MITOLOGIA MESOPOTANICA

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    Oannes e il mito degli “Uomini-Pesce”



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    Agli albori dell’umanità, nella culla della civiltà, l’uomo sviluppò un mito che si sarebbe connaturato profondamente nella cultura e nella tradizione dei millenni successivi.La discesa dal cielo di un essere divino, dalle fattezze antropomorfe ma anche di pesce, venuto per insegnare le arti e le scienze e apportatore di conoscenze e di insegnamenti che le tradizioni e gli antichi miti vorrebbero essere alla base dell’iniziale sviluppo dell’umanità.

    “Oannes, Oanne(s), Oen, Oes, mostro metà uomo e metà pesce, venuto dal mare Eritreo, ed uscito dall’uovo primitivo, dal quale erano stati tratti tutti gli altri enti, comparve – dice Beroso – presso un luogo vicino a Babilonia. Egli aveva due teste; quella d’uomo era situata sotto quella di pesce. Alla sua coda erano uniti due piedi d’uomo del quale aveva la voce e la parola. Questo mostro stava fra gli uomini senza mangiare, dava loro la cognizione delle lettere e delle scienze, insegnava loro ad esercitare le arti, ad innalzare templi, edificare città, ad istituire delle leggi, e a fissare i limiti dei campi con sicure regole, a seminare, e a raccogliere i grani ed i frutti; in una parola, tutto ciò che raddolcire i loro costumi poteva contribuire. Al tramontar del Sole, ei ritiravasi nel mare e sotto le acque passava la notte. Ne comparvero in seguito altri simili a lui: e Beroso aveva promesso di rilevare questo mistero, ma nulla ne è rimasto. Oannes, Oes, dicono gli eruditi, in siriaco significa ‘straniero’. Così questa favola ci insegna che giunse un tempo per mare uno straniero il quale diede ai Caldei alcuni principi d’incivilimento. Esso era forse dalla testa alle piante coperto di pelli di pesce, e rientrava tutte le sere nel suo ‘vascello’, su cui si nutriva senza esser veduto da alcuno […]“
    Così il “Dizionario Storico-Mitologico di tutti i Popoli del Mondo”, edito nel 1824, ci descrive l’enigmatica figura di Oannes il mitico dio sumerico dalle fattezze antropomorfe e di pesce. Disceso dal cielo attraverso un “uovo cosmico” questo dio avrebbe fatto le sue prime apparizioni tra il 3.000 ed il 4.000 a.C. (se non prima) segnando profondamente la cultura e la coscienza degli antichi popoli del subcontinente arabico.
    Fin dall’antichità le remote saghe babilonesi e sumeriche ci hanno lasciato evidenti tracce della presenza di questo mito testimoniandoci altresì la sua esistenza in bassorilievi ed incisioni.
    Nel 275 a.C. lo storico babilonese Beroso, nella sua “opera maxima” sulle antiche tradizioni e civiltà del subcontinente arabico, affronterà nuovamente l’argomento lasciandoci ulteriori dettagli, ma allo stesso tempo maggiori domande, sulla reale presenza di questo essere divino. La sua opera, anticamente costituita da tre libri, è giunta fino a noi solo attraverso poche citazioni o frammenti risparmiati dal tempo.

    Nelle sue trattazioni Beroso racconta come la discesa di questo strano essere non fosse stata l’unica della storia mesopotamica poiché sarebbero stati ben dieci gli esseri divini che discesero sulla Terra per aiutare l’uomo.
    Ma chi o che cosa era realmente questo essere dalle fattezze antropomorfe? Forse l’archeologia ufficiale ci potrebbe rispondere che si tratta di un mito, probabilmente di derivazione eziologica, creato per giustificare lo sviluppo di alcuni popoli e forse anche l’esistenza di una antica casta sacerdotale allora esistente. Ma questa spiegazione risponde a tutte le nostre domande? L’unica risposta per noi è “No!”.

    Una risposta negativa non tanto per quello che potrebbe essere realmente un mito, abbellitosi ed ampliatosi nel corso dei secoli, quanto per l’enorme quantità di descrizioni totalmente sui generis che ci presentano questo essere non tanto come uno dei tanti dei del passato ma come il dio che avrebbe dato la scintilla della conoscenza all’uomo.
    Esistono molti miti simili nelle più disparate religioni di tutto il mondo, ma il mito di Oannes possiede delle basi ed una serie di dati documentali totalmente unici nel suo genere. Questo mito inoltre percorre, e allo stesso tempo precorre, tutta la storia dell’umanità localizzandosi principalmente in quelle che furono “le culle” della civiltà moderna.

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    GLI OANNES

    Il mito di Oannes permea profondamente, e storicamente, l’humus culturale-religioso delle più antiche civiltà del nostro pianeta e risulta essere allo stesso tempo al centro di uno dei più interessanti misteri della storia passata.
    I testi antichi, quanto quelli moderni, ci danno scarse informazioni riguardo a questa figura leggendaria, dati che sono stati però in grado di fornirci degli interessanti spunti per le nostre riflessioni.
    Il primo popolo conosciuto ove questo mito si manifestò sono i Babilonesi, cultura antichissima che tra le prime concorse allo sviluppo della civiltà.


    Oannes assunse per questo popolo un valore fondamentale, e a lui venne attribuito il primo incivilimento dell’Assiria e della Babilonia. La tradizione favoleggia dell’uscita di questo essere divino da un “uovo primitivo” (o da una struttura di forma ovoidale) che lo aveva condotto fino sulla Terra così da potersi mostrare agli uomini nella sua forma antropomorfa. In periodi più tardi, e prevalentemente nelle prime culture arabiche moderne, il mito e la figura di Oannes verranno studiate in una chiave di lettura differente che si riferirà al dio pesce come ad una delle tante manifestazioni di “geni benefici” (Jinn) interagenti con l’uomo, figure queste che saranno molto care alla tradizione culturale arabica medioevale.
    Un’opera greca di fondamentale importanza ci permette di comprendere fino in fondo il mistero legato al dio-pesce, primo dei Sette Saggi della tradizione sumerica sulle origini della civiltà.
    “Babiloniaka” fu l’opera scritta dal già citato storico Beroso che fu sacerdote caldeo del dio Bel (Marduk) e che dopo anni di duro lavoro produsse nel 275 a.C. tre volumi in cui raccolse la storia, gli usi e le tradizioni degli antichi popoli mesopotamici.

