IMPERATORI ROMANI

civiltà romana

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  1. gheagabry
     
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    Buon compleanno, Caligola

    31 agosto 12 d.C.




    L'imperatore Gaio Giulio Cesare Germanico, al mondo noto come Caligola, nacque ad Anzio il 31 Agosto del 12 d.C. e fu ucciso nel criptoportico del Palatino la sera del 24 gennaio del 41 d.C, dopo uno degli spettacoli teatrali in onore di Augusto, nel mentre s'intratteneva con degli attori asiatici e dei fanciulli. Già questa disposizione verso gli altri basterebbe a ridisegnare tutta la sua esistenza. Una scena è sufficiente per cogliere l'animo di un individuo, mica servono continue riprese dal vivo oppure vivergli accanto. Un tiranno che s'intrattiene a parlare con gli attori...! Spettacolare! L'avrebbe fatto forse un senatore? E un latifondista? No, a pensare agli affari costoro! E invece fu opera d'un imperatore, la sera del 24 gennaio del 41 d.C, poco prima di far ritorno nelle stanze imperiali. Oh, già, diranno che v'è sempre dell'istrionismo nei tiranni. Certo, come no!...Ma che li si lasci al proprio delirio questi rivoluzionari rivedibili, in vero conformisti fino al midollo. Per mio conto, posso a testa alta dire: "Buon compleanno, Caligola!".

    Altro che "damnatio memoriae"! Una simile sintesi la dovrebbero scrivere dinanzi l'entrata di molti parlamenti per chi magari ha sottratto denaro pubblico e benessere alla collettività e poi s'è pentito, ed è rimasto impunito e poi quatto quatto è scappato con vitalizi suntuosi ritirandosi in ville a picco sul mare come Tiberio a Capri. Caro Caligola, ho visitato tutti i luoghi che a Roma ti riguardarono e posso dire d'esserti più che affezionato. Pensa, Gaio Cesare, il prossimo 31 Agosto tu compirai 2000 anni e nell'Urbe puoi contare ancora su dei fedelissimi. Siamo in pochi, per la verità, ma si tratta pur sempre di una guardia scelta dell'imperatore: veri "Equites Singulares Augusti".



    Basta uno sguardo d'intesa e tutto ci è chiaro. Siamo notturni attorno al Palatino, a ricostruirci interiormente quella notte, a sentirti assieme a tua moglie Cesonia e alla figlioletta Drusilla fracassata al muro dal tribuno Lupo. Tanto vorremmo modificare quella realtà e riscriverla con te ed i tuoi cari in salvo. Spesso, a tanto ci esponiamo. Dunque fedelissimi ma non pretoriani - uno di questi fu il tuo assassino, Cassio Cherea - ma fedelissimi in senso storico, poetico, i quali non credono minimamente a tutte le menzogne riferite sul tuo conto. I tuoi primi due anni di principato furono segnati da saggezza, lungimiranza ed anche amore per il popolo e rispetto (guardingo) per il Senato. Scrive lo storico Flavio Giuseppe: "Era peraltro un valentissimo oratore, espertissimo della lingua greca e latina; sapeva come rispondere a discorsi pronunciati da altri" (...) E se nell'ultimo periodo di regno vi furono cinque mesi di dominio assoluto e la sottomissione dell'aristocrazia, questo fu dovuto anche alla terza congiura ordita da senatori e familiari contro di te. Addirittura desideravi lasciare Roma per Anzio e poi per l'amatissima Alessandria, visitata più volte anche da bambino. E allora, dopo tutto questo, per chi parlava l'illustre Svetonio che ti ha definito un mostro? Con tutti questi affreschi di congiure... Era un personaggio libero, Svetonio? Poteva forse egli definirsi "ingénuus", nel senso originario, vale a dire nativo del luogo, uomo libero, nobile? No, mio caro Caligola, anche egli era un conformista, pavido senz'altro, allineato, uno scrivano che narrava storie per qualcuno, per il "committente", per la Cupola di allora. Proprio così.

