Abruzzo ... Parte 2^

CHIETI..VASTO..SULMONA..LE ISOLE TREMITI..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI

    “... Giovedì ... scorrono territori e genti sotto di noi ... sono come fogli di un’immenso libro di storie arricchito da meravigliose immagini e racconti di vita ... ci carezzano aliti di vento che soffiando sulla tela della mongolfiera sospingono i nostri sogni e i nostri pensieri verso altri luoghi ... alla ricerca di quella felicità nascosta in un saluto, in un colore ... nel sentire il calore di un abbraccio o di una vicinanza amica ... destini si intrecciano sulla rotta di questo fantastico viaggio ... Cuore non smettere di battere ... ali non smettete di vibrare ... il nostro viaggio continua ... Amici miei ... salite sulla mongolfiera anche oggi voleremo sulle ali colorate della meraviglia ...”

    (Claudio)



    CHIETI..VASTO..SULMONA..LE ISOLE TREMITI..PERLE DI UNO SCRIGNO CHIAMATO ABRUZZO..



    “Monteodorisio, arroccato su di un colle a picco nella valle del Sinello, da lontano sembra abbracciato da un lato dai Monti della Maiella, immerso nella assoluta tranquillità … i millenni di storia possono aver consumato le mura e le torri, ma continua a conservare l’immagine di un antico, massiccio borgo medievale, arroccato in collina, dominato dal castello che guarda verso il mare. Lungo le stradine strette che si dipanano tra le case in pietre squadrate, piccole e basse, con balconcini minuscoli, si respira quell’atmosfera frugale e un po’ misteriosa raccontata dai libri di storia… per la sua posizione strategica, intorno all’anno 1000 la contea primitiva fu acquisita da Odorisio, conte dei Marsi, su concessione del Conte di Chieti, affinchè vi costruisse un avamposto fortificato a protezione di tutta l’area dai Longobardi…. il Castello a pianta pentagonale, risalente al XV secolo, voluto dai Caldora… simbolo della città. La sua antica cinta muraria probabilmente girava intorno all’attuale quartiere di Capo di Rocca per poi proseguire verso Porta Carbonara e via Muro Rotto…tracce di torrioni e costruzioni originarie in ciottoli di origine fluviale, incastonati tra vecchi palazzi, che sembrano ridare vita ad un tempo e ad una storia che non c’è più….il Castello, che si erge maestoso verso il mare, ancora come a proteggere la città”

    “Poco distante dalla foce del fiume Trigno, San Salvo gode di una posizione davvero caratteristica, circondato da distese di uliveti secolari che regalano alla zona un profumo unico, su colline immense che scendono dolcemente verso il mare…..Questo tratto di costa, accompagnato da palme altissime lungo il passeggio, è chiamato Costa dei Trabocchi, per la presenza di costruzioni in legno in corrispondenza di sporgenze costiere, formate da una piattaforma fissata alla roccia da grossi tronchi di legno, ma protesa sul mare a sostenere dei grossi bracci ai quali è ancorata una enorme rete a maglie strette, detta trabocchetto, utilizzata dai pescatori locali per la pesca.”

    “Roccascalegna è un piccolo comune della provincia di Chieti…Il paese sorge lungo il crinale collinare della Val di Sangro: è sorprendente vedere come questo borgo prenda forma incorporandosi nella terra e sembra venirne fuori naturalmente, creando un’atmosfera fortemente suggestiva, in bilico tra distacco e armonia….Il Castello rappresenta al meglio questo crogiolo di sensazioni… la costruzione si erge maestosa, affacciata a un dirupo, e si compone di quattro torri e di una cinta muraria…”

    “Chieti sorge a destra del fiume Pescara e dista pochi chilometri dall’Adriatico. Sulle sue origini leggendarie esistono diverse versioni; la più diffusa fa risalire la fondazione ad Achille (o ai suoi compagni), che chiamò la città Teati in ricordo della madre (Teti). Lo stemma civico riporta, infatti, Achille a cavallo, che con la mano sinistra regge uno scudo, su cui appaiono le quattro chiavi simbolo delle porte dell’antico abitato….Lo storico greco Strabone, racconta che la città fu fondata dagli Arcadi e inizialmente denominata Tegeate…Dalla parte sul colle, detta Chieti Alta..i monumenti, risalenti dall'epoca romana a quella dei normanni e degli aragonesi. Fra tutti il Palazzo del Seminario Diocesano, la Cattedrale di San Giustino, il Teatro Romano, San Francesco al Corso, Sant'Agostino…. Percorrendo in tondo le vie, fino in cima, ecco apparire ora il mare, ora la Maiella, ora il massiccio del Gran Sasso.”

    “La prima popolazione che abitò Vasto fù , secondo la leggenda, una tribù proveniente dalla Dalmazia. Il primo nome, Histon, venne dato a Vasto da Diomede, il quale arrivò sul posto alla guida degli Illiri; Histon, infatti, ricordava il monte Histone di Corfù. Verso il V secolo a.C. fù occupata dai Frentani che potenziarono il primitivo approdo di Punta Penna…. Il ritrovamento di anfore nel golfo , testimonia l'esistenza di traffici marittimi, nonchè la grande importanza della città nel territorio frentano. Dopo la guerra sociale (91-88 a.C.) Histon divenne Histonium e fù elevata alla dignità di Municipio Romano e durante l'età imperiale acquisì potenza e prestigio. In epoca post-imperiale la città non fù risparmiata dalle invasioni barbariche alle quali fece seguito un periodo oscuro nel quale si perse addirittura il suo nome. Un conquistatore franco, Aymone, eresse, sulle rovine dell'antica Histonium, un borgo fortificato, da lui chiamato Guast d'Aymone. Dopo il periodo angioino, che lasciò delle tracce profonde nel lessico, Vasto fù assegnata ai D'Avalos, di origine spagnola, che vi trasferirono il fasto della corte iberica e innalzarono uno splendido palazzo: il Palazzo D'Avalos; la città, per la sua bellezza, fù chiamata "Atene degli Abruzzi"… Il Palazzo D'Avalos fù distrutto dai Turchi nel '500, ma subito ricostruito in forme rinascimentali; fù anche dimora di Vittoria Colonna. Al suo interno oggi si trovano il Museo Archeologico e la Pinacoteca. La città alta conserva molte testimonianze del suo passato; resti di ville Augustee e tracce di insediamenti medievali. Nei pressi di quella che fù, più tardi, la Chiesa di S.Pietro, si ergeva, in epoca romana, il Campidoglio; in Via Adriatica furono scoperte le Terme, le quali stanno a dimostrare quanto abbondante fosse l'acqua a disposizione dei vastesi di ieri, i quali, nelle opere idrauliche, erano dei veri e propri maestri… basti pensare alle due enormi cisterne ancora intatti situati al capo meridionale della Loggia Amblingh…Palazzo della Penna che domina la spianata omonima al riparo da occhi troppo indiscreti… quattro massicci bastioni con munitissime garitte dovevano servire a scoraggiare eventuali malintenzionati. E' la casa dei misteri…. si narra che l'edificio venne messo su in una notte da cento diavoli. Dove è situata oggi Punta Penna dicono che una volta ci fosse una splendida città, Buca, sparita ingoiata dal mistero. Famosa la tavoletta di bronzo in lingua osca “