    Purtroppo il testo originale del “Babiloniaka” è oggi andato perduto; tuttavia il suo contenuto ci è noto grazie ad alcuni frammenti che furono riportati da altri autori e che hanno permesso una se pur parziale conservazione del testo fino ad oggi. Il materiale arrivato fino a noi verte principalmente sulla storia della creazione così come codificata dagli antichi babilonesi in oltre due millenni di storia.
    La sua conservazione è stata possibile grazie ad un monaco di Costantinopoli, noto come Syncellus o Synkellos (VIII secolo d.C.) che aveva tratto questo materiale dalle perdute “Cronache” del padre della Chiesa Eusebio di Cesarea (260-340 ca. d.C.) il quale a sua volta aveva attinto da un’epitome dei libri di Beroso fatta nel primo secolo a.C. da Alessandro Polistore . Come detto l’opera era costituita da tre volumi nei quali era stata condensata la storia di Babilonia dalle sue origini mitiche fino all’avvento del conquistatore Alessandro Magno (336 – 323). Fondamentale per la nostra trattazione è il materiale pervenutoci dal primo libro in cui si parla del mito dei Sette Saggi (che affronteremo fra breve) e delle origini della civiltà babilonese. Seguendo quella che è la versione di Polistore, leggiamo:
    “Vi era una gran moltitudine di gente a Babilonia, ed essi vivevano senza leggi come animali selvaggi. Nel primo anno una bestia, chiamata Oannes, apparve dal Mar Eritreo, in un luogo adiacente a Babilonia. Tutto il suo corpo era quello di un pesce, ma una testa umana gli era cresciuta sotto la testa del pesce, e piedi umani gli erano similmente cresciuti dalla coda del pesce. Esso aveva una voce umana. Una sua immagine è conservata ancora oggi. Egli (Beroso, n.d.a.) dice che questa bestia passava i giorni con gli uomini, ma non mangiava cibo.
    Essa diede agli uomini la conoscenza delle lettere, delle scienze e delle arti di ogni tipo. Insegnò loro anche come fondare città, erigere templi, formulare leggi e misurare i campi. Rivelò loro i semi e la raccolta di frutta, ed in generale diede loro ogni cosa che è connessa con la vita civilizzata. Dal tempo di quella bestia nulla di nuovo è stato più scoperto. Ma quando il Sole tramontava, questa bestia Oannes si tuffava nel mare e passava le notti nell’abisso, poiché essa era anfibia. In seguito apparvero anche altre bestie. Egli (Beroso, n.d.a.) dice che discuterà di queste cose nel libro dei Re . Oannes scrisse sulla nascita e sul governo, e diede agli uomini il seguente racconto“.


    A questo punto Polistore, rifacendosi al testo di Beroso, presenta una narrazione che Oannes avrebbe dato agli uomini sull’origine della vita. Durante la lettura capiterà sicuramente di effettuare un paragone che per quanto ci riguarda sembra abbastanza obbligato. Nel racconto si parla di una vita primigenia descritta in tutto e per tutto come se fosse quel “brodo primordiale” a cui la scienza moderna sembra far risalire la prima nascita della vita. Vediamo come prosegue il racconto: “Egli (Oannes, n.d.a.) dice che c’è stato un tempo in cui ogni cosa era oscurità e acqua e che in quest’acqua strani esseri dalle forme bizzarre si generarono…”, il testo poi prosegue descrivendo come le prime forme di vita fossero strani esseri, ibridi tra specie diverse che lottarono con la vita e per la vita fino a che una certa forma di equilibrio non iniziò a presentarsi.La descrizione che ci è stata fatto da Beroso su Oannes, pur se giunta a noi in maniera estremamente frammentaria, è significativa del contribuito fondamentale che questo essere diede allo sviluppo delle civiltà nel bacino meridionale della Mesopotamia, tra il fiume Tigri e l’Eufrate.

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    Per i successori dei Babilonesi, gli Assiri, Oannes (chiamato anche Oes) sarà la forma greca del “nome del mostro” al quale la tradizione antica attribuirà il merito di aver “incivilito la Caldea”. Questo essere divino, questo “genio” o “straniero” come venne differentemente chiamato, aveva un aspetto mostruoso tale da incutere spavento in tutti coloro che lo poterono osservare. Significativo, nel caso ci dovessimo trovare veramente davanti ad un essere vivente, e caratterizzato da una totale difformità rispetto all’uomo inteso in senso proprio. Se gli fu attribuito il merito di aver incivilito coloro che allora vivevano in Caldea doveva avere senza dubbio una “cultura superiore” rispetto alle popolazioni ivi stanziate e doveva plausibilmente appartenere ad una civiltà superiore (terrestre o no che fosse).
    Nel corso dei secoli si è poi cascati molte volte in errore identificando raffigurazioni riferite ad una casta sacerdotale dell’antica Babilonia come ad immagini riferite ad Oannes. Sappiamo infatti dall’archeologia classica che a fianco del mito, e delle raffigurazioni di questo strano essere, è esistita una casta sacerdotale che probabilmente fu l’unica detentrice e custode della conoscenza da esso donata e che altresì si vestì con paramenti sacri che ricalcarono in tutto e per tutto la forma zoomorfa del dio.
    Un altro problema sovente citato si riferisce al luogo in cui il dio sarebbe apparso. Secondo Beroso “…sarebbe apparso in tempi mitici uscendo dal Mar Eritreo verso i confini di Babilonia…”. Con cartina alla mano ci si accorgerà subito che il Mare Eritreo è molto lontano rispetto ai confini di Babilonia.
    Il “Mare Erirthraeum” era però per molti geografi dell’antichità il Mar Rosso, ma data la distanza della Caldea da questo mare è possibile che “Oannes” potesse avere avuto il suo “vascello” proprio nel Golfo Persico.

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    IL MITO SUMERICO DEI SETTE SAGGI


    Ricca di fascino e di mistero è un’altra tradizione sumerica che si riferisce al dio Oannes, il mito dei Sette Saggi.
    I Sette Saggi, chiamati in accadico “apkallu” (ap-kal-lu = saggio) ed in sumerico “abgal”, erano degli esseri vissuti precedentemente al grande diluvio, o tempo mitico la cui “creazione” era stata voluta dal dio Enki (Ea nella letteratura accadica) che aveva concesso loro il dono della saggezza.
    La difficoltà moderna nella comprensione di questo mito risiede nel fatto che pur esistendo molti riferimenti a questi esseri, le fonti significative sono estremamente tarde, lasciando presagire la possibilità che si possa trattare di un mito eziologico (8). Tale ipotesi è stata però molte volte criticata poiché non tiene in considerazione alcuni elementi che oggi proponiamo attraverso le pagine di Archeomisteri. I dati storici ci dicono che il mito dei Sette Saggi era già presente nel 3.000 a.C. e si riferisce a loro come esseri sapienti estremamente abili anche nell’uso delle “arti magiche e degli incantesimi” . Nei testi in accadico più antichi, che testimoniano la presenza del mito dei sette saggi, quello che si presume essere il più antico è “l’Epopea di Erra”, composizione di carattere epico dedicata al dio babilonese della guerra e della sciagura.La collocazione storica di tale testo è stata molto difficile, ma l’attuale linea di pensiero propende nel collocarla nel periodo di Ur III (fine del terzo millennio a.C.). Nel testo i Sette Saggi vengono anche chiamati “pesci-puradu” ad indicare uno strettissimo legame con il loro elemento prediletto, l’acqua. Il primo di questi Sette Saggi è quello che forse interessa maggiormente alla nostra trattazione ed è indicato con il nome di “Oannes”.Oannes ed i Sette Saggi sono così connessi indissolubilmente, nel tempo definito mitico, con l’esercizio della regalità in qualità di consiglieri dei sovrani antecedenti al diluvio nonché come portatori di quelle conoscenze che avrebbero dato inizio alle antiche civiltà.

    OANNES ED IL POPOLO ELETTO: ESISTONO DEI COLLEGAMENTI?

