Manuel Agnelli

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  1. tomiva57
     
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    L’intervista con Manuel Agnelli che parla della nuova formazione, il nuovo album, ma soprattutto del nuovo tour nei teatri “Iosochisono”.




    Un’intervista con Manuel Agnelli sul presente e sul futuro degli Afterhours: la nuova formazione, il nuovo album, ma soprattutto il nuovo tour nei teatri, dal titolo Iosochisono, che li vedrà impegnati per 17 date alla ricerca di una nuova identità, tra letture di narrativa e poesia contemporanee, e i visual di Graziano Staino.

    Perché #iosochisono?

    “Perché l’identità è il tema dello spettacolo che porteremo nei teatri. Ed è anche il tema delle nostre vite, in questo momento. Domandarsi veramente che cosa vogliamo essere, fino in fondo. Non parlo di raggiungere risultati, ma di capire chi siamo.”

    Chi sono oggi gli Afterhours?


    “Non so darti una risposta. Ci sono periodi di trasformazione, come questo per noi come band, che fanno parte della vita di chiunque. Sono periodi imprescindibili, anche se la gente ha paura di questi periodi. Anche per noi le cose andavano così bene che abbiamo fatto fatica ad accettare di dover cambiare. Alla fine però cambi lo stesso. La forza che ti porta a voler essere te stesso ha la meglio, anche se restare come sei potrebbe essere più sicuro e confortevole.”

    La risposta a #iosochisono è ancora aperta, quindi? In cosa consiste la consapevolezza di se stessi? È possibile che si prenda reale consapevolezza solo in tarda età? O addirittura mai?

    “Credo che le persone cambino più volte nel corso della loro esistenza. A volte diventano radicalmente diverse. Comunque cambiano profondamente. Magari uno si sforza per cercare una certa dimensione e poi quando la raggiunge non va più bene, non si adatta più a quello che è diventato come persona. Penso che cercare di capire cosa vogliamo essere sia fondamentale, ma tenendo presente che cambiamo di continuo, nel tempo. E meno male che è così.”

    Quante volte sei cambiato?

    “Tantissime. Certamente più di quelle che ho riconosciuto io stesso. Perché in realtà uno tende a rifiutare i cambiamenti interiori. Fa fatica ad accettare di dover cambiare, appunto. Ma questo dipende molto dalla sensibilità personale. Essere cambiato tante volte mi ha creato spesso problemi, specie nei rapporti interpersonali, e probabilmente li ho creati ad altri. Ma questo è ciò che sono!”

    Hai detto: “Tutti noi abbiamo il palco per conoscere a fondo quella parte di noi stessi che altrimenti ci farebbe paura”. Ti senti più appagato, spiritualmente, dalla performance dal vivo o dalla fase creativa in studio?

    “Sono due cose diverse. Credo che non ci sia niente di più appagante che scrivere, comporre. Un atto intimo, completo, forse anche un po’ masturbatorio. Dal vivo, invece, è eccitante il fatto di non avere il totale controllo. Il pubblico conta tantissimo: la complicità, l’energia. Se non c’è questa cosa, un live può essere anche un’esperienza scioccante.”

    A partire da marzo inizierete a lavorare al nuovo disco, rodando anche in studio questa formazione. Avete già registrato qualcosa?

    “Abbiamo parecchio materiale. Ma soprattutto abbiamo energie e stimoli da convogliare in una direzione. L’arrivo di due musicisti straordinari ha portato possibilità e stimoli in più, oltre che serenità. Abbiamo un sacco di benzina. Se sarà un bel disco? Beh, è un po’ presto per dirlo.”

    A proposito di serenità, si parla ancora della fuoriuscita di Prette e Ciccarelli. E del fatto che quest’ultimo non abbia lasciato gli Afterhours volontariamente.

