RE ARTU' e il suo leggendario mondo

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  1. gheagabry
     
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    “Colui che estrarrà questa spada dalla roccia e dall’'incudine è il legittimo Re di tutta l’'Inghilterra.” (iscrizione sull’'incudine della spada della roccia)



    RE ARTU'




    Nella leggenda di Re Artù si trovano tre segni particolarmente complessi che sono la chiave di lettura: si tratta di Excalibur, del Graal e di Merlino, in genere assunti come concreti.
    Excalibur. Il medioevo pullula letteralmente di spade dai poteri magici e tutte sono creazione di magia. Ma la sola excalibur è connessa alla terra e all’acqua. Si ritiene che fosse stata ricavata dalla punta della lancia con la quale il centurione Longino trafisse il costato di Cristo. In quanto tale viene associata, in Germania, alla Heilinge Lance conservata nel Kunstistorische museum di Vienna. Questa infatti corrisponde al simbolo della spada che associa alla stessa alla croce. Ma esso è valido unicamente per l’unione del simbolo della spada all’icona del Graal. Cronologicamente excalibur è il simbolo più recente. Thomas Mallory vuole che essa sia stata forgiata da Merlino e da questi sarebbe stata portata, dopo la morte di Artù, ad Avalon. Per l’anonimo autore de “La mort d’Arthur”, sarebbe invece stata gettata da Parsifal nel lago e restituita alla signora del Lago. Nella versione celtica era l’equivalente di una lancia. Per i Celti infatti la lancia era quella del dio Lugh, che ha donato agli uomini. Tale identificazione subì un’altra trasformazione quando, sotto l’influsso della mitologia germanica, si confuse con la lancia di Odhinn, sulla quale sono incise le rune del fato.
    L’onnipresenza di Merlino (in latino Mrtfimus): Myr-Ddyn il druido è il simbolo della natura, della sua forza resa visibilmente tangibile dalla spada e dalla roccia. Eli è l’alito del drago e il drago rappresenta la linfa che scorre nelle vene della Grande Madre, perciò Merlino è la terra. Merlino rappresenta il vecchio mondo, quello che si identificava con Avalon e he è destinato a subire il crepuscolo degli dei, scomparendo nelle nebbie del nord per far spazio alla nuova divinità cristiana rappresentata da san Patrizio e da Giuseppe d’Arimatea. La lotta tra vecchio e nuovo avviene nel cuore di Artù e sarà la causa della sua rovina. Fino a quando Merlino è presente nel mondo reale, Avalon è presente e Merlino è il legame tra antico e recente. Quando si allontana Avalon svanisce e la rovina di Artù segna la fine della cavalleria e del vecchio mondo.
    Il Graal fu allora, com'è ancora adesso, il simbolo di un'incomunicabile trascendenza e di un'ineffabile spiritualità, al cui conseguimento molte persone si sono cimentate e per la quale hanno perfino immolato la vita.


    I mortali affermano che nel mondo delle Fate non cambia mai nulla, ma non è così.
    Ci sono luoghi dove i mondi sono vicini fra loro come le pieghe di una coperta,
    ed uno di essi è il luogo che chiamano Avalon




    Avalon è un'isola leggendaria, situata da qualche parte in Inghilterra.Secondo alcune teorie, la parola Avalon è una traduzione inglese del termine celtico Annwyn, cioè "il regno delle fate". Secondo alcune leggende, Avalon sarebbe il luogo in cui Giuseppe d'Arimatea, dopo aver raccolto il sangue di Gesù in una coppa di legno (il Sacro Graal), si rifugiò, fondando anche la prima chiesa della Britannia. È anche il luogo in cui venne sepolto il corpo di Re Artù, trasportato su una barca da Morgana. Secondo la leggenda Artù dorme sull'isola, in attesa di tornare nel mondo quando questo ne sentirà nuovamente il bisogno.Avalon resta comunque, nell'immaginario collettivo, un'isola di magia, ove continuano a vivere le vecchie tradizioni dei celti e onorata dalle sacerdotesse che secondo le leggende hanno nascosto l'isola tramite una fitta nebbia, rendendo il luogo accessibile solamente a chi ha la conoscenza per aprire questo incantesimo.





