IMPERATORI ROMANI

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  1. gheagabry
     
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    TIBERIO



    Tiberius Iulius Caesar Augustus
    Roma 16 novembre 42 a.c. - Miseno 16 marzo 37




    Tiberio nacque nel 42 a.c. a Roma, da Tiberio Claudio Nerone, cesariano, e Livia Drusilla, di trent'anni più giovane del marito. Ambedue i genitori erano della gens Claudia. Il padre aveva sempre sostenuto Cesare e, alla sua morte, si era schierato con Antonio, in contrasto con Ottaviano, erede designato di Cesare.
    Dopo la vittoria di Ottaviano fu costretto a fuggire, portando assieme a sé la moglie e il figlio. Rientrarono però agli Accordi di Brindisi, che concedevano clemenza ai nemici di Ottaviano, finchè il futuro Augusto non sposò la madre del piccolo Tiberio, Livia Drusilla, amata teneramente, che tre mesi dopo partorì Druso, figlio di Tiberio senior.
    Tiberio non aveva, quindi, ancora quattro anni quando dovette abbandonare il padre e trasferirsi con la madre nella casa di Ottaviano. Il padre morì quando lui aveva nove anni.
    Insieme con Druso fu adottato da Ottaviano diventandone il figliastro. I meriti militari ne fecero, per sua esclusiva virtù, il miglior Generale del tempo. Cominciò le campagne militari quando aveva solo sedici anni. A 22 anni andò presso il Re dei Parti per ritirare le insegne delle Legioni di Crasso.

    Non sembra ci fosse buon sangue tra madre e figlio. Mentre Druso fu allevato dalla madre nella casa di Ottaviano, Tiberio rimase presso l'anziano padre fino alla sua morte. A nove anni, Tiberio si trasferì nella casa di Ottaviano assieme alla madre e al fratello. Durante il trionfo di Ottaviano per la vittoria di Azio, il posto d'onore accanto al carro spettò a Marcello, nipote di Ottaviano. Divenne comunque un buon avvocato in numerosi processi giudiziari. Fu uomo colto e fece parte del circolo di Mecenate, ma soprattutto fu ottimo comandante e stratega, diventando uno dei migliori luogotenenti di Ottaviano.
    Insieme al fratello Druso, sviluppò l'attività militare più intensa che doveva portare la frontiera romana fino al Danubio. Operò Macedonia, in Mesia, in l'Illiria. A lui si deve la conquista della Pannonia (odierna Ungheria). Nel 9 mentre era ancora in Pannonia, seppe della morte del caro fratello. A lui spettava ora proseguire la guerra in Germania e vi ottenne nuove vittorie.

    Augusto gli combinò il matrimonio con Vipsania, la figlia di Agrippa e fu un grande amore. Ma nell'11 a.c., per interessi politici, lo costrinse a divorziare da Vipsania, da cui aveva avuto un figlio, Druso minore. Tiberio amava molto la moglie e obbedì con gran dolore. L'anno successivo sposò Giulia Maggiore, figlia di Augusto e quindi sua sorellastra, vedova di Agrippa. Ma il matrimonio con Giulia si guastò ben presto, e Giulia si circondò di amanti. Era il terzo uomo cui Augusto dava in sposa la figlia. I primi due, Marcello ed Agrippa, entrambi deceduti, erano stati indicati come successori di Augusto.
    Nel 14 Tiberio, appena nominato Pretore, accompagnò Augusto in Gallia e in una campagna oltre il Reno. Data la mancanza di scuole militari, nel 25 Augusto inviò in Iberia i sedicenni Tiberio e Marcello come tribuni militari. Due anni più tardi, Tiberio fu nominato Questore dell'Annona. Tiberio acquistò a sue spese il grano che gli speculatori ammassavano nei loro depositi e lo distribuì gratuitamente, tanto da essere salutato come benefattore di Roma.



