RE ARTU' e il suo leggendario mondo

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  1. gheagabry
     
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    “Colui che estrarrà questa spada dalla roccia e dall’'incudine è il legittimo Re di tutta l’'Inghilterra.” (iscrizione sull’'incudine della spada della roccia)



    RE ARTU'




    Nella leggenda di Re Artù si trovano tre segni particolarmente complessi che sono la chiave di lettura: si tratta di Excalibur, del Graal e di Merlino, in genere assunti come concreti.
    Excalibur. Il medioevo pullula letteralmente di spade dai poteri magici e tutte sono creazione di magia. Ma la sola excalibur è connessa alla terra e all’acqua. Si ritiene che fosse stata ricavata dalla punta della lancia con la quale il centurione Longino trafisse il costato di Cristo. In quanto tale viene associata, in Germania, alla Heilinge Lance conservata nel Kunstistorische museum di Vienna. Questa infatti corrisponde al simbolo della spada che associa alla stessa alla croce. Ma esso è valido unicamente per l’unione del simbolo della spada all’icona del Graal. Cronologicamente excalibur è il simbolo più recente. Thomas Mallory vuole che essa sia stata forgiata da Merlino e da questi sarebbe stata portata, dopo la morte di Artù, ad Avalon. Per l’anonimo autore de “La mort d’Arthur”, sarebbe invece stata gettata da Parsifal nel lago e restituita alla signora del Lago. Nella versione celtica era l’equivalente di una lancia. Per i Celti infatti la lancia era quella del dio Lugh, che ha donato agli uomini. Tale identificazione subì un’altra trasformazione quando, sotto l’influsso della mitologia germanica, si confuse con la lancia di Odhinn, sulla quale sono incise le rune del fato.
    L’onnipresenza di Merlino (in latino Mrtfimus): Myr-Ddyn il druido è il simbolo della natura, della sua forza resa visibilmente tangibile dalla spada e dalla roccia. Eli è l’alito del drago e il drago rappresenta la linfa che scorre nelle vene della Grande Madre, perciò Merlino è la terra. Merlino rappresenta il vecchio mondo, quello che si identificava con Avalon e he è destinato a subire il crepuscolo degli dei, scomparendo nelle nebbie del nord per far spazio alla nuova divinità cristiana rappresentata da san Patrizio e da Giuseppe d’Arimatea. La lotta tra vecchio e nuovo avviene nel cuore di Artù e sarà la causa della sua rovina. Fino a quando Merlino è presente nel mondo reale, Avalon è presente e Merlino è il legame tra antico e recente. Quando si allontana Avalon svanisce e la rovina di Artù segna la fine della cavalleria e del vecchio mondo.
    Il Graal fu allora, com'è ancora adesso, il simbolo di un'incomunicabile trascendenza e di un'ineffabile spiritualità, al cui conseguimento molte persone si sono cimentate e per la quale hanno perfino immolato la vita.


    I mortali affermano che nel mondo delle Fate non cambia mai nulla, ma non è così.
    Ci sono luoghi dove i mondi sono vicini fra loro come le pieghe di una coperta,
    ed uno di essi è il luogo che chiamano Avalon




    Avalon è un'isola leggendaria, situata da qualche parte in Inghilterra.Secondo alcune teorie, la parola Avalon è una traduzione inglese del termine celtico Annwyn, cioè "il regno delle fate". Secondo alcune leggende, Avalon sarebbe il luogo in cui Giuseppe d'Arimatea, dopo aver raccolto il sangue di Gesù in una coppa di legno (il Sacro Graal), si rifugiò, fondando anche la prima chiesa della Britannia. È anche il luogo in cui venne sepolto il corpo di Re Artù, trasportato su una barca da Morgana. Secondo la leggenda Artù dorme sull'isola, in attesa di tornare nel mondo quando questo ne sentirà nuovamente il bisogno.Avalon resta comunque, nell'immaginario collettivo, un'isola di magia, ove continuano a vivere le vecchie tradizioni dei celti e onorata dalle sacerdotesse che secondo le leggende hanno nascosto l'isola tramite una fitta nebbia, rendendo il luogo accessibile solamente a chi ha la conoscenza per aprire questo incantesimo.





    Il nome Arthu in lingua celtica continentale significa orso, simbolo di forza, stabilità e protezione, caratteri anche questi ben presenti in tutta la leggenda. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale, e l'orso è l'animale simbolo per eccellenza della regalità. Anche sulla base del suo nome, una scuola di pensiero ritiene che la figura di Artù non abbia nessuna consistenza storica e che si tratterebbe di una semi-dimenticata divinità celtica poi trasformata dalla tradizione orale in un personaggio realmente esistito, come sarebbe accaduto per Lir, dio del mare, divenuto poi re Lear.



    «Alcuni pensano che Re Artù possa simboleggiare la coscienza. Egli va tuttavia inteso come un uomo che ha dedicato se stesso alla causa dell’onore, del dovere e del sacrificio di sé, che aveva i sentimenti e le speranze dei suoi cavalieri più nobili, seppur con una coscienza più forte e più chiara rispetto a ciascuno di loro.»Alfred Tennyson



    Il sovrano britannico della Cambria Arthur, figlio di Uther Pendragron e della nobile Igraine di Cornovaglia, sembra essere stato il personaggio che, nonostante inserito a pieno titolo nei meandri oscuri della storia del primissimo Medioevo britannico, abbia ispirato la figura di re Artù ai poeti e ai letterati, ai romanzieri e ai cantastorie, ai guerrieri ed agli uomini di religione dell'Europa continentale per almeno cinque secoli consecutivi.
    Non esiste certezza sull'uguaglianza di questo sovrano bretone con l'uomo dei componimenti epici, così come non esiste chiarezza tra le descrizioni dei luoghi delle sue gesta con i territori dell'antichità, sull'identità del personaggio sebbene i tentativi degli storici antichi e contemporanei di definirne con attendibilità i contorni del passato. Il testo classico di riferimento storico comunemente adottato dagli studiosi è la “Historia Regum Britanniae (o Bretonum)”, la “Storia dei Sovrani di Britannia (o dei Bretoni)” redatta dal chierico Goffredo di Monmouth dopo il 1130. L'autore mescolò la figura di re Arthur di Cambria, personaggio dai contorni storici davvero evanescenti, con elementi leggendari e fantastici tratti in particolare modo dalla tradizione orale bretone. Tutte le altre successive composizioni che hanno avuto velleità storicistiche, hanno avuto sostanzialmente diramazione da questo testo, vera e propria pietra miliare sull'argomento.




    Siamo dovuti andare in cerca di avventure
    perchè non riuscivamo più a viverle nei nostri cuori.



