Lazio ... Parte 1^

RIETI..VITERBO..MONTEFIASCONE..TUSCANIA..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “..Domenica..vento leggero accompagna come su un binario invisibile la mongolfiera dell’Isola Felice su una rotta che ci porta verso ovest..leggo un libro, pagine cariche di storia..da lontano un monte, cima innevata ... il monte Terminillo...quelle pagine recitano queste parole..Il Latium, fu originariamente popolato da Ausoni, Volsci, Equi, Sabini, Falisci ed Etruschi e Latini. Nell'ordinamento amministrativo dell'Italia, ad opera di Augusto, il Lazio, costituì insieme con la Campania la I regione, divenendo di fatto estensione di Roma... scruto l’orizzonte, sotto di noi si estende il Lazio..la mia regione..Buon risveglio amici miei ... da oggi inizia il viaggio alla scoperta delle bellezze del Lazio.."

    (Claudio)



    RIETI..VITERBO..MONTEFIASCONE..TUSCANIA..PRIMI PASSI TRA LE MERAVIGLIE DEL LAZIO


    “Rieti… “è una bella città e di struttura aristocratica”, osservava Guido Piovene nel suo viaggio in Italia. “Dalla cattedrale romanica al duecentesco Palazzo dei Papi, dai potenti archi gotici ai quartieri con viuzze , scalinate esterne, torri mozze ed archivolti, dalla Loggia del Vignola alle molte dimore nobiliari, la città aduna un nucleo di aristocrazia romana e ne porta l’impronta” annotava lo scrittore negli anni Cinquanta….”

    “Collalto Sabino è un piccolo borgo medievale che si trova in Provincia di Rieti … vicoli stretti e scoscesi, ricoperti da sampietrini, che confluiscono in una piazza molto graziosa che, al centro, presenta una bellissima fontana dalla quale zampilla acqua fresca….il Castello Baronale una possente struttura, che ti proietta con la fantasia nel suo periodo storico …Curato nei minimi dettagli, a partire dal ponte levatoio fino alle rifiniture e agli ornamenti degli spazi interni, camminando tra le stanze si ha realmente l’impressione di ritrovarsi indietro nel tempo di qualche secolo!”

    “..la Tuscia viterbese è un territorio dalle mille facce… le sue antichissime terme …i quartieri medievali, sui quali lo scorrere dei secoli è stato particolarmente clemente, consegnandoceli in maniera pressoché intatta….La cultura viterbese affonda le sue radici in una storia millenaria e in un ambiente variegato e ricco dal punto di vista naturalistico…Gli Etruschi, le tradizioni agricole, la cultura contadina ..le antiche usanze e credenze di un territorio legato a filo doppio alla sua storia, ai suoi borghi, ai suoi paesaggi..la Tuscia viterbese un “unicum” che al suo interno presenta però infinite sfumature….”

    “Viterbo è conosciuta anche come la Città dei Papi, essendo stata sede del papato per ventiquattro anni, dal 1257 al 1281…Le origini della città risalgono ai primi insediamenti etruschi .. Il XIII secolo fu uno dei più turbolenti e al contempo gloriosi per la città…nella prima metà del secolo Viterbo fu sconvolta dalle lotte interne tra casate e fazioni opposte (Gatti, guelfi, e Tignosi, ghibellini), oltre a trovarsi al centro dei contrasti tra impero e papato e impegnata in dispute con le città circostanti…fino a quando il territorio fu sotto il diretto controllo dello Stato Pontificio….la cinta muraria con i merli a coda di rondine tipici delle cittadine guelfe e le 7 porte di accesso al centro abitato, tra cui si segnalano “porta Romana” e “porta Fiorentina” ubicate rispettivamente in direzione delle omonime città….il Palazzo Papale risalente al periodo di dominazione pontificia da cui deriva l’appellativo di “città dei Papi”. La storia narra che i cardinali che avevano il compito di eleggere il nuovo Pontefice, trovandosi particolarmente bene nella città, prolungarono i tempi del consiglio fino a raggiungere i tre anni. I cittadini Viterbesi, stanchi di sfamare gli alti prelati decisero allora di fornire solo pane e acqua, chiudere a chiave (cum clave) i portoni dell’edificio e togliere il tetto al palazzo in maniera tale che i religiosi, ormai stremati, definirono in breve tempo il nome del nuovo Papa. A seguito di tale vicenda nacque l’abitudine di chiudere i cardinali in una stanza fino alla fatidica “fumata bianca” ed ebbe origine la parola “Conclave”…. Le acque termali ..nelle “pozze” di acqua sulfurea …Dante, il sommo poeta, ne elogia le caratteristiche nel XIV canto dell’Inferno con le seguenti parole..“Quale del Bullicame esce ruscello..che parton poi tra lor le peccatrici..tal per la rena giù sen giva quello…Lo fondo suo ed ambo le pendici…fatt’eran pietra e margini di lato.“… Viterbo è attraversata dalla strada statale Cassia, che la collega a nord con Siena e a sud con la Capitale..è vicino ai Colli Cimini di natura vulcanica ed in prossimità di due laghi: di Vico e di Bolsena…Famosa per le sue belle fontane: fontana grande, quella della Rocca, di S. Faustino, dei Leoni e varie fontane a forma di fuso di origine medioevale.. Piazza del Comune con la torre dell’orologio, la splendida sala Regia che conserva affreschi che ricordano la storia della città. Il sarcofago della bella Galiana che accolse il corpo di una ragazza vissuta nel 1138, uccisa da un ammiratore respinto, poi piazza del Gesù nella cui chiesa nel 1271 fu ucciso Enrico di Cornovaglia, nipote del re d’Inghilterra…. Fino ad arrivare al Duomo e al Palazzo dei Papi con il suo salone del conclave, qui furono eletti ben 5 pontefici”

    “L’antica via Francigena nel suo ultimo tratto attraversa numerosi centri… Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vetralla, Capranica, Sutri: centri ricchi di testimonianze storico-artistiche e di monumenti religiosi..”

    “Tuscania è un piccolo comune in provincia di Viterbo che si erge su una collinetta che domina tutto il territorio circostante….Oltre la passata presenza della civiltà etrusca, Tuscania è stata molto attiva anche durante il periodo della dominazione romana e durante il periodo del Medioevo. Fu però durante il Feudalesimo che diventò una delle città più importanti del Lazio… vennero costruiti palazzi, torri e anche il famoso Castello del Rivellino, che domina dal colle la città….la Chiesa di San Pietro, che sorge sull’omonimo colle …la Chiesa di Santa Maria Maggiore con la sua facciata ricca di portali finemente decorati… i resti delle Mura di Tuscanica … blocchi poligonali di tufo e che, in passato, rappresentavano il sistema difensivo della città.”

    “Bomarzo è un bellissimo paese…il Parco dei Mostri.. inoltrarsi in un vero e proprio paese delle favole…. creato dal nobile Orsini presso la sua tenuta .. l’idea era quella di un labirinto pieno di simboli, dove perdersi tra le immense statue e le creature mostruose che esse rappresentano…quest’ultime sono immerse in un paesaggio verdeggiante nel quale si inseriscono in maniera quasi naturale, pronte a creare quell’atmosfera di fiaba che aleggia nell’aria …Numerosissime sono le figure mitologiche …dalla realistica raffigurazione di un Orco, che ha come testa una piccola grotta le cui finestre rappresentano gli occhi e la grande porta la bocca ben aperta, alla rappresentazione di Pegaso.. un gigantesco cavallo alato completamente in pietra…Caratteristica è la cosiddetta Casa Pendente… con le sue pareti e i suoi soffitti inclinati, crea un effetto suggestivo … tantissime altre sono le statue che compaiono tra un albero e l’altro; c’è la Tartaruga, Ninfeo, la Nuda abbandonata, Plutone, l’Elefante, il Vaso Gigante, il Drago…”

    “La storia di Bolsena è complessa e millenaria Bolsena è una città che conserva le tracce del suo antico passato nelle mura etrusche e nei resti della città romana …la Rocca Monaldeschi della Cervara di origine medievale, la Basilica di Santa Cristina e le catacombe…A Bolsena troviamo il più grande lago vulcanico d’Europa: un immenso specchio d’acqua, i cui resti di coni vulcanici si sono trasformati nelle isole di Martana e Bisentina, ricche di storia e arte. Il lago, calmo o agitato al primo soffio di vento, colorato di rosa o rosso intenso al tramonto, così luminoso da essere abbagliante.”

    “Non lontano da Roma, e a pochi chilometri da Viterbo, si trova il comune di Vitorchiano. Un borgo antico e famoso in tutto il mondo grazie ai Fedeli di Vitorchiano. Tutti abbiamo visto questi uomini, alti, in uniforme fare il picchetto d’onore in Campidoglio, da quando nel XIII secolo si stabilì l’alleanza tra questo comune e la capitale….Questo paese sorge su un’ampia rupe di peperino, una pietra locale che ha origine lavica e che in alcuni momenti regala riflessi perlacei in altri invece riflessi rosati. Un tempo veniva estratta e lavorata per farne parte integrante dell’architettura dei palazzi, come dimostra questo paese. Abili mani di artigiani scalpellini ne facevano opere d’arte..Entrando in paese da Porta Romana e proseguendo sino alla piazza si possono vedere le case, pulite ed eleganti, tutte rigorosamente in peperino, che creano una atmosfera che sa di Medioevo..ogni vicolo nasconde logge, stemmi araldici, profferli sorretti da archi… la pavimentazione in ciottolo….Piazza Roma ..il palazzo comunale con le sue bellissime finestre a croce guelfa e il suo fregio..e poi la fontana del XIII secolo….lavorata ed arricchita di archetti, con gli emblemi dei 4 evangelisti e qui non poteva mancare il fregio “SPQR” che ricorda l’alleanza con Roma…Tutto questo racchiuso nelle mura, costruite nel ‘200 che abbracciano e proteggono questo borgo sul lato sud, l’unico accessibile e possibile di attacchi. Vitorchiano è inaccessibile da altri lati, perché a strapiombo sulla roccia che vede le case sorgere quasi come le dita da una mano…”

    “Castiglione in Teverina è a due passi da altre bellissime attrazioni quali il Parco fluviale del Tevere e il lago di Corbara….La zona territoriale della valle dove si trova Castiglione è interessante per via della presenza dei calanchi, un fenomeno erosivo dei terreni argillosi dovuto all’azione dell’acqua piovana… il risultato dell’azione dell’acqua sulle terre interessate è che mentre alcune zone sono verdi e fertili altre hanno scarsa vegetazione a causa della franosità del terreno e questo fornisce al paesaggio un tocco di originalità in quanto il verde è presente “a macchie”.”

    “Montefiascone…deve il suo nome al fatto che i Falisci, dopo che furono sconfitti dai Romani, si trasferirono nella località, a 600 metri sul livello del mare, su cui fondarono il centro abitato….il paese si specchia nel lago di Bolsena …La storia ci racconta che nel 1111 il vescovo Johannes Defuk si recava a Roma accompagnato da dame, nobili e cavalieri per assistere all’incoronazione di Enrico V. Il Vescovo era quella che si dice “una buona forchetta” e apprezzava anche il buon vino, per questo si faceva precedere dal suo servitore, tale Martino, che aveva il compito di valutare i migliori vini della zona e segnalarne la presenza con la scritta “Est”, ovvero “C’è”, e raddoppiare la segnalazione “Est Est” se il vino fosse da considerarsi davvero ottimo. Martino, una volta giunto a Montefiascone, trovò talmente buono il prodotto delle cantine locali da segnalarlo con un triplice “Est”. Johannes Defuk rimase particolarmete colpito da questo nettare che si stabili proprio nel paese, ove trascorse il resto della vita, e ancora oggi sulla sua tomba, nella chiesa di San Flaviano, si può osservare l’epitaffio che il fedele servitore scrisse “Per il troppo EST! qui giace morto il mio signore Johannes Defuk”… la cattedrale di Santa Margherita… la sua cupola che per diametro interno è una tra le piu grandi esistenti, terza in Italia dopo quella di San Pietro e quella di Santa Maria del Fiore a Firenze. I puristi storceranno il naso, in quanto alcuni considerano la cupola del Brunelleschi una volta ottagonale e in questo caso il duomo di Montefiascone avrebbe la seconda cupola più grande d’Italia, un bel record per un piccolo paesino”
    “Nell’alta Tuscia, a pochi chilometri dalla Toscana si erge su uno sperone tufaceo Grotte di Castro. La piccola cittadina di origini etrusche, storia medioevale, chiese barocche e le immancabili bellezze naturali del Lago di Bolsena .. la necropoli di “Pianezze” che testimonia la presenza di antichi insediamenti etruschi; tra le tombe che si possono visitare, particolare attenzione merita la cosiddetta “Tomba Rossa”, chiamata così dal fatto che al suo interno sono disegnate, con pitture colorate, le strutture architettoniche di quelle che erano le abitazioni etrusche…”
    “Tarquinia è patrimonio mondiale UNESCO per la necropoli etrusca con le sue tombe dipinte.. tempio etrusco dell’Ara della Regina e dell’antica Tarkna…. il centro storico medievale ben conservato e racchiuso nella possente cinta muraria .. ricco di splendide chiese, tra le quali la suggestiva Santa Maria in Castello, alte torri, piazze e vie dagli scorci caratteristici, splendidi palazzi tra cui Palazzo Vitelleschi sede del Museo Nazionale Etrusco che custodisce, oltre a una delle più cospicue raccolte di reperti etruschi, anche il fregio dei Cavalli Alati.”

    “C’era una volta… così cominciano tutte le fiabe che si rispettino, e Bagnoregio con la sua atmosfera irreale non può che essere descritto come un luogo in cui il tempo si è fermato…Il nome del paese (Balneum Regis, bagno de re) deriva quasi certamente dall’antica presenza di acqua sulfurea nella zona. Leggenda vuole che Desiderio, re dei longobardi, venne curato da un male ignoto grazie agli effetti benefici di tali acque….. ebbe i natali nel 1217 San Bonaventura, al secolo Giovanni Fidanza famoso teologo e filosofo, considerato uno dei più importanti conoscitori della vita di San Francesco di Assisi…La città che muore… frazione di Civita di Bagnoregio i è un piccolo borgo medioevale che si trova su un colle tufaceo circondato dalle valli dei torrenti Chiaro e Torbido. Da lontano appare come i piccoli paesini delle fiabe che si ergono sulle anguste rocce..Il basamento del colle di tufo è costituito da argilla, per cui, con il passare del tempo, il processo erosivo degli agenti atmosferici porta ad un corrosione che piano piano causerà l’inevitabile “morte” della città.”















    Incoronata dalla cerchia dei Monti Sabini e dei Monti Reatini, la conca di Rieti si distende in tutta l'ampiezza dei suoi 90 chilometri quadrati, solcata dalle acque veloci e limpidissime del fiume Velino e da quelle dei suoi affluenti, il Salto ed il Turano.

    E' pianura ma fu lago, acquitrinio e palude. L'ampia distesa di acque oggi sopravvive nelle piccole superfici dei laghi Lungo e Ripasottile, che brillano al sole come frammenti di specchi.

    In epoca quaternaria il fiume Velino, accumulando depositi, aveva incrostato il suo alveo ed ostruito il suo corso verso il fiume Nera e le acque refluivano ad allagare la piana. Nel III secolo a.C., Manio Curio Dentato scavò la cava curiana, ovvero aprì un varco in quei sedimenti (chiamati ciglio di Marmore), ed il fiume fu libero nel salto della cascata.

    Guardiamo ammirati alla potenza di quell'opera, alla grandiosità del lavoro, all'intuizione tecnica del progetto. Un intervento che ha mutato profondamente la natura dei luoghi senza intaccarne la bellezza. Semmai, alcuni problemi ne derivarono agli abitanti della vicina Valnerina!

    Di una delle prime controversie sorte fra Rieti e la Valnerina si occupò nel 54 a.C. un avvocato a quel tempo famoso, il più famoso del foro romano, Marco Tullio Cicerone. Ma non finì lì, continuarono, fino al XVIII secolo, aspre contese fra reatini e ternani e qualche volta si sfiorò anche la guerra. Di tanta acqua il panorama conserva l'impronta nella forma arrotondata di bacino, nella conca che le montagne circondano ed accolgono.

    Ai margini, i bordi della piana si innalzano nelle vette, alte fino ad oltre i 2000 metri, dei monti Reatini e nelle falde più dolci dei monti Sabini. Le pendici sono boscose, i luoghi gravi e sereni. Atmosfere suggestive che hanno ispirato spiritualità e poetiche meditazioni.

    Su un colle, ancorata ad uno sprone di marmo travertino, difesa dalla sua imponente cerchia di mura e dal fiume Velino, la città di Rieti, è medium totius Italiae, il centro della nostra penisola. Città antica. più antica di Roma, si chiamò Reate, nome forse dedicato a Rea, la madre di tutti gli dei. O forse il nome fu ispirato dall'acqua? Nella radice greca, reo, è il significato di scorrere, sarebbe dunque l'acqua, carattere dominante di questa terra, a dare identità al luogo.


    Rieti

    capoluogo dell'omonima provincia ancor'oggi chiamata Sabina. La sua area urbana si estende per circa 1200 ettari superando i confini comunali e inglobando, con l'area industriale e con la frazione residenziale di Santa Rufina, il territorio del Comune di Cittaducale. Tradizionalmente ritenuta il centro geografico d'Italia, sorge lungo una fertile pianura alle pendici del Monte Terminillo. È caratterizzata da estati calde ed inverni con temperature notturne spesso inferiori allo zero. La bellezza del paesaggio e la quiete dei luoghi ne fanno un posto assai vivibile e meta privilegiata di molti turisti, provenienti soprattutto dalla vicina Roma. Così come la sua provincia nella quale si trovano le sorgenti del Peschiera e che fornisce molta dell'acqua necessaria al comune di Roma ( circa 550 milioni di metri cubi ogni anno), Rieti è una città ricca d'acqua e sul suo territorio comunale si trovano le Fonti di Cottorella.

    Ponte romano di Rieti

    Il ponte venne costruito nel III secolo a.C. Si tratta di una parte del viadotto che, anticamente, conduceva alla città e che corrisponde al tracciato dell'attuale via Roma. La struttura originaria è crollata e si trova immersa nelle acque del fiume Velino riemergendo a tratti.

