Abruzzo ... Parte 4^

L’ETA’ PALEOLITICA..I GUERRIERI ACHEI..I ROMANI..I LONGOBARDI..LA STORIA,LE USANZE DELL’ABRUZZO...

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI

    “... Sabato ... parte dall'età paleolitica la prima traccia di questa meravigliosa terra, per poi passare ai guerrieri Achei seguaci di Achille nella guerra di Troia. Ma solo nel medioevo troviamo il primo riferimento all’origine del nome di questa regione chiamata Aprutium ... sono sulla mongolfiera e leggo queste parole sulle pagine di un libro che parla delle origini e delle tradizioni dell’Abruzzo ... è bellissimo riscontrare ciò che leggo in quello che vedo nel nostro viaggio ... le tradizioni e le origini si respirano in ogni angolo dei luoghi che attraversiamo ... sono come un suono gradevole e coinvolgente che ci accompagna in ogni attimo del nostro peregrinare ... Buon risveglio amici miei ... oggi viaggeremo attraverso gli usi e i costumi dell’Abruzzo e sarà bello conoscere ancora più approfonditamente gli aspetti che rendono unico un popolo e la sua terra ...”

    (Claudio)



    L’ETA’ PALEOLITICA..I GUERRIERI ACHEI..I ROMANI..I LONGOBARDI..LA STORIA,LE USANZE DELL’ABRUZZO...



    “Abruzzo….inestimabile patrimonio di usanze e tradizioni secolari che caratterizzavano tutti i momenti salienti della vita nelle comunità locali….Un tempo vissuto nel lento susseguirsi e nel costante rincorrersi di festività per lo più religiose, spesso riletture cristiane di antichi riti pagani, di cui hanno conservato il legame originario con i cicli naturali, le stagioni, oppure la devozione protesa alla speranza di buoni auspici, per il raccolto, per il bestiame etc……usanze che attraversano gli anni, le generazioni, e caratterizzano la presente memoria dei vari territori, i tempi moderni hanno affiancato vere e prorie rievocazioni storiche, totalmente slegate dal vissuto delle comunità locali, che da un passato remoto riportano in vita momenti già allora destinati al tempo “ulteriore”, quello del gioco, dello spettacolo”

    Il “Palio del barone” è una rievocazione storica che si tiene dal 16 al 18 agosto… l’evento rievocato… è il matrimonio fra Rinaldo di Brufonte e Forasteria (la figlia del Duca Rinaldo Acquaviva), che portò a un periodo di pace e prosperità. In occasione della festa si svolgono cortei storici, banchetti e svariate gare, con le quali le due contrade (Terravecchia e Terranova) si contendono il palio…Sempre ad agosto si tengono anche due manifestazioni religiose: quella dell’Assunta e quella della Madonna della Neve, con le tipiche processioni che passano anche dal Lido.”

    “La manifestazione di Sulmona ripresa da poco tempo dopo secoli di abbandono, vanta antiche e prestigiose origini, nel XIII° secolo… quando la città, nominata da Federico II capitale degli Abruzzi, era considerata, per posizione strategica e potere economico, tra le principali del regno.La Giostra aveva luogo 2 volte l'anno: per l'Annunziata e per l'Assunta, festività laiche, oltre che religiose, durante le quali si svolgevano due importanti fiere che richiamavano nella città .. mercanti e visitatori da ogni parte…Alla Giostra erano ammessi a partecipare i giovani eredi delle famiglie nobili ed aveva luogo in Piazza Grande, sotto la giurisdizione del Mastro Giurato della città, il quale aveva il compito di garantire il normale svolgimento della giostra, secondo un regolamento che nel 1583 fu codificato, in 44 articoli, da Cornelio Sardi….Oggi… la Giostra è gestita da un gruppo cittadino promotore e vede la partecipazione dei sestieri storici sulmonesi che si affrontano armando ognuno un proprio cavaliere e dando vita, in tutta la settimana che precede l'evento a cortei di figuranti e manifestazioni collaterali assai suggestive, come le feste del borgo con balli e costumi rinascimentali, le cerimonie religiose per la benedizione delle insegne e del cavaliere, i concerti di musica antica e i giochi popolari di piazza.”

    “Quella dei presepi viventi è una tradizione molto antica che si rifà direttamente alle drammatizzazioni liturgiche come le laudi che già nell'alto Medioevo arricchivano le celebrazioni natalizie e da cui ebbero vita dapprima le cerimonie religiose che ruotano intorno al Natale, poi il presepe francescano…Il presepe vivente più noto d'Abruzzo è quello di Rivisondoli che ebbe origine, subito dopo il secondo conflitto mondiale …il Bambinello è affidata all'ultimo nato del paese, mentre la Madonnina è interpretata da una ragazza scelta in un apposito concorso che si tiene l'8 dicembre …uno spettacolo imponente e di grande attrattiva, ricco di luci e di movimento, in uno scenario naturale quasi sempre innevato e capace di suscitare commozione. “

    “A Fara Filiorum Petri festeggiano la ricorrenza di Sant’Antonio Abate accendendo le farchie, enormi fasci di canne.. con una circonferenza di oltre un metro ed un’altezza che qualche volta supera i dieci…L’uso dei fuochi per la festa di questo santo è comune in tutto il mediterraneo, ma le farchie di Fara si distinguono per l’imponenza delle costruzioni e per il loro numero che corrisponde a quello delle 12 contrade in cui si divide il paese…. una leggenda narra che Sant’Antonio Abate avrebbe salvato Fara dall’invasione delle truppe francesi, trasformando le querce di un vicino boschetto in torce gigantesche che spaventarono i nemici……E’ uso comune che le canne siano di provenienza furtiva per cui, fin dai primi di gennaio, bande di giovani escono a procurarsi la materia prima…..Giunti davanti la Chiesa le farchie vengono innalzate con l’aiuto di pertiche e funi; infine l’accensione è innescata da mortaretti .Le farchie che bruciano offrono uno scenario indimenticabile, all'interno del quale la gente canta, balla e consume vino e biscotti.”
    “Il lunedì di Pentecoste è teatro di una singolare processione a cui partecipa un bue bianco….Il giorno della festa è addobbato con cura; dalle corna gli pendono nastri e fiocchi multicolori, specchietti e ninnoli, una gualdrappa rossa su cui sono appuntate immagini di sant'Antonio Abate e san Zopito gli copre il dorso, persino gli zoccoli appaiono curati e lucidati…in groppa al bue cavalca un bambino di pochi anni; è vestito di bianco, ha il capo cinto da una corolla di fiori, l'abito ornato di ori ed oggetti preziosi e si copre con un ombrellino chiaro e in bocca infine regge un garofano rosso…l bue, che è preceduto da uno zampognaro, dopo aver seguito il percorso processionale si ferma sulla soglia della chiesa di San Pietro…Dopo la processione il bue è condotto per le vie del centro storico a rendere omaggio ai notabili del paese e ovunque si ferma il bambino che lo cavalca riceve doni alimentari….la leggenda narra che il lunedì di Pentecoste del 1711, mentre arrivava in paese il corteo che accompagnava le reliquie del santo, un contadino di nome Carlo Parlione, intento nel lavoro del proprio campo in contrada Le Pretore- Casci, non smise di lavorare in segno di devozione e rispetto. Al contrario il suo bue si inginocchiò al passaggio della processione tra lo stupore degli astanti tanto ché la famiglia lo volle regalare alla festa.”
    “I festeggiamenti per San Vitale, che ricorrono il 27 e il 28 Aprile, hanno a San Salvo un singolare e piacevole inizio che coinvolge già dai primi di Aprile i Procuratori e l'intera popolazione….Per tempo, infatti, i deputati cominciano a girare per le campagne e per le case allo scopo di raccogliere il grano che servirà per le Some…Il nome .. indica un'antica unità di misura, corrisponde di solito alla capacità del basto con cui venivano caricati gli animali da trasporto… il 20 Aprile il corteo dei devoti di San Vitale conducono i procuratori a macinare al mulino il grano raccolto durante la questua…. una festosa processione di carri, e in tempi più recenti di trattori, addobbati con nastri e con fiori che all'andata reca i sacchi di grano e al ritorno quelli di farina che vengono scaricati nella piazza principale del paese, dove in un attiguo locale, appositamente predisposto, le donne provvedono ad impastare le sagne e a cucinarle in enormi caldaie di rame….La festa continua con un banchetto collettivo a cui partecipano tutti gli abitanti”

    “ A Castelli ..la tradizione regna sovrana tra i fornelli di questo borgo e raccoglie i suoi ingredienti da quello che la terra e la montagna gli concede…. i deliziosi maltagliati con le voliche, un’erba che cresce esclusivamente sopra i duemila metri, oppure il caggiunitte, un dolce che ha forma di raviolo fritto, ma con ripieno fatto di mandorle, cioccolato, farina di castagne e ceci.”

