli sta insegnando composizione e per incoraggiarlo gli ha fatto pubblicare a Mannheim nove Variazioni per pianoforte scritte da lui su una Marcia di Ernst Christoph Dressler. Questo giovane genio ha bisogno di essere aiutato a continuare gli studi. »

    (Valutazione dell'allievo Ludwig di Christian Gottlob Neefe, marzo 1783)

    La famiglia di Beethoven, di umile origine, perpetuava una tradizione musicale da almeno due generazioni.

    Il nonno paterno, dal quale prendeva il nome, Ludwig van Beethoven[8] (Malines, 1712 – Bonn, 1773) discendeva da una famiglia fiamminga di contadini ed umili lavoratori, originaria del Brabante. La particella «van» non ha dunque origini nobiliari ed il cognome «Beethoven» deriva con ogni probabilità dalla regione olandese chiamata Betuwe e situata nella Provincia di Gheldria. Uomo rispettabile e buon musicista, si era trasferito a Bonn nel 1732, diventando Kapellmeister del Principe elettore di Colonia e sposando nel 1733 Maria Josepha Pall.

    Il figlio di questi, Johann van Beethoven (1740 – 1792) era musicista e tenore alla corte del principe arcivescovo elettore di Colonia Clemente Augusto di Baviera. Uomo mediocre e brutale, dedito all'alcool, educò i suoi bambini con grande durezza. La madre, Maria Magdalena van Beethoven, nata Keverich (19 dicembre 1746 – 1787) era nativa di Ehrenbreitstein, in Coblenza, ed era la figlia di un cuoco dell'Elettore di Treviri. I suoi antenati, provenivano dalla Mosella, molto probabilmente da Köwerich, da cui ne deriverebbe il cognome. All'età di 17 anni, nel 1762 andò sposa a un servo e cameriere del Principe elettore di Treviri, chiamato Laym, e da lui ebbe un figlio che morì abbastanza presto. A soli 18 anni, nel 1764, rimase vedova. Tre anni più tardi, il 12 novembre 1767, contrasse un secondo matrimonio , questa volta con Johann van Beethoven; il 2 aprile 1769 venne battezzato il loro primo figlio, Ludwig Maria van Beethoven, che morì dopo appena sei giorni. Il 17 dicembre 1770 nella Remigiuskirche (Chiesa di San Remigio) di Bonn venne battezzato il suo terzo figlio, il secondo del loro matrimonio. Nel libro di battesimo fu registrato con il nome di Ludovicus van Beethoven. Non è possibile documentare con certezza la sua esatta data di nascita, che rimane convenzionalmente accettata al 16 dicembre 1770 (all'epoca i bambini venivano solitamente battezzati il giorno dopo la nascita effettiva, ma non esistono prove documentali che ciò sia avvenuto nel caso di Beethoven). La sua casa natale, divenuta oggi il museo Beethoven-Haus, è a Bonn, in Bonngasse 20.
    Franz Gerhard Wegeler (1765-1848), medico e amico d'infanzia di Beethoven. «La signora Breuning aveva il più grande dominio su quel ragazzo spesso stravagante e scontroso» dirà di lui nelle sue memorie.
    L'arciduca Maximilian Franz d'Asburgo (1756-1801), il primo mecenate di Beethoven. Nel 1784, lo descriverà così: «dimostra buone capacità, è ancora giovane, di condotta discretamente buona e povero».

    L'amico d'infanzia Franz Gerhard Wegeler scrisse nelle sue memorie: «Il nostro Ludwig era nato il 17 dicembre 1770». Il nipote Karl nei Quaderni di conversazione del 1823 scrisse: «Oggi è il 15 dicembre, il tuo giorno di nascita, per quanto ne so; solo non posso essere sicuro se fosse il 15 o il 17, perché non ci si può fidare dell'atto di battesimo». Divenuto adulto, Beethoven credeva di essere nato nel 1772; a riguardo affermava che quello battezzato nel 1770 era il fratello più vecchio, Ludwig Maria. Alcuni biografi asseriscono che il padre cercasse di farlo passare di età più giovane di quella reale, per fare di lui un bambino prodigio simile a Mozart; tuttavia questa tesi è stata molto discussa. Si conosce che i suoi familiari e l'insegnante Johann Georg Albrechtsberger celebravano il suo compleanno il 16 dicembre.

    Dal secondo matrimonio, Maria Magdalena avrà altri cinque figli, dei quali soltanto due raggiungeranno l'età adulta e avranno un ruolo importante nella vita di Beethoven: Kaspar Anton Karl (battezzato l'8 aprile 1774 – morto nel 1815) e Nikolaus Johann (battezzato il 2 ottobre 1776 – morto nel 1848). Essa è descritta come una donna di carattere dolce ma con frequenti cadute depressive. Legati alla madre nell'infanzia, i figli in seguito mantennero per lei solo un tiepido affetto.

    Non passò molto tempo prima che Johann van Beethoven individuasse il dono musicale del figlio e tentasse di coltivarne le doti eccezionali per trarne il maggior profitto possibile, soprattutto economico. Pensando a Mozart bambino, esibito dal padre in tournée concertistiche attraverso tutta Europa una quindicina di anni prima, Johann avviò Ludwig allo studio della musica già dal 1775 e notandone fin dall'inizio l'eccezionale predisposizione tentò nel 1778 di presentarlo come virtuoso di pianoforte in un giro di concerti attraverso la Renania, da Bonn a Colonia e nel 1781 nei Paesi Bassi. Tuttavia, il tentativo di trasformare Ludwig in un bambino prodigio non ebbe l'esito sperato dal padre. Johann van Beethoven sembra essere stato capace solo di brutalità e di ostinata autorità: pare che spesso, completamente ubriaco, costringesse Ludwig ad alzarsi da letto a tarda notte, ordinandogli di suonare il pianoforte o il violino per intrattenere i suoi amici. Così come la sua educazione, anche l'istruzione musicale del piccolo Ludwig fu burrascosa: il padre lo affidò inizialmente a tale Tobias Pfeiffer, dimostratosi degno compare nel suo vizio di bere che non valente insegnante musicale per il figlio. Successivamente Ludwig venne seguito dall'organista di corte Aegidius van der Aeden, poi dal violinista Franz Georg Rovantini, cugino della moglie Maria Magdalena, ed in seguito dal francescano Willibald Koch.

    L'amicizia, iniziata sin dai tempi dell'infanzia, con il medico Franz Gerhard Wegeler (1765-1848) gli schiuse le porte della casa della famiglia von Breuning, alla quale rimase legato per tutta la vita. Helene von Breuning era la vedova di un consigliere di corte e cercava un insegnante di pianoforte per i propri figli. Ludwig, definito da Wegeler nelle sue memorie spesso stravagante e scontroso, venne trattato come un componente della famiglia, si trovò perfettamente a proprio agio e si mosse con disinvoltura in questo ambiente intellettuale, fine e cordiale, dove si discuteva di arte e letteratura, e dove la sua personalità ebbe modo di svilupparsi con pienezza. Il giovane Ludwig divenne inoltre allievo del musicista e organista di corte Christian Gottlob Neefe e compose, tra il 1782 e il 1783, le sue prime opere per pianoforte: le Nove Variazioni su una Marcia di Dressler WoO 63, pubblicate a Mannheim e le tre Sonatine dette all'Elettore.

    Il mecenatismo di Waldstein e l'incontro con Haydn

    Lettera di Waldstein a Beethoven, ottobre 1792: «Ricevete dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart»
    « Caro Beethoven, Ella parte finalmente per Vienna per soddisfare un desiderio a lungo vagheggiato. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo pupillo. Presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio, ma non occupazione; e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn. »

    (Lettera del conte Ferdinand von Waldstein a Beethoven, ottobre 1792, citata in CARL DAHLHAUS, Beethoven e il suo tempo)

    Nel 1784 venne nominato nuovo Principe elettore l'arciduca Maximilian Franz d'Asburgo, fratello dell'Imperatore Giuseppe II e Gran Maestro dell'Ordine Teutonico che, dopo aver abolito la tortura e promesso una riforma giudiziaria, si occupò della nomina del nuovo Kapellmeister. Aumentò lo stipendio a Johann van Beethoven, nonostante questi avesse ormai perso quasi completamente la voce, e nominò Ludwig secondo organista di corte con uno stipendio annuo di 150 fiorini. Nel 1789, Ludwig si iscrisse all'Università di Bonn, fondata tre anni prima. Egli venne notato dal conte Ferdinand von Waldstein, che portò Beethoven una prima volta a Vienna nell'aprile 1787; qui, il giovane compositore avrebbe avuto un incontro fugace con Mozart[15]. Ma è nel luglio 1792 che il conte Waldstein presentò Beethoven a Franz Joseph Haydn, il quale, appena reduce da una tournée in Inghilterra, si era stabilito a Bonn. Dopo un concerto tenuto in suo onore, impressionato dalla lettura di una cantata composta da Beethoven (probabilmente quella sulla morte di Giuseppe II WoO 87 o quella sull'arrivo di Leopoldo II) Haydn lo invitò a proseguire gli studi a Vienna sotto la sua direzione. Cosciente di quanto rappresentasse a Vienna l'insegnamento di un musicista della fama di Haydn, Beethoven accettò di proseguire i suoi studi sotto la sua guida. Questa importante decisione fu presa di buon grado, ma non senza qualche perplessità; Beethoven infatti era ora costretto ad allontanarsi dalla famiglia che risiedeva a Bonn in condizioni sempre più precarie. Intanto sua madre era morta di tubercolosi nel luglio 1787, seguita in settembre da quella della sorella di appena un anno e suo padre, devastato dall'alcolismo, era stato messo in pensione nel 1789 ed era incapace di garantire la sussistenza della famiglia; Beethoven di fatto si era assunto il compito di essere a capo della famiglia a tutela dei fratelli Kaspar e Nikolaus. Con il permesso dell'elettore – che gli promise in ogni caso di conservargli il posto da organista e lo stipendio – e raccolti in un album gli auguri degli amici, come quelli della ventenne allieva Leonore Breuning che gli dedicò i versi di Johann Gottfried Herder: «Che l'amicizia con il bene cresca | come si allunga l'ombra della sera | finché sia spento il sole della vita» la mattina del 3 novembre 1792, Beethoven lasciò definitivamente Bonn e le rive del Reno forse ignorando che mai più vi avrebbe fatto ritorno, portando con sé una lettera di Waldstein ormai celebre, nella quale il conte gli profetizzava, un ideale passaggio di consegne tramite Haydn, dell'eredità spirituale di Mozart.
    1792 – 1802: da Vienna a Heiligenstadt [modifica]
    Franz Joseph Haydn (1732-1809) fu l'insegnante di Beethoven dal 1792 al 1794. Malgrado i loro rapporti fossero a volte tesi, i due uomini si confessavano una grande stima reciproca.
    Johann Georg Albrechtsberger (1736-1809) (ritratto di Leopold Kupelwieser) definito ironicamente da Beethoven «espertissimo nell'arte di fabbricare scheletri musicali»

    I primi anni viennesi
    « Avete molto talento e ne acquisirete ancora di più, enormemente di più. Avete un'abbondanza inesauribile d'ispirazione, avete pensieri che nessuno ha ancora avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica, ma sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni: voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime. »

    (Franz Joseph Haydn in una conversazione con Beethoven, circa 1793)

    Alla fine del XVIII secolo, Vienna era la capitale incontrastata della musica occidentale e rappresentava il luogo ideale per un musicista desideroso di fare carriera. Al suo arrivo, a soli ventidue anni, aveva già composto un buon numero di opere minori, ma era ancora lontano dalla sua maturità artistica; questo era il tratto che lo distingueva da Mozart, notoriamente divenuto il simbolo del genio incredibilmente precoce. Benché Beethoven fosse arrivato a Vienna meno di un anno dopo la scomparsa del suo famoso predecessore, il mito del «passaggio di consegne» non poteva attendere ancora a lungo, sebbene Beethoven volesse affermarsi più come pianista virtuoso che come compositore. Quanto all'insegnamento di Haydn, per quanto prezioso e prestigioso, risultava procedere non senza qualche diccoltà. Beethoven arrivò a temere che il suo insegnante potesse essere geloso del suo talento e Haydn non tardò ad irritarsi dinanzi all'indisciplina e all'audacia musicale del suo allievo, che forse iniziava a sentire soffocare il suo estro compositivo in quei rigidi metodi di insegnamento a cui era sottoposto. Nonostante una stima reciproca più volte ricordata dagli storici, Haydn non ebbe mai con Beethoven una relazione di profonda amicizia.

    Tuttavia Haydn esercitò un'influenza profonda e duratura sull'opera di Beethoven, che più tardi ebbe modo di riconoscere tutto ciò che doveva al suo insegnante. Dopo una nuova partenza di Haydn per Londra (gennaio 1794), Beethoven proseguì studi sporadici fino all'inizio del 1795 con diversi altri professori fra cui il compositore Johann Schenk e ad altri due prestigiosi protagonisti dell'epoca mozartiana: Johann Georg Albrechtsberger e Antonio Salieri. Il primo, in particolare, organista di corte e Kapellmeister nella cattedrale di Santo Stefano, gli fornirà preziosi insegnamenti sulla costruzione del contrappunto polifonico. Nel suo studio conobbe inoltre un altro allievo, Antonio Casimir Cartellieri con il quale strinse rapporti di amicizia che dureranno fino alla morte di quest'ultimo nel 1807. Terminato il suo apprendistato, Beethoven si stabilì definitivamente a Vienna. Poco dopo il suo arrivo fu raggiunto dalla notizia della morte del padre, avvenuta per cirrosi epatica il 18 dicembre 1792; la fuga improvvisa del Principe elettore di Bonn, conquistata dall'esercito francese, gli fece perdere sia la pensione del padre, che lo stipendio di organista.

    Le lettere di presentazione di Waldstein e il suo talento di pianista lo avevano fatto conoscere e apprezzare alle personalità dell'aristocrazia viennese, appassionata di opera lirica, i cui nomi restano ancora oggi citati nelle dediche di molte sue opere: il funzionario di corte, barone Nikolaus Zmeskall, il principe Carl Lichnowsky, la contessa Maria Wilhelmina Thun, il conte Andrei Razumovsky, il principe Joseph Franz von Lobkovitz, e più tardi l'arciduca Rodolfo Giovanni d'Asburgo-Lorena, soltanto per citarne alcuni. Dopo aver pubblicato i suoi primi tre Trii per piano, violino e violoncello sotto il numero di opus 1, e quindi le sue prime Sonate per pianoforte, Beethoven diede il suo primo concerto pubblico il 29 marzo 1795 per la creazione del suo Concerto per pianoforte e orchestra n. 2, che sebbene numerato come concerto n° 2 fu in realtà composto negli anni di Bonn, precedentemente al Concerto per pianoforte e orchestra n. 1.

    Il primo virtuoso di Vienna

    Beethoven verso il 1800. Il suo talento di improvvisazione musicale e i suoi virtuosismi al piano lo rivelarono al pubblico viennese.
    « Lo stupefacente modo di suonare di Beethoven, così notevole per gli arditi sviluppi della sua improvvisazione, mi toccò il cuore in modo insolito: mi sentii così profondamente umiliato nel mio più intimo essere da non poter più toccare il pianoforte per diversi giorni [...] Certo, ammirai il suo stile vigoroso e brillante, ma i suoi frequenti e arditi salti da un tema all'altro non mi convinsero affatto; distruggevano l'unità organica e lo sviluppo graduale delle idee [...] la stranezza e l'ineguaglianza sembravano essere per lui lo scopo principale della composizione. »

    (Testimonianza del compositore boemo Johann Wenzel Tomásek in un concerto di Beethoven del 1797)

    Nel 1796 Beethoven intraprese un giro di concerti che lo condusse da Vienna a Berlino passando in particolare per Dresda, Lipsia, Norimberga e Praga. Se il pubblico lodò incondizionatamente il suo virtuosismo e la sua ispirazione al pianoforte, l'entusiasmo popolare gli valse lo scetticismo dei critici più conservatori, perlopiù rimasti seguaci di Mozart, tra i quali si segnalano quelli intransigenti come l'abate Maximilian Stadler, che definisce le sue opere «assolute assurdità» e quelli più ponderati come Giuseppe Carpani, che dimostrano quanto Beethoven già in queste prime prove si fosse allontanato dal modello tradizionale della forma sonata.

    Beethoven si immerge nella lettura dei classici greci, di Shakespeare e dei fondatori dello Sturm und Drang: Goethe e Schiller. Questi studi influenzarono notevolmente il suo temperamento romantico, già acquisito agli ideali democratici degli illuministi e della Rivoluzione Francese che si diffondevano allora in Europa: nel 1798 Beethoven frequentò assiduamente l'ambasciata francese a Vienna dove incontrò Bernadotte e il violinista Rodolphe Kreutzer al quale dedicherà, nel 1803 la Sonata per violino n. 9 che porta il suo nome. Mentre la sua attività creatrice si intensificava (composizione delle Sonate per piano n. 5 e n. 7, e delle prime Sonate per violino e pianoforte), il compositore partecipò almeno sino al 1800 a tenzoni musicali molto frequentate dalla buona società viennese, che lo consacrarono come il primo virtuoso di Vienna. Pianisti apprezzati come Muzio Clementi, Johann Baptist Cramer, Josef Gelinek, Johann Hummel e Daniel Steibelt ne fecero le spese.

    A conclusione di questo periodo inizia la produzione dei primi capolavori quali: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 (1798), i primi sei Quartetti d'archi (1798-1800), il Settimino per archi e fiati (1799-1800), la Sonata per pianoforte n. 8, detta Patetica (1798-1799) e la Prima Sinfonia (1800). Benché l'influenza delle ultime sinfonie di Haydn fosse evidente, quest'ultima in particolare era già impregnata dal carattere beethoveniano (in particolare nel terzo movimento, detto scherzo) e conteneva le premesse e la promessa delle opere della piena maturità. Il Primo Concerto e la Prima Sinfonia vennero presentati con grande successo il 2 aprile 1800, data della prima Accademia di Beethoven, concerto organizzato dallo stesso musicista e dedicato esclusivamente alle sue opere. Confortato dalle entrate finanziarie costantemente versate dai suoi mecenati, per Beethoven si aprivano le porte per un percorso artistico glorioso e felice che cominciava a superare le frontiere dell'Austria.