    L’origine degli Ebrei, nonché del loro nome, è fra gli storici ancora motivo di accese polemiche. Sembra che nell’antichità fossero chiamati Habirù, nome che appare diversamente trascritto presso molti popoli orientali che li definivano Habiri, Apiru, Hapiru.
    Comunque sia, tanto il nome Ebrei (moderno) che il nome Habirù hanno in comune la radice Hbr. Gli storici ritengono però che con molta probabilità non si tratti dello stesso popolo.
    Diversi studiosi (10) ritengono però verosimilmente che gli Ebrei potessero aver costituito un sottogruppo ristretto degli Habirù mesopotamici. Il termine “ebrei” viene fatto oggi verosimilmente derivare da uno dei patriarchi dell’antichità: Eber, uno dei discendenti di Sem figlio di Noè salvatore dal grande diluvio. Il termine “ebrei” è stato messo in relazione con una radice semitica che alluderebbe al nomadismo. Tale collegamento rimane però ancora un’ipotesi.Il termine non viene generalmente usato dagli ebrei stessi ma da altri popoli per identificarli, almeno fino a tempi più o meno recenti. Eber rimane comunque uno dei mitici patriarchi legati ad un’età leggendaria.Il suo nome potrebbe essere stato ricordato nell’antichissima città di Hebron e probabilmente anche nello stesso nome di Abramo, originario di Ur dei Caldei in Mesopotamia. È da notare come la storia dell’epoca leggendaria degli ebrei lasci intravedere con molta chiarezza dati estremamente importanti per future ricerche.
    È possibile identificare (al tempo mitico della storia babilonese) i “dieci Re antidiluviani”, i dieci Oannes di cui Beoroso ci riferisce nelle sue opere con i dieci patriarchi biblici (la cui longevità è presente sia nelle narrazioni mesopotamiche che all’interno della Bibbia)?
    I collegamenti ed i richiami tra gli Ebrei e la Mesopotamia sembrano essere veramente molti. I miti, le leggende, ed in parte la storia stessa testimoniano la presenza del mito degli Oannidi sia durante il periodo mitico caldeo che in quello ebraico.
    Studiosi come il Prof. Solas Boncompagni, a cui personalmente dobbiamo molto per questi nostri studi, ritengono plausibile ipotizzare che gli Ebrei, sottogruppo degli Habirù, potessero aver costituito una ristretta cerchia sacerdotale detentrice dei mitici insegnamenti degli Oannes. Il lavoro di oltre 50 pagine di Boncompagni ha però per ora aperto solo uno spiraglio interpretativo-alternativo sulla storia del popolo eletto, pur avendo fornito elementi veramente interessanti per questo campo di studi.
    Recenti ricerche, come abbiamo visto precedentemente, potrebbero farci presumere che a fianco dell’antichissima comparsa di questo strano essere in terra di Babilonia potesse essere sorta una casta sacerdotale che cercò di copiarne le fattezze e custodirne la conoscenza. Forse i primi Ebrei/Habirù costituirono proprio questa casta eletta.
    Il ricordo delle imprese di Oannes è sopravvissuto in parte anche nella cultura monoteista ebraica nel Vangelo Aprocrifo chiamato gli “Atti di Pilato”.
    Questo testo, in un determinato versetto, narra di quanto Gesù entrò a Gerusalemme nella veste di emissario di Dio e di come il popolo lo acclamò chiamandolo “Oannes che vieni dall’alto dei cieli“.
    Secondo alcuni questa frase sarebbe dovuta ad un errore di trascrizione o traduzione nella versione distorta del ben noto “Osanna nell’alto dei cieli”. Lo studioso ebraico contemporaneo “Hayym ben Yehoshua” si dice però convinto della prima ipotesi (in cui si chiama in causa Oannes) in quanto, filologicamente, il nome nei testi originali sarebbe stato proprio Oannes.
    Ben Yehoshua si riferisce poi a come nell’iconografia cristiana Gesù viene espressamente caratterizzato dalla figura del “pesce” (11), come lo furono molti altri grandi mistici del passato. Ovviamente possiamo passare come buone queste ipotesi seppur, in assenza di dati significativi, con il beneficio dell’inventario.Abbiamo visto precedentemente come Enoch fosse stato probabilmente uno dei patriarchi ad essere stato ammesso alla visione delle “sfere divine”.
    Enoch oggi è noto per un fatto che possiede forti correlazioni con materie che esulano l’argomento dell’attuale trattazione. Questo patriarca, si narra nel “Libro di Enoch”, (II – I secolo a.C.) apocrifo del Vecchio Testamento: “venne rapito in cielo da un vento impetuoso e portato in una Grande Casa di cristallo, alla presenza dei Figli dei Santi” chiamati, guarda caso, Osannini o Osannes. Questi esseri interagirono lungamente con il patriarca che afferma, tra le altre cose, che:

    “… essi mi dissero che l’universo è abitato e ricco di pianeti, sorvegliati da angeli detti Veglianti o Vigilanti; e mi fecero vedere i Capitani e i Capi degli Ordini delle Stelle. Mi indicarono duecento angeli che hanno autorità sulle stelle e sui servizi del cielo; essi volano con le loro ali e vanno intorno ai pianeti…”

    Non c’è bisogno di dire che questo testo è del II – I secolo a.C. e che, se lo consideriamo alla lettera, contiene evidentemente delle informazioni scientifiche sbalorditive.

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    COMPARAZIONI MITOLOGICHE

    Le comparazioni mitologiche finora presentate non finiscono, giacché l’idea di un Dio-pesce la ritroviamo in numerosi altri popoli del Medio Oriente antico. Fenici, Siri, Aramei ed Amorrei adoravano tutti un dio-pesce di nome Dagone (Dagon), altro dio dalle molte attribuzioni. Nel suo nome si trova però lo stesso significato di “pesce”, data la sua radice ebraica “dag” = “pesce”. Per tali ragioni alcuni orientalisti e mitografi hanno riconosciuto in un altro dio, Derketo/Atargati, lo stesso Dagon.
    Se poi volessimo allontanarci dall’Arabia potremmo trovare interessantissimi parallelismi in Cina dove è profondamente radicata la leggenda di uno dei mitici semidei iniziatori della civiltà, guarda caso dalle fattezze antropomorfe di pesce: Fu Hsi uomo-pesce dalle straordinarie capacità e oggi meglio conosciuto in Occidente quale primo “compilatore” dell’I Ching, il “Libro dei mutamenti”.
    Dalla Cina la leggenda di questo mitico uomo-pesce si espanse per tutto l’Oriente, ma la prima manifestazione viene fatta risalire anche in questo caso al 3.000 a.C. circa.
    Esistono dunque analogie tra Dagone, la filistea Derceto e Oannes (nelle sue varie località), e anche il Mitraismo non fu da meno inglobando nei suoi rituali quelli che potevano essere le ultime vestigia di antichi culti dedicati al dio Oannes.
    Proprio il Mitraismo infatti adottò un copricapo cerimoniale dalle fattezze alquanto “insolite”, copricapo che ancora oggi possiamo osservare durante le normali celebrazioni liturgiche cristiane. I vescovi e le alte gerarchie ecclesiastiche infatti utilizzano la Mitra, antico copricapo desunto proprio dalla religione mitraica e inglobato dalla chiesa cattolica durante i suoi inizi.


    DAGON, L’UOMO PESCE

    A conferma degli eventi narrati ci viene in aiuto un altro dato estremamente importante che nel prosieguo della nostra trattazione troverà raffronti veramente unici.
    Il culto dell’uomo-pesce dei Sumeri era diffuso in antico praticamente in tutto il Medio Oriente. Oannes era venerato dai Filistei con il nome di Dagon (o Odakon), mentre una tribù del Mali (nell’Africa sub-sahariana), la tribù dei Dogon, lo chiama ancora oggi “Nommo”.


    In base a quanto esposto fino ad ora, dal Medio Oriente ai paesi del Mediterraneo, sono molte le leggende che riguardano esseri dalle caratteristiche simili a quelle di Oannes. Va detto che Oannes è il nome dato dal greco Elladio all’essere mitologico che i popoli accadici chiamavano in realtà “Uan”.
    Anche in America i Maya adoravano un essere anfibio che chiamavano “Uaana” che significa “colui che risiede nell’acqua”.
    Si noti che personaggi mitici hanno nomi simili in civiltà che non sono mai venute a contatto tra loro.
    Anche i Filistei adoravano una creatura anfibia chiamata Dagon che veniva raffigurata, assieme alla sua compagna Atargatis, con coda di pesce e corpo umano. Dagon appartiene alla stessa radice linguistica di “Dogon”, il nome della citata tribù del Mali che adora il Nommo, un essere superiore dal corpo di pesce, propiziatore di tutta la loro cultura, che tornò tra le nuvole all’interno di un “uovo rovente”. A Rodi, infine, troviamo i Telchini, divinità anfibie dotate di poteri magici, che Zeus scacciò dall’isola perché avevano osato “mutare” il clima.