    Anche allora esisteva la Cupola: il Senato, i privilegi e tutto il resto. Come vedi, non è cambiato nulla. A nominare il tuo nome, Caligola, ecco che un'altra apoteosi si celebra, non riferibile comunque al mondo antico quanto piuttosto al "luogo comune" e provocata dalla lontananza sia dai testi che da ogni sensibilità. E così si viene ad ascoltare che, in questo mese di agosto, l'ennesima ondata di caldo, la "bolla africana" dopo le varie bolle speculative dei lazzaroni a corrente continua, ebbene, che il torrido in espansione porta il tuo nome. Evento meteorologico che, dunque, chiamato "Caligola", è qualcosa di nefasto, suona come una sciagura. Invece d'acquisire gradi di miopia leggendo, vere campagne militari con le iridi a scheggiarsi per la gran vicinanza ai grandi testi, questi funamboli del nulla, questi frombolieri del luogo comune s'adunano per imperlarsi ancora una volta di stupidità: un evento meteorologico chiamato "Caligola". Accanto a questi velleitari della parola v'è l'azione banale dei contemporanei (non tutti, per fortuna), storici e non: la spocchia di sapere tutto (che cosa?) e di ripetere quanto già declamato da altri. Oro colato dunque per costoro i resoconti su di te dei vari Tacito, Cassio Dione, Flavio Giuseppe, Filone. Mai un pensiero autonomo, delle schegge di sublime. Evidentemente i miei contemporanei dimenticano che a quei tempi la responsabilità per personaggi di primo piano era un fardello vero e se fallivano c'era di mezzo la vita: Quintilio Varo dopo il disastro di Teutoburgo si uccise e lo stesso fece Nerone dopo essere stato abbandonato anche da Tigellino. Oggi, dopo disastri nazionali, gli improfumati escono di scena ma poi li si vede passeggiare come antichi questori, abbigliati con clamide e sandali e in posa da filosofi stoici sui faraglioni. Vengono anche intervistati, s'atteggiano, "non sono stati capiti".

    Ne avrai visti pure tu, Gaio Cesare, di simili personaggi... Ma cosa accade oggi? Sulla Terra scende il Mercato, questo dio nascosto, invisibile, distrugge le nazioni eppure non succede nulla a chi, in gran silenzio e all'oscuro, maneggia tutto. Capito, Caligola? E i contemporanei s'accaniscono su di te, definendoti "mostro". Dicono che la tua "pazzia" era anche quel raccogliere conchiglie - insieme ai legionari - sulle spiagge lungo il Canale della Manica progettando la conquista della Britannia. Ma è la normalità che sta dietro ad un simile gesto a mettere paura a costoro. Che gesto era quello se non glassato di poesia? Come il ponte di barche tra Baia e Pozzuoli; e ancora: come il cavallo Incitatus da te nominato senatore. Grande provocazione, atto sublime, più che futurista e della post avanguardia. Del resto, non finì pure Ilona Staller nella Camera Bassa? E sul velinismo contemporaneo, che dire? Nella confusione tra neurini e neutrini scelgo Incitatus senatore. Certo, sposo la tua tesi, Gaio Cesare, meglio Incitatus al Senato, magari votante per primo insieme all'aristocratico Marco Giunio Silano. Qui, oggi, le cricche sono hegeliane e l'individuo non ha valore nei confronti del processo storico, dell'Idea Assoluta, ovvero del Mercato. Il Mercato conta più della persona che sta per strada, che rantola. Spettacolare, invece, il tuo Welfare! Capisci come va il mondo? Ma per uno come te che si proclama dio - imperatore come dio - il giudizio non può che essere "pollice verso". Naturalmente sarebbe da ricordare a questi entusiasti dell'Età della Tecnica che, fino all'Ancién Regime, tutti i monarchi si consideravano di origine divina. E allora, quale sarebbe la tua colpa se il tuo sentire durò fino a tutto il XVIII secolo? A proposito della tua "follia", sapeva l'illustre Svetonio che "forse" tuo padre, il valoroso Germanico, era stato avvelenato dal governatore della Siria Gneo Calpurnio Pisone su indicazione di Tiberio? Sapeva che tua madre, Agrippina Maggiore e i tuoi fratelli Nerone Cesare e Druso III erano stati condannati a morte dal Senato? E quanto poteva incidere sulla psiche d'un fanciullo tutto questo? Be' su tali faccende l'illustre storico sorvola.

