NON TUTTI SANNO che....!!!

curiosità in cucina

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  1. gheagabry
     
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    non tutti sanno che.............


    Le origini delle Orecchiette non sono da ricercarsi in Puglia, ma molto probabilmente nella zona provenzale francese, dove fin dal lontano Medioevo si produceva una pasta simile utilizzando il grano duro del sud della Francia. Si trattava di una pasta molto spessa e a forma di dischi, incavata al centro mediante la pressione del dito pollice: questa forma particolare ne facilitava l'essiccazione, e quindi la conservazione per fronteggiare i periodi di carestia. Sembra anche che ne venissero imbarcate grandi quantità sulle navi che si accingevano ad affrontare lunghi viaggi. In seguito, sarebbero state diffuse in tutta la Puglia con il loro nome attuale dagli Angioini, dinastia che nel Duecento dominava le terre della regione.
    Wiki


    Il merluzzo a seconda di come viene trattato cambia nome! Se viene subito pulito, messo in un barile e coperto di sale, è chiamato baccalà. Dalla parola fiamminga kabeljaw, che vuol dire bastone di pesce. Il sale serve per tirar fuori dalle sue carni l’acqua: allo scopo di conservarlo a lungo. Il baccalà è insomma il merluzzo pulito, deliscato, salato e imbarilato.
    Se invece, dopo la pesca, il merluzzo viene lasciato ad essiccare all’aria fredda, diventa stoccafisso: da stock, legno, e fish, pesce. Alias bastone di legno, chè tale appare per la sua durezza. Qualcuno sostiene che la parola provenga dal norvegese Stockfish: pesce da stoccare: da immagazzinare.
    Baccalà.it

    A complicare la faccenda c'è il fatto che in Veneto, quando si parla di baccalà si intenda al contrario lo stoccafisso. A Vicenza tra l'altro, come viene ricordato nel sito ufficiale del Baccalà alla vicentina, "i vicentini chiamano lo stoccafisso con il nome di Bacalà (con una "c" solamente), perché a Vicenza quando si parla di Baccalà (con due "c") ci si riferisce a quello salato non a quello secco. Pertanto lavorando e parlando del pesce secco, i vicentini lo chiamano Bacalà".
    Il baccalà alla vicentina



    Il Lyophyllum fumosum è un fungo caratterizzato dalla crescita cespitosa in numerosi esemplari raggruppati. Carne bianca e consistente, inodore. Lamelle fitte, spesse, annesso-smarginate, gambo biancastro, pieno e sodo. Si ritrova comunemente in autunno nei prati e al margine di boschi. Appartiene alla famiglia delle Tricholomataceae.
    Caratteristiche macroscopiche del genere Lyophyllum sono la carne di consistenza elastico-cartilaginea, la frequente crescita in numerosi esemplari riuniti alla base del bambo, l'annerimento delle lamelle al tocco in alcune specie. Cappello color cuoio con possibili fissurazioni, margine ondulato, lamelle fitte, carne bianco-grigiastra.
    Commestibile più adatto a conservazione sott'olio o sott'aceto.




    Il tonno in scatola [...] è un prodotto che gode di una buona immagine di genuinità, essendo semplicemente un pesce cotto con l’aggiunta di olio e sale, senza additivi. Veramente è permesso aggiungere il gluttammato monosodico, che è un esaltatore di sapidità e va dichiarato nell’elenco degli ingredienti: se c’è, significa che la materia prima è scadente e quindi ne è stato rinforzato il sapore con l’additivo.
    Possono essere inscatolate sette specie di tonno. Quelle più buone sono: il Thunnus thynnus (che ha le carni rosa ed è detto anche tonno rosso) e il Thunnus alalunga (che ha le carni più bianche). Meno pregiato è il Thunnus albacares, che però è molto utilizzato perché costa meno (viene dai mari tropicali) ed è chiamato anche tonno a pinna gialla o Yellow fin, perché ha le estremità delle pinne gialle. Comunque non è obbligatorio dichiarare in etichetta che specie di tonno sia stata utilizzata.
    Il buon prodotto si può riconoscere innanzi tutto alla vista. Se si presenta in pezzi interi significa che sono state utilizzate vere parti del pesce, se è in piccoli frammenti si tratta dei residui della lavorazione, ovviamente meno qualitativi. Tanto più il colore tende al bruno e tanto più si tratta di specie o parti meno pregiate, oppure di tonno "ossidato", cioè di pesce che è stato tenuto a lungo congelato e poi cotto e iscatolato. Altro indizio per valutare la qualità è premere con una forchetta il contenuto, una volta aperta la scatola: dapprima esce l’olio e, in ultimo, un po’ d’acqua, che nel buon prodotto deve essere poca. Naturalmente anche un sapore stopposo sta a significare l’utilizzazione di specie poco qualitative e di parti di scarto.
    Unione Nazionale Consumatori



