LEONARDO DA VINCI

..IL PURO GENIO...

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  1. gheagabry
     
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    LEONARDO DA VINCI





    Leonardo nacque a Vinci il 15 aprile del 1452.
    Nel 1469 si trasferì con tutta la famiglia a Firenze, quì entrò a far parte della bottega del Verrocchio dove vi rimase per otto anni e dove apprese l'arte del disegno, l'uso della prospettiva e dell'anatomia.
    Questo è ben attestato nel suo intervento nel Battesimo di Cristo del Verrocchio, dove realizzò l'angelo con estrema sapienza compositiva ed equilibrio ed inoltre in una delle sue prime realizzazioni: l'Annunciazione di Monteoliveto oggi alla galleria degli Uffizi a Firenze, dipinta tra il 1475 e il 1478, nella quale abbiamo una straordinaria qualità cromatica, e uno studio attento verso i particolari soprattutto naturali.
    Abilissimo nel disegno, questa sua dote è evidente in due opere iniziate nel 1482 circa e rimaste incompiute: San Girolamo e l'Adorazione dei Magi.
    In quest'ultima, rimasta incompiuta per la sua partenza per Milano, interpreta in modo nuovo il soggetto: intorno alla figura della Vergine col Bambino si raccoglie una folla gesticolante che ci lascia intendere l'emozione per l'evento sacro.



    Ancora del periodo fiorentino sono il Ritratto di Ginevra Benci il cui volto è delineato da delicati effetti chiaroscurali mentre sullo sfondo si staglia un paesaggio di acqua e piante.
    Abbiamo ancora la Madonna del garofano e la Madonna Benois.
    Leonardo arrivò a Milano nel 1482 e vi rimase per ben sedici anni al servizio di Ludovico il Moro e dove si occupò dei diversi campi delle scienza e delle arti, ma si dedicò prevalentemente all'attività di pittore, infatti, qui realizzò opere molto importanti tra le quali la Vergine delle rocce in cui ambienta i suoi personaggi in un'atmosfera quasi irreale, in un luogo ombroso e chiuso da grosse rocce in cui la luce filtra a malapena, l'atmosfera è resa in modo magistrale grazie anche alla sua particolare tecnica di chiaroscuro sfumato che è uno degli elementi caratteristici della sua arte.



    Eseguì molte altre opere tra cui la Dama con l'ermellino di Cracovia, il Ritratto di dama del Louvre, ma il capolavoro dell'attività svolta a Milano è considerato l'Ultima Cena che realizza intorno al 1495-1497 nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie. Il soggetto è trattato in maniera innovativa, rappresentando il momento in cui Cristo annuncia che verrà tradito. Nel trattato della pittura Leonardo scrive:" il bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l'homo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s'ha a figurare con gesti e movimenti delle membra". Nel Cenacolo Leonardo realizzò in pieno questa sua idea, rappresentando il Cristo come fulcro della composizione, intorno a cui si distribuiscono gli Apostoli in atteggiamenti diversi che lasciano trasparire il loro pensiero e le loro emozioni.
    Nel 1499 Ludovico il Moro fuggì da Milano, dopo l'invasione del ducato da parte dei francesi, e Leonardo intraprese una serie di viaggi, si recò a Mantova, a Venezia, e poi ritornò a Firenze. Qui gli venne commissionato un'affresco per il salone di Palazzo Vecchio che rappresenta la Battaglia di Anghiari, in gara con Michelangelo che doveva affrescare nella parete opposta la Battaglia di Cascina. Il dipinto purtroppo però è andato perduto.



    In questi anni iniziò anche il famoso ritratto della Gioconda, un dipinto a lui caro che portò con se anche in Francia dove rimane tutt'oggi, al museo del Louvre. E' il ritratto di una gentildonna fiorentina, identificata con Monna Lisa di Giocondo, rappresentata a mezza figura e di tre quarti sullo sfondo di un paesaggio roccioso con due laghi posti su un diverso livello. L'atmosfera suggestiva e il sentimento di malinconia che suscita sia il paesaggio che la figura è accentuato dall'uso dello sfumato leonardesco.
    Nel 1506 si recò nuovamente a Milano, negli ultimi anni della sua vita l'artista alternò il suo soggiorno in questa città con brevi viaggi a Firenze. Le sue ultime opere sono Sant'Anna con Madonna e Bambino, di cui aveva già preparato un cartone nel 1501e il San Giovanni Battista. Nella Sant'anna con Madonna e Bambino rappresenta i personaggi in una composizione piramidale il cui vertice è rappresentato dal volto di Sant'Anna, lo sfondo è ancora una volta rappresentato da un paesaggio rupestre in lontananza.
    Nel 1516 accettò l'invito del re di Francia e si recò ad Amboise dove trascorre gli ultimi anni della sua vita e dove morì nel 1519.



     
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  2. gheagabry
     
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    La Dama con l’ermellino è uno dei dipinti più celebri di Leonardo Da Vinci. Uno dei quadri famosi più misteriosi di Leonardo insieme alla Gioconda.
    L’opera è del 1490 + o -, ed è un olio su una sottilissima tavola di noce.
    Oggi lo troviamo a Cracovia nel museo Narodni.
    Concepita quando Leonardo dava compimento alle sue opere d’ingegneria ed ai suoi interessi scientifici; l’opera fu commissionata dalla corte di Milano.Questo ritratto, rappresenta Cecilia Gallerani, la favorita da Ludovico il Moro, signore dello stato milanese.
    La figura della donna, è accarezzata da una luce laterale, essa sembra emergere dal fondo d’ombra. La ripresa è a tre quarti per esaltare il potere volumetrico della figura, la Gallerani viene qui, presentata come una vera figura del suo tempo.
    L ‘ elemento simbolico nel quadro, è l ‘ermellino, appoggiato al braccio sinistro delicatamente trattenuto con il destro dalla donna.
    Si tratta di un simbolo regale di moderanza, di qualcosa che solo una donna dalle sembianze così nobili può tenere addosso; di cortesia e gentilezza. In molti sostengono però che sia lo stesso Ludovico il Moro che nel 1488 è parte fondamentale nell’ Ordine dell’ Ermellino.
    Quest’ opera presenta tutte le caratteristiche primarie dei ritratti “intellettuali” di Leonardo.
    Il movimento della testa della donna, appena accennato, in contrapposizione al busto, traduce, come in una foto, il “moto dell’anima” del personaggio ritratto, rivoluziona le tipologie statiche del ritratto convenzionale. Leonardo elabora in questo momento, la relazione naturale tra movimento “dell’anima” e movimento del corpo, tra interiorità ed esteriorità.
     
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    Ultima Cena (Leonardo)



    Data 1494-1498
    Tecnica olio su intonaco
    Dimensioni 460 × 880 cm
    Ubicazione Refettorio dell'ex-convento di Santa Maria delle Grazie, Milano

    L'Ultima Cena è un dipinto parietale a olio su intonaco (460x880 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1494-1498 e conservato nel refettorio dell'ex-convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Si tratta della più famosa rappresentazione dell'Ultima Cena, capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale. Nonostante ciò l'opera, a causa della singolare tecnica utilizzata da Leonardo, incompatibile con l'umidità dell'ambiente, versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, che è stato almeno fissato e, per quanto possibile, migliorato nel corso di uno dei più lunghi e capillari restauri della storia, durato dal 1978 al 1999 con le tecniche più all'avanguardia del settore.

    Nel 2008 il Cenacolo è stato visitato da 335.011 persone.


    Storia
    La commissione e la creazione

    Dettaglio

    Deluso dall'abbandono forzato del progetto del monumento equestre a Francesco Sforza, a cui aveva lavorato quasi dieci anni, Leonardo ricevette però quell'anno un'altra importante commissione da Ludovico il Moro. Il duca di Milano aveva infatti eletto la chiesa di Santa Maria delle Grazie a luogo di celebrazione della casata Sforza, finanziando importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento di tutto il complesso domenicano; Donato Bramante aveva appena finito di lavorarvi quando si decise di procedere con la decorazione del refettorio.