    Avresti anche potuto ipotizzarla una qualche vendetta. Oggi i normalizzatori della realtà - gli anestesisti dei nostri giorni - non accettano valori di epoche remote e pretendono che i gesti sarebbero dovuti essere altri e li determinano con l'occhio e l'animo attuali. Ti potrebbero far dono d'un cellulare, Gaio Cesare!...Pensa, uno di quelli con internet incluso! Eppure, malgrado questa lucidità che, in vero, è decadenza, l'umanità continua senza soste con barbarie condominiali e mondiali, beninteso sotto il vessillo della democrazia. Eri innamorato di tua sorella Drusilla e a lei, quando morì, dedicasti ludi a scadenza precisa; v'era nel tuo cuore in tumulto un grande posto per il ricordo. Che, forse, quel tuo progetto di una spedizione in Germania con 200.000 uomini nell'autunno del 39 poteva essere considerato un momento romantico per rivederti bimbo accanto a tuo padre vittorioso? Credo lo si possa supporre ed io me lo ricamo così. In ultimo, prima di abbracciarti, augurandoti ancora una volta buon compleanno - hai 2000 anni e il mondo ancora ti pensa, ti studia e ti maltratta - ti svelo i luoghi dove ti vado a trovare: al Museo Nazionale Romano dove una tua piccola statua in marmo, rinvenuta nel Tevere verso via Giulia e custodita in un cubo di plexiglas, è posta dinanzi a quella di tuo padre, in bronzo, rinvenuta sempre nel Tevere, presso ponte Sisto.

    Quindi parlo delle Terme di Diocleziano dove mi reco per osservare l'altare funerario che il tuo liberto Caius Julius Philocalus Leonidianus si fece erigere nel I secolo d.C; ti svelo anche la provenienza del reperto: Morlupo. Ecco, accarezzando questo altare è come se, un poco, sfiorassi il tuo viso. E ancora m'inoltro verso il Museo delle Navi a Nemi, dove i frammenti della Nave Tempio e della Nave Palazzo m'assediano di gioia. Se tali imbarcazioni da parata desideravano mostrare la tua ammirazione per le lussuose residenze orientali, svelavano anche un'idea di Assoluto che pochi - non so dire se ahimé o per fortuna - di te hanno colto in questo mondo. V'è talmente silenzio sul lago di Nemi che quando lì mi reco, mi sembra veramente di ascoltare la tua voce e di vedere in sequenza, a mezz'aria, il tuo viso nel marmo e il tuo profilo sulle monete.

    (Fernando Acitelli,scrittore e poeta, autore di 'Cantos Romani)







    Ci sono due Caligola: il giovane signore che l'aneddotica più colorita ricorda adoratore del proprio cavallo, ispiratore di eccentricità crudeli, di giochi insensati; è il principe liberale, che piace alla gente, che sostituisce con la propria giovinezza il rispetto cupo (quasi terribile negli anni del tramonto) preteso da Tiberio. Caio Cesare Germanico (questo il suo vero nome) diventa imperatore a venticinque anni (non ancora compiuti).
    È alto, pallido, un po' grassoccio, quasi calvo, gli occhi infossati, talmente fiero di appartenere alla famiglia Giulio-Claudia da non voler mai che gli si ricordi il nonno Agrippa, di origini più modeste. È figlio di quel Germanico (adottato da Tiberio per ordine di Augusto) idolatrato dai militari che vegliano ai confini dell'impero. Tutti i cronisti trovano parole di lode per questo generale. È lui a domare la rivolta delle legioni nella Germania inferiore, minacciando di uccidersi quando i soldati insistono sulla pretesa di proclamarlo imperatore. Temendo disordini allontana la propria famiglia dal campo, e della famiglia (oltre alla moglie Agrippina, e, otto figli) fa parte Caio Cesare. Secondo Svetonio la presenza di Caio Cesare (nato ad Anzio nel 12) sarebbe determinante, anche se del lutto inconsapevole, nel soffocamento delle inquietudini dei soldati. Sono tutti talmente affezionati al ragazzino cresciuto in mezzo a loro, che veste i loro stessi abiti, portando minuscoli calzari militari (in latino caliga, di qui appunto il soprannome Caligola che gli rimase) da seguire con sgomento il carro che lo trascina altrove. Quando Tiberio sa dell'episodio finge commozione. Pronuncia in senato l'elogio di Germanico, ma Tacito malignamente osserva: « con parole troppo appariscenti perché egli sentisse profondamente ciò che diceva ». Germanico, in fondo, non gli piace. La sua popolarità lo irrita. Lo trova perfetto, tutti ne fanno un modello da imitare: il generale intellettuale che lascia i campi di battaglia per studiare le rovine di Alessandria d'Egitto, il generale che sa usare il pugno di ferro quando la salvezza della patria è in pericolo. Muore a 34 anni, forse avvelenato dall'ombra che Tiberio gli ha messo al fianco.