    La scoperta della sordità

    « Sono poco soddisfatto dei miei lavori scritti sino ad oggi. Da oggi, voglio aprire un nuovo cammino. »

    (Lettera di Beethoven all'amico Krumpholz, 1802)

    L'anno 1806 segnò una prima grande svolta nella vita del compositore. In gran segreto iniziava a prendere coscienza di una sordità che doveva irrimediabilmente progredire fino a diventare totale prima del 1820. La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta. Le ipotesi di una labirintite cronica, di una otospongiosi e della malattia di Paget ossea sono state ampiamente discusse ma nessuna è stata mai confermata.. Costretto all'isolamento per timore di dover rivelare in pubblico questa terribile verità, Beethoven si fece una triste reputazione di misantropo, della quale soffrì in silenzio fino al termine della sua vita. Cosciente dell'infermità che gli avrebbe impedito la carriera di pianista, dopo aver anche, per un momento, pensato al suicidio, si dedicò anima e corpo alla composizione.

    In una lettera postuma indirizzata ai fratelli espresse tutta la sua tristezza e la fede nella sua arte (Testamento di Heiligenstadt):
    « O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza [...] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento [...] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo [...] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l'infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore. »

    ( Beethoven, 6 ottobre 1802)

    Fortunatamente, la sua vitalità creatrice non si arrestò. Dopo la composizione della Sonata per violino n. 5 detta La Primavera (Frühlings, 1800) e della Sonata per pianoforte n. 14 detta Al Chiar di Luna (1801), durante un periodo di crisi morale e spirituale compose la gioiosa e misconosciuta Seconda Sinfonia (1801-1802) e il più scuro Concerto per pianoforte n. 3 (1800-1802) dove la tonalità in do minore annunciava chiaramente la caratteristica personalità del compositore. Queste due opere vennero accolte molto favorevolmente il 5 aprile 1803. Tuttavia le difficoltà della sua condizione lo condussero ad una ulteriore evoluzione: privato della possibilità di esprimere tutto il suo talento si dedicò interamente alla composizione con un coraggio e una forza di carattere che si annunciava con l'eroismo trionfante della Terza Sinfonia.

    1802 – 1812: il periodo detto "eroico"
    Dall'Eroica al Fidelio


    « In questa Sinfonia Beethoven si era proposto come argomento ispiratore Bonaparte, quando quest'ultimo era ancora Primo Console. All'epoca Beethoven ne faceva un caso straordinario, e vedeva in lui l'epigono dei grandi consoli romani. »

    (Testimonianza di Ferdinand Ries sulla genesi della Terza Sinfonia)

    La Sinfonia n. 3, detta «Eroica» segna una tappa capitale in tutta l'opera di Beethoven, non soltanto a causa della sua potenza espressiva ma anche perché inaugurava una serie di opere brillanti, notevoli per durata ed energia, caratteristiche dello stile del secondo periodo di Beethoven, detto «stile eroico». Il compositore intendeva inizialmente dedicare questa sinfonia al generale Napoleone Bonaparte, nel quale vedeva il salvatore degli ideali della Rivoluzione francese. Non appena apprese la notizia della proclamazione del Primo Impero francese (maggio 1804), infuriato, cancellò velocemente la dedica. Infine, il capolavoro ricevette il titolo «Grande sinfonia Eroica per celebrare la memoria di un grande uomo». La genesi della sinfonia si estese dal 1802 al 1804 e la presentazione pubblica, avvenuta il 7 aprile 1805 smorzò gli entusiasmi: quasi tutti la giudicarono troppo lunga. Beethoven non ebbe nessun risentimento, al punto che non ne avrebbe composta nessuna della durata superiore a un'ora[non chiaro], e doveva, fino alla composizione della Nona, considerare l'Eroica come la migliore delle sue sinfonie.

    Anche nella scrittura pianistica lo stile si evolveva: scritta immediatamente dopo la Terza Sinfonia negli ultimi mesi del 1803, la Sonata per pianoforte n. 21 op. 53, dedicata al conte Waldstein, colpì per il virtuosismo, l'energia "eroica" e l'utilizzo sinfonico dello strumento. Dello stesso stampo fu la grandiosa Sonata per pianoforte n. 23 detta Appassionata (1805), al quale seguì il Triplo Concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra (1804). Nel luglio 1805 il compositore incontrò Luigi Cherubini, che non gli nascose la sua ammirazione.

    A trentacinque anni, Beethoven affrontò il genere musicale per il quale Mozart era più portato, l'opera. Nel 1801 si era entusiasmato per il libretto Léonore o l'amore coniugale del francese Jean-Nicolas Bouilly, e la composizione dell'opera Fidelio, che portava originariamente nel titolo il nome della sua eroina, Léonore, venne intrapresa fin dal 1803. Questa opera fu accolta male al debutto (soltanto tre rappresentazioni nel 1805), al punto che Beethoven si ritenne vittima di una cabala. Il Fidelio doveva conoscere non meno di tre versioni (1805, 1806 e 1814) e soltanto l'ultima ebbe un'accoglienza adeguata. Beethoven aveva composto un'opera oggi considerata fondamentale nel repertorio lirico ma questa esperienza non venne ripetuta a causa delle troppe amarezze subite, anche se studiò alcuni altri progetti tra cui un Macbeth ispirato all'opera di Shakespeare, e soprattutto un Faust da Goethe, verso la fine della sua vita.

    L'indipendenza affermata

    Beethoven verso il 1804, nell'epoca della Sonata Appassionata e di Fidelio. Risoluto ad «affrontare il suo destino alla gola», compose nel periodo dal 1802 al 1812 una serie di opere brillanti ed energiche, caratteristiche del suo stile «eroico». Ritratto di Willibrord Joseph Maehler, 1804-05.
    « Principe, ciò che siete, lo siete in occasione della nascita. Ciò che sono, lo sono per me. Principi ce n'è e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n'è soltanto uno. »

    (Biglietto di Beethoven al conte Lichnowsky, ottobre 1806)

    Dopo il 1805, e nonostante il fallimento artistico del Fidelio, la situazione di Beethoven era tornata favorevole. In pieno possesso della sua vitalità creatrice, sembrò adattarsi al suo udito difettoso e trovare, almeno per qualche tempo, una vita sociale soddisfacente. Gli anni tra il 1806 e il 1808 furono quelli più fertili di capolavori: il solo anno 1806 vide la composizione del Concerto per pianoforte n. 4, dei tre Quartetti per archi n. 7, n. 8 e n. 9 dedicati al conte Andrei Razumovsky, della Quarta Sinfonia e del Concerto per violino. Nell'autunno di quell'anno Beethoven accompagnò il suo mecenate, il principe Carl Lichnowsky, nel suo castello di Slesia e, in occasione di questo soggiorno, diede la dimostrazione più luminosa della sua volontà di indipendenza. Poiché Lichnowsky aveva minacciato di mettere Beethoven agli arresti se si ostinava a rifiutare un'esibizione al piano per alcuni ufficiali francesi ospiti del castello (la Slesia era in quel momento occupata dall'esercito napoleonico dopo Austerlitz) il compositore lasciò il suo ospite dopo un violento litigio e gli inviò un biglietto che si commenta da solo. Fece allora domanda di impiego alla Direzione dei Teatri Imperiali, dove si impegna a consegnare annualmente un'opera e un'operetta richiedendo la somma di 2400 fiorini e una percentuale sugli incassi dalla terza rappresentazione di ciascun opera, ma la domanda non venne accolta.

    Perso il finanziamento e la protezione del suo principale mecenate, Beethoven riuscì ad affermarsi come artista indipendente e a liberarsi simbolicamente dal patronato aristocratico. Ormai lo stile eroico poteva raggiungere il suo parossismo. Dando seguito al suo desiderio di «affrontare il suo destino alla gola» espresso a Wegeler nel novembre 1801, Beethoven mise in cantiere la Quinta Sinfonia. Attraverso il suo celebre motivo ritmico di quattro note esposto fin dal primo movimento, che irradia tutta l'opera, il musicista intendeva esprimere la lotta dell'uomo contro il destino, e il trionfo finale su di esso. L'ouverture del Coriolano, con la quale condivide la tonalità in do minore, era della medesima epoca. Composta contemporaneamente alla Quinta, la Sinfonia pastorale sembra quella più contrastata. Descritta da Michel Lecompte come «la più serena, la più ridotta e la più melodica delle nove sinfonie» e nel medesimo tempo la più atipica è l'omaggio alla natura di un compositore profondamente innamorato della campagna, nella quale ritrovava sempre la calma e la serenità propizie alla sua ispirazione. Autentica anticipatrice del romanticismo musicale, la Pastorale porta come sottotitolo questa frase di Beethoven «Espressione di sentimenti piuttosto che pittura» e ciascuno dei suoi movimenti porta un'indicazione descrittiva.

    Il concerto dato da Beethoven il 22 dicembre 1808 fu certamente una delle più grandi Accademie della storia (con quella del 7 maggio 1824). Furono eseguiti in prima assoluta la Quinta e la Sesta sinfonia pastorale, il Concerto per pianoforte n. 4, la Fantasia corale per piano e orchestra e due inni dalla Messa in Do maggiore composta per il principe Esterházy nel 1807. Dopo la morte di Haydn nel maggio 1809, benché gli restasse ancora qualche avversario in campo artistico, non si poteva più contestare la posizione di Beethoven nel pantheon dei musicisti.

    La maturità artistica


    Beethoven non ricavò nulla di concreto dall'incontro, avvenuto nel 1812 con Goethe. Ritratto di Johann Tischbein.
    « Non avevo mai incontrato un artista così fortemente concentrato, così energico, così interiore. [...] Il suo ingegno mi ha stupefatto; ma egli è purtroppo una personalità del tutto sfrenata, che, se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende così più gradevole a sé e agli altri. [...] Malauguratamente, è una personalità fortemente indotta. »

    (Giudizio di Goethe su Beethoven, 1812)

    Nel 1808 Beethoven aveva ricevuto da Girolamo Bonaparte, posto dal fratello Napoleone sul trono della Westfalia, la proposta per un impiego di Kapellmeister alla corte di Kassel. Sembra che il compositore abbia per un momento pensato di accettare questo incarico prestigioso che, se da un lato rimetteva in discussione la sua indipendenza fino a quel momento difesa così strenuamente, dall'altro gli garantiva una situazione economica e sociale più serena. Fu allora che ebbe un ritorno patriottico e l'occasione di staccarsi dall'aristocrazia viennese (1809). L'arciduca Rodolfo, il principe Kinsky e il principe Lobkowitz garantirono a Beethoven, qualora fosse restato a Vienna, un vitalizio di 4.000 fiorini annui, una somma notevole per l'epoca. Beethoven accettò, sperando di mettersi definitivamente al riparo dalle necessità, ma la ripresa della guerra tra la Francia e l'Austria nella primavera del 1809 rimise tutto in discussione. La famiglia imperiale fu costretta a lasciare Vienna occupata, la grave crisi economica che subì l'Austria dopo Wagram e il Trattato di Schönbrunn imposto da Napoleone rovinò economicamente l'aristocrazia viennese e rese nullo il contratto stipulato da Beethoven. Questi episodi segnarono duramente la sua vita, sempre combattuta tra il desiderio di indipendenza creativa ed il bisogno di condurre una vita economicamente dignitosa.

    Nonostante questo, il catalogo delle sue opere continuava ad arricchirsi: gli anni 1809 e 1810 videro ancora la nascita di numerosi capolavori, dal brillante Concerto per pianoforte n. 5 alle musiche di scena per la tragedia Egmont di Goethe, passando per il Quartetto d'archi n. 10 detto «delle Arpe». È a causa della partenza improvvisa del suo allievo e amico, l'arciduca Rodolfo, che Beethoven compose la Sonata per pianoforte n. 26 detta «Les adieux» in tre movimenti programmatici (l'Addio, la Lontananza, il Ritorno). Gli anni tra il 1811 e il 1812 videro il compositore raggiungere il punto massimo della sua creatività. Il Trio per pianoforte n. 7 detto «All'Arciduca» e la Settima Sinfonia rappresentano l'apogeo del periodo «eroico».

    1813 – 1817: gli anni oscuri

    L'Amata Immortale

    .
    « Non è l'attrazione dell'altro sesso che mi attira in lei, no, soltanto lei, tutta la sua persona con tutte le sue qualità hanno incatenato il mio rispetto, i miei sentimenti tutti, la mia sensibilità intera. Quando mi accostai a lei, mi ero formato la ferma decisione di non lasciar germogliare neanche una scintilla d'amore. Ma lei mi ha sopraffatto [...] mi lasci sperare che il suo cuore batterà a lungo per me. Di battere per lei, amata J., questo mio cuore non cesserà se non quando non batterà più del tutto. »

    (Lettera di Beethoven a Josephine von Brunswick, 1805)

    Sul piano della vita sentimentale, Beethoven ha suscitato una notevole quantità di commenti da parte dei suoi biografi. Il compositore ebbe tenui relazioni con numerose donne, generalmente sposate, ma non conobbe mai quella felicità coniugale alla quale aspirava e della quale tesserà un'apologia nel Fidelio. Nel maggio 1799 Beethoven divenne insegnante di pianoforte di due figlie della contessa Anna von Seeberg, vedova Brunswick, la ventiquattrenne Therese o Thesi e la ventenne Josephine o Pepi, oltre che di una cugina di queste, la sedicenne Giulietta Guicciardi (1784-1856), ispiratrice e dedicataria della Sonata per pianoforte n. 14 detta Al Chiar di Luna. Quest'ultima è il primo amore di Beethoven: fidanzata con il conte Wenzel Robert von Gallenberg, sposerà quest'ultimo il 30 ottobre 1803 e si stabilirà a Napoli con lui, diventato direttore dei Balletti di Corte. Faranno entrambi ritorno a Vienna nel 1821, dove il conte, oberato dai debiti, litigherà con il musicista, mentre sua moglie lo incontrerà un'ultima volta per ricordargli il loro passato e chiedere 500 fiorini in prestito. Anche Josephine von Brunswick (1779-1821), perennemente sorvegliata dalla sorella Therese, ebbe una relazione con il musicista che fu la più duratura: continuò dopo un primo matrimonio con il conte Joseph von Deym, dal quale ebbe tre figli, nel gennaio 1804 e anche dopo un secondo matrimonio, avvenuto nel 1810 con il barone Christoph von Stackelberg, che l'abbandonerà due anni più tardi. Il 9 aprile 1813, con grande scandalo della famiglia, Josephine diede alla luce una bambina, Minona, affidata alla sorella.

    Un po' più fugaci furono gli incontri con la contessa Anna Maria von Erdödy (1779-1837) rimasta paralizzata a causa della perdita del figlio, che rimase comunque sua intima confidente, vivrà in casa sua per qualche tempo nel 1808 e parteciperà alla ricerca di ricchi mecenati per suo conto (le dedicherà le due Sonate per violoncello n. 4 e 5), la cantante lirica berlinese Amalie Sebald (1787-1846), incontrata a Teplitz tra il 1811 e il 1812, e la contessa Almerie Ersterhazy (1789-1848). Nel 1810, con Thérese Malfatti (1792-1851), ispiratrice della celeberrima bagatella per pianoforte Per Elisa WoO 59, Beethoven progettò un matrimonio che non andrà in porto, cosa che gli provocherà una delusione profonda. Un altro evento importante nella vita sentimentale del musicista fu la scrittura della celeberrima Lettera all'amata immortale, redatta in tre riprese a Teplitz tra il 6 e il 7 luglio 1812. La destinataria resterà forse per sempre sconosciuta, anche se i nomi di Josephine von Brunswick e soprattutto di Antonia Brentano Birkenstock (1780-1869), sposata al senatore di Francoforte Franz von Brentano, che incontrò Beethoven a Vienna e a Karlsbad tra il 1809 e il 1812, sono quelli più accreditati negli studi biografici dei coniugi Massin e di Maynard Solomon.

    L'incidente di Teplitz

    L'incidente di Teplitz (luglio 1812) dipinto di Carl Rohling, 1887. Beethoven, accompagnato da Goethe (a sinistra, in fondo), rifiuta di inchinarsi davanti alla famiglia imperiale e prosegue nel suo cammino.
    « Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza. »

    (Lettera di Beethoven alla contessa von Erdödy, 1815)

    Il mese di luglio 1812, abbondantemente commentato dai biografi, segnò una nuova svolta nella vita di Beethoven. Mentre si sottoponeva alle cure termali nelle località di Teplitz e di Karlsbad redasse l'enigmatica Lettera all'amata immortale e fece un incontro infruttuoso con Goethe con la mediazione di Bettina Brentano von Arnim, giovane ed esuberante intellettuale, entusiasta di Goethe, sorella di Clemens Brentano, cognata di Antonia Brentano e futura moglie del poeta Achim von Arnim. Fu questo l'inizio di un lungo periodo di scarsa ispirazione, che coincise anche con molti eventi drammatici che dovette superare in totale solitudine, avendo quasi tutti i suoi amici lasciato Vienna durante la guerra del 1809.

    L'accoglienza molto favorevole riservata dal pubblico alla Settima Sinfonia e alla vivace composizione La vittoria di Wellington (dicembre 1813) e alla riproposta, ugualmente trionfale, del Fidelio nella sua versione definitiva (maggio 1814), coincisero con il Congresso di Vienna del 1814, dove Beethoven venne esaltato come musicista nazionale e di conseguenza raggiunse la sua maggiore popolarità. Nonostante la sua fama fosse sempre maggiore, Beethoven prendeva coscienza che qualcosa nei gusti musicali della Vienna di quegli anni stava mutando e come il pubblico viennese fosse sempre più sedotto dalla gaiezza della musica di Gioachino Rossini.

