TUDORS

le dinastie

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  1. gheagabry
     
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    STORIA

    La parola italiana storia nasce dal latino historia, che a sua volta deriva dal greco ed è legato al sostantivo histor, che significa colui che ha visto e quindi conosce.


    I "TUDORS"



    Fanno parte della dinastia Tudor (in inglese, House of Tudor; in gallese Tudur) cinque sovrani di origine gallese che regnarono in Inghilterra dal 1485 al 1603. I tre principali (Enrico VII d'Inghilterra, Enrico VIII ed Elisabetta I d'Inghilterra) ebbero un ruolo molto importante nella trasformazione dell'Inghilterra da paese della "periferia" europea dell'epoca medievale a potenza destinata a dominare gran parte del pianeta nei secoli successivi.
    La dinastia Tudor originò da un matrimonio segreto tra Owen Tudor e Caterina di Valois; si rafforzò con l'unico conte di Richmond che diventò sovrano (Enrico VII d'Inghilterra) e finì con la morte senza eredi di Elisabetta. Il suo successore fu Giacomo VI di Scozia, un disc
    endente di Enrico VII tramite la figlia Margherita Tudor, che divenne il primo sovrano degli Stuart.
    Sovrani della dinastia Tudor


    1485 - 1509 Enrico VII, n. 1457
    1509 - 1547 Enrico VIII, n. 1491
    1547 - 1553 Edoardo VI, n. 1537
    1553 - 1553 Jane Grey (per 09 giorni), n. 1537
    1553 - 1558 Maria I, n. 1516
    1558 - 1603 Elisabetta I, n. 1533


    Enrico VII, Re d'Inghilterra e Lord d'Irlanda dal 22 agosto 1485 alla sua morte; fu il capostipite della dinastia Tudor....Ebbe l'eponimo di Enrico il Navigatore in modo analogo al principe del Portogallo Enrico il Navigatore per i suoi sforzi durante i primi tempi dell'Età della Navigazione. Inoltre ebbe un grande ruolo nello stabilire il vantato Potere sui mari Inglese e inoltre diede inizio alla fondazione di quello che alla fine divenne il più vasto impero della storia, il famoso Impero Britannico.



    Enrico VIII Tudor (Greenwich, 28 giugno 1491 – Londra, 28 gennaio 1547) fu Re d'Inghilterra e Signore d'Irlanda (in seguito re d'Irlanda) dal 22 aprile 1509 fino alla sua morte.
    Fu il secondo monarca della dinastia dei Tudor, essendo succeduto al padre Enrico VII d'Inghilterra. È famoso per essersi sposato sei volte e aver detenuto il potere più assoluto tra tutti i Re britannici. Durante il suo regno ebbe luogo la rottura con la Chiesa cattolica della Chiesa d'Inghilterra, lo scioglimento dei monasteri e l'unione dell'Inghilterra col Galles.
    Ambizioso e audace, Enrico VIII regnò dal 1509 al 1547. Animato dal desiderio di riportare l’Inghilterra tra i principali attori europei e consigliato dall’abile cardinale Thomas Wolsey, sconfisse prima i francesi a Guinegatte, poi gli scozzesi a Flodden Field. Desiderando un erede maschio, che non ottenne dalla moglie Caterina d’Aragona, Enrico VIII chiese a papa Clemente VII il permesso di divorziare, ma l’assenso gli fu negato. Allora Enrico rifiutò di riconoscere l’autorità papale e con l’Atto di supremazia (1534) si proclamò capo della Chiesa nazionale, che prese il nome di Chiesa anglicana. Fu così libero di sposare Anna Bolena. Il matrimonio avvenne nel 1533, ma nemmeno Anna diede al re un figlio maschio. Enrico prese allora in moglie Jane Seymour, che morì dando alla luce Edoardo. Thomas Cromwell, abile consigliere del re, guidò i cambiamenti rivoluzionari degli anni Trenta del XVI secolo, comprendenti la rottura con la Chiesa cattolica, la soppressione dei monasteri, la vendita dei beni ecclesiastici, la riforma del Parlamento e la creazione di una nuova struttura burocratica, sorta dal vecchio consiglio reale.
    Enrico VIII è stato anche un uomo di grande cultura, di stampo prettamente rinascimentale. Fu anche compositore e fra i brani scritti da lui vi è sicuramente Pastime with Good Company or The Kynges Ballade, scritto attorno al 1510 ed eseguito tuttora da ensemble di musica rinascimentale.
    Enrico VIII è il soggetto di un'opera di ambientazione storica di William Shakespeare, Enrico VIII. L'opera, tuttavia, non è stata mai una di quelle più popolari di Shakespeare. Stranamente, era l'Enrico VIII che si stava rappresentando il 29 giugno 1613 quando si incendiò il Globe Theatre.


    Sotto Edoardo VI, che regnò dal 1547 al 1553, venne rafforzata la riforma protestante. Edoardo morì a sedici anni e gli succedette la sorellastra, figlia di Caterina d’Aragona, che divenne regina con il nome di Maria I.



    Maria I ..La regina reintrodusse la religione cattolica e sposò il cugino Filippo II di Spagna. La condanna a morte di numerose persone accusate di eresia contribuì ad alimentare il malcontento popolare, già suscitato dal suo matrimonio, che aveva trascinato l’Inghilterra in una guerra contro la Francia, terminata con la perdita di Calais (1558). Quando Maria la Sanguinaria, come venne chiamata, morì (1558), salì al trono la sorellastra Elisabetta, figlia di Anna Bolena.



    Elisabetta I fu uno dei più grandi sovrani inglesi. In accordo con il Parlamento, nel 1559 diede alla Chiesa un’impronta moderata. Neutralizzò la minaccia scozzese aiutando la fazione protestante e filoinglese di quel paese a predominare. Appoggiò i ribelli protestanti dei Paesi Bassi spagnoli e incoraggiò le navi inglesi a razziare quelle spagnole. Nel 1588 la sua flotta sconfisse l’Invincibile Armata spagnola, impedendole di invadere l’Inghilterra. L’Irlanda, che era sempre più scossa da moti di ribellione, divenendo così vulnerabile agli attacchi stranieri, fu conquistata definitivamente nel 1603. Il regno di Elisabetta segnò l’ascesa politica ed economica dell’Inghilterra: le istituzioni politiche, pur sottomesse all’assolutismo, mantennero autorità e vigore, mentre l’economia subì una decisa accelerata grazie all’espansione dei commerci internazionali.