    Capoluogo di provincia, Rieti e il suo territorio anticipano in terra laziale la dolcezza umbra; centro agricolo, commerciale e industriale, si trova alle pendici del Terminillo lungo le rive del Velino. Antica capitale dei Sabini e poi possedimento romano, Rieti fu patria degli imperatori Flavi; nel 271 a.C. la zona fu bonificata deviando le acque del Velino nel fiume Nera e dando origine alla Cascata delle Marmore. Alla fine del XII sec., la città passò alla Santa Sede e tranne il breve periodo in cui fu sotto il dominio del re di Napoli, rimase alla Chiesa. Dopo l’annessione all’Italia, fece parte dell’Umbria e dal 1923 fa parte del Lazio. La città, di carattere medievale, conserva ancora la cinta muraria duecentesca rinforzata da torrioni; di epoca romana resta parte del ponte sul Velino e i resti del viadotto che oltrepassava il fiume a sud di Rieti. La porta Cintia, immette nell’omonima strada che fiancheggia il Palazzo Vescovile (1283) che ha sulla facciata due ampi archi che sostengono un’artistica loggia, mentre l’interno è occupato dalle volte del Vescovato; grandioso il portico a due navate con archi gotici. Dal palazzo si distacca l’Arco del Vescovo, imponente cavalcavia con due volte a crociera, voluto da Bonifacio VIII.









    ponte velino





    All’inizio del XX secolo l’immagine complessiva di Rieti, era raccolta entro la cinta muraria medievale e il fiume Velino, che ne difendeva il lato meridionale. La straordinaria abbondanza d’acqua, determinata dalle grande quantità di pioggia provocò diverse inondazioni nell’intera pianura, fuoriuscendo dagli argini e rendendo molte zone paludose e malsane. Come maggiore responsabile di tale problema, venne indicato l’antico ponte Romano, che collegava il borgo con la città. Nel 1926, si convenne di abbatterlo e di costruirne un altro in cemento armato, ma la demolizione risultò difficoltosa poichè i cunei dell’arcata centrale erano ben saldati tra loro. Il nuovo ponte, ad un’unica arcata venne inaugurato nel 1932, portando un effettivo miglioramento alla situazione interna della città. Il 6 giugno del 1944, in occasione del bombardamento del rione Borgo da parte di tedeschi in ritirata, questo ponte venne abbattuto e al suo posto ne venne realizzato un altro attualmente visibile.



    Resti del ponte romano affiorano dall'acqua



    Il Velino di Rieti



    12-07-2006
    Il Monumento alla Lira in Rieti, realizzato nell'ambito delle "Celebrazioni della Lira Italiana"



    Organo di Dom Bedos

    Un gioiello dell'arte organaria, ovvero una ricostruzione di organo antico monumentale secondo Francois Dom Bedos de Celles, puo' essere ammirato nella città di Rieti, presso la chiesa dugentesca di San Domenico. L'organo e' stato realizzato dall'organaro italo-francese Barthelemy Formentelli secondo i trattati di Dom Bedos per la parte fonica e sul trattato di falegnameria coevo di Andreas Roubo per la cassa. Lo strumento e' un omaggio all'organaro-esperto francese Dom Bedos, nel tricentenario della morte (1709-2009). L'organo e' stato voluto fortemente da un comitato di reatini: il comitato San Domenico (Onlus), che già nel 1999 ha portato al restauro e a nuova vita la chiesa dugentesca di San Domenico, abbandonata alla rovina causa l'incuria di coloro che l'avevano in concessione. Oggi la chiesa e' di nuovo disponibile ai cittadini per attività civili e in primis, religiose. Lo strumento misura 14 metri e si basa su un principale di 32 piedi ed e' stato allocato dietro all'altare, di fronte all'abside; fa tripletta, nel panorama organario europeo, per caratteristiche foniche e costruttive, con l'antico fratello di Bordeaux e con il Moucherel di Albi; tutti e tre hanno difatti 5 tastiere con la terza detta "di bombarda". L'organo Dom Bedos di Rieti è un lavoro artistico di alto livello: al visitatore resta difficile distinguerlo da un organo antico, per la fattura delle lavorazioni e degli intagli fitomorfi ed ispirati a temi musicali. L'organo è visitabile liberamente durante gli orari d'apertura della Chiesa di San Domenico in Rieti. Francois Dom Bedos de Celles era un monaco benedettino francese, che fu incaricato dalla Reale Accademia delle Scienze di Francia di redigere un trattato enciclopedico sull'arte di costruire gli organi da Chiesa (1760). Il trattato e' l'Art du Factuer d'Orgue,che insieme al coevo L'Art du Menuissier Carrossier di Andreas Roubo ha ispirato l'organo di Rieti. Attualmente il suo più importante organo è in Saint Croix, Bordeaux, Francia, restaturato da Pascal Quorin sotto la supervisione di Francis Chapelet e Xavier Darasse. Francis Chapelet ha verificato e approvato l'organo Dom Bedos di Rieti come un vero Dom Bedos de Celles (2009).



    Mura di Rieti

    La città di Rieti, lungo un solo lato, è percorsa da mura, munite anche di torri, di età medievale.



    Porta d'Arci

    Questa porta, nota anche come Porta D’Arce (nome non corretto ma molto diffuso), venne aperta nel XIII secolo ( anche se in origine vi sorgeva un'altra porta nota come Porta Interocrina dall’antico nome dell’odierno Antrodoco) e prende il nome da fortificazioni romane (dette arci appunto) che un tempo difendevano la via Salaria. La porta aveva dunque un valore strategico non indifferente tanto che nel 1372, per ordine del vescovo di Lucca vi venne fatta costruire sopra una fortezza a scopo di migliorare il controllo del varco.



    Cattedrale di Santa Maria

    La cattedrale di Rieti, dedicata all'Assunta, fu costruita a partire dal 1109 sotto il vescovo Benincasa, sul luogo dell'antica basilica di Santa Maria (sec. VI). Venne consacrata da papa Onorio III nel 1225. Il campanile, iniziato nel 1252, è opera dei maestri Andrea, Pietro ed Enrico. Alla base si legge ancora un brano di dipinto, in cattivo stato di conservazione, con il Miracolo della Campana (1510), di Marcantonio Aquili. A sinistra della facciata sorge il Battistero del sec. XIV, coperto con due volte a crociera. Attualmente ospita il Museo dell'Opera del Duomo. Un ampio portico, voluto dal vescovo Capranica nel 1458, collega il Battistero alla chiesa e al campanile. La facciata della chiesa, rimasta incompiuta nella parte superiore e in quella inferiore, fu restaurata in stile romanico nel 1941. È aperta da tre portali, di cui quello centrale romanico ornato con raffinati girali d'acanto, le tre lunette conservano affreschi della fine del Quattrocento. A sinistra della facciata sono incassati il sarcofago e lo stemma del vescovo Capranica. L'interno ha una sontuosa veste barocca, la pianta è a croce latina divisa in tre navate. Le navate erano separate da colonne; nel 1639 il cardinale Di Bagno, vescovo di Rieti, fece incorniciare le colonne da potenti pilastri rettangolari gettandovi cinqe arconi per lato e coprì di volta il soffitto a travatura scoperta della navata centrale. La cupola attuale risale al 1794; il pavimento, del 1889, è stato recentemente rifatto sul modello precedente. I finti marmi dell'interno sono opera del reatino Cesare Spernazza (1884). Ai lati delle navate si aprono dieci cappelle che conservano capolavori di straordinario interesse, mentre una cappella affaccia sul transetto. Tra gli artisti che hanno lasciato la loro opera nella chiesa: Andrea Sacchi e Giovanni Antonio Mari su bozzetto del Bernini. La cripta, iniziata nel 1109, fu consacrata nel 1157. Costituita da un'unica navata scandita da sedici colonne in travertino, conserva frammenti di dipinti del XIV sec



    La valle su cui sorge Rieti è denominata anche Valle Santa. Questo principalmente per il legame con la figura di S. Francesco d'Assisi, che vi soggiornò per alcuni anni lasciando ai suoi margini quattro santuari disposti a croce: La Foresta, Poggio Bustone, Fonte Colombo, Greccio.



    Cammino di Francesco

    La pianura sulla quale si estende la città, viene chiamata anche Valle Santa per il suo legame con San Francesco d'Assisi. Le tracce più evidenti del passaggio di Francesco, sono i quattro santuari che sorgono presso Greccio, La Foresta, Fontecolombo e Poggio Bustone. Nel 2003 è stato istituito un percorso di circa 80 km diviso in otto tappe, che permette di raggiungere i quattro luoghi ripercorrendo le strade sulle quali passò il Santo, toccando quindi anche mete come il centro di Rieti e il Terminillo. Per permettere al turista di orientarsi lungo il tragitto, sulle strade interessate sono dislocati alcuni cartelli in legno con le indicazioni necessarie a raggiungere i luoghi e dei segnali, con la forma del logo del cammino, in vernice gialla sulle pavimentazioni stradali. Per il pellegrino è disponibile anche un attestato, chiamato “Passaporto”, che documenta l'effettivo compimento del percorso. Esso va ritirato presso uno dei quattro santuari Francescani e va fatto timbrare ad ogni tappa. In più, se il percorso viene compiuto in non meno di due giorni, si può richiedere l'”Attestato del pellegrino” all'Ufficio del Cammino di Francesco.

    Palazzo Vescovile:

    La costruzione del palazzo vescovile, spesso chiamato anche palazzo papale, posto in posizione adiacente alla cattedrale, iniziò nel 1283[48]. La facciata principale presenta una loggia coperta da un tetto sorretto da due colonne in pietra e da un pilastro centrale. In passato tale loggia era raggiungibile direttamente dalla piazza, grazie a una scalinata in pietra che fu poi demolita in epoca moderna ed è oggi visibile solo in alcune foto d'epoca. Il piano terra è caratterizzato da sei pilastri che dividono l'ambiente in due parti e sostengono la grande volta a crociera.

    Gli archi del palazzo vescovile







    Il lago di Bolsena, l'antico Volsiniensis Lacus, nel Medioevo chiamato anche lago di Santa Cristina, è il più vasto lago europeo di origine vulcanica. Occupa un'ampia e profonda depressione dal contorno approssimativamente ellittico e dalle sue acque emergono due piccole isole, quasi certamente resti di conetti vulcanici: l'isola Bisentina, a meno di 2 km dal promontorio di San Bernardino, e l'isola Martana, a quasi 1,5 km dalla riva meridionale. Emissario del lago è il fiume Marta, che ne esce a sud presso l'abitato omonimo. I versanti sul lago sono coltivati prevalentemente a vigneto e oliveto, ma sono presenti ancora alcuni lembi forestali; nelle due isolette è presente la macchia mediterranea.
    Bolsena è una ridente località di villeggiatura estiva, posta sulla sponda nord-orientale del lago. E' formata da un borgo medievale adagiato sul declivio interno della conca e da una parte moderna che si prolunga nel piano verso la riva. Il territorio è abitato fin dall'antichità, come testimoniano i resti di centri abitati preistorici e le vaste necropoli etrusche e romane. La località è nota anche per il "Miracolo di Bolsena", raffigurato da Raffaello nelle Stanze Vaticane e che dette origine alla costruzione del Duomo di Orvieto.



    Corte Palazzo Vecchiarelli

    Via Roma



    Monte Terminillo

    è un massiccio montuoso, la cui vetta più elevata raggiunge i 2217,13 m (nuova rilevazione, precedentemente l'altezza era di 2216 m s.l.m.). Appartenente al gruppo dei Monti Reatini dell'Appennino Abruzzese, situato a 20 km da Rieti e a 100 km da Roma. Fino al 1927 la vetta e gran parte del complesso appartenevano alla provincia dell'Aquila, essendo ricadente nel territorio del comune di Leonessa. È una località sciistica, con 8 impianti di risalita dislocati tra 1500 e 2108 metri di quota, 40 km di piste dedicate allo sci alpino e 20 km di tracciati dedicati allo sci nordico. È collegato con Rieti attraverso la Strada Statale 4 bis del Terminillo. La vicinanza con la capitale ha fatto sì che venga anche colloquialmente indicato come "la montagna dei romani". I turisti provenienti dalla capitale ne frequentano infatti spesso le piste sciistiche; inoltre l'appellativo si può anche spiegare col fatto che, a differenza delle altre cime oltre i 2000 metri dell'Appennino centrale, il Terminillo è spesso visibile da Roma, specie nelle limpide giornate invernali, nelle quali appare la candida sommità innevata della montagna.

    monte terminillo 2200 m.



    Alcune immagini del lago doi bolsena











    Riserva parziale naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile

    è una riserva naturale regionale situata all'interno della Provincia di Rieti, fra i comuni di Rieti, Cantalice, Colli sul Velino, Contigliano, Poggio Bustone, Rivodutri ed è gestita dagli ultimi 5 comuni e dalla comunità montana del Reatino V zona. Si trova a 7 km da Rieti, 29 km da Terni, 61 km da L'Aquila, 84 km da Viterbo e da Roma.

    p align="center">Lago Lungo

    Lago Ripasottile





    Montefiascone si trova in posizione panoramica sull'alto di un colle coronato dal Duomo che domina il lago di Bolsena. E' un importante centro agricolo, famoso per i suoi vini, e una graziosa località di villeggiatura. Sorge sul luogo ove si ritiene fosse, in epoca etrusca, il Fanum Voltumnae, santuario dove si adunava la confederazione delle dodici città etrusche. Il colle su cui sorge la cittadina è parte del ciglio del vasto cratere di Montefiascone, uno dei crateri parzialmente conservati del distretto vulcanico volsinio, il cui fondo digradante verso il lago è fittamente coltivato. Vi si producono da sempre molti vini, tra cui il celebre Est! Est! Est!, il cui nome è legato a una notissima storiella.







    Le verdure più famose di Viterbo sono certamente le carote in agro-dolce, riportate anche nel talismano della felicità di Ada Boni con il titolo «Barbabietole in bagno aromatico (carote di Viterbo)»; nella descrizione della ricetta la famosa gastronoma parla erroneamente di barbabietole «a forma allungata come quelle gialle». Ebbene queste barbabietole sono vere e proprie carote di colore viola e con nodo quasi assente, riportate anche nei testi di agronomia, perché ricche secondo gli esperti non già di pigmenti carotenoidi, bensì di pigmenti antocianici. A Viterbo e, secondo notizie riportate su testi di agraria, anche in altre zone, venivano chiamate pastinache. Attualmente di questa varietà, secondo ricerche da noi fatte in Italia ed in alcune nazioni europee, non si riesce più a reperire il seme poiché per una proprietà di queste piante è facile l’incrocio e quindi la degenerazione della cultivar quando vengono seminate vicino ad altre varietà di carote. Ultima custode gelosa di questo seme è rimasta a Viterbo la famiglia di un noto professionista che pazientemente riesce ancora a raccoglierne la quantità sufficiente per mantenere la tradizione casalinga di questo piatto. Fino a qualche anno fa anche le suore di clausura del Monastero di S. Rosa, la santa di Viterbo, preparavano e conservavano, per farne dono a benefattori ed amici, le famose carote, ma attualmente hanno smesso di produrle per mancanza di semi. L’origine di questo piatto si perde, come tante altre cose viterbesi, nella leggenda etrusca. Nessuna notizia di esso compare nelle cronache medioevali, al tempo della presenza dei Papi a Viterbo, mentre la prima notizia certa, risale al 1827, anno in cui è datata una certa ricetta di queste carote che il solerte dottor Attilio Carosi ha ritrovato fra i tanti documenti della Biblioteca degli Ardenti di Viterbo. Per molti anni queste carote vennero preparate prevalentemente dalle famiglie aristocratiche di Viterbo e conservate in artistici vasetti di terracotta dei quali si conservano ancora alcuni esemplari che andrebbero raccolti come testimonianza del costume e delle tradizioni locali. Successivamente gli Schenardi, proprietari dell’omonimo famoso caffè, si diedero alla confezione di queste carote, perfezionandosi al punto da ottenere il primo premio all’Esposizione di mostarde e carote tenutasi in S. Francesco a Viterbo nel 1879. Successivamente anche il droghiere Giovan Battista Ciardi si dedicò alla produzione di questi vasetti, durata fino a dieci anni fa, quando iniziò appunto l’inquinamento della cultivar. Secondo notizie non ben controllate, ebbero modo di apprezzare questa specialità viterbese Giuseppe Garibaldi e Gregorio XVI, Ferdinando IV e Carolina d’Austria, mentre, sempre secondo alcune voci, abituali consumatori erano i regnanti di casa Savoia.
     
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    QUANDO SI VA A RIETI NON SI PUO' NON ANDARE IN QUESTO PAESINO, TIPICO DEI LUOGHI DI QUESTA ZONA ... MA DIVENUTO FAMOSO PER AVER DATO I NATALI AL PIU' GRANDE ARTISTA CANORO ITALIANO .... LUCIO BATTISTI ....



    Poggio Bustone

    è un comune di 2.179 abitanti della provincia di Rieti. Le radici di Poggio Bustone si perdono nella notte dei tempi ma i primi documenti che attestano la sua esistenza risalgono al XII secolo. La struttura della parte vecchia del paese ricorda, per molti aspetti, quella dei classici paesi medievali. Girando per le strade del piccolo borgo si possono osservare la porta ad arco gotico (detta del " Buon Giorno"), che è l'antico ingresso al paese e la Torre a pianta pentagonale del Cassero facente parte di un castello di cui restano oggi soltanto dei resti. Poggio Bustone è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stata insignita della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

    Poggio Bustone è il paese natale del celebre musicista e cantante di musica leggera Lucio Battisti, che è ricordato con una statua in bronzo in un parco intitolato "Giardini di marzo" e con varie attività culturali senza scopo di lucro.

    Lucio Battisti a Poggio Bustone nel 1969





    Bagnoregio è una tranquilla cittadina di nobile aspetto che sorge allungata su uno sperone tra due profondi solchi, i valloni di Bagnoregio e di Lubriano. Dal belvedere si spazia sulla Valle dei Calanchi, su cui emerge Civita di Bagnoregio, "il paese che muore", che a seguito delle continue erosioni vede progressivamente ridursi il suo centro abitato. I due borghi sorgono infatti su banchi di tufo molto sottili e poggiano su argille azzurre plioceniche fortemente attaccate dalle acque dilavanti, causando continui franamenti. Nonostante le traversie subite nel corso della sua lunga storia, la cittadina di Bagnoregio conserva ancora molti monumenti, soprattutto nel centro storico, come la Cattedrale di San Nicola, il Palazzo comunale e la chiesa di Sant'Agostino, costruita nel secolo XI e trasformata in forme gotiche nel secolo XIV.

    Collalto Sabino

    è un comune di 466 abitanti della provincia di Rieti. Sorge su un picco a Sud del Lago del Turano, al confine con l'Abruzzo. Ha una storia molto antica e un affascinante castello baronale, ora privato, più volte restaurato e modificato nel corso dei secoli. È gemellato con il comune di La Tagnière, Francia.

    Castello di Collalto Sabino


    Interno a Collalto Sabino





    Civita di Bagnoregio è su una collina di argilla e ha mantenuto intatta la sua struttura medievale. Un ponte la unisce a Bagnoregio, che sembra sospeso sul nulla. Le due cittadine si trovavano un tempo nella zona chiamata Balneoregium dallo stesso re Desiderio che pare abbia miracolosamente curato una malattia con le acque termali di questa zona. Il re Desiderio lo vediamo spesso legato ad "acque miracolose" e non è la prima volta che attorno a lui avviene qualcosa di magico. La fonte curativa dovrebbe esistere ancora oggi (fonte delle Colonne zona chiamata dell'Uncino) , che un tempo era possibile raggiungere con una stradina che partiva dalla chiesa di Santa Maria della Maestà, oggi non più esistente perchè crollata nel 1695. Un tempo era possibile entrare da 5 porte, ma oggi l'entrata è una sola, e decisamente visibile!




