MIELE, ZUCCHERO e ciò che addolcisce

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  1. gheagabry
     
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    IL MIELE


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    Il miele, ha una storia antichissima, poiché rappresentava l’unico vero dolcificante prima della scoperta dello zucchero; fu infatti impiegato da Egiziani, Greci, Romani, Arabi e Indiani, che lo utilizzavano non solo per dolcificare gli alimenti, ma anche per fare bevande alcoliche, come l’idromele, bevanda fermentata a base di acqua e miele, come medicamento e come cosmetico.

    Il miele è il prodotto della trasformazione effettuata dalle api delle secrezioni dei fiori (nettare) e delle secrezioni di alcuni insetti (melata).
    La bontà del miele dipende da due fattori: dal lavoro delle api per produrlo e dall'intervento dell'uomo per estrarlo e metterlo a disposizione del consumatore.
    Il miele, immagazzinato dalle api nelle cellette dei favi, viene estratto mediante centrifugazione, lasciato decantare in appositi contenitori e riportato in vasetti.
    Queste sono le uniche lavorazioni che permettono di mantenere integre le caratteristiche del prodotto per offrirlo esattamente come lo hanno ottenuto le api.

    Il miele merita di entrare tutti i giorni nelle nostre tavole.
    Alimento energetico composto da zuccheri semplici (fruttosio-glucosio) facilmente digeribile, contiene: enzimi, vitamine, oligominerali, sostanze antibiotico-simili e sostanze che favoriscono i processi di accrescimento.

    I settori dell'organismo in cui il miele esercita i suoi benefici:

    Prime vie respiratorie: azione decongestionante, calmante della tosse
    Muscoli: aumento della potenza fisica e della resistenza
    Cuore: azione cardiotropa
    Fegato: azione protettiva e disintossicante
    Apparato digerente: azione protettiva, stimolante, regolatrice
    Reni: azione diuretica
    Sangue: azione antianemica
    Ossa: fissazione del calcio e del magnesio

    Si consiglia un consumo costante di 30 g/die.
    Miele di tiglio: in caso di eccitabilità nervosa, insonnia
    Miele di timo ed eucalipto: in caso di infezioni respiratorie
    Miele di agrumi: proprietà antispasmodiche e sedative
    Miele di rosmarino: insufficienze epatiche, colescistopatie
    Miele di castagno: ricostituente, rimineralizzant


    La cristallizzazione è un processo naturale e può rappresentare una verifica della sua genuinità. Ci sono mieli che cristallizzano in breve tempo e mieli, meno frequenti, che si conservano allo stato liquido più a lungo (acacia).
    Riscaldandolo a 45°C il miele ritorna liquido, ma occorre tener presente che, superata questa temperatura gli enzimi, le vitamine e le altre sostanze attive vengono danneggiate. Nell'industria del miele è molto diffusa la pastorizzazione che è in grado di liquefare stabilmente il miele ma, a causa delle alte temperature raggiunte, procura un considerevole danno biologico al prodotto.
    N.B: per gustare il miele è consigliabile, per chi lo usasse come dolcificante nel latte o in altre bevande, di non aggiungerlo mai quando queste sono bollenti, ma solo e sempre quando sono bevibili, poiché una temperatura troppo alta sottrae al miele gran parte delle sue proprietà.
    Esistono molti tipi di miele, differenti per colore, aroma e cristallizzazione; la varietà dei mieli dipende dalla fonte da cui proviene il nettare, dalla zona di produzione e dalle variazioni meteorologiche.
    Il miele si conserva molto bene ma è importante non lasciarlo invecchiare troppo per evitare la perdita di proprietà e caratteristiche organolettiche. La conservazione massima consigliata è di due anni.




    Zucchero o miele?

    Quale dei due alimenti è migliore?

    Il miele, al contrario di quanto molti credono, è abbastanza simile allo zucchero. Rispetto al più tradizionale dei dolcificanti è però ricco di alcune sostanze particolarmente utili all'organismo: vitamine, sali minerali ed antibiotici naturali. Considerando le piccole dosi di miele consumate bisogna comunque considerare che l'apporto effettivo di tali micro e oligoelementi è decisamente basso.
    Il miele è inoltre più dolce (ha un potere dolcificante superiore) e ciò consente di impiegarne quantità inferiori rispetto allo zucchero da cucina. Il miele ha un contenuto calorico più basso (304 Kcal per 100 grammi contro le 392 dello zucchero tradizionale e le 362 dello zucchero di canna) perché più ricco di acqua. Nonostante ciò un cucchiaino di miele fornisce più calorie e carboidrati rispetto ad un cucchiaino di zucchero, a causa del maggior peso specifico. Il miele, specie se non cristallizzato, è inoltre più difficile da dosare.
    Le differenza tra questi due dolcificanti è dunque molto sottile; il miele, in virtù del suo contenuto vitaminico e minerale è sicuramente un alimento migliore dello zucchero anche se molte volte gli vengono attribuite proprietà che non possiede. Per un diabetico sostituire lo zucchero con il miele apporta qualche piccolo vantaggio, ma solo a parità di quantità consumate. L'errata convinzione che il miele sia un alimento "benefico" può condurre il diabetico a consumarne dosi eccessive, mettendo a rischio la propria salute esattamente come farebbe consumando dosi eccessive di zucchero.
    E' infine doveroso spendere due parole sulla qualità del miele, spesso alterata da processi industriali e da produttori senza scrupoli. Per questo motivo si consiglia di evitare mieli extracomunitari, specie se commercializzati a basso prezzo da ditte semisconosciute.




    Cucinare con il miele



    Quando si sostituisce lo zucchero con il miele nelle varie ricette, occorre ricordare che il miele zucchera in modo diverso, per iniziare meglio usare ricette che prevedano già questo ingrediente in origine, comunque con un minimo di sperimentazione lo si può usare tranquillamente per sostituire lo zucchero almeno parzialmente.