    “Gli antichi scrittori, tra i quali Ovidio e Silio Italico, concordano sulla remota orgine di Sulmona, ricollegabile alla distruzione di Troia. Il nome della città deriverebbe da Solimo, uno dei compagni di Enea…. Tito Livio che cita l'oppidum italico e narra come la città, nonstante le battaglie perse del Trasimeno e di Canne, rimase fedele a Roma chiudendo le proprie porte ad Annibale….Sulle alture del Monte Mitra si hanno testimonianze archeologiche dell'oppidum, uno degli insediamenti fortificati più grandi dell'Italia Centrale…. La valle Peligna, sede della vera e propria urbs deriva il suo nome dal greco "peline"= fangoso, limaccioso. Infatti, in età preistorica, la conca di Sulmona era occupata da un vastissimo lago… la data storica per Sulmona è il 43 a.C., anno di nascita dell'illustre poeta latino Publio Ovidio Nasone, il cantore dell'amore e delle Metamorfosi, poi esiliato a Tomi, in Romania dall'imperatore Augusto. Dalle iniziali del celebre emistichio "Sulmo Mihi Patria Est" la città ha preso le iniziali del suo stemma "S.M.P.E."….Le tracce della Sulmona romana sono riemerse dagli scavi nel Tempio di Ercole Curino, posto ai piedi del monte Morrone in cui, secondo un'antica leggenda, vi sarebbero i resti della villa di Ovidio. Le ricerche hanno portato alla luce una copia in bronzo rappresentante l' "Ercole in riposo", oggi custodito nel Museo Archeologico di Chieti. …Infine su una colonna sono stati individuati due eleganti versi firmati "OVIDIUS" che si suppone siano stati vergati sul marmo dal nostro poeta….Dagli Amores di Ovidio, libro III…”Madre degli amor teneri, cerca un nuovo poeta,sfioran queste elegie ormai l'ultima meta,l'elegie che composi, io dei Peligni nato (nè mi sconvenne, penso, il verso innamorato), io per antico rango, se ciò può mai valere, non per recente turbine di guerre cavaliere.Ebbe in Virgilio Mantova, ebbe in Catullo il CignoVerona; io sarò detto gloria del popolo peligno,che il libertario orgoglio spinse ad armi onorate,quandò paventò Roma le schiere federate…E l'ospite, guardando le mura dell'acquosa Sulmona,che i campi chiudono ben poca cosa, dirà un giorno: vi chiamo grandi pur se modeste, voi che un tale cantore dare al mondo poteste.”… L'ingresso orientale della città è costituito da una delle porte più interessanti tra quelle che si trovano lungo le mura di cinta. Porta Pacentrana, anche detta 'orientalis', risale al XV secolo e si trova alla sommità di una breve salita. L'originale affresco decorativo con disegno geometrico è diventato il simbolo dell'omonimo Borgo che partecipa alla Giostra Cavalleresca.”

    “Le isole Tremiti.. l loro antico nome era "Insulae Diomedeae", in onore eroe greco Diomede: la Leggenda narra che Afrodite, dea dell’ amore, trasformò i suoi compagni in "diomedee", rari uccelli di mare, che nidificano sui calcari di S. Domino….Il nome “Tremitis”, da cui l’odierno Tremiti, compare per la prima volta nei manoscritti di età medioevale e dovrebbe richiamare l' antica attività sismica che avrebbe portato le attuali isole a distaccarsi dal gargano….E’ proprio in età medioevale (IX secolo D.C.) che secondo il Chartularium Tremitense nasce il primo centro religioso delle Isole Tremiti, opera dei monaci Benedettini dipendenti dall' Abbazia di Montecassino…..L'arcipelago delle isole Tremiti è composto da tre isole (San Domino, San Nicola, Capraia), un isolotto (Cretaccio) ed alcuni scogli. E' collocato a 12 miglia marine al largo della costa settentrionale del Gargano, a livello del lago di Lesina. E' un concentrato di bellezze naturali e di storia, sospeso sul mare azzurro e limpido dell'Adriatico.”

    “Altro che Sir Francis Drake, i Fratelli della Costa, i galeoni spagnoli, il mar dei Caraibi: i pirati, invece, erano fra noi. Infestavano il mare Adriatico e, in fondo, mica tanto tempo fa: gli ultimi pirati dulcignotti (Dulcigno, oggi Ulcinj, in Montenegro) sono stati ridotti a più miti consigli solo dalla conquista austroungarica dell'Adriatico…Siamo nel 1815….Nei secoli precedenti, invece, i pirati erano costantemente stati una spina nel fianco della Repubblica Veneta. Poiché la Serenissima era la potenza dominante di quel mare che nelle carte geografiche veniva indicato come «golfo di Venezia», è proprio la navigazione veneziana che subiva i contraccolpi maggiori ed era ai veneziani che toccava sostenere lo sforzo militare maggiore per contrastare i predoni. I pirati potevano grosso modo distinguersi in due gruppi: quelli di fede musulmana e di origine soprattutto nordafricana (come i dulcignotti, appunto) e quelli cristiani prevalentemente di etnia slava, come gli uscocchi….Questi ultimi avevano la loro base a Segna (oggi Senj), a sud di Fiume (Rijeka) e usavano i mille isolotti dalmati per tendere imboscate. Colpivano le navi turche, ma anche le navi di chi con i turchi commerciava e quindi, dopo esser stati alleati dei veneziani a Lepanto, si erano messi a predare i vascelli della Serenissima (e quelli ragusei) che dal commercio con i turchi traeva la propria linfa vitale. La schermaglia è andata avanti più o meno un secolo e per tutto il Seicento la lotta contro i pirati è stata il principale impegno militare di Venezia che aveva anche istituito una specifica carica il «Provveditor contra usocchi». Gli uscocchi erano appoggiati dagli Asburgo in funzione antiveneziana e sarà solo la decisione politica della Casa d'Austria di ritirare loro il proprio appoggio a provocarne la definitiva sconfitta. La guerra del 1615-18 tra Venezia e l'Austria sarà ricordata come «guerra di Gradisca» dalla storiografia austriaca, ma come «guerra degli uscocchi» da quella veneziana. Si raccontano storie di eventi militari e storie personali, storie di pirati e storie di comandanti che di quei pirati sono caduti vittime. Storie di confine, come quello, surreale, interno alle Bocche di Cattaro dove per qualche secolo si sono fronteggiati veneziani e ottomani… È un mare bonario e tranquillo, quando si scatena la tempesta si infuria e diventa infido e pericoloso. Sembra un grosso lago, ma può essere cattivo come un oceano.”