    Inoltre lo spirito della restaurazione che ispirava Metternich lo mise in una situazione difficile, essendo la polizia viennese da tempo al corrente delle convinzioni democratiche e liberali del compositore. Sul piano personale, l'evento più importante fu la morte del fratello Kaspar Karl nel 1815, a quel tempo cassiere alla Banca Nazionale di Vienna. Beethoven aveva promesso di seguire l'istruzione di suo figlio Karl e dovette far fronte ad una serie interminabile di processi contro sua moglie – Johanna Reis, figlia di un tappezziere, considerata di dubbia moralità – per ottenerne la tutela esclusiva, finalmente guadagnata grazie a una sentenza del tribunale emessa l'8 aprile 1820.. Malgrado l'attaccamento e la buona volontà del compositore, questo nipote diventerà per lui, fino alla vigilia della sua morte, una sorta di tormento. L'altro fratello, Nikolaus Johann, che Ludwig non sopporta, è farmacista a Linz e sposerà dopo una lunga convivenza Therese Obermayer, la figlia di un fornaio. In questi anni difficili nel corso dei quali la sordità divenne totale, Beethoven produsse soltanto alcuni capolavori: le due Sonate per violoncello n. 4 e 5 dedicate alla confidente Maria von Erdody (1815) la Sonata per pianoforte n. 28 (1816) e il ciclo pregnante di lieder An die ferne Geliebte, (1815-1816), tratto dai poemi di Alois Jeitteles.

    Mentre la sua situazione finanziaria diventava sempre più preoccupante, Beethoven cadde gravemente malato tra il 1816 e il 1817 mentre la sordità peggiorava e sembrò vicino al suicidio. Tuttavia decise di non suicidarsi e sottomettere i suoi sentimenti facendone musica, come traspare dalle sue lettera: sempre più chiuso nell'introspezione e nella spiritualità, cominciò il suo ultimo periodo creativo.

    La fama europea e i ritratti

    « Nella sua apparenza esteriore tutto è possente, rude, in molti aspetti, come la struttura ossea del viso, della fronte alta e spaziosa, del naso corto e diritto, con i suoi capelli arruffati e raggruppati in grosse ciocche. Ma la bocca è graziosa e i suoi begli occhi parlanti riflettono in ogni istante i suoi pensieri e le sue impressioni che mutano rapidamente, ora graziose, amoroso–selvagge, ora minacciose, furenti, terribili. »

    Conquistata una fama a livello europeo, diversi pittori si offrirono di immortalare l'immagine del compositore: già ritratto da Joseph Willibrord Mãhler nel 1805 e da Johann Cristoph Heckel nel 1815 – i due ritratti, specie quest'ultimo, sono probabilmente i più veritieri perché privi di abbellimenti di circostanza. Il berlinese August von Kloeber lo ritrae nel 1818 non prima di averlo spettinato sapientemente, in modo da dargli quell'aspetto fra l'eroico e il demoniaco che ormai il mito romantico pretendeva di attribuire alla sua figura. E tale aspetto piaceva a Beethoven, che dichiara di non amare essere ritratto "tirato a lucido, come se stessi per prendere servizio a corte". Il dipinto è perduto ma ne resta il disegno preparatorio.

    Nello stesso anno si fece ritrarre dall'ungherese Ferdinand Schimon, che aveva già ritratto Ludwig Spohr e Weber. Ne riprodusse la fronte ampia, il volto pieno e il mento a conchiglia, migliorando la forma del naso e soprattutto facendogli volgere lo sguardo scrutatore verso spazi lontani e indeterminati. Il pittore accademico di re e principesse Joseph Karl Stieler, forse intimidito dal famoso "modello", costrinse Beethoven a lunghe ore di posa, immobile, per svariati giorni. Finita nell'aprile del 1820 l'opera, che lo rappresentava mentre componeva la sua Missa, benché eseguita con cura come ci si poteva attendere da un pittore alla moda, nobilitò romanticamente la figura del musicista ma non riuscì a dargli espressione e forza interiore. Un ultimo ritratto fu eseguito nel 1823 da Ferdinand Georg Waldmûller, ma se ne è perduto l'originale. Ne resta una copia che ci trasmette l'immagine di un uomo solitario che, lontano da ogni illusione romantica, non riesce a mascherare l'amarezza.

    1818 – 1827: l'ultimo Beethoven

    L'addio al pianoforte, la religiosità e la Messa in re

    « Voglio dunque abbandonarmi con pazienza a tutte le vicissitudini e rimettere la mia fiducia unicamente nella tua immutabile bontà, o Dio! [...] Sei la mia roccia, o Dio, sei la mia luce, sei la mia assicurazione eterna! »

    (Citazione religiosa di Christian Sturm copiata da Beethoven nei Quaderni di conversazione, 1818)

    Le forze di Beethoven ritornarono pienamente nel 1817, epoca nella quale scrisse una nuova opera destinata ad essere la più vasta e complessa composta fino ad allora, la Sonata per piano n. 29 op. 106 detta Hammerklavier. La durata superiore ai quaranta minuti e la esplorazione oltre ogni limite di tutte le possibilità dello strumento, lasciò indifferenti i pianisti contemporanei di Beethoven che la giudicarono ineseguibile, ritenendo che la sordità del musicista gli rendeva impossibile una corretta valutazione delle possibilità sonore. Con l'eccezione della Nona Sinfonia lo stesso giudizio verrà dato per tutte le restanti opere composte da Beethoven, la cui complessità e modernità di architettura sonora erano ben note allo stesso Beethoven. Dolendosi un po' delle frequenti lamentele dei vari interpreti, nel 1819 dichiarò al suo editore: «Ecco una sonata che darà filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno tra cinquanta anni». A partire da allora, chiuso totalmente nella sua infermità, iniziò ad essere circondato da una corte di allievi, ammiratori, servitori che lo adulavano e spesso lo irritavano. Per comunicare con loro usò i Quaderni di conversazione scritti direttamente dal musicista o trascritti dai suoi collaboratori, i quali costituiscono una testimonianza inestimabile sull'ultimo periodo di vita del compositore.

    Pur non essendo un assiduo praticante Beethoven era sempre stato credente, ma il suo avvicinamento alla fede e al Cristianesimo aumentò negli anni più duri, come testimoniano le numerose citazioni di carattere religioso che trascrisse nei suoi quaderni a partire dal 1817. Nella primavera del 1818 decise di comporre una grande opera religiosa che inizialmente prevedeva di utilizzare in occasione dell'Incoronazione dell'arciduca Rodolfo, che anelava di essere elevato al rango di Arcivescovo di Olmütz alcuni mesi più tardi. Tuttavia la colossale Missa Solemnis in re maggiore richiese al musicista quattro anni di duro lavoro (1818-1822) e fu dedicata soltanto nel 1823. Beethoven aveva studiato a lungo le Messe di Bach e l'oratorio Messiah di Händel al punto di ritenere la composizione della Missa Solemnis come «la mia migliore opera, il mio più grande lavoro». Parallelamente a questo lavoro vennero composte le ultime Sonate per pianoforte opere n. 30, 31, 32 (op. 111), che si chiudeva su un'arietta di variazioni di alta spiritualità. Gli restava ancora da comporre l'ultimo capolavoro pianistico: l'editore Anton Diabelli aveva invitato nel 1822 tutti i compositori del suo tempo a scrivere una variazione su un valzer molto semplice nella struttura musicale. Dopo aver studiato questo valzer, Beethoven superò lo scoglio proposto e compose le 33 variazioni che Diabelli ritenne comparabili alle famose Variazioni Goldberg, composte da Bach ben ottanta anni prima.

    La Nona sinfonia e gli ultimi quartetti

    Beethoven nel 1823, all'epoca della composizione delle Variazioni Diabelli e della Nona Sinfonia. Nella sua sordità diventata totale, comunicava con il suo ambiente soltanto tramite i Quaderni di conversazione. Ritratto di F.G. Waldmüller.
    « Il vostro genio ha superato i secoli e non vi sono forse uditori abbastanza illuminati per gustare tutta la bellezza di questa musica; ma saranno i posteri che renderanno omaggio e benediranno la vostra memoria molto più di quanto possano fare i contemporanei. »

    (Lettera del principe russo Boris Galitzin a Beethoven dopo la prima rappresentazione della Missa Solemnis, 1824)

    L'inizio della composizione della Nona Sinfonia coincise con il completamento della Missa Solemnis. Questa opera ebbe una genesi estremamente complessa che si può fare risalire alla gioventù di Beethoven, e all'intenzione di mettere in musica il poema An die Freude (Inno alla gioia) di Schiller. Attraverso l'indimenticabile finale che introduce il coro, l'innovazione nella scrittura sinfonica della Nona Sinfonia appare in linea alla Quinta, come l'evocazione musicale del trionfo della gioia e della fraternità universale sulla disperazione e la guerra. Essa costituisce un messaggio umanista e universale. La sinfonia venne eseguita per la prima volta davanti a un pubblico in delirio il 7 maggio 1824 e Beethoven ritrovò il grande successo. È in Prussia e in Inghilterra, dove la notorietà del musicista era da tempo commisurata alla grandezza del suo genio, che la sinfonia ebbe l'accoglienza più folgorante. Più volte invitato a Londra, come Haydn, Beethoven ebbe la tentazione verso la fine della sua vita di stabilirsi in Inghilterra, paese che ammirava per la sua vita culturale e per la sua democrazia, in contrapposizione alla frivolezza della vita viennese, ma questo progetto non si realizzò e Beethoven non conobbe mai il paese del suo idolo Händel. L'influenza di quest'ultimo fu particolarmente sensibile nel periodo tardo di Beethoven, che compose nel suo stile, tra il 1822 e il 1823, l'ouverture La Consacrazione della Casa.

    I cinque ultimi Quartetti per archi (n. 12, 13, 14, 15 e 16) misero il sigillo finale alla produzione musicale di Beethoven. Con il loro carattere immaginario, che si ricollega a forme vecchie (utilizzo del modo musicale lidio nel n. 15) segnarono la conclusione della sperimentazione di Beethoven nel campo della musica da camera. I grandi movimenti lenti ad alto tasso drammatico (la cavatina del n. 13 e il Canto di ringraziamento alla Divinità di un convalescente, in modo lidio del n. 15) annunciavano l'inizio del periodo romantico. A questi cinque quartetti, composti nel periodo 1824-1826, occorre aggiungere ancora la Grosse Fuge in si bemolle maggiore op. 133, che era in origine il movimento conclusivo del Quartetto n. 13 ma che Beethoven separò in seguito su richiesta dell'editore. Il 15 ottobre 1825 si trasferì nel suo ultimo appartamento viennese, al numero 15 della Schwarzspanierstrasse, in due stanze che facevano parte di quello che era stato un convento degli Spagnoli Neri, lungo le mura della capitale austriaca. Alla fine dell'estate 1826, mentre completava il suo ultimo Quartetto n. 16, Beethoven progettava ancora numerose opere: una decima sinfonia della quale sono giunti sino a noi alcuni schizzi, una ouverture su temi di Bach, il Faust ispirato a Goethe, un oratorio sul tema biblico di Saul e Davide, un altro sul tema degli Elementi e un Requiem. Il 30 luglio 1826 suo nipote Karl tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola e rimanendo leggermente ferito, giustificando il gesto col fatto di non sopportare più i continui rimproveri dello zio il quale, sconfortato, dopo aver rinunciato alla sua tutela in favore dell'amico Stephan Breuning, lo fece arruolare in un reggimento di fanteria, comandato dal suo amico barone Joseph von Stutterheim. La storia fece scandalo, e in attesa che Karl partisse per la sua destinazione a Iglau, in Moravia, zio e nipote andarono a trascorrere una vacanza, ospiti, dietro pagamento, del fratello Nikolaus Johann Beethoven, a Gneixendorf. Qui Beethoven compose la sua ultima opera, un Allegro per sostituire la Grosse Fuge come finale del Quartetto n. 13.

    La malattia e la morte
    I funerali di Beethoven, il 29 marzo 1827, radunarono molte migliaia di persone. Quadro di F. Stober, 1827
    « Egli sa tutto, ma non possiamo ancora capire tutto e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che quell'uomo ha creato sia compreso dal mondo. »

    (Franz Schubert, 1827)

    Ritornato a Vienna il 2 dicembre 1826 su un carro scoperto e in una notte di pioggia, Beethoven contrasse una polmonite doppia da cui non doveva più risollevarsi; gli ultimi quattro mesi della sua vita furono segnati da un terribile logoramento fisico. La causa diretta della morte del musicista, secondo le osservazioni del suo ultimo medico (il dottor Andras Wawruch) sembra essere la decompensazione di una cirrosi epatica. Beethoven presentava un'epatomegalia, un'itterizia, un'ascite (allora chiamata «idropisia addominale») nei diversi ordini dei membri inferiori, elementi di una sindrome cirrotica con ipertensione, e, costretto perennemente a letto, dovette sottoporsi a un'operazione per rimuovere l'acqua accumulata.. Fino alla fine il compositore restò circondato dai suoi amici tra i quali Anton Schindler e Stephan von Breuning, oltre alla moglie del fratello Johann e al musicista Anselm Huttenbrenner, che fu l'ultima persona a vederlo in vita. Alcune settimane prima della morte avrebbe ricevuto la visita di Franz Schubert, che non conosceva e si rammaricava di avere scoperto così tardi. È al suo amico, il compositore Ignaz Moscheles, promotore della sua musica a Londra, che invia la sua ultima lettera nella quale promette nuovamente agli inglesi di comporre, una volta guarito, una nuova sinfonia per ringraziarli del forte sostegno. Ma era troppo tardi.

    Il 3 gennaio 1827 fa testamento, nominando il nipote Karl suo erede: il 23 marzo riceve l'estrema unzione e il giorno dopo perde conoscenza. Il 26 marzo 1827 Ludwig van Beethoven si spegne all'età di 56 anni. Nonostante Vienna non si occupasse più della sua sorte da mesi, i suoi funerali, svoltisi il 29 marzo, riunirono una processione impressionante di almeno ventimila persone. L'orazione funebre venne pronunciata da Franz Grillparzer. Venne inizialmente sepolto nel cimitero di Wahring, a ovest di Vienna. Nel 1863 il corpo di Beethoven venne riesumato, studiato e di nuovo sepolto. Il suo teschio venne acquisito dal medico austriaco Romeo Seligmann per ricavare un modello, tuttora conservato al Center for Beethoven Studies presso la San José State University in California. I suoi resti vennero sepolti nel Zentralfriedhof nel 1888. Il suo segretario e primo biografo Anton Felix Schindler, nominato custode dei beni del musicista, dopo la sua morte distruggerà una grandissima parte dei Quaderni di conversazione e in quelli rimasti addirittura aggiungerà arbitrariamente frasi scritte di sua mano. La distruzione venne giustificata con il fatto che molte frasi erano attacchi grossolani e sfrenati ai membri della famiglia imperiale, contro l'imperatore e anche contro il principe ereditario, diventato anch'esso imperatore e con il quale aveva mantenuto rapporti stretti di amicizia, nonostante per gran parte della sua vita Beethoven fosse stato in costante rivolta contro le autorità costituite, le norme e le leggi.

    Negli anni che seguirono la sua morte, furono formulate diverse ipotesi riguardanti una malattia di cui Beethoven avrebbe sofferto durante tutto l'arco dell'esistenza – indipendentemente dalla sordità, il compositore lamentava continui dolori addominali e disordini alla vista – e attualmente tendono a stabilirsi al livello di un saturnismo cronico o intossicazione severa da piombo. Il 17 ottobre 2000, dopo quasi 200 anni dalla morte del compositore, fu il dottor William J. Walsh, direttore del progetto di ricerca su Beethoven (Beethoven Research Project), a rivelare questa ipotesi come causa probabile del decesso. Beethoven, grande degustatore del vino del Reno, aveva l'abitudine di bere da una coppa di cristallo di piombo, oltre ad aggiungere un sale piomboso per rendere il vino più dolce. Dai risultati delle analisi sui suoi capelli furono riscontrati importanti quantità di piombo, e questi risultati sono stati confermati dalla Argonne National Laboratory, nei pressi di Chicago, grazie a ulteriori analisi di frammenti del cranio, identificati grazie al DNA. La quantità di piombo rilevata era effettivamente il segnale di una esposizione prolungata. Questa intossicazione di piombo fu la causa dei perpetui dolori al ventre che segnarono la vita di Beethoven, nonché dei suoi numerosi e repentini sbalzi d'umore e, forse, anche della sua sordità. Non ci sono comunque legami formali stabiliti e provati tra la sordità di Beethoven e la sua intossicazione da piombo; in seguito all'autopsia, eseguita il giorno dopo la sua morte, risultò che il nervo acustico del musicista era completamente atrofizzato, pertanto nessuna cura dell'epoca poteva essere efficace.

    Il 30 agosto 2007 il patologo, ricercatore e medico legale viennese Christian Reiter rese pubblica la scoperta delle sue ricerche su due capelli del musicista. Secondo Reiter, Beethoven venne ucciso involontariamente dal suo medico Andras Wawruch durante uno dei quattro drenaggi ai quali fu sottoposto. Venne ferito con un bisturi, e per curare al meglio la ferita il medico usò un unguento al piombo, che veniva usato nell'Ottocento come antibatterico.

    Lo stile


    Le opere di Beethoven sono conosciute sotto varie designazioni:

    * con il numero di Opus che il compositore stesso ha assegnato alle sue opere (dall'op. 1 all'op. 138);
    * con il numero di catalogo assegnato a posteriori dai musicologi alle opere senza numero, il cosiddetto WoO (Werke ohne Opuszahl, dal WoO 1 al WoO 205);
    * con il numero di catalogo assegnato come appendice (Anhang, contratto nella sigla Anh) per quei lavori dubbi o erroneamente attribuiti al compositore (dall'Anh 2 all'Anh 6 restano ancora da attribuire, mentre l'Anh 1 e dall'Anh 7 all'Anh 18 sono opere non scritte da Beethoven e a lui erroneamente attribuite);
    * con il numero assegnato alle opere non comprese nella vecchia edizione completa ottocentesca (la Gesamtausgabe della Breitkopf & Härtel), e ad opere incompiute, trascrizioni, abbozzi continuativi, principalmente nei cataloghi di Willy Hess (Catalogo Hess, 1957) e di Giovanni Biamonti (Catalogo Biamonti, 1968).

    Altri musicologi hanno inoltre catalogato l'opera di Beethoven:

    * Gustav Nottebohm (1851-1868)
    * Adolf Bernhard Marx (1859, in ordine cronologico)
    * Alexander Wheelock Thayer (1865)
    * Sir George Groove (1911, che ha seguito i numeri di opus fino al 138 e poi ha aggiunto i WoO numerandoli fino al 256)
    * Antonio Bruers (1950, ha ampliato i WoO di Groove arrivando fino al 350)
    * Georg Kinsky e Hans Halm (Catalogo Kinsky/Halm, 1955).