    Rum, rhum o ron: in passato anche 'rumbo' troncato da rumbowling o rumbullion, voci gergali riferite forse ai rumori delle caldaie di distillazione (da 'rumble': gorgogliare e 'boil',in francese 'bouillir': bollire); secondo altri, più semplicemente, rum potrebbe essere una voce abbreviata, usata dai monaci e derivante da 'saccharum' (Saccharum officinarum: nome scientifico della canna da zucchero).
    Il Rum Bianco è una tipologia di rum dal colore bianco perfettamente trasparente o leggermente opaco. A parte alcune eccezioni è un rum di bassa qualità, ricco di vapori d'alcol e dal sapore pungente e poco aromatico. Possiede almeno un anno di invecchiamento, altrimenti sarebbe considerato semplicemente Acquavite di canna. È la base ideale per molti cocktail tra cui il mojito.
    Wiki



    La ricotta, pur essendo un prodotto caseario, non si può definire formaggio ma va classificato semplicemente come latticino: non viene ottenuta infatti attraverso la coagulazione della caseina del latte, ma attraverso quella delle proteine del siero di latte, cioè della parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione.
    Il processo di coagulazione delle sieroproteine avviene ad un'alta temperatura (80-90°C): il siero viene quindi letteralmente ri-cotto. La tecnologia più antica consisteva solamente nel riscaldare il siero aspettandone la denaturazione e conseguente affioramento della ricotta in superficie.
    La massa coagulata viene poi posta in recipienti perforati (anticamente si usavano cestini di vimini o di canne) per scolare il liquido in eccesso.



    La robiola è un formaggio a pasta molle, cruda, tipico delle zone lombarde e piemontesi, un tempo ottenuto con latte di pecora e capra, oggi prodotto, anche industrialmente, quasi solo con latte di mucca (vaccino) intero pastorizzato.
    La robiola viene fatta riposare da 8 a 10 giorni oppure fino a 50 giorni, per ottenere un formaggio più stagionato. Le caratteristiche principali della robiola sono la pasta morbida ma consistente, e gusto delicato, mentre la robiola stagionata è di colore lievemente più scuro e sapore più deciso.
    La varietà lombarda e piemontese hanno un formato leggermente diverso: la robiola lombarda è in genere di forma rettangolare, quella piemontese cilindrica.
    Come tutti i formaggi la robiola deve essere conservata in frigorifero, preferibilmente coperta, perché a contatto con l’aria tende ad alterarsi, ma può essere anche conservata sott’olio con aromi vari



    L'etimologia del termine "zucca" è incerta. Secondo il dizionario Zingarelli, potrebbe derivare dal latino cocutia ("testa"), successivamente trasformato in "cocuzza", "cozucca" e, infine, zucca.
    Le varietà più coltivate in Italia sono la "marina", chiamata anche "di Chioggia" e quella detta "di Napoli". La prima ha forma sferica con poli leggermente schiacciati, scorza molto dura e polpa arancione morbida: adatta per la cottura in forno. La seconda è invece più diffusa al Sud e ha forma oblunga anche incurvata e polpa molto dolce: è indicata per zuppe, minestroni e passati.
    Le zucche intere resistono per mesi in ambienti con temperature comprese tra i sei o gli otto gradi (un freddo più intenso o, peggio, il gelo le rovinerebbe per sempre). Tagliate a fette, si conservano per tre o quattro giorni in frigorifero - nello scompartimento delle verdure - oppure in luoghi freschi e bui. La polpa già cotta, invece, si può essere conservata tranquillamente in freezer.
    Per il suo scarso valore calorico (17 calorie ogni 100 grammi), il buon contenuto di fibre ed il gratificante potere saziante, è ideale nelle diete ipocaloriche.