    Nelle cotture al forno:

    sostituire metà dello zucchero previsto nella ricetta con del miele,

    ridurre leggermente la temperatura del forno per evitare che il dolce scurisca troppo,

    per ogni tazza di miele utilizzato ridurre il liquido richiesto di un quarto di tazza (una tazza di miele equivale a circa 230/250 ml in volume e a circa 320 gr di peso)

    Aggiungere 1/2 cucchiaino di bicarbonato

    Considerare che il miele è ricco di fruttosio, quindi ha un potere dolcificante maggiore, questo permette di ridurre il quantitativo di zucchero della ricetta.

    Quando si misura il miele con un cucchiaio, velare leggermente il cucchiaio con una goccia di olio tra una cucchiaiata e l'altra, questo permetterà al miele di staccarsi meglio dal cucchiaio.




    L’uso del miele in cucina è davvero straordinario! Quello d'acacia, che non cristallizza, è uno dei mieli di più facili uso: lo troviamo come dolcificante del latte, di tisane e infusi, è fantastico nello yogurt bianco e sul pane tostato con burro; nei gelati è un ottimo sostituto dello zucchero.
    Si usa moltissimo anche nella preparazione di prodotti da forno come pane, dolci, e torte, ma attenzione: in forno va adoperato a 160-180°, perché caramella a temperature inferiori a quelle dello zucchero.
    Il vantaggio nella preparazione di pane e di torte consiste nel fatto che mantiene più a lungo la freschezza e la morbidezza, e quindi non ha bisogno di conservanti.
    Il miele è molto usato per la preparazione di antipasti, notevole se accostato ai formaggi, lo si usa per la realizzazione di risotti, e paste, sulla carne e anche sul pesce.
    Com’è naturale il suo impiego maggiore è nei dessert, nelle creme e salse dolci, ma anche nella macedonia e sulla frutta in genere.
     
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  2. gheagabry
     
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    La diversità dei mieli dipende dalle origini del fiore e dalle terre di produzione. Fiori e piante mellifere secernono il nettare, gli alberi la melata, che le api raccolgono, trasformano, combinano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi degli alveari, e che conferiscono ad ogni miele la propria specificità organolettica, la sua forza o dolcezza, il colore e la consistenza.
    Esistono così tante qualità di miele quanto sono le varietà di fiori, di piante e d’alberi melliferi, e i mieli sono classificati secondo le loro origini:
    miele di melata, proveniente da alberi
    miele di nettare proveniente da fiori.

    Se di ORIGINE FLOREALE si dividono in:
    - miele monofloreali, provenienti da un’unica specie di fiore e possono essere suddivisi in due principali categorie:
    delicati, fruttati e floreali (ad esempio, miele di agrumi, di girasole, di acacia…);
    forti, amari e particolari (corbezzolo, erica, castagno, timo, …).
    - miele polifloreali, detti anche “millefiori”, provenienti da più specie botaniche, hanno caratteristiche diverse a seconda della zona di produzione e la stagione di raccolta, spesso sono classificati secondo il luogo di raccolta (bosco, macchia, brughiera, ecc.).

    Il miele viene classificato anche secondo l’ORIGINE GEOGRAFICA: miele marasca del Carso, miele della Lunigiana, miele del Trentino...

    La qualità del miele prodotto è tanto più elevata quanti meno strumenti di lavorazione e manipolazioni vengono impiegati prima del suo confezionamento: ecco il suo percorso.
    Le api compiono un meticoloso lavoro detto “spigolatura”, ossia di raccolta di minuscole goccioline di nettare (liquido zuccherino derivato dalla linfa delle piante), o melata dalla pianta che trasportano all’alveare. Ovviamente la composizione del nettare condiziona direttamente la composizione del miele che ne deriva: il miele di castagno avrà stato fisico, colore, odore, sapore e aroma diversi dal miele di acaia o da quello di tiglio.
    Anche la melata deriva dalla linfa delle piante, ma è prodotta in seguito all'intervento di insetti, che succhiano il nettare delle piante ed espellono il liquido in eccesso.
    Entra in campo adesso l’apicoltore, che compierà la “disopercolatura” ,cioè l’asportazione dell’opercolo, sottile strato di cera che le api depositano su ogni celletta di miele per proteggerla. Si taglierà quindi tutta la superficie del favo con dei coltelli che frantumano la cera, e si avranno dei piccoli telai pronti ad essere immessi nello smielatore. Poi, attraverso dei filtri a maglie decrescenti, ad una temperatura di almeno 30 gradi, si esegue la filtrazione del miele.
    L’ultima fase è quella in cui il miele viene stoccato in recipienti di acciaio inox nei quali, per un processo fisico naturale, il miele tende a purificarsi, spurgando le sostanze assorbite durante le precedenti manipolazioni: questa fase è detta della decantazione, in cui il miele “matura”.
    Al termine di questa fase (che generalmente dura circa 20/30 giorni), si rimuove la schiuma biancastra che emerge in superficie, ed il miele è pronto per essere confezionato.

    E’ doveroso parlare anche del “miele da apicoltura biologica”, che non è sottoposto a nessun trattamento che alteri le sue naturali caratteristiche, in quanto l’apicoltore lascia maturare il miele negli alveari senza scaldarlo, la lavorazione avviene con materiali in acciaio e vetro e viene conservato in locali bui e freschi.

    Il miele è un prodotto lungamente conservabile, però con il passare del tempo può subire dei cambiamenti:
    la cristallizzazione (indurimento), dovuta semplicemente al fatto che la maggior parte dei mieli contengono disciolti più zuccheri di quanti ne possano mantenere stabilmente in soluzione, per cui i cristalli prima o poi cominciano a formarsi . Fanno eccezione: il miele d’acacia, quello di castagno e quello di melata che rimangono liquidi per lungo tempo perché più ricchi di fruttosio. Per riavere un miele liquido basta riscaldare il vasetto a bagnomaria ad una temperatura non superiore ai 35-40°C;
    la fermentazione è un’alterazione che si manifesta con bolle di gas e una separazione tra la componente liquida e quella solida . La fermentazione probabilmente avviene quando il miele è stato tolto prematuramente dall’alveare e conteneva ancora troppa acqua.Questo si manifesta più facilmente per certi mieli che presentano un'umidità elevata, perchè prodotti per esempio in primavera come quelli di erica, o tarassaco, oppure prodotti nel tardo autunno come quelli di corbezzolo. Per prevenire questa alterazione è consigliabile la conservazione costante a temperatura di frigorifero.
    Eccovi un elenco di alcuni tipi di miele in commercio.