    Germanico era nipote di Tiberio in quanto figlio del fratello Druso. Per volere di Augusto fu adottato da Tiberio, infastidito però dalla popolarità sua e di sua moglie Agrippina. Tiberio, non raccogliendo la stima e l'affetto di Cesare, temeva di essere soppiantato nell'eredità dell'impero.
    Pertanto quando Germanico fu inviato a combattere sulla frontiera orientale, Tiberio gli affiancò Pisone per sorvegliarlo. Il conflitto fra i due fu inevitabile e quando Pisone partì Germanico cadde malato e morì dopo lunghe sofferenze, riferendo alla moglie il sospetto di essere stato avvelenato da Pisone. Agrippina tornò con le ceneri del marito a Roma, ma Tiberio non partecipò neppure alla cerimonia funebre nel Mausoleo di Augusto. Questo rafforzò il sospetto del popolo su Tiberio come il mandante del delitto, il che non è da escludere, anche perchè nel processo che ne seguì a Pisone non si schierò nè con lui nè contro. Pisone si suicidò ma la popolarità di Tiberio ne soffrì. Tacito scrisse che Tiberio si distingueva per freddezza, riservatezza e pragmatismo, Germanico per popolarità, semplicità e fascino. Tutta la vita Tiberio ebbe a temere che sia Augusto, sia il senato, sia il popolo gli preferissero persone più aperte e meno cupe di lui.

    LA PRIMA FUGA DA ROMA

    Il matrimonio con Giulia non gli procurò però il titolo di erede. Anzi l'interesse dell'Imperatore si orientò verso i due nipoti Caio e Lucio Cesari, figli di Giulia ed Agrippa. Aveva dovuto rinunziare a sua moglie, aveva perso il fratello, aveva adempiuto a qualunque missione affidata, dimostrandosi valoroso e capace Comandante, ed ora si vedeva messo da parte per uomini più giovani. La condotta immorale della moglie avrebbe meritato il ripudio. Ma Giulia era la figlia di Augusto e Tiberio non poteva farlo. Come la moglie di Cesare, anche la figlia era aldisopra di ogni sospetto.
    Nel 6 a.c. Augusto decise di conferire a Tiberio la potestà tribunizia per 5 anni, rendeva sacra e inviolabile la persona e conferiva il diritto di veto. In questo modo Augusto avvicinava a sé il figliastro e poteva frenare i giovani nipoti, Gaio e Lucio Cesare, figli di Agrippa e Giulia, che aveva adottato e che apparivano favoriti nella successione.
    Malgrado ciò, Tiberio decise di ritirarsi dalla vita politica e abbandonare la città di Roma a 36 anni, per andarsene sull'isola di Rodi. Augusto e Livia tentarono inutilmente di trattenerlo: Tiberio digiunò per quattro giorni, fino a che non gli fu concesso di partire. Durante i sette anni di Rodi mantenne un atteggiamento riservato, ma quando chiese il permesso di rivedere i parenti ricevette un rifiuto. Si rivolse alla madre, che tuttavia gli ottenne solo il legato di Augusto a Rodi. Si rassegnò così a vivere come un comune cittadino, misantropo e scontroso, evitando ogni visita altrui. Intanto la moglie Giulia fu esiliata sull'isola di Ventotene e il suo matrimonio fu annullato.
    Finalmente gli fu concesso di tornare a Roma, grazie anche all'intercessione della madre, ma i nobili romani lo odiavano in quanto concorrente di Gaio Cesare, e di Lucio Cesare, peraltro molto amati. Proprio quando la loro popolarità aveva raggiunto i massimi livelli, Lucio e Gaio Cesare morirono, non senza che si sospettasse che Livia Drusilla c'entrasse in qualcosa. Tiberio, che al suo ritorno aveva lasciato la casa per trasferirsi nei giardini di Mecenate, fu a questo punto adottato da Augusto, che non aveva più eredi, ma lo costrinse a sua volta ad adottare il nipote Germanico, figlio del fratello Druso Maggiore. Nell'anno 4 fu inviato in Illirico e in Germania dove, fedele alla linea di Augusto di non espansione, non riprese la guerra con i Germani per vendicare le Legioni di Taro e riportare il confine all'Elba. I Romani assistettero alle lotte fra i Germani che si conclusero fra il 7 ed il 19 con i primi regni clienti alla frontiera settentrionale. La stessa strategia fu adottata alla frontiera orientale. Di fronte all’Impero romano il Regno dei Parti era concorrente di Roma per l’influenza sull’Armenia, ma Tiberio si limitò ad alimentare le discordie nel campo avversario.