    Scotti



    “C’è un mare poco conosciuto, che racconta storie fuori dal comune. Storie di delfini che si spiaggiano, di avvistamenti eccezionali, di tartarughe ferite, di incontri inattesi, di squali, pesci luna e megattere. E’ un Adriatico meno noto, insospettato, teatro di incontri fra uomini animati da una passione e inconsueti animali marini. E’ un mare che non ti aspetti.” …così racconta lo scrittore Affronte …L'Adriatico non è un 'corridoio' tra nazioni: è un mare che unisce storie di popoli uguali e diversi, rimandando da una riva all'altra echi di culture che da sempre si sono guardate….partendo da Santa Maria di Leuca, punta meridionale della Puglia, e procedendo da una sponda all'altra illuminati dai raggi dei fari…. Luci antiche e moderne, lanterne che si accendono, guidandoci dal Salento all'Albania e alla Grecia, da Bari al Montenegro, dalle Marche alla Croazia, dal Veneto alla Dalmazia e all'Istria. Incroci non solo geografici, perché viaggiare tra i fari significa esplorare vicende storiche e umane, addentrandosi nel mondo della marineria, passando dalle sanguinose battaglie di un tempo alle emergenze ecologiche della nostra era. Un viaggio a 'zig zag' nelle epoche ma anche nelle isole, tra le case dei guardiani dei fari circondate solo di ondate e di silenzio, ora sferzate dal vento, ora sfiancate dal sole e dal calore. Un viaggio nell'architettura della pietra istriana, nelle costruzioni ottocentesche nate sui resti di torri secolari. E un viaggio tra i racconti e gli aneddoti della vita nei fari: ecco il bimbo chiamato 'Adriatico', ecco il faro fatto costruire dal principe di Metternich (a Savudrija, in Istria) per una bella nobildonna croata. La bellezza e l'abbandono dei fari delle Tremiti, l'angosciante e ammaliante strapiombo di Palagruza: tra le pagine si ricostruiscono le storie dei singoli fari stilando una sorta di 'diario di bordo' di un viaggio imperdibile, capace di stanare dal dimenticatoio luoghi e vicende, con i loro porticcioli, i boschetti e le orchidee selvatiche.”

    Simonetti



    LA SABBIA DEL TEMPO


    Come scorrea la calda sabbia lieve
    per entro il cavo della mano in ozio
    in cor sentì che il giorno era più breve.
    E un’ansia repentina il cor m’assale
    per l’appressar dell’umido equinozio
    che offusca l’oro delle piagge salse.
    Alla sabbia del Tempo urna la mano
    era, clessidra il cor mio palpitante,
    l’ombra crescente di ogni stelo vano
    quasi ombra d’ago in tacito quadrante


    Gabriele D’annunzio







    Chieti

    Chieti si trova nella parte centro-orientale
    dell'Abruzzo, a 330 metri sul livello del mare, su un colle che divide le acque
    del bacino del fiume Aterno-Pescara (a nord) da quelle del fiume Alento (a sud).

    La città gode di una favorevole posizione geografica, sia perché vicina alla riviera adriatica ed alle masse montuose della Majella e del Gran Sasso in una varietà di panorami unici per ricchezza e varietà di paesaggi, sia perché vicina alle
    principali reti di trasporto del versante adriatico del Centro Italia (autostrade
    A14 ed A25, tratte ferroviarie adriatica ed appenninica, Aeroporto d'Abruzzo
    che dista soli 12 km dal centro storico).

    La città è suddivisa in due nuclei, Chieti Alta e Chieti Scalo.

    Chieti Alta è il nucleo più antico della città. Situato sul colle, ospita tantissimi
    resti ed edifici storici che raccontano i molti secoli di vita del capoluogo teatino.

    Chieti Scalo è invece la parte nuova e maggiormente commerciale della città.
    Adagiata nella vallata a nord della collina ed estesa fino all'argine destro del
    fiume Aterno-Pescara,



    si è sviluppata seguendo prevalentemente le impronte dell'antica Via Tiburtina
    Valeria (che nel territorio del capoluogo viene ridenominata e suddivisa in Viale Abruzzo, Viale Benedetto Croce e Viale Unità d'Italia) e della ferrovia che la
    attraversa.



    Chieti Scalo è popolata anche da numerosissimi studenti universitari che
    frequentano la sede teatina del Campus dell'Università Gabriele d'Annunzio
    (che contava circa 30.000 iscritti nell'anno accademico 2007-2008).



    Parrozzo abruzzese...dolce tipico abbruzzese!!!

    Ingredienti

    - 150 g di zucchero
    - 150 g di cioccolato fondente
    - 100 g di mandorle
    - 5 uova
    - 50 g di farina
    - 50 g di fecola
    - 40 g di burro
    60 Minuti
    Media
    8 Persone

    Il parrozzo è un dolce tipico abruzzese, solitamente preparato in occasione delle festività, che apporta molte calorie e grassi: le mandorle sono nella lista degli ingredienti per realizzare questa ricetta, apportano magnesio, calcio, vitamine e proteine, e sono un alimento consigliabile alle donne in gravidanza.