    Venne decisa una decorazione tradizionale sui lati minori, rappresentante la Crocifissione e l'Ultima Cena. Alla Crocifissione lavorò Donato Montorfano, che elaborò una scena di impostazione tradizionale, terminata già nel 1495. In questa scena, oggi scarsamente leggibile Leonardo dovette rappresentare, verso il 1497, i Ritratti dei duchi di Milano con i figli.

    Sulla parete opposta l'artista avviò l'Ultima Cena (o Cenacolo), che lo risollevò dalle preoccupazioni economiche e nella quale riversò tutte le conoscenze assimilate nel corso di quegli anni. Leonardo realizzò numerosi studi, oggi in parte conservati, come la Testa di Cristo alla Pinacoteca di Brera.

    Nella novella LVIII (1497) Matteo Bandello fornì una preziosa testiomonianza di come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:
    « Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove. »

    (Matteo Bandello, Novella LVIII)

    Come è noto Leonardo non amava la tecnica dell'affresco, la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima che l'intonaco asciughi imprigionandoli, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia dopotutto il brano di Bandello. Scelse di dipingere quindi su muro come dipingeva su tavola; i recenti restauri hanno permesso di appurare che l'artista, dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido, soprattutto nella parte centrale, e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico e prima di stendere i colori l'artista interpose un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. In seguito vennero stesi i colori a secco, composti da una tempera grassa a base di olio di lino e di uovo. Ciò permise la particolare ricchezza della pittura, con una serie di piccole pennellate quasi infinita e una raffinata stesura tono su tono, che consentì una migliore unità cromatica, una resa delle trasparenze e degli effetti di luce, e una cura estrema dei dettagli, visibili solo da distanza ravvicinata; ma la tecnica fu anche all'origine dei problemi conservativi, soprattutto in ragione dell'umidità dell'ambiente, confinante con le cucine.

    L'opera era già terminata nel 1498, quando Luca Pacioli in data 4 febbraio di quell'anno la ricordò come compiuta.

    Le copie


    La fama del Cenacolo vinciano è testimoniata, oltre che dalle fonti scritte, dalle numerose copie che se ne fecero, sia a grandezza naturale (affreschi, tele e tavole), sia su supporti leggeri, come disegni e incisioni. Queste copie appaiono oggi particolarmente preziose per capire come il dipinto dovesse figurare in origine.

    Tra le opere a grandezza naturale spicca, per pregio e antichità, la copia del Giampietrino, assistente di Leonardo, opera proveniente dalla Certosa di Pavia (1520 circa), acquistata nel 1821 dalla Royal Academy di Londra, e che, sebbene tagliata nella parte superiore, oggi si trova esposta al Magdalen College di Oxford.

    Un'altra ancora, leggermente più piccola, è quella attribuita a Marco d'Oggiono a olio su tela (549x260, 1520 circa) ora al Musée de la Renaissance nel Castello di Ecouen, poco a nord di Parigi, di proprietà del Louvre. Anche il museo dell'Ermitage di San Pietroburgo ne possiede una, attribuita genericamente a un "artista lombardo" del XVI secolo, forse l'unica in cui appare chiaramente il soffitto come doveva essere in origine, con i lacunari contornati da sottili righe colorate[7].

    Altre copie sono quella conservata nella chiesa dei Minoriti di Vienna (voluta da Napoleone nel 1809) o quella esposta nel Da Vinci Museum dell'abbazia belga di Tongerlo. In Ticino esiste una copia di Cesare da Sesto, allievo di Leonardo, nella chiesa parrocchiale di Ponte Capriasca, vicino a Lugano (1550 circa).

    Il degrado

    Appena terminato il dipinto, Leonardo si accorse che la tecnica che aveva utilizzato mostrava subito i suoi gravi difetti: nella parte a sinistra in basso si intravedeva già una piccola crepa. Si trattava solo dell'inizio di un processo di disgregazione che sarebbe continuato inesorabile nel tempo; già una ventina di anni dopo la sua realizzazione, il Cenacolo presentava danni molto gravi, tanto che Vasari, che la vide nel maggio del 1566, scrisse che "non si scorge più se non una macchia abbagliata". Per Francesco Scannelli, che scriveva nel 1642, dell'originale non era rimasto altro che poche tracce delle figure, e anche quelle tanto confuse che non se ne poteva ricavare alcuna indicazione sul soggetto.

    Le cause che provocarono quel degrado inarrestabile erano legate all'incompatibilità della tecnica utilizzata con l'umidità della parete retrostante, esposta a nord (che è il punto cardinale più facilmente attaccabile dalla condensa) e confinante con le cucine del convento, con frequenti sbalzi di temperatura; lo stesso refettorio era poi interessato dagli effluvi e dai vapori dei cibi distribuiti.

    Per capire quanto siano stati devastanti i danni basta confrontare l'originale con una delle numerose copie dell'opera, come quella del Giampietrino. L'idea è quella che, ragionevolmente, i colori originali fossero sostanzialmente simili a quelli visibili nella copia, molto più brillanti e accesi.

    L'opera subì numerosi tentativi di restauro nel tempo, che cercarono di porre rimedio ai danni, stabilizzando le cadute e, spesso, provvedendo a vere e proprie ridipinture. Si tentò soprattutto di evidenziare i contorni offuscati, per recuperare la leggibilità generale, e di tamponare i fenomeni di degrado. Kenneth Clark, nell'introduzione al catalogo della mostra Studi per il Cenacolo scrisse che in molti casi gli apostoli che vediamo oggi non sono più quelli dipinti da Leonardo: «Pietro, con la fronte bassa da criminale, è una delle figure che disturbano di più nell'intera composizione; ma le copie mostrano che la sua testa era in origine piegata indietro e vista di scorcio. Il restauratore non è stato capace di seguire questo difficile brano di disegno e così ne è uscita una deformità. Lo stesso insuccesso si verifica quando si tratta di avere a che fare con pose non comuni come quelle delle teste di Giuda e di Andrea. Le copie mostrano che Giuda era prima in profìl perdu, un fatto confermato dal disegno di Leonardo a Windsor [cat. 13]. Il restauratore l'ha rigirato, collocandolo in netto profilo e pregiudicandone così l'effetto sinistro. Andrea era quasi di profilo; il restauratore l'ha portato a una veduta convenzionale di tre quarti. E inoltre ha trasformato il dignitoso vecchio in un tipo spaventoso di ipocrisia scimmiesca. La testa di Giacomo Minore è interamente opera del restauratore, che con essa dà la misura della propria inettitudine».

    All'inizio del XIX secolo le truppe napoleoniche trasformarono il refettorio in bivacco e stalla. Negli anni dieci del Novecento il pittore Luigi Cavenaghi reincollò le particelle che si andavano staccando dal muro.

    Danni ancora più gravi vennero causati durante la seconda guerra mondiale, quando il convento venne bombardato nell'agosto del 1943: venne distrutta la volta del refettorio, ma il Cenacolo rimase miracolosamente salvo tra cumuli di macerie, protetto solo da un breve tetto e da una difesa di sacchi di sabbia, rimanendo esposto per vari giorni ai rischi causati dagli agenti atmosferici.

    L'ultimo restauro

    Nel 1977, dopo molti studi e ricerche, prese il via il più grande e delicato progetto di restauro mai tentato su un'opera d'arte. Un'operazione destinata a durare più di un ventennio, e a mobilitare scienziati, critici d'arte e restauratori di tutto il mondo. La superficie del Cenacolo era ormai ovunque scrostata e lesionata; in milioni di interstizi microscopici si era infilata la polvere, trattenendo l'umidità delle pareti, e creando così le condizioni per la graduale e inesorabile scomparsa del dipinto.