    DA OANNES AI DOGON: ISTRUTTORI ALIENI?

    I Dogon sono una popolazione africana stanziata sull’altopiano di “Bandiagara” nella Repubblica del Mali. Questa popolazione entrò in contatto col mondo occidentale dopo il 1920.
    Nel 1931 gli antropologi francesi Marcel Griaule e Germaine Dieterlen vi si stabilirono per diversi anni a studiarne la cultura e le tradizioni. Un vecchio sacerdote della tribù, Ogo Temmeli, fu colui che iniziò a rivelare i segreti detenuti per millenni dalla casta sacerdotale dei Dogon.
    Essi parlavano dei Nommo, creature anfibie civilizzatrici provenienti dalla stella Sirio, e mostrarono a Griaule e alla Dieterlen di possedere precise nozioni riguardo a tale astro.


    Nel 1950, la Dieterlen pubblicò i risultati dei loro studi nel libro “Le Renarde Pale“, ma si dovrà aspettare fino al 1997 per vedere confermata nella mitologia Dogon una incredibile conoscenza astronomica. I Dogon erano infatti a conoscenza del fatto che Sirio è un sistema multiplo, con Sirio A, Sirio B e Sirio C.Dimostrarono di sapere che Sirio B ruota attorno a Sirio A, la stella principale, con un’orbita ellittica e con un periodo di 50 anni. Inoltre, cosa più sconcertante, conoscevano l’esatta posizione di Sirio A all’interno dell’ellisse formato dalla rotazione di Sirio B attorno alla stella principale. Sirio B era chiamata “Po Tolo”; “Tolo” significa stella mentre “Po” è il nome di un cereale che ha la caratteristica di essere pesante nonostante le piccole dimensioni.Sirio B, astronomicamente parlando, è infatti una nana bianca con una densità estremamente elevata. I Dogon sostenevano che essa era composta da una sostanza “più pesante di tutto il ferro della Terra”.
    Ogo Temmeli rivelò anche che una seconda compagna di Sirio A accompagnava “Po Tolo”, e il suo nome era “Emmeia”, era quattro volte più leggera di “Po Tolo” ed orbitava attorno a Sirio A con un periodo di 6 anni. Il sistema di Sirio era quindi un sistema ternario.
    Sirio B, la piccola nana bianca fu vista e fotografata solo nel 1970 mentre Sirio C è stata rilevata nel 1997 attraverso calcoli matematici sulla perturbazione delle orbite delle altre due stelle.
    Chiaramente tali conoscenze detenute per millenni da un popolo tribale circa cognizioni che solo oggi possiamo e potremmo avere hanno sconcertato, e sconcertano, l’intera comunità antropologica mondiale.
    La conoscenza dei Dogon non era limitata solo a Sirio.
    Ogo Temmeli disegnava altresì il pianeta Saturno all’interno di un cerchio più grande (gli anelli), e sapeva che Giove possiede accanto a sé “quattro compagne” principali (le note lune galileiane). La Terra era raffigurata come una sfera e ne conoscevano il principio di rotazione sul proprio asse (assieme a quello degli agli altri pianeti). Sapevano che la Luna è “morta e disseccata”, che l’Universo “è un’infinità di stelle e di vita intelligente” e che la Via Lattea, la nostra Galassia, ha un movimento a spirale cui partecipa anche il nostro Sole.

    Tutto ciò oggi può, forse, apparire scontato in una civiltà che basa i suoi punti cardine sulla comunicazione di massa, ma è del tutto incredibile se si considera che solo alcuni secoli fa per noi occidentali la Terra era piatta. I Dogon però conoscevano già nel 1931, ma sicuramente molto prima, dettagli strutturali del sistema di Sirio che solo recentemente abbiamo acquisito e che questo popolo si era inspiegabilmente tramandato fin dall’inizio dei tempi . Ma da dove provengono queste conoscenze? Come abbiamo più volte visto attraverso Archeomisteri, un qualsiasi buon libro di storia antica potrebbe farci comprendere come molti popoli dell’antichità potevano ricavare profonde conoscenze astronomiche da osservazioni fatte ad occhio nudo. Ma Sirio B non è visibile ad occhio nudo, e meno ancora lo è Sirio C. Si potrebbe quindi ipotizzare che tutte queste nozioni sono la reminescenza culturale di un contatto avvenuto anticamente tra gli antenati dei Dogon e il mitico Oannes, che secondo alcuni sarebbe stato né più né meno il primo emissario di una civiltà extraterrestre.

    I Nommo furono per i Dogon non dei ma esseri semidivini, per metà uomini e metà pesci, che scesero dal cielo a bordo di una grande arca circolare, e che utilizzavano l’acqua per sopravvivere.
    Inoltre, i Dogon facevano distinzione tra l’oggetto che atterrò sulla Terra e un’altra arca, che rimase invece in cielo e che potrebbe essere facilmente interpretabile come una “astronave-madre”. Secondo la tradizione dei Dogon questi esseri, una volta discesi dal loro veicolo, avrebbero cercato per prima cosa dell’acqua per potersi immergere.
    L’incontro con gli Otto Nommo non sarebbe però avvenuto nel deserto dove ora risiedono.
    Teorie recenti identificano i Dogon come i discendenti di un popolo di origine mediterranea, i Garamanti, che giunsero sull’altopiano del Bandiagara tra il 1200 e il 1500 d.C. provenendo dalla Mesopotamia.
    Nell’antichità i Dogon furono in contatto con le culture dell’Egitto e della Mesopotamia, e forse fu proprio qui che i Dogon appresero le loro sorprendenti conoscenze astronomiche.
    Tirare le fila del discorso diventa ora una impresa veramente difficile.
    Abbiamo detto come dalla Mesopotamia alla Cina, dal Sud-America all’Islanda (ove è altresì presente il mito di un dio-pesce civilizzatore), esista un filo comune che lega l’inizio della civiltà alla presenza di un essere dalle fattezze antropomorfe e di pesce. Oannes costituisce un unicum culturale/religioso che attraversa decine di popolazioni e di paesi in tutto il mondo antico.
    È possibile ipotizzare che un possibile contatto di questi esseri con popolazioni indigene condusse ad uno “scambio culturale” tra due mondi e all’acquisizione, da parte dei Sumeri e degli Egizi, di conoscenze astronomiche e tecnologiche altrimenti inesplicabili?Forse sì, come hanno espressamente affermato negli anni Sessanta i noti astronomi Carl Sagan, statunitense, e Iosif Shklovsky, giacché i dati che la storia ci presenta al riguardo sembrano in effetti essere quanto meno incontrovertibili in tal senso.




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    Edited by gheagabry1 - 16/11/2023, 21:48
     
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    ADAPA




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    Il primo uomo nel mito babilonese, considerato un saggio. Adapa era forse il sovrano di Eridu, città sacra che esercitò la sua egemonia in epoca sumera...
    Era sacerdote di Ea, dio dell'acqua, della saggezza e della magia, da cui aveva appreso ogni sua conoscenza. Il tal caso assomiglia ad Adamo, il primo uomo nel mito cristiano, ma Adapa inventò il linguaggio e gettò le basi della vita civile

    Un giorno mentre pescava nel golfo Persico, il vento del sud gli capovolse l'imbarcazione e Adapa irato, gli lanciò una maledizione così efficace da spezzagli le ali. Preoccupato della potenza di quel comune mortale, il dio del cielo Anu chiamò Adapa al suo cospetto. Ma Ea, certo che se fosse andato in cielo vi sarebbe rimasto e temendo di perdere i servigi del suo fedele sacerdote, ideòun piano per assicurarsene il ritorno...Gli fece indossare abiti a lutto e gli raccomandò esplicitamente di rifiutare qualsiasi cibo gli venisse offerto.