    Arancini..Il vero nome della pietanza è arancina, come viene chiamata nella zona di Palermo. Nelle altre città siciliane (e nel resto d'Italia) viene chiamata arancino. A supporto della tesi del genere femminile vi è l'interpretazione dello storico palermitano Gaetano Basile, che sottolinea come il nome derivi dalla forma sferica e dal colore che la rendono somigliante in tutto e per tutto ad un'arancia (e non all'albero, l'arancio).



    I fagiolini (phaseolus vulgaris) detti anche "tegolini" o "cornetti" non vanno assolutamente mangiati crudi, infatti sono molto indigesti: questo perché possiedono un enzima che disturba la digestione.
    A questo problema si pone tranquillamente rimedio con un buon lavaggio in acqua fredda e la loro successiva cottura. Fatto ciò sono anzi molto indicati nelle diete ipocaloriche, hanno una discreta funzione diuretica e sono particolarmente consigliati a chi soffre di diabete oltre che a soggetti che soffrono di stitichezza.



    L'orata (Sparus aurata) prende il suo nome dal fatto che presenta ai due lati della testa squame miste di verde e giallo che le fanno parere di color oro.
    In Italia è particolarmente rinomato il suo allevamento (in vasca a terra come in gabbie in mare) nelle lagune adriatiche e nelle coste toscane. Le orate pescate però presentano carni più magre di quelle d'allevamento (dovuto alla minor possibilità di muoversi e alla maggior quantità disponibile di cibo).
    Le orate sono ermafrodite proterandriche: la maggior parte degli individui infatti subiscono l’inversione sessuale all’età di 2 anni.



    Il pomodoro, frutto di una pianta del genere delle Solanacee, ci venne fatto conoscere dagli spagnoli che lo importarono dalla cordigliera andina.Esistono moltissime varietà di pomodori: i costoluti (Costoluto fiorentino, Pantano, Samar); i tondi lisci (Ace, Montecarlo, Sunrise); quelli allungati (Maremma, Romarzano, San Marzano), ma la varietà più adatta per la conserva di pomodoro è quella definita Pomodoro Miami disponibile da maggio a novembre.
    Per combattere l'invecchiamento, niente è più efficace del pomodoro, l'antiossidante per eccellenza. Secondo molti esperti non esiste farmaco efficace contro i radicali liberi come lo è il pomodoro; si può quindi affermare che un pomodoro, ricco di betacarotene, licopene e vitamina è più efficace, contro l'invecchiamento, di qualunque medicina.



    La "mazzancolla" (nome scientifico: Penaeus Kerathurus) appartiene ai crostacei comunemente noti come gamberi. Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una corazza che costituisce l’esoscheletro. Può raggiungere dimensioni massime attorno a 20 cm, è comune dai 12-15 cm, il colore è marroncino grigio con riflessi gialli e rossastri. Possiede un rostro con 10-11 dentelli e due lunghe antenne filiformi, caratteristica la coda a forma di ventaglio.
    Vive tra 20 e 50 m di profondità, sepolta durante il giorno nei fondali sabbiosi costieri prossimi alle foci dei fiumi dove l’acqua è salmastra, si muove di notte per alimentarsi catturando piccoli organismi. Si pesca con reti a strascico, le migliori zone per la pesca si trovano nel Medio Adriatico e sulle coste laziali nel Mar Tirreno.
    Molto apprezzata dai mercati purtroppo mantiene un costo elevato anche quando è relativamente abbondante.



    Il salmone è un pesce che nasce dai fiumi, scende fino al mare per poi risalire nuovamente i fiumi in un lungo e faticoso viaggio controcorrente per andare a deporre le uova in acque fredde e ben ossigenate, dopo di ché solitamente muore.
    Occhio vivo e convesso, branchie rosate e umide, carne elastica e soda; preferibilmente di taglia media, il colore della carne deve essere brillante. Si può acquistare intero, a tranci o a filetti, la parte migliore è quella centrale. Se lo acquistare a tranci la carne deve avere colore uniforme ed essere ben aderente alla lisca centrale o alla cartilagine nel caso delle fette. Durante tutto l'anno si trova il salmone di allevamento, caratterizzato da carne dal sapore meno accentuato, ma di qualità costante; si riconosce dal colore più scuro della carne. A tranci, filetti o intero, una volta lavato, ben asciugato e avvolto in un telo pulito o carta da forno può essere conservato in frigo, ma non oltre le 24 ore dall'acquisto.