    “È vero. Io non ho mai detto che lui se n’era andato. È stata una delle distorsioni di internet. I rapporti tra noi Afterhours e Prette e Ciccarelli si erano corrosi in maniera diversa. Con Ciccarelli è stata una cosa meno concordata, rispetto a Prette. Sicuramente due collaborazioni di 15 e 25 anni dovrebbero far pensare che ciò che è accaduto non sia frutto di una “scenata”. Comunque quello che dovevamo scrivere lo abbiamo scritto. Come Afterhours vogliamo un pubblico che si fidi di noi. Non siamo un partito politico o una religione: non dobbiamo rispondere a nessuno standard e abbiamo iniziato a fare musica per questo.”

    Cosa credi che tireranno fuori, nello specifico, i nuovi membri della band, almeno per quanto concerne questo tour? Verrebbe da dire che Fabio Rondanini porterà un tocco più jazz sulle batterie, mentre Stefano Pilia accentuerà il lato sperimentale e dissonante delle chitarre di Xabier?

    “In realtà molti dei musicisti che conosciamo hanno delle sensibilità anche diverse da quelle che abbiamo appreso pubblicamente. È chiaro che uno deve trovare una propria personalità pubblica e viene riconosciuto per quello, ma non è detto che sia l’unica cosa che gli appartiene artisticamente. Fabio e Stefano hanno un bagaglio enorme: Stefano non fa solo cose sperimentali, è anche capace di fare cose molto concrete con una capacità armonica gigantesca; e Fabio viene dal funk e quindi è capace di pestare molto più di quanto la gente non creda. Sicuramente in teatro verranno fuori i ruoli più per cui sono più conosciuti, ma non è detto che dopo sia ancora così. Sono due fuoriclasse, hanno un talento musicale assoluto, al di fuori dai generi.”


    La rielaborazione teatrale del vostro show prevede letture di Pessoa, Gramsci, Ginsberg, Pasolini. Politica ed esistenzialismo? Come avete scelto i testi?

    “In base al tema dell’identità. Il filo conduttore è il fatto di riconoscersi in qualcosa, di prendere una posizione, di avere un’etica. Di avere un ruolo e di riconoscerlo. Forse nella letteratura scelta c’è la parte più sociale e politica dello spettacolo, mentre poi c’è quella più intima affidata alle canzoni. Non ci sono degli schemi, comunque. Abbiamo una prima scaletta, poi vedremo come va. Ogni data faremo delle letture diverse. Durante la prima leggeremo Ginsberg, Pasolini e Gramsci.”

    E i fan abituati al “pogo” che dovranno restare seduti in platea per l’intera durata dello spettacolo? Come ti aspetti che reagiscano?

    “Credo che il nostro ruolo sia quello di trasmettere emozioni. La nostra onestà deve essere questa, quindi non mi faccio problemi. E di acustico c’è ben poco…”

    Urleranno a squarciagola saltando sulle sedie, allora?

    “No so, abbiamo cercato di costruire le cose in modo che ci sia una tensione diversa, che arriva in modo tagliente, ma senza usare per forza la velocità o la potenza sonora. Usiamo ingredienti diversi.”

    Sarà simile al tour teatrale del 2010?

    “No, quello era più circense, ci siamo divertiti a mischiare le carte. C’era Antonio Rezza che faceva teatro e altri attori ospiti. Questo tour è più compatto, il tema e l’identità. Parla di un gruppo di persone che si ridefinisce all’interno di un gruppo, di uno stato, di un mondo, quindi tenta di rappresentare il momento. Ha un contenuto più a fuoco.”

    Nel 2010 avete suonato a Milano al teatro Smeraldo. Adesso hanno trasformato quel posto in un megasupermercato di lusso: non ti fa un po’ impressione questo fatto?

    “C’è stato un movimento, a proposito di teatri, che noi abbiamo appoggiato: il Teatro Valle, l’Angelo Mai, il Teatro Coppola, eccetera… La pressione deve venire dal basso. La politica ti prende in considerazione solo se c’è pressione. Nel nostro ambiente nessuno è sceso in piazza a protestare contro la SIAE o tanti altri aspetti che non funzionano. È responsabilità dei musicisti che sono menefreghisti e pensano di lavarsi la coscienza scrivendo un commento negativo su internet. Non fanno niente di utile per cambiare le cose e le eccezioni sono poche. Gli addetti ai lavori, invece, fonici, promoter, agenzie di stampa, loro hanno una coscienza e partecipano ai convegni per trovare delle soluzioni. I musicisti in Italia, invece, se ne sbattono.”

