MITOLOGIA MESOPOTANICA

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  1. gheagabry
     
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    « Ecco che spira, o Citerea, il tenero Adonis! Che cosa faremo?
    Battetevi il petto, fanciulle, e strappate le vostre tuniche! »
    (versi attribuiti a Saffo di Lesbo)



    TAMMUZ





    In Babilonia nasce anche uno dei miti più antichi e più bei miti fra i tanti che raffigurano l’alternarsi delle stagioni e si ispirano al mistero della vita quando si risveglia a primavera dopo il lungo sopore invernale.
    Tra le minori divinità babilonesi c’era un dio giovinetto, bellissimo e benigno, il quale si aggirava per le verdi campagne suonando dolcemente il flauto. Si chiamava Tammuz e aveva sempre il sorriso sulle labbra; il suo compito era quello di proteggere i pastori e le greggi, di rendere prosperosi i raccolti, di assicurare la salute a tutto ciò che viveva, uomini, animali e piante. In grazia di questo giocondo nume la natura era sempre sorridente e le piante sempre in fiore. Non c’è da meravigliarsi se, un bel giorno, Istar, la dea dell’amore, incominciò a sospirare per il bel giovinetto cercando di seguirlo ovunque; e tanto fece che finalmente riuscì a sposarlo. Non aveva sbagliato nella scelta perché anche lei proteggeva il rigoglio della vita, a lei si rivolgevano le madri e i padri perché i loro figli fossero belli e robusti, e i pastori affinché le greggi prosperassero e si moltiplicassero. Istar sposò Tammuz, e mai una sposa divina fu più amorosa e fedele di lei.
    Un giorno Tammuz si addentrò in un bosco vicino alla città sacra di Eridu, quando un feroce cinghiale sbucò improvvisamente da una macchia e si avventò su di lui. Tammuz era un dio, certo, bello e amato da tutti, ma non molto potente, in quanto molto simile all’uomo e di conseguenza poteva essere avvicinato dalla morte. Ferito profondamente dalle zanne della belva, il giovinetto divino vide dunque oscurarsi la dolce luce del sole, si sentì attratto nel buio regno delle ombre, nelle viscere della terra, un improvviso gelo gli passò nelle ossa e gli strinse il cuore. Subito una grande tristezza si diffuse dappertutto e un velo grigio parve distendersi sul chiarore del giorno avvolgendo ogni cosa. Si lamentavano le piante che non davano più frutti, si lamentavano le messi che non portavano più spighe. Tristi erano i fiumi, che sentivano venir meno le loro acque, tristi i laghi e gli stagni, dove non nascevano più pesci. E si lagnavano i canneti e i cespugli, e i giardini, dove le api non venivano più a suggere i fiori, le vigne, che non davano più vino, le aiuole, dove il fiore di senape intristiva; perfino i palazzi dei principi e dei re, dove non si udivano più i canti e gli allegri clamori dei banchetti e la vita languiva, erano in lutto. Ma la più profonda di ogni tristezza fu quella di Istar. La bella dea comprese che la sua immortalità le sarebbe stata inutile e insopportabile senza lo sposo, e decise di andarlo a cercare nel mondo sotterraneo dov’era scomparso, nell’Aralu, l’oscura sede dei morti.
    Discese nell’Aralu, ma trovò le porte chiuse; il guardiano si rifiutò di aprirle perché non era conveniente che la dea della vita entrasse nelle dimore dei defunti. Istar pregò e insistette a lungo, ma inutilmente, finché, resa furiosa dalla disperazione, si aggrappò alle porte e le scosse gridando:
    - Apri, guardiano, altrimenti io spezzerò questi battenti, libererò i morti che tu custodisci e li condurrò con me sulla terra perché divorino i viventi.
    Il guardiano, spaventato, corse dalla Regina dell’inferno per chiedere istruzioni, e la Regina, conoscendo la potenza di Istar, e soprattutto la forza del suo amore, permise che la dea entrasse purché si spogliasse di uno dei suoi ornamenti ogni volta che varcava una delle sette porte dell’inferno. A Istar poco importavano in quel momento i suoi ornamenti e accettò senza alcun indugio. Alla prima porta depose la corona, alla seconda i begli orecchini, alla terza la collana, alla quarta i braccialetti, e così via: quando fu dinanzi alla Regina dell’inferno, aveva soltanto la camicia. Ma non aveva pensato che, come dea della bellezza e dell’amore, gli ornamenti facevano parte della sua personalità e della sua potenza e, nel vedersi così mal ridotta, ne fu tanto mortificata che la Regina dell’inferno si sentì subito più forte di lei, e senza alcuna generosità, cominciò a deriderla e a schernirla ordinando che fosse subito imprigionata. Come proseguire l’esistenza sulla terra, adesso che le due divinità della vita erano l’una morta e l’altra in carcere? Non nascevano più uomini né animali, le piante intristivano, l’intera natura stava per estinguersi. Gli dei si preoccuparono e, senza perder tempo, ricorsero a Ea, il quale, con uno dei suoi energici incantesimi, costrinse la Regina infernale a liberare Istar.
    Questa volta la bella dea si sentì d’essere la più forte e impose le sue condizioni: era venuta per riprendersi Tammuz e senza di lui non se ne sarebbe andata; se volevano che riprendesse la sua benefica attività sulla terra, dovevano restituirle lo sposo. E la Regina dei morti fu costretta a piegarsi ancora, bagnò Tammuz con l’acqua della vita e lo lasciò partire con Istar. Magicamente le sette porte si schiusero via via davanti a loro e davanti a ogni porta Istar raccolse i suoi gioielli, finché cl marito emerse alla luce del sole levando alto il suo inno gioioso e orgoglioso:
    - Io giubilo del mio splendore e piena di felicità avanzo, eccelsa e divina. Io sono Istar, la dea della sera, sono Istar, la dea del mattino: sono colei che sempre è trionfante nel cielo e sempre trionfa sulla terra!
    In realtà tutto era andato bene: aveva vinto la Regina che aveva voluto umiliarla, aveva riavuto il suo Tammuz e i suoi gioielli, e ora poteva cantare il suo inno trionfante. Ma non si scende impunemente nel regno degli inferi: Istar se ne accorse più tardi quando vide che ogni anno Tammuz, quasi fosse rimasta in lui una malefica attrazione delle tenebre in cui era caduto, a un dato momento doveva scendere ancora nelle sedi infernali, e lei era costretta a raggiungerlo ogni volta nella cupa dimora e liberarlo se voleva continuare a mantenere con lui sulla terra, l’amore e la continuità della vita.
    Non è difficile riconoscere in questa fiaba il mito della primavera: Tammuz è il rigoglio estivo che ogni anno si assopisce nel sonno invernale e ogni anno si risveglia con la nuova stagione. Quasi tutti i popoli hanno immaginato un mito di questo genere non già per spiegare l’alternarsi delle stagioni ma piuttosto per glorificarlo in una interpretazione magica e poetica in cui è profondamente sentito il mistero e il miracolo della natura.