    Panoramica

    Beethoven è universalmente riconosciuto come uno dei più influenti musicisti e compositori della musica classica occidentale: occasionalmente riferito come uno delle "tre B" (insieme a Bach e Brahms) che hanno consolidato questa tradizione. È anche una figura cardine nel passaggio tra il classicismo del XVIII secolo e il romanticismo del XIX secolo, la sua influenza sulle generazioni successive di compositori sarà profonda.

    Pur rimanendo aderente alle forme e ai modelli del classicismo, per via della sua variegata complessità stilistica, Haydn trovandosi a discorrere della sua personalità di compositore, ebbe a dirgli:
    « Voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime»


    Beethoven ha scritto opere in molti generi musicali e per una grande varietà di combinazioni di strumenti. Le sue opere per orchestra sinfonica includono nove sinfonie (con un coro nella Nona), e circa una dozzina di altre composizioni. Ha scritto sette concerti per uno o più solisti ed orchestra, e allo stesso modo quattro composizioni più corte che includono assoli nell'orchestra. La sua unica opera è il Fidelio; altri lavori vocali con accompagnamento strumentale annoverano, fra le varie composizioni, due messe e un oratorio.

    Moltissime le composizioni per pianoforte di cui trentadue sonate per pianoforte e numerosi arrangiamenti per pianoforte delle altre sue composizioni, nonché il concerto triplo. L'accompagnamento pianistico è previsto in 10 sonate per violino, 5 sonate per violoncello, e una sonata per il corno francese, insieme a numerosi lieder.

    Beethoven ha scritto anche una quantità rilevante di musica da camera. Oltre a 16 quartetti per archi,scrisse 5 composizioni per Quintetto d'archi, sette per il trio di pianoforte, violino, violoncello, cinque per violino, viola e violoncello, e numerosi lavori per una grande varietà di strumenti a fiato.

    Dal punto di vista della forma musicale, l'opera di Beethoven influenzò profondamente la teorizzazione del modello della forma-sonata e lo sviluppo dei temi; così la complessità della scrittura delle sue composizioni più ambiziose si accompagna ad una lunghezza dei movimenti non usuale per quel periodo storico. È stato uno dei primi compositori a fare uso sistematico e consistente del collegamento di dispositivi tematici, o "motivi in germe" (germ-motives), per realizzare l'unità di un movimento nelle composizioni maggiori. Ugualmente notevole è l'uso di "motivi base" (source-motives) che ricorrono in molte composizioni e che danno una certa unitarietà alla sua opera. Ha innovato diverse forme musicali, egli ha rimodellato persino la forma del rondò, rendendola molto elastica e spaziosa e portandola vicino alla forma-sonata, sostituì il minuetto in gran parte delle composizioni, sia cameristiche sia orchestrali, con lo scherzo.

    La sua opera si discosta dalla successiva musica romantica per l'aderenza ai modelli formali del classicismo; il manifestarsi dell'emotività si calibrava preparando accuratamente le modulazioni e rigettando i cromatismi nelle melodie, tanto da farlo diventare per alcuni musicisti e musicologi del XX secolo un emblema della razionalità; complessivamente la sua figura è di transizione: la sua opera contiene elementi sia romantici sia tipicamente classicisti.

    Periodizzazione

    Wilhem von Lenz propose una ripartizione stilistica ancora in uso della carriera di compositore di Beethoven in tre "periodi" creativi:

    * il Primo (Early, 1770-1802)
    * il Mediano (Middle, 1803-1814)
    * il Tardo (Late, 1815-1827)

    Benché possa risultare alquanto problematico distinguere nettamente i confini tra un periodo e l'altro, la tripartizione è accolta da molti studiosi. Nel primo periodo, subì l'influenza di Haydn e Mozart, come spiegato nella sezione Le influenze. Il periodo mediano cominciò subito dopo la crisi personale del compositore centrata intorno allo sviluppo della progressiva sordità. Infine il periodo tardo è caratterizzato da lavori che mostravano profondità intellettuale, un'alta e intensa personalità espressiva, e innovazioni formali.

    Decisamente contrario a tale divisione dell'opera beethoveniana fu il filosofo e musicologo Theodor Wiesengrund Adorno: esistono aspetti armonici, ritmici e melodici comuni ai tre cosiddetti periodi perfino in opere definite minori o di apprendistato. Per esempio, l'inizio della Seconda Sinfonia che anticipa il famoso incipit della Nona, nel materiale tematico e, più profondamente, nel colore. Inoltre, Adorno dimostrò come il contrappunto, anima delle ultime definitive opere, sia la profonda caratteristica del pensiero compositivo beethoveniano fin dall'opus 1; per questo questa suddivisione rischia di falsare l'intera opera beethoveniana. Si può dividere la produzione del compositore in tre periodi solamente considerando i caratteri e gli atteggiamenti psicologici e non quelli musicali, secondo Adorno.

    Le innovazioni


    Nella storia musicale, l'opera di Beethoven rappresenta una transizione tra l'era classica (approssimativamente 1750-1810) e l'era romantica (approssimativamente 1810-1900). Se le sue prime opere sono influenzate da Haydn o Mozart, le opere mature sono ricche di innovazioni e hanno aperto la strada ai musicisti dal romanticismo esasperato, quali Brahms, Schubert, Wagner o ancora Bruckner:

    * L'incipit della sua V Sinfonia (1807), per di più in levare, espone un motivo violento, onnipresente nelle sue opere giovanili, che è riutilizzato durante tutti i quattro movimenti. La transizione tra lo scherzo e l'allegro finale avviene senza interruzione, mediante un "attacca".
    * La IX Sinfonia (1817) è la prima sinfonia ad introdurre un coro, al quarto movimento. L'insieme di questa elaborazione orchestrale rappresenta una vera innovazione.
    * La sua opera Fidelio utilizza le voci come degli strumenti sinfonici, e questo senza preoccuparsi delle limitazioni tecniche dei coristi.

    Sul piano della tecnica compositiva, l'impiego di motivi che alimentino interi movimenti è considerato come un apporto fondamentale. Di essenza squisitamente ritmica - cosa che costituisce una grande novità - questi motivi si modificano e si moltiplicano. Tra i più famosi:

    * Primo movimento del IV Concerto per piano (presente sin dalle prime battute);
    * Primo movimento della V Sinfonia (idem);
    * Secondo movimento della VII Sinfonia (dal ritmo dattilico): il turbinio sempre rinnovato che ne risulta è estremamente avvincente, all'origine di questa grande veemenza che va incessantemente alla ricerca dello spettatore.

    Beethoven è anche uno dei primi a dedicarsi all'orchestrazione con tanta cura. Negli sviluppi alcune associazioni cangianti, specialmente al livello dei legni, permettono d'illuminare in maniera singolare i ritorni tematici, anch'essi leggermente modificati sul piano armonico. Le variazioni di tono e di colore che s'inseguono rinnovano il discorso, sempre conservando i riferimenti della memoria.

    Le opere di Beethoven vengono così apprezzate, in virtù della loro forza emozionale, che verrà fatta propria dal Romanticismo.

    Il grande pubblico conosce soprattutto le sue opere sinfoniche, spesso innovatrici, in particolare le sinfonie «dispari» (terza, quinta, settima e nona) e la sesta, detta Pastorale. I suoi concerti più conosciuti sono il Concerto per violino e soprattutto il Quinto Concerto per piano, detto L'Imperatore. La sua musica strumentale è molto apprezzata in alcune magnifiche sonate per piano, tra le 32 che ha scritto. Dalle caratteristiche più classiche, la sua musica da camera è meno conosciuta.



    La giovinezza a Bonn
    Johann Sebastian Bach. Fu alla corte del principe Maximilian Franz d'Asburgo, suo mecenate a Bonn dal 1784 al 1792, che Beethoven fece la conoscenza decisiva della musica dei Bach e dei compositori della scuola di Mannheim.

    Le prime influenze musicali esercitate sul giovane Beethoven non furono tanto quelle di Haydn e di Mozart - dei quali, eccettuate poche partiture non scoprì davvero la musica fin quando non giunse a Vienna - quanto lo stile galante della seconda metà del XVIII secolo e dei compositori della scuola di Mannheim, di cui poté ascoltare le opere a Bonn, alla corte del principe elettore Maximilian Franz d'Asburgo. Le opere di questo periodo che ci sono pervenute (nessuna delle quali appariva nel catalogo Opus), composte fra il 1782 e il 1792, testimoniano già una rimarchevole padronanza della composizione; ma sono assenti i caratteri peculiari di Beethoven che troviamo nel periodo viennese. Nelle Sonate all'Elettore WoO 47 (1783), nel Concerto per pianoforte WoO 4 (1784) o ancora nei Quartetti con pianoforte WoO 36 (1785), si svela soprattutto una forte influenza dello stile galante di compositori come Johann Christian Bach.

    Due altri membri della famiglia Bach costituiscono d'altronde lo zoccolo della cultura musicale del giovane Beethoven: Carl Philipp Emanuel, di cui eseguì le sonate, e naturalmente Johann Sebastian, di cui imparò a memoria le due raccolte del Clavicembalo ben temperato.

    L'influenza di Franz Joseph Haydn

    L'influenza esercitata da Haydn - soprattutto in rapporto a quella di Clementi - impregna fortemente la concezione beethoveniana della musica. In effetti, il modello del maestro viennese non si manifesta tanto, come troppo spesso si crede, nelle opere "del primo periodo", quanto in quelle degli anni seguenti: la stessa Eroica, in spirito e proporzioni, ha che fare con Haydn ben più delle due sinfonie precedenti; analogamente, Beethoven si avvicina al suo predecessore più nell'ultimo quartetto, terminato nel 1826, che nel primo, composto una trentina d'anni addietro. Nello stile haydniano si distinguono pure gli aspetti che diverranno essenziali nello spirito di Beethoven: soprattutto, è il senso haydniano del motivo che influenza profondamente e durevolmente l'opera di Beethoven, come nel primo movimento della Quinta. Alla riduzione quantitativa del materiale di partenza corrisponde un'estensione dello sviluppo: attraverso l'uso del motivo, ereditato da Haydn, Beethoven genera uno sviluppo tematico di un'ampiezza fino ad allora inedita.
    Beethoven raccoglie da Haydn il senso del motivo. In questo modo, una cellula ritmica di due misure serve da materiale per tutto il primo movimento della Quinta sinfonia.

    Talora l'influenza di Haydn si estende anche all'organizzazione interna di un intero movimento di sonata. Per il maestro classico viennese, è il materiale tematico che determina la struttura dell'opera. È quanto avviene, ad esempio, come spiega Charles Rosen,[50] nel primo movimento della Sonata "Hammerklavier" op. 106: è la terza discendente del tema principale a determinare l'intera struttura (si può notare ad esempio che lungo l'intero brano le tonalità si susseguono in un ordine di terze discendenti: si bemolle maggiore, sol maggiore, mi bemolle maggiore, si maggiore, ecc.).

    Altri caratteri meno fondamentali dell'opera di Haydn hanno talvolta influenzato Beethoven. Haydn è il primo compositore ad avere fatto uso più o meno sistematicamente della tecnica di iniziare il brano in una falsa tonalità, mimetizzando la tonica. Questo principio illustra bene la propensione tipicamente haydniana a suscitare sorpresa nell'ascoltatore, tendenza che si ritrova ampiamente in Beethoven: l'ultimo movimento del Quarto concerto per pianoforte, ad esempio, sembra, per qualche battuta, iniziare in do maggiore, prima di stabilire chiaramente la tonica (sol). Haydn è anche il primo a essersi dedicato alla questione dell'integrazione della fuga nella forma sonata; questione alla quale ha risposto specificamente impiegando la fuga come sviluppo. In quest'ambito, prima di mettere a punto nuove metodiche (che non appariranno prima della Sonata op. 111 e del Quartetto op. 131), Beethoven sfrutterà più volte le intuizioni del suo maestro: l'ultimo movimento della Sonata op. 101 e il primo della op. 106 ne sono probabilmente chiari esempi.

    L'influenza di Mozart
    Dal 1800, l'influenza di Mozart su Beethoven appare più formale che estetica.

    Occorre distinguere nell'influenza di Mozart su Beethoven un aspetto estetico e un aspetto formale:

    * L'estetica mozartiana si manifesta principalmente nelle opere del "primo periodo", ma superficialmente, poiché l'influenza del maestro si riduce il più delle volte a prestiti di formule stereotipate. Fin circa al 1800 la musica di Beethoven s'iscrive più che altro ora nello stile postclassico ora nel preromantico, all'epoca rappresentato da compositori come Clementi e Hummel: uno stile che imita Mozart soltanto in superficie, e che si potrebbe qualificare come "classicheggiante" piuttosto che veramente "classico" (secondo l'espressione di Rosen).
    * L'aspetto formale dell'influenza di Mozart si manifesta quasi esclusivamente a partire dalle opere del "secondo periodo". Nella scrittura di concerti, il modello di Mozart sembra più presente: nel primo movimento del Concerto per pianoforte n. 4, l'abbandono della doppia esposizione della sonata (orchestra e solista in successione) a vantaggio di un'unica esposizione (orchestra e solista simultanei) riprende in qualche modo l'idea mozartiana di fondere la presentazione statica del tema (orchestra) nella sua presentazione dinamica (solista). Più in generale, si può notare che Beethoven, nella sua propensione ad amplificare le code fino a trasformarle in elementi tematici a tutti gli effetti, si pone più sulla scia di Mozart che in quella di Haydn, nel quale invece le code si distinguono assai meno dalla ripresa.

    Le sonate per pianoforte di Clementi

    Nell'ambito della musica per pianoforte, è soprattutto l'influenza di Muzio Clementi a esercitarsi rapidamente su Beethoven, dal 1795, e a permettere alla sua personalità di affermarsi e fiorire autenticamente. Se tale influenza non è stata altrettanto profonda di quella delle opere di Haydn, la portata delle sonate per pianoforte del celebre editore non appare meno immensa nell'evoluzione stilistica di Beethoven, che le giudicava del resto superiori a quelle dello stesso Mozart. Alcune di esse, per la loro audacia, la loro potenza emozionale e l'innovativa concezione dello strumento, ispirano qualcuno dei primi capolavori di Beethoven; gli elementi che, per primi, distinguono lo stile pianistico del genio bonnese provengono per buona parte da Clementi.[senza fonte]

    Infatti, dagli anni 1780, Clementi sperimenta un nuovo impiego di accordi fino ad allora inusitati: le ottave, soprattutto, ma anche le seste e le terze parallele. Clementi arricchisce anche sensibilmente la scrittura pianistica, dotando lo strumento di una potenza sonora inedita, che deve aver certamente impressionato il giovane Beethoven: egli infatti, dopo le prime tre sonate, integrerà presto il procedimento clementiano nel proprio stile. Inoltre, l'uso delle indicazioni dinamiche, nelle sonate di Clementi, si estende: pianissimo e fortissimo divengono frequenti, e la loro funzione espressiva assume un'importanza considerevole. Anche in questo caso Beethoven coglie al volo le possibilità dischiuse da queste innovazioni e, dalla Patetica, questi principi appaiono definitivamente incorporati nel suo stile.

    Un altro punto in comune fra le prime sonate di Beethoven e quelle, contemporanee o anteriori, di Clementi è la loro estensione, piuttosto significativa per l'epoca: i lavori che ispirano il giovane musicista sono in effetti opere di vasto respiro, spesso formate da ampi movimenti. Vi si trovano le premesse di una nuova visione dell'opera musicale, ormai concepita per essere unica. Le sonate per pianoforte di Beethoven sono note per essere state in qualche modo il suo «laboratorio sperimentale», quello dal quale traeva le nuove idee che estendeva in seguito ad altre forme musicali, come la sinfonia. Infatti, come rimarca Marc Vignal, si trovano ad esempio importanti influenze delle sonate op. 13 n. 6 e op. 34 n. 2 di Clementi nell'Eroica.

    Händel e gli antichi

    Beethoven riteneva Händel (1685-1759) il più grande compositore della storia. Se ne ispirò in molte delle sue ultime opere, fra cui la Missa Solemnis e la Sonata per pianoforte n. 32.

    Assimilate le influenze «eroiche», intrapreso davvero un «nuovo cammino» nel quale sperava di impegnarsi, affermata definitivamente la propria personalità attraverso le realizzazioni di un periodo creativo che va dall'Eroica alla Settima, Beethoven smise di interessarsi alle opere dei contemporanei, e di conseguenza cessarono le loro influenze. Fra i contemporanei solo Cherubini e Schubert lo incantavano ancora; ma in nessun modo pensava di imitarli. Sprezzando l'intera opera italiana, e disapprovando fermamente il nascente romanticismo, Beethoven sentì allora il bisogno di volgersi ai «pilastri» storici della musica: Bach e Händel, ma anche i maestri rinascimentali, come Palestrina. Fra queste influenze, il posto di Händel è privilegiato: questi non ebbe indubbiamente mai ammiratore più fervido di Beethoven, che (riferendosi alla sua intera opera, che aveva appena ricevuto) esclamò «Ecco la verità!», e che, al termine della vita, dichiarò di volersi «inginocchiare sulla sua tomba». Dall'opera di Händel, la musica dell'ultimo Beethoven prende spesso un aspetto grandioso e generoso, tramite l'utilizzo di ritmi punteggiati — come nel caso dell'introduzione della "Sonata per pianoforte n. 32", nel primo movimento della "Nona Sinfonia" o ancora nella seconda "Variazione su un tema di Diabelli" — o anche per un certo senso dell'armonia, così come mostrano le prime misure del secondo movimento della "Sonata per pianoforte n. 30", interamente armonizzata nello stile händeliano più puro.