    Hai detto “questo è un tempo di possibilità”. Pensi che anche in Italia si possa sollevare un vento di rivoluzione popolare come quello di Syriza in Grecia?

    “Non ci credo. Credo che i cambiamenti avvengano per attività decisa delle persone. Ci sono migliaia di esempi nella storia che dicono che non si ottiene niente forzando la mano, ma agendo in modo costante nel tempo. Non dobbiamo avere la vanità di veder realizzati i nostri sogni nell’arco della nostra vita. Ma questa è una cosa difficile da accettare. Mattoncino dopo mattoncino, dobbiamo lavorare con costanza. I risultati non arrivano in un giorno, insomma. Sono stato spesso in Grecia, di recente, e la Grecia ha una situazione diversa dalla nostra. A livello di coscienza sociale sono più avanti di noi. Il tipo di malessere è diverso. È un malessere politico pesante, ma a livello interiore hanno un’energia incredibile. Noi invece l’abbiamo persa. Lì la gente, nonostante i disagi economici e politici, sta meglio di noi, a livello umano. Loro sanno bene chi sono e cosa vogliono essere. Noi invece non vogliamo saperlo. Siamo viziati, non vogliamo accettare molte cose di noi stessi: finché non lo faremo, non riusciremo a reagire.”



    di Tobia D'Onofrio
    da: http://xl.repubblica.it/




    Io so chi sono



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    Manuel Agnelli: «La bestemmia è come una preghiera»

    Mentre l'Occidente si interroga sulla libertà d’espressione e sui suoi eventuali limiti abbiamo chiesto a Manuel Agnelli, leader degli Afterhours il suo punto di vista. «Tutto è lecito. Ogni espressione, anche la più deteriore, blasfema e negativa. Anche perché non si capisce chi dovrebbe stabilire ciò che è permesso e ciò che non lo è. La blasfemia, anzi proprio la bestemmia, è dialogo con Dio»



    di Lorenzo Alvaro
    fonte:vita.it/


    I fatti di Charlie Hebdo continuano ad interrogare l'Occidente su tanti temi. Quello forse più ingarbugliato è la libertà d’espressione. Abbiamo deciso di parlare con Manuel Agnelli voce storica e leader degli Afterhours. Il punto di partenza è la canzone 1.9.9.6., traccia d'apertura del disco manifesto del gruppo “Hai paura del buio?”, che inizia con una bestemmia. Un'invettiva frontale, cruda e passionale a Gesù Cristo. Giovanni Testori scriveva
    «T’ho amato con pietà
    Con furia T’ho adorato
    T’ho violato, sconciato
    bestemmiato
    Tutto puoi dire di me
    Tranne che T’ho evitato»
    .

    Agnelli ne parla come del suo personale dialogo con Dio. Ecco cosa ci ha detto.


    In questi giorni si fa un grande parlare di libertà di espressione. Cos'è per un musicista la libertà di esprimersi?


    La libertà di esprimersi è la libertà totale di esprimere a parole o in altre forme artistiche, qualsiasi tipo di idee e suggestioni. Anche le più deteriori, terribili, negative e antisociali. Questo perché l'espressione di un'idea non è la sua messa in pratica. Un conto è pensare, analizzare e discutere. Altro è mettere in pratica. Non voglio minimizzare le ideologie o il pensiero. Voglio dire che affrontando ogni tipo di tematica ci aiutiamo a capire, a risolvere e a non avere paure delle cose. Non affrontare, limitarsi, genera solo paura, confusione. E soprattutto non comprensione. Ma poi chi decide di cosa si può o meno parlare. Chi è il giudice?

    Quindi non c’è nessun limite?

    No, nell'espressione non esistono limiti. Ognuno può dire, scrivere e rappresentare qualunque tipo di idea. È solo nella messa in pratica che bisogna capire se si pone un problema, se nel concreto si finisce per ledere la libertà altrui. La rappresentazione di un'idea invece non è coercitiva o lesiva della libertà degli altri, mai.