    TIPI DI MIELE

    Miele d’acacia: ha colore variabile dal bianco acqua al giallo paglierino, è liquido e trasparente, ha un tenue odore floreale e un sapore fine e vellutato, come di confetto.

    Miele di agrumi: è di colore bianco traslucido, cristallizzato a granulazione variabile, ha un odore fresco e penetrante, caratteristico del fiore di origine dal sapore delicato e leggermente acidulo.

    Miele di castagno: è di color castagna con tonalità rossastra, chiaro o scuro secondo la purezza del fiore. E’ liquido, più o meno trasparente, e cristallizza lentamente. I suoi aromi sono intensi floreali e balsamici, con un pizzico di amaro dal sapore forte, persistente, un po' tannico, e retrogusto amaro. Il miele di castagno è indicato per zuccherare il caffe senza snaturarlo troppo

    Miele di colza: è di colore bianco grigiastro o ambra chiarissimo, cristallizzato, pastoso a granulazione fine, dal forte odore di zolfo (simile a quello dei cavoli) e dal forte sapore solforato.

    Miele di corbezzolo: è di colore ambra più o meno scuro con sfumature gigio-verdi, liquido, cremoso, cristallizzato a granulazione fine, dall’odore di vegetale, fresco e forte e dal sapore amaro, intenso e fresco.

    Miele d’erica: di colore ambra-arancio, più o meno intenso, denso e cristallizzato a granulazione media, gli amatori l’apprezzano per i suoi aromi floreali e la sensazione di fresco che lascia in bocca. Il suo sapore ricorda l’anice.

    Miele di eucalipto: ha colore che dall’ambra chiaro all’ambra grigio-verdastro, con odore pungente e caratteristico dei fiori, ed ha un sapore maltato, aromatico e persistente, che ricorda la "mou".

    Miele di girasole: ha colore giallo vivo, più o meno intenso, compatto e cristallizzato a granulazione medio-fine, ha in leggero odore di vegetale, che ricorda il polline. Vivo e gradevole in bocca, risulta neutro, asciutto, con un caratteristico aroma di polline. Serve spesso a preparare un misto di tutti i fiori, ed essendo cremoso e di fine struttura, è facile da spalmare.

    Miele di lavanda: è di colore bianco chiaro – giallo dorato, pastoso e cristallizzato finissimo, dall’odore fresco, intenso ed aromatico questo miele cremoso evoca il sole e i campi di lavanda. Il suo è un caratteristico gusto aromatico, fresco e acidulo, leggermente vegetale.

    Miele di rosmarino: è di colore molto chiaro, quasi bianco, emana un forte odore dei fiori d’origine. Cristallizza finemente ed è conosciuto sin dai tempi dei romani come filtro epatico. Miele dal sapore molto dolce, tutto in finezza, debolmente aromatico.

    Miele di sulla: ha colore bianco cera o ambra chiarissimo e opaco, è pastoso cristallizzato a granulazione fine, dall’odore floreale molto tenue e leggero odore di fieno, dal gusto neutro.

    Miele di tarassaco: è di colore giallo limone con sfumature grigiastre, molto compatto e adesivo, cristallizzato a granulazione fine, dall’odore pungente e forte dei fiori e dal sapore forte, persistente e piccante in gola.

    Miele di tiglio: il colore va dall’ambra giallognolo all’ambra scuro-rossastro, pastoso e un po’ adesivo è cristallizzato a granulazione fine, dall’odore forte, caratteristico, leggermente mentovato e dal sapore molto persistente balsamico, di mentolo.

    Miele di timo: color cannella, dai riflessi rossi, questo miele è la più vecchia denominazione mellifera conosciuta in Europa. Il miele di timo è vigoroso e tonico, molto forte allo stato puro. Nei mieli provenienti dalla macchia mediterranea, si ritrovano gli aromi fini e delicati del timo.

    Melata d’abete: è di colore ambra scuro con riflessi rosso-verdastri, è di consistenza liquida, raramente cristallizzato, dall’odore intenso balsamico-resinoso e dal sapore forte, leggermente maltato, vellutato, anch’esso balsamico-resinoso.

    Melata di latifoglie: ha colore ambra-nocciola scuro e opaco, cristallizzato a granulazione fine, ha un forte e penetrante odore, e un forte sapore caratteristico di vegetale fresco.
     
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  7. gheagabry
     
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    ”... basta un poco di zucchero
    e la pillola va giù e tutto brillerà di più!”


    LO ZUCCHERO



    Lo zucchero può nascere da una pianta tipica dei paesi tropicali – la canna da zucchero – o da una radice – la barbabietola. La prima è più vecchia della seconda, ma entrambe sono in grado di soddisfare ciò che l’uomo sente come bisogno quasi “ancestrale”: quello del dolce. Ciò che comunemente viene chiamato zucchero è, scientificamente parlando, saccarosio. Il saccarosio fa parte della famiglia dei carboidrati, detti anche glucidi o, più semplicemente, zuccheri.
    Quello che noi conosciamo come zucchero è lo zucchero per eccellenza e l’unico che può permettersi di essere così denominato. In realtà, esso è composto da glucosio e fruttosio i quali – unendosi nella linfa delle piante – danno vita al saccarosio. E’ importante sottolineare i grandi benefici che lo zucchero è in grado di apportare dal punto di vista nutrizionale. D’altra parte, fin dalla più tenera età, l’uomo sente questo stimolo quasi innato verso ciò che è dolce – e quindi buono – e soddisfa questo bisogno attraverso il latte materno che è – immancabilmente – dolce: così, da un punto di vista antropologico, ha inizio questo impulso verso un’alimentazione contenente zucchero.
    Non bisogna, poi, dimenticare che i carboidrati, tra i quali lo zucchero, si trovano, in prevalenza, in alimenti di origine vegetale che permettono di regolare efficacemente l’introito di calorie all’interno di una dieta grazie al loro basso contenuto calorico per unità di massa. Facendo un’approssimazione il valore energetico dei carboidrati viene considerato pari a 4kcal/g, con le variazioni del saccarosio che ha un valore di 3,95 kcal/g e dell’amido che corrisponde a 4,18 kcal/g. Quindi, tenendo anche conto del fatto che per alcuni tessuti dell’organismo – ad esempio quello nervoso – il glucosio si rivela essere l’unico elemento utilizzabile dal punto di vista energetico, si può facilmente concludere che diete prive di carboidrati portano a disturbi notevoli del metabolismo, diversamente da diete con carboidrati che permettono di ottenere regimi alimentari più salutari. Non bisogna dimenticare, infatti, che affinché un’alimentazione sia realmente bilanciata è necessario che la partizione dell’apporto calorico provenga dai carboidrati per il 60% delle calorie totali, contro il 10-12% di proteine e il 30% di grassi.
    Riuscire a contenere i costi è stata una grande conquista per l’umanità, poiché lo zucchero è un elemento importante per la nostra dieta quotidiana, non solo per il piacere che il suo consumo ci offre, ma anche per le sue peculiari proprietà fisiche, che ne hanno fatto un ingrediente indispensabile per molti alimenti.