    Cos'era l'Inghilterra all'inizio del 1500, pochi anni dopo la scoperta dell'America e l'inizio delle grandi traversate transoceaniche? Un paese rinascimentale in crescita, pronto a diventare una potenza commerciale e marittima, od un residuo di feudalesimo più stagnante che altro? Come spesso accade, i due aspetti convivevano l'uno accanto all'altro. Il mito racconta che fu l'inizio di un periodo felice, una specie di età dell'oro. La realtà, che quasi sempre è più interessante della leggenda, dice che l'oro scorreva, sì, ma in poche mani, e che tutto il Cinquecento inglese fu più che altro un secolo di plutocrati, di grandissimi artisti (da Marlowe a Shakespeare) e di mediocri politici, sovrani compresi. Il tenore di vita medio non crebbe nonostante un altissimo tasso di inflazione, e qualche progresso si ebbe solo nelle abitazioni dei contadini benestanti ed, ovviamente nelle grandi case dei nobili e dei mercanti.
    La leggenda racconta ancora che la gente, anche la più misera, andava a teatro, si divertiva con balli e feste campestri, mangiava pasticci di carne d'oca e beveva ottima birra. Al di sotto di questo strato iconografico c'è solo il dato di uno sviluppo demografico modesto e di molte leggi sui poveri (le Poor Law) che imponevano alle comunità locali di tassare contadini ed artigiani al fine di dare cibo e lavoro ai disoccupati, onde evitare pericolose tensioni sociali.
    Dietro al mito si nasconde anche la realtà di uno stato-canaglia nel senso che gli americani danno oggi a questo tristissimo termine. Non terroristi, ma pirati; la differenza non è grande perché i corsari terrorizzavano i mari e non facevano prigionieri se non per ottenere riscatti. L'Inghilterra incoraggiò e protesse questi bande di suoi privati cittadini perché facevano gli interessi della Corona e credevano che tutto ciò fosse anche positivo per il buon nome del paese. Anche sul piano interno i sovrani inglese di epoca Tudor non si fecero frenare dagli scrupoli. Enrico VIII trovò il coraggio di provocare una scisma religioso, mandando al diavolo il Papa, poi si impadronì di tutte le ricchezze delle abbazie e dei monasteri, buttando sul lastrico monaci e suore. Eppure, nonostante tali atti ed una politica generalmente pregna di prepotenza ed illegalità, i successori dei Tudor ereditarono un paese che non aveva i soldi necessari a mantenere un esercito permanente, non era in grado di imporre tributi e nemmeno risultava capace di garantire ordine e giustizia, sia pure la giustizia parziale e paternalistica dei potenti.




    Dal suo diario segreto di Elisabetta I.." … ho detto loro (si riferisce ai Parlamentari della Camera dei Comuni) che se avrò ancora l’impressione che mi stanno dando ordini (riguardante un suo eventuale futuro matrimonio), mi sentirò profondamente offesa. Rimanere single è la cosa migliore per me e per l’Inghilterra…"




    ...alla corte dei Tudors...



    "Era costume dell’epoca dei Tudor, che i figli reali avessero un luogo proprio dove vivere e crescere. Addirittura Elisabetta possedeva ben tre case: Hatfield, nel nord di Londra, Eltham, a sud di Londra, e Hundson, nella contea di Hertford."



    Molti artisti di corte furono stranieri, la maggior parte provenienti dall’Europa del Nord, e il loro arrivo fu in parte legato all’affermazione della Riforma nelle isole. Tra questi Holbein che eseguì ritratti di molti personaggi eminenti della corte e quello di Enrico VIII – ne dipinse diversi, noti solo attraverso copie – che divenne la rappresentazione iconografica storicamente più conosciuta del sovrano inglese. Importante è pure la sua attività di pittore di miniature che, a dispetto della scala minima, posseggono un senso di monumentalità unico e originale, come la straordinaria Jane Small ..Anche lo scultore fiorentino Pietro Torrigiano, attivo in Inghilterra dal 1511 al 1520, fu alla corte di Enrico VIII: le sue tombe di Enrico VII ed Elisabetta di York (commissionate da Enrico VIII nel 1512), nell’abbazia di Westminster, introdussero di fatto la scultura rinascimentale in Inghilterra...Il pittore Hans Eworth, attivo dal 1550 al 1574, fu importante per i suoi ritratti di stampo manieristico, carichi di complessi contenuti allegorici. L’artista più significativo in Inghilterra nella seconda metà del XVI secolo fu il miniaturista Nicholas Hillard, pittore di corte di Elisabetta I, che ritrasse spesso. Le miniature erano piccoli ritratti a mezza figura, dipinti con una tecnica particolare (il colore ad acquerello o a olio era applicato in modo minutissimo su pergamena o su un sottilissimo foglio di avorio) e, nel caso di Hillard, talvolta corredati da emblemi o simboli allegorici e iscrizioni, come nel misterioso "Ritratto di ignoto con sfondo di fiamme".


    John Dee ebbe un ruolo fondamentale alla corte dei Tudor come geografo poiché, fra il 1551 ed il 1583 e.v., fu consulente per tutte le spedizioni degli esploratori di corte: avendo tradotto Euclide in lingua inglese, aveva applicato i principi geometrici alla navigazione. La sua fortuna a corte si deve anche alla sua abilità come astrologo, ovvero nel redigere e interpretare temi natali; per questo motivo Elisabetta I Tudor gli conferì il titolo di Astrologo di Corte offrendogli una certa “protezione”, ma non il "patronage" che egli avrebbe desiderato. Questo infaticabile “scienziato dell’Arte Magica”, che ebbe una serie di incarichi accademici di riguardo, fu comunque sempre sospettato di eresia. In particolare John Dee fu accusato di aver attentato alla vita di Maria la Sanguinaria attraverso degli incantesimi. Elisabetta I, succeduta a Maria la Sanguinaria, affidò alla sua abilità divinatoria la scelta del giorno adatto alla cerimonia della sua incoronazione, ma volle mantenere sempre un atteggiamento cauto nei suoi confronti.



    ...il teatro...