    "La vigilia di Natale tutti i baroni del regno di Lo Gres andarono a Londra, e tra essi Antor, con Keu e Artù, i suoi due figli, di cui non sapeva chi preferire...Tutti assitettero alla messa di mezzanotte con grande pietà. E mentre la folla usciva dalla chiesa, rinsuonarono grida di stupore...una grande pietra tagliata si trovava nel centro della piazza e sorreggeva un'incudine di ferro in cui era infissa una spada fino alla guardia.
    Subito fu avvertito l'arcivescovo che arrivò con l'acqua benedetta. E mentre si chinava per aspergere la pietra, lesse ad alta voce queste parole che vi erano scritte in lettere d'oro:
    COLUI CHE ESTRARRA' QUESTA SPADA SARA ELETTO RE DA GESU' CRISTO.
    Gli uomini più nobili e ricchi tentarono la prova ma nessuno riuscì ad estrarre la spada...Allora fu ordinato che tutti coloro che desideravano cimentarsi in quell'esercito
    ne avessero facoltà. Ma la spada incantata, tutta scintillante di luce, rimase dov'era, conficcata nel ferro fino al giorno di Capodanno...In quella ricorrenza, com'era tradizione, alle porte della città si doveva tenere un grande torneo...Keu, che era stato fatto novello cavaliere il giorno di Ognissanti, aveva deciso di prendervi parte. Per questo pregò il fratello di andare a prendere la spada che aveva lasciato nel suo alloggio. Artù si diresse verso l'alloggio, ma non riuscì a trovare la spada del fratello.
    Stava tornando., quando, passando davanti alla chiesa, pensò che non aveva ancora fatto la prova: subito si avvicina alla pietra e, senza nemmeno smontare da cavallo, impugna il gladio meraviglioso, lo estrae senza alcuna fatica, e lo porta al fratello sotto un lembo del mantello, e gli dice: - Non sono riuscito a trovare la tua spada, ma ti ho portato quella dell'incudine...Keu la prese senza pronunciare parola, e si mise alla ricerca del padre. Antor chiamò Artù e gli ordinò di andare a rimettere il gladio dove l'aveva preso: il fanciullo riconficcò la lama nell'incudine con la stessa facilità con cui l'avrebbe immersa nell'argilla.
    Quello stesso giorno, quando il torneo finì, i baroni tornarono a riunirsi nella cattedrale.
    Fu allora che Antor chiese all'arcivescovo di permettere ad Artù, che non era ancora cavaliere, di effettuare la prova...Di nuovo il ragazzo ripetè il miracolo: sfilò la spada e la pose fra le mani dell'arcivescovo...Dalla folla che si era radunata si levò un mormorio di meraviglia.
    Ma i baroni, profondamente turbati, cominciarono a protestare, gridando che consideravano un disonore per se stessi e per il regno essere governati da un ragazzo di oscure origini.
    Ma l'arcivescovo disse ad Artù: - Se Nostro Signore vuole che siate voi a governare questo popolo, così sia. Il popolo piangeva di gioia e di pietà; i baroni allora si rassegnarono a nconoscere in Artù l'eletto da Dio."





    EXCALIBUR


    Impugnare la spada e tirarla fuori dalla roccia, come fece Artù, significa far sì che la forza emerga dalle nostre profondità e si manifesti fuori e dentro di noi. La spada non serve solo per tagliare quello che è diventato inutile. Essa ci fornisce l'energia per mostrare il carattere e le nostre capacità, per proteggere le nostre priorità e difenderci dalle cose che ci fanno male. Ci insegna, insomma, a non perdere di vista le cose importanti e ci sprona all'azione, risvegliandoci dal torpore dell'inverno e del Confronto.


    "Non ero destinato ad una vita umana, ma ad essere l'essenza di memorie future. La fratellanza d'armi è stato un breve inizio, un bel momento, che non può essere dimenticato. E poiché esso non sarà dimenticato, quel bel momento potrà ripetersi. Ora, ancora una volta, devo guidare i miei cavalieri a difendere ciò che è stato. E il sogno di ciò che potrebbe essere... " citazione re Artù dal film Excalibur





    Il secondo lungometraggio animato Disney degli anni sessanta si occupa di uno degli eroi leggendari più celebri, ma lo fa in modo originale. Il protagonista del film è infatti nientemeno che re Artù, ma non è il guerriero che ci immaginiamo, nè il re magnanimo e giusto. Dei suoi cavalieri poi, nemmeno l'ombra.
    Come mai?
    Semplice, Walt Disney ritrae l'eroe negli anni della sua infanzia.
    Fu questo film, insieme a "La Carica dei 101", a risollevare le sorti della Walt Disney Production dopo il flop de "La Bella Addormentata nel Bosco".
    Artù è in questo film un ragazzino, nessuno immagina lontanamente quale sarà il suo destino, così il piccolo vive facendo lo sguattero nello sgangherato castello di Sir Ettore e di suo figlio Caio, che lo hanno ribattezzato, senza troppo rispetto, Semola.
    Non è vero però che proprio nessuno è in grado di vedere nel gracile ragazzino un grande sovrano, ci riesce infatti il buon Mago Merlino, abituato ai viaggi nel tempo, e che quindi conosce il futuro allo stesso modo del presente e del passato.
    Il mago è, nella versione disneyana, un simpatico ed arzillo vecchietto un po' svanito e sempre sul punto di far danni di ogni misura, il che lo rende il più simpatico personaggio della pellicola. Nella gara di simpatia corre contro il saggio gufo parlante Anacleto, suo compagno di battibecchi, e, strano a dirsi, con la strega cattiva, Maga Magò, raro caso di strega disneyana che anzichè far paura ai bambini, li diverte.





    Parsifal non era il cavaliere più prestigioso della Tavola Rotonda, anzi era il meno dotato fra tutti. Eppure egli, diversamente dagli altri, accetta di giocare tutta la sua vita nella ricerca del Sacro Graal: diventerà così il simbolo dell’uomo vero, dove vero non significa capace di coerenza personale, ma disposto a riconoscere che la sua vita appartiene ad un Altro, respira ed è vive di un Altro. “Diventare sempre più veri significa cambiare la nostra falsa coscienza di essere padroni di noi stessi e arrivare alla consapevolezza di appartenere totalmente ad un Altro”

     
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  3. ZIALAILA
     
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    Tintagel - Il castello di re Artù



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    Secondo una delle tante leggende imperniate sul personaggio di Artù, il mitico sovrano della Britannia sarebbe nato verso la fine del V secolo, nel castello di Tintagel in Cornovaglia .
    Nel 1136 il cronista inglese Golfredo di Monmouth, nella sua Historia regum Britanniae, cita la fortezza di Tintagel come la tradizionale residenza di re Artù. Al di là delle leggende, tuttavia, ciò che concretamente esiste sono le rovine di un monastero celtico risalente agli inizi del VI secolo e i resti delle mura di un complesso fatto costruire a picco delle burrascose scogliere, intorno al 1145, dal conte Reginaldo di Cornovaglia, figlio illegittimo di Enrico I.

    La leggenda non presiede solo alla nascita di Artù: l’intera vita del sovrano è intessuta di miti, storie leggendarie, sortilegi. Ancor giovane, Artù conquistò il diritto di sedere sul trono della Britannia strappando dalla viva roccia la magica spada Excalibur: evento avvenuto nel 516 d. C., secondo la tradizione. Durante il suo regno Artù, capo delle forze della Britannia celtica, avrebbe conquistato ben dodici vittorie, delle quali l’ultima soltanto, quella di Mount Badon, è forse storicamente provabile. Secondo l’immaginazione dei suoi biografi, Artù conquistò mezzo mondo cristiano, dalla Scozia all’Irlanda, Islanda, Danimarca, Norvegia, fino alla Gallia e alla Spagna. E avrebbe preso anche Roma se, giunto alle porte della città eterna, non fosse stato informato che la sua patria era in rivolta e che Morded, suo nipote, aveva sedotto la sua sposa, Ginevra. Rientrò allora precipitosamente in patria con Galvano, suo ambasciatore, che fu ucciso durante lo sbarco. I due fedifraghi fuggirono, Ginevra nascondendosi in un convento, Mordred rifugiandosi presso la baia di Camban, in Cornovaglia, dove avvenne lo scontro finale. Artù, ferito a morte, consegno la spada Excalibur a sir Belvedere, con l’ordine di gettarla nell’acqua. Apparve allora un piccolo vascello con molte dame e una regina, che portarono l’eroe sull’isola di Avalon, dove si dice che egli ancora attenda, insieme alla sorella Morgana, di ritornare tra i suoi e guidarli alla vittoria.