    Preparazione
    Spellare e tritare le mandorle molto finemente.
    Separare i tuorli dagli albumi, e in una terrina mescolare i tuorli con lo zucchero, il burro fuso, la farina e la fecola di patate. Aggiungere quindi le mandorle sminuzzate.
    A parte montare a neve gli albumi ed aggiungerli al composto precedente, mescolando sempre dal basso verso l'alto e con delicatezza.
    Versare il composto finale nella apposita tortiera e cuocere in forno per circa 40 minuti a 180°. Quando il parrozzo sarà pronto e raffreddato, sciogliere a bagnomaria il cioccolato e cospargerlo sul dolce, meglio se colandolo. Consiglio:
    - per questa ricetta, tipica della tradizione abruzzese, è consigliabile l'uso di uno stampo come questo, di quelli che si usano anche per la realizzazione dello zuccotto;
    - per ottenere il sapore del vero parrozzo, è opportuno aggiungere circa 20 g di mandorle amare, oppure dell'aroma di mandorla amara.

    image



    ALBA FUCENS





    NONOSTANTE NUMEROSI STORICI PARLANDO DELLE ORIGINI DI ALBA SIANO DISCORDI CIRCA LA SUA APPARTENENZA ALLA POPOLAZIONE MARSA O EQUA, LIVIO UNO DEI PIU' ATTENDIBILI LA COLLOCA IN TERRITORIO EQUO. QUESTO POPOLO FIERO E MILITARMENTE PRESTANTE AVEVA COSTRUITO SULLA COLLINA DI ALBA UN OPPIDUM CHE DOMINAVA TUTTE LE VALLATE CIRCOSTANTI.
    CHE ALBA FOSSE UN POSTO COSI' STRATEGICAMENTE IMPORTANTE NON SFUGGI' AI ROMANI CHE, PER POTER ESTENDERE IL PROPRIO DOMINIO NELL'ITALIA CENTRALE, CERCARONO IN OGNI MODO DI CONQUISTARLO.
    DOPO SANGUINOSE BATTAGLIE E L'AFFERMARSI SEMPRE PIÙ EVIDENTE DELLA POTENZA ROMANA, GLI EQUI FURONO SCONFITTI E MASSACRATI. COSI' NEL 303 A.C. ALBA FUCENS, SOTTO IL CONSOLATO DI LUCIO GENUCIO E SERVIO CORNELIO, FU TRASFORMATA IN UNA DELLE PIÙ IMPORTANTI COLONIE LATINE.
    IL FATTO CHE ALBA GIOCASSE UN RUOLO DI PRIMARIA IMPORTANZA NELLE STRATEGIE MILITARI DELL'ITALIA CENTRALE È CONFERMATO DALLA PRESENZA DI 6000 COLONI CHE ROMA INVIA, COME ATTESTA TITO LIVIO (IX, 43,25) "SORAM ATQUE ALBAM COLONIAE DEDUCTAE. ALBAM IN AEQUOS SEX MILIA COLONORUM SCRIPTA". LA PRESENZA DEI COLONI E LA STIMA DI ROMA NEI CONFRONTI DELL'IMPONENENTE CITTÀ CREERÀ TRA ESSE UN LEGAME FORTISSIMO, CHE PORTERÀ ALBA FUCENS AD UN RAPPORTO DI FEDELTÀ ASSOLUTA VERSO ROMA. GIÀ, INFATTI, NEI PRIMI ANNI DEL III SEC. A.C. UNA SPAVENTOSA COALIZIONE(ETRUSCHI, UMBRI, SANNITI E GALLI) INSIDIAVA ROMA. GLI ALBENSI E LE POPOLAZIONI LIMITROFE SI ALLEARONO ALLA CAUSA ROMANA FAVORENDO COSÌ L'ARRIVO DELLA VITTORIA DI SENTINUM (295 A.C.). DURANTE LE GUERRE PUNICHE, ANNIBALE SI INOLTRÒ CON I SUOI ESERCITI NEL CUORE DELL'ITALIA CENTRALE E GUIDÒ UNA MARCIA VERSO ROMA MENTRE LE ARMATE CONSOLARI ERANO LONTANE. LA CITTÀ IN PERICOLO NON POTÈ FARE ALTRO CHE CHIEDERE AIUTO ALLE COLONIE VICINE. FU PROPRIO IN QUESTO EPISODIO CHE ANCORA UNA VOLTA SI MANIFESTA LA FEDELTÀ DI ALBA, CHE INVIA 2000 UOMINI A CONTRASTARE L'AVANZATA DI ANNIBALE CHE SI RITIRA VERSO SUD (211 A.C.). ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA PUNICA SIFACE RE DEI NUMIDI, FU CATTURATO E PORTATO IN PRIGIONE AD ALBA (203 A.C.). STESSA SORTE TOCCÒ A PERSEO DI MACEDONIA (168 A.C.) E A BITUITO RE DEGLI AVERNI(168 A.C.). QUESTI EPISODI CONFERMANO CHE LA COLONIA IN QUEL TEMPO VENISSE UTILIZZATA COME SEDE DI PRIGIONIA DEI RE DETRONIZZATI.
    NEL CORSO DELLE GUERRE SOCIALI ALBA RIMANE ANCORA FEDELE A ROMA RESISTENDO AI NUMEROSI ATTACCHI DEI SOCII RIBELLI. AL TERMINE DELLA GUERRA IN APPLICAZIONE DELLA LEX IULIA MUNICIPALIS DE CIVITATE DANDA, LA CITTÀ COME IL RESTO D'ITALIA OTTENNE L'ORDINAMENTO MUNICIPALE E LA CITTADINANZA ROMANA. NEGLI SCONTRI TRA MARIO E SILLA (88/82 A.C.) ALBA SI SCHIERÒ CON MARIO MENTRE NELLA GUERRA CIVILE TRA POMPEO E CESARE(49/45 A.C.) LE TRUPPE DI POMPEO STANZIATE NELLA COLONIA PASSARONO SPONTANEAMENTE DALLA PARTE DI CESARE.
    DURANTE L'ETA' IMPERIALE ALBA VIVE UN PERIDO DI GRANDE PROSPERITÀ ECONOMICA. IN QUEST' EPOCA VENGONO RIMODERNATI E ABBELLITI MONUMENTI PUBBLICI E PRIVATI MENTRE SORGONO NUOVE STRUTTURE. TUTTO QUESTO BENESSERE ERA DOVUTO ANCHE ALL'INCREMENTO ECONOMICO CHE AVEVA APPORTATO LA BONIFICA DEL LAGO FUCINO. LA CRISI E LA DECADENZA DELLA COLONIA INIZIANO NEL III SEC. D.C. E SI ACCENTUANO NEL IV SEC. IN SEGUITO AD ALCUNI EVENTI SISMICI E LE FREQUENTI INVASIONI BARBARICHE CHE COMPORTARONO, L'ABBANDONO PROGRESSIVO DELLA CITTÀ. IN SEGUITO AL FENOMENO DELL'INCASTELLAMENTO FEUDALE, NEL IX SEC. TROVIAMO L'ABITATO CONCENTRATO SULL'ACROPOLI DOVE INTORNO AL CASTELLO SI FORMERÀ IL VILLAGGIO MEDIOEVALE.
    DOPO LA CATASTROFE DEL 1915 FURONO ERETTE NELLA ZONA AIA DI S. MARIA (SOTTO LE PENDICI DEL COLLE S.PIETRO), DELLE BARACCHE DI LEGNO PER I TERREMOTATI. DOPO POCHI ANNI IL GENIO CIVILE COSTRUÌ, CON I CONTRIBUTI STATALI, DELLE DIMORE STABILI ANITSISMICHE ALL'INTERNO DELLA CINTA MURARIA ROMANA, FORMANDO UNA SORTA DI FERRO DI CAVALLO INTORNO AL "PIANO DI CIVITA". ESSENDO RIMASTO L'ABITATO SPROVVISTO DI EDIFICI PUBBLICI, VENNERO FATTI DEI PROGETTI PER LA NUOVA CHIESA PARROCCHIALE. IL PRIMO RISALENTE AL 1921, DALL' ING. BULTRINI, IL QUALE PREVEDEVA UN EDIFICIO PROVVISTO DI TRE NAVATE ANZICHÈ UNA, E SENZA IL RIUTILIZZO DEGLI ELEMENTI RECUPERATI DALLE MACERIE DEL TERREMOTO, TRA CUI IL ROSONE E VENNE QUINDI BOCCIATO. IN SEGUITO, 1935, VENNE PRESENTATO UN NUOVO PROGETTO, FIRMATO DAL GEOMETRA COLABIANCHI ED DALL'ING AMOROSI, CHE SEGUENDO LE INDICAZIONE DELLA SOPRINTENDENZA E LE NUOVE NORME COSTRUTTIVE ANTISISMICHE, REALIZZARONO LA CHIESA IN UNA NAVATA UNICA, PROSPETTO FRONTALE SIMILE A QUELLA DISTRUTTA(ROMANICO AQUILANO), CON INSERITO IL ROSONE ED IL PORTALE ORIGINARIO DELLA VECCHIA CHIESA DI S. NICOLA. DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE ALBA SI RIVELÒ, COME DEL RESTO IN TUTTA LA SUA STORIA, UN PUNTO STRATEGICO. NEL 1943 IL MARESCIALLO KESSERLING PONE IL COMANDO A MASSA D'ALBE (L'ATTUALE COMUNE DI ALBA), PER DIRIGERE LA RESISTENZA DI CASSINO E LA BATTAGLIA DI ANZIO. LA SEDE DEL COMANDO ERA POSTA PROPRIO DI RIMPETTO LA COLLINA DI ALBA FUCENS ,DOVE SULLA TERRAZZA NORD (NON A CASO, VISTE LE SUE FUNZIONI MILITARI IN EPOCHE PASSATE) FU APPOSTATA LA CONTRAEREA . FINITA LA GUERRA, CON LA VITTORIA DEGLI ALLEATI, VENNE ABROGATA LA LEGGE , CONFERITA DA MUSSOLINI, CHE IMPEDIVA L'EMIGRAZIONE ED IL PAESE COMINCIÒ A SPOPOLARSI. NEL 1949, UNA MISSIONE ARCHEOLOGICA BELGA COMINCIÒ UNA CAMPAGNA DI SCAVO PORTATA AVANTI PER CIRCA VENT'ANNI. FURONO RIPORTATE ALLA LUCE, IL PIANO DI CIVITA, DOVE ERANO CONCENTRATI GLI EDIFICI PUBBLICI DELLA CITTÀ ROMANA E L'ANFITEATRO. QUESTA CHE DOVEVA ESSERE UNA RICCHEZZA PER LA GENTE DEL POSTO, SI RIVELÒ UNA DELUSIONE. FINIRONO I FONDI PER PORTARE AVANTI GLI SCAVI, E I VINCOLI ARCHEOLOGICI E MONTANI IMPEDIRONO DI COSTRUIRE. DI CONSEGUENZA LE NUEVE FAMIGLIE CHE SI FORMAVANO, PREFERIRONO ANDARE AD ABITARE NEI PAESI VICINI O A COSTRUIRE NELLA ZONA PIÙ BASSA CHIAMATA ARCI. IL 1957 VIDE IL RESTAURO DELLA CHIESA ROMANICA DI S. PIETRO. I LAVORI ESEGUITI DALLA SOPRINTENDENZA FURONO DIRETTI DALL'ING. DE LOGU. OGGI ALBE, RIEMERGENDO DALLE NEBBIE DEL PASSATO, GRAZIOSA ED INVITANTE ACCOGLIE CIRCA 40.000 VISITATORI L'ANNO, LASCIANDO AD OGNUNO UN'EMOZIONEINDIMENTICABILE.