    Un Editto di Enrico VIII del 1531, nato come provvedimento generico contro il vagabondaggio, colpiva le compagnie teatrali che erano costituite tutte di attori girovaghi. Il primo provvedimento di Elisabetta a favore del teatro è quello di limitare l'effetto dell'editto del padre. La Regina, che ama le lettere e gli spettacoli e che prevede forse nel realismo di certe scene e nelle allusioni politiche di certi attori il sorgere di un teatro nazionale, prepara la strada al professionismo dell'attore e alla diffusione del teatro, stabilendo che fosse sufficiente, per un attore, per sottrarsi alle persecuzioni puritane, porsi sotto la protezione di un nobile di cui doveva indossare la livrea; poteva in questo modo garantirsi la libertà di esercitare la sua professione. Elisabetta incoraggia anche il formarsi di compagnie stabili e protegge ogni genere di spettacolo ospitando a Corte, insieme ai divertimenti raffinati, gli spettacoli popolari. Con tali premesse sorsero presto molti teatri pubblici: il primo fu costruito sotto la protezione del Conte di Leicester, nel 1576 dall'impresario James Burbage a Shoreditch, e lo chiamò "The Theatre"
    Il maggiore esponente del teatro elisabettiano è, senz'alcun ombra di dubbio, William Shakespeare il cui nome è divenuto sinonimo della stessa corrente letteraria.
    Shakespeare visse sotto il regno di Elisabetta I, l'ultima della Dinastia Tudor, e i suoi drammi storici sono spesso considerati come una propaganda a favore dei Tudor, perché mostrano i pericoli della guerra civile e celebrano i fondatori della Dinastia Tudor. In particolare, il Riccardo III raffigura l'ultimo membro della rivale dinastia degli York come un malvagio mostro, mentre dipinge il suo usurpatore, Enrico VII con termini splendenti. La parzialità politica è evidente anche nell'Enrico VIII, che finisce con un esuberante celebrazione per la nascita di Elisabetta. Comunque, la celebrazione scespiriana dei Tudor in queste opere è meno importante rispetto allo spettacolare declino del mondo medioevale. Inoltre, alcuni dei drammi storici - e in particolare il Riccardo III evidenziano che il mondo medioevale è finito quando l'opportunismo e il machiavellismo si sono infiltrati nella politica. Evocando con nostalgia il tardo Medio Evo, queste opere descrivono l'evoluzione politica e sociale che portarono ai metodi attuali del governo dei Tudor, così che è possibile considerare i Drammi Storici come critica parziale della società.



    ....in cucina.....


    Figlio di Enrico VII e Elisabetta di York, Enrico VIII oltre ad essere famoso quale promotore della Chiesa Anglicana (Act of Supremacy -1534), è noto per le sei mogli. Salì al trono all’età di 18 anni, nel 1509. Uomo colto, di una certa intraprendenza e inarrestabile appetito…
    A tavola i ghiribizzi di Enrico VIII si traducevano in richieste imprevedibili alla copiosa schiera di maestri dei fuochi e scalchi che attorniavano la sua mensa. A corte amava stupire i suoi ospiti con portate mirabolanti. Pasticci e terrine di carne avvolte di morbida pasta che nascondevano sorprese meravigliose: fiori, frutta, piume colorate, salse che celavano gioielli e monili.
    Da buon patrizio rinascimentale prediligeva la carne di volatile e vitella, la selvaggina piumata (specie i fagiani), i tacchini importati dall’America e cotti arrosto dopo essere stati bardati con fette di lardo, gli ortaggi e la frutta fresca. Manzo e maiale, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, non erano considerate carni di qualità, quindi più adatte alla gente di ceto umile.
    Pasteggiava nelle sua stanze in compagnia della regina infilzando i bocconi con posate eleganti. Tuttavia, Enrico VIII, con il passare degli anni, diventò un inguaribile gourmand (ingordo) e ingrassò parecchio. La tavola, abbellita di argenterie, fiori e frutta, tracimava di ogni ghiottoneria. In particolare, non mancavano le primizie (frutti e verdure che maturano agli inizi delle stagioni e perciò considerati cibo regale). Ogni pietanza prima di esser adagiata sulla tavola era “testata” da una persona di fiducia, l’assaggiatore personale del re.
    Alcune abitudini alimentari ai nostri giorni appaiono strane, irrazionali. Il pesce di acqua dolce, ad esempio, era considerato un lusso, assai più di quello di mare che veniva a dir poco snobbato. Tutti i piatti venivano cotti con esigue percentuali di grassi liquidi. I più utilizzati erano il lardo, il sego di montone, la cotenna di porco trita; raramente l’olio di oliva che nel rinascimento iniziò nuovamente ad esser adoperato dopo il forte declino medievale. Le melodie di musici e suonatori deliziavano i lauti pasti di corte, non quelli abitudinari, bensì i banchetti importanti e le feste.
    Le coppe non erano mai scevre di vino, anche se l’Inghilterra non eccelleva nella produzione enologica, appresa dai conquistatori romani. Nelle top list del tempo primeggiavano i vini francesi di Provenza e quelli italiani, specie quelli di Toscana, come il Nobile di Montepulciano, la Malvasia e la Vernaccia di San Gimignano.
    Stefano Buso


    L' epoca, denominata età elisabettiana fu anche un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale.
    L'invocazione "Dio salvi la Regina" veniva ripetuta con convinzione dai sudditi di ogni classe sociale. Poche volte nella storia, una sovrana aveva saputo conquistare l'affetto e la stima di un popolo in virtù delle sue qualità personali.
    Fu una regina che seppe unire energia e prudenza, astuzia e sicura capacità di giudizio.
    Parsimoniosa per inclinazione ma con un’innata vanità, allo scoccare dei suoi quarantacinque anni, si dice che conservasse un fascino del tutto singolare.
    "Sarà una piena soddisfazione per il mio nome ed anche per la mia gloria se, quando morrò, queste parole potranno essere incise sul marmo della mia tomba - Qui giace Elisabetta, che regnò vergine e morì vergine -". Elisabetta, talvolta chiamata anche la Regina Vergine, in verità non volle mai sposarsi, ma rimangono note le sue avventure sentimentali.
    Nel 1563 questa sovrana impose una legge sul mangiare di magro che obbligava i cittadini britannici a mangiare pesce ben tre giorni la settimana. Chi trasgrediva era punito con tre mesi di prigione o un'ammenda. La finalità del provvedimento non era quella di arricchire la mensa di pesce, ma di costringere gli inglesi ad affrontare il mare per estendere i domini della corona. Ciò nonostante i consumi di carne rimasero enormi, e quando la stessa sovrana era ospitata da un Lord, si trovava di fronte a banchetti imbanditi sopratutto con arrosti.
    Concludiamo ricordando che in occasione dell’incoronazione di Elisabetta I i pasticceri di corte confezionarono un colossale plum-cake raffigurante l'assedio di Troia.





    ....sogno di una notte di mezz'estate......