    IMPERATORE

    Aveva 56 anni quando fu chiamato al potere alla morte di Augusto. Era un Generale cauto ed abile, ma nella vita civile e nei rapporti con il Senato non aveva la simpatia e l'acutezza di Ottaviano.
    Inoltre faceva fatica a prendersi responsabilità, così quando il Senato gli offrì l'impero si sottrasse più volte finchè si accorse che rifiutare tanta insistenza sarebbe stato compromettente, e accettò. Gli furono concessi l'imperium proconsolare e la tribunicia potestas a vita. Era il nuovo Cesare, dichiarato esplicitamente primo Imperatore di Roma. Augusto lo fu di fatto, Tiberio di diritto nel 14 d.c. Durante tutto il suo regno dimostrò un rigido rispetto per la tradizione augustea e osservò con cura tutte le istruzioni di Augusto, evitando le innovazioni. Le uniche modifiche territoriali avvennero in Oriente, quando alla morte dei re fedeli a Roma, Cappadocia, Cilicia e Commagene furono assorbite dall'impero. Tutte le rivolte che si susseguirono nelle province, furono soffocate nel sangue dai suoi generali, che, come Tiberio, non erano teneri. Per contro fece costrurire strade in Africa, in Spagna, in Dalmazia e Mesia fino alle Porte di ferro.
    Rifiutò gli onori alla madre Livia offerte dal Senato, insieme alla concessione di un littore e l'erezione di un altare. Non si sa se per onestà o rancore verso di lei. Più probabile la seconda visto che alla sua morte non andò nemmeno ai funerali.

    Fu esageratamente rispettoso del Senato, tanto che trasferì il potere elettivo dal popolo al senato, nonchè alla Corte di giustizia, sotto la presidenza dei Consoli, per giudicare i reati dei Senatori o degli Equites o quale sede d’appello. L'appello supremo era riservato al Principe. Stabilì dunque tre sedi d'appello, ancor oggi vigenti in molti paesi moderni.
    Naturalmente il popolo non apprezzò di essere stato esautorato. Viene da pensare che forse Tiberio si tenesse buono il Senato perchè lo temeva, o per timore di essere tacciato di sete di potere. Ma tanta deferenza verso il senato non gli portò gran simpatia, perchè a sua volta questo non era nè competente nè capace di assumere decisioni e responsabilità. Si aspettavano da Tiberio un nuovo Augusto, accentratore e responsabile, Tiberio in questo li deluse. L'imperatore non amava la vita pubblica, odiava la corte, le adulazioni, i sotterfugi, i giochi e la lotta dei gladiatori tanto cari al popolo. Non amava neppure i circoli di letteratura e poesia.

    Nel 23 d.c., dovette sopportare un grande dolore. Morì in circostanze misteriose il figlio Druso, l'unico avuto da Vipsania e perciò doppiamente caro, restando, a sessantaquattro anni, senza figli e senza erede. Per giunta il popolo mormorava che fosse stato lo stesso imperatore a ordinare l'assassinio del figlio.
    Non avendo, al contrario di Augusto, buon occhio per valutare le persone, Tiberio lasciò mano libera a un ambizioso di pochi scrupoli: Seiano, Prefetto del Pretorio. Tiberio si fidava di lui anche perché gli aveva salvato la vita coprendolo col suo corpo nel crollo di una grotta. Tiberio ormai sospettoso di tutti, si fidò ciecamente del prefetto che brigò per farsi nominare successore di Cesare. Venendo meno l'impegno di Tiberio che si isolava sempre più, Seiano accentrò il potere su di sè. Tiberio sospettava che Druso fosse stato eliminato da intrighi di reggia, in realtà il delitto partì da Seiano che, circuita Livilla, moglie di Druso, la convinse ad avvelenare il marito. Anche Vispania morì e Tiberio, caduto in depressione, sviluppò un eritema che gli sfigurava il volto, rifuggendo gli altri più di prima. Per cui lasciò la reggia e si ritirò nell'isola di Capri nel 27 d.c.