    Allo stesso modo è l'inesauribile vitalità che caratterizza la musica di Händel ad affascinare Beethoven, che può essere ritrovata anche nel fugato corale in «Freude, schöner Götterfunken», che segue il celebre «Seid umschlungen, Millionen», nel finale della "Nona Sinfonia": il tema che appare qui, bilanciato da un forte ritmo ternario, è sostenuto da una semplicità ed una vivacità tipicamente Händeliana, perfino nei suoi gravi contorni melodici. Un nuovo passo viene fatto con la "Missa Solemnis", dove l'impronta delle grandi opere corali di Händel si fa sentire più che mai. Beethoven è così assorbito dall'universo del "Messiah" da ritrascrivere, nota per nota, uno dei più celebri motivi dell' "Halleluja" nel "Gloria". In altre opere, si ritrova il nervosismo che riveste i ritmi punteggiati di Händel perfettamente integrato allo stile di Beethoven, come nell'effervescente "Grande fuga" o ancora nel secondo movimento della "Sonata per Pianoforte n. 32", dove questa influenza si vede poco a poco trasfigurata.

    Infine, è anche nel settore della Fuga che l'opera di Häendel impregna Beethoven. Se gli esempi del tipo scritti dall'autore del "Messie" si basano su un controllo perfetto tecniche di contrappunto, si fondano generalmente su temi semplici e seguono un avanzamento che non pretende all'elaborazione estrema di fughe di Bach. È ciò che ha dovuto soddisfare Beethoven, che da un lato condivide con Häendel la preoccupazione di costruire opere intere a partire da un materiale quanto più semplice possibile, e che d'altra parte non possiede le predisposizioni per il Contrappunto che gli permetterebbe di cercare una sofisticazione eccessiva.

    L'influenza kantiana

    Il compositore aggiunse alla sua musica una formazione culturale di impronta illuministica, kantiana in particolare[53]. Dal filosofo Beethoven trasse la concezione dell'esistenza, nella coscienza individuale, di una legge morale, espressa nella forma dell'imperativo categorico. Egli mise allora il risultato della propria essenziale attività, la musica, al centro della morale, inserendovi valori ideali, arricchendola di una forza emotiva che esprimesse il movimento dei sentimenti e i conflitti interiori. Dallo stesso autore deiFondamenti metafisici della scienza della natura annotò questo passo: «Nell'anima, come nel mondo fisico, agiscono due forze, egualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione.» che lo portarono a individuare per analogia il "Widerstrebende Prinzip" e il "Bittende Prinzip", ossia il "principio di opposizione" e il "principio implorante", principi che nella sua opera divengono temi musicali in conflitto reciproco, il primo robustamente caratterizzato da energia ritmica e precisa determinazione tonale, l'altro piano, melodico e modulante.

    Tematiche religiose nell'opera beethoveniana

    Il ruolo svolto dalla religione nell'opera del compositore Ludwig van Beethoven è materia di discussione tra gli studiosi. Beethoven nacque e crebbe da cattolico, e compose molti lavori religiosi, tra cui la Messa in Do e la Missa Solemnis. I riferimenti lirici nella sua Nona Sinfonia sono sia deistici (Cherubino, Dio) sia pagano-mitologici (Eliseo). È anche documentato che Beethoven non andava abitualmente in chiesa e che non aveva una buona opinione dei preti. Il suo maestro, Franz Joseph Haydn, disse di considerare Beethoven un ateo, mentre il suo amico e biografo Anton Felix Schindler riteneva che avesse una certa tendenza al deismo. Si sa anche che fu affascinato dal Panteismo descritto da Goethe e da Schiller (come è evidente nella Nona Sinfonia). Di Goethe, Beethoven ha detto: «Egli è vivo, e vuole che tutti noi viviamo con lui. Questo è il motivo per cui può esser messo in musica».

    La fede di Beethoven in Dio, sperimentato attraverso l'arte, è un tema ricorrente nei Quaderni di Conversazione, e la sua convinzione che l'arte è di per sé una forza, e che "Dio è più vicino a me che a molti altri che praticano la mia arte", lo guidò nella sua ricerca di redenzione attraverso la musica, e dentro di essa. Questa visione sembra compatibile con il Panteismo, ma il riferimento a un unico Dio, oltre alla convinzione di un destino buono per la sua vita, al di là delle prove (come emerge dal Testamento di Heilingstadt), la rende avvicinabile anche al Cristianesimo.

    Quando Beethoven si trovava nel suo letto, a poche ore dalla morte, i suoi amici lo convinsero a permettere che un prete gli amministrasse gli ultimi riti. Probabilmente protestò, ma alla fine acconsentì. Quando il prete, terminati i riti, stava lasciando la stanza, Beethoven disse: «Applaudite, amici, la commedia è finita», ma non è chiaro se si riferisse ai riti o alla sua vita. Non è neanche certo che questo episodio sia accaduto davvero. Si racconta inoltre che le sue ultime parole, «Non ancora! Ho bisogno di più tempo», furono dette indicando con la mano il cielo tempestoso.

    È noto che Beethoven, nei suoi ultimi anni, si riferiva alla Missa Solemnis come al "coronamento dell'opera della sua vita". Questa messa è composta rispettando gli standard delle messe cattoliche in musica: vale a dire che ha musicato l'antichissimo Ordinarium Missae come fecero Schubert, Bruckner e tantissimi altri compositori. Tuttavia, ciò non prova che Beethoven morì da cattolico, o almeno non più di quanto l'aver scritto Le Creature di Prometeo dimostra che sia morto credendo nel pantheon greco.

    Secondo alcuni, Beethoven si interessò anche all'Induismo. Come si legge nel sito A Tribute to Hinduism, «Il primo a fargli conoscere la letteratura indiana fu l'orientalista austriaco Joseph von Hammer-Purgstall (1774-1856), che fondò una rivista per la divulgazione della sapienza orientale in Europa nel gennaio 1809». I frammenti di testi religiosi indiani che sono stati scoperti nel diario di Beethoven Tagebuch sono in parte traduzioni e in parte adattamenti delle Upanishad e del Bhagavad Gita.



    Opere
    Musica sinfonica .

    * Sinfonie

    Haydn ha composto più di cento sinfonie e Mozart più di quaranta. Rispetto a quest'ultimi, Beethoven non è stato altrettanto prolifico, componendo solo nove sinfonie, e lasciando alcuni abbozzi per una decima sinfonia mai realizzata; questa discrepanza tra il numero delle sue sinfonie rapportate a quelle dei suoi diretti precedessori è data dalla sua volontà e scelta di comporre prediligendo la qualità rispetto alla quantità dei suoi lavori. A riprova di questa considerazione basta prendere in esame l'intera produzione compositiva di Beethoven raffrontandola a quelle di altri compositori; ad esempio l'intera produzione di Mozart consta di oltre 600 opere (il Catalogo Köchel giunge fino all'opera K 626) mentre Beethoven, seppur vissuto quasi il doppio degli anni di Mozart, ci ha lasciato un catalogo di opere che arriva solo fino al numero d'opera 139 (Catalogo Kinsky/Halm). Le nove sinfonie di Beethoven quindi, pur non essendo molte, hanno però ognuna una propria forza distintiva e insieme alle altre sinfonie sembrano aver creato un corpus di opere dalla forza espressiva difficilmente eguagliabile. É cosa nota che curiosamente, diversi compositori succeduti a Beethoven, romantici o post-romantici, abbiano completato l'insieme delle proprie sinfonie fermandosi alla nona; che sia un caso o sia una scelta voluta forse in omaggio proprio a Beethoven, non ci sono certezze, però a seguito di questi avvenimenti è nata il mito della "maledizione della nona" legata appunto all'ultima cifra d'opera delle sinfonie di una lista di molti compositori, dei quali Beethoven ne è il precursore: Beethoven, Bruckner, Dvorak, Mahler, Schubert, ma anche Ralph Vaughan Williams.

    Le prime due sinfonie di Beethoven sono d'ispirazione e d'impostazione classica. Diversamente da queste prime due, La 3ª sinfonia, detta «Eroica», segnerà invece un grande cambiamento nella composizione sinfonica e orchestrale. L'Eroica si caratterizza per l'ampiezza dei suoi movimenti e per l'orchestrazione. Il primo movimento era già da solo più lungo di una qualsiasi intera sinfonia scritta fino a quel momento. Quest'opera monumentale, in partenza scritta per Napoleone, prima che fosse incoronato imperatore, ci mostra un Beethoven simile ad grande "architetto musicale" e rimarrà come esempio per il Romanticismo musicale. Nell'intenzione dell'autore l'opera non è semplicemente il ritratto di Napoleone o di un qualsivoglia eroe, ma in essa Beethoven voleva rappresentare l'immortalità delle gesta compiute dai grandi uomini; questi suoi pensieri ci sono giunti dalle lettere scritte di suo pugno.

    Vengono poi la 5ª sinfonia e la 6ª sinfonia che possono avvicinarsi alla terza per il loro aspetto monumentale[perché?]. Della quinta è noto il suo famoso motivo a quattro note, spesso detto «del destino» (il compositore avrebbe detto, parlando di questo celebre tema, che rappresenta «il destino che bussa alla porta») utilizzato ripetutamente con variazioni in quasi tutta la sinfonia. La 6ª sinfonia detta «Pastorale» evoca perfettamente l'idea della natura di Beethoven. Ha un carattere quasi impressionistico: oltre a momenti sereni e trasognati, la sinfonia possiede un movimento in cui la musica cerca di rappresentare una tempesta.


    La 7ª sinfonia è caratterizzata dal suo aspetto gioioso e dal ritmo frenetico del suo finale, per questo giudicata da Richard Wagner come Apoteosi della danza. La sinfonia successiva, brillante e spirituale, ritorna ad una forma più classica.

    Infine, la 9ª sinfonia è l'ultima sinfonia compiuta. Lunga più di un'ora, è una sinfonia in quattro movimenti che non rispetta la forma di sonata. All'ultimo movimento Beethoven aggiunge un coro ed un quartetto vocale che cantano l' Inno alla Gioia, un'ode di Friedrich Schiller. Quest'opera richiama all'amore e alla fratellanza tra tutti gli uomini e fa ora parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO. L' Inno alla Gioia è inoltre stato scelto come inno europeo.

    *
    o Sinfonia n. 1 in Do maggiore, op. 21 (1800)
    o Sinfonia n. 2 in Re maggiore, op. 36 (1802)
    o Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore, op. 55 "Eroica" (1804)
    o Sinfonia n. 4 in Si bemolle maggiore, op. 60 (1806)
    o Sinfonia n. 5 in do minore, op. 67 (1808)
    o Sinfonia n. 6 in Fa maggiore, op. 68 "Pastorale" (1808)
    o Sinfonia n. 7 in La maggiore, op. 92 (1812)
    o Sinfonia n. 8 in Fa maggiore, op. 93 (1813)
    o Sinfonia n. 9 in re minore, op. 125 "Corale" (1824)
    * Ouvertures
    o Le Creature di Prometeo, (balletto), op. 43 (1801)
    o Ouverture Leonore I, op. 138 (1805)
    o Ouverture Leonore II, op. 72 (1805)
    o Ouverture Leonore III, op. 72a (1806)
    o Coriolano (ouverture) op. 62 (1807)
    o Egmont - Ouverture e musica di scena, op. 84 (1810)
    o Le Rovine di Atene, op. 113 (1811)
    o Re Stefano, op. 117 (1811)
    o Ouverture Fidelio, op. 72b (1814)
    o Ouverture Zur Namensfeier, op. 115 (1815)
    o La consacrazione della casa (Die Weihe des Hauses), op. 124 (1822)
    * Altre Opere
    o Romanza per violino n° 1, op. 40, in Sol Maggiore (1802)
    o Romanza per violino n° 2, op. 50, in Fa Maggiore (1802)
    o Fantasia per piano, coro e orchestra, op. 80 (1808)
    o La vittoria di Wellington, op. 91, in Mi bemolle Maggiore (1813)
    * Concerti per pianoforte e orchestra
    o Concerto n. 1 in Do maggiore, op. 15 (1798)
    o Concerto n. 2 in Si bemolle maggiore, op. 19 (1795)
    o Concerto n. 3 in do minore, op. 37 (1802)
    o Concerto n. 4 in Sol maggiore, op. 58 (1806)
    o Concerto n. 5 in Mi bemolle maggiore, op. 73 "Imperatore" (1809)
    * Altri concerti
    o Triplo concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra in Do maggiore, op. 56 (1804)
    o Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, op. 61 (1806)

    Musica per pianoforte

    * Sonate

    Riconosciuto molto presto quale maestro nell'arte del pianoforte, il compositore s'interesserà attentamente, nel corso della sua esistenza, a tutti gli sviluppi tecnici dello strumento al fine di sfruttarne tutte le possibilità.

    Seguendo la catalogazione mediante il numero di Opus assegnato da Beethoven stesso, si dice che Beethoven abbia scritto 32 sonate per pianoforte, ma esistono 35 sonate per piano interamente compiute. Le prime tre consistono nelle sonate per piano WoO 47, composte nel 1783 e dette Sonate all'Elettore (Kurfürstensonaten). Per quanto riguarda le 32 sonate con numero di Opus, la loro composizione avviene nel lasso di una ventina d'anni. Questo insieme, oggi considerato come una parte principale del repertorio allo strumento, testimonia, in modo più evidente rispetto alle sinfonie, l'evoluzione dello stile del compositore nel corso degli anni. Le sonate, di forma classica inizialmente, si sganciano man mano da questa forma; in esse Beethoven si diverte a cominciare o concludere una composizione con un movimento lento (come per esempio nella celebre sonata detta «al Chiaro di Luna»), a iscriverci una fuga (vedi ultimo movimento della Sonata n. 31 in La Bemolle Maggiore, Op. 110), o a chiamare sonata una composizione a due movimenti (vedi Sonate n. 19 e 20, Op. 49, 1-2).


    Gradualmente le composizioni guadagnano sempre più libertà di scrittura e diventano sempre più complesse e costruite. Si possono citare fra le più celebri l' Appassionata e la Waldstein (1804) o Gli Addii (1810). Nella celebreHammerklavier (1819), lunghezza e difficoltà tecniche raggiungono proporzioni tali da mettere in gioco le possibilità fisiche tanto dell'interprete quanto dello strumento, ed esigono un'attenzione sostenuta da parte dello spettatore. Essa fa parte delle cinque ultime sonate, nelle quali l'Autore abbandona il rigore della forma-sonata (che egli stesso aveva portato a compimento) e sperimenta altre architetture sonore, come la fuga (finale opp. 101, 106 e 110) e la variazione (finale opp. 109 e 111): in questi ultimi due brani, in particolare, al dinamismo tipico del periodo "eroico" subentra una calma estatica e apparentemente atemporale. Le ultime cinque sonate costituiscono un punto culminante della letteratura pianistica. L'«ultima maniera» di Beethoven, associata all'ultimo periodo della vita del maestro, rappresenta la manifestazione più acuta del suo genio. La variazione del secondo movimento dell'opera 111 anticipa di circa un secolo i temi deljazz e dello swing, risultando talmente ostica ai suoi contemporanei da essere per vari decenni considerata un vero e proprio "refuso" dovuto allo stato di sordità del compositore.[senza fonte]

    *
    o Tre Sonate op. 2 (n. 1 in fa minore, n. 2 in La maggiore, n. 3 in Do maggiore) (1795)
    o Sonata n. 4 in Mi bemolle Maggiore, op. 7 (1797)
    o Tre Sonate op. 10 (n. 5 in do minore op. 10,1, n. 6 in Fa maggiore op.10,2, n. 7 in Re maggiore op. 10,3) (1798)
    o Sonata n. 8 in do minore op. 13 "Patetica" (1799)
    o Due sonate op. 14 (n. 9 in Mi maggiore op. 14, 1, n. 10 in Sol maggiore op. 14,2 (1799)
    o Sonata n. 11 in Si bemolle maggiore op. 22 (1800)
    o Sonata n. 12 in La bemolle maggiore op. 26 (1801)
    o Due sonate op. 27 (n. 13 in Mi bemolle maggiore op. 27, 1[57], n. 14 in do diesis minore op. 27,2 "Chiaro di luna") (1801)
    o Sonata n. 15 in Re maggiore op. 28 "Pastorale" (1801)
    o Tre sonate op. 31 (n. 16 in Sol maggiore op. 31,1, n. 17 in re minore op. 31,2 "la Tempesta", n. 18 op.31,3 in Mi bemolle maggiore "la caccia" (1802)
    o Due sonate[59] op. 49 (n. 19 in sol minore op. 49,1, n. 20 in Sol maggiore op. 49,2 (1798)
    o Sonata n. 21 in Do maggiore op. 53 "Aurora" (1803)
    o Sonata n. 22 in Fa maggiore op. 54 (1804)
    o Sonata n. 23 in fa minore op. 57 "Appassionata" (1805)
    o Sonata n. 24 in Fa diesis maggiore op. 78 (1809)
    o Sonata n. 25 in Sol maggiore op. 79 (1808)
    o Sonata n. 26 in Mi bemolle maggiore op. 81a "gli Addii" (1810)
    o Sonata n. 27 in mi minore op. 90 (1814)
    o Sonata n. 28 in La maggiore op. 101 (1816)
    o Sonata n. 29 in Si bemolle maggiore op. 106 "Hammerklavier" (1818)
    o Sonata n. 30 in Mi maggiore op. 109 (1820)
    o Sonata n. 31 in La bemolle maggiore op. 110 (1821)
    o Sonata n. 32 in do minore op. 111 (1822)

    * Variazioni

    Accanto alle 32 sonate, non bisogna dimenticare le Bagatelle, tra le quali la più conosciuta è Per Elisa. Infine, nel 1822, l'editore e compositore Anton Diabelli ebbe l'idea di riunire in una raccolta pezzi dei compositori maggiori della sua epoca intorno ad un tema musicale di sua composizione. L'insieme di queste variazioni doveva servire come panorama musicale dell'epoca; Beethoven, che non aveva scritto per piano da tempo, sollecitato stette al gioco, e invece di scrivere una variazione, ne scrisse 33, che furono pubblicate in un fascicolo a parte, le Variazioni Diabelli. È da tener presente che oltre a queste variazioni (Op. 120), Beethoven ha scritto altre 19 serie di Variazioni di varia importanza. Si possono ricordare quelle a cui Beethoven ha attribuito un numero d'Opus: le 6 Variazioni su di un tema originale in RE maggiore Op. 76, le "6 Variazioni su di un tema originale in FA maggiore" Op.34 (Variazioni su Le rovine di Atene), le "32 variazioni da un tema proprio" WoO 80, le "15 Variazioni e Fuga sul tema di un movimento dell'Eroica in MI bemolle maggiore", Op. 35.