    “… fra luglio ed agosto, vengono organizzati degli eventi ad hoc: come la “Sagra della vongola”, la “Sagra della seppia” o l’apprezzata “Abbuffata di pesce”, tutte a Tortoreto Lido.”

    “La polenta scolla aju callare…E ju cazzagne n'ghiaccia e la revota..Ce suda pe 'ntustarla 'u carnuvare…Che n'se la magna chiù ch'mmma na vota / La polenta schiocca nel paiolo..E il bastone la impasta e la rigira..Ci suda per indurirla il carbonaio..Che non la mangia più come una volta “..Questi versi, scritti da Domenico Pelini e musicati dal maestro Silvio Setta nel dicembre del 1962 in occasione della Prima Sagra della Polenta, evidenziano l'origine del piatto tipico della tradizione culinaria di Pettorano sul Gizio. La polenta rappresenta il piatto unico, colazione, pranzo e cena, di quei pettoranesi che fino alla metà degli anni 50 erano dediti alla produzione di carbone. I carbonai, gente umile … armati di roncole ed asce, passavano lunghi periodi lontano da casa e trovavano nella polenta, vagamente insaporita con qualche arringa, l'unico sostentamento….La preparazione della polenta è basata su una tecnica legata a ritmi e riti particolari. La farina di granoturco, viene lavorata per diverso tempo dalle sapienti mani del "polentaro" che ne indurisce, attraverso un lungo rimestare con il "cazzagno", l'impasto. La polenta così ottenuta, viene tagliata a fette con un filo di refe e riposta condita, con salsicce, aglio, peperoncino e pecorino, al caldo nel paiolo pronta per essere gustata.”

    “.. a Trasacco nel periodo estivo, precisamente in agosto, la “ Fiera della carota”. L’Altopiano del Fucino offre questo prelibato ortaggio, che la fantasia dei trasaccani cucinano sapientemente”

    “La terra …antichi sapori dove il mare e la montagna s’incontrano.. la cucina è robusta nei sapori, nei piatti dominano aromi e spezie. Il gusto selvatico dei sapori tradizionali, una terra ricca di verde e parchi naturali, profumi penetranti, paesaggi suggestivi..Le montagne abruzzesi sono piene di piccoli e antichi paesini che hanno una gastronomia tanto antica quanto semplice…La cucina abruzzese è semplice ed ha come un filo conduttore …L'agnello … piatto forte grazie alla sua carne particolarmente tenera e saporita..poi gli arrosticini, la carne di pecora, la lepre, la porchetta… …… Boschi, pascoli e fertili colline consentono alla mano sapiente dell'uomo di realizzare cibi e bevande indimenticabili come il rinomato guanciale…Prodotto in provincia dell’Aquila, il guanciale è ingrediente principe del piatto maccheroni alla chitarra con zafferano dell’Aquila, vellutata di ceci di Navelli e guanciale croccante…la pasta in Abruzzo vuol dire maccherone. Primeggiano i maccheroni alla chitarra, un impasto di uova e farina di grano duro tirato in sfoglie e tagliate con la 'chitarra', un attrezzo tradizionale usato per la realizzazione di questa pasta. La preparazione del maccherone è diventata quasi un simbolo gastronomico della regione. Tra i condimenti preferiti per i maccheroni alla chitarra sono il ragù di agnello od il classico sugo di pomodoro e basilico. Ancora tra i primi emergono i maccheroni alla molinara e i cannelloni all'abruzzese, tranci di sfoglia arrotolati e ripieni di carne mista (pollo, vitello, maiale)….i sughi… la salsa all'abruzzese, sugo di castrato ragù di salsiccia, ragù d'oca….Per finire in bellezza… i dolci abruzzesi… le ferratelle, cialde all'anice cotte in una pinza rovente a larghe ganasce scanalate… la cicerchiata, palline di pasta fritte legate a ciambella con miele cotto… il croccante, specie di torrone di mandorle e zucchero caramellato, profumato al limone…i mostaccioli, sostanziosi biscotti addolciti con il mosto cotto… i pepatelli teramani, biscotti di tritello, mandorle e miele ben pepati.. Una cucina così varia richiede naturalmente vini adeguati e altrettanto diversificati, che i terreni collinari abruzzesi provvedono a produrre…. Ma l’Abruzzo è anche mare e la cucina del litorale è ricca di piatti tipici a base di pesce; saporita ed elaborata propone una serie di gustose zuppe di pesce chiamate brodetti… il pesce azzurro e gli scorfani… i frutti di mare ed i crostacei che vengono serviti con le zuppe, nei risotti, con la pasta e conditi con insalata. Il sapore dei brodetti e gli alimenti fondamentali che li costituiscono si diversificano di zona in zona..”







    PALIO DEL BARONE

    RIEVOCAZIONE STORICA MEDIEVALE - TORTORETO -

    Rievocazione storica in costume che si tiene a Tortoreto Alto. L'evento, oltre a riproporre spettacoli medievali, è caratterizzato dalla sfida tra i due rioni storici di Tortoreto: Terravecchia che ha come simbolo la tortora e Terranova che ha per emblema il corvo, che si destreggeranno in una vasta gamma di giochi storici al fine di conquistare il "Drappo" della vittoria che ogni anno viene istoriato per l'occasione da un artista attraverso un bando di concorso. La rievocazione storica è ambientata nel 1234 quando Tortoreto era sotto il dominio dei Baroni i quali parteggiavano per l'imperatore Federico II. L'Imperatore Federico II inviò il suo vicario Rinaldo di Brunforte, che aveva da poco sposato Forasteria figlia del Duca Rainaldo di Acquaviva a visitare la Baronia di Tortoreto ed in occasione di tale evento il Barone Roberto di Turturitus indì grandi festeggiamenti con giochi, musiche e danze. La storica Piazza Libertà , nel centro storico di Tortoreto, si trasformerà in uno splendido palcoscenicomedievale: in una cornice di bracieri e fiaccole, contornati da musici, giullari, fachiri e danzatrici, vivrete la magia del Banchetto del Barone nel 1234.



    La Giostra Cavalleresca di Sulmona

    L'umanista Ercole Ciofano, nella sua "Descriptio Sulmonis" del 1578, ci da' notizia di una Giostra Cavalleresca, che definisce "bellissima", che si teneva due volte l'anno, ossia il 25 Marzo, festa dell'Annunciazione, ed il 15 Agosto, nella ricorrenza dell'Assunzione, epoche in cui a Sulmona si svolgevano anche importanti fiere. La Giostra, precisa il Ciofano, si svolgeva "in foro, quod satis latum, satisque pulchrum est " , cioe' nella attuale Piazza Garibaldi, definita "abbastanza estesa e abbastanza bella", allora chiamata la "Pescara" o Piazza Maggiore. La Giostra, che fondeva motivazioni religiose ed origini cavalleresche, ed era corsa da cittadini nobili e da cavalieri sulmonesi e forestieri (fra gli organizzatori ed i partecipanti figurano le famiglie De Capite, Tabassi, Mazara, Sardi, Sanita'), pur vantando origini antichissime, non e' attestata con certezza prima del 1475, mentre l'ultima testimonianza attendibile data al 1643. Il periodo meglio documentato e' quello del tardo Cinquecento, a cui risale il volumetto dei "Capitoli" di Cornelio Sardi, dove sono codificate le regole della Giostra: il torneo si svolgeva nell'arco di due giorni, dall'alba al tramonto, e consisteva in due serie di tre assalti alla lancia (tre "botte") portati consecutivamente dal cavaliere in gara, che proveniva dai "tre archi" dell'attuale acquedotto, contro il cosiddetto "mantenitore", un altro cavaliere, anch'egli a cavallo, coperto di armatura e dotato di lancia, che attendeva la carica da fermo, seminascosto da uno steccato che divideva il campo di gara in due corsie, una per il Cavaliere, l'altra per il mantenitore. Questi poteva difendersi dagli attacchi con la propria lancia, ferire o disarcionare il concorrente che, a sua volta, poteva colpire il mantenitore al capo, alla parte superiore del busto o alla mano armata, unici bersagli utili per conseguire il punteggio, differenziato e ben stabilito nelle regole del torneo. Al vincitore andava in premio un Palio, cioe' un drappo di stoffa preziosa, almeno fino al Cinquecento; piu' tardi, il premio fu rappresentato da una catena e da una medaglia d'oro, con su impressa la sigla S.M.P.E., raffigurata gia' allora sullo stemma cittadino.