    Abbazia di Farfa

    (monastero della congregazione benedettina cassinese), prende il nome dall'omonimo fiume (il Farfarus di Ovidio) che scorre poco lontano e che ha dato il nome anche al borgo adiacente l'abbazia. L'Abbazia si trova nel territorio del comune di Fara in Sabina, nel reatino. Fu fondata nel V secolo da san Lorenzo Siro, giunto in Italia dalla Siria con la sorella Susanna ed altri monaci. La prima abbazia fu costruita nei pressi di un tempio pagano, dedicato alla dea Vacuna, e di una villa romana in rovina. Appena costruita, distrutta dai Longobardi verso la fine del VI secolo, secondo la leggenda fu ricostruita nel 705 da Tommaso di Moriana, proveniente da Gerusalemme. Da quel momento iniziò lo sviluppo dell'abbazia che si ingrandì con nuovi fabbricati e diventò sempre più ricca per le rinnovate piantagioni di olivi e la bonifica di molte terre circostanti. Alla morte di Tommaso, divennero abati altri due monaci francesi, Auneperto di Tolosa e Lucerio di Maurienne. L'abbazia crebbe in importanza e considerazione e ricevette elargizioni, privilegi, esenzioni, da parte di imperatori e papi e diventa così una vera potenza interposta fra il patrimonio di Pietro ed il Ducato di Spoleto. Farfa era un'abbazia imperiale, svincolata dal controllo pontificio ma vicinissima alla Santa Sede, tant'è vero che il suo abate era a capo di una diocesi suburbicaria (quella attualmente confluita nella diocesi Sabina-Poggio Mirteto ne è solo una parte, visto che in origine essa seguiva l'orografia appenninica fino a lambire i territori del primo nucleo territoriale pontificio, quello che Liutprando ricavò dal "corridoio bizantino" con la donazione di Sutri). Nel momento più alto della sua potenza l'abbazia controllava 600 tra chiese e conventi, 132 castelli o piazzeforti e 6 città fortificate, per un totale di più di 300 villaggi: si diceva che l'abate facesse ombra alla potenza del papa, ma in realtà il suo potere era quello di un vero e proprio legatario imperiale incaricato della difesa del Lazio e della rappresentanza degli interessi imperiali presso la Santa Sede. Uomini colti, degni e devoti, si succedettero alla direzione dell'abbazia, come ad esempio l'abate Sicardo, parente di Carlo Magno. Durante il regno di Carlo Magno, l'abbazia ebbe il massimo sviluppo edilizio, che ne modificò così tanto la struttura originale che solo di recente è stato possibile ricostruirla. In pochi decenni divenne uno dei centri più conosciuti e prestigiosi dell'Europa medievale; Carlo Magno stesso, poche settimane prima di essere incoronato in Campidoglio il 25 dicembre 800, visitò l'abbazia e vi sostò. Per comprendere l'importanza economica di Farfa basti pensare che nel terzo decennio del IX secolo, sotto l'abate Ingoaldo, essa possedeva una nave commerciale esentata dai dazi dei porti dell'impero carolingio. La penetrazione dei Saraceni - dopo sette anni di resistenza delle milizie agli ordini del capitolo del monastero - indusse l'Abate Pietro I ad abbandonare Farfa; l'Abbazia fu presa e incendiata. Uno dei tre gruppi di monaci fuggiaschi, trovò riparo a Roma. Restò traccia della presenza dei monaci nell'insula francese di Roma: nei pressi della chiesa di San Luigi dei Francesi e nei luoghi che avevano ospitato le Terme di Nerone furono ritrovate - durante i lavori di restauro dei sotterranei di palazzo Madama, ad opera dell'amministrazione del Senato alla fine degli anni Ottanta del XX secolo - tracce di un cimitero appartenente al capitolo degli abati di Farfa. Passato il pericolo il capitolo tornò a Farfa sotto la guida di Ratfredo che, divenuto Abate, nel 913 completò la chiesa. Con la decadenza dell'Impero carolingio, nel periodo degli Ottoni la fedeltà imperiale del capitolo abbaziale - che intanto aveva abbracciato la riforma cluniacense - si tradusse in filo-germanesimo, che proseguì lungo tutto il periodo della lotta per le investiture.



    bagnoregio...da favola




    altre immagini..








    il borgo di bagnoregio











    Tuscia

    era la denominazione attribuita all'Etruria dopo la fine del dominio etrusco, invalso a partire dalla Tarda antichità e per tutto l'Alto Medioevo. Il nome indicava in origine un territorio assai vasto, che le diverse vicissitudini storiche hanno ripartito in tre macroaree: la "Tuscia romana", corrispondente al Lazio settentrionale con l'antica provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro, corrisponde oggi alla provincia di Roma nord fino al Lago di Bracciano; la "Tuscia ducale", che includeva i territori del Lazio soggetti al Ducato di Spoleto; la "Tuscia longobarda", grossomodo l'attuale Toscana, comprendente i territori sottoposti ai Longobardi e costituenti il Ducato di Tuscia. Al giorno d'oggi è la provincia di Viterbo ad essere identificata con nome di Tuscia o "Tuscia viterbese"

    Alta Tuscia Viterbese

     
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    Lago bolsena tramonto

    L'isola Bisentina

    è la maggiore del lago per superficie (17 ha) e può essere circumnavigata con le motobarche che partono dal vicino centro di Capodimonte. Conserva una natura quasi incontaminata con folti boschi di leccio, giardini all'italiana, panorami incantevoli e numerosi monumenti. Sono un esempio la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, con l'imponente cupola realizzata dal Vignola, osservabile anche dalla riva occidentale del lago, il convento Francescano e la villa dell'isola. Sono presenti sull'isola sette cappelle, tra le quali vi sono la Rocchina (il cui nome deriva dal fatto che riproduce, in dimensioni ridotte, la Rocca sulla riva di Capodimonte), la chiesa di Santa Caterina, la cappella del Crocefisso con affreschi del '400. Si ricorda anche l'orribile Malta dei Papa, carcere a vita scavato nella terra destinato ai condannati per eresia dotato di un solo piccolo buco per la luce. Si possono trovare anche due statue, di cui una monumentale, di leone: una locata sulle scale che portano alla cima del monte Tabor, l'altra, la più grande, sulla lingua orientale dell'isola. Si possono ammirare inoltre bellissime insenature, la cima collinare del monte Tabor, sotto la quale si trova un'antica colombaia, gli strapiombi rocciosi sull'azzurro del lago ad Est ed infine la parte verdeggiante sul lato meridionale verso il paese di Capodimonte. Gli etruschi e i romani hanno lasciato solo poche tracce della loro permanenza sull'isola. Nel IX secolo vi si rifugiarono gli abitanti della vicina Bisenzio(che gli diede il nome) distrutta dai Saraceni. A metà 1200 divenne proprietà dei signori di Bisenzio che in seguito a controversie con gli isolani l'incendiarono abbandonandola. Nel 1261, Urbano IV riconquistò l'isola che nel 1333 fu nuovamente distrutta da Ludovico il Bavaro, accusato d'eresia e scomunicato dal Papa. Proprietà dei Farnese dal 1400 conobbe un periodo di gran prosperità, fu visitata da numerosi Papi e dai Farnese e fu inglobata nei territori del ducato di Castro. Tornata alla Chiesa, nell'Ottocento divenne proprietà privata della locale famiglia aristocratica dei Principi del Drago che abitavano nel castello di Bolsena. La proprietaria attuale è la principessa Angelica del Drago. Qui sarebbe sepolto, nella tomba di famiglia, Pier Luigi Farnese, signore di Parma e Piacenza, condottiero militare, dalla discussa fama. Durante la II Guerra Mondiale, il leccio millenario vicino al ponte, cavo all’interno, fu usato dagli uomini della famiglia del Drago e dai loro servitori per sfuggire ai Tedeschi. Si narra che la piccola Angelica del Drago andasse a portare i viveri ai rifugiati.

    L'isola Martana

    Situata di fronte al centro abitato di Marta, da cui prende il nome, l'isola Martana avrebbe custodito le spoglie di Santa Cristina con l'intenzione di evitare che cadessero preda dei barbari. L'isola Martana è stata, inoltre, al centro della tragica vicenda storica di Amalasunta, regina dei Goti che prese il potere alla morte di Teodorico e, dopo essere stata portata con l'inganno sull'isola qui fu trucidata dal cugino Teodato. L'isola, disabitata, fu un tempo sede di un convento degli Agostiniani. Attualmente è proprietà privata e quindi non ne è possibile la visita.





    Questo parco di antichi alberi e di pietre ancora più antiche, fu immaginato e realizzato dal Principe Pier Francesco Orsini, uomo d'armi e letterato, detto Vicino, con l'aiuto dell'architetto Pirro Ligorio.
    Realizzato, a detta del Principe "sol per sfogare il core", presumibilmente tra il 1552 ed il 1580, questo museo all'aperto fu, dai posteri, interpretato nelle maniere più diverse.
    Nonostante l'interesse e la meraviglia, accesa nella fantasia degli artisti dell'epoca che, per esprimere la loro meraviglia, vollero lasciare incisi "epigrafi e versi", dopo la morte dell'Orsini, il parco venne abbandonato, completamente dimenticato ed al più usato dai locali per far pascolare gli armenti.




    Varcando il cancello di ferro battuto, sotto le mura merlate, le prime statue che si incontreranno saranno due Sfingi, le cui epigrafi sfidano il visitatore ad indovinare se quelle opere siano fatte per amor d'arte o per incannare i sensi:

    TV CH’ENTRI QVA PON MENTE
    PARTE A PARTE
    ET DIMMI POI SE TANTE
    MERAVIGLIE
    SIEN FATTE PER INGANNO
    OVER PER ARTE.

    L'altra scritta recita:

    CHI CON CIGLIA INARCATE
    ET LABRA STRETTE
    NON VA PER QUESTO LOCO
    MANCA AMMIRA
    LE FAMOSE DEL MONDO
    MOLI SETTE.



    sottolineando che chi non gode di queste opere non saprà ammirare neanche le sette meraviglie del mondo
    .

    Nel Giardino di Bomarzo, Pegaso, il cavallo alato, è situato proprio al centro di una fontana mentre scalcia un muro di roccia.
    La leggenda dice che Pegaso, oltre che far sgorgare fonti, con la forza dei suoi zoccoli, è in grado di arrestare i terremoti.
    Questa figura mitica sembra in relazione con l'ispirazione che Vicino Orsini trasse dal Sogno di Polifilo,(Hypnerotomachia Poliphili) di Francesco Colonna in cui Pegaso è illustrato in una xilografia e così descritto nel testo: "uno alato caballo che, volando in uno fastigio di monte, una mysteriosa fontana cum il calce faceva surgente".





    Nel Parco dei Mostri di Bomarzo vige la regola di trasgredire le regole e, rappresentando una tartaruga gigantesca, sormontata da una minuscola Fama Alata, si applica la regola.
    La Fama immaginato da Vicino Orsini

    ha alcune caratteristiche che dettano regole particolari.

    Solitamente, la Fama è rappresentata per celebrare le gesta dei committenti e suona solo la tromba della buona sorte, mentre questa le suona anche quella della cattiva sorte.
    La Fama di Bomarzo poggia un solo piede su un globo, che la rende instabile come la Fortuna.




    Questa scultura rappresenta una Venere che nasce da una conchiglia come quella del Botticelli, ma l'unica somiglianza resta quella.
    Come molte opere del Parco di Bomarzo, dove le interpretazioni dei posteri si è divisa, circa questa opera sembra che abbia prevalso l'idea che battezza questa Venere la "Venere dei Cimini", come se, Vicino Orsini, per rendere omaggio alle donne del luogo, avrebbe fatto riprodurre qui in pietra le loro fattezze.






    Fra le meraviglie del Parco si può ammirare ed addirittura entrare in una casa pendente.
    Sul muro esterno sono dei bassorilievi con le armi degli orsini ed una scritta latina.

    Entrando, i nostri sensi sono scossi dal camminare in uno spazio pendente, impressione strana.




    Un elefante in assetto da battaglia che solleva con la proboscide un soldato nemico, forse un centurione romano.
    Questa scultura è probabilmente un omaggio alle imprese di Annibale.


    Lungo la costa orientale e meridionale del Lago di Bolsena sorgono i tre centri rivieraschi Bolsena; Marta; Capodimonte ...

    Bolsena

    è un comune di 4.222 abitanti della provincia di Viterbo. Dista da Viterbo circa 30 km.

    Marta

    (VT) è un comune con poco più di 3.500 abitanti. Situato a 315 metri slm sulla sponda meridionale del lago di Bolsena, dista dal capoluogo circa 24 km.

    Capodimonte

    è un comune con poco più di 1.800 abitanti, dista dal Capoluogo circa 25 km. Il paese è situato su un promontorio che si affaccia sul lago di Bolsena, la rocca farnese domina il paese. Una lunga spiaggia di sabbia vulcanica, affiancata dai giardinetti all'italiana costituisce uno dei migliori modi per godersi il lago.

    Abbazia di San Fruttuoso Capodimonte

    ...

    Capodimonte famosa in tutto il mondo per la manifattura della porcellana e della ceramica...

    nel 1743 apriva anche la fabbrica borbonica di Capodimonte dove, tuttavia, per aggirare l'ostacolo dell'assenza di caolino, introvabile nelle province meridionali - bisognerà attendere la fine del Settecento per individuarne una cava - si trovò il sistema di mettere a punto un impasto diverso basato sulla riuscita unione di varie argille più o meno tutte fusibili ossia una cosiddetta "pasta tenera". La manifattura di Capodimonte inizia la sua produzione nel 1743 in un edificio già esistente che l'architetto Ferdinando Sanfelice aveva trasformato con grande rapidità in soli tre mesi.

    ... e per finire ... giochi di luci sul lago davanti Capodimonte ...



    POGGIO NIBBIO...image


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    BOLSENAimage

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    BOLSENA..STEMMA DELLA CITTA'...image

    COMENSE VITERBO...SPORT...........image



    TUSCANIA....image

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    TUSCANIA....image

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    Viterbo

    è una città del Lazio settentrionale di 63.499 abitanti (dati 2008), situata sulle prime pendici dei Monti Cimini e distesa a ovest verso la pianura maremmana. Capoluogo dell'omonima provincia, istituita nel 1927 e conosciuta come Tuscia, la città ha un vasto centro storico di origine medioevale cinto da mura, circondato da quartieri moderni, tranne che a sud-ovest, dove si estendono zone archeologiche e termali (necropoli di Castel d'Asso, sorgente del Bullicame). Viterbo è universalmente nota come la "Città dei Papi" (fu sede pontificia nel XIII secolo e ospitò numerosi papi nel corso dei secoli) ed è famosa per il trasporto della Macchina di Santa Rosa, tradizionale e spettacolare manifestazione in onore della patrona che si svolge il 3 settembre. A Viterbo ha sede l'Università della Tuscia, istituita nel 1979, e il comando nazionale dell'Aviazione dell'Esercito, oltre alla Scuola Marescialli dell'Aeronautica Militare.



    L'origine della città di Viterbo è da collocare nell'Alto Medioevo, quando i Longobardi del loro ultimo re Desiderio conquistarono e fortificarono un antico villaggio, detto da allora Castrum Viterbii, sul Colle del Duomo. Il nome della futura città, di incerta etimologia, inizia ad apparire nelle fonti di metà VIII secolo. Sul colle era esistito un modesto centro abitato etrusco il cui nome era Surrena o Sorrina, il quale passò ai Romani successivamente al 310 a.C., i quali lo trascurarono in favore del municipio di Surrena Nova, sorto sulla collina antistante (Riello), e delle numerose ville patrizie sorte nei pressi degli stabilimenti termali lungo la Via Cassia (se ne contano ben quindici). La fortificazione del Castrum Viterbii, che comprendeva anche una piccola pieve cristiana dedicata a S. Lorenzo, passò ai Franchi nel 774 e quindi fu donata da Carlo Magno alla Chiesa, che proprio in quegli anni, grazie a questa e ad altre donazioni territoriali, costituiva il primo nucleo dello Stato Pontificio. Si hanno poche notizie riguardanti la storia locale nei secoli IX e X, tuttavia è ipotizzabile una ripresa economica e demografica in base alla quale il Castello sul Colle del Duomo si espanse con nuovi borghi al di fuori delle proprie mura, fondendosi con altri "vici" che nel frattempo si andavano sviluppando su altre alture circostanti e creando un tessuto urbano che da lì a un paio di secoli sarebbe stato circondato da una cinta muraria. Viterbo, che ormai possiamo iniziare a definire tale, si eresse a libero comune nel 1095, in piena epoca di lotta delle investiture tra impero e papato, e iniziò ad affemare la propria supremazia sul territorio del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Nel XII secolo fu scelta per ospitare pontefici (Eugenio III fu il primo nel 1145), ricevette il titolo di città da parte di Federico I Barbarossa (1167), rase al suolo la città di Ferento (1172) e divenne sede vescovile (1193). Il XIII secolo fu uno dei più turbolenti e al contempo gloriosi per la città. Nella prima metà del secolo Viterbo fu sconvolta dalle lotte interne tra casate e fazioni opposte (Gatti, guelfi, e Tignosi, ghibellini), oltre a trovarsi al centro dei contrasti tra impero e papato e impegnata in dispute con le città circostanti.
    Rimasta fondamentalmente guelfa, Viterbo dovette subire nel 1243 un lungo e drammatico assedio da parte delle milizie di Federico II, l'imperatore svevo che puntava su Roma. L'insurrezione popolare, che ebbe i suoi capi spirituali nel cardinale Raniero Capocci e nella "giovinetta" Rosa, riuscì a liberare la città e si aprì per essa un periodo di grande splendore, mentre la potenza sveva in Italia volgeva al tramonto.
    Per diversi anni Viterbo fu scelta come sede papale e fu quindi il centro della Cristianità, con tutti i vantaggi che poteva portare la presenza della curia pontificia. La città si arricchì di chiese, torri, palazzi e nuove architetture, fu rinomato centro culturale e la sua importanza si estese a tutto il mondo conosciuto. Ci furono episodi cruenti, quali l'uccisione di Enrico di Cornovaglia nella Chiesa del Gesù il 13 marzo 1271, e altri passati alla storia come l'interminabile elezione di Gregorio X tra 1268 e 1272, con la nascita del termine "conclave". Si stabilirono a Viterbo Clemente IV, Gregorio X, Giovanni XXI (unico papa portoghese), Niccolò III e Martino IV fino al 1281, ma anche nei secoli successivi la città continuerà ad ospitare i successori di Pietro meritandosi il fortunato appellativo di "Città dei Papi". Nel XIV secolo, allontanatasi la corte papale, Viterbo ripiomba in balìa delle lotte fratricide tra le famiglie nobili e conosce per alcuni anni, fino al 1396, la signoria dei Di Vico, interrotta dal tentativo di restaurazione del dominio papale da parte del cardinale Albornoz (1354) e dal passaggio di Urbano V (1367) di ritorno da Avignone, sfociato in rivolta. Solo con il pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) Viterbo rinunciò a buona parte dell'autonomia e si pose risolutamente sotto il papato. Le lotte tra casate tuttavia perdurarono tutto il XV secolo fino all'intervento pacificatore del papa Giulio II, eletto nel 1503 e fautore di una serie di vincoli matrimoniali tra famiglie rivali in modo da ottenere un periodo di pace. Un nuovo periodo di splendore Viterbo lo vive grazie al pontefice Paolo III (1468-1549), al secolo Alessandro Farnese, nativo di Canino e rinnovatore dell'urbanistica e della cultura cittadine. Poco altro accadrà nei tre secoli successivi: le sorti della città appaiono legate alle vicende dello Stato Pontificio. I fasti di un tempo sono ormai sepolti e la città è immersa in un letargo dal quale si sveglierà molto tardi. E con analoga lentezza faranno strada, nell'Ottocento, le nuove idee liberali e risorgimentali che condurranno l'Italia all'unità nazionale: Viterbo sarà tra le ultime città ad unirsi al Regno sabaudo (l'adesione fu sancita da un plebiscito) e ciò avviene soltanto il 12 settembre 1870, appena otto giorni prima della caduta di Roma. Il primo sindaco "italiano" fu Angelo Mangani. L'unità d'Italia tolse a Viterbo la qualifica di capoluogo di provincia, che le sarà restituita solo nel 1927. Sarà il regime fascista ad avviare un primo programma di modernizzazione della città, attraverso la realizzazione di importanti opere pubbliche, come la copertura dell'Urcionio e la creazione di Via Marconi, e a pianificare un'espansione esterna alle mura con i primi nuclei dei quartieri Cappuccini e Pilastro. Ma la seconda guerra mondiale sottopose i viterbesi a prove durissime: tra il 1943 e 1944 cospicui bombardamenti alleati semidistrussero la città causando innumerevoli vittime. Liberata l'8 giugno 1944, la ricostruzione impegnò pressoché tutti gli anni '50 e anche oltre. Nel 1959 la città fu riconosciuta come “mutilata di guerra” per le perdite umane e gli sconvolgimenti subiti. Gli anni ’60 furono caratterizzati, come in tutta Italia, dal "boom" edilizio che spesso però fece rima con speculazione e che si è protratto fino ad oggi facendo assumere alla città le dimensioni e il numero di abitanti attuali. Il 27 maggio 1984 si è svolta la visita pastorale di Giovanni Paolo II, culminante con lo spettacolare trasporto straordinario della Macchina di S. Rosa. Due anni dopo, il 27 marzo 1986, il pontefice emana una bolla che decreta l’unificazione, nella Diocesi di Viterbo, delle sedi vescovili di Tuscania, Montefiascone, Acquapendente e Bagnoregio e dell’Abbazia di S. Martino al Cimino, sotto il patronato della Madonna della Quercia.
    Infine, durante il Giubileo del 2000, la città è stata vivacizzata dal passaggio di una moltitudine di pellegrini, i quali hanno portato ulteriori risorse. Negli anni più recenti, Viterbo ha aggiunto alle già fiorenti agricoltura e commercio anche un turismo sempre più in via di sviluppo che sta facendo salire notevolmente l’indice di notorietà di Viterbo sia in Italia che all’estero. E’ l’uscita definitiva da un anonimato sociale, culturale, economico durato decenni se non secoli.