    "Oggi è stata completamente sfatata la convinzione che lo zucchero sia causa di malanni o di obesità. Il valore energetico di 4 Kcal/mg non è superiore a quello dei carboidrati contenuti in molti alimenti che consumiamo tranquillamente e quindi, se utilizzato con equilibrio, lo zucchero favorisce l’aumento del peso corporeo come qualsiasi altro cibo. Unanimamente è riconosciuta l’importanza dei carboidrati in una dieta corretta e bilanciata ed è stato anche dimostrato che una carenza di zuccheri può provocare sintomi molto frequenti al giorno d’oggi quali stanchezza e la minore capacità di concentrazione che ci coglie soprattutto a metà mattina ed a metà pomeriggio.
    Sono inconvenienti che si possono superare facilmente bevendo un bicchiere d’acqua zuccherata o sgranocchiando una o due zollette. Grazie al suo valore energetico ed alla velocità di utilizzo da parte dell’organismo in quanto lo zucchero è il carburante preferito dai muscoli, è un componente che deve essere sempre presente in quantità adeguata nella dieta degli sportivi. Ma non è solo per gli sportivi che lo zucchero è importante.
    Se è vero quanto ha detto un autorevole pediatra in occasione di un convegno sul tema “I dolci nell’alimentazione” e cioè che “ … il cervello va a zucchero, soltanto a zucchero!”. Ed il glucosio è proprio un componente del saccarosio, cioè dello zucchero comune."(Pier Luigi Nanni)


    La canna da zucchero, una volta tagliata, deve essere lavorata velocemente in quanto si deteriora rapidamente; la prima fase della lavorazione, dopo la raccolta, è la macinatura e lo schiacciamento per l’estrazione, grazie anche all’acqua, del sugo; il residuo legnoso restante, detto bagasse, è seccato e utilizzato come combustibile. Il passaggio successivo è la filtrazione del sugo; per evitare che il saccarosio presente nel filtrato sia trasformato in glucosio e fruttosio dagli acidi organici presenti, in un processo definito di “inversione” (vedi zucchero invertito), si aggiunge idrossido di calcio detto anche calce spenta o latte di calce. Il sugo “neutralizzato” viene portato a 95°C e grazie all’azione dell’idrossido di calcio viene “chiarificato” ossia si verifica la precipitazione (non completa) di impurezze e residui (glucosio, fruttosio, fibre, pectine, ceneri inorganiche, aminoacidi, proteine ed altre), che formano una fanghiglia, poi separata per gravità o centrifugazione. Tramite riscaldamento si ottiene una parziale evaporazione dell’acqua che arriva ad una concentrazione del 35% del sugo. Gli ioni calcio presenti vengono allontanati attraverso l' anidride carbonica che è fatta gorgogliare nel sugo; la reazione tra l'anidride e gli ioni di calcio, forma il carbonato di calcio che precipita depositandosi sul fondo. Il passo successivo è la cristallizzazione con la quale, attraverso più fasi di centrifugazione ed evaporazione, il saccarosio è separato dalla melassa (utilizzata come mangime per gli animali, per produrre etanolo, rum, acido citrico e lievito in compresse): il prodotto è lo zucchero grezzo di canna.
    Lo zucchero raffinato bianco è ottenuto da quello grezzo a seguito della separazione dei residui di melassa, che nutrizionalmente hanno un valore del tutto trascurabile. Dopo aver sciolto lo zucchero grezzo in acqua calda si aggiunge nuovamente idrossido di calcio per far precipitare i rimanenti residui di melassa ed ottenere quindi una ulteriore chiarificazione. A questo punto la soluzione contenente residui giallastri è fatta passare su carbone attivo che assorbe i residui in soluzione. Infine, attraverso una serie di cristallizzazioni e centrifugazioni si ottiene lo zucchero bianco.
    L’estrazione del saccarosio dalle barbabietola da zucchero avviene in maniera simile alla canna da zucchero.

    "Viene citato anche Nostradamus, nel Trattato sulle confetture. Nello scritto Nostradamus vede di buon occhio lo zucchero soprattutto per la conservazione degli alimenti"