    Nel lavoro di ripulitura ci si è resi conto che il Cenacolo era stato in parte spalmato di cera per essere predisposto al distacco: un distacco, per fortuna mai eseguito. L'impiastro di colle, resine, polvere, solventi e vernici, sovrapposte nei secoli in maniera disomogenea, avevano peggiorato notevolmente le condizioni, già di per sé molto delicate, della pellicola pittorica, consegnando ormai alla fine degli anni settanta un Cenacolo che sembrava ormai irreparabilmente compromesso. Solo con una meticolosa e rigorosa opera di restauro, sostenuta da rilievi ed esami tecnologici approfonditi, ha permesso di restituire all'umanità uno dei capolavori della storia dell'arte più travagliati.

    La campagna ha permesso di documentare e consolidare le tracce autografe nel dipinto, mettendo anche in luce tutti gli aspetti della tecnica usata. Una volta eliminate le ridipinture, e ritrovata l'opera originale di Leonardo, i restauratori si erano posti il problema di come riempire le parti mancanti. In un primo tempo le zone mancanti erano state riempite semplicemente con un colore neutro; poi si è deciso di dar loro dei colori leonardeschi, basati sui frammenti ritrovati, e anche sulle copie d'epoca del Cenacolo. Oggi l'opera ha ritrovato in alcuni dettagli una luminosità e freschezza cromatica finora insospettate.

    Tra le tante scoperte insperate, si è trovato il buco di un chiodo piantato nella testa del Cristo: qui Leonardo aveva appeso i fili per disegnare l'andamento di tutta la prospettiva (punto di fuga). Si sono riscoperti anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo: questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo dall'apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina.

    Tra i particolari più deteriorati e irrecuperabili si segnala la parte inferiore del viso di Giovanni dove, come scrive la restauratrice Pinin Brambilla, le narici e la bocca erano ormai "ridotte a piccoli tratti scuri". Pure il soffitto della scatola prospettica che vediamo oggi non è l'originale dipinto da Leonardo ma frutto di un totale rifacimento settecentesco che sempre secondo la restauratrice "non rispetta il sapore e il ritmo leonardeschi". Dell'originale rimane traccia solo in una sottile fascia a destra, che evidenzia come i cassettoni in origine fossero più larghi, profondi e caratterizzati da modanature con sottili fasce rosse e lacunari dal fondo blu-azzurro

    L'opera è stata dichiarata nel 1980 patrimonio dell'umanità dall'Unesco, e insieme ad essa vengono protetti anche la chiesa e il limitrofo convento domenicano (la motivazione della nomina dei due edifici fa esplicita menzione dell'affresco).

    Descrizione e stile
    Ricostruzione dei personaggi
    « Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. » (Giovanni 13, 21-26 Gv13,21-Gv13,26)

    Il dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli. L'opera si basa sulla tradizione dei cenacoli di Firenze, ma come già Leonardo aveva fatto con l'Adorazione dei Magi, l'iconografia venne profondamente rinnovata alla ricerca del significato più intimo ed emotivamente rilevante dell'episodio religioso. Leonardo infatti studiò i "moti dell'animo" degli apostoli sorpresi e sconcertati all'annuncio dell'imminente tradimento di uno di loro.

    L'ambientazione e la figura di Cristo

    Dentro la scatola prospettica della stanza, rischiarata da tre finestre sul retro e con l'illuminazione frontale da sinistra che corrispondeva all'antica finestra reale del refettorio, Leonardo ambientò in primo piano la lunga tavola della cena, con al centro la figura isolata di Cristo, dalla forma pressoché piramidale per le braccia distese. Egli ha il capo reclinato, gli occhi socchiusi e la bocca appena discostata, come se avesse appena finito di pronunciare la fatidica frase.

    Col suo gesto di quieta rassegnazione, costituisce l'asse centrale della scena compositiva, non solo delle linee dell'architettura (evidente nella fuga di riquadri scuri ai lati, forse arazzi), ma anche dei gesti e delle linee di forza degli apostoli. Ogni particolare è curato con estrema precisione e le pietanze e le stoviglie presenti sulla tavola concorrono a bilanciare la composizione.

    L'ambiente dal punto di vista geometrico, pur essendo semplice, è estremamente calibrato. Attraverso elementari espedienti prospettici (la quadratura del pavimento, il soffitto a cassettoni, gli arazzi appesi alle pareti, le tre finestre del fondo e la posizione della tavola) si ottiene l'effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, tale da mostrarlo come un ambiente nell'ambiente del refettorio stesso, una sorta di raffinato trompe l'oeil. Secondo uno studio recente, il paesaggio che si intravede dalle finestre potrebbe essere un luogo ben preciso, appartenente al territorio dell'alto Lario. In particolare è apparsa una Chiesa con un campanile ottagonale che può essere identificata nell'antica abbazia cluniacense di Piona.

    Gli apostoli


    Attorno a Cristo gli apostoli sono disposti in quattro gruppi di tre, diversi, ma equilibrati simmetricamente. L'effetto che ne deriva è quello di successive ondate che si propagano a partire dalla figura del Cristo, come un'eco delle sue parole che si allontana generando stati d'animo più forti ed espressivi negli apostoli vicini, più moderati e increduli in quelli alle estremità. Ogni singola condizione psicologica è approfondita, con le sue peculiari manifestazioni esteriori (i "moti dell'animo"), senza però compromettere mai la percezione unitaria dell'insieme.

    Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello, come in moltissime altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena, e, chinandosi impetuosamente in avanti, con la sinistra scuote Giovanni chiedendogli "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24). Giuda, davanti a lui, stringe la borsa con i soldi ("tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29), indietreggia con aria colpevole e nell'agitazione rovescia la saliera. All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati il loro smarrimento e la loro incredulità. Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui Filippo porta le mani al petto, protestando la sua devozione e la sua innocenza.

    La probabilità che certi particolari della composizione possano essere stati suggeriti dai domenicani (forse dallo stesso priore Vincenzo Bandello) è data dal fatto che questo ordine religioso dava grande importanza all'idea del libero arbitrio: l'uomo non sarebbe predestinato al bene o al male ma può scegliere tra le due possibilità. Giuda infatti nel dipinto di Leonardo è raffigurato in modo differente dalla grande maggioranza delle ultime cene dell'epoca, dove lo si vede da solo, al di qua del tavolo. Leonardo raffigura invece Giuda assieme agli altri apostoli, e così aveva fatto pure il domenicano Beato Angelico, nell' Ultima Cena dell'Armadio degli Argenti esposta al Museo di San Marco a Firenze, lasciandogli l'aureola al pari degli altri. Altra evidente differenza tra l'opera di Leonardo e quasi tutte le ultime cene precedenti è il fatto che Giovanni non è adagiato nel grembo o sul petto di Gesù (Gv. 13,25) ma è separato da lui, nell'atto di ascoltare la domanda di Pietro, lasciando così Gesù solo al centro della scena.

    Che la scena raffigurata da Leonardo derivi dal quarto vangelo è intuibile, oltre che dal "dialogo" tra Pietro e Giovanni, dalla mancanza del calice sulla tavola. Diversamente dagli altri tre, detti vangeli sinottici, nel quarto non è descritta la scena che viene ricordata durante la messa al momento della consacrazione: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27). Giovanni, dopo l'annuncio del tradimento, scrive invece così: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv. 13,34).