    GRAZIE..CAPITANO....BOMARZO....FOTO...image

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    E'..BELLISSIMO..QUESTO PAESE.......image

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    LA LOGGIA DEI PAPI

    Il centro di Viterbo offre numerosissime oltre che importanti opere d'arte. La più famosa è certo il Palazzo dei Papi, costruito fra il 1255 e il 1266 sul colle di San Lorenzo per proteggere il pontefice, con la celebre loggia formata in un solo lato da sette archi sorretti da esili colonnine binate che si intrecciano formando una elegante trabeazione. Dalla loggia si entra nella grande Sala del Conclave, teatro della famosa elezione di papa Clemente X .

    Palazzo dei Papi

    di Viterbo è, insieme al Duomo di Viterbo, il più importante monumento storico della città. Esso fu eretto nella forma attuale ampliando il palazzo sede della Curia vescovile della città allorché papa Alessandro IV (1254 – 1261, papa dal 1254), a causa dell'ostilità del popolo e della borghesia, capitanata dal senatore Brancaleone degli Andalò, trasferì la sede della Curia pontificia nel 1257 a Viterbo. L'ampliamento fu disposto e curato dal Capitano del Popolo Raniero Gatti, appartenente ad un'influente famiglia cittadina. Egli fece costruire una grande sala per le udienze che comunicava tramite una loggia eretta su una strada della città, con gli uffici della curia.

    La loggia

    detta delle Benedizioni (ad essa si affacciava il Papa uscendo dalla Sala del Conclave), si apre sul lato della piazza con un gioco di archi sorretti da slanciate colonnine. Al centro si contano tre archi a tutto sesto ed ai lati due mezzi archi, terminanti al colmo con i muri rispettivamente del Palazzo (sinistra) e della curia (destra). A questi se ne intrecciano altri tre, per cui l'effetto è quello di sette aperture a sesto acuto poggianti su sei colonnine, con archi trilobati. Lungo tutta la parte superiore degli archi corre una trabeazione la cui fascia inferiore è arricchita da formelle quadrate recanti simboli cittadini, imperiali e papali. La parte piana della loggia è costituita da un ballatoio al centro del quale è posta una fontana del XV secolo, ornata al bordo del catino con simboli della famiglia Gatti. Sul catino insiste una vasca superiore coronata di getti a forma di testa di leone e sormontata al centro da un pinnacolo. La loggia è sostenuta da due archi a sesto ribassato e da un enorme pilastro a sezione ottagonale. Anche la parte della loggia opposta alla piazza era originariamente dotata di identica fuga di archi e colonnine, struttura che sorreggeva insieme alla facciata che prospetta sulla piazza, un tetto. Nel 1325 tetto e struttura ad archi lato Valle Faul crollarono e da allora il ballatoio della loggia è a cielo aperto.



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    Il Duomo di San Lorenzo

    Accanto al Palazzo dei Papi sorge anche il Duomo, dedicato a San Lorenzo. Il Duomo fu eretto nel corso del XII secolo sul terreno ove era sita una piccola chiesa del VII secolo dedicata a San Lorenzo, a sua volta edificata sulle rovine di un tempio pagano dedicato ad Ercole, ma la sua facciata risale solo al 1570, quando fu realizzata su disposizione dell'allora vescovo della diocesi e futuro cardinale Giovanni Francesco Gambara. Il Duomo ha subito notevoli danni durante un bombardamento della città da parte degli alleati nel 1944. Il restauro successivo ha restituito parte della struttura romanica preesistente ai rimaneggiamenti eseguiti durante il periodo barocco. Il campanile trecentesco è formato nella parte alta da strati segnati da doppie bifore e da fasce policrome orizzontali. Lo spazio interno è articolato in tre navate separate da due file di colonne culminanti in eleganti capitelli.Il pavimento è in stile cosmatesco. Nella zona absidale della navata sinistra vi è il sepolcro di papa Clemente IV (†1268) e poco distante è sita una pregevole tavola del XII secolo raffigurante la Madonna della carbonara di stile bizantino.La leggenda dice che nella chiesa sia stato sepolto anche papa Alessandro IV (†1261), ma che la sua salma sia stata spostata successivamente in luogo segreto, ma sempre nella chiesa, per sottrarla a violazioni da parte dei suoi nemici.



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    Palazzo Farnese - a pianta pentagonale - nel Viterbese



    La città medievale - Viterbo -

    Poco distante da piazza del Duomo si estende il vecchio quartiere medievale, conservato quasi integro, di San Pellegrino: qui si incontrano numerose case dotate di profferlo, la scala a vista tipica dell'architettura viterbese. Interessante anche la piazza del Plebiscito, meglio conosciuta dai Viterbesi come "Piazza del Comune" dove hanno sede il Municipio e la Prefettura. A lato del Corso, la chiesa di Santa Rosa, edificata su una piccola altura accanto alla casa della patrona di Viterbo. Degni di menzione anche la Piazza della Rocca, Piazza Fontana Grande, la torre del Branca detta della Bella Galliana vicino alla Porta Faul, le mura con le 2 porte principali (Porta Romana e Fiorentina). Antichissima è la chiesa di San Silvestro.

    Chiesa di San Silvestro

    Piazza del Plebiscito Viterbo

    Chiesa di Santa Maria Nuova

    è una chiesa romanica di Viterbo situata nel centro storico, non distante dal quartiere medioevale di San Pellegrino e da Piazza San Lorenzo. È sede della parrocchia più antica della città, risalente al 1217.

    Trittico su cuoio del XIII secolo



    viterbo





    Foto di Viterbo in libertà ...





    Ronciglione Prov. Viterbo





    Lago di Vico-Viterbo



    Madonna delle Grazie ,Capranica ,Viterbo...





    La Torre del Castello



    VILLA LANTE - LA FONTANA DEL DILUVIO - BAGNAIA (VITERBO)

    VILLA LANTE - LA FONTANA DEI MORI -BAGNAIA (VITERBO)



    Fontana del Quadrato e Palazzina Montalto

    Villa Lante - Bagnaia ( Viterbo)



    VITERBO....



    Viterbo è, dopo ovviamente Roma, la città più bella del Lazio. Notevoli i monumenti e i quartieri medievali (Pianoscarano e San Pellegrino in primis), tutti rigorosamente nella grigia pietra locale, il peperino: alte case torri e preziose chiese romanico-gotiche si alternano a palazzetti ora nobili ora rustici, spesso ornati da un bel profferlo, la caratteristica scaletta esterna delle abitazioni viterbesi. Magnifici gli scorci da Valle Faul sul celebre Palazzo dei Papi e altri edifici storici (come nella foto). Viterbo è una città a cui sono molto legato e in cui ho tanti bei ricordi. E' sempre stata l'epilogo festoso delle mie gite alla scoperta dela Tuscia. Camminare per le viuzze popolari di Pianoscarano, e poi attraversare il pittoresco vallone (con le sue oche dispettose e i conigli giganti) che divide in due Viterbo e ritrovarsi nella "nobiltà modesta" di San Pellegrino, permette un vero tuffo nel Medioevo, ma ancora, incredibilmente, senza praticamente incontrare turisti, soprattutto di sera. Una città da scoprire ed apprezzare nella silenziosità delle sue atmosfere e nell'eleganza dei suoi spazi urbani. Un'altra consferma di come nel Lazio si possano trovare vere e proprie meraviglie al di fuori del turismo di massa.


    Viterbo - Palazzo dei Papi



    BUONASERA LUSSY

    CAPRAROLA (VITERBO)


    Caprarola si trova nel versante sud dei Monti Cimini ad est rispetto il Lago di Vico, arroccata su uno sperone tufaceo è posta tra le vie consolari, ora strade statali, Cassia e Flaminia.
    Pur essendo immersa nell'antico territorio etrusco, Caprarola getta le sue radici in epoca molto più recente, in particolare, si hanno le prime notizie dell'esistenza di insediamenti stabili intorno al XI secolo, questo, come avvenne anche per Ronciglione, a causa dei Monti Cimini anticamenti chiamati selva Cimina e considerati territorio impervio e impenetrabile. Durante il medioevo fu contesa da diverse famiglie feudatarie, nel 1275 si hanno prove che fosse sotto gli Orsini, ma per poco tempo, il potere passò infatti in breve tempo ai Prefetti Di Vico. Dal 1370, iniziò una lotta per il controllo di queste zone tra i Prefetti di Vico e i Conti d'Anguillara. Nel 1435 cadde sotto la giurisdizione della Santa Sede. Cinque anni più tardi, nel 1440, il feudo venne acquistato dal conte Everso dell'Anguillara ed a tale famiglia rimase fino al 1465, anno in cui il Pontefice Paolo II confiscò tutti i loro beni. Verso la fine del XV secolo, Caprarola venne affidata in vicariato ai Riario-Della Rovere, sotto il cui governo il paese cominciò a rifiorire ed a popolarsi.
    Fu quindi nel XVI secolo che conobbe il massimo splendore, quando i Farnese, con la nomina a Papa Paolo III del card. Alessandro Farnese, e con la costituzione del Ducato di Castro, estesero notevolmente il proprio dominio costruendo fastose ville e castelli. A Caprarola fu costruita la residenza più rappresentativa del livello di ricchezza e di potenza che questa nobile famiglia raggiunse, il Palazzo Farnese di Caprarola.
    Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo successivo all'8 settembre 1943 e all'occupazione tedesca, trovano rifugio nel paese i 24 componenti della famiglia ebrea romana dei Veneziano. Ospiti della famiglia Brunetti, i Veneziano poterono godere per otto mesi della solidarietà di numerosi abitanti e delle autorità locali fino alla Liberazione. Il 27 gennaio 2005 ai coniugi Roberto e Maria Brunetti è stata per questo conferita l'alta onorificenza di giusti tra le nazioni dall'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme.





    Caprarola vista dal balcone del palazzo Farnese . sulla sinistra c'e' il monte soratte e la valle che si vede e' quella del tevere.



    I Monti della Tolfa – Wilderness laziale

    I Monti della Tolfa sono senza dubbio una delle aree naturali più intatte e suggestive del Lazio, nonché uno dei comprensori collinari più selvaggi del Centro Italia. Pare impossibile che una ricchezza del genere si trovi ad una quarantina di chilometri da Roma e a poca distanza dalle brutte e affollate spiagge di Cerveteri, Santa Marinella e Civitavecchia, ma l’entroterra della Bassa Tuscia Romana sorprende ancora oggi per i suoi silenzi e per i suoi scenari bucolici e talvolta spettacolari, fra colli conici, pareti rocciose, pascoli infiniti e foreste di macchia mediterranea. Già soltanto in auto, scorazzare per le tortuosissime strade della Tolfa (amate da ciclisti e motociclisti) può riservare grandi emozioni. Percorrere ad esempio i 40 km da Canale Monterano a Santa Severa, passando per la piramide di Tolfa, equivale a fare un viaggio in un mondo a parte, ancora nascosto e celato da colline ora aspre ora dolci, in cui i soli padroni sembrano essere gli omnipresenti buoi maremmani che pascolano in totale libertà, donando al paesaggio un’atmosfera arcaica: in alcuni punti, il paesaggio è talmente pittoresco e antico che pare di essere immersi in un vero e proprio dipinto. A piedi poi, sui sentieri meno battuti, spesso irriconoscibili ed impercorribili a causa della fittissima vegetazione, si può camminare per ore senza incontrare nulla, in un territorio splendido, a tratti quasi “vergine”. Spesso si prova una tale sensazione di wilderness che vien da pensare che si stiano scoprendo luoghi in cui nessuno abbia messo piede. E invece, i casali in rovina, le vecchie miniere abbandonate, i ruderi di torri, chiese e abbazie medievali, le necropoli affioranti dai poggi, rivelano che la Tolfa fu da sempre abitata e che solo in tempi piuttosto recenti ha visto un progressivo spopolamento.
    Incredibilmente, questa sorta di Eden, oggi quasi completamente in Provincia di Roma, vicino ad una grande metropoli, è ancora fuori dal sistema delle aree protette del Lazio. Una vergogna, questa, resa ancor più evidente dai recenti attacchi speculativi perpetrati ai danni di questo magnifico territorio. Progetti di impianti eolici e abusivismo edilizio hanno iniziato ad interessare seriamente la Tolfa, una zona evidentemente concepita dalle amministrazioni comunali (e provinciali!?) come “vuota” e “infruttuosa” e quindi da riempire in qualche modo. Fortunatamente gran parte di questo territorio è demaniale o appartenente alle due università agrarie di Tolfa ed Allumiere, e forte è l’attaccamento alla propria terra da parte delle popolazioni locali. Produzioni zootecniche di pregio, inoltre, rendono il territorio della Tolfa di un certo valore economico. Il futuro è insomma nel turismo, che trova nella Tolfa tutte le carte in regola per affermarsi a livello ambientale, culturale ed enogastronomico. Ma gli interessi dei costruttori sono sempre più invadenti: sapranno queste colline dalla struggente bellezza difendersi dal nulla che tutto divora e cancella?
    La foto ritrae uno scorcio della Valle del Mignone (forse la vallata più stupenda, integra e disabitata del Lazio intero) nei pressi di Luni, insediamento preistorico e poi etrusco, situato nei pressi di Blera, in provincia di Viterbo e proprio alle estreme propaggini della Tolfa.



    Scorcio della Valle del Mignone




    Passeggiando per Civita di Bagnoregio - Viterbo



    Artista...



    Tuscania..... i sui vicoli




    Lago del Turano



    Ascrea



    Colle di Tora




    Posticciola, antico portone

    Rocca Sinibalda


    Situata a pochi chilometri dal Lago del Turano, e dominata da un imponente maniero cinquecentesco a forma di aquila, Roccasinibalda è uno dei borghi più suggestivi della Sabina. Perfetta è l'armonia tra abitato antico, ornato da cipressi, e ambiente naturale, caratterizzato da rocce e folti boschi.
    Rocca Sinibalda si trova nel cuore della cosiddetta "Sabina Turanense", una delle aree meglio conservate del Lazio e della Provincia di Rieti, dal punto di vista del paesaggio storico e naturale. In questa zona il fotopaesaggista può trovare numerosi spunti, sia per la selvaggia bellezza degli scenari naturali, sia per la quasi sempre armonica combinazione tra ambiente e opera dell'uomo. Particolarmente interessanti i vari antichi casali in pietra calcarea presenti nel territorio, oggi spesso ristrutturati e trasformati in eleganti agriturismo. Il paesaggio rurale è fortemente caratterizzato dai vasti e rigogliosi oliveti, che danno alle campagne un aspetto curato e bellissimo (specialmente intorno a Monteleone Sabino). Ma in questo comprensorio è sicuramente il Lago del Turano il principale polo d'attrazione, con i suoi scenari "nordici" ed inconsueti, simile più ad un fiordo che ad un lago vero e proprio. Venne creato negli anni '30 del Novecento tramite lo sbarramento del Fiume Turano, realizzato con una grossa diga presso il piccolo borgo di Posticciola.
    Interessato parzialmente dalla Riserva Naturale dei Monti Navegna e Cervia, si auspica che questo splendido territorio favorisca quanto prima di strumenti di tutela maggiori, finalizzati a valorizzare il paesaggio agricolo sabino, qui più che altrove rimasto nella sua veste più classica ed incorrotta, e soprattutto a difenderlo dalla speculazione edilizia, sempre presente ed incombente e che anche in queste terre inizia purtroppo a farsi sentire.


    Rocca Sinibalda-Veduta




    Rocca Sinibalda e il suo castello






    Interno dl Castello


    Piccola località in provincia di Rieti, Rocca Sinibalda è posta su un colle a dominio della Valle del Turano. Il monumento più significativo del centro abitato è il castello, fatto erigere nel XVI secolo dal cardinale Alessandro Cesarini.
    Il possedimento divenne in seguito dei Lante della Rovere e dei Cesarini Sforza. Progettato, con vive reminiscenze medievali, dall'architetto senese Baldassarre Peruzzi, intorno al 1530, il castello fu continuato dopo la sua morte (1536) dal figlio Sallustio e da Bartolomeo De Rocchi, al quale forse si deve il suo aspetto complessivo. L'edificio ha una pianta simile ad un'aquila con le ali distese; la grandiosa mole consta di un robusto maschio e di un palazzo residenziale, collegati da un complesso sistema di muraglie e torrioni di notevole effetto. L'interno del palazzo residenziale è costituito da tre appartamenti principali e da due cortili; nella sala maggiore le pareti sono ornate di affreschi del XVI secolo, riproducenti vedute di Rocca Sinibalda e di alcuni castelli del suo territorio. Ne sono stati proprietari tra gli altri gli Sforza-Cesarini, i Mattei, i Lante della Rovere.