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    Le rovine di quella che è diventata una grande attrazione turistica si ergono su uno sperone roccioso proteso nel mare, battuto dalle onde e dalle frequenti tempeste. Probabilmente le leggende sorte intorno a questo luogo sono state originate dallo stretto rapporto del luogo con le manifestazioni primigenie della natura, che qui si esprimono sotto forma di tempeste o di nebbie avvolgenti magicamente ogni cosa. O, forse, si tratta veramente di un luogo fuori dal tempo, dove per motivi inesplicabili si apre una porta su un altro mondo….



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  4. tappi
     
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  5. arca1959
     
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    grazie
     
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  6. gheagabry
     
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    La Signora del Lago







    Questa misteriosa figura femminile diede ad Arthur (Artù ndt) la sua spada, Excalibur. Ella rapì Lancelot (Lancillotto) quando egli era un fanciullo e lo curò quando diventò matto. Potrebbe essere una divinità Celtica dei laghi in origine, forse dello stesso genere di Gwagged Annwn – fate dei laghi nella moderna tradizione Gallese. Secondo Ulrich (Ulrich von Zatzikhoven ndt ) la fata che allevò Lancillotto è la madre di Mabuz. Dato che Mabuz è probabilmente identico al dio Celtico Mabon, sembrerebbe che la fata sia Morgan Le Fay che era, in precedenza, la madre di Mabon. Matrona. A signora del lago, forse una differente, fu uccisa da Balin.
    Vivien potrebbe benissimo essere stata la Signora del Lago nelle Leggende e storie di Artù. Vivine, qualche volta chiamata (Nineve, Nimue, Niniane, ecc, è meglio conosciuta come la donna che chiuse Merlino in una caverna o in un albero.) Nonostante egli conoscesse il suo destino, Merlino non fu in grado di evitare di essere catturato e fatto prigioniero dalla donna che Richard Wilbur chiamò “una creatura che poteva stregare un mago”. Vivien è un personaggio ambiguo. Secondo Malory, per esempio, sebbene Nyneve, che è una delle Signore del Lago, priva Artù dei servizi di Merlino, ella lo soccorre due volte, prima salvandolo da Accolon a cui Morgan Le Fay diede Excalibur per usarla contro Artù, e poi impedendogli di indossare il mantello distruttivo che Morgan gli aveva inviato. Ella usa anche i suoi incantesimi per punire Ettarde di aver maltrattato Pelleas. Alla fine lei e Pelleas “si amarono durante la loro intera vita.” (questa frase era in un inglese molto antico).


    Il personaggio è ambiguo perfino nelle sue prime apparizioni. Nella Volgata francese Estoire de Merlin, ella ama il mago e lo chiude in una magnifica torre, magicamente costruita, così che lei lo possa tenere tutto per lei per sempre. Gli fa regolarmente visita e gli garantisce il suo amore. Nel proseguo della Vulgata, conosciuta come la Suite de Merlin, la relazione è molto diversa. Quando Merlino le mostra la tomba di due amanti, magicamente sigillata, lei lo incanta e lo getta nella tomba sopra i due amanti, quindi sigilla nuovamente la tomba e Merlino muore lentamente. Tennyson identifica Vivien come l’impersonificazione del male. Sebbene abbia preso molto in prestito da Tennyson, Edwin Arlington Robinson, nel poema Merlin rende la cattività di Merlino volontaria, e la sua Vivian e meno incantatrice di quanto sia l’interessante donna di cui Merlino si innamora.

    The Camelot Project, The University of Rochester




    vi segnalo un sito

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  7. gheagabry
     
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    Dicono che ciò che impariamo nell'infanzia, tra le braccia di nostra madre, può rimanere con noi per sempre. Da giovane, Artù è stato ingannato dalla sorella Morgana Le Fay, la quale tramutatasi in un altra donna, giaqcue con lui e venne concepito il loro figlio Mordred, il quale fu subito nascosto alla nascita tramite la donna e che si alzo come strumento di Morgana per rovesciare Camelot.
    La canzone di Heather Dale, contenuta nell'album "The Trial Of Lancelot", è intitolata infatti "Mordred's Lullaby" (La ninna nanna di Mordred). Qui Morgana canta una sinistra ninna nanna mentre culla suo figlio per farlo addormentare.



    Silenzio, piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.
    Piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.

    Candido figlio, io modellerò la tua credenza
    E saprai sempre che tuo padre è un ladro.
    E non capirai la causa del tuo dolore,
    Ma tu seguirai sempre le voci sotto.

    Lealtà, lealtà, lealtà,
    Lealtà di lealtà, lealtà, lealtà soltanto a me.

    Candido figlio, il tuo spirito la odierà.
    Il fiore che ha sposato mio fratello, il traditore.
    Ed esporrai il suo comportamento da burattino
    Poiché sei la prova di come l’ha tradita.

    Lealtà, lealtà, lealtà,
    Lealtà di lealtà, lealtà, lealtà soltanto a me.

    Silenzio, piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.
    Piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.

    Lealtà, lealtà, lealtà,
    Lealtà di lealtà, lealtà, lealtà soltanto a me.

    Candido figlio, crescerai ogni giorno di più,
    In ogni momento io sto guardando la mia vendetta rivelata.
    Il bambino del mio corpo, la carne della mia anima,
    Morirà nella restituzione del diritto di nascita che ha rubato.

    Lealtà, lealtà, lealtà,
    Lealtà di lealtà, lealtà, lealtà soltanto a me

    Silenzio, piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.
    Piccolo, l’oscurità sorgerà dal profondo,
    E ti trascinerà giù nel sonno.

    Lealtà, lealtà, lealtà,
    Lealtà di lealtà, lealtà, lealtà soltanto a me.



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    Edited by gheagabry - 22/4/2012, 23:46
     
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  8. gheagabry
     
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    La maledizione degli uomini è che essi dimenticano.
    (Mago Merlino)



    IL MAGO MERLINO




    Secondo diverse fonti medievali, re Costante, che scacciò Hengest dall'Inghilterra, era il padre di Costantino, Ambrosio e Uther Pendragon. Alla sua morte Costante lasciò il trono al suo primogenito, Costantino, che nominò Vortigern suo primo ministro. Subito dopo la sua ascesa al trono, Hengest invase l'Inghilterra una seconda volta. Costantino fu tradito da Vortigern ed ucciso. Come ricompensa, Vortigern fu incoronato re di Inghilterra. I fratelli di Costantino (che secondo un'altra versione si chiamavano Uther e Pendragon) erano ancora vivi e cercarono vendetta...Furono consultati gli astrologi, i quali dissero che su quella pianura nulla si sarebbe potuto costruire se prima non si fosse sparso il san- gue di un bambino, nato da una discendenza sovrannaturale.
    Cinque anni prima, i demoni, vedendo che troppe anime sfuggivano all'inferno a causa del Divino Gesù, decisero di far nascere un bambino dall'incontro del diavolo con una vergine. Fu scelta una fanciulla bellissima che ogni giorno andava a confessarsi da un sacerdote, chiamato Blaise, il quale scoprì il piano demoniaco e decise di vanificarlo.Su consiglio di Blaise, la ragazza, invece di essere giustiziata per aver intrattenuto rapporti con il diavolo, venne rinchiusa in una torre, dove diede alla luce un bambino. Appena udì il pianto del neonato, Blaise corse a battezzarlo, e lo chiamò Merlino. Il rito cristiano annullò il piano malvagio del diavolo, ma nonostante questo, si scoprì che il bambino era dotato di strani e straordinari poteri. All'età di cinque anni, egli difese sua madre dal- l'imputazione di stregoneria, dimostrando la sua innocenza. La sua fama crebbe a dismisura e giunse alla corte di Vortigern. Quando gli fu chiesto perchè le mura di Salisbury non restavano in piedi, Merlino rispose che due draghi, uno bianco e uno rosso, combattevano tutte le notti, sotto terra. I due draghi furono scoperti e, dopo una furiosa battaglia, il drago rosso fu sconfitto da quello bianco, che scomparve nella foresta. I lavori a Salisbury continuarono, ma Vortigern non trovò pace, poiché Merlino gli predisse le future battaglie con gli eredi di Costante e la sua sconfitta finale. Le predizioni di Merlino si avverarono. Uther e suo fratello Pendragon sbarcarono in Inghilterra con il loro esercito. Vortigern fu bruciato nel suo castello...Subito dopo la vittoria, i Britanni, comandati da Uther e Pendragon, furono attaccati dai Sassoni Hengest. Merlino, che aiutò i Britanni durante la guerra, predisse la loro vittoria ma anche la morte di uno dei due fratelli. Pendragon fu ucciso e Uther aggiunse il nome del fratello al suo, diventando, così, Uther Pendragon. La sua prima preoccupazione fu quella di dare degna sepoltura al fratello ucciso e chiese a Merlino di costruire un monumento alla sua memoria. Merlino, in una notte, raccolse delle grandi pietre dall'Irlanda e dall'Inghilterra e costruì Stonehenge...Poi, andò a Carlisle e con i suoi poteri magici eresse un bellissimo castello per Uther Pendragon, costruendo al suo interno una Tavola Rotonda. Merlino aiutò il re a ingannare Igraine, con la quale Uther Pendragon generò Artù. Quando Artù diventò re, Merlino fu nominato suo consigliere. Poiché poteva assumere tutte le forme che voleva, re Artù lo usava spesso come messaggero.