    Governò con saggezza, rifiutando i fasti e le falsità dei salotti dell'Urbe; ragione che lo spinse, nel 16 d.C., a lasciare la capitale per trasferirsi a Capri, suo possedimento privato. Tiberio fece dell'Isola azzurra una degna residenza imperiale , costruendovi ben dodici ville, ognuna intitolata ad una divinità. Alla più sontuosa diede il nome di Villa Jovis. Quest'ultima era situata in uno dei luoghi più inaccessibili dell'Isola, in cima al Monte Tiberio, sulla sommità della parte orientale dell'isola, e circondata da una folta vegetazione. I numerosi livelli in cui era divisa erano collegati tra loro da grandi scale di marmo. Nella parte più alta sorgeva l'Ambulatio, la loggia dalla quale Tiberio aveva sotto controllo l'intero golfo di Napoli. Pur avendo li la sua dimora,continuò ad occuparsi dell'impero mantenendo, grazie ad un sistema di fari e di messaggeri, i contatti con Roma. Durante il suo soggiorno caprese Tiberio infatti attenuò una grave crisi finanziaria istituendo un Fondo di Prestito, ridusse la spesa pubblica per le opere edilizie e per il mantenimento della corte riuscendo anche ad eliminare l'impopolare tassa sulle vendite.
    Altrettanto vasta è la letteratura sul comportamento sessuale e vizioso a cui, dopo una lunga esistenza controllata, si abbandonò Tiberio nel piacevole ambiente offertogli dalla sua isola privata. La maggior parte di queste dissolutezze vengono raccontate da Svetonio nel paragrafo dedicato a Tiberio de "Vite dei dodici Cesari". In questo capitolo lo storico afferma che le turpitudini dell'Imperatore "si osa a malapena descriverle o sentirle esporre". A difesa di Tiberio dobbiamo però dire che nessuno di questi particolari scandalistici è stato confermato dagli storici del primo secolo, segno che, forse, Tacito e Svetonio ne fecero un ritratto così crudele perché, per inclinazione politica, erano più vicini al partito senatoriale e quindi ostili verso la sua figura.
    Sappiamo invece per certo che a Capri Tiberio si circondò di uomini di studio, di letterati, di artisti e di astrologi. Lo stesso Svetonio ammette che l'Imperatore era appassionato cultore di letteratura e di filosofia, che scriveva versi in greco e che possedeva una ricca biblioteca. Alla sua morte, avvenuta nel marzo del 37, Tiberio lasciò un paese in pace e un impero ancor più forte ed intatto.

    Da Capri governò Roma attraverso Seiano, togliendo poetere e autorità al Senato. Il suo comportamento non piacque ai Romani che lo consideravano alla stregua di un disertore, e pure il Senato si sentì abbandonato. Inoltre Seiano dette il via a molti processi per "lesa maiestatis", un vero governo del terrore che sterminò tutti gli oppositori politici, col beneplacido dell'imperatore.




    Tiberio dunque, privo di erede, perché i gemelli di Druso, erano troppo giovani, ed uno di loro era morto poco dopo il padre, propose come suoi successori i giovani figli di Germanico, adottati da Druso. Ma Seiano che sperava di diventare lui l'erede, perseguitò non solo i figli e la moglie di Germanico, ma anche gli amici dello stesso Germanico; molti di loro furono infatti costretti all'esilio, o scelsero di darsi la morte per evitare una condanna.