    Al suo arrivo in cielo, Adapa fu accolto da Tammuz, un dio periodicamente soggetto a morte e resurrezione, che gli domandò per quale ragione era vestito a lutto. Perchè, Adapa rispose, aveva lasciato la Terra. La risposta piacque al dio, che intervenne in suo favore presso Anu... Così Adapa fu trattato come ospite e non da reo, e gli furono offerti cibo e bevande. Ma Adapa oppose un cortese rifiuto equando gli domandarono la ragione,riferìle istruzione avute da Ea. Allora Anu scoppiò a ridere perchè in effetti aveva offerto il cibo e l'acqua della vita eterna, così Adapa perse la possibilità di diventare immortale e fu nuovamente inviato sulla Terra; da allora l'umanità è condannata alle condizioni mortali.
    Ea è l'equivalente di Enki, il dio sumero dell'acqua, ed Anu di AN, il sovrano degli dei dei sumeri


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    «Se un uomo nel suo sogno vede il dio Enlil avrà lunga vecchiaia »
    (citato in Sap 1996 - libro dei Sogni assiro)

    ENLIL






    Enlil è il dio dell'atmosfera della mitologia mesopotamica, ed insieme agli dei An/Anum ed Enki/Ea costituisce una triade cosmica. Considerato fra le divinità creatici del cosmo, secondo alcune tradizioni è colui che custodisce le Tavolette dei Destini. Gli era sacro il numero 50.
    Enlil, in accadico Ellil, è figlio di An, ed è l'arcaico dio dell'aria (in sumerico lil). Una volta preso il posto di An alla guida degli Anunnaki, diventa signore di tutto l'universo. Sua sposa è Ninlil (o Mulliltu) e con lei genera numerose divinità.

    Un bel mito celebra la storia di Enlil e Ninlil. Enlil, accusato di empietà, è rinchiuso agli inferi. Ninlil allora lo segue sottoterra. Lì danno alla luce Sin (dio lunare), Nergal e Ninazu. Ninazu non è obbligato a restare ma grazie al suo sacrificio Sin abbandonare gli Inferi e levarsi nel cielo notturno.
    Sua è la tavoletta dei destini a cui non potevano sottrarsi ne uomini né dei. Egli è dio della tempesta e l'artefice del grande Diluvio che si abbatte sugli uomini (tav. XI). E' lui a porre il mostro Khubaba a guardia della foresta dei cedri.
    Era venerato nell'Ekur, santuario di Nippur (come ricordato nella tav. VI). Suo corrispettivo nell'alta Siria (Mari/Ebla) era Dagan il cui santuario era a Tuttul. Curiosamente l'impero fondato da Sargon, per non offendere nessuno, venne consacrato a entrambi: la Bassa Mesopotamia a Enlil, la regione di Mari ed Ebla a Dagan.
    Il suo centro di culto era considerato punto di unione tra il cielo e il mondo sotterraneo. Enlil è infatti signore della terra e simbolo del potere reale. Per questo il suo santuario era tenuto in grandissima considerazione sia presso i sumeri che presso gli accadi.


    La citta-sacra di Nippur, fondata prima del 4000 a.C., non ebbe mai reale peso politico-militare, ma fu importante centro religioso e sede di scuole scribali. Infatti gli scavi di Nippur hanno portato alla luce migliaia di documenti tra cui molte copie di testi letterari (p. 160 Pon 2000). Nippur vide crescere il proprio prestigio religioso e culturale costantemente fino al 1700 a.C., quando fu soppiantata in tale ruolo da Babilonia, città santuario di Marduk.
    Assistiamo quindi a un'evoluzione del sistema mitologico che non è più dominato da Enlil ma da Marduk . Nel nuovo sistema babilonese Enlil riceve un trattamento non certo di favore ed appare severo, a volte stolto.

    La severità di Enlil era proverbiale. Assistiamo ad esempi nella tav. XI, o nel poemetto sumerico Enkidu agli Inferi, quando nega qualsiasi aiuto al supplice Gilgamesh. Inoltre, se nelle versioni sumeriche del diluvio Enlil divideva con An la responsabilità del cataclisma, nell'Atramkhasis egli è il solo ad infliggere al genere umano il tormento delle piaghe e del Diluvio (p. XIV Bot 92).
    Enlil nell'Atramkhasis è incurante delle conseguenza dell'estinzione degli uomini, da cui alla fine dipendeva il sostentamento degli stessi dei. Alcune interpretazioni (p. XV Bot 92) vedono però nel "brusio" degli uomini - che tanto affligge Enlil - una metafora del'intrapendenza umana e del suo bisogno di indipendenza dal divino.

    Inevitabile che Enlil esca di scena nelle elaborazioni teologiche babilonesi che fanno di Babilonia la nuova città primordiale, sacra a Marduk. Marduk è proclamato figlio di Enki, l'ingegnere del mondo, e suo figlio Nabu eredita le prerogative culturali del nonno.
    Nell'epopea di Erra (VII secolo a.C.) Enlil fa una fugace apparizione come padre dello scalmanato portatore di flagelli e inondazioni (ma nemmeno Marduk riceve un bel trattamento, essendo l'epoca composta in un periodo di profonda crisi politica e incertezza religiosa).

    Tutti i miti di epoca pre-babilonese celebrano invece la gloria di Enlil. Già nell'epopea di Gilgamesh vediamo con quanta disinvoltura trasformi Utnapishtim e sua moglie in immortali. Analogamente si comporta nella versione sumerica del diluvio (mito di Ziusudra) destinando l'immortale Ziusudra a vivere nel reame di Dilmun. Egli è quindi creatore ma anche legislatore. Tutto l'universo (il ciclo delle stagioni, il moto degli astri, le regole di comportamente, ecc.) è regolato dalle sue leggi. In particolare egli è il signore della tavoletta dei destini con la quale decide la fortuna o la disgrazia di uomini e dei. Spesso affida questa tavoletta a celesti custodi (Enki, Anzu, Ninurta, ecc.) che inevitabilmente la smarriscono dando pretesto a nuove trame mitiche.
    (homolaicus.com)
     
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  9. gheagabry
     
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    « Ecco che spira, o Citerea, il tenero Adonis! Che cosa faremo?
    Battetevi il petto, fanciulle, e strappate le vostre tuniche! »
    (versi attribuiti a Saffo di Lesbo)