    *
    o Sei variazioni sopra un tema originale in Fa maggiore op. 34 (1802)
    o Quindici Variazioni, in Mi bemolle maggiore op. 35 «Eroica» (1802)
    o Sette Variazioni sopra God save the King in Do maggiore WoO 78 (1803)
    o Cinque Variazioni sopra Rule, Britannia! in Re maggiore WoO 79 (1803)
    o Trentadue variazioni sopra un tema originale in do minore WoO 80 (1806)
    o Trentatré variazioni sopra un valzer di Diabelli in Do maggiore op. 120 (1823)

    * Bagatelle
    o Sette bagatelle, op. 33 (1802)
    o Bagatella «Per Elisa», in La minore, WoO 59 (1810)
    o Undici bagatelle, op. 119 (1822)
    o Sei bagatelle, op. 126 (1824)

    Musica da camera


    * Quartetti d'archi

    Il quartetto d'archi era stato reso popolare da Boccherini, Haydn e infine Mozart, ma è Beethoven il primo a farne un uso estensivo. I sei ultimi quartetti e in particolare la Grande Fuga costituiscono per l'epoca il vertice del genere. Dopo Beethoven, il quartetto d'archi non cessò di essere un passaggio obbligato per tutti i compositori classici, e uno degli apici più elevati fu senz'altro raggiunto da Schubert. È nondimeno nei quartetti di Bartók che si rinviene l'influenza più profonda e meglio assimilata dei quartetti beethoveniani; si può dunque parlare di una linea Haydn - Beethoven - Bartók: tre compositori che condividono per molti versi la stessa concezione della forma, del motivo e del suo utilizzo, particolarmente in questo genere.

    *
    o Sei quartetti op. 18 (in Fa maggiore, Sol maggiore, Re maggiore, do minore, La maggiore, Si bemolle maggiore) (1798-1800)
    o Quartetti d'Archi n. 7 - 9, Op. 59 - Rasumovsky (in Fa maggiore, mi minore, Do maggiore) (1806)
    o Quartetto in Mi bemolle maggiore op. 74 "delle Arpe" (1809)
    o Quartetto in fa minore op. 95 "Serioso" (1810)
    o Quartetto in Mi bemolle maggiore op. 127 (1824)
    o Quartetto in Si bemolle maggiore op. 130 (1825)
    o Quartetto in do diesis minore op. 131 (1826)
    o Quartetto in la minore op. 132 (1825)
    o Quartetto in Fa maggiore op. 135 (1826)
    o Grande fuga in Si bemolle maggiore op. 133 (1825)

    * Sonate per violino e pianoforte

    A fianco dei quartetti, Beethoven scrisse delle sonate per violino e pianoforte, le prime delle quali sono retaggio immediato di Mozart, mentre le ultime se ne discostano per apparire in puro stile beethoveniano: specialmente la Sonata a Kreutzer, quasi un concerto per pianoforte e violino. L'ultima sonata della serie (la Sonata per violino n. 10) riveste un carattere più introspettivo delle precedenti, prefigurando in questo senso gli ultimi quartetti d'archi.

    *
    o Tre sonate op. 12 (in Re maggiore, La maggiore e Mi bemolle maggiore) (1798)
    o Sonata in la minore op. 23 (1801)
    o Sonata in Fa maggiore op. 24 "la Primavera" (1801)
    o Tre sonate op. 30 (In La maggiore, do minore e Sol maggiore) (1802)
    o Sonata in La maggiore op. 47 "A Kreutzer" (1803)
    o Sonata in Sol maggiore op. 96 (1812)

    * Sonate per violoncello e pianoforte
    o Due sonate op. 5 (in Fa maggiore e sol minore) (1796)
    o Sonata in La maggiore op. 69 (1808)
    o Due sonate op. 102 (in Do maggiore e Re maggiore) (1815)

    * Trii per pianoforte, violino e violoncello
    o Tre trii op. 1 (in Mi bemolle maggiore, in Sol maggiore e Do minore) (1794)
    o Trio per clarinetto (o violino, violoncello e pianoforte in Si bemolle maggiore op. 11 (1798)
    o Due trii op. 70 (in Re maggiore "degli Spettri" e in Mi bemolle maggiore) (1808)
    o Trio in Si bemolle maggiore op. 97 "Arciduca" (1811)

    * Opere diverse
    o Trio d'archi in Mi bemolle maggiore op. 3 (1792)
    o Tre trii d'archi op. 9 (in Sol maggiore, Re maggiore e do minore) (1798)
    o Quintetto d'archi in Mi bemolle maggiore op. 4 (1796)
    o Quintetto d'archi in Do maggiore op. 29 (1801)
    o Quintetto d'archi in do minore op. 104 (1817)
    o Sonate per corno e pianoforte in Fa maggiore op. 17 (1800)
    o Settimino per clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello e contrabbasso in Mi bemolle maggiore op. 20 (1800)

    Musica vocale

    * Opere

    Beethoven sarà poi l'autore di un'unica opera, Fidelio, opera alla quale terrà di più, e certamente quella che gli è costata più sforzi. In effetti quest'opera è costruita sulla base di un primo tentativo che ha per titolo Leonore, opera che non ha riscosso molto successo nel pubblico. Ne rimangono comunque le tre versioni d'ouverture di Leonore, essendo spesso la terza interpretata prima del finale di Fidelio.

    *
    o Fidelio, op. 72 (1805-1814)

    * Musica sacra
    o Cristo sul Monte degli Ulivi, oratorio, op. 85 (1801)
    o Messa in do maggiore, op. 86 (1807)
    o Missa Solemnis, in re maggiore, op. 123 (1818-1822)

    * Melodie
    o Adelaide, op. 46 (1796)
    o Sei Lieder su poesie di Goethe, op. 75 (1809)
    o Tre lieder su poesie di Goethe, op. 83 (1810)
    o A la speranza, lied, op. 94 (1813)
    o A l'adorata lontana, ciclo di Lieder, op. 98 (1816)


    Beethoven e il cinema

    La filmografia su Ludwig van Beethoven si può agevolmente dividere in due parti distinte. La prima riguarda le colonne sonore dei film nelle quali sono state utilizzate musiche del compositore, la seconda riguarda il personaggio di Beethoven e la sua vita (o parti di essa) trasposta più o meno fedelmente.

    Per quanto riguarda le colonne sonore, sono oltre 270 le pellicole che hanno utilizzato la sua musica. L'esempio più celebre con ogni probabilità lo si trova in Arancia meccanica di Stanley Kubrick (1971) dove Alex De Large, il protagonista, violento e asociale e grande appassionato di Beethoven (finisce ogni serata con l'ascolto del secondo movimento della Nona Sinfonia) viene sottoposto alla "Cura Ludovico", ossia la visione ininterrotta di filmati raffiguranti scene raccapriccianti e violente, attraverso le quali, tramite un condizionamento chimico, il protagonista riuscirà a trasformarsi, provando disgusto per la violenza. Uno dei filmati, che rappresenta un campo di concentramento, porta come accompagnamento musicale il quarto movimento della Nona Sinfonia (l'Inno alla Gioia) che in seguito non riuscirà più ad ascoltare. Lo stesso pezzo si può sentire in una scena di Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, quando il guardiano del cimitero di Buffalora Francesco Dellamorte (Rupert Everett) spara verso un gruppo di ragazzi.

    Un altro celebre esempio lo si trova nel film d'animazione Fantasia (1940) di Walt Disney dove viene utilizzata la Sinfonia n. 6 "Pastorale" per rappresentare un'idilliaca scena mitologica. Inoltre, nel film per famiglie di grande successo Beethoven (1992) di Brian Levant il protagonista, un cane di razza San Bernardo adottato da una famiglia statunitense e al centro di numerose avventure, viene chiamato con il cognome del compositore. Dopo la scelta del nome, partono le prime note della Quinta Sinfonia con un'immagine di Beethoven sullo sfondo.

    Alcuni altri esempi di colonne sonore sono:

    * Elephant (Gus van Sant, Palma d'oro a Cannes nel 2003) è una pellicola composta da pochi dialoghi con soltanto due pezzi come accompagnamento sonoro, Per Elisa e Sonata al chiaro di luna;
    * Equilibrium di Kurt Wimmer che utilizza il primo movimento delle nove sinfonie di Beethoven che hanno lo scopo di trasmettere un'emozione forte visto che la pellicola è basata su un'assenza di emozioni;
    * in V per Vendetta dei fratelli Wachowski, si può notare il primo movimento della Quinta sinfonia di Beethoven ad un momento della pellicola.
    * Nell'episodio 24 di Neon Genesis Evangelion, intitolato L'ultimo messaggero sacrificale, è possibile udire la corale della Nona sinfonia.

    La vita di Beethoven ha ispirato una trentina di film a partire dal periodo muto (dal 1918): tra questi sono da citare:

    * Un grand amour de Beethoven, film francese diretto da Abel Gance (1936) ;
    * Eroica, film austriaco del 1949 diretto da Walter Kolm-Veltée, con Ewald Balser nella parte del compositore ;
    * Sinfonia del destino, diretto da Georg Dressler nel 1962;
    * Beethoven lives upstairs, diretto da Barbara Nichol e Scott Cameron nel 1989;
    * Rossini! Rossini!, diretto da Mario Monicelli nel 1990, parte che in seguito sarà tagliata nel montaggio definitivo;
    * Immortal Beloved, distribuito in Italia con il titolo Amata immortale e in Francia con il titolo Ludwig van B. diretto da Bernard Rose nel 1994;
    * Musikanten, diretto da Franco Battiato nel 2005, dove il compositore è interpretato dal regista Alejandro Jodorowsky;
    * Io e Beethoven, diretto da Agnieszka Holland nel 2006 e distribuito in Italia con il titolo Io e Beethoven, storia del compositore (Ed Harris) e della sua passione amorosa per la sua assistente copista Anna Holtz (Diane Kruger).
    * Lezione Ventuno, film del 2008 diretto da Alessandro Baricco, nel quale viene messa in discussione l'artisticità della nona sinfonia.






    Monlight -Piano Sonata No. 14 In C Sharp Minor, Op. 27/2 - Sonata Adagio: Sostenuto

     
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  2. tomiva57
     
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    Sinfonia n. 3




    Performance of second movement of Beethoven's 7th symphony. Performed by the Amarillo

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    Sviatoslav Richter plays Beethoven Sonata No. 1 in F minor, op. 2, no. 1 (1/3)





    Sviatoslav Richter plays Beethoven Sonata No. 1 in F minor, op. 2, no. 1 (2/3)

     
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    Beethoven e Waldstein: all’ombra del Deutsch Ritterorden

    Ferdinand von Waldstein (1762-1823), quarto figlio di Philibert Waldstein e della principessa Marianne Liechtenstein, effettua a Malta il noviziato presso il Deutsch Ritterorden (l’Ordine dei cavalieri teutonici) nel periodo 1784-86, che poi continua a Ellingen. Nel gennaio 1788 giunge a Bonn, presso la corte asburgica di Max Franz, Gran Maestro dell’Ordine (oltre che fratello di Giuseppe II), dove viene solennemente ordinato cavaliere nel giugno di quell’anno. A Bonn conosce e apprezza fin dall’inizio il giovane organista Ludwig van Beethoven, allora diciottenne, e lo prende sotto la propria ala protettrice. L’incontro avviene probabilmente a casa Breuning, abitazione assiduamente frequentata dal giovane pianista il quale avrà in Stephan von Breuning (1774-1827), uno dei suoi amici più cari e duraturi. Anche quest’ultimo aderirà in seguito all’Ordine Teutonico.
    Quando agli inizi del 1790 muore l’imperatore Giuseppe II viene commissionata a Beethoven una Cantata in onore del defunto, opera che realizza rapidamente e con esiti stupefacenti, considerando che si tratta di un giovane ancora inesperto di contrappunto e con acerbe nozioni di composizione. Sembra sia stata la Lese Gesellschaft a incaricare l’esordiente ma è probabile che si tratti di un banco di prova per Beethoven, nuovo adepto all’interno delle cerchie esoteriche dell’elettorato. Perché incaricare un giovanissimo per un compito tanto solenne? Nessuno in realtà commemora il largamente odiato imperatore a Vienna, la cui morte è certamente bene accolta da un’aristocrazia conservatrice che ha dovuto subire le sue audaci riforme di stampo massonico. Ma lontano dalla capitale, a Bonn, la percezione è differente. In ogni caso l’incarico non viene dato, come parrebbe logico, al Kapellmeister Andrea Luchesi, né agli altri compositori “ufficiali” della cappella musicale, bensì al promettente organista il quale realizza, probabilmente con l’aiuto di altri (forse proprio di Luchesi, esperto operista e autore di musica sacra), un compitino massonico in piena regola.



    Sopra il testo di Averdonk - denso di palesi simboli della liberamuratoria - il compositore inizia con un cupo coro in do minore (tonalità massonica, per via delle tre alterazioni), il cui tema iniziale riciclerà proprio nel Fidelio ovvero nel lavoro esemplare quanto a valori liberali e progressisti; la terza aria (affidata al soprano) si colloca nella massonica tonalità di mi bemolle maggiore e ad essa segue la ripresa conclusiva del coro iniziale in do minore. Il testo ci racconta di un eroico Giuseppe II che sconfigge l’oscuro mostro del “fanatismo”, “emerso dalle profondità dell’Inferno”, ossia i vecchi pregiudizi della Tradizione, e che ha pertanto riportato “gli uomini alla luce”, rendendo “più felice la terra”. Insomma le classiche tematiche, care alle logge, della Notte e del Giorno, del Buio e della Luce, trovano una prima, generica realizzazione in questo lavoro giovanile. Per un lungo periodo Beethoven farà di esse l’asse portante della propria poetica: un percorso drammatico che si snoda dalla lacerante incertezza alla fulgida Gioia è quello che caratterizza tutte le sue creazioni più popolari, dalla Quinta sinfonia alla Sonata op. 53 (non a caso dedicata al conte Waldstein), dal Fidelio alla Nona sinfonia.
    Qualche mese dopo la medesima coppia Beethoven - Averdonk viene incaricata, forse da Max Franz, di comporre un brano musicale per le celebrazioni dell’inizio ufficiale del regno di Leopoldo II. In contemporanea con la festa dell’incoronazione, tenutasi a Francoforte (ottobre 1790), nasce la Cantata per l’elevazione al trono del nuovo imperatore. Non sappiamo se tale brano fu realmente eseguito a Bonn; quello che invece ci colpisce è la qualità alta (peraltro già in parte presente nella precedente Cantata) della scrittura vocale e orchestrale, una qualità che la musica di Beethoven ritroverà allo stesso livello solo con il Fidelio (1805) e con le opere dell’ultimo periodo (Nona sinfonia, Missa solemnis). Il compositore, a lungo incerto nella scrittura vocale, al punto di chiedere consigli al Kapellmeister Salieri, dimostra in questa sede una perfetta padronanza stilistica nella conduzione delle voci e nel loro inserimento in complessi tessuti orchestrali e corali.
    Per convincersene basta ascoltare i notevoli brani principali della Cantata ovvero l’aria per soprano, il terzetto e il coro conclusivo. Nella prima si nota una mirabile invenzione tematica (grande intensità mostrano sia il tema orchestrale, sia quello vocale) unita a una sicura capacità di piegare il registro vocale entro complessi disegni di natura strumentale, in un efficace dialogo con gli strumenti della compagine sinfonica; nel secondo (affidato a soprano, tenore e basso) si esprime un’austera solennità basata su uno stile imitativo e nel terzo ancora la scrittura imitativa (ora a quattro parti) si lega a un contesto giubilante e festoso che ritornerà simile nei finali del Fidelio e della Nona sinfonia.
    Se la Cantata giuseppina si snodava entro sicuri binari massonici, qui le allusioni alle logge sono pressoché assenti (non vi sono tonalità ”massoniche”, né ammiccamenti “ternari”) con l’eccezione del terzetto in cui si rievoca la grandezza del defunto imperatore (“Passata è la tempesta! Non piangete più, voi che Giuseppe chiamaste padre!”) nel quale, alle non casuali tre voci si associano i tre diesis della tonalità di la maggiore. Nel complesso, anche da questi dettagli simbolici si intuisce che l’avvento di Leopoldo II dovrà segnare l’inizio di un nuovo corso, assai meno “liberale” e “progressista”.
    Il terzo lavoro giovanile di un certo rilievo (prima della partenza per Vienna) è l’enigmatico Ritterballet WoO 1, una serie di otto danze cavalleresche (poco più che degli schizzi, piacevoli ma di scarsa consistenza musicale, per una durata di 10 min. circa) commissionate dal protettore Waldstein per uno spettacolo carnevalesco, tenutosi a Bonn nel marzo 1791. Il lavoro è dedicato alla storia, ai costumi e agli ideali dei Cavalieri Teutonici (tra gli altri si alternano il canto di caccia, quello conviviale, quello bellicoso, la marcia e il canto tedesco) e viene eseguito come se si trattasse di una composizione di Ferdinand Waldstein. La terza prova di fedeltà agli ideali massonici per il giovane compositore implica dunque anche una prova di umiltà e di obbedienza. E’ probabilmente questo il senso più profondo del cambio di attestazione: il musicista mostra di essere in grado di sottomettersi ai desideri di un superiore. Potrebbe trattarsi dell’ultima prova di Beethoven prima della definitiva ammissione entro le cerchie esoteriche degli Illuminati e dei Teutonici. A Bonn, in effetti, le due organizzazioni segrete di sovrappongono e gli aderenti all’una sono spesso aderenti anche all’altra; per entrambe, sottomesse alla volontà degli Asburgo, la finalità ultima è il rafforzamento del potere centrale seppur in un’atmosfera sociale rinnovata, nella quale la borghesia produttiva gioca un ruolo più significativo.