    Due giovani ateniesi, Lisandro e Demetrio, sono entrambi innamorati della stessa donna, Ermia; quest'ultima ama Lisandro, mentre la sua amica Elena è innamorata di Demetrio. Ma il padre di Ermia Egeo impone alla figlia di sposare Demetrio. Allora lei fugge con Lisandro nei boschi, seguiti da Elena e Demetrio, ma si perdono nel buio e nelle loro schermaglie amorose.
    Nel frattempo, Oberon, re degli elfi, e la moglie Titania regina delle fate giungono nel medesimo bosco per partecipare alle nozze imminenti. Oberon vuole usare il servo indiano per farne suo paggio, ma Titania non vuole ed egli cerca di punirla per la sua disobbedienza facendole spremere sugli occhi il succo del fiore vermiglio di Cupido, che fa innamorare della prima persona che si incontra al risveglio.
    Nello stesso tempo, una combriccola di artigiani che, per festeggiare il matrimonio, vuole mettere in scena una rappresentazione popolare sul tema di Piramo e Tisbe, si riunisce nella foresta per le prove dello spettacolo. Fra di loro spicca Nick Bottom, il Tessitore,( uno dei più apprezzati personaggi comici di Shakespeare.)
    Oberon ingaggia il furbo Puck, chiamato anche Hobgoblin, o Robin Goodfellow, affinché lo aiuti a riconquistare l'amore di Titania. Inoltre, dopo aver visto Demetrio ed Elena sperduti nel bosco, ordina a Puck di spremere il succo magico sugli occhi di Demetrio per farlo innamorare di Elena, ma per errore Puck spreme il succo sugli occhi di Lisandro che al risveglio vede Elena e se ne innamora perdutamente, con grande disappunto di Ermia.
    Ma Puck ha anche il tempo di giocare uno scherzo a Bottom, che scopre che la sua testa è stata trasformata in quella di un asino. Sarà proprio Bottom la prima persona di cui si innamorerà Titania, al suo risveglio, a causa dell'effetto della viola del pensiero.
    A questo punto Titania incontra Oberon, che, realizzata la sua vendetta, accetta di scioglierla dall'incantesimo. Puck quindi risistema le cose, compresa la testa del povero Bottom.
    Oberon, inoltre, accortosi dell'errore di Puck, mette del succo sugli occhi di Demetrio. Così ora sia Lisandro che Demetrio corrono dietro Elena accapigliandosi tra loro. Alla fine Oberon ordina a Puck di risistemare tutto tra gli innamorati. Puck, allora, fa scendere una nebbia fatata sul bosco tale che i quattro ragazzi si addormentano. Quindi utilizza la rosa del pensiero per far sì che Lisandro ami di nuovo Ermia. Così ora tutto è a posto: Oberon e Titania sono riconciliati, e i quattro giovani sono due coppie.
    Questi vengono trovati addormentati al limitare del bosco il giorno dopo da Teseo, il quale si affretta a preparare le nozze. La notizia degli imminenti tre matrimoni manda in agitazione il villaggio, compresi i lavoratori ateniesi che stavano provando la commedia nel bosco, i quali però sono senza il personaggio principale della loro commedia: Piramo, che doveva essere interpretato da Bottom che loro avevano abbandonato nel bosco con la testa d'asino: il morale è a terra. Fortunatamente il protagonista entra in scena proprio in questo momento di sconforto di ritorno dal bosco, ed incita i compagni a prepararsi per lo spettacolo.Al palazzo, Teseo, nonostante gli avvertimenti del cerimoniere, sceglie proprio il loro spettacolo (Piramo e Tisbe), in quanto sostiene che un qualcosa offerto con una così buona volontà non possa essere rifiutato.
    A questo punto parte lo spettacolo nello spettacolo: gli artigiani mettono in scena una goffa versione della tragedia, rendendo la cosa comica ("sento il volto della mia Tisbe..." "vedo il suono della tua voce.."), nella quale è compreso anche un personaggio nel ruolo del leone, uno nel chiaro di luna ed un altro nella parte di un muro.
    L'opera si conclude con Puck che entra in scena e dice che se lo spettacolo non è piaciuto al pubblico, questo può far finta di aver dormito, e può quindi considerare lo spettacolo come un prodotto dei sogni, e che se lo lasceranno fare, Puck farà ammenda dei danni.



    La tua virtù è la mia sicurezza. E allora
    non è notte se ti guardo in volto,
    e perciò non mi par di andar nel buio,
    e nel bosco non manco compagnia
    perchè per me tu sei l'intero mondo.
    E come posso dire d'esser sola
    se tutto il mondo è qui che mi contempla?

    da"Sogno di una notte di mezza estate" Shakespeare


     
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  2. gheagabry
     
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    ENRICO VIII





    Enrico nacque a Greenwich il 28 giugno 1491. Fu il secondogenito di Enrico VII Tudor e di Elisabetta di York. Soltanto tre dei sei fratelli di Enrico sopravvissero: Arturo (principe di Galles), Margherita Tudor e Maria Tudor (in seguito regina consorte di Francia). Il padre, fondatore della dinastia, conquistò il potere e lo consolidò sposando Elisabetta, sorella di Edoardo V d'Inghilterra.
    Nel 1493 il giovanissimo Enrico venne nominato Conestabile del castello di Dover e Lord Guardiano dei Cinque Porti, l'anno successivo divenne Duca di York. In seguito venne nominato Conte Maresciallo (Earl Marshal) d'Inghilterra e Lord Luogotenente d'Irlanda.

    Se non fosse storia vera, la vita privata (o almeno certi suoi aspetti) di Enrico VIII d'Inghilterra (1491-1547) avrebbe potuto far parte di una di quelle favole un pò truci che ancora qualche decennio fa si potevano narrare ai bambini.

    Politicamente, Enrico VIII fu certo un grande sovrano rinascimentale. Trovandosi spesso a essere l'ago della bilancia tra Francesco I e Carlo V, i due grandi contendenti sulla scena europea nella prima metà del Cinquecento, seppe abilmente concedere il suo appoggio ora all'uno ora all'altro senza mai perdere di vista il tornaconto del suo paese e pose le basi da cui poi partì la figlia Elisabetta I per fare dell'Inghilterra una grande potenza mondiale. Privatamente, non si può dire altrettanto.

