EGDAR ALLAN POE

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  1. gheagabry
     
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    Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell'intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell'intelletto in generale.



    EGDAR ALLAN POE




    Il 19 gennaio 2009...è stato il bicentenario della nascita di Edgar Allan Poe, lo scrittore e poeta statunitense considerato l’inventore del racconto poliziesco, del giallo psicologico e del romanzo gotico, interprete lucidissimo dei suoi incubi, negati o rimossi, e ammesso con il ritardo di quasi un secolo nel numero dei grandi della letteratura del suo paese.



    "È impossibile non rimanere affascinati dalle sue opere, sia che ci si limiti a sfogliarle da adolescenti sui banchi di scuola sia che ci si chiami Charles Baudelaire e ci si appresti a tradurle per la prima volta per l’Europa. Avvicinarsi ad Edgar Allan Poe è un viaggio nelle viscere del terrore puro, tra le spire dell’inspiegabile, alle origini del mistero e dell’angoscia umana. Allora come oggi. A duecento anni dalla sua nascita Poe è ancora magia, una magia oscura nata da uno stato di profondo malessere interiore e squilibrio che lo scrittore americano viveva sin dalla sua giovane età. “Sono in uno stato depressivo spirituale” scriveva nel 1835. E il mistero avvolge anche la sua morte, nel 1849, quando fu trovato in stato di delirium tremens sulla banchina del porto di Baltimora e, ricoverato in ospedale, morì qualche giorno dopo.
    “Il mistero non ha limiti e confini, non ha un fascino che si perde, la cosa straordinaria è che non arriviamo a scoprirlo: per questo Poe è ancora così contemporaneo”.."





    Edgar Allan Poe nasce il 19 gennaio 1809 a Boston, da David Poe ed Elizabeth Arnold, attori girovaghi di modeste condizioni economiche. Il padre abbandona la famiglia quando Edgar è ancora piccolo; quando dopo poco muore anche la madre, viene adottato in maniera non ufficiale da John Allan, ricco mercante della Virginia. Da qui l'aggiunta del cognome Allan a quello originale.
    Nel 1829 pubblica in modo anonimo "Tamerlane and other poems", e con il suo nome "Al Aaraaf, Tamerlane and minor poems". Nel contempo, lasciato l'esercito, si trasferisce presso parenti a Baltimora.
    Nel 1830 si iscrive all'accademia militare di West Point per farsi però ben presto espellere per aver disobbedito agli ordini. In questi anni Poe continua a scrivere versi satirici. Nel 1832 arrivano i primi successi come scrittore che lo portano nel 1835 ad ottenere la direzione del "Southern Literary Messenger" di Richmond.
    Il padre adottivo muore senza lasciare alcuna eredità al figlioccio.
    Poco dopo, all'età di 27 anni, Edgar Allan Poe sposa la cugina Virginia Clemm, non ancora quattordicenne. E' questo un periodo nel quale pubblica innumerevoli articoli, racconti e poesie, senza però ottenere grandi guadagni.
    In cerca di miglior fortuna decide di trasferirsi a New York. Dal 1939 al 1940 è redattore del "Gentleman's magazine", mentre contemporaneamente escono i suoi "Tales of the grotesque and arabesque" che gli procurano una fama notevole.
    Le sue capacità di redattore erano tali che gli permettevano ogni volta che approdava ad un giornale di raddoppiarne o quadruplicarne le vendite. Nel 1841 passa a dirigere il "Graham's magazine". Due anni più tardi le cattive condizioni di salute della moglie Virginia e le difficoltà lavorative, lo portano a dedicarsi con sempre maggior accanimento al bere e, nonostante la pubblicazione di nuovi racconti, le sue condizioni economiche restano sempre precarie.
    Nel 1844 Poe inizia la serie di "Marginalia", escono i "Tales" ed ottiene grande successo con la poesia "The Raven". Le cose sembrano andare per il meglio, soprattutto quando nel 1845 diventa prima redattore, poi proprietario del "Broadway Journal".
    Ben presto la reputazione raggiunta viene però compromessa da accuse di plagio, portando Edgar Allan Poe verso una profonda depressione nervosa che, unita alle difficoltà economiche, lo portano a cessare le pubblicazioni del suo giornale.
    Trasferitosi a Fordham, seriamente malato ed in condizioni di povertà, continua a pubblicare articoli e racconti pur non ottenendo mai vera fama in patria; il suo nome invece comincia a farsi notare in Europa e soprattutto in Francia.
    Nel 1847 la morte di Virginia segna una pesante ricaduta della salute di Poe, che però non lo distoglie dal continuare a scrivere. La sua dedizione all'alcolismo raggiunge il limite: trovato in stato di semi incoscienza e delirante a Baltimore, Edgar Allan Poe muore il 7 ottobre 1849.
    Nonostante la vita tormentata e disordinata l'opera di Poe costituisce un corpus sorprendentemente nutrito: almeno 70 racconti, di cui uno lungo quanto un romanzo - The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket (1838) - circa 50 poesie, almeno 800 pagine di articoli critici (una notevole mole di recensioni che ne fa uno dei critici letterari più maturi dell'epoca), alcuni saggi - The Philosophy of Composition (1846), The Rationale of Verse (1848) e The Poetic Principle (1849) - ed un poemetto in prosa di alta Filosofia - Eureka (1848) - nel quale l'autore cerca di dimostrare, con l'aiuto della Fisica e dell'Astronomia, l'avvicinamento e l'identificazione dell'Uomo con Dio.