    ............la fine...........


    Si narra che Merlino costruì molto oggetti, quali una coppa capace di rivelare se colui che beveva da essa aveva condotto una vita pura. Ogni volta che veniva toccata da "labbra impure" rovesciava il suo contenuto. Egli fu anche l'artefice dell'armatura di re Artù e dello specchio che mostrava ciò che si desiderava vedere. Merlino, tuttavia, aveva una fatale debolezza: le donne. Viviana, la Dama del Lago, detta anche Nimüe, lo tradì, rubandogli tutte le arti magiche. Lo seguì in Bretagna e, volendo sbarazzarsi del suo anziano amante, Viviana gli fece un incantesimo, rinchiudendolo in un cespuglio di biancospino dove rimase per sempre. Altre leggende, però, raccontano in modo diverso la morte di Merlino. Secondo una di queste, Merlino, ormai anziano, si sedette sul Posto Periglioso (il posto attorno alla Tavola Rotonda che commemorava il tradimento di Giuda), dimenticando che solo un uomo senza peccato poteva sedersi lì. Fu immediatamente ingoiato dalla terra.
    Un'altra versione narra che Viviana imprigionò Merlino in un palazzo sottoterra, che solo lei poteva raggiungere. È lì che ancora risiederebbe, aumentando la sua conoscenza, giorno dopo giorno.
    -Dizionario Universale del Medioevo di M.E. Bunson-



    ...le profezie...



    Fu il Vescovo Alessandro di Lincoln a richiedere a Geoffrey di Monmouth di tradurre le profezie dal gaelico al latino, e, difatti, le Prophetiae Merlini (che, molto probabilmente, l'autore aveva reinventato) sono precedute da una dedica all'alto prelato. Forse proprio grazie all'autorità del committente, la Chiesa Cattolica considerò Merlino un profeta "cristiano" e degno di rispetto; anche se in realtà, nella saga arturiana, il mago guarda con profondo rimpianto alla scomparsa dell'antica religione.
    Al centro della Profethiae Merlini (Profezie di Merlino) Geoffrey collocò una formidabile figura destinata a suscitare enorme curiosità: quella di Merlino, celebrato più tardi come mago nel Roman de Merlin di Robert de Boron. Qui egli appare innanzitutto nelle vesti di profeta che espone una serie di vaticini relativi alla storia britannica a partire dall'invasione dei Sassoni. Composta in un linguaggio oscuro e sconcertante, pieno di simbolismi spesso di difficile decifrazione [ma Merlino diceva:io sono e resterò oscuro per tutti coloro ai quali non intendo dare spiegazioni, De Boron] e basato su metafore di animali (draghi, leoni, lupi, cinghiali, volpi, ricci, pesci, uccelli etc.) la Profezia di Merlino, collocata nel VII libro della Storia si può considerare la prima opera di letteratura profetica dedicata esclusivamente all'ambito politico.





    " un luogo dove i sentieri e le rocce sono viola"



    .....la foresta di Brocéliande.........



    La Foresta di Paimpont, conosciuta anche come Brocelandia, è situata nel comune francese di Paimpont, vicino alla città di Rennes in Bretagna...Paimpont è una foresta bellissima e affascinante popolata di querce e faggi, con aree di conifere..... la vegetazione bellissima fa da contorno a un'energia particolare, fatata, come sospesa nel tempo.
    In una delle sue parti, si trova la “Valle senza ritorno” dove si dice risiedesse Morgana, la sorellastra di Re Artù, che, ferita nell’orgoglio, vi si ritirò e incantò la valle: gli amanti fedeli potevano attraversarla senza pericolo, mentre quelli infedeli vi rimanevano intrappolati senza più possibilità di uscirne......In un'altra zona spicca l'albero d'oro, creato per ricordare un vasto incendio che distrusse parte della valle nel 1976, anno di grande siccità. Esso è ricoperto da 90 grammi d'oro, così da renderlo eterno, come la foresta stessa. Hanno dovuto circondarlo di rocce acuminate. E' una strana presenza, come a indicare che anche quando tutto sembra perduto, qualcosa di luminoso e prezioso può vivere e tendere al cielo....Oltre, attraversato il borgo Folle-Pensèe, dove un tempo i druidi guarivano le malattie mentali, vi è un’altra fontana, quella di Barenton, con l'acqua freddissima che ribolle in tante bolle che escono dalla terra...Si racconta che un giorno Merlino, recatosi come faceva sempre a meditare vicino alla fontana di Barenton, incontrò Viviana, figlia di un nobile della zona, . Altri ritengono che Viviana, o Nimue fosse una delle Dame del Lago, che soleva passeggiare a lungo nella foresta."Ella chiese a Merlino di mostrarle una magia: il mago fece apparire un giardino pieno di giovani cavalieri e di fanciulle che danzavano al suono di una musica celestiale.
    Viviana ne fu deliziata, e Merlino ne fu perdutamente ammaliato. Per piacerle, egli le donò, con un incantesimo, un magnifico castello (completamente di cristallo), di cui la rese padrona assoluta. Lo protesse con la sua magia, in modo tale che il parco ed il castello sembrassero, agli occhi di tutti, solo un lago come tanti altri (il mirabile lago di Viviana, che adorna come una gemma il bosco).
    Ma Viviana non voleva solo il castello: voleva la magia di Merlino. Giorno per giorno, anno dopo anno, Merlino le trasmise il suo sapere, le insegnò a riconoscere le erbe, le piante, a fabbricare pozioni, a leggere nelle stelle; acconsentì ad esporle tutte le sue arti più arcane e segrete, eccetto una. Occorsero tutte le capacità di fascinazione di Viviana perché anche l'ultimo incantesimo venisse svelato...Egli, alla fine, le rivelò il sortilegio capace di chiudere per sempre un uomo in una prigione invisibile ed inviolabile. La dama, senza esitare, ingannò il mago stesso e, appena egli si fu addormentato, ripeté parole e gesti, così da rinchiuderlo in una prigione d'aria, che nessuno potrà vedere né aprire, fino alla fine dei tempi.

    "Merlino, nella tua grotta di cristallo
    Immerso nel diamante del giorno
    Esisterà mai un cantore
    La cui musica attenui
    Il solco tracciato dal dito di Adamo
    Nel prato e nell'onda?"