    I passatelli sono una delle più classiche minestre romagnole dei giorni di festa. Il piatto, che è citato nel ricettario dell'Artusi, discende probabilmente dalla TARDURA: minestra di uova, formaggio e pangrattato tradizionalmente servita alle puerpere.
    «Si chiamano passatelli perché prendono la loro forma speciale passando a forza dai buchi di un ferro fatto appositamente, poche essendo le famiglie in Romagna che non l'abbiano, per la ragione che questa minestra vi è tenuta in buon conto come, in generale, a cagione del clima, sono colà apprezzate tutte le minestre intrise con le uova delle quali si fa uso quasi quotidiano. Si possono passare anche dalla siringa»
    L'arte di mangiar bene, di Pellegrino Artusi




    Secondo alcuni storici della gastronomia il diffondersi di questo tipo di polenta sarebbe strettamente legato al tipo di economia delle campagne del Veneto. In queste zone c’era infatti una maggior disponibilità e varietà di cibo rispetto alle zone montane dove invece l’uso della farina gialla a grana grossa o con l'aggiunta di farina di grano saraceno (polenta taragna), serviva a sopperire la carenza alimentare. Se in montagna la polenta gialla era il piatto base, che solo nelle occasioni di festa si arricchiva di condimenti nutrienti e più costosi, in campagna e nelle città la polenta bianca era più spesso il “cavaliere” di carne, pesce e verdure. In un certo senso, anche nell’ambito di una cucina semplice e povera, è possibile individuare delle sottili differenze tanto che da alcuni la polenta bianca veniva considerata “polenta da signori” mentre quella gialla cibo adatto a “spegnere” la fame.
    Ormai nelle nostre cucine è assente il paiolo, ed anche se ci fosse il fornello a gas non è certo l'ideale per la cottura della polenta, un buon compromesso può essere quello di usare come tegame quello di una comune pentola a pressione. Il fondo di acciaio molto spesso infatti è l'ideale per mantenere costante il calore nel tegame...



    La seppia (Sepia oficinalis) è un mollusco cefalopode che può raggiungere dimensioni massime di 35 cm, ma le taglie più comuni sono tra i 15 e i 25 cm; la colorazione è molto variabile e differisce tra maschi e femmine, i maschi presentano una linea bianca lungo tutta la pinna.
    A seconda delle dimensioni e della provenienza può avere sapore diverso: se di piccole dimensioni (inferiore ai 100 gr), si trova da agosto a novembre, mentre la seppia di peso superiore ai 300 gr, si trova solo nei mesi invernali. Per valutarne al meglio la freschezza si può osservare il suo colore che mano a mano si fa sempre più opaco, oppure l’inchiostro: se è rappreso la seppia è stata congelata. La seppia è indicata per umidi e grigliate, da non dimenticare le paste o i risotti con il nero di seppia.



    La Caponata, sebbene composta da verdure, e' un piatto marinaresco, nato nella Caupona, il termine con il quale la bassa latinità designava la taverna, dalla quale la pietanza ha derivato il suo nome. La caupona dei porti preparava le vivande per i marinai che facevano vela dalle coste dell'isola.
    Il dizionario del Palazzi alla voce caponata dice:"cibo marinaresco, galletta inzuppata nell'acqua salata, condita con olio e aceto". Quindi non somigliava affatto a quella che conosciamo oggi, e ciò si spiega benissimo con il fatto che la gamma degli elementi di cui disponevano gli antichi era più povera di quella di oggi, perché non ancora conosciuti.
    La melanzana, per esempio, arriva dall'India nel 1600, il sedano, sebbene conosciutissimo fin dall'antichità (con esso si intrecciavano serti per i cittadini piu' meritevoli), ma non veniva utilizzato per la cucina, e cosi' altri ingredienti.





    L'erba cipollina grazie alla sua elasticità viene anche usata per legare piccole preparazioni a forma di fagotto, come le crêpes, o mazzetti di verdure lessate e accompagnate da salse, come gli asparagi. È tipica della cucina della Francia, ma è diffusa anche altrove. E' nota e usata in erboristeria come antiscorbutico, antisettico, callifugo, ipoglicemizzante, cardiotonico, cicatrizzante e vermifugo