    "Mi pareva di essere vicino a capire, senza riuscire però a capire, come capita di essere vicini a ricordare e non riuscire a ricordare."



    Come nacque la casa museo di Edgar Allan Poe a Filadelfia..La casa fu acquistata da un collezionista di libri e manoscritti rari, Richard Gimbel nel 1933 e trasfomata in museo.
    Nel 1933 le case museo erano di moda, a dispetto della Grande Depressione. Nel 1895, secondo quanto riportato da Lawrence Vail Coleman nel suo libro Historic House Museums, esistevano venti case museo e il numero crebbe fino ad avvicinarsi al centinaio nel 1910 e superare le 400 intorno al 1933. La Poe House era una di queste.
    Gimbel, assieme al curatore della casa museo Anthony Frayne, riempì la casa di mobili dell’epoca, ma Gimbel utilizzò la casa anche per mostrare la sua collezione di Poeana (ora parte Free Library of Philadelphia’s Rare Books Collection). Il museo fu a conduzione privata, gestito quasi interamente dal signor Frayne e sua moglie, Barbara Frayne, fino alla morte di Gimbel, avvenuta nel 1971




    I veri sognatori non dormono mai.



    Il suo volto, l'abbigliamento, lo sguardo già ne hanno fatto un personaggio ideale per costruire un'immagine di mistero, ampiamente supportata dalla sua opera narrativa.
    Di Poe abbiamo ritratti, molte caricature, ma soprattutto fotografie che ce lo restituiscono nella realtà, senza trucchi. Un uomo travagliato, ansioso, angosciato. Nell'ultima fotografia, scattata quattro giorni dopo il suo tentato suicidio con il laudano, il suo sguardo è quasi intollerabile.
    Le sue opere riflettono uno stato d'animo sofferente, una immaginazione complessa e lugubre, un romanticismo e una sensibilità pre-simbolista che ne hanno fatto un modello immediatamente esaltato in Europa e che hanno invece segnato a lungo l'immagine in patria, dove fu visto come deviante, eccessivamente trasgressivo, macabro.
    Rimane uno degli autori più conosciuti anche da chi non ha gran dimestichezza con la lettura e la letteratura, un ispiratore musicale, un'icona del "lato oscuro" e del mistero. Dalle sue storie sono nati capolavori della cinematografia internazionale, nuovi romanzi e racconti, brani classici e pop, a suo nome è stato istituito negli Stati Uniti il premio più importante per la narrativa di genere, l'oscar del mistery, l'Edgar Allan Poe Award. Ancor oggi fonte d'ispirazione, citazione e scintilla artistica per molti: da un musicista come Lou Reed - che partendo da alcuni dei racconti e delle poesie di Edgar Allan Poe ha realizzato The Raven, la sua opera più ambiziosa, un album che rivisita in chiave moderna il maestro del gotico manipolato ed "arrangiato" saltando, elidendo e aggiungendo pezzi propri - a un attore come Sylvester Stallone che, lettore appassionato di Poe da sempre, sta realizzando un film (in veste di regista e produttore) sulla sua vita.