    Merlino, l'incantatore, non ricomparve mai più e Viviana prese il suo posto accanto ad Artù, nuova profetessa e maga del re"...Il luogo chiamato “tomba” di Merlino, che corrisponderebbe al punto dove sia stato imprigionato da Viviana, è una semplice pietra spaccata in due da un albero che vi è cresciuto attraverso, contornata da fiori, corone, oggetti ornamentali, e tanti tantissimi bigliettini lasciati dai visitatori..Biglietti di adulti e di bambini, che credono nella magia della vita, della foresta, delle fate, del Merlino che è in noi........Qualcuno dice che il potente mago sia rinchiuso ancora oggi in quel luogo, e che il suo spirito sussurri nel vento tra gli alberi della foresta, pronto a pronunciare le tre magiche parole che lo risveglieranno dal suo sonno nel momento in cui il mondo avrà bisogno del suo aiuto....Non lontano dalla “tomba” di Merlino, sorge un altro luogo sacro: la fontana della giovinezza, le cui acque possiedono il potere favoloso di rendere la giovinezza alla persona che la beve........In un'altra parte della foresta c'è una grande Quercia che ha mille anni, la Chène du Guillotin. Si chiama così perchè pare che l'abate Guillotin, rrimase nascosto all'interno del tronco per settimane per sfuggire a coloro che gli davano la caccia nel periodo del terrore...l’affresco di un enorme cervo bianco (uno dei simboli con cui è rappresentato Merlino, ma anche la divinità celtica cornuta di Kernunos) circondato da quattro leoni rossi, che la chiesa interpreta come Cristo e i quattro evangelisti, ma che, secondo le leggende arturiane, ritroviamo anche sulla Tavola Rotonda. Ultimo dei misteri di questa piccola chiesa nascosta nel cuore della foresta, è la scritta che campeggia sul portale d’ingresso e che accoglie il visitatore: “La porte est en dedans” ossia, “La porta è dentro”, quasi rimandi ad un percorso iniziatico interiore che ciascun uomo deve percorrere nel corso della propria esistenza, alla ricerca della propria verità, del proprio sacro Graal.
    - shanti,dal web -





    .... una preghiera celtica.....



    Mi rivolgo verso Ovest, verso Goirias, la Città Fiera, Forte della Luce, Forte del Calore, Forte della Conoscenza, Forte dell’Agilità mentale, Dimora del Signore dai Molti Talenti, Signore dei Saggi e dei Poeti, Signore dei Druidi e dei Santi, Signore degli Artigiani e dei Costruttori, a cui appartiene la Lancia, la Lancia che perfora le Nuvole, Lancia che distrugge l’Oscurità, Lancia che reca la vittoria sulla materia, (giamos) e che e che possiede il Cervo maschio, il Cervo maestoso, il Cervo che non ha paura, il cervo che mise la luce del Sole nelle proprie corna, (samos) e che possiede il Cinghiale, il Cinghiale del Sole, il Cinghiale dell’Apprendimento, il Cinghiale che resuscita dal proprio stesso sangue, Oh Luminoso, Oh Irradiante, Oh Sapiente (vieni stasera).
    Mi rivolgo all’Ovest, a Goirias, il Forte che brucia, dimora del Signore dai Molti Talenti, Custode della Lancia, Padrone del Cervo (Cinghiale) e di ogni illuminazione.
    (Il tempo dei Celti, Alexei Kondratiev)





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    grazie ghea..
     
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  10. gheagabry
     
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    tavolarotonda


    ...dentro il cerchio della tavola,
    sotto la sacra spada,
    un cavaliere deve giurare di obbedire
    al codice che è senza fine,
    senza fine come la tavola,
    un anello legato all'onore.

    Un cavaliere è votato al coraggio,
    il suo cuore conosce solo la virtù,
    la sua spada difende gli inermi,
    la sua forza sostiene i deboli,
    la sue parole dicono solo la verità,
    la sua ira abbatte i malvagi.

    Il giusto non può morire,
    se un uomo ancora ricorda,
    le parole non sono dimenticate,
    se una voce le pronuncia chiare,
    il codice per sempre riluce,
    se un cuore lo conserva splendemente...



    dal web
     
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  11. gheagabry
     
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    LADY di SHARLOTT


    Il poema The Lady of Shalott di Sir Alfred Tennyson, è una delle leggende piu affascinanti dell’intero Ciclo Arturiano. Esistono più versioni della leggenda della Dama di Shalott, a cui Tennyson e molti pittori dell’area preraffaelita si sono ispirati; la più conosciuta è forse quella ambientata alla corte di Re Artù nel 972 d.C. e precisamente nei dintorni di Camelot.
    Poco lontano dalla città fortificata, infatti, sorgeva la rocca di Shalott, posta su di un isolotto nel mezzo del fiume Avon che attraversa Camelot. Nella rocca di Shalott viveva una giovane maga, la Dama di Shalott, il cui nome, Elaine di Astolat, non era conosciuto da alcuno, e che si diceva essere bellissima. La Dama aveva passato i tutti i suoi 22 anni d’ età sempre rinchiusa nella torre più alta del castello, quella che guardava verso la ricca e festosa Camelot. Non era mai uscita e passava il suo tempo a tessere. Sua madre era morta poco dopo il parto e suo padre era stato ucciso in guerra. Era triste la Dama, molto triste. Su di lei gravava una pesante maledizione: il giorno in cui avrebbe osato guardare fuori dalla finestra in direzione di Camelot o uscire dalla Rocca sarebbe morta. Per questo la Dama passava il suo tempo nella sua stanza in cima alla torre a tessere una magica trama in cui erano intessute le vicende del mondo che lei osservava attraverso un specchio d’argento incantato che rifletteva le luci e le immagini di Camelot e dei campi di grano intorno a Shalott. Sua madre prima di morire aveva rivelato il suo nome ed il suo destino solamente alla fedele balia Isotta, credendo, cosi, di impedire alla maledizione di fare il suo corso. L’origine della maledizione che gravava sulla Lady di Shalott risaliva a 22 anni prima, quando Morgana, la sorella di Re Artù, al momento del concepimento incestuoso di suo figlio, Mordred, ebbe una visione: vide Lancillotto arrivare a Camelot e lo vide invaghirsi di Ginevra, moglie di re Artù. Poi, a distanza di un paio di anni Lancillotto avrebbe incontrato la Dama di Shalott, se ne sarebbe innamorato, l’avrebbe sposata e il matrimonio tra Ginevra e Artù sarebbe stato salvo. Questo per Morgana significava che lei non avrebbe mai potuto regnare su Camelot assieme al suo amato fratello Artù e suo figlio Mordred non sarebbe mai salito al trono. Di conseguenza si recò dalla madre della Dama di Shalott, ormai al suo nono mese di gravidanza , e le lanciò una terribile maledizione:
    "Tua figlia sia maledetta, Lady Maere, che ella non possa mai guardare il mondo dalla sua finestra e che non possa mai uscire dalla rocca o il prezzo sarà una morte atroce. Io Morgana Pendragon, figlia di Ygrajne, la maledico ora nel tuo grembo affinché la vita che porto nel mio, ne sia pegno.
    Nulla potrà spezzare questa maledizione e per il nome di tua figlia io ti proibisco di parlare con chiunque di quanto hai sentito oggi e gli dei mi siano testimoni." Lancillotto giunse alla corte di Artù quando il Re e Ginevra erano sposati da 5 anni. Egli divenne subito il campione di Ginevra e il migliore tra i cavalieri, trascorreva gran parte del tempo in giro per il regno e distante da Camelot a causa del suo amore segreto per la Regina. Però egli tornò a Camelot in un pomeriggio d’estate, cavalcando al passo per la prima volta davanti alla Rocca di Shalott. La sua immagine di cavaliere bellissimo e valente venne riflessa dallo specchio della Dama che se ne invaghì immediatamente e presa da un amore ardente decise di guardare fuori dalla finestra per osservare il suo amore con i suoi occhi. Nello stesso istante in cui La Dama guardò Lancillotto, anche egli la vide ed ella seppe che il cuore di Lancillotto sarebbe per sempre appartenuto a Ginevra e che il suo amore non aveva alcuna speranza. Proprio in quell’istante la maledizione si avverò, lo specchio si spaccò e cadde a terra e la Dama capì che la sua sorte era segnata. Immediatamente corse dalla balia, le rivelò di avere sfidato la maledizione per amore e, con il cuore spezzato, decise di fuggire per andare a morire il più lontano possibile dall’uomo che non avrebbe mai potuto essere suo. La sera stessa, di nascosto, la Dama fuggì dalla rocca e, su di una barca, scese lungo il fiume Avon scomparendo per sempre dalla vista di tutti. La salma di Elaine sul battello entra silenziosamente in Camelot e la sua barca-bara viaggia silenziosamente, forse "magicamente" lungo l’Avon, il fiume che percorre Camelot, sempre secondo Mallory.
    Fa pietà… tutti domandano chi fosse, e si capisce soltanto dal nome scritto sulla barca. Lancillotto stesso conclude che questa era veramente una dama bellissima.
    Per quanto riguarda l’ironia della sorte… dall’altra Elaine (che è Elayne La Blanke), Lancilotto ebbe il figlio "puro", Galahad (detto puro perché rimase celibe e vergine) che, secondo il racconto di Sir Thomas Mallory, era predestinato a trovare il Sacro Graal e salvare l’onore dei Cavalieri della Tavola Rotonda e portare onore e salute al suo amatissimo Re Artù.
    (blue.eternityblog.it)