    LA GIOSTRA OGGI


    La Giostra Cavalleresca sulmonese, dismessa nel Seicento per "disapplicazione e mancanza di guerrieri", e' tornata a nuova vita, seppure inevitabilmente adattata ai tempi: non piu' cavalieri erranti a cimentarsi in scontri cruenti, niente steccato a ripartire il campo o "botte" portate in "punteria", non piu' il "mantenitore" arroccato nella sua ferrea corazza, ne' lance spezzate e tanto meno ferite sanguinanti. Tutto questo e' soltanto cronaca passata, storia d'altri tempi. Alla Giostra moderna, che si svolge sempre sul tradizionale "campo" di Piazza Maggiore, partecipano per ora solo i Sestieri e Borghi della Citta' medievale (per quest'anno ancora solo sette su undici), rappresentati da un binomio cavallo-cavaliere estratto a sorte. Ogni singolo concorrente percorrera' il tracciato al galoppo, tentando di infilare con la lancia gli anelli di diverso diametro (6, 8 e 10 cm.) pendenti dalle sagome dei tre mantenitori dislocati lungo il percorso. Il punteggio sara' calcolato in base agli anelli infilati: in caso di numero pari si terra' conto del diametro e, nell'eventualita' di ulteriore parita', prevarra' il tempo impiegato. La tenzone e' imperniata su scontri diretti, articolati in modo tale che ciascun contendente affrontera' quattro avversari scelti mediante sorteggi, per complessivi 14 scontri che si correranno tra il sabato e la domenica. Al termine di questa prima fase, i quattro che avranno conseguito il miglior punteggio si cimenteranno tra loro per definire i due che si contenderanno la vittoria finale. Secondo la migliore tradizione della Giostra antica, al Sestiere o Borgo vincitore sara' assegnato il classico "Palio", mentre al cavaliere andra' una catena d'oro con medaglia raffigurante l'emblema di Sulmona con la sigla tratta dal famoso emistichio ovidiano "Sulmo mihi patria est".


    CORDESCA


    E' la Giostra Cavalleresca dedicata ai ragazzi e da essi svolta, per la loro gioia, il loro entusiasmo, il loro benessere e la loro crescita. E' la copia della Giostra "grande", con torneo, corteo storico, scuole (danza e musica antiche, sbandieratori, tamburi, chiarine, teatro, armi, etc., debitamente regolamentate e organizzate), feste, balli, cene, giochi, spettacoli, etc. e dovra' essere inserita nella programmazione didattica delle singole scuole partecipanti. Pur essendo nata tardi, la Cordesca e' cresciuta in fretta, sull'onda dell'entusiasmo febbrile e gioioso di coloro che vi hanno lavorato. Non ha pretese di sorta perche' la sua ricchezza vera e profonda e' tutta nella possibilita' di offrire occasione di partecipazione gioiosa, fresca e appassionata a decine e decine di bambini e ragazzi che si immergeranno nei ruoli di Capitani, armigeri, nobildonne, nobiluomini, cavalieri etc. con quella "serieta'" e quel cipiglio di cui solo loro sono capaci. Le scuole elementari e medie sono state invitate ad inserire questo Progetto all'interno della loro programmazione didattica e la Giostra e la Sulmona rinascimentale e la sua storia diventeranno oggetto di studio, di analisi e di ricerca. Contemporaneamente, i bambini di queste scuole sono stati invitati a seguire le lezioni per diventare suonatori di tamburi e chiarine, sbandieratori, danzatori, duellanti, arcieri, cavalieri etc. La Giostra "grande" non potra' che giovarsi dei frutti della Cordesca. Nel tempo, verranno coinvolte in essa intere generazioni di nuovi, giovanissimi protagonisti, capaci di assicurare alla stessa apporti continui di energie, di idee e di forze e di garantire, attraverso gli anni, quella continuita' e quel ricambio in grado di salvaguardarne la sopravvivenza e la crescita


    PARTECIPANTI


    I ragazzi e le ragazze delle quarte e quinte classe delle Scuole Elementari e di tutte le classi delle Scuole Medie Inferiori della nostra Citta', secondo modalita' di coinvolgimento che rispecchiano quelle adottate nella Giostra Cavalleresca


    IL TORNEO


    Si svolge allo Stadio Comunale nel corso del primo o secondo fine settimana del mese di Giugno e rispecchia la tipologia della Giostra medioevale. I contendenti corrono a piedi un percorso piuttosto semplice su cui sono posizionate strutture metalliche recanti anelli di diametro variabile. La tipologia degli scontri e' analoga a quella della Giostra Cavalleresca. Al vincitore viene consegnato un Palio appositamente disegnato da un artista sulmonese.


    IL CORTEO STORICO


    Parte da Piazzale della Tomba e, percorrendo Corso Ovidio e Viale Matteotti, si porta fino allo stadio comunale. E' costituito da figuranti attinti dalle classi suindicate, con costumi ideati e realizzati dalle sarte dei Sestieri e Borghi di riferimento.


    LE SCUOLE


    Sono il vero punto di forza della manifestazione e vedono la partecipazione di tantissimi ragazzi e ragazze. Esse sono organizzate in simbiosi con gli Istituti scolastici che hanno deliberato di aderire al Progetto. Nello stesso ambito collaborativo, i ragazzi partecipano a seminari di Storia Patria, di Araldica e di storia di Giostre e Tornei.


    LA GIOSTRA CAVALLERESCA D'EUROPA


    La Giostra Cavalleresca d'Europa è una rievocazione storica, istituita nell'anno 2000, che tende alla valorizzazione delle tradizioni culturali del territorio, all'abbattimento delle residue barriere tra i Paesi Europei, alla divulgazione e alla valorizzazione dello spazio culturale europeo, delle tradizioni storiche comuni e delle diversità consolidate nel corso dei secoli. Tende altresì alla incentivazione delle iniziative volte allo sviluppo economico e turistico del territorio. Alla Giostra Cavalleresca d'Europa partecipano i Cavalieri provenienti da città europee che hanno rievocazioni storiche. Essi sono scortati fino a Piazza Maggiore dal Corteggio Storico costituito dalle delegazioni di appartenenza e, nella Corsa all'Anello, si contendono il Palio d'Europa. I Cavalieri in gara saranno nove in quanto sono stati previsti abbinamenti di alcune città italiane con quelle europee. Saranno impegnati quattro Cavalieri della scuola di Sulmona. Le delegazioni europee offrono spettacolo delle loro specialità: tornei, danze, musici, cariche di lanzichenecchi, armigeri, arcieri, balestrieri, falconieri ed altro ancora.


    BANCHETTO RINASCIMENTALE


    Banchetto Rinascimentale nel Chiostro di Palazzo San Francesco. In occasione della Rievocazione Storica Giostra Cavalleresca di Sulmona viene proposto un banchetto rinascimentale ricostruito scrupolosamente sia dal punto di vista gastronomico che scenografico sulla base delle cronache dell'epoca. I sapori ritrovati nell'incredibile quantità di pietanze sontuosamente decorate, presentate da Dei ed Eroi della mitologia classica, l'atmosfera creata da abili scalchi, trincianti, bottiglieri, musici e danzatrici, giullari e giocolieri permettono di rivivere, in un connubio tra sogno e realtà, l'antico fasto delle corti del rinascimento italiano.



    cucina a chieti



    Ventricina

    È un salame di carne magra e lardo, conciato con soie, peperoncino e semi dì finocchio e scorza d'arancio tritata e imbudellato nella ventricina da cui prende il nome.