    Montefiascone



    Dopo la pioggia

    Viterbo - Il Duomo



    Località Acqua Rossa, tra Viterbo e Montefiascone



    La Tuscia



    Parco dei Mostri - BOMARZO -

    Qui Vicino Orsini fece costruire nel XVI secolo alcuni monumenti che raffigurano animali mostruosi e mitologici. Gli architetti erano Pirro Ligorio, Jacopo Barozzi da Vignola ed altri successori. Chiamò il parco Sacro Bosco e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non la concubina del papa Alessandro VI). Vi sono anche architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche che rappresentano forse le tappe di un itinerario di matrice alchemica. Iscrizioni sui monumenti stupiscono e confondono il visitatore. Forse questa era l'intenzione del principe: (Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi.). Ci sono anche implicazioni morali: (Animus quiescendo fit prudentior ergo). O forse il complesso fu fatto semplicemente "per arte" in un doppio senso della parola (Tu ch'entri qua con mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte). Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi di spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Petrarca, dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest'ultimo compare ad esempio un dragone d'acciaio con una stanza all'interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo universale, alla fine, forse non potrebbe essere trovato; su un pilastro, però, compare la possibile iscrizione-chiave "Sol per sfogare il core". John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di "incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni - prodotti d'evasione artistica e letteraria".Dopo la morte dell'ultimo principe Orsini nel 1585 il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.

    ABBIAMO GIA' POSTATO IMMAGINI DI QUESTO LUOGO INCREDIBILE ...

    C'E' XO' UN POSTO DOVE VADO OGNI VOLTA CHE ENTRO IN QUEL PARCO ... MI LASCIA SEMPRE STUPITO PERCHE' NON NE CAPISCO LA RAGIONE DI QUELLA COSTRUZIONE ... E' COME VEDERE IL MONDO CON UN ANGOLO DIVERSO E COME LA PAZZIA SPESSE VOLTE E' COSI' VICINA ALLA GENIALITA' ...


    LA CASA PENDENTE

    Questa è una delle costruzioni più strane del Parco dei Mostri di Bomarzo. Una casa pendente costruita sopra un masso inclinato. E' naturalmente inabitabile e senza suppellettili all'interno ma è possibile entrarvi ed il visitatore resta sorpreso e prova uno strano senso di squilibrio fisico. E' una delle prime realizzazioni del Sacro Bosco e probabilmente fu fatta edificare da Giulia Farnese nel 1555 quando Vicino era prigioniero in terra straniera. Forse il significato vero della sua pendenza prescinde dalla volontà di stupire comune alle altre realizzazioni del Giardino e vuole rappresentare metaforicamente il rischio, poi scampato, della rovina della famiglia a causa della prigionia del coniuge. In altre parole, sotto i colpi dell'avversa fortuna, la "casa" Orsini minaccia rovina ma resiste e non cede.

     
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  6. tomiva57
     
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    Montalto di Castro


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    Montalto di Castro è un comune di circa 9000 abitanti della provincia di Viterbo. Dista dal capoluogo circa 60 km. Collocata a 42 m s.l.m., Montalto di Castro si trova nella zona costiera della Maremma laziale. Bagnata dalle acque del fiume Fiora, Montalto di Castro annovera tra le proprie bellezze la città etrusca di Vulci.

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    Storia

    Per alcuni eruditi il castrum Montis Alti fu fondato nel V-VI secolo d.C. dai profughi della città costiera Gravisca, distrutta dai pirati. Altri raccontano che il castello fu fondato nell'VIII secolo da Desiderio, Re dei Longobardi. Entrambe le ipotesi non sono supportate da documenti. Montalto esce dalla leggenda ed entra nella storia solo nell'852 d.C.: in una bolla di papa Leone IV diretta al vescovo di Tuscania, compare, per la prima volta, il nome Montis Alti.

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    Il Medioevo

    Tra i secoli XI e XII Montalto subì gravi distruzioni. La più nota è quella del 1109 quando papa Pasquale II, per sconfiggere Stefano dei Corsi, fece distruggere, dalle milizie normanne, Castrum Montis Alti in cui si era arroccato. Durante l'Età Medievale nacque e si sviluppò uno scalo portuale: situato nella foce del fiume Fiora, costituì un approdo importantissimo per le rotte tirreniche, specie per l'imbarcazione dei grani. Il centro storico raggiunge la sua massima espansione urbanistica: nel Trecento, infatti, ospita più di mille uomini. Per questi motivi diventa un territorio ambito: oltre al Papa se lo contendono il Comune di Roma, gli Orsini, i Prefetti di Vico. Le continue battaglie di quest'epoca, la Cattività Avignonese e la difficile congiuntura economica mettono in grave crisi il paese che scende da mille a 250 uomini.

    La difficile condizione migliorerà, in parte, nel 1421 quando papa Martino V, interessato a mantenere nella zona un centro abitato per sorvegliare la Dogana dei Pascoli, scrisse una bolla per favorire il ripopolamento nella zona. Da questo momento il territorio di Montalto si lega indissolubilmente al sistema agro-pastorale, alla transumanza e al lavoro stagionale. La malaria e le dure condizioni di vita degli abitanti renderanno costante il pericolo di spopolamento. Saranno le continue migrazioni dagli Appennini e dalla Corsica a scongiurare questa possibilità.

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    L’Età Moderna

    Per volontà di papa Paolo III, il 22 dicembre 1535 il paese di Montalto e il suo territorio viene concesso in feudo a Pier Luigi Farnese, suo figlio. Dopo qualche anno si costituisce il Ducato di Castro. Montalto vive una breve fase fiorente. Nel Seicento, invece, avviene un rapido declino. Il colpo finale è dato dalle tremende guerre contro Castro: nel 1649, la Città, viene rasa al suolo e il suo territorio torna a far parte dello Stato Pontificio. Le condizioni socio-economiche di Montalto però non ne giovano, anzi, su tutto il territorio, dato in affitto ad un appaltatore generale, domina la pastorizia e la coltivazione estensiva del grano. I primi anni del Settecento sono ricordati come gli anni terribili di Montalto. Nel 1709 la popolazione raggiunge il suo minimo storico: centottantadue abitanti. Il Governo pontificio si accorge della miserevole condizione di questa popolazione e si accinge ad una serie di importanti investimenti: il ponte sul fiume Fiora, sotto il quale passa anche l'acquedotto per la Fontana del Mascherone e la costruzione di un nuovo ospedale nel monastero San Sisto.

    Il comune di Montalto di Castro inizia, verso la metà del secolo XVIII, la lotta contro gli appaltatori in difesa degli Usi civici. Le liti legali intentate in questi anni sono numerosissime e conducono il Comune ad un indebitamento cronico. Sarà nuovamente un papa a tentare di risollevare la popolazione di Montalto: Pio VI. Nel 1778, con un Motu Proprio, annulla i debiti, abolisce dazi e gabelle, pone i proventi del Comune sotto l'Amministrazione della Camera Apostolica, aumenta i diritti di uso civico, stimolando la coltivazione delle terre e il ripopolamento. Questa serie di riforme generò dei risultati positivi, pur non modificando le strutture di base e i problemi endemici di quella società: malaria, povertà, epidemie. La popolazione nel 1783 arriva alla soglia della seicento unità, nasce una borghesia agricola, viene avviata una vasta opera edilizia: costruzione della chiesa di S. Maria Assunta e della nuova fontana delle Tre Cannelle, innalzamento di un piano del Castello Orsini e la costruzione di nuove abitazioni sia nel centro che fuori per rispondere all'aumento demografico. L'economia subisce un'ulteriore impennata con il passaggio dal sistema di affitto a quello di enfiteusi voluto dal tesoriere Fabrizio Ruffo. È di questi anni la nascita dell'agglomerato urbano oggi denominato Pescia Romana. Passata in enfiteusi allo spagnolo Consalvo Adorno, diventa un'azienda agricola moderna. Nel 1795, per volontà dell'Adorno, sorge un grande casale al centro della tenuta Campo Pescia, il palazzo oggi chiamato Borgo Vecchio.

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    Dall'Ottocento alla riforma agraria

    Tra il 1798 e il 1814 tutto il territorio della Chiesa subisce numerosissimi passaggi di truppe e due lunghe invasioni: quelle dell'esercito francese. Al ritorno del Papa, nel 1815, ritroviamo una Montalto spopolata e debole. Inizia così un secolo che vedrà nei continui attacchi agli usi civici, nella definitiva privatizzazione delle terre demaniali e nel perdurare dei vecchi sistemi di sfruttamento, la nascita delle grandi proprietà e la proletarizzazione dei suoi abitanti. I primi anni del Novecento devono essere ricordati, oltre che per il tributo di sangue versato dai montaltesi nella Grande Guerra, soprattutto per le Invasioni delle terre. Un movimento che, parzialmente interrotto durante il Ventennio e ripreso al termine della Seconda guerra mondiale, vedrà nella Riforma Agraria, con l'esproprio delle terre ai grandi proprietari e la lottizzazione, un suo parziale compimento.



    Economia

    In questo comune è stata costruita quella che, a maggio 2010, è la più grande centrale fotovoltaica d'Italia Costruita dalla SunRay, ha una potenza nominale teorica di 24 MW, ma si prevede di espanderla fino a 85 MW.

    Nel suo territorio è attiva anche la centrale termoelettrica Alessandro Volta da 3 600 MW, realizzata convertendo la centrale elettronucleare Alto Lazio mai terminata a causa dell'abbandono della produzione elettronucleare in Italia a seguito dei referendum abrogativi del 1987.

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    Piccole piazze, vicoli sovrastati da archi, mura di cinta, lo stesso assetto urbanistico del centro storico evidenziano con particolare suggestione l’origine medioevale.

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    L'abitato è dominato dal Castello Guglielmi, il cui nucleo più antico è costituito dall'imponente torre quadrangolare. Costruito probabilmente nel XV secolo dagli Orsini, come ricordato dalla lapide posta sulla torre, il castello subì in seguito numerose ristrutturazioni.
    Alla fine del XVIII secolo venne rialzato di un piano e nel secolo scorso vennero aggiunte la loggia e la merlatura attuale.

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    Percorrendo via Vulci si giunge a una porta ricavata nel tratto settentrionale delle mura; da qui si accede alla piazza Felice Guglielmi, su cui prospetta la facciata neoclassica di Santa Croce. L'interno è a navata unica e al di sopra dell'altare, custodito entro una teca in vetro, si conserva un pregevole dipinto, raffigurante "La Madonna della Vittoria".

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    Santa Maria Assunta



    Percorrendo via Soldatelli si giunge davanti alla bella facciata settecentesca della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. L’edificio mostra sopra il portale di travertino lo stemma di Papa Pio VI Braschi che ne promosse il completo rifacimento nel 1783. L’interno, a unica navata, è decorato con interessanti dipinti della fine del XVIII secolo. In una teca, sulla destra, sono conservate le reliquie di Quirino e Candido, santi patroni di Montalto. In piazza Giacomo Matteotti si trova il Palazzo del Comune. La struttura, sorta in origine come convento francescano, venne successivamente trasformata in fortezza dai Farnese e inglobata nella cinta muraria.

    Fuori del centro storico, in prossimità della via Aurelia, si incontrano le settecentesche fontane delle Tre Cannelle e del Mascherone, entrambe con lunghe epigrafi sormontate dallo stemma del Comune. Lungo la strada per Marina di Montalto si può notare, sulla sinistra, la chiesa di San Sisto, costruita dai frati Agostiniani forse nel XIII secolo, e in seguito trasformata prima in lazzaretto e quindi in ospedale.
    Percorrendo l'Aurelia, dopo aver superato la frazione di Pescia Romana, si arriva al Palazzo del Chiarone, l'ex dogana pontificia. Munito di circa 90 stanze, con tanto di appartamento papale, stalle e prigione, risulta oggi, purtroppo, completamente abbandonato. Nei dintorni del centro abitato è possibile ammirare i settecenteschi Archi di Pontecchio. Infine, nei pressi del Castello della Badia (Vulci) è conservato il Casale dell'Osteria, pregevole esempio di architettura colonica risalente al tempo della riforma fondiaria.

    MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VULCI



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    Sulla sponda sinistra del Fiora - nel territorio del Comune di Canino, all'interno del Parco Archeologico Naturalistico di Vulci -, si erge il maestoso Castello dell’Abbadia, posto a controllo dell’ardito ponte di impianto etrusco, che la leggenda vuole costruito in una notte dal Diavolo.

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    La fondazione del castello si fa risalire al secolo XI ma il suo nome rimanda ad un’antica chiesa, quella di San Mamiliano, citata in un documento dell’anno 809 d.C.
    Nel XIII secolo il castello fu forse di proprietà dei Templari: intorno ad esso si andò creando un abitato che, agli inizi del Trecento, contava ben novantasei famiglie. Fu poi di proprietà degli Aldobrandeschi e dei Farnese, ed ancora di Luciano Bonaparte e Alessandro Torlonia.

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    Dal 1975 il castello è sede del Museo Archeologico di Vulci. Nell’ampio cortile sono collocate sculture ed elementi architettonici funerari prevalentemente di epoca etrusca.Ceramica etrusca a figure nere Poggio Maremma 500 a.C. Attribuito al pittore di Micali. Museo di Vulci Il piano terra è dedicato al periodo più antico della storia di Vulci, con reperti che vanno dal X all’VIII secolo a.C.: numerose urne cinerarie, importanti vasi geometrici e suggestive sculture in nenfro.

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    Nelle sale del piano superiore sono di particolare interesse i corredi della Tomba dei Soffitti Intagliati e della Tomba della Panatenaica (VII-VI secolo a.C.), con raffinati balsamari, anfore e kyliches attici, vasi etrusco-corinzi e i più tipici buccheri. L’ultima sala espone reperti provenienti dall’area urbana, come i numerosi ex voto anatomici, e interessanti testimonianze di epoca romana, tra i quali una statua in terracotta raffigurante Ercole seduto.



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    Gli archi di Pontecchio si trovano all'altezza del km 4,00 della strada che collega Montalto di Castro con Canino (ss 312). Si tratta di un ponte d'acquedotto che scavalca un piccolo affluente del fiume Fiora, costituito da 32 arcate inferiori e 53 superiori (in parte crollate), di probabile origine medievale, anche se restaurato in epoche successive. Nonostante l'abbandono di rifiuti fatto dai soliti imbecilli, il luogo è di grande suggestione, e merita una visita...


    Ponte San Pietro

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    La valle del Fiora è una delle più belle e solitarie dell'Italia centrale. Il fiume divide la Toscana dal Lazio, proprio come un tempo divideva lo Stato Pontificio (il Patrimonio di San Pietro) dai territori degli stati toscani (in particolare dallo stato senese). A unire le due rive esisteva un piccolo ponte chiamato di San Pietro, molto importante per il commercio e per i pellegrinaggi verso l'Urbe. Oggi resta solo l'arcata principale, ben visibile dal ponte moderno, costruito negli anni '30, dove passa la strada che si dirige a Manciano, Pitigliano e dunque verso la Maremma toscana.




    Pescia Romana



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    (frazione di Montalto di Castro)
    Nel territorio del Comune di Montalto di Castro, a dodici km. dal capoluogo, è situato il centro abitato di Pescia Romana (2.500 abitanti ca), il cui territorio si trova a confine con quello del Comune di Capalbio e quindi con la Toscana.

    L’abitato è costituito da due nuclei principali: “Il Borgo Nuovo” ed “il Borgo Vecchio” , oltreché di una miriade di case coloniche sparse nella bellissima campagna circostante. Dei due borghi, quello più antico, si sviluppò, presumibilmente dopo l’anno 1700, intorno ad una piccola chiesa edificata dai gesuiti ed intitolata al loro fondatore, Sant’Ignazio. Il nucleo più recente, a ridosso della Statale Aurelia, fu inaugurato nel 1961 e costituisce senz’altro uno fra gli esempi più belli ed armoniosi di comunità rurale, sorta in seguito alla riforma agraria attuata a partire dai primi anni 50, con il tramite dell’Ente Maremma. Nucleo centrale del Borgo Nuovo è la chiesa di San Giuseppe Operaio, a pianta esagonale, con cupola anch’essa esagonale sul cui soffitto si trovano affreschi di notevole pregio, così come di altrettanto pregio è l’altare centrale e la bella fontana all’esterno dell’edificio.

    La storia di Pescia si è sviluppata in modo sostanzialmente diverso rispetto a quella del capoluogo. Infatti, mentre Montalto di Castro, intorno all’anno 1300 diviene proprietà della famiglia Orsini, entrando, in seguito, a far parte del ducato di Castro, Pescia Romana rimane nell’ambito della Camera Apostolica.
    Intorno all’anno 1820, la “Tenuta di Pescia” viene concessa alla famiglia Boncompagni-Ludovisi, Principi di Piombino, che ne rimase proprietaria fino alla riforma agraria. Per decenni il territorio di Pescia Romana fu caratterizzato dalla presenza di acquitrinii e di estese zone paludose. La scarsa popolazione dovette subire le conseguenze della presenza della “malaria”.

    Oggi, dopo il risanamento, effettuato con la riforma agraria, lo stesso territorio è caratterizzato da un clima estremamente salubre e da una grande fertilità, che consente una agricoltura avanzata e di grande pregio. Alcuni dei prodotti ortivi di Pescia, in special modo meloni, ma anche pomodori e cocomeri, sono noti in tutti i mercati per le loro elevate qualità.
    In tempi più recenti, in modo sempre più accelerato, si è venuto sviluppando il settore turistico.

    Si contano ormai a migliaia i turisti che frequentano Pescia Romana, attratti, oltrechè dalla bellezza della campagna, e dalla possibilità di effettuare molte escursioni, sia di carattere naturalistico, che artistico culturale (Argentario, Capalbio, Sovana, Saturnia, Oasi WWFF di Burano, Giardino dei Tarocchi di Pescia Fiorentina, Parco archeologico di Vulci, Museo etrusco di Vulci, Museo etrusco di Tarquinia e moltissime altre possibili mete di pari bellezza ed interesse, tutte nell’ambito di pochissimi km) , anche e soprattutto, dagli otto km. di spiaggia, tutta allo stato naturale, con alle spalle un “tombolo” assolutamente intatto, quale ormai si può ritrovare soltanto qui e dalla limpidezza e pulizia delle acque del mare sono ormai ben note ovunque le spiaggie: “di Marina di Pescia”; “del Casalaccio”; “di Costa Selvaggia”.

    Altra attrattiva nel periodo estivo è costituita da alcune manifestazioni di notevole interesse, quali: La Sagra del melone, in luglio, ed il Palio delle contrade, durante il mese di agosto.
     