    Le lunette

    Sopra l'Ultima Cena si trovano, oltre una cornice baccellata all'antica, tre lunette, in larga parte autografe. Esse contengono imprese degli Sforza entro ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso; la lunetta centrale in particolare, di dimensione maggiore di quelle laterali, è in uno stato di conservazione buono, con una precisa descrizione delle specie botaniche

    L'Ultima Cena esoterica


    Una diversa lettura del dipinto è richiamata dal popolare romanzo giallo Il codice da Vinci dello scrittore Dan Brown. Secondo tale ipotesi, che vuole dare un significato esoterico al dipinto, e che Dan Brown ha ricavato dai precedenti libri di Lynn Picknett e Clive Prince (Turin Shroud e La Rivelazione dei Templari), il discepolo alla destra di Gesù Cristo sarebbe da interpretare, complici i tratti femminei del volto, come una donna, con cui Leonardo avrebbe voluto rappresentare Maria Maddalena. Tale interpretazione è funzionale alla trama del romanzo. Nella narrazione alcuni particolari dell'affresco, quali l'opposta colorazione degli abiti di Gesù e della presunta Maria Maddalena, l'assenza dell'unico calice citato nel Nuovo Testamento (tutti i commensali, compreso Gesù Cristo, hanno un piccolo bicchiere di vetro senza stelo), la mano posata sul collo della presunta donna come per tagliarle la gola e infine la presenza di un braccio con la mano che impugna un coltello e che si dice non appartenga ad alcun soggetto ritratto nel quadro, sono utilizzati per cercare di dimostrare che Maria Maddalena fosse la possibile amante di Gesù, un'ipotesi respinta dalla Chiesa, in quanto sminuente della divinità di Gesù.

    Questa interpretazione del dipinto è tuttavia confutabile attraverso un'attenta analisi dell'opera, basata sull'episodio dell'Ultima cena narrato nel vangelo di Giovanni. Il coltello "misterioso" è infatti impugnato da Pietro, così come in innumerevoli altri dipinti rinascimentali con questo stesso soggetto (Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jean Huguet, Giovanni Canavesio, solo per citarne alcuni) ed è in diretto rapporto con la scena successiva, in cui l'apostolo con quel coltello (una machaira, ovvero un grosso coltello con la lama ricurva, nel testo originale greco) taglierà l'orecchio a Malco, il servo del Gran Sacerdote (Gv 18:10). In questo caso Pietro tiene il braccio piegato dietro la schiena, col polso appoggiato all'anca, posa riscontrabile in tutte le numerosissime copie dell'Ultima cena e in uno schizzo dello stesso Leonardo. Dopo il restauro è anche facilmente verificabile come la confusione potesse nascere dal colore scuro dell'ombra del braccio sull'abito di Pietro, simile all'incarnato della mano e oggi più facilmente distinguibile.

    Del calice col vino non si fa parola nel vangelo di Giovanni, nel quale, a differenza dei tre sinottici, non è neppure narrata l'istituzione dell'Eucaristia; la mano di Pietro posata sulla spalla di Giovanni è il gesto narrato nello stesso quarto vangelo, in cui si legge che Pietro fa un cenno all'apostolo più giovane e gli chiede chi possa essere il traditore (Gv 13:24). L'aspetto di Giovanni infine fa parte dell'iconografia dell'epoca, riscontrabile non solo nell'opera di Leonardo ma in tutte le "ultime cene" dipinte da altri artisti tra il XV e il XVI secolo, in cui si rappresentava l'apostolo più giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci che oggi possono sembrare femminei ma che all'epoca erano la consuetudine. In particolare ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (o da Varagine), voluminoso repertorio duecentesco di vite di santi ed episodi evangelici, usatissimo come fonte di soggetti per le opere d'arte, Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome "significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della castità del suo stato virginale".

    Anche la mancanza delle aureole, che a certi scrittori di mistero è parsa "sospetta", in realtà non ha nessuna valenza eretica. Tanti altri artisti prima di Leonardo, soprattutto di area nord-europea, non avevano dipinto le aureole in molte opere di soggetto sacro. Un esempio famoso è l'Ultima Cena dell'olandese Dieric Bouts, dipinta attorno al 1465. Tra gli artisti italiani che spesso hanno "dimenticato" le aureole possiamo citare Giovanni Bellini e Antonello da Messina.
     
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  7. .Anya.
     
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    Quest'ultimo commento dà voce alla personalità di Leonardo: lui, con l'ultima cena ha fatto un affresco che affresco in realtà non è. La tecnica dell'affresco prevede una pittura veloce sull'intonaco appunto fresco. Ma, Leonardo, essendo precisino non poteva permettersi di disegnare e non poter cancellare e migliorare la sua opera se la si dipinge sull'intonaco fresco. Per questo, la sua tecnica consisteva nel disegnare sull'intonaco asciutto; questo comportò però la disgregazione dell'opera.

    Del carattere di Leonardo noi possiamo riconoscere anche altro: la gelosia per le sue "osservazioni". Questo lo possiamo capire dai tanti suoi scritti che avevano una particolare tecnica, quella di essere a specchio:

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    Concludendo, si può dire inoltre che l'artista riteneva che neppure con la grande maestrìa delle proprio mani avrebbe mai potuto raggiungere la <<perferzione dell'arte nelle cose che egli s'immaginava>> poichè queste erano di grande finezza intellettuale e <<meravigliose>>
    [Cit. Vasari]

    Curiosità
    Rispetto ai pittori del tempo lui è uno dei pochi che non dipingeva le aureole. Questo infatti lo mise in avversione con la chiesa. Come anche per la figura di Giovanni nell'ultima cena che aveva sembianze femminili della Maria Maddalena. Anche se Giovanni è stato sempre rappresentato cosi perchè era un giovincello


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  8. tappi
     
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    GRAZIE ANYA.....NON CONOSCEVO QUESTA CURIOSITA'.....SEMPRE PARTICOLARE

    Edited by tappi - 29/1/2011, 16:49
     
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  9. tomiva57
     
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    Annunciazione (Leonardo)

    Autore Leonardo da Vinci
    Data 1472-1475 circa
    Tecnica olio e tempera su tavola
    Dimensioni 98 × 217 cm
    Ubicazione Galleria degli Uffizi, Firenze

    L'Annunciazione è un dipinto a olio e tempera su tavola (98x217 cm), attribuito a Leonardo da Vinci, databile tra il 1472 ed il 1475 circa e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

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    Storia

    Si hanno pochissime informazioni certe riguardo le origini di quest'opera; forse si sarebbe trattato di una delle primissime committenze che Leonardo riuscì a guadagnarsi mentre era "a bottega" dal Verrocchio.

    Il Morelli, il Cavalcaselle, Heindereich e Calvi non l'attribuirono a Leonardo, ma proposero il Ghirlandaio o suo figlio Ridolfo, o Lorenzo di Credi in collaborazione con Leonardo. Lasciavano perplessi soprattutto alcuni errori, come quello del piano del leggio allineato alle spalle ma non ai piedi della Madonna e delle mancanze non presenti nelle altre opere leonardesche. Invece la semplicità compositiva, la freddezza del viso, la capigliatura col "ciuffetto" dell'angelo e la presenza del paesaggio portuale erano tutte caratteristiche dello stile di Leonardo. Pubblicata poi come opera di collaborazione tra Ghirlandaio e Leonardo, oggi è prevalentemente indicata come frutto di una collaborazione tra la bottega del Verrocchio e Leonardo.

    Le datazioni proposte con più consensi oscillano tra gli anni sessanta del XV secolo e il 1475, prima comunque dell'angelo nel Battesimo di Cristo (1475-1478 circa).

    L'opera si trovava nella chiesa di San Bartolomeo a Monteoliveto, sulle colline a sud di Firenze, dove restò fino al 1867, quando fu trasferita alla Galleria degli Uffizi. Non è detto che la chiesa di San Bartolomeo fosse la destinazione originaria dell'opera, infatti Vasari non la citò, pur avendo tra i frati olivetani il corrispondente e amico don Miniato Pitti, che lo aveva informato minuziosamente sul corredo artistico del convento.