    Tomasella

    È un salame che si preparava nelle campagne chietine. E' una sorta di salsiccia appiattita e più o mano tondeggiante avvolta nell'omento. Nel suo impasto veniva anche amalgamato il formaggio grattugiato, spezie e addirittura uova.

    Pasta alla chitarra

    È una pasta composta da farina e uova amalgamato insieme, così chiamate per l'uso dei particolare utensile, per la fattispecie la chitarra, costituita da un telaio rettangolare di legno nel quale sono tirati sottili fili di acciaio, sui quali viene tagliata la sfoglia ricavandone spaghetti.

    Calcionetti alla Chietina

    Sono dei dolcetti a forma di raviolo il cui impasto è fatto di farina, zucchero e uova e ripieni di un composto di mele cotte, mandorle tritate e cioccolato grattugiato.

    Tarallucci alla chietina

    Sono dolcetti il cui impasto è fatto di farina, zucchero con aggiunta di olio e vino rosso. Cicerchiata: dolce che viene consumato soprattutto in occasione del carnevale, ed è a forma di ciambella ricoperto di miele.

    vini

    Nel territorio di Chieti vengono prodotti vini di molte varietà. Troviamo bianchi (anche frizzanti e passiti), vini rosati (anche frizzanti e novelli) e rossi (anche frizzanti, novelli e passiti). Per la produzione dei vini vengono utilizzati molte specie di vitigni, quali l'Aglianico, Barbera, Bombino bianco, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Chardoney, Ciliegiolo, Cococciola, Malvasia, Merlot, Moscato bianco e molti altri. Tra i vini si segnalano:

    Montepulciano d'Abruzzo

    viene prodotto con l'85% di uve Montepulciano e il restante di vitigni a bacca rossa e invecchiato dai 5 mesi a 1 anno in botti di rovere e dopo imbottigliato viene fatto riposare per qualche altro mese, prima di essere posto in vendita.
    Ha un colore rosso rubino con lievi sfumature arancione.
    Va servito a 18° con arrosti di carni bianche, con l'arrosto di castrato e con i formaggi a pasta dura.


    Del Montepulciano c'è anche la varietà Cerasuolo.

    Trebbiano

    ha solitamente colore giallo oro, accompagna preferibilmente piatti di pesce.

    Vino cotto

    si ottiene facendo condensare il mosto e lasciandolo fermentare con le uve appena pigiate, sino ad ottenere un liquido sciropposo, dal colore ambra carico dal gusto che ricorda quello dei caramello. Lo si può assaggiare in alcune trattorie tipiche e in diverse case privato dove viene solitamente servito a fine pasto come digestivo.



    testi, di cui molti anziani di “Pesco” serbano memoria, sono ripresi fedelmente dal volume del Finamore

    Prima Fiaba

    Un uomo di Pescocostanzo si sognò per tre notti di seguito che doveva andare a scavare un tesoro alla Madonna delle Grazie (tra Pescocostanzo e Rivisondoli). Dovevano essere otto persone: due, comprano un pane e salacca, dovevano andare in un sito detto “ju Schiappare” e altre sei dovevano rimanere sotto Rivisondoli. I due che andavano allo Schiapparo, avevano da mangiare il pane e la salacca al ritorno, senza mai parlare, sebbene gli avessero a uscire incontro tanti soldati di ogni specie alla Portella, le montagne pareva che si avvicinassero per schiacciarli; pioveva a dirotto, tuonava, lampeggiava, pareva un finimondo; e costoro spaventati erano per dare indietro ma proseguirono il cammino. Giunti alla Liberata(Sotto Rivisondoli”) la tempesta ingagliardì; ma fu l’ultima stretta. Trovarono colà i compagni e mangiavano sempre. Tutti e otto andarono alla Madonna, ed alla soglia della chiesa cominciarono a scavare. I due che erano andati allo “ Schiapparo” dissero: “Coraggio adesso, e non nominate nessuno!”. Scava e scava appariscono le orecchiette di una caldaia. In questo mentre, vedono un grandissimo drago a Rivisondoli, chegettava fuoco dagli occhi, dalle orecchie e dalla bocca, e urlando si avvenatava agli scavatori. I due del pane e della salacca, gridavano: “ Non abbiate paura!” E il drago sparì. Scoprirono la caldaia: era piena d’oro! Uno di sei, che al vedere tutto quell’oro aveva perso i lumi disse:” Madonna mia, tutto quest’oro ci abbiamo a spartire” non l’avesse mai detto! La caldaia sparì, e i cavatesori si trovarono, in un batter d’occhio, chi sopra Pizzalto, chi su la Porrara, chi sul Morrone, chi sul Monte Corno, uno in alta Italia, e uno morì di paura.






    ..altre fiabe

    Seconda Fiaba

    Sapete come una donna diventò strega? Un giorno gli venne in mente di farla finita con una maledetta gatta che era la dannazione sua. Lega questa gatta per la coda, la sospende in mezzo alla casa, e “l’abbrucia” con lo spirito. La povera bestia avrebbe voluto morire subito: ma non faceva altro che girare intorno a se stessa. ( già far morire una gatta o una donna, si sa che c’è ne vuole..). Ma finalmente, morì arrostita.Fatto questo arrosto che altro pensò di fare quella donna?? Prese il fiele di quella gatta, l’abbrustolì e se lo mangiò. Da quel giorno diventò strega.
    A Lanciano si dice: “Chi ‘ccide’ na hatt’ à sette male disgrazie”.












    leggende di Capitignano

    Alla guerre! alla guerre!
    'Na pagnotte e 'na sardelle!
    Ciente surdate de llu pape
    Nin si fidírene de cavà 'na rape.
    Ce ne írene tre de llu rre,
    Ne cavírene ciente e tre.

    C'erano due re. Uno aveva un figlio, e un altro una figlia. Tra loro c'era amicizia stretta; ma si proponevano di stringerla di più, con la parentela, volendo che, a tempo debito, succedesse un matrimonio tra i loro figli. Si scambiarono spesso le visite. Ma, per disgrazia, tra i due vecchi amici, nacque una guerra accanita. E sebbene, dopo qualche tempo, si smorzasse l'ira, pure rimase l'odio: e che odio!

    I due figli dei vecchi amici si erano fatti giovani. Il maschio, un giorno, entrò nelle camere dove stavano i servitori. Cominciò ad aprire stipi, cassetti, cassettoni e canterani. In uno stipo trovò il ritratto di una giovanetta, e disse: - Questa sì, che è bella! Io me la sposerei! - I servitori lo sgridarono: - Per carità! rimetti al posto il ritratto. - Se se ne accorge tuo padre, guai! -

    E così gli raccontarono la promessa che si erano fatta i due re, e la guerra che ci fu poi tra loro. Il giovane finse di riporre il ritratto, dove l'aveva trovato; ma, invece, se lo nascose in petto. E poi si presentò al padre, dicendo: - Dammi una somma di quattrini, perché voglio girare; voglio conoscere il mondo. - Il padre lo fece contento.

    Il giovane andò alla città, dove stava la promessa sposa; e cominciò a passeggiare sotto le finestre del palazzo reale. La reginella che lo vide, disse al padre: - C'è un giovane che passeggia e ripasseggia sotto le nostre finestre. Che vorrà? -

    Il padre fece chiamare questo giovane: - Che vai facendo? -
    - Vorrei entrare per cameriere nel vostro palazzo. -
    - Un cameriere serve alla reginella. Resta dunque con noi. -

    Un giorno la reginella stava in camera sua; e sospirava. Aveva il gomito appoggiato sullo schienale della sedia e sulla mano appoggiava la fronte. Chiamò il cameriere e disse: - Di chi sei figlio? - Rispose: - Sono figlio di un molinaro: - E tornò al suo posto, fuori della camera. La reginella sospirò più forte. Seguitò a sospirare tutti i giorni. Al figlio del re venne compassione. Una sera si presentò alla reginella, parlando chiaro e tondo, dell'essere suo e della sua intenzione. E conchiuse: - Se questo l'appura vostro padre, siamo perduti. Dunque dobbiamo fuggircene. - La reginella fece fagotto; si prese anche il manto reale, e se ne fuggì con lo sposo.