    Seiano ormai potentissimo aveva riunito nell'Urbe tutte le nove Coorti Pretorie, mentre Agrippina manovrava contro di lui per imporre un figlio nella linea di successione. Vinse Seiano e fece relegare lei sull'isola di Ventotene fino alla morte, e suo figlio Nerone a Ponza dove si suicidò. L’altro figlio di Agrippina, Druso, fu carcerato e vi restò fino alla morte.
    Seiano e Tiberio adoperarono largamente la lex de maiestate, che consentiva di condannare a morte chiunque recato offesa al popolo romano, una legge tanto vaga quanto iniqua che consentiva di sbarazzarsi di chiunque si opponesse. Ci volle molto perchè Tiberio, nonostante le mille delazioni, prendesse coscienza del comportamento di Seiano, quando se ne convinse ordì la sua vendetta, ma senza tornare a Roma. Nel 31, Seiano fu convocato in Senato per la designazione quale erede, invece gli fu letta una lettera con cui l'Imperatore lo incolpava di tradimento e ne ordinava l'arresto. Il Senato lo condannò a morte per strangolamento e alla damnatio memoria. (la denigrazione perpetua negli annali). La sentenza fu eseguita nella stessa serata, poi il corpo senza vita venne consegnato al popolo perchè ne facesse scempio.
    Qui si rivede tutta la rabbia di Tiberio per il tradimento di Seiano e per la sua stessa cecità. Una condotta così barbara non sarebbe mai stata consentita durante l'epoca dei due precedenti Ceasari. Si scatenò poi la caccia ai familiari ed ai seguaci di Seiano, la cui moglie l'informò che il figlio di Tiberio non era morto di morte naturale; Livilla, la sua consorte, diventata amante di Seiano, fu complice del suo avvelenamento. Tiberio perse la testa e fu preso dalle manie di persecuzione. Furono strangolati sempre nel carcere mamertino i tre giovani figli di Seiano mentre la madre Livilla fu costretta a suicidarsi.

    Nel 35 fece testamento nominando due possibili eredi: il nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso minore, e il nipote Gaio Caligola, figlio di Germanico. Restò escluso il fratello di Germanico, Claudio, di salute fisica e mentale malferme. Il favorito nella successione fu subito Caligola, poiché su Tiberio si sospettava essere figlio di Seiano, e perchè aveva dieci anni di meno. Tutti riponevano grandi speranze in Caligola, che però non era mai stato coinvolto da Tiberio in incarichi di responsabilità in campo militare o di governo, come faceva Augusto per ogni eventuale successore, forse per paura che diventasse troppo famoso e gli fosse preferito.
    Tiberio ebbe un carattere così ossessivo e misantropo che fece dimenticare le sue buone qualità di governatore, che aveva lottato contro l'usura offrendo anche capitali a sue spese, e che aveva sempère limitato le tasse perchè: - Un buon pastore tosa le pecore ma non le uccide. -
    Peraltro aveva reso più miti le leggi augustane contro il celibato e limitato la spesa pubblica soprattutto nei circhi e nelle manifestazioni. Lasciò libertà di culto ma proibì i culti giudei e caldei.
    Nel 37 abbandonò l'isola per il Circeo, si dice per una partita di caccia. Ma lo colse un malore, fu creduto morto e si avviarono i festeggiamenti per il nuovo Imperatore Caligola. Quando però Tiberio si riprese il Prefetto del Pretorio ordinò di soffocarlo con le coperte. Per quanto inviso al popolo e la Senato, Tiberio aveva tenuto una buona amministrazione, tanto da lasciare alla sua morte un forte avanzo nelle casse dello stato. Aveva saputo scegliere gli amministratori premiandoli se efficaci e colpendoli duramente se disonesti o inetti, ma non nel caso di Seiano.

    I Romani festeggiarono la notizia, distruggendo molti monumenti e statue dell'imperatore. Fu cremato a Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie del popolo, nel Mausoleo di Augusto. Contemporaneamente Caligola fu acclamato princeps dal senato.
    Morì nel 37 d.c., a 78 anni, avendo regnato per 23 anni. La guida dell’Impero passò dalla famiglia Giulia a quella Claudia.