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    Sutri




    Sutri (VT) è un comune con poco più di seimila abitanti, dista circa 34 km dal capoluogo e circa 50 km da Roma (circa 35km dall'uscita Cassia Bis del GRA).


    Geografia fisica

    Sutri sorge su un imponente rilievo di tufo che domina la via Cassia. Le sue origini sono molto antiche e presenta evidenti testimonianze del suo passato: un anfiteatro romano completamente scavato nel tufo, una necropoli etrusca formata da decine di tombe scavate anch'esse nel tufo, mura etrusche incorporate da quelle medioevali, un mitreo poi tramutato in chiesa (intitolata alla Madonna del Parto), il Duomo di origine romanica.


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    la piazza


    Storia


    La storia di Sutri (anticamente Sutrium) è testimoniata dai numerosi ritrovamenti archeologici nella zona appartenenti a diverse epoche. Le sue origini sono molto antiche, probabilmente risalenti all'età del bronzo. La sua fondazione è, secondo la leggenda, da attribuirsi ad un antico popolo di navigatori orientali, i Pelasgi. Altre leggende parlano della fondazione da parte di Saturno, che appare a cavallo con tre spighe di grano in mano nello stemma ufficiale del comune.

    Ebbe un forte sviluppo nel periodo di dominazione etrusca, come centro agricolo e commerciale. Come passaggio obbligato per l'Etruria, fu conquistata definitivamente nel 383 a.C. dai Romani, dopo la caduta di Veio. Successivamente sostenne il passaggio di diverse orde barbariche in viaggio per la via Cassia alla volta di Roma, fungendo da baluardo del consolato e dell'impero.


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    Sutri, Madonna Del Parto, Interno


    Tra il V e l'VIII secolo Sutri fu coinvolta nelle lotte tra Longobardi e Bizantini, fino a che, nel 728, il re dei Longobardi Liutprando offrì la città e le terre circostanti al papa Gregorio II. Questa donazione viene considerata l'inizio del dominio temporale della Chiesa, ovvero il primo passo per la costruzione del Patrimonio di San Pietro.

    Nel IX secolo si colloca la leggenda di Berta, sorella di Carlo Magno, diseredata ed esule per aver avuto rapporti con un uomo di umili origini. Secondo tale leggenda, lungo la strada per Roma, ella si fermò a Sutri (secondo alcuni avendola ricevuta in dono dal fratello come dimora) e partorì in una grotta Rolando (o Orlando), poi nominato paladino di Francia dallo stesso imperatore e protagonista di numerose opere sulle sue gesta cavalleresche.

    Si svolse a Sutri nel 1046 un Concilio indetto dall'imperatore Enrico III, che pose fine allo scisma che vedeva opporsi tre rivali per il papato: vi fu eletto papa Clemente II.


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    In età feudale fu al centro degli scontri tra guelfi e ghibellini, che culminarono nell'incendio che distrusse il borgo nel 1433, ad opera di Nicolò Fortebraccio, capitano di ventura. Da quel momento la città vide un rapido declino della sua importanza demografica ed economica, dovuto anche al dirottamento delle rotte commerciali lungo la Via Cimina, a favore di Ronciglione, fortemente potenziata dai Farnese. Sutri si ridusse quindi ad una cittadina rurale di secondo piano nello Stato Pontificio, facile merce di scambio per le famiglie nobili.

    Alla fine del XVIII secolo, Sutri fu conquistata dalle truppe francesi e accomunata a Ronciglione. Nella Restaurazione fu resa allo Stato Pontificio.

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    Sutri è un'importante sede vescovile almeno dal V secolo, sebbene la leggenda voglia che San Pietro stesso vi inviò San Romolo come vescovo, agli albori del cristianesimo. Il primo vescovo residente di cui si ha notizia certa è Sant'Eusebio, nel 465. Tra il 1243 ed il 1244 la città è stata per breve tempo sede papale, quando papa Innocenzo IV vi si stabilì per fuggire dall'imperatore Federico II, che egli aveva scomunicato. Nel 1435 la sede vescovile fu unificata con quella di Nepi, a riprova del declino demografico ed economico avvenuto all'epoca. Nel 1556 è stata sede vescovile del futuro papa Pio V, poi canonizzato, a cui sono dedicate molte opere nel Duomo cittadino.

    Francesco Petrarca, scrivendo del suo primo viaggio a Roma nella lettera al cardinale Giovanni Colonna, descrive Sutri:
    « A due sole miglia sta Sutri, sede diletta a Cerere, e antica colonia, secondo che dicono, di Saturno: ove non lungi dalle mura mostrano il campo che narrano fosse il primo in Italia a ricevere la sementa del grano, segato indi a poco dallo stranio re che con tal beneficio mansuefatti e cattivatisi gli animi di quei primi abitatori regnò su loro tranquillo infin che visse, e venuto dopo morte in voce di Dio, dalla gratitudine degli uomini qual vecchio nume con in mano la falce fu venerato. Saluberrimo, a quanto la breve dimora mi concede di giudicarne, è questo clima.
    Cingono d'ogni parte il paese colline senza numero, né troppo alte, né di malagevole salita e di nessuno impedimento allo spaziar della vista, infra le quali s'aprono sui convessi fianchi ombrose e fresche caverne, e sorge frondoso il bosco a riparare l'ardore del sole da tutti i lati da quello infuori che guarda a Borea, ove un monticello degli altri più basso in aprica valle spiegandosi appresta alle api una fiorita dimora. Qui d'acque dolcissime ne' bassi fondi il mormorio, qui cervi, damme, cavrioli, e tutto il selvaggio gregge de' boschi errante ne' colli aperti, e schiera infinita d'augelli che lambe le onde o su pei rami saltellando sussurra. Taccio de' buoi, e de' domestici armenti, e dei doni di Cerere e di Bacco, che alla fatica dell'uomo dolci ed ubertosi rispondono, e dei naturali tesori dei vicini fiumi, dei laghi e del mare, che anch'esso poco è distante. »

    (Lettere di Francesco Petrarca delle cose familiari, lettera XXIII, ca. 1337)

    Il comune di Sutri fa parte dell'Associazione dei Comuni Italiani sulla Via Francigena, come passaggio per i pellegrini diretti a Roma da nord.

    Leggende

    Orlando Paladino


    Lasciando Sutri in direzione di Roma, a circa un chilometro e mezzo dalla piazza centrale, a sinistra sulla Via Cassia, si può notare un viottolo che scende a valle. Percorsi pochi metri, appare una grotta a due stanze sorrette da una colonna (probabilmente una tomba estrusca a camera).
    La tradizione popolare, rafforzata dai poemi cavallereschi franco-veneti del XII secolo, vuole che qui sia nato Orlando Paladino, Marchese del Chiaramonte, Conte di Blaye e Gonfaloniere della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
    La leggenda racconta che Carlo Magno aveva una sorella di nome Berta la quale ebbe l'impudenza di invaghirsi di un valoroso condottiero privo di titolo, di nome Milone. Il re, adiratosi, scacciò la donna dalla corte assieme al suo innamorato sgradito. Per quest'ultimo divenne vitale cercare chi lo assumesse al proprio servizio ma, respinto da tutti, fu costretto a dirigersi verso Roma per chiedere al Papa di intercedere presso il re. Durante la sosta a Sutri, in quella grotta, Berta fu colta dalle doglie del parto e mise alla luce un bel bimbo. Mentre lo accudiva un giorno il piccolo le scivolò di mano iniziando a rotolare sull'erba del pendio e facendo esclamare alla madre disperata "Ooh! le petit rouland!". Da qui venne il suo nome Rolando o Orlando e quello della valle che ancora è chiamata Valle Rotoli.

    Il ragazzo crebbe sano e robusto, divenendo capo della gioventù Sutrina, meritandosi la carica di "Re del Carnevale" e conducendo una vita spensierata fino a quando non giunse a Sutri la corte di Carlo Magno. Il re dei Franchi era diretto a Roma e tant'era l'euforia che suscitavano i re e il suo seguito al passaggio che Orlando, contagiato da tanta eccitazione, non perse tempo a mettersi in mostra. Si travestì da servitore, si infiltrò nella sala del banchetto reale e rubò con la velocità del fulmine, la coppa dove aveva appena bevuto il sovrano. Carlo, più meravigliato che adirato per l'accaduto, sfidò giocosamente il ladro a ripetere la malefatta il giorno successivo, cosa che si ripeté puntualmente identica fra lo stupore generale. Sulla strada di casa Orlando trovò i tre dignitari inviati dal re che, riconosciuta la madre Berta come sorella del sovrano, permisero il ricongiungimento dei familiari da tanto tempo divisi. Rientrando in Francia, Carlo Magno volle suo nipote al fianco, ma Orlando pretese che il suo compagno Oliviero - sutrino autoctono - lo accompagnasse, divenendo poi con lui Paladino di Francia. (entrambi morirono combattendo contro i Saraceni nella battaglia di Roncisvalle, nell'agosto del 778.)

    Monumenti e Luoghi di interesse

    Chiese sutrine


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    interno del duomo
    Santa Maria Assunta

    La chiesa di Santa Maria Assunta, sita nel borgo antico della città, è stata la chiesa cattedrale di Sutri, sede episcopale fino al 1986 e oggi è una concattedrale della diocesi di Civita Castellana.

    Sutri


    Storia

    Costruita su edifici sacri precedenti, l'edificio attuale risale al XII secolo e fu consacrato da papa Innocenzo III nel 1207.

    Poco rimane dell'antica chiesa medievale di stile romanico, a causa dei rifacimenti in stile barocco compiuti nel XVII secolo e di quelli aggiuntisi nel XIX secolo, che ne hanno alterato l'antica maestosità e bellezza.

    Arte e architettura

    L'attuale facciata è dovuta agli interventi del XVII secolo, che hanno alterato l'aspetto originario ed anche quello della piazza antistante, che doveva essere più profonda ed ampia. La primitiva facciata era dotata di un portico, decorato con mosaici ed arricchito di sculture in marmo, parte delle quali sono oggi conservate nel Museo cittadino. Oggi vi è un portico barocco, ed il portale d'ingresso con decorazione policroma ed intarsi di marmo bianco.

    Il campanile è uno dei pochi resti della chiesa medievale, iniziato già tra il X e l'XI secolo. In origine era separato dal resto della chiesa; è costruito in tufo e è suddiviso in quattro ordini di finestre, dalla monofora nel piano più basso, alla quadrifora nel piano più elevato.

    L'interno

    L'interno si presenta a pianta basilicale a tre navate separate da pilastri, con tre cappelle per navata, abside e cripta. Della chiesa medievale rimane:

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    il pavimento cosmatesco;



    * due colonne di epoca romana imperiale, oggi inglobate dentro i due pilastri precedenti il presbiterio, che sostenevano la navata centrale; le altre colonne simili sono andate perdute.

    La volta della navata centrale è arricchita da quattro affreschi, realizzati tra il 1892 ed il 1894 da Luigi Fontana, e raffiguranti quattro santi: Santa Dolcissima, San Felice prete, Sant'Ireneo e Sant'Eusebio. Dello stesso Fontana e di Ludovico Mazzanti sono gli affreschi dell'abside, raffiguranti Maria assunta in Cielo, la Morte di Maria e l'Incoronazione di Maria. Nelle cappelle laterali all'abside sono conservati un Crocifisso ligneo che risale alla metà del XIV secolo, ed un ciborio del 1500.

    Le cappelle laterali racchiudono tele per lo più del XVII e XVIII secolo. Di notevole valore storico ed artistico è la Tavola del Santissimo Salvatore, conservata nella cappella centrale della navata di sinistra, risalente ai primi anni del XIII secolo, con caratteristiche tipiche della iconografia bizantina, in particolare nella raffigurazione del volto: vi è raffigurato il Cristo benedicente, seduto su un trono tempestato di pietre preziose e perle, che regge un libro nella mano sinistra; il tutto è arricchito dalla vivacità dei colori utilizzati, il rosso per il cuscino, il blu oltremare per la tunica, l'azzurro per il drappo che copre lo schienale, ed il color oro dello sfondo.

    La cripta conserva colonne di marmo di epoca romana e vari capitelli di epoche diverse (bizantina, longobarda e romanica); degli affreschi che ornavano le pareti restano solo pochi frammenti. In un vano a sinistra dell'abside è conservato un affresco di scuola umbra raffigurante Cristo in croce tra la Madonna e Maria Maddalena. Infine, nella parete di sinistra, è conservato un busto di bronzo di papa Clemente II, vescovo di Bamberga, che fu eletto papa da un concilio che si tenne a Sutri nel 1046, alla presenza dell'imperatore tedesco Enrico III.


    San Francesco

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    La chiesa di san Francesco è un'antica chiesa di Sutri.

    L'antica chiesa con annesso convento è stata fondata dallo stesso San Francesco nel 1222 ed intitolata a Sant'Angelo. Nel convento visse anche S. Antonio da Padova che per un anno, durante il suo peregrinare per l'Italia, ricoprì la carica di maestro dei novizi. La Chiesa, dopo decenni di chiusura a causa dei danni riportati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, è stata oggetto di un lungo intervento di restauro e restituita ai fedeli ed ai turisti. Interessanti sono gli elementi architettonici dello stile romanico quali la volta a crociera con nervature, la travatura della navata centrale l'altare maggiore ed il tipico campanile a vela.


    * San Silvestro
    * San Sebastiano

    San Rocco

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    La chiesa di San Rocco è una chiesa di Sutri, nella piazzetta di San Rocco, nel borgo antico della cittadina.

    Essa è situata a fianco di quello che un tempo fu l’ospedale di Sutri e che ora è sede del museo cittadino. In questa chiesa aveva sede la confraternita di San Martino, e dal XVII secolo quella di San Rocco, che ha poi dato il nome all’edificio.

    La semplice facciata con tetto a spiovente ha un portale d’ingresso con architrave in peperino, nel quale è scolpita la data 1608. Nel quadro posto all’altare sono raffigurati San Rocco e San Martino, i patroni delle due confraternite che in seguito vennero sciolte.



    * Santissima Concezione
    * Santa Maria del Tempio
    * Madonna del Parto
    * Madonna del Monte

    Santa Croce

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    La chiesa di Santa Croce è una chiesa di Sutri, all’ingresso della città vecchia per chi viene da Roma.

    Non è documentata l’origine di questa antica chiesa sutrina, che ipotesi storiche fanno risalire all’epoca crociata. Il primo documento che ne attesti l’esistenza risale al 1658, quando, in occasione di una visita pastorale, si parla dell'oratorio della confraternita della Santa Croce. Quando nel 1670 fu costruito un ospedale nei pressi di Porta Romana (demolita nel 1961), la chiesa fu utilizzata come cimitero per le persone che vi morivano. Fino alla fine del XIX secolo le vicende della chiesa sono connesse con quelle dell’ospedale, fino a quando questo non fu trasferito vicino a Porta Vecchia (in quello che oggi è la sede del Museo cittadino).

    La chiesa fu più volte restaurata dai vescovi sutrini nel corso dell’Ottocento. L’ultimo restauro risale al 1990. L’interno della chiesa presenta un pavimento in cotto ed il soffitto a capriate in legno. All’altare maggiore è esposta una Esaltazione della santa croce. La chiesa è sede dell'Arciconfraternita del SS. Sacramento, Santa Croce e Gonfalone.


    Santa Fortunata (sconsacrata)

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    La chiesa di Santa Fortunata è un'antica chiesa rupestre di Sutri, oggi abbandonata.

    È una delle più antiche chiese sutrine. Intorno all'anno 1000 sorge il complesso rupestre di Santa Fortunata come insediamento religioso su di un antico sito preesistente. Alcuni affreschi della chiesa e del complesso esterno sono stati salvati dall'incuria e sono oggi custoditi presso il Museo del Patrimonium di Sutri.

    Fino al 1960 nei pressi della chiesa vi era una sorgente ritenuta miracolosa per l'allattamento; era tradizione, per le partorienti, andare in pellegrinaggio per bere l'acqua che vi sgorgava, così da poter beneficiare delle sue proprietà taumaturgiche che avrebbero fatto crescere il seno per un allattamento del neonato senza problemi di mancanza di latte.

    La chiesa fa parte del Parco urbano dell'antichissima Città di Sutri, istituito nel 1988.


    * Madonna del Carmine (sconsacrata)
    * Santa Cecilia (sconsacrata)
    * Sant'Andrea (sconsacrata)

    Altri monumenti

    * Anfiteatro romano di Sutri
    * Villa Savorelli
    * Porta Vecchia
    * Necropoli di Sutri
    * Torre degli Arraggiati
    * Catacomba di San Giovenale

    Parchi

    Parco urbano dell'antichissima Città di Sutri


    Il Parco comprende un'area di grande interesse archeologico, con un anfiteatro romano scavato per intero nel tufo, una necropoli etrusca e una tomba trasformata prima in luogo di culto dei misteri mitriaci nel I secolo d.C e poi in Chiesa (Madonna del Parto) nel Medioevo.
    Nell'area rientra anche il bellissimo giardino all'italiana di Villa Savorelli e la zona collinare circostante, con macchia e bosco di cerro, roverella, acero e castagno. Nelle zone ripariali si trovano noccioli, pioppi e canneti. Tra gli animali, troviamo la volpe, l'istrice e il barbagianni.

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    Edited by tomiva57 - 28/10/2013, 15:01
     
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    MANZIANA



    L’origine del nome di Manziana è una vicenda molto discussa: la teoria più comune e conosciuta è legata al manzo, presente anche nello stemma del paese ma molti studiosi che si sono occupati della storia del paese sono infatti ormai quasi convinti che il nome derivi dal lapis anitianus, detto anche pietra “anitiana”, abbondante nella regione ed escavata in passato sul Monte Virginio, adiacente al paese. Tale pietra è descritta già da Vitruvio Pollione nel 27 a.C. nel libro I della sua opera “De Architectura”: si tratta di un materiale composto di lava granitica o feldspatica, simile alla trachite. Partendo dalla pronuncia di tale pietra(aniziana), per associazione fonetica si sarebbe arrivati al nome odierno del paese.

    Un’altra teoria deriva dal collegamento indiretto con il dio etrusco degli inferi Mantus, che avrebbe dato nome alla Silva Mantiana(l’odierno Bosco di Manziana) e da cui il paese avrebbe preso nome. La teoria più accreditata rimane comunque quella collegata alla pietra “anitiana”, estratta dalle cave della famiglia Anicia.

    manziana


    Anche in questo caso la storia di Manziana rimane incerta, tuttavia si suppone che i primi abitanti fossero Etruschi fuggiti dopo la distruzione dell’antica città di Ceri(l’odierna Cerveteri). Successivamente si suppone che gli attuali luoghi su cui sorge il paese fossero abitati anche dai Romani, che hanno lasciato evidenti tracce del loro passaggio: ad esempio una strada romana, via di Macchia Grande, che costituisce la strada principale del Bosco di Manziana.


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    Sancta Pupa

    Cosa certa è invece che, dopo aver assoggettato al loro potere la zona, la famiglia dei Signori di Vico costruì un castello baronale dove oggi sorge il Palazzo Tittoni, a cui diede il nome di “castrum Sanctae Pupae”. Il ramo della famiglia dei Signori di Vico che si trasferì dove oggi sorge Manziana si chiamò infatti “De Santa Pupa”; ancora il nome Manziana non era mai apparso in documenti ufficiali e la zona veniva chiamata, a nome di questo ramo della famiglia “Santa Pupa”.