    Dopo aver girato e rigirato monti e colline, gli sposi si riposarono in una pianura deserta. La reginella si addormentò sulle ginocchia dell'amante. Ma il giovane sentì qualche bisogno: insomma, doveva alzarsi. Sollevò dunque, piano piano, il capo della reginella, e lo posò sopra una valigia. E siccome le andava il sole in faccia, cavò fuori il manto reale, da un'altra valigia, e la ricoprì tutta. Il giovane si era allontanato un poco. passò un uccello e si portò via il manto reale. Il giovane corse appresso all'uccello, acchiappa e non acchiappa. Ma si allontanò tanto, che giunse in un luogo, dove stavano i Turchi. Fu preso e portato via dai Turchi.

    La reginella si svegliò; guardò attorno, e non vedeva che deserto. - Oh Dio! - Cominciò a piangere dirottamente. Si fece notte; e tornava al suo paese, con una morra di porci, un porcaro. Sentendo piangere, il porcaro si avvicinò alla reginella e seppe la disgrazia. Esso la consolava: - Non piangere più. Può essere che torni. - La reginella lo pregò che, per quella notte, la ricoverasse in casa. Il porcaro disse: - Non so se vi saprete adattare alle nostre miserie. Ma andiamo. -

    La mattina, la reginella si diresse verso la riva del mare; e vi fece fabbricare una locanda. Essa, però, si era già vestita da uomo. Sulla porta della locanda, fece mettere un cartello, dove si diceva che tutte le persone che si fermavano là, avevano, per tre giorni e tre notti, mangiare e dormire gratis, col patto che ciascuno doveva raccontare, al padrone di casa, la sua pena. I pellegrini andavano e venivano; tutti raccontavano le loro pene. La reginella, travestita, sentiva ognuno. Ma non ancora poteva aver notizia dello sposo.

    Lo sposo, capitato fra i Turchi, era stato messo a zappare; e s'era fatto nero nero, che non si riconosceva più. Un giorno, mentre zappava, sentì un suono cupo sotto la zappa. Scava; e trova un cassone pieno di doppie. Allora fece sapere al Gran Turco che gli aveva scritto il padre, e che lo voleva riscattare, mettendo a una bilancia il figlio e a un'altra, tante doppie. Il Gran Turco accettò il cambio, e il giovane fu liberato. Il giovane si mise in cammino e arrivò alla locanda, in riva al mare. Lesse il cartello ed entrò. Dopo aver mangiato, il padrone lo invitò a raccontare la pena sua. - Ah! signore mio! la mia pena è lunga; e chi sa, quando finisce! - E cominciò a raccontare il fatto che gli era accaduto. La reginella lo riconobbe e disse: - T'è rimasta nessuna idea della sposa? ti voglio far vedere un ritratto... - La reginella entrò nella camera, e si vestì, come stava vestita , quando successe la fuga. Appena riuscì dalla camera, il giovane si alzò e l'abbracciò, in grazia di Dio. Non vi starò a dire le feste che fece il padre dello sposo quando rivide il figlio, e le feste che seguirono, quando i due re, i due vecchi amici, rifecero pace.



    image Cascatella di Stiffe



    Stiffe è una piccola frazione di San Demetrio ne' Vestini ( AQ ), dove si trovano le omonime grotte, che consiglio caldamente di visitare. Al loro interno scorre proprio l'acqua che vedete....non aggiungo altro!
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    image Lago di Sinizzo
    A poca distanza dal centro di San Demetrio ne' Vestini, si trova il piccolo lago di Sinizzo. Questo splendido specchio d'acqua, alimentato da due sorgenti di acqua potabile, è balneabile. E' un punto di sosta ideale per la bellezza del paesaggio; le sue rive erbose, ombreggiate da salici piangenti, invitano al riposo o ad attività da spiaggia. E' possibile effettuare un piacevole pic- nic nelle aree adeguatamente attrezzate mentre i bambini possono divertirsi anche nell'apposito parco giochi.






    nello scenario dell'ultima foto è stato girato il film



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    ...Rocca Calascio



    Rocca Calascio è una rocca situata in Abruzzo, nel territorio del comune di Calascio (AQ), a quota 1.460 metri, conosciuta per la presenza del castello che sormonta, in uno scenario di notevole bellezza paesaggistica e architettonica, l'omonimo borgo medievale abbandonato.

    A Rocca Calascio si erge il castello più elevato d'Italia ed il borgo è considerato dei più antichi centri abitati della regione. Il sito, posto su uno sperone roccioso e dominante dall'alto la Valle del fiume Tirino e la suggestiva Piana di Navelli, è una delle mete più suggestive d'Abruzzo.

    Scheletro di mammut .image
    Scheletro di un mammut (ARCHIDISKODON MERIDIONALIS) di oltre un milione e mezzo di anni fa!
    E' esposto all'interno del Museo Nazionale d'Abruzzo, sito nel Forte Spagnolo de L'Aquila.
    E' stato rinvenuto presso l’Aquila nel 1954.

    L'Aquila - Fontana delle 99 cannelleimage



    La dote

    "Due carri trainati da due buoi facevano parte del corteo nuziale; in uno c'era un comò di castagno, due comodini; questo carro andava avanti. Il corredo era composto da sei paia di lenzuola tessute alcune con la canapa al telaio, altre con il cotone, sempre al telaio; le sottovesti erano lavorate ai ferri. Quelle fatte al telaio si chiamavano "guarnelli" con i festoni a strisce; poi due o tre coperte di lana filate a mano e poi al telaio: le lane delle nostre pecore si filavano con il filarello e con il fuso, poi si tingevano con la corteccia dell'ornello, una pianta che si metteva a macerare; poi si usavano anche le noci. I due colori erano verde scuro per l'ornello e marrone per le noci. Si tingevano in casa. Si portavano anche calzette di lana, sei o otto paia per la donna e per il marito; una conca e il maniero. Si faceva il canestro con cinque filoni di pane, che li chiamavano "le cacchie". Prima di sposare, la sera avanti venivano a prendere la camicia alla casa dello sposo tutti i parenti più stretti della sposa, in corteo e mangiavano lì. La sposa doveva preparare la camicia del matrimonio per lo sposo e le camicie da notte alle cognate, secondo il numero che aveva, e alla suocera. Quando entravano la prima volta nella casa la madre dello sposo faceva la croce in una pagnotta; era un simbolo di protezione per la sposa. Il pane poi si dava per elemosina"


    Fra i monumenti più originali e significativi che esaltano L' Aquila, un posto a sé merita la monumentale "Fontana delle 99 Cannelle", l' unica nel suo genere è assurta ad insegna araldica della città, di cui nel tenue gorgoglio delle sue gelide acque, sembrano riecheggiare leggende arcane. Situata nella zona chiamata Rivera, ricca di polle d' acqua, non è lontana dal pigro corso del fiume Aterno. La sua costruzione è sicuramente databile al 1272, come ci informa la lapide, di chiara fattura trecentesca, inserita nella parte centrale: in essa, sono leggibili il nome del governatore regio, il quale commissionò l' opera all' allora noto architetto Tancredi da Pentima, che una diceria priva di fondamento ripetuta per secoli vorrebbe sepolto sotto la pietra ben visibile al centro della piazza.

    Destinata sin dall' inizio a pubblico lavatoio, rimasto in esercizio fino ai primi decenni del '900, le sue acque, oltre che dalle solerti lavandaie aquilane, furono utilizzate anche dalla famosa corporazione dai Lanaioli. Importanti interventi di ampliamento subì la fontana tra il 1582 ed il 1585 allorché, molto probabilmente, si aggiunsero circa sessanta mascheroni a quelli originari, per suffragare un' antica leggenda secondo la quale alla fondazione della città di L' Aquila concorsero 99 castelli. Ciò è quanto si è potuto appurare a seguito di un recente e vasto restauro (1994), che ha interessato sia la parte idraulica che quella artistico - architettonica restituendo la fontana all' antico splendore. Ha chiara forma trapezoidale ed è cinta da un elegante muro, di data posteriore, in pietra di marmo a scacchi bianca e rosa, non dissimili da quelli della facciata di S. Maria di Collemaggio. Bello lo stemma della città, al centro, con un' aquila dallo scudo a testa di cavallo e nastri svolazzanti simmetricamente.