    Lungo entrambe le rive del fiume si stendono vasti campi di orzo e segale
    che rivestono la brughiera fino a incontrare il cielo;
    e attraverso i campi corre la strada verso la turrita Camelot;
    E la gente va e viene, guardando dove i gigli sbocciano
    attorni all'isola, li sotto, l'Isola di Shalott.
    Salici impalliditi, pioppi tremuli, lievi brezze si oscurano e fremono
    Nella corrente che scorre perpetua intorno all'isola nel fiume,
    fluendo verso Camelot.
    Quattro mura grigie, quattro torri grige
    Sovrastano un prato di fiori, e l'isola silenziosa dimora de La Signora di Shalott.
    Solo i mietitori, falciando mattinieri, nell'orzo barbuto
    odono una canzone che echeggia lietamente
    dal fiume che limpido si snoda, verso la turrita Camelot.
    E sotto la luna lo stanco mietitore, ammucchiando covoni sull'arioso altipiano,
    ascoltando sussurra "E' la maga" ..La signora di Shalott.
    Lì intesse giorno e notte una magica tela dai colori vivaci.
    Ed aveva sentito una voce secondo cui una maledizione l'avrebbe colpita
    se avesse guardato verso Camelot. Non sapeva quale fosse la maledizione.
    E così tesseva assiduamente, ed altre preoccupazioni non aveva,
    la Signora di Shalott.
    E muovendosi attraverso uno specchio limpido
    appeso di fronte a lei tutto l'anno, ombre del mondo appaiono.
    Lì vede la vicina strada maestra snodarsi verso Camelot;
    Ed a volte attraverso lo specchio azzurro i Cavalieri giungono cavalcando a due a due
    Lei non ha alcun Cavaliere leale e fedele, la Signora di Shalott.
    Ma con la tela ancor si diletta ad intessere le magiche immagini dello specchio,
    perchè spesso attraverso le notti silenti
    un funerale con pennacchi e luci e musica andava a Camelot;
    O quando la luna era alta, venivano due innamorati sposati di recente.
    "Mi sto stancando delle ombre" disse la Signora di Shalott.
    A un tiro d'arco dal cornicione della sua dimora,
    Lui cavalcò fra tra i mannelli d'orzo. Il sole giunse abbagliante fra le foglie,
    e splendente sui gambali di ottone del coraggioso Sir Lancelot.
    Un cavaliere con la croce rossa perpetuamente inginocchiato
    ad una dama nel suo scudo, che scintillò sul campo giallo, presso la remota Shalott.
    La sua fronte ampia e chiara scintillò al sole; con zoccoli bruniti il suo cavallo passava;
    da sotto il suo elmo fluirono, mentre cavalcava, i suoi riccioli neri come il carbone,
    Mentre cavalcava verso Camelot.
    Dalla riva e dal fiume egli brillò nello specchio di cristallo,
    "Tirra lirra" presso il fiume cantò Sir Lancelot.
    Lasciò la tela, lasciò il telaio, Fece tre passi nella stanza,
    Vide le ninfee in fiore, Vide l'elmo ed il pennacchio, e guardò verso Camelot.
    La tela volò via fluttuando spiegata; lo specchio si spezzò da cima a fondo
    "la maledizione mi ha colta" urlò la Signora di Shalott.
    Nel tempestoso vento dell'est che sferzava,
    I boschi giallo pallido si indebolivano L'ampio fiume nei suoi argini si lamentava.
    dal cielo basso la pioggia scrosciava sopra la turrita Camelot;
    Lei discese e trovò una barca galleggiante presso un salice,
    E intorno alla prua scrisse la Signora di Shalott.
    Ed oltre la pallida estensione del fiume come un audace veggente in estasi,
    che contempli tutta la propria mala sorte - con una espressione vitrea
    Guardò verso Camelot.
    E sul finir del giorno Mollò gli ormeggi, e si distese:
    l'ampio fiume la portò assai lontano, la Signora di Shalott.
    Si udì un inno triste, sacro. Cantato forte, cantato sommessamente
    Finchè il suo sangue si freddò, lentamente ed i suoi occhi furono oscurati completamente,
    volti alla turrita Camelot.
    Prima che, portata dalla la corrente, raggiungesse la prima casa lungo l'argine
    Canticchiando il proprio canto morì la Signora di Shalott.
    Sotto la torre ed il balcone vicino il muro del giardino e la loggia lei galleggiò, figura splendente
    Di un pallor mortale, tra le case alte silente dentro Camelot.
    Vennero sulla banchina il cavaliere, il cittadino, il Signore e la Dama
    E intorno alla prua lessero il suo nome La Signora di Shalott.
    Chi è? Che c'è qui?
    Nel vicino palazzo illuminato si spensero i regali applausi
    e, per la paura, si segnarono tutti i cavalieri di Camelot.
    Ma Lancillotto riflettè per un po' E disse "ha un bel viso;
    Dio nella sua misericordia le conceda la pace ..La Signora di Shalott".
    (ilboschetto.altervista)
     
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  12. gheagabry
     
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    MORGANA



    Il ciclo arturiano nasce nelle corti de Eleonora d’Aquitania, dove si celebravano i cavalieri e l’amor cortese.
    In questi poemi cavallereschi si attingeva molto alla mitologia celtica e alcune fate e dee vennero inserite nei racconti. Una di queste è la fata Morgana. È molto interessante vedere l’evoluzione di questa divinità che finisce per trasformarsi pian piano in una strega malefica, causa della morte del nobile Artù.

    Tutto ebbe inizio nell’isola di Avalon, immersa nelle acque di un lago sacro, ammantata di nebbie, “le porte fluttuanti”per accedere dal mondo terreno a quello magico. Al di là delle nebbie c’è un regno fantastico dominato da una fata, la fata del lago. Il suo nome è Viviana e grazie a lei verrà forgiata la famosa Excalibur, la spada della roccia che fará di Artù un sovrano. Tra Viviana e Artù si interpone , quasi come un medium tra un mondo e l’altro, mago Merlino. È lui che educa Artù, strappandolo dalle braccia della madre, lady Igraine, che lo concepì con Uther Pendragon, re di Britannia, grazie a un sortilegio di Merlino, il quale attribuì al re le sembianze di Gorlois di Cornovaglia, marito legittimo della dama. Una volta partorito dalla donna, il druido se lo portò via con sé per presentarlo al mondo più tardi, quando sarebbe arrivato il momento opportuno.
    Ma Igraine aveva già un’altra figlia: si chiamava Morgana.