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    Un'altra Annunciazione da alcuni attribuita a Leonardo, Parigi, Louvre



    Con l'arrivo agli Uffizi, alcuni studiosi cominciarono a indicare il dipinto come una delle opere giovanili di Leonardo. I dubbi oggi sono quasi del tutto appianati dal ritrovamento di due disegni preparatori di Leonardo, che hanno confermato la tesi attributiva sostenuta per la prima volta da Liphart nel 1869: uno si trova alla Christ Church Library di Oxford (n. A 31) e contempla lo studio della manica destra dell'angelo; l'altro è al Louvre (n. 2255) e riguarda il mantello della Vergine.

    A Lorenzo di Credi è in genere attribuita un'altra Annunciazione, di dimensioni minori, al Louvre, che taluni studiosi riferiscono a Leonardo.

    L'opera è stata restaurata nel 2000, ripristinando una migliore luminosità e leggibilità dei dettagli, con una migliorata lettura della prospettiva grazie alla maggiore visibilità dello scorcio architettonico sulla destra e dello sfuumare del paesaggio.

    Descrizione

    Ambientazione

    Leonardo si allontanò consapevolmente dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino all'esterno della casa della Vergine al posto della consueta loggia o della camera da letto di Maria. Secondo la tradizione medioevale l'ambientazione era sempre collocata in un luogo chiuso, almeno per quanto riguardava la Vergine, in modo da inserire elementi iconografici, quali il letto, mentre l'Angelo poteva essere posizionato all'esterno, ma in un hortus conclusus, ovvero un orto delimitato da alti muri che alludeva al ventre di Maria.

    È tradizionale per altri versi, infatti ritroviamo la collocazione dei due personaggi (la Madonna a destra e l'Angelo a sinistra) come ad esempio nelle Annunciazioni di Beato Angelico. Inoltre, per mantenere la riservatezza dell'incontro Leonardo dipinse la Madonna in un angolo del palazzo, però facendo intravedere il letto dal portale; poi, un muretto delimita il giardinetto, ma con un passaggio. L'ampia parte della scena dedicata alla natura sembra voler sottolineare come il miracolo dell'Incarnazione divina coinvolga, oltre che un'umana come Maria, l'intero creato. Grande attenzione è riservata infatti alla descrizione botanica dei fiori e delle altre specie vegetali sia nel prato che nello sfondo: si tratta di un omaggio alla varietà e ricchezza della creazione divina. I fiori del prato, in particolar modo, appaiono studiati dal vero, con una precisione lenticolare. Nello sfondo, oltre il muretto, si vedono un fiume con anse e barche, montagne punteggiate da torri e alberi. La luce è chiarissima, come mattutina, e ingentilisce i contorni delle figure, preannunciando lo "sfumato".

    L'impostazione spaziale, anziché essere data dalla prospettiva geometrica quattrocentesca (che pure è presente nell'ordinare i dettagli architettonici e le proporzioni dell'edificio, del pavimento e del leggio, con un punto di fuga al centro della tavola) è resa piuttosto dal digradare progressivo dei colori, soprattutto nello sfondo: Leonardo si servì infatti della prospettiva aerea, tecnica che prevedeva una colorazione più tenue e sfumata per i particolari più lontani, come se fossero avvolti in una foschia; egli sapeva infatti che tra l'occhio e un soggetto messo a distanza si sovrappongono molti strati di pulviscolo atmosferico, che rendono i contorni meno nitidi, a volte confusi. Gli oggetti vicini vennero invece raffigurati minuziosamente proprio perché più gli oggetti sono vicini, più li si vede meglio.

    Si comprende che questa è un'opera giovanile dal fatto che la prospettiva aerea non è resa gradualmente, ma c'è come uno stacco al di là degli alberi più vicini, troppo nitidi rispetto allo sfondo. Di questi alberi, i cipressi sono sistemati come colonne, sembrano dividere matematicamente la scena.

    L'Angelo

    L'Angelo è raffigurato in una posizione classica, come appena planato con le ali battenti, nel momento poco prima di richiudersi. La veste però, a differenza di altri esempi (come l'Annunciazione di Simone Martini), è già completamente ricaduta al suolo e mostra il suo peso sull'erba, in cui sembra anche di poter cogliere lo spostamento d'aria dell'atterraggio.

    A differenza degli angeli normalmente rappresentati, però, non ha ali di pavone (considerato animale sacro e simbolo di immortalità per la carne creduta immarcescibile), bensì ali di uccello autentiche, studiate attraverso l'anatomia propria dei volatili. C'è, però, una strana anomalia perché le ali originali erano più corte: più tardi qualcuno dipinse sopra un'aggiunta, non comprendendo che qui Leonardo voleva rappresentare l'angelo che è atterrato, quindi che sta chiudendo le ali. Questa "correzione" compromise tutto il lavoro di studio di Leonardo sugli uccelli e la rappresentazione realistica dell'ala.

    L'impostazione della posizione è classica leonardesca, considerando il panneggio, a pieghe ampie e morbide. Giorgio Vasari racconta che talvolta l'artista faceva modelli in argilla delle figure, le avvolgeva in morbidi manti bagnati nel gesso e quindi riproduceva pazientemente l'andamento del panneggio. La posizione delle mani è naturale: la destra è benedicente mentre la sinistra regge il giglio, simbolo di purezza. Lo sguardo è rivolto fisso verso Maria, nell'atto dell'annuncio.

    C'è una perplessità riguardante la testa dell'angelo: l'incarnato è pallido e piatto e non presenta le trasparenze classiche di Leonardo. C'è grande differenza con l'angelo del Battesimo di Cristo: qui i capelli non sfumano ma appaiono come una massa compatta di ricci, che ha fatto pensare all'aiuto di un discepolo.

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    Verrocchio, tomba di Giovanni e Piero de' Medici


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    Dettaglio



    Maria si trova posizionata dietro un altare marmoreo scolpito su cui è appoggiato il leggìo. Nell'altare si nota quanto Leonardo risentì degli insegnamenti del Verrocchio: è decorato con motivi classici, che trovano riscontro in un monumento del suo maestro, la tomba di Giovanni e Piero de' Medici nella sagrestia Vecchia di San Lorenzo; analoghi sono i sostegni a forma di branche leonine che si sviluppano ai lati in elementi vegetali, girali e volute. Tra i riccioli superiori, che riecheggiano l'ordine ionico, è teso un festone con foglie frutta e fiori, sormontato da una conchiglia tra nastri svolazzanti, simbolo della "nuova Venere", cioè Maria, e della bellezza eterna. Di grande raffinatezza è il velo semitrasparente sotto il libro delle Sacre Scritture che la Vergine stava leggendo, simbolo delle profezie del Vecchio Testamento (in particolare in questo caso è rappresentato un passo di Isaia), che si avverano con l'atto di accettazione di Maria.

    Maria ha la mano destra appoggiata sul libro come se volesse evitare che si chiudesse (magari per il vento provocato dall'angelo), mentre la sinistra è alzata in segno di accettazione del suo destino. Amplissimo è il mantello azzurro che le copre le gambe, ricadente anche sul seggio, che dà un forte senso di plasticità ed esalta la forma nascosta delle gambe. La testa di Maria è ridipinta.

    In alcuni punti, a una visione molto ravvicinata, si possono riscontrare le impronte digitali del ventenne Leonardo, che sfumava il colore talvolta coi polpastrelli per ottenere effetti di sfumatura e amalgama. Tale tecnica si riscontra sulle foglie dei festoni alla base del leggio e sulle dita della mano destra della Vergine.