    Era il 20 aprile 1841 quando il Graham’s Magazine, a Filadelfia, pubblicò “The Murders in the Rue Morgue” (I delitti della Rue Morgue) di Edgar Allan Poe, considerato la prima storia poliziesca della letteratura.





    ......IL CORVO........


    I.
    Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco, sopra alcuni bizzarri e strani volumi d'una scienza dimenticata; mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando - d'un tratto, sentii un colpo leggero, come di qualcuno che leggermente picchiasse - pichiasse alla porta della mia camera.
    «È qualche visitatore - mormorai - che batte alla porta della mia camera.» Questo soltanto, e nulla più.
    II.
    Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre, e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre dai miei libri un sollievo al dolore - al dolore per la mia perduta Eleonora, e che nessuno chiamerà in terra - mai più.
    III.
    E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea, facendomi trasalire - mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima, sicchè, in quell'istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo: «È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza. Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza; è questo soltanto, e nulla più».
    IV.
    Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo: «Signore - dissi - o Signora, veramente io imploro il vostro perdono; ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente, e voi sì lievemente bussaste - bussaste alla porta della mia camera, che io ero poco sicuro d'avervi udito». E a questo punto, aprii intieramente la porta. Vi era solo la tenebra, e nulla più.
    V.
    Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare; ma il silenzio rimase intatto, e l'oscurità non diede nessun segno di vita;e l'unica parola detta colà fu la sussurrata parola «Eleonora!»Soltanto questo, e nulla più.
    VI.
    Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme; ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.«Certamente - dissi - certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra.»
    Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.È certo il vento, e nulla più.
    VII.
    Quindi io spalancai l'imposta; e con molta civetteria, agitando le ali, si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d'altri tempi; egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera, s'appollaiò, e s'installò - e nulla più.
    VIII.
    Allora, quest'uccello d'ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere, con la grave e severa dignità del suo aspetto:«Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso - io dissi - tu non sei certo un vile, orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte dimmi qual'è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!»Disse il corvo: «Mai più».
    IX.
    Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello, sebbene la sua risposta fosse poco sensata - fosse poco a proposito; poichè non possiamo fare a meno d'ammettere, che nessuna vivente creatura umana, mai, finora, fu beata dalla visione d'un uccello sulla porta della sua camera, con un nome siffatto: «Mai più».
    X.
    Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente quest'unica parola, come se la sua anima in quest'unica parola avesse effusa. Niente di nuovo egli pronunziò - nessuna penna egli agitò - finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: «Altri amici mi hanno già abbandonato, domani anch'esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato». Allora, l'uccello disse: «Mai più».
    XI.
    Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta: «Senza dubbio - io dissi - ciò ch'egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza, presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello, finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello: «Mai, - mai più».
    XII.
    Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso, subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all'uccello, al busto e alla porta; quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d'altri tempi, che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d'altri tempi intendea significare gracchiando:«Mai più».
    XIII.
    Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba all'uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell'intimo del mio petto; io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente; ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente Ella non premerà, ah! - mai più!
    XIV.
    Allora mi parve che l'aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile, agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento, «Disgraziato! - esclamai - il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti ha inviato il sollievo - il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora! Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!» Disse il corvo: «Mai più».
    XV.
    - «Profeta - io dissi - creatura del male! - certamente profeta, sii tu uccello o demonio! -
    - «Sia che il tentatore l'abbia mandato, sia che la tempesta t'abbia gettato qui a riva, desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata in questa visitata dall'orrore - dimmi, in verità, ti scongiuro - «Vi è - vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi - ti scongiuro. - Disse il corvo: «Mai più».
    XVI.
    - «Profeta! - io dissi - creatura del male! - Certamente profeta, sii tu uccello o demonio!
    - «Per questo Cielo che s'incurva su di noi - per questo Dio che tutti e due adoriamo - di' a quest'anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden, essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora, abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora».
    Disse il corvo: «Mai più».
    XVII.
    - «Sia questa parola il nostro segno d'addio, uccello o demonio!» - io urlai, balzando in piedi. «Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte! Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita! Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta! Disse il corvo: «Mai più».
    XVIII.
    E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza, e i suoi occhi sembrano quelli d'un demonio che sogna; e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia, fuori di quest'ombra, che giace ondeggiando sul pavimento non si solleverà mai più!



    "Scienza, tu vera figlia del passato Che con l’acuto sguardo tutto muti!"