    « C'era anche chi credeva che nella vecchiezza del corpo [Tiberio] si vergognasse del suo aspetto: era infatti di alta statura, curvo ed esilissimo, calvo; il suo volto, ricoperto di pustole, era il più delle volte cosparso di medicamenti. »
    (Tacito, Annales, IV, 57.)

    « Fu a tal punto avverso alle adulazioni da non permettere mai a nessun senatore di avvicinarsi alla sua lettiga né perché gli rendesse omaggio, né perché trattasse di qualche affare; e se in un discorso o in un'orazione ufficiale si diceva qualcosa su di lui in modo troppo lusinghiero, non esitava ad interromperlo e rimproverarlo, facendogli cambiare immediatamente discorso. [...] Si dimostrò particolarmente paziente nella sopportazione di voci, testi satirici e infamanti accuse che venivano rivolte a lui e ai suoi, ripetendo più volte che in una città libera dovevano essere parimenti libere la lingua e l'intelletto. [...] »
    « Nel segreto dell'isolamento, lontano dagli sguardi del popolo, [Tiberio] si abbandonò contemporaneamente a tutti quei vizi che fino a quel momento aveva tentato di dissimulare: parlerò di ognuno di essi nella sua interezza. Da giovane, durante il servizio militare, era chiamato Biberio invece che Tiberio, Caldio piuttosto che Claudio e Merone al posto di Nerone a causa del suo smodato amore per il vino. [...] Durante il periodo del suo ritiro a Capri fece arredare con divani una stanza apposita, che divenne il luogo dove dava sfogo alla sua segreta libidine. Lì, infatti, requisiti da ogni dove gruppi di ragazze e invertiti, assieme a quelli che lui chiamava "spintrie", che inventavano mostruose forme di accoppiamento, li costringeva ad unirsi a tre a tre e a prostituirsi tra loro in ogni modo, per eccitare la sua virilità di uomo ormai in declino. [...] Si rese colpevole anche di azioni ancora più turpi e infamanti, che a mala pena si possono riferire e ascoltare, o addirittura credere. [...] Fu parco e avaro nell'elargire denaro, e non assegnò mai un salario a coloro che lo accompagnavano in viaggi e spedizioni, ma soltanto il cibo necessario al loro sostentamento. [...] Non nascose la sua natura tenace e crudele neppure nell'infanzia; [...] In seguito, però, si lasciò andare a qualsiasi genere di crudeltà, e non gli mancarono le persone da colpire: perseguitò dapprima i familiari e gli amici di sua madre, poi quelli dei nipoti e della nuora, infine quelli di Seiano. Dopo la morte di quest'ultimo divenne ancora più crudele; in questo modo, dunque, apparve chiaro che non era stato spinto verso la crudeltà da Seiano, ma che il prefetto gli aveva soltanto fornito le occasioni che Tiberio cercava. [...] »
    « Era di corporatura grande e robusta, e la sua statura superava quella normale; le spalle ed il torace erano larghi, e tutte le altre membra erano ben proporzionate tra loro, fino ai piedi; la sua mano sinistra era particolarmente agile e forte, e il dito così robusto che poteva con esso tagliare una mela intera appena colta o ferire alla testa un bambino o un giovane solo toccandolo. Era di carnagione candida, e i capelli, come succedeva anche nei suoi antenati, gli scendevano dalla testa fino a coprirgli il collo; il suo volto era di nobile aspetto, ma tuttavia vi comparivano improvvisamente foruncoli e pustole; i suoi occhi erano molto grandi, e, cosa da notare, capaci di vedere anche di notte e al buio, ma per breve tempo e solo nel momento in cui lui si destava dal sonno; poi tutto tornava normale. Camminava con il collo rigido e dritto, e con il volto teso; il più delle volte taceva o parlava pochissimo con chi gli stava vicino, con estrema lentezza e gesticolando mollemente con le dita. [...] »
    « Riguardo agli dei e alla religione si comportò in modo indifferente, poiché, dedito agli studi di astrologia, riteneva che tutto dipendesse dal destino. [...] »
    (Sventonio)