    Poi Tiberio istituisce un processo pubblico contro quest'uomo (Calpurnio Pisone, governatore di Siria). Pisone riesce a dimostrare l'innocenza, ma il processo non finisce perché, anche lui, misteriosamente, cerca la morte. Agrippina, moglie di Germanico, brucia a fuoco lento il rancore, e quando il figlio Nerone si fa adulto, comincia a tramare contro Tiberio, perduto negli ozi di Capri. Nel febbraio del 29 dopo Cristo l'imperatore (informato dal Senato) denuncia Agrippina e i suoi figli. La donna ha per amico il popolo, che ne agita i ritratti per le strade. Allora si scatena l'ira del vecchio: la vedova di Germanico diventa « nemica pubblica » e confinata a Pandataria (oggi Ventotene) sino alla morte. Nerone, finisce a Ponza e qui muore, improvvisamente, nel 31. Si salvano i due piccoli della covata: Druso e Caligola. L'imperatore li protegge. Caligola, poi, è il prediletto. A 19 anni lo chiama a Capri. Vuoi spiarne il carattere: sa che viene da un'adolescenza tumultuosa, funestata da storie atroci. Lui, Tiberio, gli ha disgregato la famiglia. Caligola lo odia? L'imperatore si diverte ad umiliarlo in pubblico, poi a farne gli elogi; lo ama e lo lascia; gli dimostra devozione e disprezzo. È uri collaudo lungo a cui partecipano, perfino, delle spie. Fanno parlare Caligola, cercano di scoprirne i sentimenti segreti: se pensa di vendicare i familiari schiacciati da Tiberio, se teme per la sua vita, se ha ambizioni di potere.Informa Svetonio: « Caligola non cade in queste trappole e mostra di dimenticare gli affronti subiti dalla madre e dai fratelli, come se non avesse mai avuto madre e fratelli, o come se a loro non fosse capitato nulla di sgradevole. Mostra, anche, una tale sottomissione a Tiberio e alla sua corte da poter dire di lui: non vi fu miglior schiavo, né più malvagio padrone ».Ma anche in questi anni volutamente oscuri, il giovane Caligola non riesce a nascondere le inclinazioni strane del carattere. Si diverte ad assistere alle esecuzioni di condannati a morte; gira di notte avvolto in un grande mantello, col capo nascosto da una parrucca; recita poesie, canta; è il dongiovanni che seduce le signore di corte. Tiberio sorride di questi peccati. Spera che servano ad ammorbidire una personalità gelida e quasi disumana. Gli da in sposa Giulia, nipote di Silano, personaggio nobile e ben voluto. Purtroppo lei muore nel dare alla luce un figlio, e da allora Caligola diventa l'amante della moglie di Macrone. L'alleanza del potente prefetto gli fa comodo. L'alleanza del prefetto, ma anche quella della nonna Antonia, che traffica in suo favore col Senato. Appena imperatore, Caligola si sente il padrone del mondo: « Che mi odìno, purché mi temano », è il motto che lascia correre fra il popolo. Ma il popolo lo ama. Rivive in lui il mito, mai dimenticato, di Germanico, e questo mito, per qualche tempo, Caligola non lo smentisce. Passano mesi sereni. La gente lo sostiene al punto che quando cade malato (racconta Svetonio) una gran folla sotto il Palatino urla gli auguri, si dice disposta a fare sacrifici agli Dei per la sua salute.Non succedeva, certo, con Tiberio. Ai confini dell'impero i sentimenti sono gli stessi. Contenti i legionari nell'avere « uno di loro » per comandante; sereni i popoli bellicosi: la nobiltà di cuore di Germanico aveva conquistato anche i nemici, perché il, figlio non dovrebbe somigliargli.