    Il nome Arthu in lingua celtica continentale significa orso, simbolo di forza, stabilità e protezione, caratteri anche questi ben presenti in tutta la leggenda. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale, e l'orso è l'animale simbolo per eccellenza della regalità. Anche sulla base del suo nome, una scuola di pensiero ritiene che la figura di Artù non abbia nessuna consistenza storica e che si tratterebbe di una semi-dimenticata divinità celtica poi trasformata dalla tradizione orale in un personaggio realmente esistito, come sarebbe accaduto per Lir, dio del mare, divenuto poi re Lear.



    «Alcuni pensano che Re Artù possa simboleggiare la coscienza. Egli va tuttavia inteso come un uomo che ha dedicato se stesso alla causa dell’onore, del dovere e del sacrificio di sé, che aveva i sentimenti e le speranze dei suoi cavalieri più nobili, seppur con una coscienza più forte e più chiara rispetto a ciascuno di loro.»Alfred Tennyson



    Il sovrano britannico della Cambria Arthur, figlio di Uther Pendragron e della nobile Igraine di Cornovaglia, sembra essere stato il personaggio che, nonostante inserito a pieno titolo nei meandri oscuri della storia del primissimo Medioevo britannico, abbia ispirato la figura di re Artù ai poeti e ai letterati, ai romanzieri e ai cantastorie, ai guerrieri ed agli uomini di religione dell'Europa continentale per almeno cinque secoli consecutivi.
    Non esiste certezza sull'uguaglianza di questo sovrano bretone con l'uomo dei componimenti epici, così come non esiste chiarezza tra le descrizioni dei luoghi delle sue gesta con i territori dell'antichità, sull'identità del personaggio sebbene i tentativi degli storici antichi e contemporanei di definirne con attendibilità i contorni del passato. Il testo classico di riferimento storico comunemente adottato dagli studiosi è la “Historia Regum Britanniae (o Bretonum)”, la “Storia dei Sovrani di Britannia (o dei Bretoni)” redatta dal chierico Goffredo di Monmouth dopo il 1130. L'autore mescolò la figura di re Arthur di Cambria, personaggio dai contorni storici davvero evanescenti, con elementi leggendari e fantastici tratti in particolare modo dalla tradizione orale bretone. Tutte le altre successive composizioni che hanno avuto velleità storicistiche, hanno avuto sostanzialmente diramazione da questo testo, vera e propria pietra miliare sull'argomento.




    Siamo dovuti andare in cerca di avventure
    perchè non riuscivamo più a viverle nei nostri cuori.



    "La vigilia di Natale tutti i baroni del regno di Lo Gres andarono a Londra, e tra essi Antor, con Keu e Artù, i suoi due figli, di cui non sapeva chi preferire...Tutti assitettero alla messa di mezzanotte con grande pietà. E mentre la folla usciva dalla chiesa, rinsuonarono grida di stupore...una grande pietra tagliata si trovava nel centro della piazza e sorreggeva un'incudine di ferro in cui era infissa una spada fino alla guardia.
    Subito fu avvertito l'arcivescovo che arrivò con l'acqua benedetta. E mentre si chinava per aspergere la pietra, lesse ad alta voce queste parole che vi erano scritte in lettere d'oro:
    COLUI CHE ESTRARRA' QUESTA SPADA SARA ELETTO RE DA GESU' CRISTO.
    Gli uomini più nobili e ricchi tentarono la prova ma nessuno riuscì ad estrarre la spada...Allora fu ordinato che tutti coloro che desideravano cimentarsi in quell'esercito
    ne avessero facoltà. Ma la spada incantata, tutta scintillante di luce, rimase dov'era, conficcata nel ferro fino al giorno di Capodanno...In quella ricorrenza, com'era tradizione, alle porte della città si doveva tenere un grande torneo...Keu, che era stato fatto novello cavaliere il giorno di Ognissanti, aveva deciso di prendervi parte. Per questo pregò il fratello di andare a prendere la spada che aveva lasciato nel suo alloggio. Artù si diresse verso l'alloggio, ma non riuscì a trovare la spada del fratello.
    Stava tornando., quando, passando davanti alla chiesa, pensò che non aveva ancora fatto la prova: subito si avvicina alla pietra e, senza nemmeno smontare da cavallo, impugna il gladio meraviglioso, lo estrae senza alcuna fatica, e lo porta al fratello sotto un lembo del mantello, e gli dice: - Non sono riuscito a trovare la tua spada, ma ti ho portato quella dell'incudine...Keu la prese senza pronunciare parola, e si mise alla ricerca del padre. Antor chiamò Artù e gli ordinò di andare a rimettere il gladio dove l'aveva preso: il fanciullo riconficcò la lama nell'incudine con la stessa facilità con cui l'avrebbe immersa nell'argilla.
    Quello stesso giorno, quando il torneo finì, i baroni tornarono a riunirsi nella cattedrale.
    Fu allora che Antor chiese all'arcivescovo di permettere ad Artù, che non era ancora cavaliere, di effettuare la prova...Di nuovo il ragazzo ripetè il miracolo: sfilò la spada e la pose fra le mani dell'arcivescovo...Dalla folla che si era radunata si levò un mormorio di meraviglia.
    Ma i baroni, profondamente turbati, cominciarono a protestare, gridando che consideravano un disonore per se stessi e per il regno essere governati da un ragazzo di oscure origini.
    Ma l'arcivescovo disse ad Artù: - Se Nostro Signore vuole che siate voi a governare questo popolo, così sia. Il popolo piangeva di gioia e di pietà; i baroni allora si rassegnarono a nconoscere in Artù l'eletto da Dio."