    Nel 1501 presenziò alle nozze del fratello maggiore Arturo con Caterina d'Aragona, allora rispettivamente di quindici e sedici anni. Arturo tuttavia morì per una infezione poco dopo, ed Enrico, all'età di soli undici anni, divenne erede al trono.
    Il padre Enrico VII, desideroso di concludere un'alleanza matrimoniale fra Inghilterra e Spagna con un nuovo matrimonio fra Enrico, ora principe di Galles, e Caterina d'Aragona, iniziò a muoversi a livello diplomatico per realizzare il suo progetto. Per renderlo possibile occorreva ottenere una dispensa dal Papa, perché, malgrado il matrimonio precedente non fosse stato consumato, inglesi e spagnoli convennero sulla necessità di una dispensa papale per la rimozione di tutti i dubbi per quanto riguardava la legittimità dell'unione. Spinto dalla madre di Caterina, la regina Isabella, il Papa concesse la sua dispensa con una Bolla papale. Nel 1505 tuttavia Enrico VII perse interesse per l'alleanza con la Spagna ed il matrimonio non venne più celebrato nei tempi previsti.
    Alla morte del padre, nell'anno 1509, Enrico salì al trono, col nome di Enrico VIII.
    Il nuovo sovrano consolidò il regno: ridusse il potere degli aristocratici di alto rango e si affidò al sostegno della piccola nobiltà di provincia, la gentry, proprietari di terre, che pur non appartenendo alla nobiltà erano titolari di prerogative e privilegi tipici degli aristocratici. Circa nove settimane dopo, sotto la spinta della Spagna, Enrico sposò Caterina, già sua promessa sposa per gli impegni presi precedentemente. Il Papa Giulio II e William Warham, Arcivescovo di Canterbury, avanzarono dubbi sulla validità di tale unione, malgrado la precedente Bolla papale, tuttavia la cerimonia di incoronazione dei due sovrani venne celebrata ugualmente, nell'Abbazia di Westminster, il 24 giugno dello stesso anno. Iniziarono quasi subito i problemi di discendenza che seguiranno a lungo il regno di Enrico VIII.....Sul piano dinastico, nel 1516, la regina Caterina diede alla luce una bambina, Maria, facendo sperare ad Enrico di poter ancora avere un erede maschio, che ancora, per fatalità, non aveva avuto. Le vicende europee nel frattempo videro la morte di Ferdinando II nel 1516, cui successe suo nipote (e nipote della regina Caterina) Carlo V. Nel 1519 morì anche Massimiliano I. I Principi elettori scelsero Carlo V come successore alla guida del Sacro Romano Impero, malgrado i tentativi diplomatici dell'allora cardinale Wolsey che si oppose a tale nomina. La crescente rivalità fra Francesco I e Carlo V permise a Enrico, per un certo periodo, di diventare l'ago della bilancia tra le potenze in Europa. Francia e Spagna cercarono dapprima l'appoggio inglese, ma dopo il 1521, l'influenza dell'Inghilterra in Europa cominciò a diminuire. Enrico si alleò con Carlo V e nella guerra che seguì Francesco I venne rapidamente sconfitto. La situazione internazionale più stabile che ne seguì ridusse il peso della diplomazia inglese in Europa.

    Enrico non aveva ancora un erede maschio. Il popolo inglese riteneva disastroso il governo femminile ed Enrico pensò che soltanto un erede maschio avrebbe potuto mantenere il trono e la sua dinastia. Solo una femmina, la principessa Maria, era sopravvissuta sino ad allora all'infanzia. Enrico in precedenza aveva avuto varie amanti, tra cui Maria Bolena e Elizabeth Blount. Il figlio di quest'ultima però, Henry Fitzroy, morì appena diciassettenne. Nel 1526, quando diviene evidente che la regina Caterina non avrebbe potuto avere altri bambini, il re cominciò a corteggiare la sorella di Maria Bolena, Anna Bolena. Enrico voleva fortemente un erede maschio, e iniziò a pensare alla possibilità di far dichiarare nullo il suo matrimonio con la regina Caterina. Il cardinale Wolsey e William Warham cominciarono riservatamente un'indagine sulla validità del matrimonio, che tuttavia apparve presto difficilmente impugnabile sul piano del diritto. Senza informare il cardinale Wolsey, Enrico si appellò direttamente alla Santa Sede. Il suo segretario William Knight sostenne, a Roma, che la Bolla di Giulio II era stata ottenuta con un inganno e conseguentemente era non valida. Inoltre Enrico chiese al papa Clemente VII anche una dispensa che gli permettesse di sposare Anna Bolena, visto che precedentemente aveva avuto una relazione con la sorella di lei, Maria. Clemente VII, pur non favorevole ad annullare il matrimonio, concesse la dispensa voluta, probabilmente pensando che tale concessione non sarebbe servita a nulla finché Enrico fosse rimasto sposato a Caterina. In questa fase la diplomazia segreta giocò un ruolo determinante per gli avvenimenti che seguirono. Intervennero nella contesa, solo apparentemente interna della corona inglese, gli interessi della Spagna, cattolica, e quindi del Sacro Romano Imperatore, figlio della sorella di Caterina. L'influenza dell'imperatore sul papato portò alla scomunica di Enrico da parte del Papa. La reazione di Enrico, che non accettò tale atto, comportò la nascita della Chiesa anglicana e l'annullamento di fatto del matrimonio tra Enrico e Caterina. La regina Caterina portò la questione davanti alla legge, ma venne sconfitta e fu costretta a lasciare la Corte reale. Il re stava ormai per divenire il capo della Chiesa Anglicana, e l'influenza di Roma, sulle vicende dinastiche della corona inglese, stava per essere annullata.

    Una vera giustificazione politica a molti suoi crudeli comportamenti c'è soltanto nel caso della prima moglie: Caterina, figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona e poi zia dell'imperatore Carlo V. Il caso è celebre.... fino a che Enrico non ripudiò Caterina e sposò l'inglese Anna Bolena. Ne conseguì la scomunica e lo scisma della chiesa anglicana di cui il re si proclamò capo, abilmente sfruttando l'antico malcontento di molti inglesi (come molti altri popoli transalpini) verso la Chiesa di Roma. Un divorzio (molto penoso per Caterina) quindi che diede il via anche a un grande cambiamento politico e religioso, abbastanza indolore durante il regno di Enrico, ma con vari tragici strascichi in regni successivi per circa un secolo.
    La ragion di stato non fu alla base di nessuna separazione dalle successive cinque mogli (tutte inglesi tranne una) di Enrico.

    Edited by gheagabry - 29/7/2012, 23:10
     
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    ENRICO e ANNA BOLENA





    Prima di sposarla Enrico rese nobile la sua amante. Sabato 1º settembre 1532, Anna Bolena ottenne il marchesato di Pembroke e i territori ad esso annessi, perlopiù nel Galles, per un totale di 1.000 sterline. La cerimonia d'investitura venne condotta da Enrico VIII in persona nel Castello di Windsor e fu molto elaborata, alla presenza delle maggiori autorità di stato e e del clero, incluso il padre di Anna, Thomas Boleyn, I conte di Wiltshire, il Duca di Norfolk, il Duca di Suffolk ed altri. Il vescovo di Winchester lesse la regia patente per la creazione del titolo mentre il re mise sul capo di Anna la corona di marchesa e i vestiti di stato oltre ai documenti per la presa di possesso di quelle terre.