    Caligola nobilita, per la prima volta, il ricordo dei familiari va a Ventotene per rendere onori alle ceneri della madre; cambia nome al mese di settembre e lo chiama Germanico. Mai, però si lascia andare a propositi e vendetta. Quel che è stato è stato. Ordina, addirittura, al Senato, di rendere pubblici gli atti_ dei processi, e poi di bruciarli. Non è solo al potere : lo divide, per disposizione testamentaria, con il cuginetto Tiberio Gemello. Ma il ragazzino non ha l’ età per accedere alle cariche pubbliche. Resta nell 'ombra, e dall’ l'ombra sparisce. Nessuno ne sa più nulla. Chi invece acquista importanza è la vecchia Antonia. Caligola da alla nonna il titolo di Augusta, sino ad allora concesso solo a Livia, moglie di Ottaviano. E per tutti i familiari, in passato frustrati, ci sono onori. II cugino Tiberio diventa « principe della giovinezza ». I rapporti dei consoli, le preghiere dei sacerdoti devono cominciare con questi slogan: « Non sarò più devoto a me stesso e ai miei bambini, di quanto debba esserlo a Caio Cesare e alle sue sorelle» E ancora: « Per la felicità e a prosperità di Cesare e delle sue sorelle ». Le quali sorelle sono tre: con loro Caligola tiene rapporti ambigui. Di una, Drusilla. lo si dice, addirittura, innamorato. La scomparsa del cugino accresce la sua ricchezza : Tiberio aveva lasciato (ad entrambi) 175 milioni di denari, un capitale più grosso, perfino, di quello trovato nelle casse di Augusto. Ma i soldi non durano tanto gli corrono veloci fra le dita. La popolarità fra le truppe, ad esempio, .non è legata solo ai privilegi che l'imperatore concede, ma alla generosità della sua borsa . Per esempio: quando va in visita la prima volta, alle corti pretorie, trova i reparti che stanno addestrandosi. Ordina di distribuire 250 denari per ogni uomo.La somma già meraviglia, ma Caligola sbalordisce: ricordando un legato di Tiberio aggiunge subito altri 250 denari alla prima elargizione. Ogni legionario fuori d’ Italia festeggia la morte di Tiberio con 75 denari; 125 denari toccano ai militi delle corti urbane. Distribuendo gli undici milioni di eredità lasciata al popolo romano dal signore di Capri, Caio Cesare aggiunge 60 denari di tasca propria. Li giustifica dicendo: « Dovevo farlo quando ricevetti la toga virile ». Poi ripensa, manda a chiamare i contabili e ordina di calcolare gli interessi. Aggiunge quindi 15 denari per persona: non vuole rubar niente a nessuno. Sono storie che si diffondo con gioia fra la gente. E la simpatia aumenta anche perché il nuovo imperatore cancella con feste, rappresentazioni teatrali giochi di corte, gli anni austeri di Tiberio, che odiava i musici e non tollerava pubbliche frivolezze. Cambia lo stile, insomma e ai romani la « linea morbida va bene. Adesso pare che tutto si svolga all 'aria aperta. Riprende le pubblicazioni delle statistiche che imperiali, sospese dopo , scomparsa di Augusto; indennizza le persone danneggiate d incendi e da altre calamità; i giudici possono decidere le pene da soli senza dover rivolgersi all 'imperatore; restituisce i troni ai sovrani dei popoli confinanti con l 'impero, e fa loro riavere i tesori confiscati da Tiberio (re Antioco di Siria torna in possesso di cento milioni di sesterzi).