    La storia dell’alimentazione è costellata di simboli, di credenze e miti che risalgono ormai alla notte dei tempi. Lo zucchero simboleggia il dolce piacere della vita, la golosità delle feste e dei ricevimenti, ma proprio per questo è tra gli alimenti più carichi di preconcetti e di inusitate remore. Siamo già abbondantemente inoltrati nel terzo millennio per cui è finalmente giunto il momento di sgomberare il campo da tutti i preconcetti ed i convincimenti errati, ridando così allo zucchero il suo vero ruolo e l’intrinseca identità.
    Non è semplicissimo determinare l’età precisa di questo zucchero ma non è certamente errato affermare che, più che lo zucchero, il “gusto” zuccherino è vecchio, quasi come il mondo. Già nel 5000 a.C. si produceva un succo zuccherino attraverso la bollitura e spremitura della canna da zucchero, che pare sia stata esportata dai polinesiani col nome di poba, dapprima in Cina e in India, quindi in Australia. Altre tracce storiche di tale lavorazione vi sono anche nell'America Latina del X secolo a.C. circa. In Europa, i persiani di Dario I nel 510 a.C. trovarono un vegetale dal quale si ricavava uno sciroppo denso e dolcissimo. Fatto asciugare su delle larghe foglie, esso produceva cristalli che duravano a lungo, e dalle spiccate proprietà energetiche. Essi ne estesero la coltivazione a tutto il Medio Oriente. Nel 325 a.C., Alessandro Magno portò la notizia che nei territori orientali si trovava un miele che non aveva bisogno di api. Anticamente, erano diffusi altri tipi di dolcificanti, come il miele, molto utilizzato da Greci e Romani, o lo sciroppo estratto dalla canna da zucchero, estremamente noto in Medio Oriente e in Asia. Furono però gli arabi, presso cui era già in uso nel VI secolo d.C., che ne estesero la coltivazione. Per un certo periodo di tempo lo si è accostato al sale per somiglianza esteriore, ma diversissimo per sapore: un sale “dolce”.
    Però, prima di iniziare ad usare abitualmente lo zucchero che noi oggi conosciamo, sono trascorsi molti anni – anzi secoli – attraverso i quali questo “nettare” insostituibile ha assunto diverse forme e tipologie, mantenendo sempre il “gusto” zuccherino che tutti hanno provato.
    Lo zucchero bianco ha fatto la sua apparizione solo ne XVIII secolo.
    La diffusione fu innescata dagli Arabi durante il califfato d’Occidente, i quali fecero conoscere la canna da zucchero nel bacino del Mediterraneo e, successivamente, in Sicilia, a Rodi, a Malta, in Spagna e nel Maghreb (711 d. C. circa). Intorno al VI sec d.C., gli arabi ne intensificarono la coltivazione ed il commercio, producendone perfino una versione solida, nota come sale dolce. Questo sale “dolce” cominciò così a farsi conoscere oltre che nell’Europa centro-meridionale anche nelle isole spagnole, a Capo Verde e nell’Africa Occidentale per approdare nell’Europa Settentrionale solo intorno al 1000.
    Se in Italia arrivò nel X-XI, attraverso veneziani e i genovesi, bisognò attendere le Crociate per l’ affermazione europea del prodotto. A seguito di un accordo stipulato con gli arabi nel 966, la repubblica di Venezia ne iniziò la commercializzazione divenendo uno dei massimi centri commerciali di distribuzione.
    A causa del costo elevato e dell’uso medico che se ne faceva, però, esso rimase un bene per pochi privilegiati fio alla scoperta dell’America. Nel Nuovo Mondo, in particolare in Brasile, Messico, Cuba e Antille, sorsero sconfinate piantagioni di canna, che, se da un lato fecero abbassare il prezzo della merce e le garantirono un’enorme diffusione, dall’altro favorirono la spregevole tratta degli schiavi africani.

    Pare che la sorella della canna da zucchero, la barbabietola abbia iniziato a vedere la luce al tempo dei Babilonesi, ma ci si accorse che anch’essa conteneva lo zucchero solo attorno al 1700. Ci vollero, però, ancora alcuni anni prima che si affinassero le tecniche di estrazione da cui rimasero affascinati sia Federico il Grande che Federico Guglielmo III che ne incentivarono la produzione. È a Napoleone che si deve l’inserimento della coltivazione e raffinazione della barbabietola da zucchero quando in occasione del blocco continentale da lui decretato per escludere il commercio britannico dal mercato europeo, ordinò di dare inizio ad una vasta impresa di cultura su ben 32000 ettari di terreni. Fu solo intorno al 1850 che la coltura della barbabietola e l’industria dello zucchero raggiungessero in Europa proporzioni ragguardevoli. Tale incremento fu un duro colpo all’economia di paesi quali le Antille, Brasile o l’isola di Reunione che avevano basato buona parte del loro lavoro sulla produzione e commercializzazione dello zucchero di canna, molto più costoso di quello di barbabietola. Queste furono le cause che contrastarono il precedente predominio della canna da zucchero determinando una forte “concorrenza” tra le due coltivazioni e, di conseguenza, tra i paesi che ne detenevano la produzione industriale: Vecchio e Nuovo Mondo.Nel 1747 lo scienziato berlinese Andreas S.Marggraf constatò che anche le barbabietole contengono saccarosio, creando così un’ importante alternativa di mercato. Nel 1802 un suo allievo, Franz Karl Acard, aprì, in Slesia, il primo zuccherificio industriale della storia.
    Dopo il Congresso di Vienna (1814-1815) lo zucchero di canna tornò a circolare, ma l'espansione di quello da barbabietola fu irreversibile. Il costo inferiore lo rese disponibile via via a più ampie fasce della popolazione, cambiando considerevolmente le abitudini alimentari dell'Europa. La diffusione dello zucchero da bietola non fu però immediata. Il blocco terminò solo dopo poco più di sette anni dalla sua istituzione (e così i suoi effetti), ma nel contempo non si erano né potuti creare molti stabilimenti né aumentare di molto le superfici coltivate a barbabietola. Il "ritorno" dello zucchero di canna provocò, un calo dei prezzi e la produzione di quello dalla bietola non aveva ancora potuto raggiungere livelli quantitativi tali da farne scendere il prezzo alla portata di tutte le tasche. Il processo di coltivazione della bieta e di estrazione industriale dello zucchero subì un arresto, stante la minor rimuneratività dell'investimento in stabilimenti ed in coltivazioni. Tuttavia il processo "sostitutivo" sul mercato europeo fu lento, ma inarrestabile e lo zucchero da bietola cominciò a far concorrenza a quello di canna dalla seconda metà dell'Ottocento; il fenomeno fu favorito anche dalla graduale abolizione dello schiavismo nei paesi dell'America ove veniva prodotto, il che determinò un aumento dei costi di raccolta e lavorazione della canna e quindi anche del prodotto finito.
     