    Il 25 gennaio 1533, prima di annunciare la decisione che il suo primo matrimonio con Caterina d'Aragona sarebbe stato invalidato, sposò in segreto Anna, o nel Palazzo di Whitehall nello "Studio della Regina" o nel Palazzo di Westminster. In ogni caso, il matrimonio non venne reso di dominio pubblico per alcuni mesi, ma Anna era già incinta prima dello sposalizio. Fu incoronata nel maggio del 1533, incinta di sei mesi; pochi gridarono "lunga vita alla regina!" come era d'abitudine, anzi furono udite molte risate di scherno e ingiurie contro la nuova regina e a favore di Caterina d'Aragona. Il popolo, inoltre, usò la sigla della coppia reale, HA, cioè Henry (Enrico) and Anne (Anna), ripetendola più volte per formare una risata, per coprire di ridicolo gli sposi. Anna era odiata per molti motivi: prima di tutto, aveva umiliato pubblicamente l'amata regina Caterina d'Aragona, simbolo dell'integrità morale, della antica fede cristiana e dell'umiltà per tutti i sudditi. Inoltre, l'aver spinto Enrico a separarsi dalla Chiesa di Roma e dal papa poteva essere solo frutto di un potente e malefico sortilegio, poiché nessuna brava donna aveva mai fatto commettere azioni così scandalose ad un uomo, specialmente ad un re. Ciò faceva di Anna, agli occhi del popolo, una crudele e spietata strega. Quest'ipotesi era anche avvalorata dalla diceria secondo cui Anna avesse un sesto dito e un grosso neo sul collo, segni del diavolo.
    Diversi indovini e veggenti, spinti dalla superstizione o dal desiderio di riaffermare la vecchia corrente religiosa cattolica, affermeranno di aver visto accanto alla regina Anna il diavolo che le parlava. La sicurezza di Anna sembrava determinata solo dall'amore del re, considerato l'odio che le portavano i sudditi, ma anche questa sicurezza le venne meno: durante la gravidanza, Enrico si trovò una o più amanti e litigò spesso furiosamente con Anna per questi motivi, sebbene cercasse di evitarle preoccupazioni per la salute del nascituro. In particolare, all'approssimarsi dell'ottavo mese di gravidanza, Enrico ed Anna ebbero una feroce lite, in cui Enrico le disse che avrebbe dovuto "chiudere gli occhi e sopportare come donne migliori di lei avevano fatto"[senza fonte], alludendo alla prima moglie Caterina, la quale aveva dovuto tollerare a lungo i tradimenti del marito. Anna, ferita nell'animo e nell'orgoglio, si ritirò nei suoi appartamenti allestiti per il parto (come era uso per le regine) "senza nemmeno la consolazione di una riconciliazione" con il marito. Diede alla luce Elisabetta, la futura Regina Elisabetta I d'Inghilterra, il 7 settembre 1533. Enrico rimase molto deluso dalla nascita della bambina e si infuriò con gli astronomi e i medici che, per tutta la durata della gravidanza di Anna, lo avevano illuso affermando che la regina avrebbe partorito un maschio.
    Sfortunatamente per Anna, le sue tre gravidanze successive finirono in aborti spontanei o con bambini nati morti. L'ultima di queste gravidanze portò a partorire un neonato maschio già morto, il 29 gennaio 1536. Questo convinse Enrico della veridicità delle voci che giravano su Anna e del fatto che sua moglie non era più in grado di partorire figli vivi dopo Elisabetta e, amareggiato e deluso da quel matrimonio infelice, si decise a sbarazzarsi della sua seconda moglie.

    Alla fine di Aprile del 1536, mentre Anna, incinta, era assente da Londra, l’allora primo ministro Thomas Cromwell, le tese una trappola, presentando al re prove apparentemente inconfutabili di continui e ripetuti adulteri da parte della sovrana, accusata addirittura di aver sedotto alcuni membri del proprio Consiglio Privato, compreso il fratello, George Boleyn. Inoltre, Anna fu giudicata responsabile di aver tramato e ordinato un regicidio, il quale avrebbe dovuto consentirle di essere libera di sposare uno dei suoi molti amanti e di governare come reggente del figlio in arrivo.
    Gli storici odierni, almeno la maggior parte di essi, ritengono false e infondate le accuse mosse ad Anna, se non altro perché essa era fin troppo consapevole di avere solo il re e marito come unico protettore, senza contare che esclusivamente a lui doveva il suo potere; a giocare a suo sfavore però, fu il carattere naturalmente frivolo e leggero, che le aveva inimicato gran parte della corte.

    Il 2 maggio 1536 Anna fu arrestata e portata nella Torre di Londra. Fu affidata alla custodia del suo carceriere, il connestabile William Kingston. Sotto tortura cinque uomini confessarono di essere stati amanti della regina. Gli uomini in questione furono, oltre a Lord George Boleyn (George Rochford), fratello di Anna, Henry Norris, Francis Weston, William Brereton e Marc Smeaton, un palafreniere della Camera della Corona. Il 15 maggio fu processata per adulterio, incesto, stregoneria e alto tradimento, e condannata, infine, a morte.

    Durante la prigionia, Anna commise diversi atti teatrali e simbolici. Le lettere di Kingston a Cromwell riferiscono i comportamenti di Anna in quei giorni angoscianti: una volta era l'altera regina offesa, un'altra era la smarrita vittima pietosa, un'altra ancora la donna stremata sull'orlo dell'isteria. Quando chiese a Kingston se dovesse entrare in una segreta e lui le ebbe risposto di no, lei rispose:

    <<e' troppo bello per me. Gesù, abbi pietà di me>> e, nel dire queste parole, si inginocchiò in lacrime, le quali a poco a poco si trasformarono in una risata selvaggia. Infatti, solitamente Anna nel suo dolore "si abbandonava a grandi risate>>, come se all'improvviso si vedesse al centro di una situazione paradossale. Più tardi, di sera, pregò il connestabile di chiedere al re il permesso affinché lei potesse seguire i sacramenti in una stanzetta vicino alla sua camera, dove avrebbe implorato la grazia. Durante la trattazione delle accuse, Kingston riferì che Anna disse: <<sento dire che dovrei essere accusata da tre uomini. E non posso negare senza dover scoprire il corpo>> e, scrisse sempre Kingston, "lei si aprì il vestito". Questo gesto volle sottolineare la violenza del suo diniego mentre nel contempo dimostrava l'impossibilità di provare la sua innocenza. Lei proseguì riferendosi ai suoi accusatori: <<oh Norris, mi hai accusato? Sei nella Torre con me e tu e io moriremo insieme. E Mark, anche tu sei qui. O madre mia, tu morirai addolorata.>>

    Queste erano frasi melodrammatiche, forse un tentativo di commuovere l'imperturbabile carceriere. Infine, quando Anna chiese a Kingston se sarebbe morta con giustizia, lui le disse che "anche il più umile suddito del re riceve giustizia". A queste parole, Anna rise.

    Anna era servita da quattro donne, "tipi che non amava affatto": sua zia, lady Bolena, moglie di Giacomo Bolena (un sostenitore di Maria), la signora Coffin, sulla quale Kingston contava affinché gli riferisse tutto ciò che diceva Anna, la signora Stonor e un'altra donna il cui nome è andato perso. Se Kingston sperava che Anna nei giorni di prigionia si sarebbe lasciata scappare qualche indiscrezione a prova della sua colpevolezza, rimase deluso. Anna non cambiò mai versione e un giorno, molto allegra, sostenne anche di sapere che probabilmente tutta quella faccenda era solo un pretesto di Enrico per mettere alla prova la sua lealtà.