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  2. gheagabry
     
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    Cibo e colori



    Cosa scatta nella nostra mente alla vista di un piatto di pasta al pomodoro ? Come mai davanti ad una tazza di cioccolata ci sentiamo “coccolati”?
    Certamente le nostre papille gustative vengono sollecitate dai profumi che indicano il gusto di ciò che assaporeremo, ma anche la vista ha un ruolo importante sull’identificazione di un cibo.
    Il colore è il primo elemento che ci colpisce, e la tinta di un alimento rivela forti influenze nella percezione del gusto, sia quando vi è naturalmente contenuta, sia quando è aggiunta, o quando derivi da processi di cottura e conservazione.
    Nella tradizione cinese con i colori si classificano anche i sapori: il rosso per l’amaro, il giallo per il dolce, il bianco per il piccante, il nero per il salato, il verde per l’acido.
    Platone riassumeva il rapporto natura-colore, associando alle diverse tinte cromatiche gli elementi naturali: rosso al fuoco, giallo all’aria, verde ai boschi e agli animali, blu alla notte e all’acqua.
    Nel Medioevo l’aggiunta di ingredienti colorati era fatta per esaltare il sapore stesso di un cibo.
    Durante l’Ottocento questa necessita veniva ancora ribadita da Dumas nel “Grande dizionario di cucina”.
    Esaminiamo come alcuni alimenti possono rivelare un legame anche simbolico tra colore e cibo.
    Bianco indica purezza e luce. I cibi bianchi comunicano solennità (torte nuziali) o per contro semplicità, pensate ai nutrienti latte e riso.
    Rosso caldo ed eccitante, simboleggia fuoco e sangue, ed i cibi così colorati generano energia, come carni, vini, fragole o pomodori maturi. Spesso presente negli arredi dei fast food e nelle divise degli addetti alla ristorazione, il rosso stimolerebbe l’azione del soggetto verso il consumo. Apparecchiare la tavola in rosso sembra che consente di digerire ed assimilare meglio il cibo.
    Verde colore della natura e della vegetazione è simbolo di forza, rinascita e speranza. Sono così colorati l'olio e tutta la tavola di primavera, dalle fave agli asparagi. Se si mangia con troppa voracità e in fretta, il verde sembra aiuti a rallentare l’assunzione dei pasti.
    Giallo è solare e energetico, ricorda l’oro. Sembra sia il colore preferito dai golosi. Tuorlo d’uovo e miele sono i due capisaldi di questa interpretazione, assieme al “ricco” zafferano.
    Marrone induce sensazioni di rilassamento vitale e naturale, pensiamo alla cioccolata o ai datteri delle oasi del deserto fonte di nutrimento per le popolazioni nomadi.
    Blu e Viola identificano l’equilibrio, anche se poco presenti in natura, i cibi che li contengono vengono considerati i migliori antidoti alla fame nervosa. Mirtilli, susine e uva donerebbero calma. Spesso il blu viene anche associato a muffe o bacche aspre non mature, e per gli antichi romani questo rappresentava un colore “non buono”, poco adatto alle genti civili perché i guerrieri “barbari” se ne servivano per dipingere il volto prima delle battaglie.

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    Le radici dei regimi alimentari tradizionali rivelano come i prodotti più importanti dal punto di vista nutritivo e gustativo, fossero quelli delle feste e delle occasioni eccezionali, accessibili soprattutto ai ricchi e raramente ai ceti popolari.
    Questi cibi erano prevalentemente di colore bianco o rosso, o di sfumature che gli si avvicinavano. La valutazione dietetica positiva di questi alimenti appariva ancora più evidente quando nei pasti si combinavano assieme i due generi.
    I cibi maggiormente evocati nella tradizione orale per identificare l’abbondanza erano il bianco della pasta o del pane accompagnato dal rosso del vino e delle carni vaccine o suine.
    Questi erano i colori delle persone ben nutrite e in buona salute, ed anche i proverbi ricordavano che la bellezza femminile dipendeva da essi.
    Alcuni studiosi hanno ipotizzato che certi colori avevano una connotazione positiva forse perché rappresentavano elementi come sole, luce e acqua, indispensabili fin dalle origini all’agricoltura delle civiltà mediterranee.
    Fu anche per queste valenze se dal Settecento, alimenti come pomodoro e peperoncino si diffusero sulle tavole italiane.
    In ogni caso nella comunità agreste non si rifiutavano i cibi di colore verde, se mai c’era un’opposizione al loro consumo, perché identificavano la monotonia cromatica del pasto quotidiano fatto di verdure e erbe.
    Più decisa appare invece la diffidenza verso gli alimenti di colore nero, tono associato alla morte, al lutto, al colore della fame.
    I pani integrali scuri, nonostante il loro valore dietetico, trovavano scarsa fortuna, come l’olio nero o scuro ottenuto da olive male conservate e prodotto con procedimenti arcaici. Eccezione a questa abitudine era il caffè, presente almeno all’inizio solo sulle tavole dei ricchi, che rappresentava una delle bevande più desiderate dai ceti popolari.