    L’influenza degli Orsini, feudatari di Bracciano(comune vicino a Manziana), all’epoca si faceva sentire, tanto che nel 1290 si rileva che una parte del territorio di Santa Pupa spettava a Bertoldo di Gentile Orsini. Il nome di Manziana in questo periodo restò limitato alla Silva Mantiana, la selva che circondava questi luoghi e che più tardi sarebbe servita ad attirare uomini e lavoratori da altri paesi.

    Nei secoli XIV e XV ci furono gravi turbolenze, che sconvolsero la Tuscia: queste furono la causa della decadenza del castello di Santa Pupa. Dopo gravi problemi economici gli Orsini furono costretti a vendere a diversi proprietari i fondi di Santa Pupa ed il castello ormai diroccato e disabitato rimase in possesso dell’Arcispedale. L’abbandono regana ormai sovrano nel territorio di Santa Pupa e solo alla fine del Medio Evo il territorio iniziò a “risorgere” grazie all’afflusso di uomini da altri paesi.

    Questi uomini stabilitisi qui e provenienti da altri paese furono denominati Capannari, poiché le loro abitazioni consistettero in capanne di legno, ricavato dalla selva che circondava questi luoghi. Il primo luogo in cui si stabilirono fu una zona ora chiamata “La Fiora”, che dista dal centro di Manziana circa mezz’ora di cammino. Lì fu eretta una chiesetta dedicata alla Madonna della Fiora. Il nome Mantiana iniziò ad apparire a metà del ’500, quando fu steso il primo documento ufficiale sul quale compariva la qualifica di “capannari”.

    Questi abitanti furono successivamente chiamati “capannari di S. Spirito”, al fine di distinguerli dai capannari di Bracciano.


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    La Chiesa di Manziana

    Non solo la vita materiale con i suoi problemi interessò gli abitanti, ma anche i sentimenti di elevazione spirituale li indussero a trasportare nel nuovo borgo, che si chiamò Manziana, il culto religlioso fiorentino di San Giovanni Battista, al quale nel 1575 dedicarono la Chiesa, col consenso del precettore Cirillo. Con la costruzione di questa Chiesa le due chiesette della Madonna delle Grazie e della Madonna della Fiora furono quasi dimenticate: la prima fu usata da quel punto in avanti solo per la festa di S. Maria delle Grazie l’8 settembre(tutt’ora esistente) e la seconda cadde in rovina.

    Il primo Parroco fu Don Sebastiano Celli di Tolfa, che tre anni dopo, e precisamente il 5 Marzo 1578 prese possesso della Chiesa, sebbene vi officiasse sin dal termine della sua costruzione.

    Le tensioni tra Manziana e Bracciano


    Gli Orsini si accorsero che il nuovo centro, sviluppandosi, stava diventando un possibile ricco patrimonio da aggiungere al loro feudo: per fare ciò approfittarono dell’origine comune dei capannari dei due luoghi e dei confini ancora non ben definiti. Gli Orsini pretendettero giuramento di fedeltà dai capannari che occupavano il territorio; il precettore Cirillo reagì prima con un’ironica lettera alla famiglia degli Orsini e poi, essendo fallito questo metodo, con una lite giudiziaria, che vinse.




    La costruzione di Manziana com’è oggi e le antichità

    La costruzione dell’attuale palazzo tittoni fu iniziata nel 1596: l’autore fu l’architetto Mascherino, il cui progetto è conservato presso l’Accademia S.Luca di Roma. Si tratta di una maestosa costruzione, la cui più antica torre si chiama tuttora di S. Pupa.

    Tra le antichità del paese va notato l’arco che si trova a metà del Corso principale che è a tutto sesto; sul timpano si nota ancora l’antica meridiana. Un’altra attrattiva è data dall’antico ponte romano che nel Medio Evo fu chiamato ponte del diavolo e che tutt’ora conserva questo nome. L’attuale fisionomia del paese è quella di un moderno borgo pulito ed assai grazioso, equidistante dalle due città di Roma e Viterbo, che la rende facile da raggiungere e meta ambita dai turisti di queste zone.





    Monumento Naturale della Caldara di Manziana


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    Con la legge regionale dn°64 del 26 settembre 1988 venne istituito il Monumento Naturale della Caldara, gestito dall’Università Agraria di Manziana ed esteso per circa 90 ettari. L’area protetta è situata all’interno del Parco naturale regionale del complesso lacuale di Bracciano – Martignano.

    Riconducibili all’attività dell’antico Vulcano Sabatino, ormai estinto, sono le polle: si tratta di pozze d’acqua gorgogliante che fuoriesce energicamente dal sottosuolo. L’acqua, in superficie, ha una temperatura di circa 20° C. Caratteristica è anche la “torbiera”, il terreno paludoso adiacente alla polla, costituita da un accumulo di sostanze organiche compattate con il tempo.

    La flora e la fauna di questo Monumento Naturale sono ricchissime: decine di specie arboree, erbacee ed arbustive ricoprono il territorio della Caldara, popolato allo stesso tempo da decine di animali di ogni tipo.


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    La Flora ed il Boschetto di Betulle


    Particolarità della Caldara è la presenza di un boschetto di betulle(Betula pendula), al limitare della torbiera: questa pianta è infatti tipica di zone ben più alte sul livello del mare o situate nel nord Europa.

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    Betulla

    Manziana, e quindi la Caldara, è invece relativamente vicina al mare, sia per distanza in linea d’aria, sia per elevazione.

    Le ipotesi più accreditate per la spiegazione della presenza della betulla sono due:

    * Le betulle potrebbero essere state importate artificialmente in passato e che abbiano resistito grazie al clima favorevole della Caldara.
    * La pianta potrebbe invece essere il residuo di un periodo post-glaciazione, rimasta trovando nella Caldara il microhabitat ideale alla crescita.

    All’interno della Caldara possono essere trovate anche altre specie di piante, oltre alla betulla: ontani, noccioli, castagni, cerri e carpini neri fra le specie arboree; biancospini, nespoli, prugnoli, ginestre e sambuchi tra le arbustive; cannucce di palude, mazzasorde, giunchi, ciclamini, favagelli, pungitopi e felci fra le erbacee.


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    La Fauna

    La fauna, come la flora, è molto ricca e varia. Tra i mammiferi si trovano il cinchiale, l’istrice, il riccio, il tasso, la volpe, la donnola, la faina, la martora, il moscardino, il topo quercino ed il topo selvatico. E’ però difficile osservare questi animali, che escono solitamente di notte, è però abbastanza semplice trovare i resti dei loro pasti, peli, aculei di istrici e, a volte, i corpi di animali morti per le esalazioni solforose della Caldara.

    Fra gli uccelli si trovano invece il picchio verde, la ghiandaia, l’upupa, il gruccione, il rampichino, la cinciallegra, il cuculo, l’allocco, la civetta, il barbagianni, il gufo comune, il nibbio reale, il nibbio bruno, la poiana, il gheppio, il pettirosso e l’airone cenerino.
    ..e altri animali

    All’interno della Caldara vivono anche altre specie di animali: rettili come la biscia, il biacco o il ramarro; anfibi come la rana verde, il rospo comune e la raganella ed insetti come lo scorpione d’acqua, la libellula e le varie farfalle diurne.



    Bosco di Manziana – Macchia Grande


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    Il Bosco di Manziana è una delle aree verdi più suggestive ed interessanti di tutto il Lazio: quello che si vede oggi è ciò che rimane dell’antica Silva Mantiana, che un tempo ricopriva gran parte del territorio circostante, compresi i monti Sabatini ed i colli cimini.

    Il bosco, costituito da querce, aceri selvatici, carpini e nespoli, copre attualmente una superficie di circa 580 ettari ed è situato a sud-ovest del paese, sulla Braccianese Claudia in direzione Roma. La specie arborea dominante è composta comunque dai maestosi cerri secolari, per i quali Macchia Grande – questo il nome del bosco – è famoso. Ricco è anche il sottobosco, costituito da piante come felci, rose selvatiche, pungitopi, agrifogli e diversi tipi di fiori, oltre ad una grande varietà di funghi, anche commestibili.

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    La fauna è invece composta da volpi, faine, donnole, beccacce, picchi, gheppi, poiane ed altri volatili.



    Macchia Grande è un bosco intricato e vario: si va dai sentieri che si inoltrano fra i cerri secolari ed il sottobosco più fitto, fino ad arrivare a comodi stradelli che portano alla vecchia cava di zolfo o agli enormi prati Camillo, Canepine e Bologno. Proprio sotto gli occhi di chi si avventura nel bosco, anche per la prima volta, si trova la vecchia strada romana, oggi Via di Macchia Grande, che un tempo portava al Ponte del Diavolo.

    Anche gli appassionati di storia potranno ritenersi soddisfatti dopo avere visitato le tombe etrusche, le fondamenta delle ville rustiche romane e gli ambulacri sotterranei, oltre al sopra-citato Ponte del Diavolo.


    Cosa Fare

    Il Bosco di Manziana è perfetto per trekking poco impegnativi ed escursioni in MTB: è possibile seguire i sentieri segnati, avventurarsi in esplorazione o attenersi agli itinerari che transitano nel bosco e girano gran parte del territorio manzianese descritti nell’area itinerari di Manziana Turismo. Sempre in MTB è possibile sperimentare evoluzioni e salti in due aree, non attrezzate, situate relativamente vicine all’entrata del bosco presso la Via Braccianese Claudia.

    Via di Macchia Grande è inoltre molto frequentata per camminate salutari lontane dallo smog e per allenarsi o tenersi in forma correndo, a ritmi più o meno elevati: con i suoi circa 3km di lunghezza è infatti perfetta per chiunque voglia cimentarsi in questo sport.

    All’entrata del bosco è inoltre possibile cimentarsi nel nuovo parco avventura: una serie di percorsi sospesi sugli alberi, dai 2m ai 14m di altezza, adatti a tutte le età! Si va dai percorsi per bambini fino a percorsi lunghi e molto impegnativi, sia fisicamente che psicologicamente, per adulti. Sempre tramite il parco avventura Quercus Village è possibile organizzare escursioni guidate nel bosco, barbecue, picnic e noleggiare MTB.



    Manziana Comics



    Si chiama Manziana Comics ed è l’evento che ormai ogni anno attira centinaia di appassionati verso il nostro paese. Durante questo evento le strade e le piazze di Manziana vengono adibite ad ospitare stand di fumetti e spettacoli serali con artisti del calibro di Lillo & Greg e dei Raggi Fotonici.

    Manziana Comics è prima di tutto un evento, come si evince dal nome, incentrato sui fumetti, sui manga e sul mondo correlato: durante i tre giorni dedicati è possibile trovare a manziana numerosi stand nei quali acquistare numeri di fumetti introvabili, pezzi da collezionismo, manga, vestiti, oggetti e molto altro ancora. Vengono inoltre organizzati incontri con autori ed artisti, mostre di tavole ed illustrazioni, autoproduzioni, murale in diretta e laboratori di fumetto per i più piccoli.

    Manziana Comics consiste anche nel diventare un eroe dei fumetti o dei manga con il cosplay e poi sfilare sul palco per mostrare il proprio travestimento. L’evento gratuito e ad entrata libera e si svolge tutti gli anni all’inizio del mese di giugno.



    Mercato di Artigianato e Bigiotteria


    La prima domenica di ogni mese l’Amministrazione Comunale e la Pro Loco di Manziana organizzano una mostra-mercato nella quale è possibile reperire oggetti di ogni tipo: si parte dagli oggetti di artigianato fino ad arrivare a prodotti naturali, oggetti di antiquariato e pezzi da collezionismo.

    Con questo mercato, chiamato comunemente “Fiera della Prima Domenica del Mese”, Corso Vittorio Emanuele, la via principale di Manziana, e Piazza Tittoni vengono completamente ricoperti di bancarelle per la vendita e l’esposizione di oggetti più o meno particolare. In quest’occasione è facile trovare oggetti di qualsiasi epoca: da vecchi mobili e tappeti per l’arredamento fino ai nuovissimi gadget tecnologici. Per i più golosi, fra una bancarella e l’altra, è possibile mangiare qualche dolciume e caramella o la tipica porchetta, mangiata da sola o fra due fette di pane.




    Riserva di Monterano


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    Riserva di Monterano

    Con la legge regionale 2 dicembre 1988, n. 79 venne istituita la Riserva Naturale Regionale Monterano, gestita dal Comune di Canale Monterano ed estesa per circa 1100 ettari, grazie ad un ampliamento avvenuto con legge regionale n. 62/93 destinato ad includervi l’intera porzione della Valle del Mignone con i due importantissimi siti delle cave di Mercareccia e della Greppa delle Scalette.


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    Il territorio della Riserva Naturale interessa terreni pubblici (comune di Canale Monterano), terre collettive e fondi privati e ha tra i suoi scopi la conservazione ed il restauro degli ecosistemi, la tutela degli habitat e delle specie animali e vegetali, il mantenimento della biodiversità, lo sviluppo socio-economico della comunità locale e la promozione del turismo e delle risorse culturali, lo sviluppo della didattica e dell’educazione ambientale .


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    L’ambiente della Riserva Naturale è particolarmente vario e comprende boschi umidi presso i corsi d’acqua, querceti, i cosiddetti “boschi misti”, cespuglieti, pascoli e quegli importantissimi ambienti costituiti dalle “forre”, le valli strette ed incassate, come quella del F. Bicione e dello stesso F. Mignone che rappresentano habitat del tutto particolari e meritevoli di stretta tutela. Particolarmente importante la flora delle forre, le orchidee, la fauna ad invertebrati, gli uccelli (tra i rapaci sono presenti 8 specie sulle 13 presenti nel Lazio), gli anfibi (9 specie sulle 16 presenti nel Lazio, i rettili (16 specie sulle 22 presenti nel Lazio).
    Particolarmente significative le tracce dell’ evoluzione geologica del paesaggio: dagli ambienti vulcanici con le splendide pareti verticali della Greppa dei falchi e delle Greppa delle Scalette alle dolci valli calcaree che bordano il Corso del F. Mignone alle solfatare.

    Oltre a ciò il territorio protetto include un Sito di Interesse Comunitario a tutela del Fiume Mignone ed è interamente compreso nella Zona di protezione Speciale del Comprensorio Tolfetano – Cerite – Manziate.

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    La politica di tutela attuata dalla Riserva Naturale si esplica attraverso la vigilanza sulla tutela dei beni, operata quotidianamente dai guardiaparco, il monitoraggio ambientale, apposite misure di indennizzo, l’acquisizione di determinate aree di particolare valore naturalistico, la tutela delle aree forestali e degli habitat di piccole o piccolissime dimensioni (stagni,fontanili, grotte, ecc.) che assumono spesso grande rilevanza per specie rare e/o minacciate. Particolarmente importante aui fini della biodiversità l’ area delle vecchie cave di “Mercareccia”, oggi stagni pieni di vita.

    La tutela e la valorizzazione delle risorse culturali assumono una rilevanza del tutto particolare, stanti gli importanti valori storico-archeologici rappresentati non solo dalle testimonianze etrusche ma anche dall’abitato “stratificato” di Monterano, un magnifico complesso monumentale che affonda le sue radici nella notte dei tempi e la cui storia viene troncata sul finire del XVIII secolo. Monterano significa anche Bernini: sono opera sua il Convento di S. Bonaventura, la trasformazione del Palazzo Ducale Altieri, la Fontana del Leone e quella ottagonale.

    L’impegno per la conservazione del patrimonio culturale da parte delle Riserva è assiduo: dalla manutenzione con l’(unico)operaio disponibile alla progettazione di interventi per il restauro e la messa in sicurezza del patrimonio monumentale, gli interventi per facilitare la visita e la programmazione di escursioni guidate.
    La Riserva Naturale è particolarmente impegnata in progetti di volontariato con particolare riferimento a quello scoutistico, di Servizio Civile Nazionale, nel dare assistenza a giovani ricercatori e stagisti e nel campo della solidarietà e della cooperazione internazionale.


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    MONTERANO


    Giunti al centro di Canale Monterano si imbocca con l’auto la stradina in discesa che si trova sulla sinistra della chiesa principale (avendo la facciata della chiesa di fronte). Si percorre questa strada fino ad un incrocio a T dove sono presenti dei cartelli indicatori della Riserva Naturale di Monterano. Sempre con l’auto si gira a destra e dopo circa 1 km si giunge ad un primo spiazzo. Proseguendo si arriva ad un secondo spiazzo dove c’è una barra d’ingresso e dove si può parcheggiare. Dalla barra, un sentiero, che dopo circa 200 metri raggiunge le prime rovine, tocca una fontana, passa sotto l’acquedotto e sale ancora a fiancheggiare il lato destro di Monterano. In Breve si raggiunge la sommità dell’altura ove sorgono le rovine.


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    Il luogo e la posizione

    Monterano sorge su un’altura tufacea i cui fianchi dirupano per circa 100 metri su due forre sottostanti formate dal Fiume Mignone a Nord e dal Torrente Bicione a sud e a est. Situato ad ovest del Lago di Bracciano, a circa 2 chilometri dal paese di Canale Monterano, l’abitato sorge a cavallo tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini nel cuore della Riserva Naturale di Monterano. Proprio per questa particolare posizione la morfologia del paesaggio circostante presenta caratteristiche di entrambe le zone. Infatti si possono riscontare sia emergenze di carattere calcareo-marnose tipiche dei Monti della Tolfa che emergenze tufacee proprie dell’area Sabatina. La collina dove sorgono i ruderi di Monterano oltre ad essere solcata dalle due citate forre è disseminata di sepolcreti etruschi, piccole grotte ricoperte da una fitta vegetazione e alcune polle d'acqua ribollenti, testimonianza dell’antica attività vulcanica della zona.