    L' acqua fuoriesce abbondante da 99 cannelle, di cui 93 fisse nelle bocche di altrettanti mascheroni, tutti diversi l' uno dall'altro. Si alternano con le figure, formelle, nelle quali sono scolpiti rosoni circolari a quattro foglie piene o a girello, motivi comuni nell' arte abruzzese. Avvolta nel mistero era rimasta fino ad oggi l' ubicazione della sorgente principale, il cui segreto l' architetto avrebbe portato con se nella tomba, ma che gli esperti, quasi concordemente, localizzano nella zona sovrastante vicino la chiesa di S Chiara d' Aquili, Convento dei Frati Cappuccini, dove sorse il primo insediamento alto medievale di "Acquili" cui L' Aquila legò il nome e da cui si sviluppa



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    .....è uno dei più suggestivi e possenti castelli abruzzesi in provincia di Chieti



    HO TROVATO QUESTO CASTELLO RINASCIMENTALE - UNO DEI MEGLIO CONSERVATI NEL BORGO DI PACENTRO A 650 M DI QUOTA
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    PENSANDOCI..MI E' VENUTA IN MENTE UNA POESIA CHE STUDIAVO A SCUOLA.LA RICORDATE?!!! .......Gabriele D'Annunzio
    Alcyone
    Sogni di terre lontane

    I PASTORI . ..Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
    Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
    lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
    scendono all'Adriatico selvaggio
    che verde è come i pascoli dei monti.

    Han bevuto profondamente ai fonti
    alpestri, che sapor d'acqua natía
    rimanga ne' cuori esuli a conforto,
    che lungo illuda la lor sete in via.
    Rinnovato hanno verga d'avellano.

    E vanno pel tratturo antico al piano,
    quasi per un erbal fiume silente,
    su le vestigia degli antichi padri.
    O voce di colui che primamente
    conosce il tremolar della marina!

    Ora lungh'esso il litoral cammina
    la greggia. Senza mutamento è l'aria.
    il sole imbionda sì la viva lana
    che quasi dalla sabbia non divaria.
    Isciacquío, calpestío, dolci romori.

    Ah perché non son io cò miei pastori?



    Maccheroni alla molinara



    oppure scrippelle m'busse (bagnate al brodo)



    secondo piatto agnello cacio e ovo



    come dolce... la cicerchiata





    Seppie ripiene alla pescarese


    Pizza pasquale



    parozzo





    Ricette natalizie dell’ABRUZZO: Minestra di cardi, zuppa di castagne e ceci, lasagna con macinato, mozzarella e parmigiano. Tra i secondi agnello arrosto e bollito di manzo. I dolci tradizionali, diversi per ogni provincia, sono: calcionetti fritti (panzerottini dolci con marmellata d’uva nera detta scrucchiata, ceci, noci tritate, mandorle triturate, mosto e cacao), ferratelle, ostie con ripieno di mandorle, noci e miele, neole, noci atterrati (mandorle con acqua e zucchero) e scrippelle.




    LA CHITARRA E' UN CARATTERISTICO UTENSILE
    ABRUZZESE DI FATTURA ARTIGIANALE E
    CONSISTE IN UN TELAIO DI LEGNO RETTANGO=
    LARE SUL QUALE SONO TESI, NEL SENSO DELLA
    LUNGHEZZA, DEI SOTTILI FILI D'ACCIAIO MOLTO
    RAVVICINATI.

     
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    Costa dei Trabocchi




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    La costa chietina è tra le più varie che si possa trovare sul territorio regionale. La zona più a nord, che si snoda a partire da Francavilla al Mare è costituita da una lunga striscia di sabbia dorata dove si alternano piccoli tratti di spiaggia libera ad una fitta rete di stabilimenti, anche detti chalet o 'bagni', attrezzati con ogni comodità. Qui il primo stabilimento balneare nacque nel 1873 e da allora Francavilla non ha mai smesso di richiamare turisti da ogni parte d'Italia e d'Europa che oltre ad apprezzare la vivacità del litorale che di sera si anima con feste e concerti, può contare sulla tranquillità che si respira nella parte alta, arroccata in vista del mare sulla sequenza di villette che popolano la parte moderna della cittadina. Qui ha sede il Conventino dell'artista Francesco Paolo Michetti che divenne un cenacolo culturale ideale rifugio di Gabriele D'Annunzio e di altri abruzzesi di talento come il musicista Francesco Paolo Tosti e Barbella.
    Da visitare il nuovo Mumi, il Museo intitolato a Michetti situato nelle sale ristrutturate dell'antico Convento di S. Domenico, e la chiesa di S. Franco, di recente costruzione, ma al cui interno è conservato un prezioso ostensorio del 1413 del maestro orafo Nicola da Guardiagrele. Da Francavilla il litorale prosegue lungo e dritto fino ad arrivare alle prime increspature del paesaggio costiero con i promontori di Torre Mucchia, Punta Ferruccio, Punta Lunga, Ripari di Giobbe.
    Si arriva così ad Ortona nota anche per il porto, tra i più attrezzati per i traffici commerciali. La passeggiata Orientale, una sinuosa balconata che si affaccia sul mare, conduce alla Cattedrale di S. Tommaso, al Castello Aragonese, all'austero Palazzo Farnese.
    Qui, al centro della città vecchia, si apre l'antico palazzo Corvo, oggi sede dell'Istituto tostiano e dell'Enoteca regionale, luogo ideale per degustare e conoscere la storia dei vini abruzzesi. Proseguendo da Ortona verso sud la costa prende nuove forme, si movimenta con mille spiagge e calette, alcune nascoste, alcune ampie ed accoglienti, veri bacini naturali dove il verde limpido dell'Adriatico e l'oro della spiaggia o il bianco dei ciottoli giocano a confondersi e si caratterizzano con eloquenti toponimi come “Acqua bella” e “Capo turchino”. Siamo già a San Vito Chietino, il 'paese delle ginestre' dove Gabriele D'Annunzio, nel silenzio del suo rifugio (l'eremo dannunziano appunto) scrisse le più belle pagine del Trionfo della Morte.
    Questa è considerata una delle zone più affascinanti dell'intera fascia litoranea, silenziosa e ricca dei profumi del mare e della vegetazione, dei frutteti e degli oliveti. E' qui che a poca distanza nell'acqua si ergono i trabocchi "...la macchina che pareva vivere d'armonia propria, avere un'aria ed un'effige di corpo d'anima", come descrisse il Vate, originalissime costruzioni utilizzate per la pesca simili a palafitte, realizzate e sostenute con legni che il mare trasporta sulla spiagge e tra gli scogli. Più a sud, dopo qualche curva sulla strada nazionale che costeggia il mare e la ferrovia, ecco Fossacesia Marina, dominata dalle imponenti vestigia della spettacolosa abbazia di S. Giovanni in Venere. Su queste coste, dove la terra cerca di lambire il mare, regna la macchia mediterranea mentre più a sud si apre l'unico grande bosco litoraneo d'Abruzzo non impiantato artificialmente, la lecceta di Torino di Sangro, composta anche da roverella, cerro, carpino orientale e olmo.
    Il rigoglìo della macchia continua sulle spiagge di Casalbordino, di Villa Alfonsina, di Punta Penna e presso la riserva naturale di Punta d'Erce (o Punta Aderci), fino ad arrivare alle porte di Vasto, cittadina costiera con un glorioso passato (Histonium era un importante scalo marittimo romano) divisa, come diverse cittadine rivierasche abruzzesi tra la parte alta e quella marina. Dal borgo antico, dominato dal castello medievale che ebbe il suo massimo splendore sotto il dominio borbonico, si apre un'ampia veduta sul golfo di marina di Vasto, una delle località meglio attrezzate per il turismo balneare e per il divertimento.
    Da qui la costa prosegue tranquilla e sorniona verso la parte marina di San Salvo che fa da confine tra l'Abruzzo ed il Molise, con la grande spiaggia in alcuni tratti ancora un pò selvaggia.