    TAMMUZ





    In Babilonia nasce anche uno dei miti più antichi e più bei miti fra i tanti che raffigurano l’alternarsi delle stagioni e si ispirano al mistero della vita quando si risveglia a primavera dopo il lungo sopore invernale.
    Tra le minori divinità babilonesi c’era un dio giovinetto, bellissimo e benigno, il quale si aggirava per le verdi campagne suonando dolcemente il flauto. Si chiamava Tammuz e aveva sempre il sorriso sulle labbra; il suo compito era quello di proteggere i pastori e le greggi, di rendere prosperosi i raccolti, di assicurare la salute a tutto ciò che viveva, uomini, animali e piante. In grazia di questo giocondo nume la natura era sempre sorridente e le piante sempre in fiore. Non c’è da meravigliarsi se, un bel giorno, Istar, la dea dell’amore, incominciò a sospirare per il bel giovinetto cercando di seguirlo ovunque; e tanto fece che finalmente riuscì a sposarlo. Non aveva sbagliato nella scelta perché anche lei proteggeva il rigoglio della vita, a lei si rivolgevano le madri e i padri perché i loro figli fossero belli e robusti, e i pastori affinché le greggi prosperassero e si moltiplicassero. Istar sposò Tammuz, e mai una sposa divina fu più amorosa e fedele di lei.
    Un giorno Tammuz si addentrò in un bosco vicino alla città sacra di Eridu, quando un feroce cinghiale sbucò improvvisamente da una macchia e si avventò su di lui. Tammuz era un dio, certo, bello e amato da tutti, ma non molto potente, in quanto molto simile all’uomo e di conseguenza poteva essere avvicinato dalla morte. Ferito profondamente dalle zanne della belva, il giovinetto divino vide dunque oscurarsi la dolce luce del sole, si sentì attratto nel buio regno delle ombre, nelle viscere della terra, un improvviso gelo gli passò nelle ossa e gli strinse il cuore. Subito una grande tristezza si diffuse dappertutto e un velo grigio parve distendersi sul chiarore del giorno avvolgendo ogni cosa. Si lamentavano le piante che non davano più frutti, si lamentavano le messi che non portavano più spighe. Tristi erano i fiumi, che sentivano venir meno le loro acque, tristi i laghi e gli stagni, dove non nascevano più pesci. E si lagnavano i canneti e i cespugli, e i giardini, dove le api non venivano più a suggere i fiori, le vigne, che non davano più vino, le aiuole, dove il fiore di senape intristiva; perfino i palazzi dei principi e dei re, dove non si udivano più i canti e gli allegri clamori dei banchetti e la vita languiva, erano in lutto. Ma la più profonda di ogni tristezza fu quella di Istar. La bella dea comprese che la sua immortalità le sarebbe stata inutile e insopportabile senza lo sposo, e decise di andarlo a cercare nel mondo sotterraneo dov’era scomparso, nell’Aralu, l’oscura sede dei morti.
    Discese nell’Aralu, ma trovò le porte chiuse; il guardiano si rifiutò di aprirle perché non era conveniente che la dea della vita entrasse nelle dimore dei defunti. Istar pregò e insistette a lungo, ma inutilmente, finché, resa furiosa dalla disperazione, si aggrappò alle porte e le scosse gridando:
    - Apri, guardiano, altrimenti io spezzerò questi battenti, libererò i morti che tu custodisci e li condurrò con me sulla terra perché divorino i viventi.
    Il guardiano, spaventato, corse dalla Regina dell’inferno per chiedere istruzioni, e la Regina, conoscendo la potenza di Istar, e soprattutto la forza del suo amore, permise che la dea entrasse purché si spogliasse di uno dei suoi ornamenti ogni volta che varcava una delle sette porte dell’inferno. A Istar poco importavano in quel momento i suoi ornamenti e accettò senza alcun indugio. Alla prima porta depose la corona, alla seconda i begli orecchini, alla terza la collana, alla quarta i braccialetti, e così via: quando fu dinanzi alla Regina dell’inferno, aveva soltanto la camicia. Ma non aveva pensato che, come dea della bellezza e dell’amore, gli ornamenti facevano parte della sua personalità e della sua potenza e, nel vedersi così mal ridotta, ne fu tanto mortificata che la Regina dell’inferno si sentì subito più forte di lei, e senza alcuna generosità, cominciò a deriderla e a schernirla ordinando che fosse subito imprigionata. Come proseguire l’esistenza sulla terra, adesso che le due divinità della vita erano l’una morta e l’altra in carcere? Non nascevano più uomini né animali, le piante intristivano, l’intera natura stava per estinguersi. Gli dei si preoccuparono e, senza perder tempo, ricorsero a Ea, il quale, con uno dei suoi energici incantesimi, costrinse la Regina infernale a liberare Istar.
    Questa volta la bella dea si sentì d’essere la più forte e impose le sue condizioni: era venuta per riprendersi Tammuz e senza di lui non se ne sarebbe andata; se volevano che riprendesse la sua benefica attività sulla terra, dovevano restituirle lo sposo. E la Regina dei morti fu costretta a piegarsi ancora, bagnò Tammuz con l’acqua della vita e lo lasciò partire con Istar. Magicamente le sette porte si schiusero via via davanti a loro e davanti a ogni porta Istar raccolse i suoi gioielli, finché cl marito emerse alla luce del sole levando alto il suo inno gioioso e orgoglioso:
    - Io giubilo del mio splendore e piena di felicità avanzo, eccelsa e divina. Io sono Istar, la dea della sera, sono Istar, la dea del mattino: sono colei che sempre è trionfante nel cielo e sempre trionfa sulla terra!
    In realtà tutto era andato bene: aveva vinto la Regina che aveva voluto umiliarla, aveva riavuto il suo Tammuz e i suoi gioielli, e ora poteva cantare il suo inno trionfante. Ma non si scende impunemente nel regno degli inferi: Istar se ne accorse più tardi quando vide che ogni anno Tammuz, quasi fosse rimasta in lui una malefica attrazione delle tenebre in cui era caduto, a un dato momento doveva scendere ancora nelle sedi infernali, e lei era costretta a raggiungerlo ogni volta nella cupa dimora e liberarlo se voleva continuare a mantenere con lui sulla terra, l’amore e la continuità della vita.
    Non è difficile riconoscere in questa fiaba il mito della primavera: Tammuz è il rigoglio estivo che ogni anno si assopisce nel sonno invernale e ogni anno si risveglia con la nuova stagione. Quasi tutti i popoli hanno immaginato un mito di questo genere non già per spiegare l’alternarsi delle stagioni ma piuttosto per glorificarlo in una interpretazione magica e poetica in cui è profondamente sentito il mistero e il miracolo della natura.





    In Babilonia, il mese di Tammuz fu così chiamato in onore del dio eponimo, derivato dal dio-pastore Sumero, chiamato Dumuzi o Dumuzid, consorte della dea Inanna e nella parallela forma accadica marito di Ishtar, l'assiro Adonis, acquisito nel pantheon greco.....i Babilonesi ritenevano che l'accorciarsi delle giornate e l'attenuarsi della calura estiva coincidesse con la "morte" del dio e celebravano un "funerale" che durava sei giorni, periodo di lutto che veniva ancora osservato dinanzi al Tempio di Gerusalemme, per l'orrore del profeta riformatore Ezechiele:
    "Quindi egli mi condusse alla soglia del cancello della casa del Signore, che era rivolto verso nord; e a presidio là sedevano donne che piangevano per Tammuz. Dunque egli mi disse, 'Hai tu visto questo, O figlio dell'uomo? Voltati ancora, e vedrai abominazioni ancor più grandi di queste" — Ezechiele 8.14-15
    Alla sua morte, la dea, e tutte le donne con lei, prendono il lutto nel mese chiamato con il suo nome, Tammuz...Il lutto rituale per Tammuz richiama il digiuno annuale dei lamento per la morte di Adone. Il lutto di Afrodite per Adone o di Ishtar per Tammuz è l’origine mitica del digiuno delle lamentazioni, che costituì un rituale di primaria importanza nella religione della Grande Dea. Questo evento veniva ripetuto mitologicamente ogni anno il primo giorno della settimana seguente il primo novilunio successivo all'equinozio di primavera.. Il pianto delle donne durava 40 giorni, "era una solenne festa", digiuno di 40 giorni in onore della divinità astrale Ishtar Il rito della dea madre, della sua discesa negli inferi per riportare alla luce il dio ucciso, costituiva il rito agricolo del rinascere primaverile della natura... dopo questa discesa la dea madre veniva riassunta in cielo con il rito di assunzione che si celebrava intorno alla metà di agosto... Il Ramadan,una delle cerimonie religiose più importanti- dei maomettani, corrisponde al lutto per la morte di Tammuz.



    Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro.
    In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali.
    È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.





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    « O figlio mio, svegliati dal mio letto, dal mio sonno, fai ciò che è saggio,
    Modella i servi per gli Dei, affinché possano produrne il loro (pane?). »


    ENKI



    Enki è un'antica divinità acquatica dei sumeri. E' anche conosciuto con il nome accadico di Ea. In base alla mitologia mesopotamica Enki è il dio delle acque dolci sotterranee e della sapienza. Il culto di Enki è celebrato principalmente nella città di Eridu, pur essendo diffuso in tutta la Mesopotamia . E' considerata la divinità protettrice dei sacerdoti e dei riti sacri. Secondo alcuni studi il nome Enki si traduce letteralmente in "Signore della Terra" in quanto la parola sarebbe composta dall'appellativo En (signore) associato alla parola Ki (Terra). Non sono tuttavia escluse altre origini del nome.
    Ea, o Enki, era il primogenito di An (Anu). Il nome EA significa "colui la cui casa é l' acqua" infatti gli scritti mesopotamici gli attribuiscono la conscenza dell' arte di estrarre minerali dall' acqua, di creare dighe e canali. E' spesso raffigurato come un pesce, identificato con la costellazione dell'Acquario. Fratello di Enlil, prese il nome Enki (signore della terra) quando Anu decise di suddividere il regno afro-mediorientale tra i suoi due figli, assegnando la zona mesopotamica a Enlil e la zona del centro-sudafrica a Enki. Enki secondo le tavolette sumere fu il fondatore di Eridu, il primo centro abitato mesopotamico, situato sulle rive del fiume Eufrate nei pressi dell' Edin. Gli scritti sumeri attribuiscono a Ea la creazione dell'Adapa, ossia l'uomo come noi lo conosciamo, grazie all'aiuto di sua sorellastra Ninmah (Ninhursag) e di suo figlio Ningishzidda.
    Sempre secondo questi scritti Ea creò l' Adapa grazie a procedimenti che ricalcano molto le tecniche moderne di inseminazione artificiale, utilizzando il suo seme e mescolandolo con gli ovuli di ominidi già esistenti nell' Abzu, la zona sudorientale dell' Africa. Gli esseri così creati, vennero poi portati da Enlil sulle rive del fiume Eufrate, nell' Edin. Il personaggio di Ea é identificato con il Ptah egizio, padre di Ra e Thot, a loro volta identificati nel Marduk babilonese e nel Ningishzidda sumero.



    Leggendo i vari miti riguardanti Enki saltano all' occhio subito alcune caratteristiche fondamentali: innanzitutto Enki era un profondo amante e supporter dell' uomo. E non può essere altrimenti visto che fu proprio lui a crearlo. I due miti chiamati 'Enki e Ninmah' e 'Atra Hasis' ci raccontanto che furono lui e sua sorellastra Ninmah (in alcune versioni al posto di questa dea compare la moglie Damkina, in altre versioni le due sono identificate come la stessa persona),ma mentre Ninmah fu sempre distante dalle cose 'umane', Enki fu sempre presente, guidò lo sviluppo della civiltà, intercesse per gli uomini in ogni momento...Basti ricordare che fu Enki ad avvisare Ziusudra che sarebbe arrivato il 'diluvio', e gli consigliò su come mettere in salvo se, la sua famiglia, e 'il seme delle cose viventi' in modo che, passato il diluvio, il mondo potesse riprendere a popolarsi. E fu sempre lui a salvare il suo protetto e sacerdote Adapa da punizione certa. Con uno strattagemma che impedì alla stirpe umana di diventare immortale, ma non impedì all' uomo di avere profonda conoscenza delle cose. E anche quando Enki agisce 'contro il genere umano', su volere di Enlil, confondendone le lingue, lo fa in effetti per uno scopo più nobile. Aveva già creato le 'razze', dopo il diluvio... non restava che distinguere le lingue, le culture, per variegare il 'nuovo mondo'. Enki non solo é il creatore della stirpe umana, ma anche il suo più grande mecenate e protettore. Inoltre Enki era un grande scienziato. Aveva conoscenze di metallurgia, di tecniche per l' agricoltura, di ingegneria, di edilizia, di medicina e genetica, di matematica e geografia... e dispensava queste cognizioni prima ai suoi figli, dei anche loro, in primo luogo Ningishzidda e Marduk, e successivamente ai suoi sacerdoti, dai quali le nozioni sarebbero passate ai 'prediletti' esponenti della stirpe umana. Si perchè Enki fu anche colui che istituì il sacerdozio, che iniziò a Eridu, la sua 'città sacra' in terreno mesopotamico, l' unica città di una divinità della sua fazione, mentre tutte le altre erano dedicate a personaggi della fazione di suo fratello Enlil. L' unico altro 'enkita' che provò a costruire una sua città a Sumer, Marduk, fu severamente punito, e anche in questo caso Enki intervenne per salvare suo figlio ma anche gli umani che lo sostenevano.
    Donò loro l' Egitto, che millenni prima aveva 'risollevato' dalle acque dopo il diluvio. Fondò quindi indirettamente anche la civiltà egiziana, dove viene ricordato come Ptah 'lo sviluppatore'. Fondò i primi insediamenti nell' Africa sudorientale, abitati da rozzi umani, le 'prime versioni', la cui evoluzione, una volta lasciati da soli nelle loro terre, proseguì più lenta di quella della 'gente di Sumer', il famoso 'popolo dalla testa nera' di cui ci parlano le leggende, gli abitanti della 'terra di Shin-ar' di cui si parla nella Bibbia. Li, in sudafrica, la struttura da poco scoperta, e chiamata 'Calendario di Adamo', giace indisturbata dopo 60.000 anni. Si, li in sudafrica giace il primo 'orologio astrologico' del pianeta, ma non è la costruzione più antica... infatti gli insediamenti circostanti sembra risalgano a circa 200.000 anni fa. Alcuni miti ci raccontano un Enki ubriacone, lussurioso, che cerca di portarsi a letto la nipote di suo fratello, la bella e furba Inanna, la 'puttana di Sumer'. Inanna lo fa ubriacare e gli ruba i 70 ME della civilizzazione. Il fare libertino di Enki ci viene inoltre tramandato da altri miti frammentari... alcuni sono famosi, come 'Enki e Ninhursag', altri sono meno noti, come il mito in cui Enki si unisce a Ereshkigal che gli dà alla luce Ningishzidda. Enki dona a lei il suo regno, l' Apsu, appunto il sudafrica, che successivamente
    divenne per i sumeri 'il mondo di sotto', l' aldilà... il 'creato ad arte' mondo degli inferi.
    (dal web)



    .... l' "Enuma Elish"......


    In questo mito Enki ha un ruolo marginale come 'consigliere' di suo
    figlio Marduk, ma essenziale per la storia dell' uomo. Ecco cosa succede quando Marduk decide di creare l' uomo:
    Marduk:
    "Unirò sangue al sangue, sangue ed osso,
    per formare qualcosa di nuovo:
    il suo nome sarà UOMO – Uomo aborigeno.
    Sarà ricordato come mia creazione.
    Il suo compito sarà servirci fedelmente,
    così gli dei stanchi avranno riposo,
    io pianificherò e muterò le loro operazioni,
    suddividendole in modo migliore."

    Enki:
    "Uno della nostra stirpe lascia che sia,
    solo uno dovrà morire per la nuova creazione.
    Porta gli dei in assemblea, e li uno morirà
    perchè gli altri possano vivere."