    Dopo due consolati consecutivi, inaugura il terzo, a Lione, distribuendo denaro al popolo, e organizzando una grande festa. Sempre così: feste, giochi, distribuzione di denaro, atti di magnanimità. Si interessa però alle arti, e alle necessità pubbliche. Apre una scuola di eloquenza greca e latina a Lione (con concorsi e vincitori); fa costruire un acquedotto sulla Tiburtina. Vuoi restaurare il tempio di Apollo Didimo a Milo, progetta una città fra le vallate alpine, militarmente importante; pensa di tagliare l'istmo di Corinto, e manda ingegneri a progettare l'impresa che sulla carta sbalordisce (sarà aperto nel 1893). Fin qui, per dirla con Svetonio, abbiamo tentato il ritratto di un principe; adesso vi offriamo quello del « mostro ». Il periodo dell'idillio dura pochi mesi. Il primo ottobre del 37 il giovanissimo imperatore, se si deve prestar fede a quanto tramanda Filone (filosofo e storico ebreo, contemporaneo di Caligola), cade gravemente malato, e questa malattia gli sconvolge la mente, trasformandolo in quel demone furioso che la tradizione ci ha dipinto. Sempre Svetonio (la parte degli « Annali » di Tacito che riguarda Caligola è andata quasi tutta perduta), insinua che fu un filtro magico (forse proveniente da quell'Oriente che Caio Cesare tanto amava) a sconvolgergli la mente. La verità può essere un'altra: né malattia, né filtro. Gli incubi della fanciullezza, le paure e i dolori dell'adolescenza devono avergli turbato la psiche: il pugno di ferro di Tiberio che gli era sopra la testa aumentava queste angosce segrete. Ma quando Tiberio è morto e nessuno può comandargli, il giovane principe da sfogo alle sue allucinanti fantasie. « Non contento d'aver preso infiniti soprannomi (il pietoso, il figlio dei campi, il padre delle legioni, il migliore e il più grande dei Cesari), un giorno che si trova a Roma a colloquio con dei sovrani venuti per rendergli omaggio, sentendoli discutere sulla nobiltà delle loro origini, si alza in piedi e grida la frase di Omero: "Non abbiamo che un solo capo e un solo re", e poco manca che si cinga col diadema sostituendo la realtà alla finzione.». Visto che ci tiene come annota Svetonio i cortigiani gli danno corda. Gli spiegano che lui è di gran lunga al di sopra dei re e dei principi, perché le sue origini sono divine: Subito Caligola manda a prendere in Grecia statue di Giove e degli altri Dei. Fa tagliare loro la testa per rimpiazzarla con la propria. Fa prolungare fino al Foro un’ ala del Palatino e, trasformando in vestibolo il tempio di Castore Polluce, si offre all ’ adorazione di visitatori. I più solerti lo salutano con l’ appellativo di Giove Laziale. Fa costruire un tempio dedicato alla propria persona: Nel mezzo del tempio c’ è una statua d’ oro: lo raffigura naturalmente Sacerdoti consacrati al suo culto cambiano ogni giorno d ’ abito alla statua, mentre animali esotici sono sacrificati. Un Dio non può avere che antenati illustri: Così proclama che sua madre è figlia di un incesto commesso da Augusto con la figlia Giulia. La nonna Antonia, che tanto bene aveva intr5igato per la sua elezione, non è nemmeno più ricevuta: si dice che proprio un rifiuto d 'udienza le provoca un collasso e la morte. Caligola ne viene informato mentre sta mangiando, non si scompone, Finisce sul patibolo, dopo un noioso verdetto di un tribunale militare, il cugino Tiberio.Costringe Silano (che è suo suocero a tagliarsi la gola : il povero vecchio, soffrendo il mal di mare, aveva rifiutato di accompagnarlo in un giro in barca.Il rapporto con le sorelle (Drusilla in particolare : lo abbiamo detto)continua torbidamente sotto gli occhi di tutti. Vuole Drusilla al suo fianco a tavola, tenendo lontana la moglie, fa