    L'errore di prospettiva

    Nel dipinto esiste un errore di prospettiva. Tale errore riguarda il braccio destro della Vergine che risulta più lungo del sinistro analizzando il quadro attraverso una ricostruzione tridimensionale. Ciò è dovuto, come già accennato, alla diversa collocazione delle gambe e delle spalle della Vergine rispetto al leggio: guardando solo la metà superiore Maria sembra lontana dallo spettatore, in angolo, guardando quella inferiore invece appare in primo piano.

    Non è possibile confrontare quest'opera con l'altra versione dell'Annunciazione, che si trova oggi al Louvre, in quanto in quest'ultima la Vergine è rappresentata con le braccia incrociate sul petto.

    Una teoria alternativa è stata avanzata da Antonio Natali, direttore degli Uffizi. Secondo tale teoria, che parte da un'idea di Carlo Pedretti, uno dei massimi esperti di Leonardo, l'errore di prospettiva sarebbe in realtà voluto: infatti, osservando l'Annunciazione da una posizione laterale a destra, la sproporzione del braccio risulta attenuata, per effetto dell'anamorfismo. Tale tecnica ottica, già usata da altri maestri fiorentini come Donatello e Filippo Lippi, si trova anche in studi all'interno dei taccuini di Leonardo ed è quindi possibile che l'artista abbia scelto di adottare questo adattamento prospettico in previsione della futura collocazione dell'opera, magari lungo una parete che doveva essere guardata prevalentemente in scorcio da destra.





    OPERE D’ARTE COME NON LE AVETE MAI VISTE.


    Per 4 mesi, fino al 29 gennaio 2011, sarà possibile navigare gratuitamente all'interno di sei celeberrimi dipinti: la Primavera e la Nascita di Venere di Botticelli, l'Annunciazione di Leonardo da Vinci, il Battesimo di Cristo del Verrocchio e Leonardo da Vinci, il Bacco di Caravaggio e il Ritratto di Eleonora di Toledo di Bronzino.
    Queste straordinarie immagini pubblicate online da Haltadefinizione, costituiscono i primi risultati di un importante progetto di digitalizzazione in altissima definizione dei capolavori della Galleria degli Uffizi, realizzato grazie alla partnership con Nikon Europe, AMD, Nital e con l'azienda tedesca Clauss, già collaboratori in occasione delle riprese dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci e della Cappella degli Scrovegni di Padova, anch’essi ‘esplorabili’ sul sito.

    É un’esperienza unica, si ‘entra’ nel quadro cogliendone i minimi particolari, si scoprono i dettagli dei famosi paesaggi in miniatura di Leonardo, le espressioni dei personaggi della Primavera di Botticelli, la frutta troppo matura nel Bacco di Caravaggio, le pennellate e i segreti della tecnica di pittura di alcuni fra i più geniali e celebrati artisti della storia. Un’occasione imperdibile, un’esperienza emozionante.

    La tecnologia utilizzata è la Real High Definition (RHD) che consente di produrre immagini di altissima qualità dove è possibile osservare dettagli dell'ordine di un centesimo di millimetro senza perdita di nitidezza e con assoluta fedeltà cromatica. Per raggiungere questi risultati sono state acquisite le immagini digitalmente ad una risoluzione ottica minima di 1500 ppi (pixel per pollice) sulla misura reale dell'opera, senza fare ricorso ad algoritmi di interpolazione software.
    Un esempio su tutti: sono stati necessari ben 28 miliardi di pixel (circa 3000 volte la risoluzione di una normale macchina fotografica digitale) per rappresentare la raffinata tecnica pittorica di un capolavoro assoluto come la Primavera di Botticelli; suggestivi particolari, segni del tempo, minuscole pennellate di colore sono ora visibili. Questa tecnologia permette infatti ingrandimenti di gran lunga superiori a quanto l'occhio umano possa percepire anche con un'osservazione ravvicinata dell'opera.

    Per la ripresa di affreschi invece, come ad esempio l’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci o la Cappella degli Scrovegni a Padova, gli affreschi della Basilica Superiore di Assisi e i capolavori del Beato Angelico al Museo di San Marco a Firenze viene utilizzata la tecnologia LHR, Large High Resolution che permette di acquisire immagini con una risoluzione minima di 300 ppi sulla misura reale dell’opera, anche in questo caso senza fare ricorso ad algoritmi di interpolazione software. Chiaramente questi sistemi di ripresa rispondono alle più severe direttive previste per la tutela delle opere d’arte, testate e certificate dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro.

    Possibile è anche la digitalizzazione in alta definizione di documenti quali disegni, codici miniati, pergamene, papiri, (un esempio ne è la Sacra Sindone) che risulta strumento innovativo e particolarmente indicato, se si tiene conto che questi tesori d'arte sono estremamente delicati, a volte troppo fragili per essere maneggiati e, di conseguenza, accessibili ad un numero ristrettissimo di studiosi. La digitalizzazione permette la realizzazione di strumenti informatici di consultazione virtuale tramite i quali gli originali possono essere visti, rivisti e ingranditi fino al più piccolo dettaglio.

    L’immenso potenziale visivo delle immagini artistiche in alta definizione trova applicazione evidente in tutti quegli ambiti che partecipano, in svariati modi, alla conservazione e alla divulgazione della conoscenza del patrimonio storico-artistico.
    E può anche (come nella realtà è) essere destinata al mercato editoriale per la realizzazione di cloni di altissima qualità.

    fonte:ideatre60.it
     
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  10. gheagabry
     
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    Negli occhi della Gioconda il testamento di Leonardo.
    Dopo il ritrovamento dei resti di Caravaggio, nuove scoperte per Vinceti. ROMA - La Gioconda, il piu' celebre e misterioso dipinto del mondo, nasconderebbe il grande testamento, la summa del pensiero di un Leonardo da Vinci ormai maturo e consapevole di se'. Ad annunciarlo oggi è Silvano Vinceti, Presidente del Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei Beni Storici, Culturali e Ambientali, che, tra i propri recenti 'successi', vanta l'individuazione del luogo di sepoltura dei resti di Caravaggio. Da una ricerca avviata il 9 dicembre scorso, gli esperti del Comitato hanno rinvenuto tre ''stratificazioni accertate'' e tre segni ''inequivocabili' all'interno del dipinto che ne farebbero appunto ''il testamento filosofico, esoterico, religioso e teologico'' del genio del Rinascimento. E che, comparati a fonti più 'tradizionali', getterebbero nuova luce anche su datazione, significati, volti e luoghi che ispirarono quell'opera che, dice Vinceti, Leonardo ''si portò dietro per tutta la vita, ritoccandolo più volte'' fino alla fine. Le analisi digitali hanno fatto scoprire due lettere negli occhi della Monna Lisa: una S, perfettamente coincidente con la grafia del pittore, nell'occhio sinistro della modella (destro per chi guarda) e una L nel destro. E il numero 72 sotto un'arcata del ponte dello sfondo. Proprio questo monogramma, che un mese fa la studiosa Carla Glori ricollegava all'anno 1472 quando l'esondazione del Trebbia devastò il Ponte Gobbo, nel piacentino, è quello che secondo il Comitato racchiude i maggiori significati. ''Nella tradizione cabalistica 72 lettere compongono il nome di Dio e il 7 è la creazione del mondo - spiega Vinceti -. Ma 7 e 2 rimandano anche all'Apocalisse di Giovanni nel Nuovo Testamento. Il 2 è il dualismo, l'opposizione, ma anche l'armonia dei principi maschile e femminile''. Ecco dunque la visione filosofica del dipinto, che in un Leonardo in età esprimerebbe il ''superamento di quel conflitto'' che ha animato sempre la sua opera, in favore di un'armonia universale e personale, anche, ad esempio ''nel rapporto finalmente risolto con le sue due madri''. Anche il sorriso ironico della modella sarebbe testimonianza di una ormai ''matura e provocatoria consapevolezza''. Il ponte, simbolo di ''unione tra il maschile e il femminile'', ma anche ''di morte e ritorno al ventre materno'' per il Comitato è il Ponte Aburiano nell'aretino, dove Leonardo prestò servizio a Cesare Borgia tra il 1502 e il 1503, studiando a fondo la zona, interessato ai lavori di bonifica. La lavorazione della Gioconda andrebbe poi anticipata al ''periodo di Leonardo a Milano, tra il 1482 e il 1499''. Nelle lettere 'ritrovate' anche il mistero dell'identità di quel volto, per alcuni, dai tratti maschili. La L rinvierebbe al pittore stesso, ma anche a Lisa Gherardini e la S al Salai, al secolo Gian Giancomo Caprotti, giovane ''di una passionalità sprigionante'' che andò a lavorare da Leonardo a 16 anni, nel 1490, unito a lui da un rapporto speciale, le cui sembianze gentili sono rintracciabili nell'Angelo Incarnato, nel San Giovanni Battista, nella Monna Nuda e anche nella Gioconda. Senza dimenticare però, conclude Vinceti, l'influenza di Beatrice D'Este D'Aragona, sposa di Ludovico Il Moro, morta nel 1497 incinta e che tutti i giorni andava a pregare a Santa Maria delle Grazie mentre Leonardo dipingeva il Cenacolo. (ANSA).