    In sostanza Enki consiglia a Marduk di non usare il proprio sangue per creare l' uomo, ma di usare quello
    di un altro dio. Di chi si tratta? Viene esplicitato nel seguito del poema. Infatti i 'ribelli' seguaci di
    Tiamat vengono portati in assemblea davanti agli Igigi e agli Anunnaki e viene chiesto di indicare chi
    istigò la ribellione. Gli dei risposero che:

    "Fu Kingu a istigare la ribellione... egli
    fomentò la malignità e guidò battaglia per lei (Tiamat)!"
    .....dal suo sangue Ea creò l' uomo - e gli
    impose il lavoro degli dei. [...] Fu un atto
    di grande sapienza che nessuno comprendeva,
    ordinato da Marduk ed eseguito da Ea.


    Nel racconto epico sumero intitolato Enmerkar e il Signore di Aratta, in un discorso di Enmerkar, si narra come un tempo la lingua fosse una, ma poi divennero molte.

    « Una volta non c’erano serpenti, non c’erano scorpioni,
    Non c’erano le iene, non c’erano i leoni,
    Non c’erano cani selvaggi, nessun lupo,
    Non c’era paura, nessun terrore,
    L’uomo non aveva rivali.
    In questi giorni, le terre di Subur e Hamazi,
    Le lingue sumere unite in armonia, le grandi terre dei decreti dei principi,
    Uri, la terra di cui tutto era appropriato,
    La terra di Martu, riposava in sicurezza,
    L’intero universo, le persone all’unisono
    Per Enlil in una lingua sola. (Allora) Enki, il Signore dell’Abbondanza (di cui) i comandi sono fidati
    Il Signore della Saggenza, che comprende la terra,
    Il signore degli dei,
    Dotato di saggezza, il Signore di Eridu
    Cambio la lingua nelle loro bocche, ha portato discordia in essa
    Nella parlata dell’uomo che fino ad ora era una. »





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    NINKASI

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    Ninkasi (sumerico dnin-ka-si < *nin-kaš-si, "signora che prepara birra") è l'antica divinità sumera, patrona della birra.

    Suo padre era Enki, dio dell'acqua, e sua madre era Ninti, la regina dell'apsû: la leggenda vuole che sia nata da "una fresca acqua frizzante". Lei è una degli otto bambini generati per curare le ferite che Enki ha ricevuto, ed è la dea creata per "soddisfare il desiderio" e "appagare il cuore".

    Ninkasi occupa un posto significativo nei miti e nelle leggende dell'antica Mesopotamia. Rivelata per il suo ruolo nella creazione della birra, simboleggia l'essenza divina della birra e l'importanza culturale di questa bevanda sacra.

    Secondo testi antichi, si credeva che Ninkasi fosse stato inviato sulla Terra dagli dei stessi, con lo scopo di elevare l'umanità attraverso l'arte della birra. La produzione di birra in Mesopotamia era intrisa di rituali sacri e significato religioso. Il processo di fermentazione stesso fu visto come un atto divino, con Ninkasi al centro della scena.

    ninkasi1


    Nata dall’acqua fluente
    teneramente accudita da Ninhursag.

    Avendo scoperto la tua città accanto al lago sacro,
    Lei ha terminato di costruire le grandi mura per te, Ninkasi.

    Tuo padre è Enki, Signore della creazione,
    tua madre è Ninti, la Regina del lago sacro.

    Tu sei colei che maneggia l’impasto con una grande pala,
    mischiando nella cavità il bappir con dolci aromi.

    Ninkasi, tu sei colei che maneggia l’impasto con una grande pala,
    mischiando nella cavità il bappir con datteri e miele.

    Tu sei colei che cucina il bappir nel grande forno,
    che mette in ordine le pile di grani sbucciati.

    Tu sei colei che bagna il malto sistemato sul terreno.
    I nobili cani tengono distanti anche i monarchi.

    Tu sei colei che inzuppa il malto in una giara,
    l’onda cresce, l’onda cala.

    Tu sei colei che stende l’infuso di malto cotto su larghe stuoie di canne.
    La freschezza prevale.

    Tu sei colei che con ambo le mani regge il grande dolce mosto di malto,
    facendolo fermentare con miele e vino, Ninkasi.

    Il tino per il filtraggio, che produce un suono piacevole,
    tu lo sistemi in modo appropriato su una larga tinozza raccoglitrice.

    Quando versi la birra filtrata dalla tinozza raccoglitrice,
    è come l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate, Ninkasi.

     
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    SIDURI

    Medichesse-la-vocazione-femminile-per-la-cura



    Il suo nome significa "giovane donna". E' una dea che compare nell'Epopea di Gilgamesh. E' associata alla fermentazione ed alla birra in particolare. Cerca di dissuadere Gilgamesh dalla sua ricerca dell'immortalità invitandolo a godere dei piaceri della vita.

    Siduri: i timori di una dea (1-29)

    Siduri, la taverniera che vive sulla riva del mare,
    colei che vive [ ]
    basamenti per le brocche sono fatti per lei,
    brocche d'oro sono fatte per lei,
    essa è rivestita di abiti e [ ] 1
    Gilgamesh errava attorno e [ ]
    era rivestito soltanto di una pelle... [ ]
    egli aveva sì carne degli dei nel corpo,
    ma angoscia albergava nel suo cuore.
    La sua faccia era come quella di uno che ha viaggiato
    per lunghe distanze. 5
    La taverniera lo vede da lontano,
    si consulta nel suo cuore e pronuncia le parole,
    con se stessa essa si consulta:
    "Forse quest'uomo è un assassino,
    egli sta andando in qualche posto per uccidere".

    10
    La taverniera lo osservò e sbarrò la porta.
    Tirò il chiavistello e vi appose il catenaccio.
    Ma egli, Gilgamesh, si accorse di ciò,
    sollevò il suo mento e si diresse verso la porta.
    Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera:

    15
    "Taverniera, perché dopo avermi guardato, hai sbarrato la tua porta?
    Hai tirato il chiavistello e apposto il catenaccio?
    (Se volessi) potrei abbattere la porta, far saltare il chiavistello,
    [ ]
    [ ] nella steppa"

    da l'Epopea di Gilgamesh, tavola X


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    SIDURI: LA FANCIULLA CHE FA IL VINO

    “Ivi era il giardino degli dei; tutt’intorno a lui stavano cespugli carichi di gemme. C’erano frutti di corniola da cui pendevano i rampicanti, belli a vedersi, e foglie di lapislazzuli ne pendevano, frammiste ai frutti, dolci alla vista; invece di rovi e cardi vi erano ematiti e pietre rare, agata e perle del mare”. Lo stupore di Gilgamesh non ebbe più limiti quando si accorse che nel giardino abitava una donna, una donna diversa dalle altre donne mortali. “Vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d’oro e i tini d’oro che le diedero gli dei”. La donna quando lo vide inizialmente tentò di sfuggirgli. “Perché vieni qui”, gli domandò, “vagando per i pascoli alla ricerca del vento?”. Gilgamesh le raccontò brevemente la sua storia, concludendo: “Ma ora, fanciulla che fai il vino, ora che ho visto il tuo volto fa che io non veda il volto della morte da me tanto temuta!”. Tuttavia lei gli rispose: “Gilgamesh, dove ti affretti? Non troverai mai la vita che cerchi. Quando gli dei crearono l’uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. Quanto a te, Gilgamesh, riempi il tuo ventre di cose buone; giorno e notte, notte e giorno danza e sii lieto, banchetta e rallegrati. Siano linde le tue vesti, nell’acqua lavati, abbi caro il fanciullino che ti tiene per mano e nel tuo amplesso rendi felice tua moglie: poiché anche questo è il fato dell’uomo”.

    Epopea di Gilgamesh

     
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