    imperatore_augusto

    La storiografia moderna ha riabilitato la figura di Tiberio, denigrata dai principali storici a lui contemporanei, mancando di quella comunicativa propria del suo predecessore Augusto, e pur essendo di indole torva, tenebrosa e sospettosa. Questo suo riserbo, unitamente all'innata timidezza, certamente non gli giovarono. E così pure il costante disagio provato dal disinteresse dimostrato da Augusto nei suoi confronti fino agli ultimi anni della sua vita, gli diedero l'impressione di essere stato adottato solo quale ripiego. E così quando divenne Princeps, era ormai disincantato, inasprito e deluso.
    All'imperatore si riconosce la grande abilità dimostrata in gioventù al servizio di Augusto: Tiberio mostrò di possedere una grande intelligenza politica nella risoluzione di molti conflitti, e riuscì ad ottenere numerosi successi in campo militare, dimostrando parimenti una notevole abilità strategica. Allo stesso modo, si riconosce la validità delle scelte che prese nei primi anni del suo impero, fino al momento del ritiro a Capri e della successiva morte di Seiano. Tiberio seppe evitare di impegnare le forze romane in guerre dall'esito incerto oltre i confini, ma riuscì ugualmente a creare un sistema di stati vassalli che garantissero la sicurezza del limes da pressioni esterne. In politica economica, seppe attuare una saggia politica di contenimento delle spese che portò al risanamento del deficit dello stato senza che si rendesse necessaria l'imposizione di nuove tasse ai provinciali. Egli diede, pertanto, prova di essere anche un abile amministratore con indubbie capacità organizzative, aderendo perfettamente ed in modo quasi maniacale alla politica del suo predecessore. Il suo dramma fu quello di essere stato trascinato a ricoprire un ruolo a lui inadatto, per quel suo innato senso del dovere, in una situazione che probabilmente non aveva cercato e che, al contrario, esigeva doti differenti dalle sue. La sua tragedia fu quella di essersene reso conto ormai troppo tardi.
    Più controversa resta l'analisi del comportamento di Tiberio durante il lungo ritiro a Capri, e non esiste ancora al riguardo una linea universalmente condivisa: le notizie riportate da Tacito e Svetonio appaiono generalmente come distorte, o comunque non corrispondenti alla realtà. Resta possibile che l'imperatore abbia dato sfogo ai suoi vizi durante la permanenza sull'isola, ma è tuttavia improbabile che, dopo essersi a lungo distinto per il comportamento morigerato, si sia poi abbandonato agli eccessi descritti dagli storici.Vi è accordo nel ritenere che la demonizzazione di Tiberio, la cui figura acquisisce in Svetonio e Tacito una connotazione mostruosa tanto a livello comportamentale quanto puramente fisico, sia determinata in primo luogo dalla scarsa adesione alla realtà da parte dei due storici: l'uno, Svetonio, mosso dalla volontà di raccontare ogni dettaglio scabroso, l'altro, Tacito, dal rimpianto del sistema repubblicano. È anche possibile che Tiberio, nei suoi ultimi anni, fosse malato di saturnismo, intossicazione da piombo, dovuta al fatto di bere vino addolcito in otri di piombo, consuetudine dei ricchi romani. Tra gli studiosi che nelle loro opere hanno riabilitato la figura di Tiberio si segnalano Amedeo Maiuri, Santo Mazzarino, Antonio Spinosa, Lidia Storoni Mazzolani, Axel Munthe, Paolo Monelli, Giovanni Papini e Maxime Du Camp. Anche il filosofo Voltaire commentò in modo positivo l'opera dell'imperatore.



    Edited by gheagabry - 23/4/2012, 00:49
     
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