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  8. gheagabry
     
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    ELVISH, il miele degli elfi



    Il miele più costoso del mondo si chiama Elvish e viene dalla Turchia.
    Per comprarne un kilo servono 5.000 Euro (6.800 dollari).
    Viene prodotta in maniera totalmente naturale per opera di api all'interno di una grotta nel nord-est della Turchia a circa 1800 metri di profondità presso la valle di Saricayir, nella città di Artvin nel nord-est della Turchia.
    Gunay Gunduz, l'apicoltore che ha scoperto il miele dice: "Il miele Elvish viene prodotto in maniera completamente naturale. La grotta in cui le api lo producono è ricca di piante medicinali. Più che un dolce si tratta di un vero e proprio taccasana per la salute!" La storia del miele è iniziata nel 2009, quando l’apicoltore ha notato delle api entrare e uscire dalla caverna.




    Incuriosito, ha deciso di esplorarla. Con l'aiuto degli speleologi, l'apicoltore ha potuto avere accesso alle profondità della grotta, che si è rilevata una vera e propria miniera di miele: non era liquido ma aveva forma solida, come un minerale. Gli speleologi hanno recuperato ben 18 chilogrammi di miele, che era stato depositato sulle pareti interne della cavità. Fatto analizzare, hanno scoperto che era miele invecchiato sette anni, di ottima qualità e ricco di minerali. I test sono stati condotti da un laboratorio francese. Il primo chilo di miele Elvish è stato venduto in Francia nel 2009 per 45 mila euro. Un anno dopo un farmacista cinese ne comprò un altro chilo, al prezzo di 28 mila euro.



    In genere il miele turco viene considerato il migliore del mondo. Il miele degli elfi viene prodotto in modo completamente naturale e senza alveari. L'area di produzione è ricca di piante spontanee e medicinali, una caratteristica che lo rende prezioso. Al buio totale le api operose ne producono in piccole quantità ma di qualità altissima. Elvish è anche ricco di minerali preziosi conferiti dalla rocce minerarie della grotta... Per l'estrazione servono team di scalatori professionisti.

     
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  9. gheagabry
     
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    “In base alla nostra storia, noi siamo gli indigeni della foresta di Mau.
    Senza foresta non possiamo sopravvivere.
    Raccogliamo i frutti spontanei della foresta,
    nella foresta cerchiamo il miele e cacciamo la selvaggina,
    e questo è il nostro modo di vivere”.


    IL MIELE DEGLI OGIEK


    Gli ogiek sono una delle più antiche tribù del Kenya, vivono nella foresta Mau e nella foresta vicina al monte Elgon, al confine con l’Uganda. Sono un popolo pacifico che credono la rabbia è una malattia. Vivono grazie alle risorse naturale della foresta: sono cacciatori e raccoglitori vivono nel cuore della foresta sostentandosi soltanto di caccia e raccolta, mentre la maggior parte coltiva anche ortaggi e alleva qualche animale. Tradizionalmente gli Ogiek cacciavano animali come antilopi e cinghiali, ma oggi non lo possono più fare, perché illegale. La loro attività principale è l’apicoltura. Un tempo questa attività era svolta esclusivamente dagli uomini, in particolare dagli anziani della comunità, gli unici autorizzati a costruire alveari e raccogliere il miele per non danneggiare gli alberi. Le arnie erano quelle tradizionali: grandi cilindri di cedro rosso, un legno resistente ai parassiti e al tempo, appese ad alberi ad alto fusto. Oggi, anche le donne praticano l’apicoltura, ma usano arnie collocate a terra (le cosiddette top bar). Gli uomini, invece, continuano ad arrampicarsi sugli alberi con l’aiuto di liane e raccolgono il miele dopo aver fumigato le arnie bruciando del muschio seccato.
    Sulle pendici della montagna, ad altezze differenti, gli alberi fioriscono in stagioni diverse permet-
    tendo a questo popolo di raccogliere miele durante tutto il corso dell’anno. Il miele ha un sapore che varia in base al periodo e alla stagione in cui è stato raccolto. Viene utilizzato come alimento, per la preparazione della birra e anche come merce di scambio con i popoli vicini, fuori dalla foresta. Il nettare preferito dalle api degli ogiek -api piccole e nere di razza africana- è quello prodotto dal fiori della Dombeya goetzeni, che fiorisce ad agosto e da un caratteristico colore grigio-biancastro e un sapore inconfondibile al miele. La raccolta di dicembre invece ha un colore giallognolo e quella tra febbraio e aprile è rossastra, quasi nera.

    All’inizio del ‘900 la foresta Mau fu pesante-
    mente sfruttata dagli inglesi, che avevano bisogno di legna per far funzionare le macchine a vapore; durante il dominio coloniale sono stati cacciati dalle loro terre, la commissione inglese esaminò il problema della terra, non li riconobbe come tribù vera e propria, ma come una popolazione vagante e abusiva. Dopo la seconda guerra mondiale, gli inglesi avviarono una campagna di riforestazione, introducendo però diverse piante esortiche, poco adatte all’apicoltura. Ma quando gli Ogiek vengono espulsi, la loro foresta perde i suoi migliori custodi e comincia ad essere sfruttata per il taglio e il trasporto del legname e per le piantagioni di tè – alcune delle quali sono addirittura di proprietà dei funzionari governativi. Le prime lottizzazioni della Foresta Mau iniziarono durante gli anni ’40 con l’allontanamento delle popolazioni locali e la creazione delle “White Highlands”. Tale processo continuò durante l’indipendenza, quando gli allontanamenti forzati di diverse comunità dalle loro terre divennero un fenomeno ricorrente. Durante il regime Moi (1978-2002), e soprattutto con il ritorno al regime multi-partitico nel 1991, la distribuzione dei lotti in cui la foresta Mau veniva via via suddivisa era il modo con cui ricompensare i sostenitori politici per la lealtà al capo. A partire dal 1980, lo sfruttamento della foresta Mau divenne sempre più grave, per far posto a piantagioni di te e di fiori, o per ricavare carbone o legname. Negli ultimi 20 anni è stato distrutto il 60 per cento della sua copertura arborea.