    VASTO

    Storia

    È l’antica Histonium, secondo la leggenda fondata da Diomede, di cui si hanno tracce sin dal IX secolo a. c., mentre è certo che dal V secolo a.c. i Frentani vi si installarono stabilmente, potenziando l’approdo di Punta Penna. Fu poi conquistata dai Romani, ed elevata al rango di municipium.
    Ebbe per vari secoli una notevole importanza e sviluppo urbanistico, di cui si trovano le vestigia nella sezione archeologica del Museo civico, arricchita con i reperti raccolti e studiati da un Gabinetto archeologico, istituito fin dal secolo scorso.
    Alleata di Mario durante la guerra civile repubblicana, subì la vendetta di Silla, che ne rase al suolo le fortificazioni, ma alla morte di questo tornò rapidamente in auge, riacquistando la cittadinanza romana. Il periodo di sviluppo, alimentato dalla posizione strategica del suo porto nella rete commerciale dell’Adriatico, si trasformò in lenta decadenza nel tardo impero, e nei “secoli bui” fu continuamente esposta alle dominazioni e ai saccheggi, dapprima del Longobardi, poi dei Franchi di Pipino il Breve, guidati dal guastaldo, “Guasto” (wast, secondo la pronuncia teutonica) Aymone di Dordona, che la fece radere al suolo, e poi, avendone ottenuto il dominio vassallatico (guastaldato) la ricostruì e vi regnò a lungo, così che la città ne acquisì anche il nome.
    Fino alla fine del XIV secolo la città fu continuamente sottoposta a invasioni e saccheggi di pirati saraceni (terribile l’incursione di Pialy Pascia nel 1566) e di Ungari, ma anche di crociati e veneziani, fino a quando, intorno alla metà del quattrocento, Vasto fu dei Caldora e poi nel 1497, fu ripresa dai marchesi d’Avalos, che con alterne vicende dominarono su tutta la costa abruzzese e valorizzarono la città con palazzi e conventi.
    Nel secolo XIX vi nacque Filippo Palizzi, le cui stupende tele fanno del Museo Civico di Vasto uno dei più importanti della regione.