    In Babilonia, il mese di Tammuz fu così chiamato in onore del dio eponimo, derivato dal dio-pastore Sumero, chiamato Dumuzi o Dumuzid, consorte della dea Inanna e nella parallela forma accadica marito di Ishtar, l'assiro Adonis, acquisito nel pantheon greco.....i Babilonesi ritenevano che l'accorciarsi delle giornate e l'attenuarsi della calura estiva coincidesse con la "morte" del dio e celebravano un "funerale" che durava sei giorni, periodo di lutto che veniva ancora osservato dinanzi al Tempio di Gerusalemme, per l'orrore del profeta riformatore Ezechiele:
    "Quindi egli mi condusse alla soglia del cancello della casa del Signore, che era rivolto verso nord; e a presidio là sedevano donne che piangevano per Tammuz. Dunque egli mi disse, 'Hai tu visto questo, O figlio dell'uomo? Voltati ancora, e vedrai abominazioni ancor più grandi di queste" — Ezechiele 8.14-15
    Alla sua morte, la dea, e tutte le donne con lei, prendono il lutto nel mese chiamato con il suo nome, Tammuz...Il lutto rituale per Tammuz richiama il digiuno annuale dei lamento per la morte di Adone. Il lutto di Afrodite per Adone o di Ishtar per Tammuz è l’origine mitica del digiuno delle lamentazioni, che costituì un rituale di primaria importanza nella religione della Grande Dea. Questo evento veniva ripetuto mitologicamente ogni anno il primo giorno della settimana seguente il primo novilunio successivo all'equinozio di primavera.. Il pianto delle donne durava 40 giorni, "era una solenne festa", digiuno di 40 giorni in onore della divinità astrale Ishtar Il rito della dea madre, della sua discesa negli inferi per riportare alla luce il dio ucciso, costituiva il rito agricolo del rinascere primaverile della natura... dopo questa discesa la dea madre veniva riassunta in cielo con il rito di assunzione che si celebrava intorno alla metà di agosto... Il Ramadan,una delle cerimonie religiose più importanti- dei maomettani, corrisponde al lutto per la morte di Tammuz.



    Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro.
    In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali.
    È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.





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12 replies since 6/12/2010, 20:43   7537 views
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