    La foresta è ricca di biodiversità e ospita numerose specie arboree autoctone come Olea africana, Dombeya goetzenii, Acacia spp, e Bamboo spp. Essendo su una scarpata, la vegetazione nella foresta Mau è distinto a diverse altitudini. Si compone delle foreste Afromontane e Afromontane di bambù a maggiori altitudini. La vegetazione iniziale è stata dominata dalla Neoboutonia macrocalyx. Le precipitazioni sono più alte e continue sul lato occidentale, dove non esiste una stagione secca, la media di pioggia annuale e al di sopra di 2000 mm. Sui pendii ripidi della scarpata, c'è una umida Foresta montana, caratterizzata da un misto di sempreverdi, semideciduo e latifoglie. Le specie arboree più comuni sono Cyathea manniana, Ensete ventricosum, eminens acanto e Lobelia gibberoa. Il lato orientale, che si trova in un'ombra di pioggia, sperimenta una distribuzione delle precipitazioni bimodale, con un picco nel mese di aprile e di nuovo in luglio/agosto, e la media annuale delle precipitazioni varia da 1.000 a 1.500 millimetri e c'è un tipo di ecosistema di foresta secca.Comprende principalmente di Juniperus procera, Hypericum revoltum, Olea capensis, latifolius Podocarpus e Dombeya goetzeni.

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    IL MIELE DI MELATA

    La melata è una secrezione zuccherina emessa dai Rincoti Omotteri che si nutrono della linfa delle piante. Rappresenta un substrato alimentare fondamentale per la nutrizione di un elevato numero di insetti glicifagi e di alcuni funghi saprofiti e, presso alcune popolazioni, per lo stesso uomo. In ambienti con scarsa disponibilità di piante nettarifere è utilizzata dalle api per la produzione del miele.

    La melata è presente negli abeti, pini, larici, tigli, querce, aceri. E’ considerata una rovina per le piante, essendo molto densa e vischiosa chiude i pori delle foglie e dei rami e non li lascia "respirare", inoltre fa da substrato per la crescita di funghi e muffe molto fastidiosi.

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    La melata è costituita dagli escrementi liquidi prodotti da un adattamento fisiologico di insetti fitomizi che si nutrono esclusivamente di linfa. La dieta a base di linfa è sbilanciata a causa dell'elevato tenore in zuccheri e del basso tenore in amminoacidi, perciò per soddisfare il proprio fabbisogno azotato, questi insetti assumono quantità sproporzionate di linfa per poi scartare buona parte dell'acqua e degli zuccheri disciolti.

    La maggior parte degli Omotteri dispone di un adattamento anatomo-fisiologico dell'apparato digerente, detto camera filtrante, che consiste in un sistema bypass localizzato all'inizio dell'intestino medio (mesentero): la camera filtrante funziona come un dispositivo di dialisi che filtra l'acqua e gli zuccheri deviandoli nell'intestino posteriore (proctodeo). Lo scopo di questa deviazione è quello di concentrare il substrato alimentare sottoposto alla digestione vera e propria prevenendo l'eccessiva diluizione dei succhi enzimatici dell'intestino medio.

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    L'acqua e gli zuccheri scartati dalla camera filtrante confluiscono nella parte finale del tubo digerente e vengono espulsi sotto forma di goccioline. Le gocce di melata rimangono sulla superficie dei vegetali. Se ne nutrono api, formiche e altri insetti.

    Per il suo tenore zuccherino, la melata è una fonte alimentare anche per gli esseri umani. La raccolta della melata era attuata da alcune tribù indigene della Sierra Nevada e del Gran Bacino, da popolazioni del Sudafrica, dagli aborigeni australiani e da popolazioni stanziate in Medio Oriente fra la Mesopotamia e l'Egitto. Se il miele di nettare è prodotto in numerose tipologie, a seconda del nettare raccolto dalle api, la produzione del miele di melata è meno ampia.

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    Maggiormente diffuso è l'utilizzo indiretto della melata sotto forma di miele. In ambienti dove è scarsa la fioritura, le api ricorrono alla melata come fonte zuccherina alternativa al nettare. In Italia gli ambienti tipici per la produzione del miele di melata erano le foreste di conifere di montagna. La maggior parte del miele di melata prodotto in Italia, deriva attualmente dalla melata bottinata dalle api in ambienti collinari, in occasione di infestazioni di metcalfa. Per questo motivo il miele di melata è detto spesso anche miele di metcalfa.

    Il miele di melata ha sapore molto meno dolce di quelli prodotti derivanti dal nettare, non cristallizza e si presenta particolarmente scuro, aromatico e denso e il gusto può ricordare il caramello. Sono presenti in buona quantità anche calcio, magnesio, sodio e potassio, è un’ottima fonte di ferro. Questo prodotto è, come il miele di nettare, un potente antibatterico e antisettico polmonare per le vie respiratorie, adatto a calmare bronchiti, tracheiti e perfetto in caso di raffreddore o influenza. Al suo interno è poi possibile trovare polifenoli e altri antiossidanti.

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    Il miele di melata ha un retrogusto di corteccia, una mescolanza di aromi che rilasciano un sapore amaro; la consistenza è molto compatta e densa.

    Il miele di melata di abete ha un aroma balsamico, erbaceo, con note di legno, possiede anche note caramellate e affumicate.

    La melata di metcalfa è simile, ma non presenta le note balsamiche e affumicate, ha aromi più vegetali, caramellati, di liquerizia. È meno fresca e più stucchevole della melata di abete e, in genere, ritenuta meno pregiata.

    Può succedere che, a causa dell’inquinamento, nel miele di melata di bosco ci si possa trovare residui di metalli pesanti come il rame, l’alluminio il nichel o anche piombo e mercurio dannosi per il nostro organismo anche se in piccole quantità. Questo è direttamente collegato alla zona di raccolta da parte delle api per cui, bisogna preferire melata di bosco raccolto in zone montane, collinari o in parchi naturali.

     
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    "Appena il fiore si apre il nettare arriva sulla punta del fiore. L’ape che si posa sul fiore ne estrae il nettare e lo porta con sé nell’alveare. Il fiore cadrà ma si schiuderanno altri occhielli lungo la pianta di Manuka, creando moltissime ricrescite nel cespuglio. L’ape nell’alveare rigurgiterà il nettare e lascerà il compito alle api operaie di elaborare il nettare e trasformarlo in miele che poi verrà immagazzinato nei favi."