    La stella della sera


    L' estate era al suo meriggio, e la notte al suo colmo;
    e ogni stella, nella sua propria orbita,brillava pallida, pur nella luce della luna, che piu' lucente e piu' fredda, dominava tra gli schiavi pianeti,nei cieli signora assoluta - e, col suo raggio, sulle onde.
    Per un poco io fissai il suo freddo sorriso; oh, troppo freddo - troppo freddo per me!
    Passo', come un sudario, una nuvola lanugiosa, e io allora mi volsi a te
    orgogliosa stella della sera, alla tua remota fiamma, piu' caro avendo il tuo raggio;
    giacche' piu' mi allieta l' orgogliosa parte che in cielo svolgi a notte,
    e di piu' io ammiro il tuo fuoco distante che non quella fredda, consueta luce.

     
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  2. gheagabry
     
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    Il ritratto ovale
    (E.A. Poe)




    Il castello di cui il mio valletto aveva osato forzare l'ingresso pur di non permettere che, gravemente ferito com'ero, io passassi la notte all'aperto, era uno di quegli edifici, tetri e grandiosi insieme, che da gran tempo ergono la loro aggrondata mole frammezzo agli Appennini, non meno nella realtà che nei fantastici scenari di Mrs. Radcliffe. Stando ad ogni apparenza, era stato abbandonato temporaneamente e da non molto. Noi ci insediammo in una delle stanze più piccole e meno sontuosamente arredate, sita in una torretta fuori mano. Gli addobbi erano di pregevole fattura, ma logori e segnati dall'usura del tempo. Alle pareti tappezzate di arazzi erano appesi trofei e panoplie d'ogni genere e forma, nonché un'infinità di originalissimi quadri moderni dalle ricche cornici dorate di stile arabesco. Questi quadri, che rivestivano non solo le superfici principali dei muri, ma le innumerevoli nicchie imposte dalla bizzarra architettura del castello - questi quadri, dicevo, avevano destato in me un profondo interesse, determinato forse dal mio incipiente delirio; cosicché ordinai a Pedro di chiudere le massicce imposte della stanza (infatti era già notte), di accendere i bracci di un alto candelabro posto a capo del mio letto e di scostare, aprendole quanto più poteva, le frangiate cortine di velluto nero che lo avvolgevano. Volevo che così fosse fatto perché, se non potevo abbandonarmi al sonno, desideravo almeno dedicarmi all'alternata contemplazione dei quadri e alla lettura di un volumetto trovato sopra il guanciale, che, a quanto sembrava, dei quadri offriva e la critica e la descrizione.

    A lungo, a lungo lessi - e religiosamente, devotamente contemplai; le ore volarono rapide e gloriose, e giunse la profonda mezzanotte. La posizione del candelabro mi disturbava, e stendendo la mano con difficoltà per non destare il mio valletto assopito, lo collocai in modo che i raggi cadessero in pieno sul libro. Ma quest'atto produsse un effetto assolutamente imprevisto. I raggi delle numerose candele (poiché ve n'erano molte) penetrarono in una nicchia che una delle colonne del letto aveva fino a quel momento tenuto nell'ombra più fitta. Scorsi così nella vivida luce un quadro che prima m'era affatto sfuggito. Era il ritratto di una fanciulla, tenera eppur rigogliosa, quasi donna ormai. Diedi al quadro un'occhiata frettolosa, e poi chiusi gli occhi. Perché lo facessi, neppure io, dapprima, riuscii a comprenderlo.

    Ma mentre le mie palpebre restavano chiuse, analizzai rapidamente la ragione per cui le tenessi serrate a quel modo. Era stato un moto impulsivo per guadagnar tempo e pensare: per accertarmi che la vista non mi avesse ingannato; per acquietare la mia immaginazione, prima di volgere un altro sguardo, più calmo e sicuro.

    Di lì a pochi momenti ripresi a fissare il quadro. Che ora vedessi giusto non potevo né volevo dubitare; poiché il primo bagliore delle candele su quella tela pareva aver dissipato il sognante stupore da cui i miei sensi erano posseduti, riportandomi di colpo alla lucidità del reale. Il ritratto, l'ho detto, era quello di una fanciulla.