    Questo personaggio mortale, seppure dotato di conoscenze magiche, è molto lontano dalla dea madre della mitologia. In effetti “Morgen” appare per la prima volta in Vita Merlini, di Gofferdo di Monmouyh, uno scrittore gallese del XII secolo. Il personaggio attinge da divinità celtiche come Morrighan, Macha e Modron. Il poeta reinterpretò tutte queste leggende nordiche in chiave cristiana trasformando i suoi protagonisti secondo l’ideale cavalleresco del tempo. Tuttavia, in quest’opera, la terza della sua trilogia dedicata a Merlino, Morgana è ancora una fata, una delle 9 divinità che regnano su Avalon. Piú tardi, come abbiamo visto, sará la sorellastra di Artú .
    Nell’opera di Chretien de Troyes, piú tardi Morgana viene descritta come una sorta di guaritrice, le sue conoscenze magiche vengono utilizzate a fin di bene, per curare cioè Merlino nell’isola sacra di Avalon. I successivi racconti che si incastrano gli uni negli altri, allungando ulteriormente la saga, la collocano giá in una dimensione di malvagità..
    È probabile che man mano che il personaggio si stacca dalla leggenda originale viene sempre piú assorbito nella cultura cristiana che, come si sa, le streghe le bruciava. Infatti Morgana viene spesso confusa con Viviana, la dama del lago, per il semplice fatto che si pone in conflitto con Merlino, o meglio perfidamente lo incastra seducendolo e ammaliandolo per carpigli tutti i suoi segreti. Il mago è innamoratissimo di questa fata e si lascia vincere da una passione che piú tardi lo rovinerà.
    Mentre Artú cresce e diventa re grazie al sostegno di Merlino, Morgana viene educata ad Avalon proprio dalla fata cattiva.



    Un bellissimo ritratto di Morgana viene fatto da Marion Zimmer Bradley, in Le Nebbie di Avalon.
    È l’opposto di Ginevra, la virtuosa e nobile mogle di Artú. Se ella è bionda , Morgana è bruna. Se la prima è schizzinosa, l’altra affonda le mani nel sangue. Se la regina cristiana riesce ad amare solo platonicamente Lancillotto, la fata finisce per concepire in un rito orgiastico, in cui ha un rapporto incestuoso col fratellastro Artú, una sorta di anticristo o antiartú , il figlio Mordred.
    È evidente che le scrittrice voglia distaccarsi dalla tradizione cavalleresca e ritornare in qualche modo alle origini, quando la magia non veniva perseguitata, quando soltanto le nebbie appunto separavano i due mondi. Il fatto è che il ciclo arturiano a un certo punto trasforma Morgana, in origine dea madre, in una strega cattiva. Attira con l’inganno a sé il fratellastro, prende addirittura le sembianze di Ginevra per poterlo sedurre, altrimenti il nobile sovrano non si sarebbe mai dato ad un rapporto prima di tutto adulterino, e anche “contro natura”. Infine genera il mostro, Mordered. Questo personaggio racchiude in se la frustrazione della madre rinnegata da Artú , in quanto simbolo del demonio, e quella del figlio illegittimo, anch’egli rinnegato dal padre. La sua cattiveria si scatena.
    Morgane e il figlio diventano gli implacabili nemici di re Artú e dei suoi cavalieri. La prima inventa diavolerie per mettere Lancillotto e Artú uno contro l’altro, insinuando, come le vecchie megere che mettono zizzania , la relazione tra il prode cavaliere e la bella regina. Il secondo che induce Ginevra all’adulterio seguendo i disegni della madre, finisce invece per battersi con Artú e ferirlo mortalmente. E mentre il sovrano viene seppellito ad Avalon, Mordered prende il suo posto, come un vero usurpatore.

    “Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina “dice Morgana nel romanzo della Zimmer Bradley “ora in verità, sono una maga e forse verrá un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute”.





    PARLA MORGANA:

    Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. Ma credo che saranno i cristiani a narrare l’ultima storia. Il mondo della Magia si allontana sempre di più dal mondo dove regna il Cristo. Non ho nulla contro di lui, ma solo contro i suoi preti che negano il potere della Grande Dea, oppure la avvolgono nella veste azzurra della Signora di Nazareth ed affermano che era vergine. Ma che cosa può sapere una vergine delle sofferenze dell’umanità?
    E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e che sarà re, giace morto (e la gente comune lo dice addormentato) nell’Isola Sacra di Avalon, la storia dev’essere narrata com’era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e leggende.
    Il mondo è mutato. Un tempo un viaggiatore, se aveva la volontà e conosceva qualche segreto, poteva avventurarsi con la barca nel Mare dell’Estate e giungere non già a Glastonbury dei monaci, ma all’Isola Sacra di Avalon; allora le porte tra i mondi fluttuavano con la nebbia e si aprivano al volere del viaggiatore. Perché questo è il grande segreto, noto a tutti gli uomini colti del nostro tempo: con il nostro pensiero, noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda.
    Ora i preti, pensando che questo usurpi la potenza del loro Dio, hanno chiuso le porte (che non furono mai porte se non nelle menti degli uomini) e il percorso conduce soltanto alla loro Isola. Ed affermano che quel mondo, se esiste, è il dominio di Satana, la porta dell’Inferno.
    Io non so che cos’abbia creato il loro Dio. Nonostante ciò che è stato detto, non ho mai portato le nere vesti delle monache. Se alla corte di Artù, a Camelot, pensarono così quando arrivai, poiché portavo sempre le vesti scure della Gran Madre nella sua forma di maga, io non li disingannai. E verso la fine del regno di Artù sarebbe stato pericoloso farlo, e perciò chinai la testa all’opportunità come avrebbe fatto la mia maestra, Viviana, la Dama del Lago, un tempo la più grande amica di Artù, dopo di me, e poi sua nemica più accanita… ancora e sempre dopo di me. Ma la lotta ebbe termine; potei finalmente accogliere Artù morente, non quale mio nemico e nemico della mia Dea, ma soltanto come mio fratello e come persona in punto di morte bisognosa dell’aiuto della Madre.
    E così Artù giacque infine con la testa sulle mie ginocchia, vedendo in me soltanto la maga, la sacerdotessa, la Dama del Lago; e riposò sul seno della Gran Madre dalla quale nacque e alla quale doveva tornare come tutti gli uomini. E forse, mentre conducevo l’imbarcazione che lo portava via, questa volta non all’Isola dei Preti ma alla vera Isola Sacra nel mondo oscuro al di là del nostro, l’Isola di Avalon dove ormai potevano andare ben pochi oltre a me, si pentì dell’inimicizia che era sorta tra noi.

    ~• ”Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley •~



    (bookland89.blogspot.it)
     
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  13. gheagabry
     
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    Leale era Ginevra ed era bella:
    un fiore tra tanti cavalieri, che tutti, della dama, erano fieri.
    Tra essi vi era Artù, il suo signore,
    poi, c’erano Sir Galahad e Sir Tristano, Sir Gawain e Bedivere,
    infine, per valor, tra i primi otto, il cavalier del lago Sir Lancillotto.
    Per molte fiate, l’amor soffiò il suo fuoco,
    forte Ginevra rifiutò il suo giuoco:
    aveva nel Sir il suo campione, ma per il re serbava ogni passione
    Ginevra dalle bianche braccia, aveva ogni potere sul Dragone.
    La gioia ogni guerra scaccia e col suo amore sedava ogni tenzone.
    Il regno prosperava e in tutta la Bretagna era mattino,
    con i colori cari al buon Merlino.