    Nell’estate 1791 la Cappella musicale segue l’elettore a Bad Mergentheim (a sud est di Francoforte), nella sede principale dell’Ordine Teutonico di cui, come si è detto, Max Franz è il Gran Maestro. Per circa quaranta giorni vi si svolge un Capitolo dell’Ordine ed è alquanto probabile che il Ritterballet venga nuovamente eseguito in questa più appropriata cornice.
    Negli stessi mesi il giovane Beethoven e il “famoso” Mozart ricevono un medesimo invito: comporre per un nobile, rinunciando alla propria firma. Che vi si presti l’esordiente Beethoven è cosa che non desta stupore: deve ingraziarsi i potenti che decidono delle cose musicali nell’Impero; che accetti invece Mozart, compositore ufficiale di corte, stimato pianista e noto operista nelle terre tedesche, è evento assai illogico. I musicologi, assorbiti dalle complesse problematiche insite nel Requiem (in sostanza chi ha scritto cosa in questa sofferta partitura) hanno dimenticato di chiedersi perché l’orgoglioso salisburghese si sia piegato a una simile umiliazione; né bastano le difficoltà economiche in cui versava il musicista ad offrire una spiegazione convincente, considerando poi il carattere anarcoide di Mozart. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che, come nel caso di beethoven, si sia trattato di una prova di obbedienza tragicamente fallita dall’autore. La Massoneria, indispettita dagli atteggiamenti ostinatamente individualistici di Mozart, deciso a non tradire gli ideali rivoluzionari degli Illuminati di Baviera, potrebbe avere spinto il conte Walsegg a imporre questa prova di sottomissione (alquanto sinistra, trattandosi poi di un Requiem) per ottenere dal salisburghese un gesto di obbedienza, che in definitiva non vi fu. Mozart trascurò la commissione, compose invece il provocatorio Flauto magico e finì ammazzato (dicembre 1791).
    Al contrario il giovane Beethoven dà prova di cieca obbedienza ed é dunque pronto a sostituire il salisburghese nello scenario della capitale. Waldstein e Max Franz lo presentano a Haydn (luglio 1792; in viaggio verso la capitale austriaca dopo i successi londinesi), affinché lo introduca in quell’ambiente, nelle medesime cerchie che proteggevano e sostenevano Mozart.
    In tal senso la famose righe di augurio scritte (nell’ottobre 1792) da Waldstein all’amico ricevono il proprio senso più completo. Vi si dice: “Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo alunno. Presso l’inesauribile Haydn trovò rifugio, ma non occupazione. Attraverso di lui anela ancora a incarnarsi. Grazie un’ininterrotta fatica, possa lei ricevere dalle mani di Haydn lo Spirito di Mozart”. Dunque Beethoven deve incarnare lo Spirito di Mozart sia in ambito musicale (nel quale ha per ora dato solo modeste prove di genialità, al punto che il paragone con Mozart appare decisamente azzardato), sia soprattutto in quanto cantore degli ideali massonici all’interno delle cerchie “illuminate” della capitale.
    Senza aver presente il suddetto quadro i primi passi viennesi del compositore apparirebbero stupefacenti in quanto, sebbene alle prime armi, egli può fruire di vaste e inaudite protezioni. Come ebbe a dichiarare l’amico Carl Czerny: “a nessun giovane artista capitò mai in sorte di godere di tanta protezione e rispetto”. Due figure chiave della biografia mozartiana, il bibliotecario van Swieten (appartenente alla setta degli Illuminati di Baviera) e il principe Lichnowsky, sono al fianco del giovane Beethoven. Il primo, in una lettera in cui l’umorismo cerca di mitigare il tono autoritario del superiore (in ambito massonico), scrive a Beethoven: “Se il prossimo mercoledì non ha impegni, desidererei vederLa da me alle otto e mezza di sera munito di berretto da notte. Mi risponda subito” (15 dicembre 1794). Il secondo lo ospita a casa propria e lo accompagna nel primo tratto di un lungo viaggio musicale (febbraio - luglio 1796) che tocca Praga, Dresda, Lipsia e Berlino, in sostanza il medesimo percorso fatto dal principe con Mozart nell’autunno 1789.



    Un esordio prudente

    La prima pubblicazione di Beethoven a Vienna consiste nelle 12 Variazioni per pianoforte e violino sull’aria “Se vuol ballare signor contino” WoO 40 (estate 1793) e rappresenta un gesto dai numerosi e arditi significati. Il pianista, mentre approfondisce gli studi sul contrappunto e sulla composizione in generale con differenti maestri, dà alle stampe una serie di Variazioni che si basano proprio sulla pagina più apertamente antinobiliare del Figaro mozartano, opera che, come é noto, alienò al salisburghese le simpatie della parte conservatrice dell’aristocrazia imperiale. Il legame con Mozart è dunque stabilito con forza, con sfacciataggine e non senza coraggio visto che l’atmosfera politica sotto Francesco II volgeva verso scenari decisamente reazionari che sfoceranno in due tappe fondamentali: l’abolizione di ogni forma di associazione massonica (2 gennaio 1795; divieto rimasto immutato fino a 1918) e il riesame censorio (1803) delle opere edite durante il periodo di Giuseppe II e Leopoldo II (1780-92). Ciononostante, qualche mese dopo l’esecuzione capitale di Luigi XVI (gennaio 1793) e qualche mese prima di quella dell’asburgica Maria Antonietta (ottobre 1793), Beethoven pubblica questo suo “lavoretto” che rievoca atteggiamenti giacobini. D’altronde non sembra neppure un’iniziativa presa in totale autonomia dal compositore in quanto nella lettera all’amica Eleonore von Breuning (novembre 1793), Beethoven scrive: “Troverà qui unita una mia dedica a lei relativa a un’opera che vorrei più importane e più degna di Lei. Hanno qui tanto insistito affinché pubblicassi questo lavoretto... “; dunque qualcuno sembra aver fatto pressione sul musicista così da presentarlo alla società viennese con una precisa collocazione ideale e politica.
    L’ufficiale Op. 1 vedrà la luce solo due anni più tardi, in quel 1795 che sancisce la definitiva svolta antimassonica del Potere. Il musicista ne prende atto ed evita, nella seconda metà del decennio, di comporre lavori espliciti e compromettenti in ambito politico. Non rinuncia però a parlare per simboli, linguaggio caro quest’ultimo all’universo delle logge e largamente utilizzato (tra gli altri) dal Mozart del Flauto magico (opera ben conosciuta da Beethoven). Ecco dunque apparire, nel 1796, i tre Trii op. 1, opera cameristica nella quale i giochi numerici imperniati sull’emblematico numero 3 (numero centrale nella dogmatica massonica) si sprecano. Tre sono i trii (numero inconsueto; in genere si pubblicavano cicli di sei o di dodici); tre gli strumenti in campo, per la prima volta resi “paritari” (in precedenza il violoncello veniva trascurato e ridotto a funzioni di sostegno) in omaggio al fondamentale dogma dell’ugualitarismo (la qual cosa implica, in subordine, un deciso rinnovamento stilistico); tre sono le alterazioni nel primo e nel terzo trio (in mi bemolle maggiore e in do minore, come si ricorderà le due tonalità protagoniste anche nella Cantata per Giuseppe II); le tre tonalità scelte per le composizioni (alle due citate si aggiunge sol maggiore) danno vita a un’ideale triade (di do minore).



    Nel primo trio poi la tripla ripetizione di incisi fondamentali è una vera ossessione che rende udibile, anche ai più distratti, il riferimento massonico: nell’Allegro è presente negli arpeggi del tema iniziale, nel motivo di transizione, nei tre accordi che introducono il secondo tema; nell’Adagio cantabile si ritrova nei tre la bemolle che segnano la testa del tema; nel Finale si colloca nuovamente in apertura, nella esuberante tripla ripetizione del salto di decima che caratterizza il tema principale; nello Scherzo invece il gioco delle ripetizioni è assente ma vi compare - quale cellula motivica fondamentale - una serie di tre note che rimanda ancora al motivo mozartiano dell’aria “Se vuol ballare signor contino”.
    Nei rimanenti Trii n. 2 e n. 3 le allusioni massoniche sono più fugaci mentre la qualità dell’invenzione musicali rimane discontinua, alternando pagine di sicuro valore (i primi due movimenti del trio in sol maggiore, il primo e il quarto di quello in do minore) a pagine più scolastiche. Il Trio in do minore gode di una maggiore fama soprattutto perché è in assoluto il primo lavoro a presentarci il Beethoven eroico, cupo e determinato: la composizioni inizia con un movimento bellicoso in cui non mancano le molteplici allusioni massoniche (incisi ripetuti tre volte, tonalità con tre bemolli, sviluppo lacerato e tempestoso) e termina con un lieto fine venato da una felicità popolaresca raggiunta dopo la necessaria lotta. E’ insomma già lo schema poetico di tutti i futuri capolavori: la musica strumentale, da ornamento di corte, si va trasformando in strumento di incitamento alla lotta.
    Il successo di vendite è garantito dalla potente cerchia di protettori beethoveniani: il lavoro può contare su ben 127 sottoscrittori e in seguito su vendite che sfiorano le 250 copie; come accadeva nei primi anni ottanta nei confronti di Mozart, quando le sue Accademie erano sostenute da su un simile numero di fedeli sottoscrittori, anche per il musicista di Bonn l’entusiasmo è subito all’apice. L’elenco dei compratori è lungo e impressionante, quasi si trattasse di un partito politico trasversale. Ritroviamo tutti i protagonisti dello scenario “Mozart” e numerosi altri: Lichnowsky, van Swieten, il barone Wetzlar, Lobkowitz, Razumowsky, il conte Appony, il principe Di Ligne, i Furstenberg, gli Esterhazy e il conte Thun. Mancano solo (ed è strano) i Waldstein. Questa cerchia, tanto nota e citata, possiede però alcune caratteristiche curiose (oltre alla appartenenza di quasi tutte le figure citate all’universo massonico): si tratta di nobili quasi tutti non “completamente” austriaci. Infatti Lichnowsky è di origini polacche e lavora per la Prussia, Razumowsky è ambasciatore russo a Vienna, Johann Georg von Browne-Camus è addirittura un colonnello dell’impero russo, Appony e gli Esterhazy sono ungheresi, van Swieten ha passato molti anni a Berlino, Raimund Wetzlar è un ebreo convertito, Lobkowitz è di origini polacche, i Thun, i Kinsky e i Waldstein gravitano su Praga. La cerchia di mecenati ex mozartiani - ora compattamenti beethoveniani - rappresenta il carattere cosmopolita della Vienna asburgica, fino a mostrare importanti e non trascurabili legami verso realtà sociali e politiche extra-austriache. Viene spontaneo chiedersi: se si tratta di una cerchia solidale (come tutto lascia supporre) in che direzione politica si muove? quali sono i suoi obiettivi in quel contesto europeo tanto instabile e aperto a sviluppi imprevedibili? per quali vie persegue i propri obiettivi? E infine tale partito - così poco viennese - lavora per gli Asburgo o contro gli Asburgo, per l’impero austroungarico e piuttosto per il suo dissolvimento? Certamente la seconda ipotesi è suggestiva, anche perché quasi tutti gli attori sopracitati sembrano avere molto da guadagnare - in termini di autonomie locali per quanto riguarda Polonia (i cui sforzi riformatori vengono per ben due volte repressi, con le spartizioni del 1793 e del 1795), Boemia e Ungheria, in termini di mero rafforzamento per quanto riguarda Prussia e Russia - da una frantumazione del gigantesco impero centrale.



    Tornando all’argomento più modesto dei Trii, rimane da commentare la curiosa obiezione di Haydn il quale avrebbe mosso critiche al terzo Trio, affermando che sarebbe stato meglio non pubblicarlo (le testimonianze al riguardo però non sono certe e univoche). Questa osservazione, che prende di mira il migliore dei tre lavori, sembra incomprensibile a meno che essa non alluda al fatto che sarebbe stato meglio non pubblicare una serie di tre lavori ovvero che sarebbe stato più prudente evitare tutte queste allusioni massoniche (Haydn aveva aderito all’universo delle logge, almeno dagli anni ottanta) nel nuovo clima politico venutosi a creare dopo le nuove direttive antimassoniche di Francesco II.
    Le tre Sonate op. 2 per pianoforte, composte nel 1795 ed edite l’anno seguente, confermano le simbologie massoniche dell’opera precedente, seppure meno evidenti. Questo notevole sforzo creativo - un trittico di sonate le cui dimensioni e la cui profondità espressiva schiudono un universo inedito dell’arte pianistica - traccia un preciso percorso ideale se considerato come un blocco unitario. La sonata per tastiera, fino a quel momento, aveva raramente proposto una scrittura di forte spessore emotivo e di ampie dimensioni strutturali. Beethoven porta a quattro il numero dei movimenti (assimilando così il pianoforte all’aristocratico quartetto d’archi e alla sinfonia), rende difficile la scrittura e trasforma in concertistica la sonata “da camera”, attraverso un’evidente enfatizzazione dei suoi contenuti.
    L’originale discorso sonoro, disposto in un trittico che si muove con coerenza dalle asprezze tempestose dell’op. 2 n. 1 al giubilo estatico dell’op. 2 n. 3, ripercorre lo schema “massonico” già presente nel mozartiano Concerto K 466 in re minore (eseguito da Beethoven proprio in quel 1795, tra i due tempi della Clemenza di Tito, in una serata voluta da Constanze Mozart), schema che diverrà l’asse portante delle principali creazioni beethoveniane (3°, 5°, 9° sinfonia; sonate op. 31 n 2 e op. 53; Fidelio solo per citarne alcune): dal caos all’ordine, dalle tenebre alla luce attraverso l’ardore e la lotta. Un percorso morale insomma che allude alla fuoriuscita dall’ordine tirannico, regolato da antichi dogmi e incomprensibili, disegualitarie Tradizioni, per avviarsi alla luminosa e liberale società degli uguali. Non dimentichiamo che l’Op. 2 è dedicata a Haydn il quale, oltre ad essere stato uno dei maestri del compositore (peraltro un maestro poco apprezzato dal musicista di Bonn), era un massone.
    La prima sonata dunque ci pone al centro di un’atmosfera bellicosa, energica e tempestosa. Questi caratteri si esplicano in modo cpompiuto sia nel deciso tema di apertura e nel marziale tema della codetta del primo movimento, sia nel cupo interludio (in re minore) dell’altrmenti soave secondo movimento, nei rudi contrasti che innervano il Minuetto e soprattutto nel moto incessante e quasi disperato del finale, movimento il quale termina, senza alcun accenno “liberatorio”, nella tonalità d’impianto in modo minore (lo stesso accadrà, in maniera ben più enfatica, nella celebre Sonata op. 57 - Appassionata, sempre in fa minore). Questa prima sonata appare la diretta continuazione delle sonorità oscure che animavano parte del Trio op. 1 n. 3.



    La seconda sonata apre con una sorta di tema - fanfara dopo di che il primo movimento prosegue tra contrasti e dissonanze di ogni genere. Il secondo movimento propone una quasi marcia (però in tempo ternario), ora sussurrata, ora esplosiva, sempre carica di tensioni interne le quali trovano uno sbocco felice nella carica vitale dello Scherzo e soprattutto nell’esultante finale. Così questo pannelo centrale dell’op. 2 svolge il classico percorso beethoveniano che muove da difficoltà apparentemente insormontabili verso approdi felici e offre pertanto una specie di traghettamento generale, all’interno del trittico pianistico, verso lidi “luminosi che la terza sonata, tutta “positiva”, si incaricherà di celebrare. Tra l’altro il numero tre, caro alle logge, è presente non solo nell’organizzazione generale della raccolta, ma ora anche nei tre diesis dell’armatura di questa magnifica seconda composizione (in la maggiore).
    L’ultima sonata - come anticipato - si muove in un’atmosfera di esultanza generale, realizzata con forzature virtuosistiche tra le più azzardate finora note nell’ambito di questo genere cameristico, fatto che determina la destinanazione di questo trittico ai soli pianisti di professione. Il tripudio della vittoria attraversa sia il primo, sia il terzo, sia il quarto movimento mentre una lontana eco della “battaglia” compare nei solenni e drammatici crescendi presenti nelle sezioni interne dell’Adagio, sempre riequilibrati tuttavia dal soave tema principale (in mi maggiore).

    Anche nel Trio op. 3 in mi bemolle maggiore per archi - composto probabilmente già a Bonn, perfezionato a Vienna nel 1795 ed edito l’anno seguente - ritroviamo le consuete simbologie massoniche. Il modello strutturale dell’opera - la quale si snoda lungo i sei movimenti tipici di un Divertimento (Allegro con brio, Andante, Minuetto, Adagio, Minuetto, Finale) - è ripreso dal Trio K 563 per archi sempre in mi bemolle maggiore di Mozart. Il salisburghese compose questa pagina piuttosto accademica nel 1788 in onore del suo “benefattore” (alias creditore) Puchberg e, in relazione alla fratellanza massonica che li accomunava, scelse la tipica tonalità di mi bemolle maggiore, l’insolito (soprattutto per Mozart) organico in trio e un numero di movimenti multiplo del fatidico tre. Il Trio, edito da Artaria nel 1792, era certamente noto a Beethoven.
    Il Trio op. 3 offre grande interesse soprattutto nell’Allegro con brio: In esso l’incipit del primo tema “eroico”, basato su una triplice ripetizione di un inciso su un instabile fondale sincopato (alla maniera del Concerto K 466) rimanda alle ossessive elaborazioni intorno al numero tre presenti nel Trio op. 1 n. 1. L’utilizzo di triplici ripetizioni innerva l’intero movimento: lo si ritrova nel secondo tema (segnato da una cantabilità tutta italiana), nelle code e negli episodi del drammatico sviluppo. Inoltre il carattere combattivo e del tutto originale di questo movimento - in ciò simile a pagine già commentate dell’op. 1 n. 3 e dell’op. 2 n. 1 - ci ricorda che la classica distinzione in tre periodi (dei quali solo il secondo avrebbe natura “eroica”) della poetica beethoveniana è una tipizzazione piuttosto generica. Fin dai suoi esordi il Beethoven combattivo convive con quello conciliante come dimostra l’insieme di questo Trio op. 3: al primo movimento così netto e aspro seguono cinque movimenti accomodanti e spesso complessivamente scolastici.
    Continuano pertanto le opere criptomassoniche del giovane Beethoven con le quali egli parla un linguaggio a suo modo “cifrato” e sembra dire - a chi sa intendere - che il posto lasciato vacante dal salisburghese è stato ora colmato, in ottemperanza alle indicazioni di Ferdinand von Waldstein.