    Le vicende storiche



    Il punto di partenza della storia di Monterano è da ricercare nel periodo etrusco, anche se, allo stato attuale, di quella che fu la città etrusca, non ne rimane più traccia. Le uniche testimonianze di questa civiltà sono date dalla presenza di tombe disseminate lungo le propaggini della collina e da unmonterano solco artificiale scavato nel tufo, il Cavone, che permetteva una comoda discesa a valle. Come tutti i centri etruschi, a partire dal II secolo a.C. anche Monterano fu assoggettata ai romani che ne ampliarono la rete viaria e costruirono diverse opere tra cui l’acquedotto. Dal IV secolo d.C., quando l’impero Romano stava progressivamente cadendo sotto la spinta delle invasioni barbariche anche il territorio monteranese subì la stessa sorte. La dominazione longobarda non fece altro che impoverire ancor di più la popolazione almeno fino a quando il vescovo cristiano e i residui abitanti della vicina Forum Clodii, esasperati ed impauriti dalle continue scorrerie germaniche, non decisero nei primi anni del 500, di abbandonare le loro terre per trasferirsi a Monterano in posizione sicuramente più difendibile. Così l’abitato fu ampliato, e munito, oltre che di nuove strade, di solide mura. Questo ripopolamento, insieme al fatto di essere divenuta sede episcopale, portò Manturianum (così era denominata Monterano nel VI secolo d.C.) ad essere nuovamente il centro più importante dell’area Sabatina. Questo status durò fino al X secolo quando la diocesi fu assunta dalla città di Sutri. L’ultima notizia che abbiamo su un vescovo di Monterano risale infatti al 998. A questo evento seguì una lenta e progressiva decadenza che portò il borgo a contare pochissimi abitanti. Rimasero infatti, oltre il signore del castello e gli amministratori del feudo, alcuni servitori e qualche contadino. Solo nel XIV secolo Monterano vide una sostanziale ripresa canale monterano etruscaeconomia, demografica e sociale ma ormai il centro del potere si era definitivamente spostato alla vicina e più potente Bracciano. Sul finire del 1300 e agli inizi del secolo successivo, il borgo ebbe una certa notorietà per i suoi capitani di ventura Coluzia e Gentile: il primo fu inviato dal Papa per sedare la rivolta di Corneto (attuale Tarquinia) e il secondo, comproprietario del feudo, partecipò alle lotte di successione per il Regno di Napoli. Nel ‘500 il feudo venne acquistato dagli Orsini che approfittarono del periodo di crisi economica e del contemporaneo affievolirsi delle lotte in seno al alla stato pontificio, per investire in culture più razionali e redditizie. Ma la vera fioritura del borgo avvenne dopo l’acquisizione del feudo da parte della famiglia Altieri che aveva come membro insigne Emilio Bonaventura Altieri divenuto papa con il nome di Clemente X nel 1670. Grazie alla nuova proprietà il borgo venne arricchito con notevoli costruzioni la cui progettazione fu affidata a Gian Lorenzo Bernini. Vennero così alla luce la Chiesa e il Convento di San Bonaventura, la prospiciente fontana ottagonale e venne ristrutturata la facciata del Palazzo Baronale. Purtroppo questa nuova vitalità artistica non durò a lungo. Dopo la morte di papa Clemente X Altieri e la scomparsa della forte autorità del primo ministro (della stessa famiglia Altieri), i monteranesi conobbero un altro periodo di grande difficoltà economica e sociale dovuta soprattutto alla confusione e all’instabilità dello stato pontificio. Ma un ben più grave flagello si abbattè nel 1770 sulla cittadella: la malaria, che decimò la popolazione soprattutto quella contadina. Decaduto il potere temporale del papa (siamo nel 1798), Monterano passò sotto la Repubblica Romana, che capitolò l’anno successivo per opera dell’esercito borbonico. Restaurato lo Stato Pontificio, un episodio cruento quanto inaspettato pose fine alla lunga e tormentata storia di Monterano. L’abitato infatti fu completamente distrutto e incendiato dall’esercito francese per il rifiuto da parte dei monteranesi di macinare il grano dei tolfetani sottomessi agli stessi francesi.



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    La visita al sito


    Le suggestive rovine di Monterano offrono al visitatore angoli di incomparabile fascino e intrigante bellezza. Lo scenario che si presenta sembra uscito da un canto dell’inferno dantesco dove tra una fitta e intricata vegetazione, interrotta da ampi spazi, si stagliano le imponenti rovine dell’antico borgo. sentieroNonostante tutto non mancano monumenti di rilevante valore architettonico come il Palazzo Baronale, la Chiesa e il Convento di San Bonaventura costruiti su progetto di Lorenzo Bernini. Ma ciò che più colpisce è la presenza di monumenti costruiti in epoche diverse in un insolito e suggestivo connubio architettonico e paesaggistico. Si possono così ammirare costruzioni di epoca etrusca come i sepolcreti posti alla base del colle e trasformati successivamente in cantine, accanto a imponenti manufatti di epoca romana come l’acquedotto, di epoca medievale come il castello divenuto poi palazzo baronale, e del periodo rinascimentale come il già citato Convento di San Bonaventura e lo stesso Palazzo Baronale. Ma la visita non si limita solo a questo: infatti si possono ammirare, sulla Piazza San Bonaventura, prospiciente l’omonima chiesa, una bellissima fontana a base ottagonale (copia dell’originale salvata durante i primi interventi di restauro del 1956 e collocata in Piazza del Campo a Canale Monterano) e, nei pressi del Palazzo Baronale, la Statua del Leone di opera berniniana (copia dell’originale posta durante i restauri del 1995 e conservata nell’atrio del palazzo comunale di Canale Monterano). Di un certo interesse sono anche i ruderi della Chiesa di San Rocco, della Porta Gradella (una delle tre di Monterano) e della Via Gradella, il campanile della cattedrale, alcuni bastioni a nord dell’abitato, i resti dell’ingresso di una cantina e alcune case nei dintorni del Palazzo Baronale.






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    La fine di Monterano


    Il motivo che portò alla distruzione di Monterano va ricercato nel vicino paese di Tolfa che nello stesso periodo viveva una sanguinosa insurrezione antifrancese. Tornato il sereno dopo la repressione da parte dell’esercito napoleonico, i tolfetani non avevano una mola sufficientemente grande perrovine macinare il grano e soddisfare quindi le esigenze della popolazione. Decisero allora di chiedere ai vicini monteranesi di poter macinare con la loro mola. Monterano però, che fino a quel momento aveva assunto una posizione di neutralità nei confronti della dominazione francese, rifiutò di dare aiuto ai tolfetani per paura di ritorsioni. Tornati mestamente a Tolfa il comandante francese di istanza nel paese fu avvertito del rifiuto e ordinò agli agricoltori tolfetani di ritornare a Monterano questa volta accompagnati da una cospicua scorta militare. Non appena i monteranesi avvistarono le truppe fuggirono dal paese in tutta fretta e, quando i francesi giunsero oltre le mura non trovarono nessuno. Nonostante ciò per rappresaglia o per dimostrazione di forza, i soldati si accanirono sul borgo con inaudita ferocia distruggendo e incendiando quanto più possibile. Così, quando le truppe se ne andarono, gli abitanti di monterano, tornati per verificare i danni, trovarono davanti ai loro occhi uno scenario impressionante. Nulla poteva essere salvato e restaurato se non con grandi spese. Fu così che decisero di trasferirsi nei vicini Canale e Montevirginio lasciando nel paese solo due frati restii ad abbandonare il Convento di San Bonaventura. Nonostante le continue pressioni sulla famiglia Altieri per un pronto recupero del borgo, i due frati non videro esaudite le loro richieste e furono costretti ad abbandonare il convento. Correva l’anno 1800.

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    Un grande set cinematografico


    Le rovine di Monterano, suggestive ed affascinanti, sono state sin dagli anni ‘50 del secolo scorso il luogo preferito da molti registi per girare scene dei loro film. La cornice del borgo abbandonato ha offerto un ottimale set a capolavori quali “Ben Hur” con Charlton Heston o film italiani quali “Brancaleone alle Crociate” con Vittorio Gassman e “Il Marchese Del Grillo” con Alberto Sordi.



    La fontana “capricciosissima”


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    Gian Lorenzo Bernini, incaricato dalla famiglia Altieri le della sistemazione del Palazzo Baronale, ebbe un’idea degna del suofontana gran genio creativo. Sfruttando le fondamenta rocciose su cui era posta la struttura, costruì alla base della scoscesa parete di sostegno una bellissima fontana che ben si incastonava sullo sfondo naturale formato dalle stesse fondamenta del palazzo. Per completare l’opera, alla sommità della parete e proprio sopra la fontana, fece porre una statua raffigurante un leone nell’atto di scuotere con una zampa la roccia per farne uscire della purissima acqua. Così il copioso zampillo andava a finire proprio nella vasca della fontana. In questo connubio tipico dell’arte berniniana, dove arte e natura si fondono con estrema armonia, l’immagine e la fama della famiglia Altieri ne trassero notevoli benefici. Agli occhi del popolo la fontana risultava come una generosa elargizione di un servizio atto a soddisfare le esigenze di tutti gli abitanti di Monterano.




    CANALE MONTERANO

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    Il primi insediamenti di Canale Monterano sono sorti intorno al 1500 quando alcuni agricoltori dell’Umbria e della Toscana emigrarono da i loro luoghi di origine per dar vita ad un nuovo nucleo abitato. Il nome “canale” deriva dal fatto di essere stata costruita intorno ad un canale che la divideva praticamente in fotodue parti uguali. La storia di Canale è indipendente quindi da quella della vicina Monterano che vide nascere il nuovo centro molto dopo la sua fondazione avvenuta ad opera degli etruschi 22 secoli prima. Il centro storico, anche se di impronta tipicamente medioevale, non presenta monumenti di notevole rilievo. Quando gli Altieri acquisirono il feudo concentrarono tutti i loro investimenti nell’abbellimento della vicina Monterano. Non per questo il territorio monteranese è privo di interesse: i numerosi siti etruschi, nonché la presenza di manufatti romani, rendono tutto il comprensorio molto interessante sia dal punto di vista storico che culturale. Non manca ovviamente l’interesse naturalistico dovuto al fatto che il comune di Canale Monterano è quasi del tutto compreso nella Riserva Naturale Regionale di Monterano. Una delle maggiori attrazioni di Canale è il cosiddetto Palio delle Contrade che si svolge ad agosto. Le sei contrade di Canale Monterano (Centro, Carriola, Case Nuove, Castagno, Montevirginio e Stigliano) si contendono il Gonfalone ognuna con quattro ragazzi in gara. I partecipanti corrono su una strada in salita portando un bambino in un particolare contenitore detto bigoncio (Corsa del Caratello). Sempre in agosto si svolge il Torneo degli Anelli che consiste nel colpire con un bastone alcuni anelli sospesi in aria nel tentativo di infilarne il maggior numero possibile. Questa competizione è svolta da butteri a cavallo che si cimentano anche in un altro evento canalese: il Riarto dei Butteri (maggio) con giochi di abilità a cavallo come la Giostra della Rosa e la cattura del vitello dove viene simulata la merca.





    Fonte: Brevi cenni storici sul nome e sulle origini di Manziana – Pietrina Binarelli

    Edited by tomiva57 - 28/10/2013, 14:48
     
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    Villa Lante (Bagnaia)

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    I giardini di Villa Lante


    Villa Lante a Bagnaia, frazione di Viterbo è, assieme a Bomarzo, uno dei più famosi giardini italiani a sorpresa manieristici del XVI secolo. Pur in mancanza di documentazione contemporanea, la sua ideazione è attribuita a Jacopo Barozzi da Vignola. Per chi vi arriva dopo aver appena visitato Villa Farnese a Caprarola la prima notevole impressione è la differenza tra le due ville del Vignola, pur erette nella stessa area, nello stesso periodo, e nello stesso stile architettonico: le somiglianze fra i due monumenti sono poche.
    Nel 2011 è stata votata "Parco più bello d'Italia".
    La costruzione cominciò nel 1511, ma fu portata a termine intorno al 1566 su commissione del cardinale Gianfrancesco Gambara.
    La villa è conosciuta come "Villa Lante". Tuttavia non ha acquisito questo nome se non quando, nel XVII secolo, passò nelle mani di Ippolito Lante Montefeltro della Rovere, Duca di Bomarzo, quando la costruzione aveva già 100 anni di vita.

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    Bagnaia

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    Bagnaia si trova lungo una strada romana che attraversa i Monti Cimini, un tempo molto trafficata, che divenne in seguito parte della Via Francigena. Tuttavia la prima menzione specifica di Bagnaia è medievale: in un documento del 963, l'abitato è indicato come Bangaria. Le terre di Bagnaia erano, fin dal XIII secolo, di proprietà del Papa, che come di consuetudine, le affidava al vescovo della vicina Viterbo. Tuttavia solo nel XVI secolo vi fu costruita una residenza episcopale. Nel corso del XVII secolo il villaggio si arricchì di qualche architettura di pregio, specialmente dopo che la costruzione di Villa Lante ne aumentò la popolarità come luogo di vacanza. Nel 1576 Tommaso Ghinucci, un architetto senese, sovrintese all'ampliamento dei suburbi di quella che stava ora diventando una piccola città. Queste innovazioni sono particolarmente evidenti in prossimità di Piazza Venti Settembre, ispirata alla romana Piazza del Popolo.

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    Architetture



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    Il bacino e uno dei casini.


    Dalla sobria piazza all'estremità superiore di un villaggio senza pretese, una rampa di gradini curvi conduce a un arco pesantemente bugnato. Le costruzioni della piazza mostrano, nelle loro antiche facciate, stemmi papali e cardinalizi in pietra logorata dal tempo. passando attraverso l'arco si incontra la prima sorpresa: non vi è alcuna villa.
    Villa Lante si compone infatti di due casini, pressoché identici, anche se costruiti da proprietari diversi in differenti periodi, separati da 30 anni. Le due costruzioni quadrate hanno un piano terra ad arcate bugnate, o logge, che sostengono il piano nobile sovrastante. Ciascuna facciata, su questo piano, ha esattamente tre finestre, che alternano frontoni curvi o a punta. Ciascuna finestra è divisa da coppie di paraste. Un piano superiore è appena accennato da piccole finestre rettangolari, del tipo mezzanino, che si aprono in posizione corrispondente rispetto quelle del piano nobile.
    Ogni casino è sormontato da un torrino o lanterna, che si erge sulla sommità del tetto di tegole spioventi. Questa elaborata lanterna quadrata ha due paraste, e alcune finestre, sia vere che cieche.
    Ciascuno di questi casini, nel loro severo stile manierista, fu costruito da distinti e scollegati proprietari. Villa Lante fu dapprima commissionata dal cardinale Gianfrancesco Gambara che diede il proprio cognome al primo casino.
    Sembra che i lavori di costruzione siano iniziati nel 1566, del casino che si incontra sulla destra entrando. Si pensa che Gambara abbia commissionato al Vignola il progetto (la villa è attribuita unicamente a lui), l'avvio dei lavori e il disegno dei giardini che l'hanno resa giustamente famosa. Il primo casino e il giardino superiore furono in breve completati, ma i lavori rimasero sospesi per tutto il resto della vita del cardinal Gambara.
    Dopo la morte del Gambara, avvenuta nel 1587, gli successe quale Amministratore apostolico di Viterbo, il nipote diciassettenne di papa Sisto V, il cardinale Alessandro Peretti di Montalto. Fu lui, poco più che un bambino, a completare il progetto a Bagnaia e a costruire il secondo casino.
    I due casini differiscono molto negli affreschi: pittura paesaggistica nel casino Gambara mentre gli affreschi del casino Montalto, realizzati da un artista più tardo, sono in uno stile più classicheggiante. Nel casino Gambara gli affreschi delle logge a volta esibiscono una profusione di colore che sottolinea il dettaglio architettonico, mentre nel Casino Montalto l'ambiente principale di ricevimento è decorato con una combinazione di affreschi e intonaco modellato, quasi un trompe l'oeil.

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    Giardini


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    La fontana di Pegaso a Villa Lante.


    I giardini costituiscono l'attrazione principale di Villa Lante, specialmente i giochi d'acqua, dalle cascate alle fontane ai grottini sgocciolanti. Questa armonia di acque e la perfezione del suo flusso fu raggiunta solo quando l'architetto chiamò a sé, da Siena, uno specialista di architettura idraulica, Tommaso Chiruchi, con il compito di supervisionare il progetto idraulico. Fu consultato anche il noto architetto di giardini Pirro Ligorio, ma è il genio di Chiruchi che fluisce e rivive ancor oggi nei suoi giardini.
    Entrando da questo arco bugnato nella piazza del villaggio, lasciandosi dietro la polverosa arida e popolosa piazza, si entra in un mondo diverso, fresco, pulito e verdeggiante. Il primo confronto è il Quadrato, un parterre perfettamente regolare, realizzato una generazione prima dei primi parterre francesi allo Château de Saint-Germain-en-Laye e a quello di Fontainebleau: il contrasto tra la piazza paesana in basso e la vista sul nuovo parterre doveva essere, in passato, ancor più sbalorditivo che oggi.
    I casini gemelli stanno su un lato solo mentre gli altri tre lati del giardino sono delimitate da alte siepi di bosso. Nel centro, il piccolo arbusto di bosso è plasmato e modellato a formare motivi decorativi che circondano piccole fontane e sculture. Il tratto più caratteristico di questo parterre è la complessa fontana posta al suo centro, formata da quattro bacini, separati da cammini transennati, con i parapetti decorati con pigne di pietra e urne decorative che intersecano l'acqua. Al cuore del complesso, un bacino centrale contiene la celebre Fontana dei Mori del Giambologna: quattro mori, a grandezza reale, disposti a formare un quadrato attorno a due leoni; tengono in alto la montagna araldica sormontata dal getto della fontana in forma di stella, lo stemma dei Montalto. Questo è il punto focale di questa insolita disposizione di casini e parterre. I Mori delimitano lo spazio che ci si aspetterebbe veder occupato da un grande palazzo affiancato dai due casini. Solo qui ci si rende conto che l'intero complesso è, nei fatti, una perfettamente pianificata composizione priva di ostentazione. Qui il giardino non è concepito come una mera appendice o a, al più, un complemento, ma è parte integrale dell'originale concezione della villa nel suo insieme.

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    Sopra il parterre principale il visitatore può inerpicarsi attraverso querce, lecci e platani, scorgendo fontane e sculture che si aprono attraverso inaspettati scorci, e rivedendole ancora in contesti inattesi. Si arriva quindi al primo dei giardini a terrazza ascendenti: qui, alloggiata tra due scalinate in pietra, vi è la Fontana dei Lumini, una fontana circolare a gradini; sul ballatoio di ciascun gradone, da fontane più piccole a forma di lucerne ad olio sgorgano piccoli zampilli d'acqua. Arbusti fioriti di camelie, e di altre ericacee, aggiunti ne XIX secolo, risplendono nell'ombra di questa terrazza.
    Sulla terrazza successiva, la terza, vi è un enorme tavolo di pietra con acqua che scorre nel suo centro. In questo posto, il cardinal Gambara intratteneva i suoi ospiti con picnic. Sulla terrazza vi sono ancora altre fontane, che riproducono divinità fluviali. Al di sopra vi è la quarta terrazza, contenente la catena d'acqua un gioco d'acqua che il Vignola aggiunse a molti giardini del XVI secolo. Visibile anche a Villa Farnese e Villa d'Este, questo ruscelletto di cavità scende in cascata al centro dei gradini per concludersi in fondo alla terrazza.
    Sulla successiva terrazza superiore vi sono ancora fontane e grottini, e due piccoli casini che fanno da cornice ad altre fontane completando una composizione conosciuta come 'teatro delle acque'. Questi piccoli casini, come i loro omologhi più grandi sulla terrazza inferiore, hanno un disegno particolare, probabilmente anch'esso del Vignola, con logge aperte sorrette da colonne di ordine ionico. Esse reggono il nome del cardinale Gambara scolpito sulle sulla cornice. Uno dei casini a accesso a un piccolo giardino segreto, un giardino di siepi e topiarie, con una linea di colonne che gli conferisce un'atmosfera quasi melanconica.
    Un piano prospettico del 1609 mostra un'area boscosa con cammini e vedute verso gli obelischi, e un labirinto.

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