sposare la sorella a un suo favorito, Lepido: ma è l'imperatore che convive con lei. Quando Drusilla : muore proclama il lutto nazionale. Diventa un crimine, punito duramente, ridere, trattare affari, pranzare in famiglia. C'è il solo dolore. Il dolore dell 'imperatore è grande. Fugge piangendo nella notte verso Napoli. Vuole imbarcarsi per Siracusa, poi torna, senza mai farsi la barba, cogli occhi cupi e sconvolti. Le dedica un tempio, la proclama dea. Poi la dimentica, si sposa e divorzia, in un anno, ben tre volte. Maltratta i senatori. Per parlare con lui certi vecchi notabili sono costretti a correre dietro al suo carro, o a restare in ginocchio mentre, per ore, egli mangia. Chi disobbedisce sparisce. Paga bene i sicari e ne ha tanti. In Senato Caligola rende grottesca la loro fine. Finge di non accorgersi degli scanni vuoti, e li chiama e si rivolge a loro come se fossero presenti. Dopo un po' ne annuncia il suicidio. Basta uno sguardo storto per cadere in disgrazia. Si finisce in prigione per niente, e talvolta egli ordina (stando a Svetonio) che tutti i prigionieri, qualsiasi crimine abbiano commesso, siano dati in pasto agli animali che fa arrivare per i giochi. Famiglie di generali, di senatori, di ricchi commercianti, vengono distrutte. Gli uomini, quando non finiscono nell'arena, sono marcati a fuoco come schiavi e spediti nelle miniere. Un cavaliere, gettato fra animali feroci, grida la propria innocenza. Allora Caligola si arrabbia : lo fa trarre in salvo. Gli fa tagliare la lingua, poi lo rimanda nella sabbia del circo. Alterna pranzi e feste a giochi crudeli : nel bel mezzo di un banchetto fa sgozzare tre persone a tavola. Per far cadere in ridicolo le previsioni di un astrologo che aveva annunciato a Tiberio « Caio ha tante possibilità di diventare imperatore, come ne ha di attraversare a cavallo la baia dì Pozzuoli », il principe costruisce un pontile lungo cinque chilometri. E sul pontile cavalca « come se fosse sulla via Appia ». Cavalca per tre giorni e la gente accorre a riva, e si schiera sulle barche, lungo il suo passaggio, applaudendo. Poi Caligola si stanca, fa gettare tutti in acqua e ordina di uccidere coloro che tentano di riguadagnare la terra. Dilapidate le riserve accantonate da Tiberio, si trova con le casse vuote, e subito disdegna la politica economica del predecessore che sosteneva una circolazione limitata per rendere più preziosa la moneta. Conia denari in quantità superiore di sette-otto volte alle emissioni di Tiberio che pur aveva regnato a lungo. La febbre di disporre del liquido lo spinge a inutili crudeltà : cadono in disgrazia, di solito, famiglie ricche a cui confisca tutto. Fa vendere gli oggetti all 'asta e intasca. Moltiplica le tasse : appesantisce quelle esistenti e ne inventa di nuove. Facchini e prostitute, per esempio, devono dividere con lo Stato ì loro guadagni. La sua grande forza sono i militari, e per tenere saldo in loro il simbolo della potenza, sostiene d 'essersi procurato la corazza di Alessandro Magno. La indossa in pubblico, s 'atteggia (e si fa ritrarre) con orgoglio, come il Macedone. La testa un po' inclinata, per rifarsi all'iconografia tradizionale del conquistatore. Aumenta il numero delle corti pretorie e prende provvedimenti gravi. Toglie, addirittura, al console di una provincia africana, il coniando delle truppe, per affidarlo a un legato, a lui fedele.Nel 40 scoppia un grave dissidio cogli ebrei. Ovunque sorgono statue in suo onore, statue che finiscono nei templi dove Caligola è venerato come un dio. Tutti i popoli sottomessi si piegano all 'ordine, tutti meno gli ebrei che rifiutano di adorar l 'imperatore, e di ospitare la sua immagine nelle loro chiese.