    Solo la testa e le spalle, eseguite, per usare la denominazione tecnica, alla maniera di «vignette» molto simile allo stile delle teste predilette da Sully. Le braccia, il seno, fin le punte dei capelli irraggianti si fondevano impercettibilmente con l'ombra vaga ma densa che faceva da sfondo. La cornice era ovale, riccamente dorata e filigranata alla moresca. Come opera d'arte, nulla poteva essere più ammirevole del dipinto in quanto tale. Ma non era pensabile che a destare in me un'impressione così subitanea e violenta fosse stato l'alto livello dell'esecuzione o l'immortale bellezza del viso. E ancor meno era ammissibile che la mia immaginazione, strappata dal dormiveglia, avesse scambiato la testa per quella di una persona viva. M'avvidi subito che le peculiarità del disegno, della tecnica pittorica e della cornice non potevano non dissipare immediatamente tale idea, impedendomi di indulgervi sia pure per un istante. Riflettendo intensamente su questi punti, rimasi per forse un'ora un po' seduto, un po' sdraiato, con gli occhi inchiodati sul ritratto. Infine, scoperto il vero segreto del suo effetto, mi abbandonai supino sul letto. Avevo scoperto che l'arcana magia del dipinto stava nell'espressione così vivida, così perfettamente conforme alla vita stessa che mi lasciò dapprima sbalordito e infine confuso, soggiogato, sgomento. Con profondo, reverente timore, rimisi il candelabro nella primitiva posizione. Sottratta così alla vista la causa del mio intenso turbamento, cercai ansiosamente il volume che trattava dei dipinti e della loro storia. Apertolo al numero che designava il ritratto ovale, lessi le vaghe e strane parole che seguono:

    « Era una giovinetta di rara beltà, non meno leggiadra che colma di gaiezza. E funesta fu l'ora quando ella vide, e amò, e sposò il pittore. Era costui uomo dominato da un'unica passione, studioso, austero, e che nella sua Arte già aveva una sposa; ed ella era fanciulla di più che rara beltà, non meno leggiadra che colma di gaiezza; tutta luce e sorrisi, e giocosa come un giovane cerbiatto: piena d'amore e di tenerezza per tutte le cose, odiava solo l'Arte che le era rivale; temeva solo la tavolozza e i pennelli e gli altri fastidiosi strumenti che la privavano del volto dell'amato. Fu dunque cosa terribile per questa dama sentir parlare il pittore del suo desiderio di ritrarre la giovane moglie. Ma ella era umile e obbediente, e docilmente, per molte settimane, sedette nella buia sala della torre, dove solo dall'alto la luce filtrava sulla pallida tela. Ma il pittore si gloriava dell'opera sua che procedeva ora dopo ora, giorno dopo giorno. Ed era uomo di passioni, stravagante, forastico, perduto in un suo fantasticare; così che non volle vedere che la luce spettrale che cadeva in quella torre solitaria inaridiva salute ed animo della sua sposa, la quale andava illanguidendo in modo visibile a tutti, tranne che a lui. Ma ella sorrideva sempre, sempre: senza lamentarsi, perché vedeva che il pittore (di cui grande era la fama) traeva da quel suo impegno un piacere fervido e ardente, e giorno e notte lavorava per ritrarre colei che tanto l'amava, e che tuttavia di giorno in giorno diveniva più languida ed estenuata. E, in verità, alcuni che avevano visto il ritratto parlavano sommessamente della sua somiglianza come di meraviglia grande, prova non meno dell'arte del pittore che del suo profondo amore per colei che così mirabilmente andava dipingendo. Ma alla fine, avvicinandosi l'opera al suo compimento, a nessuno fu più concesso di accedere alla torretta; poiché il pittore, invasato dall'ardore della sua creazione, di rado alzava gli occhi dalla tela, fosse anche per guardare il volto della sposa. E non voleva vedere che i colori che stendeva sulla tela erano tratti dalle guance di colei che gli sedeva accanto. E quando molte settimane furono trascorse e pochissimo restava da fare ancora - solo una pennellata sulla bocca e un tocco di colore all'occhio, lo spirito di lei guizzò ancora come la fiamma entro il becco di una lampada. E la pennellata fu data, e fu applicato il tocco di colore; e, per un attimo, il pittore ristette rapito davanti all'opera che aveva portato a termine; ma un attimo dopo, mentre ancora la contemplava, tremò e impallidì e inorridito, esclamando: "Questa è proprio la Vita !" bruscamente si volse a guardare l'amata: Ella era morta ! ».