    I1 15 maggio una giuria composta di 26 pari del regno, fra cui il padre stesso di Anna, e presieduta da suo zio, il duca di Norfolk, condannò a morte all'unanimità sia Anna che il fratello; il 17 maggio vennero giustiziati i presunti amanti, e il 19 Anna venne decapitata. La regina non ammise mai le proprie colpe, che per noi restano non documentate; tuttavia non è facilmente credibile che un regolare tribunale abbia potuto emettere una sentenza di tale gravità senza possedere qualche prova evidente di colpevolezza, tanto più che nel tribunale erano presenti sia il padre che lo zio dell'accusata.

    Un riflesso delle vicende storiche, mediato attraverso la storia già ricordata di Paolo Giovio, lo possiamo cogliere in una novella di Matteo Bandello, la LXII della terza parte, la cui prima edizione risale al 1554, cioè soli diciotto anni dopo i fatti narrati.
    I passi più interessanti, indicando fra parentesi quadra i nomi storici dei personaggi citati.

    «S'innamorò esso Enrico d'Anna, de la famiglia di Bologna, figliuola d'un cavaliero de l'isola, giovane di corpo molto bella ma di basso animo e plebeo, che era de la reina Caterina donzella e tanto innanzi andò con questo suo amore, e si il re vi s'abbagliò, che entrò in pensiero di repudiar la reina e prender questa sua donzella per moglie. Si dice che il cardinale Eboracense [Thomas Wolsey, cardinale di York], che allora amministrava tutti gli affari del reame, lo consegliò che la repudiasse, con dargli ad intendere che seco il sommo pontefice averia dispensato, pretendendo al divorzio questa ragione, che Caterina era prima stata moglie del fratello maggiore d'esso re, e che perciò non poteva esser sua consorte. Ma alcuni altri dicevano al re che avvertisse bene ché il papa non separerebbe mai questo matrimonio, perché quando egli la sposò fu dal papa, che alora era, dispensato di poterla sposare anche ch'ella fosse stata moglie del fratello, col quale non aveva consumato matrimonio. Ora il re, ebro de l'amore de la donzella e sazio de la reina quella di propria autorità e senza altra dispensa repudiò [...].
    Sposò adunque la sovradetta Anna, vivendo ancora con la reina Caterina che già s'era ritirata in un luogo che il re l'aveva deputato. Ma grandissima difficultà è che le cose cominciate con tristo e cattivo principio buon fine sortiscano già mai. Era Anna molto bella e piacevole sovra modo, ma poco del corpo pudica, perciò che prima che il re la sposasse, ella, per quanto confessò al tempo de la sua morte, aveva più volte provato con che corno gli uomini cacciano il diavolo in inferno. Ascesa poi a tanta grandezza che, di picciola donzella, tenuta era per reina ed onorata, non considerando l'alto grado al quale immeritatamente si vedeva sublimata, si diede a disonesti e vietati amori. Ella disonestamente amò il proprio fratello [lord Rochford], che il re aveva fatto gran barone, e più volte carnalmente seco si giacque. Né di tale sceleratezza contenta, s'innamorò d'un favorito del re, che si chiamava il signor Uestone [sir Francis Weston], e a quello, tutte le volte che ella puoté, fece del corpo suo amorosamente copia.
    Ma la cosa non finì qui, sì era ella disonesta e insaziabile. Onde gittati gli occhi adosso ad un barone che tutto il di era in corte, nomato Briotone [William Brereton], ed uomo di molta stima, quello anco indusse a giacersi con lei. E per averne sempre qualcuno a lato, a ciò che non perdesse tempo, si domesticò di modo con il signor Nioris [Henry Norris], che la domestichezza non si finì che insiememente presero in letto quel piacere che tanto gli uomini da le donne ricercano. Io veggio molti di voi, signori miei, pieni d'ammirazione di quanto adesso vi narro, e vi deve forse parere ch'io vi narri fole di romanzi [...].
    Ma io vi dico una vera istoria, perciò che, quando ella fu dentro il castello di Londra decapitata, io mi vi trovai e sentii leggersi il processo, essendo già ella condutta su la baltresca, e vidi anco mozzar il capo a cinquc suoi adulteri, dei quali quattro ne avete da me uditi.
    Resta che vi annoveri anco il quinto, del quale molto più vi meraviglierete, e sarà ben ragione. Era in corte un Marco [Mark Smeaton], di bassa condizione, che fu figliuolo d'un legnaiuolo ed aveva imparato a cantare e sonava di varii stromenti di musica e per questo era amato dal rc, e assai sovente, quando era in letto con la reina, lo faceva entrar in camera e, se ben non v'era, lasciava che Marco, essendo la reina in camera, innanzi a lei cantasse e sonasse. Sapeva Marco tutti gli amori disonesti de la reina [...].
    Ora accostumava la reina, quando il re era levato, di farsi venir Marco e udirlo sonare; ma o che ella lo facesse a ciò che fosse secreto e non rivelasse ciò che ella con i baroni già detti faceva, o pur che volesse provare se egli così ben sonava con la piva come faceva con gli stromenti, più e più volte se lo recò in braccio, compiacendoli di quello che, dal re in fuori, deveva a tutto il mondo essere scarsissima. E così la disonesta reina ora con uno ed ora con un altro, sempre che n'aveva l'agio, si trastullava e sempre più stracca che sazia rimaneva».


    Dal commento di Edoardo Rescigno al libretto di «Anna Bolena»

    Edited by gheagabry - 31/7/2012, 00:00
     
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    Enrico VIII contro i monaci