    In quel 1795 Beethoven esegue a Vienna, per la prima volta, i suoi Concerti n. 1 op 15 e n. 2 op. 19 per pianoforte. Il secondo (quasi certamente composto per primo) offre solamente un modesto ricalco mozartiano. Si veda - una per tutte - la goffa sezione centrale in sol minore del Rondò in cui, a partire dalla tonalità, il compositore tenta una scrittura tipica del salisburghese, generata da un andamento sincopato immerso in un’atmosfera fortemente patetica.
    Ben più personale e definito appare il Concerto op. 15 in do maggiore nel quale rieccheggia la scrittura di volta in volta ardita, solenne e giubilante che segnava il trittico Op. 2. L’Allegro con brio esordisce con un tema “militare”, scolpito con forza e volto a sollevare un naturale entusiasmo nell’ascoltatore. Tale motivo domina l’intero movimento e genera una pagina eroica, destinata a infondere uno spirito cavalleresco e bellicoso. Mezzo secolo prima del Verdi risorgimentale, Beethoven inaugura la pratica del compositore “guerriero”, creando pagine naturalmente volte a rafforzare gli atteggiamenti marziali del proprio uditorio. Questo Concerto, non a caso, sarà uno dei cavalli di battaglia del Beethoven concertista durante la lunga tournée del 1796. Se un appello alla lotta vi è insito, esso riguarda certamente le frontiere minacciate dell’Impero asburgico più che gli ideali illuministi di qualche anno prima, ora di colpo “passati di moda” dopo che la Francia “rivoluzionaria“ ha varcato i propri confini per esportare a cannonate gli ideali egualitari. Beethoven, pur rimanendo in pectore un convinto massone, si schiera per ora con la propria gente, segue le indicazioni dei Cavalieri Teutonici e della Massoneria conservatrice di Vienna, volti ad arginare il pericolo incombente.
    Se da un lato somiglianze ritmiche nei temi principali accomunano questo Allegro al Finale tempestoso della Sonata op. 2 n. 1, il carattere festoso e travolgente del Rondò - a suo modo un popolaresco canto di vittoria - rimanda a passaggi e vocaboli della giubilante Sonata op. 2 n 3, anch’essa in do maggiore come il Concerto. Il celestiale Largo posto nel centro non riesce ad evitare i toni “campali”: esaurito il momento cantabile, ecco ricomparire - nell’episodio mediano (nella massonica tonalità di mi bemolle maggiore) e altrove - fanfare e squilli di guerra.



    Una fede (quasi) incrollabile

    Dopo l’esecuzione di Maria Antonietta, il Terrore, Robespierre e le invasioni francesi in Germania (la caduta di Bonn nell’ottobre 1794), la Massoneria tedesca comincia a prendere le distanze dai moti francesi, ai quali la maggioranza della ordinata e tradizionale popolazione austriaca guardava con preoccupazione e orrore. Anche le cerchie viennesi sembrano avere accantonato le velleità dell’epoca giuseppina e mostrano un ritrovato spirito nazionale.
    Beethoven, giunto a Vienna animato da ideali prettamente massonici e libertari, rimane ad essi fedele almeno fino alla metà del decennio. Le sollevazioni francesi sono vissute come un evento preliminare a quelle che si spera seguano in breve tempo a Vienna, così da portare a una nuova fase politica di stampo liberale e forse perfino democratico. Il compositore appare nettamente schierato con l’ondata rivoluzionaria ancora nel 1794, allorché scrive a Simrock (l’amico cornista ed editore di Bonn), nell’agosto 1794, una lettera assai significativa. Vi si dice: “Hanno arrestato vari pezzi grossi, dicono che avrebbe potuto scoppiare una rivoluzione - ma, a mio parere un austriaco, finché ha ancora birra scura e salsicciotti, non si ribella. Le porte dei quartieri periferici devono essere sbarrate di notte dopo le 10, i soldati sono in assetto di guerra, non si deve parlare forte altrimenti la polizia ti mette dentro”.
    Da queste poche righe si deducono numerose cose: il ventiquatrenne Beethoven a fatica cela un evidente disprezzo per il conservatorismo borghese della popolazione austriaca; le stragi del terrore, la morte di Maria Antonietta, le sconfitte dell’esercito austriaco a Fleurus (giugno 1794), la conseguente perdita del Belgio non trovano eco nella mente del compositore mentre l’invasione francese dello staterello di Bonn e Colonia (evento che deve avere avuto maggiore risonanza nella sua mente) seguirà di lì a qualche mese (ottobre 1794). Beethoven si rende conto anche del fatto che c’è allarme nella capitale austriaca, che alcuni complotti giacobini in fieri sono stati bloccati sul nascere (l’arresto del tenente von Hebenstreit): ci sono a Vienna numerosi “giacobini” che vorrebbero muoversi seguendo le orme di Parigi, ma sono una minoranza malcerta e insicura, frenata soprattutto dal carattere istintivamente ordinato e diffidente, poco incline alle fantasie ideologiche e ai fanatismi politici (e come tale assai saggio) del popolo austriaco, il quale guarda con antipatia a tutto ciò che giunge dalla Francia rivoluzionaria. Beethoven e probabilmente anche Ferdinand Waldstein (in quei mesi è a Vienna) fanno parte invece di quella minoranza attiva che vorrebbe agire autonomamente, senza farsi sostenere dagli eserciti francesi in marcia, percepiti ovviamente come invasori.



    Dopo la metà del decennio però qualcosa cambia. Le invasioni francesi, la perdita di numerosi territori storicamente appartenenti all’area asburgica, le pesanti sconfitte militari con la loro catena di lutti, devono avere portato la Massoneria austriaca a un radicale cambiamento di rotta che sostanzialmente tale rimarrà fino alla definitiva sconfitta di Napoleone, sconfitta che peraltro avverrà per mano di altri massoni (tra i quali Wellington) in quella che va configurandosi sempre più come una guerra fratricida interna alle logge (quelle inglesi e di area tedesca contro quelle francesi).
    Così nel 1796 - 97 Beethoven e Haydn si schierano con gli Asburgo, siglando alcuni canti patriottici rivolti agli eserciti imperiali impegnati ad arginare l’invasione delle truppe francesi nella Lombardia austriaca e in generale nel Nord Italia.
    Nel novembre 1796 Beethoven compone Abshiedgesang an Wiens Bürger (Canto d’addio ai borghesi di Vienna) per coro e pianoforte su testo del luogotenente Friedelberg e dedicato al maggiore Köwesdy che comandava un battaglione di fanteria leggera. Qualche mese dopo Beethoven offre un secondo contributo morale alle truppe asburgiche con il Kriegslied der Österreicher (Canzone di guerra degli Austriaci) per voce e pianoforte (aprile 1797), ancora su testo di Friedelberg, in occasione della leva in massa ordinata in quei giorni per fronteggiare la minaccia napoleonica. Appare dunque certa, e fattualmente provata, la collocazione beethoveniana nell’ambito politico nazionale e patriottico, almeno fino a quel cruciale 1797 e al trattato di Campoformio.
    Non può non tornare alla mente l’imbarazzante Kriegslied (discusso in un precedente saggio) composto da Mozart nel 1788 a favore dell’aggressione dell’impero ottomano ad opera di Giuseppe II: in entrambi i casi i due grandi compsitori si schierano, con lealtà, per la casa regnante e per la sua politica, con la differenza che Mozart sostiene l’apertura di una campagna bellica d’aggressione, scellerata, impopolare e inutile, laddove Beethoven opera in favore di una campagna volta a difendere lo stato di cose esistente (ossia la pace) e a fronteggiare le sanguinarie ambizioni imperialistiche dell’invasato di turno, quel Napoleone (come sempre un parvenu con ambizioni spropositate; umili origini si trovano anche nei percorsi biografici di Mussolini, Hitler e Stalin) cui la fortuna arriderà per un tempo troppo lungo.



    La carriera diplomatico - militare di Ferdinand von Waldstein non può lasciare indifferente il musicologo: a partire dal 1797 - l’anno in cui Beethoven va siglando inni patriottici per gli Asburgo - egli si trasferisce in Gran Bretagna dove offre i propri servigi come ufficiale nell’esercito inglese fino al 1809, anno in cui rientrerà a Vienna. Questa netta scelta di campo contrasta invece con i lunghi oscillamenti emotivi e le confuse ambivalenze che segnano le scelte politiche e musicali dell’artista durante il primo decennio dell’Ottocento, alla fine del quale tuttavia l’antico protettore e il celebre musicista, autore dell’acclamata Wellingtons Sieg (1813), si ritroveranno dalla stessa parte. Quello che bisogna chiarire è in definitiva la nuova fascinazione per gli sviluppi della rivoluzione francese - ora esportata con la forza ai quattro angoli dell’Europa - che anche Beethoven subisce a partire dall’apparizione di Napoleone.
    Il modello francese era guardato agli inizi (1789-94) con ammirazione; gli sviluppi guerrafondai, in cui rivoluzione europea e allargamento dei domini francesi si confondono ambiguamente, lasciano perplessi anche i più ferventi illuministi in terra tedesca (1794-97) dopo di che l’apparizione del generale demagogo, fervente massone (l’intera famiglia di Napoleone, dal padre ai numerosi fratelli, erano interni all’universo delle logge) e genio militare, riesce a riorganizzare - seppure a ondate, con esiti intermittenti in relazione ai convulsi episodi di quegli anni - il consenso di alcuni strati (ovviamente aderenti alle società segrete liberali e democratiche) della borghesia e della piccola nobiltà europea, spesso in contrasto con i naturali interessi nazionali, ovvero di quei settori sociali i quali accettavano di buon grado una perdita di sovranità nazionale in cambi della realizzazione delle agognate riforme costituzionali.
    Beethoven fa parte appunto di quegli strati sociali che attendono i grandi rivolgimenti atti a limitare i poteri delle aristocrazie e dell’odiato clero cattolico a favore di una piccola e media borghesia produttiva, ansiosa di conquistare la propria fetta di potere. Gli ondeggiamenti del compositore della Sinfonia eroica sono quelle della sua classe sociale e di un certo spregiudicato giacobinismo, disposto ad allearsi con chiunque pur di ottenere soddisfazione. Il percorso di Beethoven sembra dunque divergere - seppure momentaneamente - da quello più saggio e coerente di Ferdinand von Waldstein, per tornare a una naturale visione austrocentrica, solo intorno al 1809-10. Nei giorni del Congresso di Vienna Beethoven e Waldstein sono tornati a pensare politicamente secondo parametri comuni, guardando entambi alla moderazione della Massoneria inglese come al modello più saggio per realizzare le riforme liberali. Accantonata Parigi, Londra si pone di nuovo come la città più amata dal musicista, quella peraltro che gli commissiona - per il tramite della massonica Philharmonic Society - la sua partitura più celebre e più esplicita quanto a valori massonici ovvero la Nona sinfonia (1816-24).



    In viaggio verso Praga

    Sette anni dopo Mozart, Beethoven, accompagnato dal principe Lichnowsky, si sposta a Praga - città cardine (come si è detto) della cerchia degli aristocratici suoi protettori - e ivi suona con successo (febbraio - marzo 1796). Prosegue per Dresda verso la fine di aprile e si hanno notizie di lui a Berlino nell’ultima decade di giugno. Questo giro concertistico - in realtà piuttosto avaro di esibizioni certe e comprovate - è un buco nero nella biografia beethoveniana: quali siano stati i motivi per rimanere per così tanti mesi - permanenza tra le altre cose certamente costosa - nell’Europa centrale non ci è dato sapere.
    Nel triennio 1796-98 nascono le sonate pianistiche op. 7 e op. 10 che potremmo definire “sonate del tempo di guerra”. Sebbene la composizione op. 7 in mi bemolle maggiore sia da alcuni additata come sonata “amorosa”, dedicata alla contessa Babette de Keglevics, pare invece più logico metterla in correlazione con l’arroventato clima politico-militare. La massonica tonalità di mi bemolle maggiore, i tratti marziali - a tratti addirittura aspri e violenti - del primo tema dell’Allegro molto e con brio, cui seguono accenni di fanfara, un secondo tema virilmente composto e lirico (nello stile del corale) e una coda tumultuosa, i toni pensierosi e assorti del Largo solcati a tratti da esplosioni sonore che evocano il frastuono bellico, nonché la cupezza tempestosa del Trio in minore del terzo movimento e soprattutto la solenne e scolpita “cavalcata” (insieme al tema secondario fatto di impetuosi incisi ascendenti) che occupa la sezione centrale del Rondò conclusivo (e inoltre, significativamente, la coda del brano) vengono a comporre nell’insieme una sorta di energica battaglia sonora che esprime in musica l’atmosfera di generale inquietudine generata dalla destabilizzante campagna italiana di Napoleone.
    Allo stesso modo il trittico sonatistico dell’Op 10 offre materiali densi di suggestioni “militari” e ripropone il percorso tormentato (dalla lotta aperta alla gioiosa vittoria) già presente nelle tre Sonate op. 2. Si inizia pertanto coi toni guerrieri della prima Sonata op. 10, nella quale l’Allegro molto e con brio è segnato da aggressive esplosioni sonore (il primo tema anticipa alcuni aspetti della Sonata op. 13 - Patetica) mentre il Finale Prestissimo è dominato da una cellula tematica bellicosa e travolgente. Si prosegue con atmosfere solo in apparenza più elegiache nell’op. 10 n. 2 ove nell’Allegro iniziale, sorpassato l’aggraziato incipit, ci si incammina verso episodi (si veda soprattutto o sviluppo) massicci e caratterizzati da progressioni dense di suoni; ancor più enigmatiche sono le sinuose linee sonore del magnifico Allegretto centrale che conducono a un Presto brillante e volitivo (anticipa il finale della celebre Sonata op. 57 - Appassionata), in cui un moto sonoro incalzante testimonia la volontà ferrea dell’autore. Si termina con una grande sonata virtuosistica, “rumorosa” e giubilante (op. 10 n 3), simile all’op 2 n 3 (simile è pure la posizione che occupa nel trittico), sonata che tuttavia contiene una grande pagina innervata da laceranti contrasti (il Largo e mesto), nonché da un solenne episodio finale in crescendo che ribadisce l’idea di una volontà tesa a plasmare e dominare la materia.
    Le tre Sonate op. 10 sono dedicate ad Anna Margareta von Browne, moglie di quel Browne grande mecenate beethoveniano nonché colonnello russo in servizio, distaccato a Vienna. Tale scelta conferma la collocazione del compositore nell’area asburgico-russa: l’esercito che affronta Napoleone in Italia conta, accanto alle truppe imperiali guidate dal generale Wurmser, quelle russe comandate dal maresciallo Suvorov; accanto a loro - non va mai dimenticato - si colloca in posizione tenacemente antifrancese la liberale e “massonica” Gran Bretagna.
    Dunque, in parallelo alla creazione dei due inni per l’esercito asburgico, Beethoven sigla quattro sonate nelle quali l’incitamento alla lotta antifrancese e alla resistenza all’invasore potrebbero costituire il sotterraneo messaggio. Si tratta di opere che proseguono e sviluppano l’atteggiamento battagliero insito nel già commentato Concerto op. 15 per pianoforte e orchestra.






    fonte: www.giusepperausa.it/

    Edited by gheagabry - 11/11/2013, 18:12
     
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  6. gheagabry
     
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  7. gheagabry
     
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    lettera di LUDWIG VAN BEETHOVEN
    AD UNA SCONOSCIUTA





    6 luglio, di mattina

    Mio angelo, mio tutto, mio io. Solo poche parole per oggi e addirittura a matita (con la tua) — Non sarò sicuro del mio alloggio sino a domani; che inutile perdita di tempo è tutto ciò! — Perché quest'angoscia profonda, quando parla la necessità — il nostro amore può forse durare senza sacrifici, senza che ciascuno di noi pretenda tutto dall’altro; puoi tu mutare il fatto che tu non sei tutta mia, io non sono tutto tuo? — Oh, Dio!, rivolgi il tuo sguardo alla bella Natura e da’ pace al tuo animo per ciò che deve essere — L’amore esige tutto e ben a ragione, così è di me per te, di te per me — Ma tu dimentichi così facilmente che io debbo vivere per me e per te. Se fossimo completamente uniti, tu sentiresti questa dolorosa necessità, tanto poco quanto la sento io - Il viaggio è stato orribile. Sono arrivato qui soltanto ieri mattina alle quattro.
    Siccome c’erano pochi cavalli, la diligenza ha scelto un altro itinerario; ma che strada orribile! Alla penultima stazione mi hanno sconsigliato di viaggiare di notte, hanno cercato di ispirarmi paura d’un bosco ma ciò non è servito ad altro che a spronarmi — e ho avuto torto.
    La vettura ha finito con lo sfasciarsi su quell’orribile strada, un semplice sentiero di campagna senza fondo. Se non avessi avuto quei due postiglioni, sarei rimasto per strada — Per l’altra strada, quella solita, Esterhàzy con otto cavalli ha avuto la stessa sorte che io con quattro — Tuttavia, in un certo senso la cosa mi ha anche fatto piacere, come succede ogni volta che supero felicemente qualche ostacolo — Ora voglio passare in fretta dagli eventi estrinseci a quelli intimi. Confido che ci vedremo presto; ed anche oggi mi manca il tempo per dirti i pensieri che ho rimuginato in questi ultimi giorni sulla mia vita — Se i nostri cuori fossero sempre l’uno vicino all’altro, non mi capiterebbe certo di avere simili pensieri. II mio cuore trabocca del desiderio di dirti tante cose — Ahimè - ci sono momenti in cui sento che la parola è inadeguata — Cerca di essere serena — e sii per sempre il mio fedele unico tesoro, ii mio tutto, come io lo sono per te. Sono gli dèi che debbono provvedere, qualunque possa essere il nostro destino.

    Il tuo fedele Ludwig

     
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  8. 99??
     
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    Sincerely Yours,I read your article named "LUDWIG VAN BEETHOVEN - I GRANDI ARTISTI CLASSICI" like every week. Your humoristic style is witty, keep up the good work! And you can see my website about 99??.



    Cordiali saluti, letto il tuo articolo denominato "LUDWIG VAN BEETHOVEN – I GRANDI ARTISTI CLASSICI" come ogni settimana. Tuo stile umoristico è arguto, mantenere il buon lavoro! E si può vedere il mio sito Web circa 99??.

    Edited by tomiva57 - 17/6/2014, 19:41
     
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  9. tomiva57
     
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    Per Elisa





    Inno alla gioia

     
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8 replies since 1/2/2011, 17:31   3555 views
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