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  3. gheagabry
     
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    Poe%2Bpainting



    Una deliziosa lettera di Frances Osgood, una delle amiche di Poe, che ci fornisce dettagli curiosissimi sulle sue abitudini, sulla sua persona, sulla sua vita privata. Questa donna, lei stessa letterata di valore, nega coraggiosamente tutti i vizi, tutte le colpe rinfacciate al poeta.

    «Con gli uomini, - dice a Griswold, - era forse come l'avete dipinto voi, e come uomo potete avere ragione. Ma posso assicurare che con le donne era tutt'altro, e che nessuna donna ha conosciuto Poe senza provare per lui un profondo interesse. Mi è sempre sembrato come un modello d'eleganza, di distinzione e di generosità...
    «La prima volta che lo vedemmo fu a Astor-House. Willis mi aveva passato al ristorante II Corvo, dicendomi che l'autore voleva conoscere il mio parere. La musica misteriosa e soprannaturale di quella strana poesia mi prese così intimamente che quando seppi che Poe desiderava farsi presentare a me, provai una strana sensazione, quasi dì paura. Apparve con quel suo volto bello e superbo, gli occhi scuri che brillavano di un particolare splendore, splendore di sentimenti e di pensiero, con i suoi modi che erano un miscuglio ineffabile di alterigia e di dolcezza: mi salutò, calmo, serio, quasi freddo; ma sotto quella freddezza vibrava una simpatia così marcata, che non potei fare a meno di rimanere profondamente impressionata. Da quel giorno, fino alla sua morte, restammo amici... So di aver avuto la mia parte di ricordo nelle sue ultime parole, e che mi ha dato, prima che la sua ragione fosse destituita dal suo trono, una ultima prova di fedeltà ali'amicizia.
    Era soprattutto nel suo intimo, semplice e insieme poetico, che il carattere dì Edgar Poe mi appariva nella sua luce migliore. Allegro, affettuoso, arguto, ora docile ora cattivo come un bambino viziato, aveva sempre per la sua giovane, dolce e adorata sposa, e per chiunque venisse da lui - anche durante il più faticoso lavoro letterario - una parola amabile, un sorriso benevolo, un'attenzione gentile e cortese. Passava ore ed ore al leggìo, sotto il ritratto della sua Lenore, l'adorata e la morta, assiduamente, sempre con rassegnazione, fissando con la sua meravigliosa scrittura le brillanti fantasìe che si affacciavano al suo straordinario cervello sempre ali'erta. Mi ricordo di averlo visto un mattino più gioioso e più allegro del solito. Virginia, la sua dolcissima moglie, mi aveva pregata di andarli a trovare e non potevo resistere a tale richiesta... Li trovai che lavoravano alla serie di articoli che ha pubblicato col titolo The Literati of New York. "Vedete" mi disse, srotolando con un sorriso numerosi rotoli di carta (scriveva su delle strisce strette, senza dubbio per dare alla sua copia la giustezza della colonna del giornale), "voglio mostrarvi, a seconda della lunghezza, i vari gradi di stima che nutro per ogni membro della vostra tribù letteraria. In ciascun foglio, ognuno di voi è arrotolato ed esaminato. Vieni Virginia, aiutami!" E li srotolarono tutti, uno per uno. Alla fine ce n'era uno che sembrava interminabile. Virginia, ridendo, indietreggiava in un angolo della stanza reggendone un'estremità, e suo marito verso l'angolo opposto con l'altra estremità. "Chi è quel fortunato" dissi io, "che giudicate degno di questo incommensurabile favore?" "La sentite" esclamò, "come se il suo vanitoso cuoricino non le avesse detto che è proprio lei!"
    Quando, per ragioni di salute, fui costretta a partire, ebbi una corrispondenza regolare con Poe, seguendo in questo le insistenti richieste della moglie che credeva che potessi avere su di lui un'influenza ed un ascendente salutare... Per quanto riguarda l'amore e la confidenza tra lui e sua moglie, che per me erano uno spettacolo delizioso, non saprei parlarne con troppo convincimento, con troppo calore. Tralascio qualche piccola avventura poetica nella quale venne trascinato dal suo temperamento romantico. Credo che sia stata l'unica donna che egli abbia amato veramente...»

     
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2 replies since 23/1/2011, 15:25   751 views
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