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    " La macchina pareva vivere di una vita propria, avere un'aria e un'effigie di corpo animato.
    Il legno esposto per anni ed anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava le sue fibre.....
    si sfaldava, si consumava, si faceva candido come un tibia o lucido come l'argento o grigiastro come la selce, acquistava una impronta distinta come quella d'una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avessero compiuta la loro opera crudele.."
    (D'Annunzio, Il Trionfo della Morte)
    Il trabocco è una macchina da pesca formata da una struttura non fondata ma fissata in equilibrio a volte con strallo di cavi e con fissaggio di pali alla roccia, tipica della costa medio adriatica e basso tirrenica italiana. La diversa caratterizzazione della linea costiera ne ha definito la distinzione di due tipologie essenziali: quella abruzzese che si distingue per esser posizionata trasversalmente rispetto alla costa cui è collegata da passerelle; la seconda tipologia è quella garganica costruita a filo costa con piattaforma disposta longitudinalmente; e infine, nella zona di Latina, si potrebbero citare «i bilancioni», piccole macchine dedite alla pesca statica situate nelle acque senza correnti di grandi canali che sboccano al mare, e «le padelle», una sorta di sbarramento mobile impiegato nei cordoni di dune lungo il litorale di Ravenna fin dal XIV, con capanno adiacente. (Tratto da: I Trabocchi. Di: P. Barone-L. Marino - O.Pignatelli, Macchine da pesca della costa adriatica, CIERRE edizioni, 1999 Sommacampagna)


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    Anticamente unica fonte di sostentamento per numerose famiglie. Oggi delle opere da conservare. Costruzioni semplici, che, sfruttando elementari tecniche di incastri e contrappesi, hanno sempre vinto i furiosi attacchi del mare.
    I Trabocchi sono diventati parte integrante della coreografia della nostra costa; l'alto costo per la loro manutenzione, stava portando, qualche anno fa, ad un loro principio di estinzione, fortunatamente la Regione Abruzzo, sotto la pressione di molte persone appassionate di queste vere opere d'arte, è intervenuta con sovvenzioni e agevolazioni, salvandoli momentaneamente dal degrado.

    I trabocchi, testimonianze di una civiltà, legata alla pesca di tipo familiare, un tempo non molto lontano erano fonte di ricchezza, oggi di fascino e forse anche di mistero, con strane leggende che qualcuno ancora racconta, impreziosiscono il litorale richiamando attenzione e curiosità. Oggi qualche proprietario vi "azzarda" una improvvisata ristorazione! Forse per mancanza di legge adeguata o per cecità momentanea degli organi di controllo l'attività prosegue e .. a caro prezzo!

    La MAGIA dei trabocchi è insita nella loro stessa struttura, sospesa tra terra e mare, ancorata all'una e immersa nell'altro, a testimoniare la cultura economica tradizionale delle popolazioni costiere abruzzesi e la loro intima essenza, caratterizzata da una continua integrazione tra la pesca e le attività agricole, tra terra e mare.

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    I materiali.

    Inizialmente il legname impiegato proveniva dalle immediate vicinanze oppure era di recupero.
    Allo scopo di approfondire le conoscenze sul tipo di legname utilizzato, impossibili da realizzare con una indagine macroscopica per il degrado del materiale, è stato condotto uno studio xilotomico in particolare su elementi raggiungibili di alcuni trabocchi.
    Ne è risultato che frequente era l’uso di essenze idonee alla paleria come castagno, oltre a pino e abete rosso, olmo e robinia; mentre le corde erano in canapa.
    Successivamente è prevalso l’uso di grossa paleria anche di recupero, vecchi pali di fondazione, pali per linee telefoniche e telegrafiche, stabilizzati da fili di ferro. Spesso alcuni sono stati costruiti recuperando materiali da altri trabocchi, che per le modifiche apportate dal mare alla linea di costa, necessitavano di essere spostati.
    Il termine.
    Con accezioni variabili a seconda delle aree geografiche in cui la macchina è insediata, (Travocche, Trabucche, Traboucche, Trabbauche), è una definizione italianizzata prettamente dialettale, forse derivante dal latino «Trabs» (cfr. legno, albero, casa). Risalenti al XVIII-XIX sec., originario, secondo alcuni, dalla pesca con la nassa, uno strumento che solleva e abbassa un meccanismo composto da due antenne divergenti posizionate a prua di una imbarcazione per la pesca di cefali.
    Secondo altre fonti, essendo i trabocchi concentrati in zone dove si svolgevano prevalentemente attività commerciali e cantieristiche, erano costruiti ed usati da contadini e massari per la pesca di sussistenza e non per quella di profitto come avveniva invece nel ravennate (Emilia Romagna).

    Fasi costruttive

    Anzitutto si procedeva alla scelta del luogo a seconda del percorso del pesce e quindi delle correnti. Non di rado questa operazione prevedeva più prove incluso lo smontaggio-rimontaggio di tutta l’opera. In base alla loro posizione i trabocchi si distinguono in due tipi: di Maestro se volge verso ovest, cioè se pesca con il lato della rete appoggiato al fondo del mare nella parte ovest e di Levante se volge verso est. Le parti strutturali che compongono i trabocchi sono la passerella, la piattaforma, l’argano, la cabina e i pennoni.
    La passerella, la cui lunghezza e forma variano a seconda della morfologia del luogo in cui gli impianti vengono installati e dalla loro distanza dalla costa, collega la piattaforma con la terraferma; è retta da un portale di sostegno in legno ed è supportata da un sistema di pilastri o pali in ferro (putrelle o binari di recupero) fissati nella roccia cui vengono agganciati elementi in legno.
    La piattaforma o palchetto, possiede di solito un impalcato rettangolare di tavole di legno in media di 40 mq., retto da 4-6 pilastri verticali; su di essa si trovano l’argano che consta di due pali in legno incrociati ad un metro circa da terra che comandano la rete durante la pesca; e infine la cabina, un piccolo vano con tetto ad una o due falde, raramente dotato di elementi di arredo e a volte usato anche per l’allevamento.
    La piattaforma è dotata anche di parapetto che la chiude su tre lati. I pennoni si distinguono in antenne e antennine. Le prime sono due pali leggeri in abete che, grazie a carrucole poste sulle estremità, permettono il movimento delle corde di Vendle che sostengono gli angoli superiori della rete.

    Le antennine sono invece legate con fil di ferro ai montanti e sostengono tramite carrucole gli estremi inferiori della rete. Questa, in cotone o nylon tinteggiata di un colore scuro, ha quattro lati. I tiranti sorreggono i pennoni tramite ganci e confluiscono in un unico punto di forza detto condittone, un palo molto resistente fissato negli scogli, non troppo distante dalla piattaforma. Freni da mare che servono a permettere la pesca anche in presenza di corrente marina e pali lignei orizzontali ed obliqui con funzione di controvento completano la struttura. Il trabocco è una architettura di utilità, creata con lo scopo di essere usata.
    Pur trattandosi di un insieme rudimentale di pali di legno collegati da tiranti, è indice di grande ingegno in quanto nel sistema prevalgono le leggi statiche e dinamiche della fisica . Dal punto di vista strutturale i trabocchi sono suddivisibili in due categorie: nella prima rientrano quelli abruzzesi o molisani che, collocati in parte o totalmente in acqua, hanno elementi puntiformi verticali fissati (incastro) nella roccia o appoggiati sulla sabbia (cerniera). Nella seconda quelli garganici i cui gli elementi verticali sono tutti vincolati con incastro alla roccia.
    I trabocchi, a partire dall’immediato dopo guerra, hanno subìto un progressivo abbandono dovuto al disuso delle strutture e una conseguente perdita di conoscenze di manutenzione. Eventuali interventi di manutenzione o di restauro su queste strutture sono alquanto complicati perchè devono tenere in considerazione la singolarità e la specificità di un siffatto impianto.