    L'album manifesto degli Afterhours, “Hai paura del buio?” inizia con una bestemmia, e continua con un'invettiva nei confronti di Gesù Cristo a cui urli «Offenditi! C'è una dote che non hai, non è chiaro se ci sei. Sei borghese, arrenditi!»...

    Si è una bestemmia. Ma non si esaurisce lì. È un dialogo personale. È un'invettiva. In parte anche contro un finto ribellismo tipico dell'ambiente che frequentavo all’epoca e contro cui mi scagliavo.



    In qualche modo dunque alla scena del film Forrest Gump in cui il Tenente Dan, sul peschereccio, ha quello scambio durissimo con Dio e con la tempesta?

    Esatto. È proprio così. E in questo modo apriamo l'altro grande tema all’interno del dibattito sulla libertà d’espressione che è la regolamentazione della religiosità delle persone. Uno deve avere una propria spiritualità, per come meglio crede, se crede. Al di fuori anche dei canali di chi amministra i culti. A mio avviso, ad esempio, la religione cattolica è integralista da questo punto di vista. Io non voglio una scuola che mi dica come mi devo comportare nel mio rapporto con Dio. Ho recentemente accompagnato mia mamma ad Assisi, perché ci tiene. La mercificazione che ho visto, ad opera della stessa Chiesa, mi ha fatto venire la nausea. È quello il messaggio di San Francesco? O io posso avvicinarmi a lui al suo esempio senza dover passare attraverso l’istituzione della Chiesa? Io dico che posso



    Perché nella versione che avete rifatto con Edoardo Bennato la bestemmia non c'è più?

    È proprio questo il punto. Non aveva più senso. Quella bestemmia era diventato un cliché. Ai concerti la gente aspettava solo la bestemmia per ridere. Non era più una cosa che faceva riflettere ma un gioco stupido e grottesco.

    Il Papa ha detto che chi offende la mamma, intendendo la fede, si deve aspettare un pugno. Sei pronto a riceverlo?

    Assolutamente no. Trovo che sia un'affermazione molto brutta. Che giustifica certi comportamenti. E non vorrei che fosse dovuta alla paura.

    In tanti, da Marco Revelli a Moni Ovadia, hanno sottolineato come l'Occidente debba capire cosa c'è dentro alle parole libertà, democrazia e giustizia. Sono concetti che vanno riempiti di senso altrimenti rimangono vessili senza senso. Tu sei in giro con “Hai pura del buio?”. C'è più buio nel terrorismo o nella mancanza di senso e di identità?

    C'è un'ipocrisia di base nel nostro sistema che non scopriamo oggi. Detto questo mettere in dubbio l'etica di un certo tipo di valori, come libertà, uguaglianza e democrazia, solo perché noi non riusciamo a metterli in pratica è stupido. Invece di metterli in dubbio proviamo a realizzarli, per quel che si riesce. Il limite non deve essere una scusa. Quei valori sono giusti e non si deve accettare chi dice «tanto le cose vanno così». È una posizione sbagliata

    Come si batte questo buio? O meglio come si torna a dare un senso a queste parole?

    Con la discussione, con l'intervento sociale attivo. Con la partecipazione delle persone e con l'educazione. Che la sia accetti o che la si rifiuti l'educazione fornisce punti di riferimento. La cultura è una strada imprescindibile per dare i mezzi alle persone di affrontare la vita. Non possiamo sempre delegare ai leader, alle sette, alle associazioni. Ognuno di noi deve trovare la strada, la propria strada. Per farlo ha diritto e dovere di avere un’educazione. È l’unica possibilità perché le persone si strutturino. Oggi vivamo in un mondo di persone detrutturate e si vede. E non credo che sia un caso

    La tua guerra personale contro il buio la intraprendi anche nell'imminente Tour teatrale?

    Sì, anche se è una briciolina che conta pochissimo. Ma non è che se è una gocciolina nel mare non vale la pensa farla. Abbiamo tutti il dovere di fare il nostro piccolo pezzettino. Io faccio queste cose. È solo quel pochissimo che posso mettere sul piatto. Ma è un dovere.
     
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4 replies since 1/12/2010, 23:17   333 views
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