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    IL MIELE DI MANUKA


    Dalla pianta di Manuka si ricava un prodotto straordinario, un miele che deve al Metilgliossale il suo potente effetto antimicrobico capace di rinforzare le nostre difese immunitarie e renderci più forti. Un team di chimici alimentari del Politecnico di Dresda guidati da Thomas Henle è riuscito a far luce ed identificare il fattore unico di Manuka come il Metilgliossale. Il metilgliossale è il principio attivo presente nel miele di Manuka responsabile della sua potente capacità antibatterica e che lo differenzia da qualsiasi altro miele al mondo. Sembra che lo “stress” della pianta favorisca un contenuto elevato di metilgliossale nel miele di Manuka. Esistono varie gradazioni di Miele di Manuka: il 100+ MG - Il 200+ MG - Il 400+ MG - Il 500+ MG che è il più potente.

    Numerose le proprietà intrinseche del miele di manuka: la più semplice è l’alta produzione di acqua ossigenata. Le api nel loro incessante lavoro producono, tra l’altro, un particolare enzima , il glucosio ossidasi. Questo composto proteico esplica la sua azione biologica producendo perossido di idrogeno che non è altro che la comune acqua ossigenata. Tutti i prodotti dell’alveare contengono questo enzima, ma quelli derivati dal Leptospermum ne contengono in quantità incredibilmente superiore.

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    Ha un aspetto più scuro e più ricco di altri mieli, un aroma molto forte, leggermente amaro, ed è marcatamente tissotropico e, se agitato, tende ad assumere un aspetto quasi solido. (La tissotropia, o tixotropia, è la proprietà dei fluidi densi, quali sono i mieli, se agitati, di modificare la loro consistenza in più liquida ovvero più consistente). Le api estraggono dai fiori un prezioso nettare. Grazie ad una serie di enzimi presenti nella saliva di questi insetti, le sostanze estratte vengono trasformate e nel corso di alcuni passaggi diventano il vero e proprio miele.

    Per produrre un cucchiaino di miele di Manuka le api operaie impiegano tutta la vita e per realizzare mezzo chilo di questo prodotto hanno necessità di estrarre il nettare da circa 2 milioni di fiori.

    Il miele di Manuka è attualmente utilizzato come dolcificante e integratore alimentare ma viene inserito come ingrediente attivo in alcuni prodotti cosmetici, ad esempio saponi, creme, shampoo, deodoranti, ecc. Come tutti i mieli, anche il miele di manuka è un ottimo energetico e dolcificante. Per non perdere i benefici che tutti i mieli hanno, se usato come dolcificante di bevande calde, queste non devono superare 40/45 gradi °C, in quanto a temperature superiori le proprietà benefiche si volatilizzano.

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    L’antico popolo Maori ha sempre usato il miele di Manuka, non solo come energetico, ma anche e soprattutto come medicinale Si comprende quindi facilmente il potere disinfettante del miele.

     
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    Zucchero di fiori di cocco

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    Lo zucchero di fiori cocco, conosciuto anche come zucchero di palma da cocco, è un dolcificante naturale che si ricava dalla linfa o nettare dei fiori della palma da cocco. Utilizzato spesso in sostituzione dello zucchero semolato, ha un indice glicemico (GI) piuttosto basso, pari a 35. Rispetto allo zucchero tradizionale, ha un gusto più intenso e fruttato, con un retrosapore che ricorda il caramello.
    Lo zucchero di palma da cocco tradizionale era prodotto in tutte le aree dell’Indonesia in cui si trova la palma da cocco, ma oggi è realizzato solo in quantità molto limitate. Questo perché la resina è raccolta solo dagli alberi più vecchi, che non producono più cocchi in abbondanza. Sono infatti alberi molto alti su cui è pericoloso arrampicarsi e i giovani non vogliono più svolgere questo lavoro. Il rapido sviluppo edilizio ha inoltre comportato la distruzione di buona parte dei terreni agricoli e le palme da cocco sono tagliati per fare spazio ai nuovi edifici, ai negozi e ai resort in molte parti dell’Indonesia.

    Lo zucchero di cocco proviene dalla linfa della palma da cocco. Quando la palma da cocco è matura, tra i 6 e i 10 anni, comincia a sviluppare i fiori. La linfa converte le sue riserve di amido per la crescita dei fiori in zucchero. I fiori vengono incisi e il succo defluisce da solo all’interno di contenitori chiamati bampongs. La raccolta della linfa è svolta a mano: la linfa viene raccolta 4 ore al mattino e 4 ore la sera da agricoltori locali che si arrampicano in cima agli alberi. Un’esigua piantagione permette di raccogliere c.a 100 lt di succo al giorno. Mescolano la linfa con l’acqua, la fanno bollire in uno sciroppo e la lasciano asciugare e cristallizzare. Il liquido assume diversi nomi a seconda della nazione in cui viene preparato: in Indonesia è chiamato neera o nira, nello Sri Lanka toddy, in Thailandia maprau e nel Nord Africa lagbi. Successivamente, rompono la linfa essiccata per creare granuli di zucchero, che somigliano al normale zucchero bianco o di canna.

    La sua produzione in Oriente, soprattutto in Indonesia, ha una tradizione antichissima ed è chiamato Gulamerah, che vuol dire zucchero rosso: in effetti, il colore è ambrato scuro. Qui viene declinato più per il salato che per il dolce: usato per preparazioni agrodolci, quasi come una spezia.


    E' un dolcificante integrale dal colore marrone che mantiene intatte quasi tutte le proprietà nutritive: contiene discrete quantità di vitamine del gruppo B, potassio, magnesio, fosforo, calcio, zinco, ferro e contiene anche enzimi che consentono un lento assorbimento degli zuccheri nel sangue. Una delle sue peculiarità è la presenza di una fibra, l’inulina, che ha proprietà prebiotiche, cioè favorisce la crescita dei batteri intestinali “buoni”.
     
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