    Natura, arte, cultura

    Incastonata nello scenario naturale della costa, spesso a picco sul mare, la città lascia intuire i segni della sua storia, specie quando muovendosi nel centro storico, che a tratti si affaccia sul mare e offre ripide vedute di scogliere e di onde, si cercano i resti dei torrioni e del castello quattrocentesco, per giungere al bellissimo palazzo marchesale (mostre lapidee di porte e finestre, e una deliziosa bifora gotica, un vero merletto di pietra lavorata).
    Il palazzo fu prima dei Caldora e poi dei d’Avalos; vi ha sede il Museo civico (all’interno un camerino con decorazioni a stucco e affreschi cinquecenteschi, bellissime cornici di marmo delle porte, maioliche ottocentesche nei saloni). Di assoluto interesse, nelle Terme romane, il “Nettuno con tridente".
    L’urbanistica e la storia religiosa sono degnamente rappresentate dalla cattedrale di S. Giuseppe (portale del duecento, bella statua ottocentesca del Santo, trittico di Michele Greco da Lavelona del XVI secolo), e dalle chiese di S. Pietro (ricco portale ogivale), S. Maria Maggiore (poderoso campanile trecentesco, dipinti della scuola di Caravaggio e di quella di Paolo Veronese; alle spalle, la casa natale del patriota-poeta Gabriele Rossetti), di S. Antonio (decorazione barocca a stucco) di S. Francesco di Paola (dipinti di N.M. Rossi e di F. Andreola), di S. Maria del Carmine (opera del napoletano M. Gioffredo); notevoli le tele di F. Fischetti, sugli altari e, fuori dell’abitato, S. Onofrio (arredi lignei barocchi e un bellissimo dipinto seicentesco di scuola veneta).
    A poca distanza da Vasto la costa abruzzese si esibisce in una delle sue più belle scenografie, una spiaggia incantata di pietre levigate e acque trasparenti, appoggiata alla roccia del promontorio di Punta d'Erce, compreso nella omonima riserva naturale, di grande interesse botanico e geologico, che offre tra l’altro uno stupendo terreno per il birdwatching.
    Inserita nella strada del vino “Tratturo del Re”, di cui costituisce la tappa conclusiva, Vasto offre un eccellente saggio di tradizione culinaria, in cui confluiscono le cento culture della sua storia e il profumo del mare (mitico, è il brodetto alla vastese, in cui, a differenza dell’antagonista omonimo piatto pescarese, tutti gli ingredienti vengono cotti per lo stesso tempo in un tegame di coccio).
    Fra le tradizioni artigiane va ricordata quella del ferro battuto e dei metalli sbalzati.


    IL CASTELLO
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    IL CORSO DE PARMA
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    BELLA DI GIORNO
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    PALAZZO D'AVALOS
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    MONUMENTO ALLA BAGNANTE
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    Spedino il mio paese


    Spedino visto dalla parte vecchia


    Io abruzzese anomalo, già perché sono nato a Tagliacozzo in provincia dell’Aquila ove ho vissuto per pochissimi anni poi trasferitomi insieme ai genitori, a Spedino di Borgorose in provincia di Rieti ove mio padre aveva delle proprietà terriere e nel quale ha vissuto come contadino. Per fugare ogni dubbio preciso che mi sono considerato sempre abruzzese perchè le tradizioni, il dialetto, la cucina e quant’altro, sono di origini abruzzesi in considerazione del fatto che sino all’avvento del fascismo, Spedino era parte integrante della provincia dell’Aquila conservando così tutte le pecurialità abruzzesi
    Nel terremoto del 1915 nel quale distrusse tutta la Marsica, veniva coinvolto anche Spedino che all’epoca si adagiava sulla sommità di un cucuzzolo alto oltre i 1000 metri e che nella circostanza veniva quasi raso al suolo costringendo la popolazione a vivere un po’ più a valle in abitazioni fatiscenti fino alla costruzione, nel dopoguerra, di case popolari da parte dello Stato.
    Di interesse storico, oltre alle mura di cinta del vecchio paese ove tuttora sono visibili i ruderi delle due porte d’accesso, vi è il castello di Spedino collocato a sud del paese denominato Latuschio la cui edificazione risale all’XI secolo da parte del conte Ruggero del contado di Albe. Dalla sua morte sino all’abolizione del feudalesimo decretata il 2 agosto 1806, il castello ebbe diversi detentori, Successivamente al terremoto di Avezzano, la fortezza andò completamente distrutta.
    Di interesse storico vi è anche la chiesa intitolata a San Liberatore di origine monastica.

    Questo per quanto concerne alcuni cenni storici di Spedino; invece per quanto riguarda la mia adolescenza posso dire senza ombra di dubbio che è stata me-ra-vi-glio-sa nella più assoluta spensieratezza in paese di circa 160 abitanti dove si viveva degli scarsi prodotti della terra e della pastorizia, tutto questo con una l vera solidarietà dei suoi abitanti.
    Il mio ricordo più lontano risale ai primi anni 50 ove giocando davanti casa nell’aia, il nostro cane di grossa taglia a nome Flok (credo essere di pura razza da caccia a pelo marrone raso) che non aveva nessuna intenzione di seguire mio padre nei campi insieme agli altri cani. Ebbene credo che lui mi abbia fatto da balia e da compagno di giochi. Infatti, se giocavo in un burrone o c’era qualche pericolo imminente, lui delicatamente mi prendeva per le bretelle e mi allontanava da lì con mio grande dispiacere prendendosi anche qualche calcio per non avermi lasciato fare quello che volevo, oppure lo usavo come cavallo da corsa mettendomi sulla sua schiena e lui pazientemente allargava le zampe per non perdere l’equilibrio e tutto questo credo per un suo istinto naturale perché mai è stato rimproverato dai miei genitori
    Quanti giochi con gli amici e con mio fratello più piccolo di due anni! Praticamente si viveva fori di casa dalla mattina alla senza nessun pericolo e si rientrava solo per consumare i pasti o per andare a dormire
    Una fanciullezza la mia vissuta nella più assoluta libertà e in costante contatto con la natura che ho imparato ad amarla e a rispettarla. Le stagioni scandite dai vari raccolti e le varie feste paesane. I canti bellissimi dei pastori di ritorno dai pascoli all’imbrunire, quello dei mietitori che venivano dai paesi limitrofi, i giovanotti e giovinette che scartocciavano a mano le pannocchie e chi trovava una pannocchia rossa doveva dare un bacio alla persona dell’altro sesso e di conseguenza sua probabile morosa/o. Il mio lavorare con le mani con un semplice coltellino e costruire in miniatura i vari attrezzi dei campi oppure fare con un ramo verde dell’olmo un piffero a dire il vero molto stonato. La mia contemplazione del celo stellato in una sera d’estate e individuare le stelle dei due carri e ringraziare il Signore di tante meraviglie. L’inseguire e prendere le lucciole per sapere come fanno ad emettere tanta luce per poi lasciarle a loro destino. Potrei proseguire perché tanti sono i ricordi piacevoli ma termino dicendo che tutto questo l’ho ricevuto in un vissuto sociale dove c’è stato tanto calore umano e amore e che tuttora conservo gelosamente nel cuore