    Per molti storici il verdetto è chiaro: Enrico VIII era avido tiranno che distrusse i luoghi di culto in Inghilterra solo per rimpinguare le proprie tasche. La famosa e vergognosa soppressione dei monasteri d’Inghilterra (1536-1541) da parte del re fu causata, secondo l’opinione più comune, solo dall’avidità: “ Un saccheggio vero e proprio delle ricchezze della Chiesa”, ha scritto un noto storico. “ Ma fermiamoci un momento – sostiene il prof. Bernard, dell’Università di Southampton – Enrico ebbe indubbiamente le sue colpe, ma in questo caso, almeno, l’opinione comune potrebbe essere sbagliata” . Mentre Bernard ammette che Enrico spese gran parte dei proventi derivanti dai monasteri nelle sue avventure militari in Europa, sostiene altresì che non fosse il denaro la motivazione della guerra contro i monaci, quanto piuttosto la sua determinazione a far prevalere la propria volontà su qualsiasi rivale – oltre a un profondo scetticismo nei confronti delle istituzioni, corrotte secondo lui dalla superstizione e dall’ idolatria. “Enrico non era il tipo da prendere alla leggera …le sfide alla propria autorità e così quando, intorno al 1530, importanti elementi della Chiesa si rifiutarono di approvare la sua richiesta di divorziare con Caterina d’Aragona e di spezzare i legami con Roma, egli decide di dar loro una lezione. “Il desiderio di Enrico di affermare l’autorità reale – sostiene Bernard – chiarisce il contesto fondamentale in cui si svolsero le visite dei suoi funzionari ai monasteri nel 1534-35. Molto di ciò che i funzionari reali scoprirono non fu di loro gradimento. Questo perché essi partivano dal pregiudizio che i monasteri fossero dei focolai di idolatria corrosiva – cosa che si evidenziava nella pratica del pellegrinaggio e ne culto delle reliquie. Però non furono queste ispezioni la causa scatenante del saccheggio di tutti i monasteri. Certo, quelli con un reddito inferiore a 200 sterline vennero dissolti da un atto del Parlamento nel 1536, ma i più grandi sopravvissero – ed alcuni monaci venne anche data la possibilità di trasferirsi presso “”grandi monasteri solenni del regno””. Questo suggerisce che il re avesse un piano per liquidare tutti i monasteri inglesi a proprio uso e consumo. Quello che stravolse tutto fu il Pellegrinaggio di Grazia nel 1536. Questa ribellione contro le politiche del re fu una sfida alla sua autorità e, negli anni 1536-7, scatenò un ondata di violenza distruttiva così forte che, entro il 1540, quasi ogni monastero in Inghilterra era stato distrutto. Ma anche in questo caso, le cause vanno ricercate nell’ideologia. Le prove comprendono documenti superstiti, i quali suggeriscono che prima di radere al suolo i monasteri, i funzionari di Enrico costrinsero i monaci ad ammettere di aver corrotto il popolo con vuote superstizioni e altre infruttuose cerimonie” Si trattò di una parvenza di ideologia creata per coprire motivazioni d’avidità? “ No – dice Bernard – Pre che Enrico ci credesse veramente. Forse egli era cattolico, ma il suo era un cattolicesimo senza Papa, senz’idolatria e , quindi, senza monasteri. Le sue convinzioni religiose, qualunque cosa ne possiate pensare – conclude Bernard – erano autentiche, non un mantello di avidità”

    (tratto da “history” luglio 2012)

     
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    AMORE E POTERE
    ALLA CORTE DI ELISABETTA I



    Nell’estate del 1592 il capitano delle guardie di Elisabetta I, Walter Ralegh, e la damigella d’onore Bess Throckmorton vennero rinchiusi nella Torre di Londra dopo che la regina ebbe scoperto il loro matrimonio clandestino e la nascita di un figlio. Non fu né la prima né l’ultima volta che Elisabetta punì membri della sua corte per essersi sposati in segreto, ma in quel caso fu particolarmente severa. Ralegh venne rilasciato dopo alcuni mesi, ma perse l’incarico, fu allontanato dalla corte e dovette attendere 5 anni prima che la regina acconsentisse a dargli di nuovo udienza. Bess rimase in carcere fino alla fine dell’anno e venne bandita a vita dalla corte. Nell’ottobre del 1599 Roberti Devereux, secondo conte di Essex e anche lui persona molto vicina a Elisabetta finì agli arresti domiciliari per essere entrato precipitosamente nelle stanze della regina sorprendendola in abiti da notte, senza parrucca e senza trucco. Il conte era arrivato di fretta perché voleva giustificarsi per aver fallito nel soffocare una rivolta in Irlanda, ma Elisabetta non lo ascoltò neppure: ordinò subito di arrestarlo e si rifiutò di dargli udienza per almeno un anno, nonostante le sue reiterate suppliche. Disperato, privato delle sue cariche e delle remunerative patenti reali, nel febbraio del 1601 Essex tentò una sollevazione nelle strade di Londra, con l’intenzione di costringere la regina ad ascoltarlo o forse addirittura con l’idea di invadere il palazzo reale. Ad aiutarlo nell’impresa c’era il suo amico Henry Wriothesley, terzo duca di Southampton, un altro ex favorito di Elisabetta caduto in disgrazia per aver sposato una damigella. Alla fine furono accusati entrambi di tradimento: il duca venne poi graziato, ma Essex finì al patibolo.
    In genere si tende a giudicare molto ingiusto il trattamento che Elisabetta riservò a queste persone. Nel caso specifico di Ralegh e il duca di Southampton, di solito si accusa Elisabetta di meschina vendicatività verso due uomini che mancarono di offrirle quella venerazione assoluta che tanto desiderava, e di pura e semplice gelosia sessuale verso le giovani e graziose damigelle che le avevano “rubato” l’attenzione dei suoi favoriti. Chi lo fa, in genere dipinge Essex come una figura tragica: costretto per anni a danzare ai balli di corte quando avrebbe preferito combattere le guerre dell’Inghilterra, e convinto che i suoi rapporti stretti con la regina gli dessero il permesso di entrare nelle stanze reali senza invito: un errore fatale. Se si vogliono vedere le cose in quest’ottica, Elisabetta ne esce piuttosto male. Storici che simpatizzavano con Essex hanno ritenuto irragionevole che gli fossero state tolte a quel modo le sue cariche e persino la libertà, ma pure i suoi detrattori non hanno mancato di criticare l’assurda infatuazione della regina per un uomo che come età, avrebbe potuto essere suo nipote. Secondo questi fu colpa della stessa Elisabetta, che in passato aveva mancato di tenere il conte a briglia corta, se questo si sentì libero di ignorare i suoi ordini in Irlanda e di rompere il protocollo di corte al proprio ritorno.[…] Nonostante le dicerie in merito, è assai poco credibile che Elisabetta abbai avuto relazioni sessuali con i suoi favoriti: era una persona troppo cauta e accorta per voler correre il rischio di venir scoperta o rimanere incinta. Tuttavia, sebbene sia innegabile che a volte Elisabetta abbia manifestato davvero emozioni intense, è probabile che in realtà la regina non avesse una vera vita privata. Qualunque cosa dicesse o facesse era materiale di pubblico dominio, e di ciò lei stessa era acutamente consapevole: proprio per questo ogni suo gesto o parola era guidato da intenti politici e si doveva conformare alle norme della politica stessa. Elisabetta deviò di rado a questa regola, e il caso più eclatante fu quando si innamorò di Robert Dudley, verso la fine del suo regno, Ma i suoi rapporti con i parenti, i consiglieri e i membri della corte si attenne abitualmente a un contegno politico, persino in quelle circostanze che a noi possono sembrare personali. Di fatto non solo per lei ma per tutti i regnanti del XVI secolo , la sfera personale coincideva sempre con quella politica.
    (Storica)
     
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  6. gheagabry
     
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