    GINEVRA, LA GRANDE REGINA



    Ginevra, la Grande Regina, compagna di Artù, amante del valoroso Lancillotto, simbolo dell’amor cortese, una delle figure più celebri, più discusse e probabilmente più mistificate di tutta la saga arturiana. La repressione medioevale e secoli di patriarcato l’hanno presentata come una donna frivola, a tratti crudele, un essere fragile, inconsistente, priva di moralità, una regina cristiana e penitente, ed allo stesso tempo adultera, la rovina del Grande Re, sedotto e poi beffeggiato a causa sua. Già il nome di Ginevra (nota anche come Gwenhwyfar o Wenore) da un indizio sull’origine del suo mito: la parola proto-celtica gwena è assimilabile al greco gyne e significa sia “donna” sia “regina”. Wenore sembra invece derivare dalla parola inglese “bello”. Infine Gwenhwyfar è un termine celtico traducibile come “bianca ombra” o “bianco fantasma”.
    I suoi appellativi ci dicono dunque che Ginevra è la Donna per antonomasia, bellissima, femminile, quasi una Venere britannica. E’ regina, di nobili origini ma anche e soprattutto nell’animo. Ed è donna dell’Altromondo, una regina delle fate, essendo il bianco per eccellenza uno dei colori dei fairies. Con tutta probabilità il suo mito trae dunque origine da una antica divinità proto-celtica. Ginevra fu Grande Regina, la compagna di Artù, e dunque, secondo le usanze delle società matrilineari che precedettero l’avvento dei popoli celtici nelle isole britanniche, colei che dona la sovranità al re, espressione e manifestazione della Sovranità stessa, la dea della terra, Britannia. Ginevra “tradisce” poi Artù con il suo Campione, il più valoro dei cavalieri della Tavola Rotonda, Lancillotto. Rileggendo il mito secondo le antiche usanze, in realtà scopriamo che Ginevra, in quanto Sovranità, sceglie il suo compagno in base alla sua capacità di servire e difendere la Terra: Artù si era lasciato corrompere dalla vita di corte e non era più il valoroso Gran Re, dunque la regina ha scelto per sé un nuovo rappresentante maschile.
    Se analizziamo ancora più a fondo questo racconto, possiamo notare come esso si inscriva in una antichissima tradizione, attestata da usanze che ancor a oggi sono presenti in Gran Bretagna, secondo la quale una donna bellissima, rappresentante la Dea della Terra, si trova ad essere contesa fra due uomini che combattono per il suo amore, in una sorta di rappresentazione del ciclo stagionale: il Re d’Inverno lotta contro il Re d’Estate. Il re d’inverno è in genere un personaggio più anziano, che ha avuto grandi meriti nel passato e con il quale la regina ha un rapporto di lunga data. Il re d’estate è invece un giovane valoroso, che proviene in genere da terre lontane o ha origini fatate. Il loro eterno combattimento regola il succedersi del ciclo annuale delle stagioni.
    Nei miti più antichi, vediamo Ginevra contesa, prima che da Lancillotto, da Melwas, o Meleagrante, un giovane e nobile principe che risiedeva proprio nel Glastonbury Tor, una porta dell’Altromondo. Successivamente Ginevra verrà reclamata anche da Mordred, nipote di Artù, e dunque suo ovvio successore in una società di tipo matrilineare. Tutti questi racconti portano a considerare Ginevra come una chiara manifestazione della Dea della Terra, colei che mantiene in equilibrio il ciclo stagionale, il predatore e la preda, e tutto ciò che vive e respira su questo mondo.
    Il suo mito è poi fortemente evocativo di un’ altra antica divinità: Blodeuwedd, Viso di Fiori, la Sposa di Maggio, la regina delle fate evocata magicamente dal mago Gwidyon e data in sposa a Llew. Blodeuwedd tradirà Llew con Grnow, affermando cosi la propria libertà di scelta e svolgendo nei confronti di Llew la funzione di Iniziatrice ai misteri di morte e rinascita. Ginevra è anch’essa una Vergine di Maggio, infatti non darà mai figli ad Artù, o almeno cosi è tramandato nelle storie più numerose giunte fino a noi. E' questa è la lezione che Ginevra ci porta. Il coraggio di scegliere liberamente il nostro destino, la possibilità di fare ciò che sentiamo essere giusto, di dare e ricevere amore senza i limiti e le imposizioni di una falsa e bigotta moralità. Nei tempi antichi la donna non apparteneva all’uomo, e poteva scegliere a chi concedersi senza venire giudicata. Nei templi vi erano sacerdotesse che si donavano agli uomini in qualità di rappresentanti della sacralità dell’amore della Dea. Come Blodeuwedd, ci sprona alla realizzazione del nostro Sé divino. Nello splendore di maggio e di Beltane, ci rammenta le nostre immense potenzialità interiori, da coltivare con amore e con costanza come fragili e meravigliosi fiori.
    (Caillean, Ladies of the lake- Caitlin and John Matthews, Ynis Afallach Tuath)
     
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  14. gheagabry
     
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    Dama!" così dice Galeotto "... abbiate mercé di lui: ché più v'ama che se medesimo..."."Io n'avrò, " dice ella "tal mercé come voi vorrete: perché voi avete fatto quanto io vi richiesi. Ben debbo dunque fare quanto vorrete voi; ma egli non mi prega di nulla"."Dama!" fa Galeotto "certo! ché egli non ne ha punto di potere: ché niuno può altri amare, senz'aver tema. Ma io ve ne prego per lui. Se non ve ne potessi aiutar io, sì vi dovreste adoperar da voi: ché più ricco tesoro non potreste voi conquistare"."Certo, " fa ella "lo so bene, ed io ne farò ciò che voi me ne domanderete"."Dama!" fa Galeotto "gran mercé! E io vi prego che voi gli concediate il vostro amore, e che lo prendiate a vostro cavaliere per sempre, e diveniate la sua leal dama per tutto il tempo della vostra vita. E così l'avrete fatto più ricco che se gli aveste donato tutto il mondo"."Così, " fa ella "io consento: ch'egli sia tutto mio, ed io tutta sua, e che per voi siano ammendati i torti e le violazioni dei patti"."Dama!" fa Galeotto "gran mercé! Ma ora ci vuole un primo pegno"."Voi non diviserete cosa alcuna, " fa la regina "ch'io non compia"."Dama!" fa Galeotto "gran mercé! Baciatelo dunque innanzi a me, per cominciamento di verace amore"."Del baciare non veggo io ora né luogo né tempo. E non temete ch'io così volentieri non ne sia desiosa, quanto egli ne sia; ma quelle dame son là, che si meravigliano molto di che noi abbiam fatto tutto questo tempo, e non potrebb'essere che non lo vedessero. E nonpertanto, s'egli lo vuole, io lo bacerò molto volentieri".Ed egli n'è sì lieto e sì sbigottito, che non può rispondere se non soltanto:"Dama, gran mercé!"."Ah, dama, " fa Galeotto "non dubitate punto del suo volere, che ci è tutto. E sappiate che niuno se ne accorgerà: perché noi ci trarremo in disparte tutti tre insieme, come a prender consiglio"."Di che mi farei ora pregare?" fa ella. "Più lo voglio io che voi e lui".Allora si traggono in disparte tutti tre insieme e fan sembiante di prender consiglio. E la regina vede che il cavaliere non osa far più. Allora lo prende ella per le guance e sì lo bacia innanzi a Galeotto, assai lungamente, tanto che la dama di Maloalto s'accorse ch'ella lo baciava.

    (Il bacio di Ginevra a Lancillotto, Anonimo del XII secolo)

     
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