    questa è il Monte Velino posto dinanzi a Spedino e che mi ha accompagnato ogni giorno per 18 anni


    Monte Velino al tramonto


    Grifone sul Monte Velino



    Sulmona

    Sulmona è un comune italiano di 25.212 abitanti[ della provincia dell'Aquila in Abruzzo. È tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stata insignita della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.




    Dagli Amores di Ovidio, libro III
    Madre degli amor teneri, cerca un nuovo poeta,
    sfioran queste elegie ormai l'ultima meta,
    l'elegie che composi, io dei Peligni nato
    (nè mi sconvenne, penso, il verso innamorato),
    io per antico rango, se ciò può mai valere,
    non per recente turbine di guerre cavaliere.
    Ebbe in Virgilio Mantova, ebbe in Catullo il Cigno
    Verona; io sarò detto gloria del popolo peligno,
    che il libertario orgoglio spinse ad armi onorate,
    quandò paventò Roma le schiere federate.
    E l'ospite, guardando le mura dell'acquosa Sulmona,
    che i campi chiudono ben poca cosa,
    dirà un giorno: vi chiamo grandi pur se modeste,
    voi che un tale cantore dare al mondo poteste.





    Vasto






    MONTEODORISIO






    l centro abitato è adagiato in posizione panoramica, sovrastato dal castello quattrocentesco ed ha un'espressione urbanistica di notevole interesse e nel panorama storico-artistico dei centri minori abruzzesi occupa un posto ragguardevole. Alle memorie medioevali se ne aggiungono altre risalenti al mondo romano e alle genti frentane. Il suo nome di origine incerta ricorre spesso nei documenti storici per le imprese guerresche delle famiglie che se ne contendevano il possesso. La prima menzione del paese risale al X sec. quando entrò in possesso del feudo Odorisio, conte dei Marsi, da cui deriva il nome del paese, che in seguito fu proprietà di signori legati ai Normanni, quindi degli Svevi e degli Angioini. E' del XIII sec. la venuta dei francescani a Monteodorisio dove fondarono un convento con chiesa dedicata al poverello d'Assisi. Pur trovando nell'età frentano-romana le premesse umane della sua esistenza, Monteodorisio ha sviluppato il suo centro urbano su un'area prossima a quella antica di Histonium in zona collinare ovvero sul monte. Testimonianze di insediamenti frentano-romane sono state rinvenute nei pressi del paese; notevoli sono i resti di mura in opus reticulatum nella zona meridionale del bosco di San Bernardino e ruderi di una villa presso l'abitato in contrada S. Anna.

    GISSI







    Gissi è un comune in provincia di Chieti in Abruzzo.

    Sorge su un colle panoramico a 499 metri sul livello del mare tra i torrenti Ferrato e Morgitella, affluenti di destra del fiume Sinello. Il suo territorio si estende su un'area di media e alta collina. Il borgo, compatto e ingentilito da pregevoli edifici quali il Palazzo Carunchio, si staglia su una dorsale nei pressi del fiume Sinello, tra colline ricoperte di frutteti, vigne e piccoli boschi. Il ritrovamento di reperti appartenenti al periodo preistorico, romano e medioevale, testimoniano che il territorio del comune fu abitato con continuità. Grazie alla posizione dominante del castello (adesso crollato), nel XII secolo il borgo aveva un ruolo rilevante nelle comunicazioni nel territorio: viene infatti ricordato come Gissum nel Catologo dei Baroni. La scarsa documentazione superstite non consente di ricostruire le vicende storiche del paese nei secoli seguenti. Nel XV secolo fu dominato dai Caldora, e dal XVIII secolo fu feudo dei d'Avalos. Molto interessante da vedere e la Chiesa di Santa Maria Assunta. All'interno è presente un grande ed artistico organo, vero gioiello d'arte barocca, che troneggia dal 1961 sopra l'ingresso del tempio e ne costituisce un degno ornamento. A fianco della gradinata laterale sorge il campanile alto più di 30 metri. Altro edificio di culto religioso è la Chiesa di San Bernardino, ricostruita in stile moderno nel 1960 davanti alla precedente chiesa (costruita nel 1850 e abbattuta a causa delle condizione precarie).

    Il comune fa parte della Comunità Montana Medio Vastese istituita con la Legge regionale 18 maggio 1976, n. 22 della Regione Abruzzo, che ne ha approvato lo statuto. Essa comprende 16 comuni della Provincia di Chieti ed ha sede nel comune di Gissi. Vi appartengono i comuni di Carpineto Sinello, Casalanguida, Cupello, Dogliola, Fresagrandinaria, Furci, Gissi, Guilmi, Lentella, Liscia, Monteodorisio, Palmoli, Roccaspinalveti, San Buono, Scerni, Tufillo
    .






    l fiume TAVO nasce alle falde orientali del Gran Sasso, presso il
    monte Guardiola (1828 m), in località Pietrattina, a 1560 m.
    Attraversa quindi il canyon del Vallone d'Angora, dove riceve altre
    sorgenti denominate "Pisciarelli".

    LA SORGENTE "PISCIARELLI" DEL FIUME TAVO

    Durante le glaciazioni, tutte le acque superficiali provenienti dalla fusione
    dei ghiacciai di Campo Imperatore, si incanalavano nel fosso di Cretarola e
    nel Vallone D'Angora, e proprio a questa immensa quantità d'acqua si deve
    la formazione di queste gole dalle altissime pareti rocciose.
    Attualmente il trasporto superficiale è pressochè nullo nelle gole, e
    avviene principalmente per via sotterranea (carsismo).