    Gli ebrei avevano rifiutato di adorare l' imperatore. «Questa gente» disse Caligola «mi pare malvagia quanto infelice e sconsiderata a non credere che io possegga natura divina.» Va sulle furie Caligola e fa erigere una statua a Gerusalemme, obbligando il legato di Siria a mobilitare due legioni per imporre in Giudea il rispetto alla sua effigie. Il popolo, che vive distante dalle sue trame, continua, in fondo, a volergli bene. Lo fa divertire, distribuisce denaro il cui valore è però crollato sotto il peso dell'inflazione. Roma diventa una città spensierata, e questo alla gente piace. Caio Cesare se la fa coi mimi, coi cantori, coi giocolieri da circo. Le persone che gli vanno a genio sono favorite in modo folle. Guai a chi le tocca. Non importa l'estrazione sociale: è geloso della propria discendenza divina, ma preferisce farsela con la plebe che coi nobili di cui non si fida. « Il mio unico grande amico », ripete, « è un cavallo. » II cavallo, probabilmente, gareggia in onori con l 'imperatore. Si chiama « Incitatus ».



    Tra le altre stranezze, l' imperatore aveva proposto di cancellare dalla storia della letteratura i nomi di Omero, Virgilio e Livio, le cui opere però, continuava a citare. Affinchè il riposo dell’ animale non venga turbato i soldati hanno l 'ordine di imporre il silenzio a tutti coloro gli stanno attorno. Oltre a una scuderia con le mangiatoie d’ avorio, gli regala un palazzo con tutti i servitori : si dice progettasse di nominarlo addirittura senatore. Il 24 gennaio del 41 è l’ ultimo giorno mo della sua breve e tumultuosa vita. L'imperatore di solito va in Senato circondato dalla guardia del corpo, e siede su una poltrona posta molto in alto, in modo da essere difficile da raggiungere. Le guardie stringono attorno a lui cortina di lance anche quanti gode gli spettacoli del circo. Ma le precauzioni non bastano. Ecco il racconto di Svetonio. « II nono giorno prima delle calende di febbraio, verso la settima ora, Caligola è invitato a lasciare il posto dal quale assiste agli spettacoli palatini, per recarsi a tavola, nonostante sia ancora appesantito dal pranzo precedente. Sono le esortazioni degli amici a farlo uscire. Lungo un corridoio che deve attraversare, si preparano in fila dei fanciulli di nobile origine, che no stati fatti venire dall 'Asia per esibirsi sulle scene. Si ferma a guardarli e a incoraggiarli. Su ciò che accade poi ci sono due versioni. Secondo alcuni mentre si intrattiene coi fanciulli, Cherea lo ferisce gravemente al collo e alle spalle con la lama del suo pugnale, pronunciando parola d 'ordine f'fate!". Al che il tribuno Cornelio Sabino, secondo congiurato, gli trapassa il petto.



    Altri raccontano che Sabino, facendo tenere lontana la folla da centurioni a conoscenza del complotto, gli domanda la parola d'ordine. "Giove", risponde Caligola, e allora Cherea grida: "Che tu sia sgozzato!” Poi, appena l 'imperatore si volge, gli fracassa il cranio. Crollato a terra, raggomitolato, Caio comincia a gridare senza interruzione d 'essere ancora vivo, ma altri congiurati gli sono addosso coi pugnali. Trenta colpi piovono su di lui. Gli uomini si danno l 'un l 'altro la cadenza gridando: "Ancora". Appena si sparge la voce dell 'attentato corrono in aiuto i portatori della lettiga imperiale, armati di bastoni, e i Germani della guardia del corpo che uccidono gli assassini e perfino certi senatori, totalmente estranei al crimine... Nessuno vuoi credere all'assassinio: si pensa che Caio faccia circolare la notizia per sondare i sentimenti del popolo. » Tutti veri i crimini, le bizzarrie, le crudeltà che gli si attribuiscono? Oggi gli storici sono portati a ridimensionare le stravaganze di Caligola. Le avrebbero esagerate, tendenziosamente, scrittori e cronisti del tempo, legati al Senato, quel Senato che l'imperatore aveva privato d'autorità, sferzato con violenza. Spietato e psichicamente debole : ma non dobbiamo credere che i provvedimenti attribuiti alla sua bizzarria nascano per caso. Egli ha preso il posto di Tiberio molto giovane, in una città che la lotta politica rende corrotta e pronta ad ogni crimine. La fragilità dei suoi nervi, il peso e la gioia del potere, possono fargli perdere la testa. Non dimentichiamo che, a parte gli intrighi (a volte orribili), si mostra un eccellente diplomatico. La restaurazione dei regni cancellati da Tiberio, il rimettere sul trono i sovrani spodestati, gli vale una cortina di popoli amici, che alleggeriscono la pressione ai confini. Vuoi trasformare la parte orientale del dominio romano in una federazione di stati indipendenti, ma protetti. È la formula scelta dagli inglesi per i loro dominions duemila anni dopo. Non a caso è stato ucciso alla vigilia di una spedizione contro i Parti. Ancora una vittoria e il suo potere, tenendo conto delle alleanze esterne, diventava indistruttibile. Poi c'è il campanilismo : Caligola aveva fatto balenare la possibilità di trasferirsi ad Alessandria d ' Egitto. La gelosia dei romani per gli orientali che egli adora (ristabilendo culti religiosi un tempo proibiti), si esaspera e affretta le decisioni. Perché, senza declassare subito la capitale, Caligola poteva dimostrare come fosse più facile controllare l 'impero stando alle foci del Nilo. Pilotare da lontano, come Tiberio. Alessandria è la sua Capri, in fondo. Una Capri mai raggiunta.
    (Tratto da Storia Illustrata anno 1970, del mese di luglio, numero 152. Maurizio Chierici)



     
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