    EXCALIBUR


    Impugnare la spada e tirarla fuori dalla roccia, come fece Artù, significa far sì che la forza emerga dalle nostre profondità e si manifesti fuori e dentro di noi. La spada non serve solo per tagliare quello che è diventato inutile. Essa ci fornisce l'energia per mostrare il carattere e le nostre capacità, per proteggere le nostre priorità e difenderci dalle cose che ci fanno male. Ci insegna, insomma, a non perdere di vista le cose importanti e ci sprona all'azione, risvegliandoci dal torpore dell'inverno e del Confronto.


    "Non ero destinato ad una vita umana, ma ad essere l'essenza di memorie future. La fratellanza d'armi è stato un breve inizio, un bel momento, che non può essere dimenticato. E poiché esso non sarà dimenticato, quel bel momento potrà ripetersi. Ora, ancora una volta, devo guidare i miei cavalieri a difendere ciò che è stato. E il sogno di ciò che potrebbe essere... " citazione re Artù dal film Excalibur





    Il secondo lungometraggio animato Disney degli anni sessanta si occupa di uno degli eroi leggendari più celebri, ma lo fa in modo originale. Il protagonista del film è infatti nientemeno che re Artù, ma non è il guerriero che ci immaginiamo, nè il re magnanimo e giusto. Dei suoi cavalieri poi, nemmeno l'ombra.
    Come mai?
    Semplice, Walt Disney ritrae l'eroe negli anni della sua infanzia.
    Fu questo film, insieme a "La Carica dei 101", a risollevare le sorti della Walt Disney Production dopo il flop de "La Bella Addormentata nel Bosco".
    Artù è in questo film un ragazzino, nessuno immagina lontanamente quale sarà il suo destino, così il piccolo vive facendo lo sguattero nello sgangherato castello di Sir Ettore e di suo figlio Caio, che lo hanno ribattezzato, senza troppo rispetto, Semola.
    Non è vero però che proprio nessuno è in grado di vedere nel gracile ragazzino un grande sovrano, ci riesce infatti il buon Mago Merlino, abituato ai viaggi nel tempo, e che quindi conosce il futuro allo stesso modo del presente e del passato.
    Il mago è, nella versione disneyana, un simpatico ed arzillo vecchietto un po' svanito e sempre sul punto di far danni di ogni misura, il che lo rende il più simpatico personaggio della pellicola. Nella gara di simpatia corre contro il saggio gufo parlante Anacleto, suo compagno di battibecchi, e, strano a dirsi, con la strega cattiva, Maga Magò, raro caso di strega disneyana che anzichè far paura ai bambini, li diverte.





    Parsifal non era il cavaliere più prestigioso della Tavola Rotonda, anzi era il meno dotato fra tutti. Eppure egli, diversamente dagli altri, accetta di giocare tutta la sua vita nella ricerca del Sacro Graal: diventerà così il simbolo dell’uomo vero, dove vero non significa capace di coerenza personale, ma disposto a riconoscere che la sua vita appartiene ad un Altro, respira ed è vive di un Altro. “Diventare sempre più veri significa cambiare la nostra falsa coscienza di essere padroni di noi stessi e arrivare alla consapevolezza di appartenere totalmente ad un Altro”

     
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