    Normative


    Oggi, sono protetti da una normativa speciale in Abruzzo, L.R.93 del 14.12.1994 che promuove recupero e valorizzazione estetica e paesaggistica; e dalla L.R.99 del 16.09.1997 che pone disposizioni per il recupero, la ristrutturazione e la ricostruzione.
    Con una recente legge, Ottobre 2003, alcuni Comuni teatini possono accedere a fondi regionali per il restauro e la pubblicità dei trabocchi.


    Il Molise ha in previsione l’emanazione di una legge specifica, ma al momento, come la Puglia, fa riferimento a legislazioni generali.
    La luce, la variazione di temperatura e umidità oltre che funghi e insetti nel caso degli elementi in legno e la corrosione della salsedine nel caso degli elementi metallici, lascia alcune di queste strutture in stato di grave degrado.
    D’altro canto, non sempre il restauro di questi è positivo e comunque si dovrebbe ridurre ad una manutenzione ordinaria effettuata da conoscitori delle tecniche tradizionali.
    Nella maggior parte dei casi queste strutture sono state abbandonate e a volte servono come strutture di appoggio per l’allevamento di cozze, raramente per pescare.

    Architetture senza architetti, si avvalgono di una sapienza costruttiva mai scritta, tramandata con la parola e la pratica, difficile da tradurre in calcolo, così come difficile è la restituzione in disegno.
    Oggetti che potrebbero passare inosservati, quanto meno all’attenzione che la disciplina di solito pone attorno agli elementi di configurazione del territorio.




    Fonte: la costa dei trabocchi .it


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  5. tomiva57
     
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    Riserva Integrale della Camosciara
    Nel cuore del Parco Nazionale d'Abruzzo




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    La Riserva Integrale della Camosciara emerge e si distingue per il suo aspetto e per la struttura dolomitica e per il pregio di racchiudere in pochi ettari gli elementi principali della fauna e della flora del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise: luogo simbolico del Parco, affascinante e ricco in ogni stagione.


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    La storia del Parco

    Prima proposta del Parco Nazionale d'Abruzzo fatta nel 1917 dalla Federazione Pro-Montibus

    Fu nel comune di Opi, uno dei più suggestivi del Parco, che il 2 ottobre 1921 la Federazione Pro Montibus et Silvis di Bologna, guidata dall'illustre zoologo professor Alessandro Ghigi e dal botanico professor Romualdo Pirotta, volle istituire la prima area protetta d'Italia affittando dal comune stesso 500 ettari della Costa Camosciara, nucleo iniziale del Parco, situato nell'alta Val Fondillo, divenuta successivamente una delle valli più famose e frequentate.

    E' proprio in questo impervio territorio, difficilmente accessibile, dell'Alto Sangro che trovarono rifugio l'Orso bruno marsicano, il Camoscio d'Abruzzo, il Lupo appenninico ed altre specie non meno importanti.

    Il 25 novembre 1921 ci fu la cerimonia inaugurale e per acclamazione fu costituito l'Ente Autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo.
    L'11 settembre del 1922, per iniziativa di un Direttorio Provvisorio presieduto dall'onorevole Erminio Sipari, parlamentare locale e autorevole fondatore del Parco, un'area di 12.000 ettari ricadente nei comuni di Opi, Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia de' Marsi, Lecce dei Marsi, Pescasseroli e Villavallelonga, insieme a una zona marginale di 40.000 ettari di Protezione Esterna, divenne Parco Nazionale alla presenza di tutte le autorità, presso la Fontana di S. Rocco a Pescasseroli, dove resta una lapide corrosa dal tempo a ricordo del famoso evento.

    Poco più tardi lo Stato italiano, con Decreto Legge dell'11 gennaio 1923, ne riconosceva ufficialmente l'istituzione.

    Qualche decennio prima, il Re Vittorio Emanuele volle istituire in quest'area una riserva di caccia, per evitare lo sterminio incombente e l'estinzione di importanti ed uniche specie selvatiche.
    D'altronde sia l'Orso Marsicano che il Lupo e il Camoscio avevano abitato un'area molto più vasta comprendente quasi l'intero Appennino, ma il degrado degli habitat, procurato dall'eccessivo disboscamento e dalla diffusa antropizzazione, nonchè la caccia indiscriminata, li aveva relegati nei luoghi più remoti e selvaggi.
    Proprio grazie al Parco questi luoghi conservano ancor oggi quei valori naturali e culturali della montagna tanto da ispirare altri territori a seguirne l'esempio.
    L'uomo moderno, completamente coinvolto dalla società super-tecnologica, può ritrovare nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise un pezzo della propria storia e della propria evoluzione, una storia scritta su un libro ancora aperto fatta di vicissitudini geologiche, di affascinanti selve e di una cultura socio-economica sobria, parsimoniosa e creativa.

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    Orso marsicano


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    Simbolo del parco d'Abruzzo, l'orso bruno marsicano è una sottospecie differenziata geneticamente dagli orsi delle Alpi e dunque rappresenta un endemismo esclusivo dell'Italia centrale. Grazie a recenti ricerche scientifiche si è stimata una popolazione di circa 40 esemplari nel territorio del Parco e zone limitrofe.

    # Dimensioni: Mediamente un orso maschio adulto ha un peso che si aggira intorno ai 100- 150 kg (le femmine sono più piccole) ed una lunghezza massima di 150 - 180 cm.
    # Vita: 35-40 anni
    # Habitat: Il bosco rappresenta l'habitat più importante per l'Orso: in esso trova rifugio, tranquillità e cibo.
    Non è raro comunque che l'Orso frequenti, a seconda delle stagioni, le praterie di alta quota o i coltivi di fondovalle.
    Trattandosi di un animale onnivoro (che si nutre cioè sia di sostanze vegetali che animali), l'Orso riesce ad adattarsi a diversi tipi di habitat, purché tranquilli e sicuri.
    # Alimentazione: L'orso è un animale onnivoro, si nutre cioè sia di piante che di animali, anche se la sua dieta è costituita per l'80% da vegetali. La sua alimentazione varia stagionalmente a seconda di ciò che la natura offre: bacche e frutti di bosco, insetti e larve, miele, carcasse di animali.
    # Riproduzione: A maggio inizia per gli orsi il periodo degli amori.
    Sia i maschi che le femmine possono accoppiarsi con più individui nella stessa stagione e di conseguenza i piccoli di una stessa cucciolata possono essere di padri diversi.
    # Prole: A febbraio, durante il periodo di latenza invernale, la femmina partorisce da 1 a 3 cuccioli. Al momento della nascita i piccoli pesano meno di 500 grammi e dipendono completamente dalla mamma. Grazie al latte materno che è particolarmente ricco di grassi, gli orsacchiotti riescono a crescere rapidamente per affrontare lo svezzamento in l'estate. I piccoli rimangono con la madre per più di un anno.
    # Curiosità: L'Orso ha un udito molto sviluppato ed un olfatto acutissimo che lo aiuta nella ricerca del cibo. A differenza dell'olfatto e dell'udito, la vista è invece piuttosto mediocre. Il verso dell'Orso si chiama ruglio.
    # Note: Ai primi freddi, quando il cibo comincia a scarseggiare, gli orsi vanno alla ricerca di un rifugio asciutto e sicuro dove trascorrere l'inverno. Nella tana l'Orso cade in una specie di letargo che gli consente di far fronte alle basse temperature e alla mancanza di cibo. Non si tratta di un letargo vero e proprio: a differenza di altre specie, gli orsi mantengono un buon grado di reattività agli stimoli esterni e possono addirittura uscire fuori dalla tana durante le belle giornate invernali. In questo periodo non si alimentano e sopravvivono grazie al grasso accumulato in autunno che funziona sia come riserva energetica che da isolante termico.
    # Nel Parco: Simbolo del parco d'Abruzzo, l'orso bruno marsicano è una sottospecie differenziata geneticamente dagli orsi delle Alpi e dunque rappresenta un endemismo esclusivo dell'Italia centrale. Grazie a recenti ricerche scientifiche si è stimata una popolazione di circa 40 esemplari nel territorio del Parco e zone limitrofe.


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