     
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    I capolavori di leonardo



    Le suggestioni che regala l’opera di Leonardo da Vinci sono infinite. Il suo lavoro, la sua opera omnia, è un gioco di rimandi: i dipinti, la natura, le macchine, gli scritti, la realtà, i suoi studi e le sue invenzioni sembrano essere tutte tessere di un medesimo, complesso mosaico. Il tessuto del lavoro di Leonardo è composto dalle fibre della stessa vita, dai campi più disparati del sapere, della scienza e dell’arte, che confluisce nei disegni, nei quadri, nelle macchine fantastiche che il genio di Vinci ha progettato.


    L’osservazione minuziosa della natura lo ha portato a una importante conclusione che caratterizzerà fortemente i suoi dipinti, e cioè che la linea in natura non esiste. Applicando lo “sfumato”, accostando colori anziché demarcando con tratti netti e rigidi i contorni, Leonardo arriva là dove nessuno finora era giunto, ovvero a una rappresentazione del reale viva e vivace. Ecco quadri famosi come l'Annunciazione, la Monna Lisa, la Dama con l’Ermellino, la Leda e il cigno, o le sue dolci immagini della Madonna come la Vergine delle Rocce, la Madonna Litta o la Madonna del garofano, sembrano tanto palpabilmente animate.




    Grazie a questa tecnica, i soggetti ritratti nei dipinti di Leonardo sembrano respirare, e mutano rivelando nuovi particolari a ogni ulteriore sguardo. Mutevolezza che del resto egli intuiva essere l’essenza stessa della vita, colta attraverso l’osservazione delle acque, delle piante, della luce. Anche per questo la prospettiva matematica è da lui considerata insufficiente. Non solo i calcoli, ma “l’aria grossa” che tinge d’azzurro i paesaggi alle spalle delle persone ritratte, per la prima volta teorizzata e concretizzata nei suoi quadri, rende la profondità della vista. E così per esempio nel Cenacolo, Leonardo combina i due metodi per ottenere un effetto unico e radicalmente nuovo: lo spazio architettonico interno è reso con prospettiva matematica, ma le finestre allungano lo sguardo su un paesaggio perfettamente proporzionato, costruito attraverso sfumature e scarti di colore.


    Tali eccezionali risultati sono sicuramente il frutto di una mente brillante e singolarmente intuitiva, ma che si è sempre accompagnata a un’applicazione costante e minuziosa allo studio del vero, non limitata, a differenza di quanto facevano i suoi contemporanei, a esercizi teorici, ma mutuata direttamente dalla sperimentazione. Gli appunti e i taccuini del maestro raccontano di una meticolosa investigazione del reale in tutte le sue forme.

    Sorprendentemente, il numero dei quadri realizzati da Leonardo è piuttosto esiguo - anche se di importanza capitale per la storia dell’arte -, soprattutto se confrontato alla quantità imponente di studi e disegni. Tra questi, appunto, gli studi anatomici eccellono per precisione analitica: dallo studio delle proporzioni della testa di un cane agli studi del cuore e del sistema cardiovascolare, dallo studio di panneggio a quello di cavalli e cavalieri, non solo i suoi disegni colpiscono per bellezza in sé ma consentono di cogliere il percorso indagatore della mente di Leonardo. Difficilmente affidabile come fornitore, Leonardo seguiva il filo dei suoi propri interessi piuttosto che quello delle consegne che gli erano richieste; un dato di fatto che emerge lampante dai vari “codici”, che variano il soggetto di studio a seconda dell’interesse del periodo. Forse per una sorta di snobismo intellettuale - non voleva essere considerato alla stregua di un bottegaio cui si poteva commissionare un lavoro qualunque - o forse per un genuino ardore di scoperta, Leonardo ci ha regalato opere di notevole levatura anche solo tra gli studi preparatori, come quello per l’Adorazione dei magi, lo studio di giovane donna con bambino, quelli per l’allestimento dell’Orfeo o gli studi per due teste di combattenti che dovevano poi servire per un epico dipinto sulla Battaglia di Anghiari in Palazzo Vecchio.

    E sempre lo stesso metodo ritroviamo nella messa a punto di fortificazioni, macchine da guerra, pompe per sollevare l’acqua, macchinari per la lavorazione degli specchi: le sue invenzioni realizzate e quelle soltanto progettate sono annoverate tra le più affascinanti produzioni della mente umana di ogni epoca.


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    LEONARDO DA VINCI, L’UOMO È UN MONDO MINORE




    Il rapporto fra l’uomo e l’Universo - microcosmo e macrocosmo - è un tema ricorrente della cultura rinascimentale. Il modello ideale sembra, per Leonardo, essere costituito dall’uomo, la cui struttura - tranne che per la coscienza e la volontà - si riproduce nel mondo.

    Leonardo da Vinci, Cod. Atlantico, 55 v.

    L’omo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione è bene collocata imperò che, sí come l’omo è composto di terra, acqua, aria e foco, questo corpo della terra è il simigliante. Se l’omo à in sé ossa, sostenitore e armadura della carne, il mondo à i sassi sostenitori della terra; se l’omo à in sé il lago del sangue, dove cresce e discresce il polmone nello alitare, il corpo della terra à il suo oceano mare, il quale, ancora lui, cresce e discresce ogni sei ore per lo alitare del mondo; se dal detto lago di sangue dirivan vene, che si vanno ramificando per lo corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo de la terra d’infinite vene d’acqua. Manca al corpo della terra i nervi, i quali non vi sono, perché i nervi sono fatti al proposito del movimento, e il mondo, sendo di perpetua stabilità, non v’accade movimento e, non v’accadendo movimento, i nervi non vi sono necessari. Ma in tutte l’altre cose sono molto simili.

    (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pag. 1199)

    “Il mondo, sendo di perpetua stabilità, non v’accade movimento”. Leonardo, attento studioso della natura, non può certo ignorare il perpetuo movimento che anima il macrocosmo, al quale però manca il movimento volontario. Ed è proprio la volontà che differenzia l’uomo da tutti gli altri enti dell’Universo. L’uomo è - per questo - piú perfetto del mondo che lo circonda: il mondo, pertanto, non può essere modello per l’uomo, ma anzi, per Leonardo, lo studio sull’uomo fornisce uno strumento per interpretare il mondo.