    (taccuinistorici.it)

    Edited by gheagabry - 28/6/2011, 19:17
     
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  3. gheagabry
     
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    IL BARBECUE

    barbecue-a-legno-2061-1706555

    Non esiste un'origine certa del termine o un'interpretazione univoca ma solo molte ipotesi tutte verosimili ma alcune più simpatiche di altre.
    Secondo gli inglesi, la parola barbecue deriva dal termine spagnolo "barbacoa" che è a sua volta una variazione del termine "babracot" del dialetto caraibico della popolazione indigena "Taino" di Haiti.
    Secondo questa ipotesi l'attuale termine brabacot indica la struttura di canne o rami verdi che formano una griglia sotto la quale viene posto il fuoco e in cui vengono cotti o affumicati i cibi. E' chiaro che quando i primi esploratori spagnoli arrivarono nel nuovo mondo, trovarono una popolazione indigena che era solita seccare le carni al sole, il problema sostanziale era dovuto al fatto che la carne al sole, era terreno fertile per batteri ed insetti e i nativi quindi tentavano di evitare l'imputridimento della carne usando tali strutture di legno in combinazione a un tiepido fuoco in cui venivano bruciate foglie e rami verdi i quali, producendo molto fumo, tenevano alla larga gli insetti. Come conseguenza la carne assorbiva il fumo ed aveva questo "effetto collaterale" dell'aroma affumicato il quale, poi si scoprì, era anche un ottimo conservante.
    Barbacoa fu quindi la naturale derivazione del termine brabacot e pare quindi che barbecue, fu a sua volta un'ulteriore varianza di barbacoa, coniata dagli inglesi arrivati nel nuovo mondo.
    Altra ipotesi che si rifà sempre ai Taino è la derivazione dal termine "Barabicu" usata per indicare la buca del fuoco sacro che affumicava le carni, sacro proprio per il suo potere conservativo.
    Un altra ipotesi (in realtà sono due che si rifanno alla stessa "leggenda")attendibile deriva dal termine francese "barbe a queue" che significa letteralmente dalla barba alla coda e si riferisce probabilmente al fatto che l'animale, solitamente, veniva arrosito intero. Altra idea è l'utilizzo della frase "de la barbe au cul", traduzione oltremodo semplice, frase utilizzata sempre per indicare che l'animale veniva cotto intero.

    L' Oxford English Dictionary chiama questa particolare etimologia di origine francese "assurda congettura".
    Una simpatica ipotesi di origine deriva da alcuni libri storici americani che narra di 2 Rancher del Texas che servivano pecore, maiali e vitelli interi arrostiti sul fuoco. In un libro, il suo nome è Bernard Quayle mentre in un altro è Barnaby Quinn ma in entrambi le versioni, il marchio di ferro posto sopra all'arco di ingresso del ranch riportava le iniziali B.Q saldate ad una barra sottostante. In ogni ranch è classico porre le iniziali del proprietario sopra l'ingresso e la barra in cui vengono assicurate viene indicata appunto con il nome bar.
    Da qui, il "bar B.Q." divenne sinonimo di buon cibo cotto al fuoco.

    Probabilmente, anche in questo caso, gli aneddoti hanno piu un valore simbolico che storico. Attualmente, negli Stati Uniti, dove il barbecue è una veria e propria istituzione, il termine Barbecue indica univocamente un metodo di cottura a bassa temperatura, per tempi lunghissimi e in presenza di fumo di legna e in cui, quasi sempre, si cuociono grandi pezzi di carne o animali interi. Il fumo è una condizione imprescindibile nel barbecue tant'è vero che, negli states, la bistecca o le salsicce o gli hamburger cotti sul grill o in piastre di ghisa scaldate a gas non rientrano nella maniera più assoluta nel metodo di cottura chiamato "Barbecue".

    Fabiuzz , 25.5.10
    - http://tramitoecucina.blogspot.it/

     
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