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  14. gheagabry
     
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    LA SEZIONE AUREA



    La sezione aurea o rapporto aureo o numero aureo, nell'ambito delle arti figurative e della matematica, indica il rapporto fra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due. Lo stesso rapporto esiste anche tra la lunghezza minore e la loro differenza.
    In formule, indicando con a la lunghezza maggiore e con b la lunghezza minore, vale la relazione:
    (a+b) : a = a : b = b : (a-b)
    Tale rapporto vale approssimativamente 1,6180 ed è esprimibile per mezzo della formula:

    Il valore così definito, che esprime la sezione aurea, è un numero irrazionale (cioè non rappresentabile come frazione di numeri interi) e algebrico (ovvero soluzione di un'equazione polinomiale a coefficienti interi). Esso può essere approssimato, con crescente precisione, dai rapporti fra due termini successivi della successione di Fibonacci, a cui è strettamente collegato.
    Sia le sue proprietà geometriche e matematiche, che la frequente riproposizione in svariati contesti naturali e culturali, apparentemente non collegati tra loro, hanno impressionato nei secoli la mente dell'uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale "canone di bellezza"; testimonianza ne è forse la storia del nome che in epoche più recenti ha assunto gli appellativi di "aureo" o "divino", proprio a dimostrazione del fascino esercitato.
    La sezione aurea riconosciuta come un rapporto esteticamente piacevole è stata usata come base per la composizione di quadri o di elementi architettonici.

    In realtà è dimostrato che la percezione umana mostra una naturale preferenza e predisposizione verso le proporzioni in accordo con la sezione aurea; gli artisti tenderebbero dunque, quasi inconsciamente, a disporrre gli elementi di una composizione in base a tali rapporti.

    Gli artisti e i matematici del Rinascimento tra cui Leonardo da Vinci, Piero della Francesca, Bernardino Luini e Sandro Botticelli rimasero molto affascinati dalla sezione aurea.

    Allora essa era conosciuta come divina proportione e veniva considerata quasi la chiave mistica dell’armonia nelle arti e nelle scienze.

    De divina proportione è anche il titolo del trattato redatto dal matematico rinascimentale Luca Pacioli e illustrato da sessanta disegni di Leonardo da Vinci (1452-1519).

    Questo libro è stato pubblicato nel 1509 ed influenzò notevolmente gli artisti ed architetti del tempo, ma anche delle epoche successive.

    In questo trattato Pacioli ricercò nella proporzione dei numeri i principi ispiratori in architettura, scienza e natura: la regola aurea introdotta fu in seguito chiamata praxis italica. L’aggettivo divina si giustifica perché essa ha diversi caratteri che appartengono alla divinità: è unica nel suo genere, è trina perché abbraccia tre termini, indefinibile in quanto è irrazionale, è invariabile.

    Utilizzando la sezione aurea nei suoi dipinti Leonardo inoltre scoprì che, guardando le opere, si poteva creare un sentimento di ordine.

    In particolare Leonardo incorporò il rapporto aureo in tre dei suoi capolavori: La Gioconda, L’ultima cena e L'Uomo di Vitruvio.

    Nella Gioconda il rapporto aureo è stato individuato:
    nella disposizione del quadro
    nelle dimensioni del viso
    nell’area che va dal collo a sopra le mani
    in quella che va dalla scollatura dell’abito fino a sotto le mani.






    Ne L’Ultima cena, Gesù, il solo personaggio veramente divino, è dipinto con le proporzioni divine, ed è racchiuso in un rettangolo aureo.



    Ne L’Uomo, Leonardo studia le proporzioni della sezione aurea secondo i dettami del De architectura di Vitruvio che obbediscono ai rapporti del numero aureo. Leonardo stabilì che le proporzioni umane sono perfette quando l’ombelico divide l’uomo in modo aureo.

    Vitruvio nel De Architectura scrive:

    "Il centro del corpo umano è inoltre per natura l’ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l’estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi".




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  15. gheagabry
     
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    un approfondimento su



    LA DAMA e L'ERMELLINO



    Il settimanale OGGI nel 1996 a lettere cubitali sentenziava " La più bella di Leonardo non è Gioconda ma Cecilia’’, portando alla luce la storia di una splendida Dama del Rinascimento e di un ritratto al quale solo nel 1900 era stata attribuita la paternità. Questo fu come un preannuncio del trionfale ritorno in patria del prezioso ritratto dopo secoli di anonimia e di esilio.

    La ‘’ Dama con l’ermellino’’, il ritratto della splendida Dama con la bianca bestiola che ha tenuto in agitazione per gli ultimi cento anni i più grandi critici d’arte di tutto il mondo, riconosciuta solo nel 1900 come opera di Leonardo da Vinci, dopo quasi tre secoli d’ombra, ha ottenuto finalmente il riconoscimento e la fama che le spettano di diritto. Il ritratto, un tela di 54cm x 39 risale al 1485 e fu eseguito da Leonardo da Vinci , come ammettono gli esperti dal principio del secolo. Leonardo da Vinci, nel 1482 fu inviato da Lorenzo il Magnifico alla corte sforzesca per compiere lavori di varia natura, pittura, disegni architettonici, opere di bonifica e di difesa e vi restò fino alla fine del secolo. Dopo il 1536 della ‘’Dama con l’ermellino’’ si persero le tracce. Dopo tre secoli di silenzio, nel 1800 ritornò alla luce, scatenando una ridda di critici, specialisti e ricercatori di archivi, che dedicarono anni di ricerche per poter stabilire priima l’identità della Dama e poi la sua ‘’ paternità’’. Leonardo infatti, non firmava le sue opere nè rivelava il nome delle persone ritratte. Oggi tutti concordano nel riconoscere nella ‘’Dama’’ Cecilia Gallerani, l’amata di Ludovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano. Per arrivare a questa conclusione, gli studiosi dovettero interpretare il ritratto nel modo in cui si risolvono i rebus su una rivista enigmistica, cosa che il genio fiorentino amava in particolare. Sulla presenza, quindi, dell’ermellino, fu possibile riconoscere Ludovico il moro, ‘’L’italico morel bianco ermellino’(Bernardino Bellincioni) perchè il Duca era stato insignito dal Re di Napoli dell’Ordine dell’Ermellino. L’ermellino però è un animale alquanto selvatico, che è impossibile tenere in braccio come una gatta. Vennero presi quindi in considerazione altri animali, come la faina, la martora, la donnola, il furetto, una varietà albina della donnola. La faina fu scartata perchè adombra la lussuria e nessuna donna, nemmeno la più spregiudicata, e tanto meno la donna di un principe, ne avrebbe tollerato la vicinanza, ma neppure un pittore si sarebbe permesso di fare un simile accostamento, tanto meno Leonardo che conosceva benissimo il galateo di corte. La bestiola ritratta è quindi un furetto, tramite il quale Leonardo raffigurò simbolicamente l’ermellino, per facilitare la soluzione del rebus. Gli studiosi, sempre soffermandosi sulla donnola, trovarono la chave del mistero dell’identità della Dama: donnola in greco antico si dice galì e da galì arrivarono a Gallerani, Cecilia Gallerani, dopo di cui fu relativamente facile rifarne la storia. La Dama con l’ermellino ‘’ supera la Gioconda’’ - spiega il professore Flavio Caroli, ordinario di Storia dell’Arte al Politecnico di Milano- Il primo aspetto è quello della concezione del ritratto: Cecilia risente di quegli approfondimenti psicologici...che caratterizzavano il periodo milanese di Leonardo.Il secondo aspetto è la vivacità data dalla vivezza dei colori, della decisione dei gialli e dei rosa che lasciano trasparire la stessa fragranza, la stessa giocosità della vita di corte con i suoi capricci, le sue allusioni, le sue seduzioni. ‘’In questo ritratto’’ aggiunge il Prof. Pedretti ‘’ Leonardo riesce a cogliere la vita della persona... il pensiero è in movimento e il corpo è colto in un momento di transizione.



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