    Dopo aver attraversato il vallone, scorre in una valle più ampia, la Valle D'Angri,
    e in località Mortaio D'Angri si incanala in una stretta forra, chiamata Bocca dell'Inferno, dove il Tavo penetra turbinosamente per poi sfociare in un'altra valle ove forma una spettacolare cascata alta 28 metri: la Cascata del Vitello d'Oro, sorgente tra le più importanti del versante sud del gruppo del Gran Sasso. Da notare il contrasto tra versanti rocciosi con scarsa vegetazione o addirittura spogli e la conca che appare verdeggiante di alberi cresciutivi spontaneamente. Il tratto che attraversa il territorio del Parco Nazionale è ricco di una fiorente vegetazione ripariale, habitat ideale per una diversità di specie animali. Il fiume è popolato in questo tratto dalla Trota Fario. Tra gli uccelli presenti: il merlo acquaiolo, la ballerina bianca, la ballerina gialla, la biscia dal collare, il picchio rosso maggiore.


    Isole Tremiti


    Panorama


    Abbazia San Nicola



    Anfratto sotto la grotta



    San Domito







    ROCCASCALEGNA




    Il primo documento che testimonia l’esistenza di Roccascalegna è del lontano XII secolo (1160) ed è riportato nel Catalogo dei Baroni. L’insediamento, però, doveva certamente preesistere, dal toponimo e dalla residua documentazione possiamo arguire che le sue origini risalgono almeno al periodo longobardo.

    Difatti, il nome Roccascalegna o, più esattamente “Rocca Scarengia”, secondo alcuni studiosi, è ascrivibile toponomasticamente ad un nome longobardo di persona, “Aschari”, da cui “Rocca di Aschari”; secondo altri, ad un suffisso –enni-a, dal prelatino “scarenna”, documentato nell’Italia settentrionale (Scarenna nel comasco, Scarenno nel novarese e la Scarena vicino a Nizza) col significato pregnante di “fianco scosceso di una montagna”. La posizione del piccolo centro sul fianco del Monte San Pancrazio confermerebbe anche questa seconda tesi.

    Tuttavia, nel territorio non mancano tracce significative di una presenza umana ed insediamentale più antica, come documentano i recenti scavi in località Collelongo (rinvenimenti del periodo Eneolitico) o a Capriglia e Colle Cicerone (ritrovamenti del periodo romano), che farebbero supporre una frequentazione del sito in epoche diverse.

    Né possiamo escludere una significativa presenza monastica nel territorio, che, alternatasi a quella feudale, ha caratterizzato la lunga storia dell’insediamento sia per gli elementi documentari che per quelli monumentali. E’ il caso dell’Abbazia di San Pancrazio, dedicata al giovane martire morto sotto Diocleziano all’età di 15 anni, già documentata nell’anno 829 come dipendenza di Santo Stefano in Lucana presso Tornareccio e poi confluita nei possessi del Vescovo di Chieti già prima della Bolla del Papa Alessandro III del 1173 ed, attualmente, preziosa testimonianza di un passato più glorioso ormai decaduto.












    Le colline abruzzesi e la zona pedemontana sono aree ricche di riserve naturali e di aree protette, quali la Riserva Naturale Castel Cerreto, i Calanchi di Atri - maestose architetture naturali anche conosciute come “bolge” o “scrimoni” originate dall’erosione del terreno argilloso a causa delle deforestazioni e favorita dai continui disseccamenti e dilavamenti, che rendono visibili numerosi fossili marini - e i Parchi Territoriali Attrezzati di Fiume, Fiumetto e del Vomano.






    Verde, verdissima è l’Abruzzo nei suoi colori, quasi tutta poggiata su colline, di tutte le forge, di tutti i sapori, aspre, dolci spesso disegnate da curve morbide composte da prati e da valli. Lavorate, addomesticate dall’uomo che le ha trasformate in estesi uliveti e vigneti di altissima qualità, hanno perso la fisionomia di chiazze di colore disordinate per dare vita a disegni regolari di nette alternanze, ma dove ciò non sia avvenuto, allora è un fiorire di boschi di querce, di pioppi, salici e aceri. E’ per visitare questo panorama così vario che si stanno affermando nuovi sistemi di locomozione che permettono di godere appieno delle bellezze del paesaggio pur essendo rispettosi dell’ambiente come il cicloturismo ed il trekking equestre. Elementi atipici ma strettamente connessi al territorio sono i calanchi, creati dall’erosione del terreno argilloso, che nel comune di Atri sono diventati una riserva naturale.


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    Biodiversità e natura
    Il Parco Nazionale della Majella si caratterizza per l’elevata montuosità del suo territorio, infatti ben il 55% si trova a quote superiori ai 2000 metri. Al suo interno racchiude vaste aree (widelands), che presentano aspetti peculiari di natura selvaggia (wildland), la parte più pregevole e rara del patrimonio nazionale di biodiversità.

    Allo stato attuale delle conoscenze, il Parco ospita oltre il 78% delle specie di mammiferi (eccetto i Cetacei) presenti in Abruzzo, e oltre il 45% di quelle italiane. Considerando le lacune di dati su alcuni gruppi numerosi come gli insettivori e i chirotteri, si può già affermare che anche relativamente a questa componente faunistica, esso costituisce un vero e proprio "hot spot" per la conservazione della biodiversità.

    Le 2114 entità vegetali conosciute per il territorio del Parco sono distribuite in più di 50 differenti habitat, dislocati nei vari piani altitudinali. La peculiarità dell’habitat è data soprattutto dal numero di endemismi, che nel Parco ammontano a ben 142 specie vegetali, concentrati in gran parte negli orizzonti culminali. A livello floristico, il Parco rappresenta il settore più meridionale d'Europa della Regione Alpina ed un vero e proprio crocevia di flussi genetici, con categorie di grande prestigio ecologico e fitogeografico: infatti con oltre 2.000 entità floristiche il Parco ospita il 65% della flora abruzzese, il 37% di quella italiana ed il 22% di quella europea. Gli ambienti di alta quota ospitano anche specie di notevole pregio faunistico, tra cui il Camoscio appenninico e la Vipera dell’Orsini, specie prioritarie ai sensi della Direttiva HABITAT/92/43/CEE.

    Al di sotto degli ambienti culminali è presente la fascia degli arbusti contorti costituita dal Pino mugo che sulla Majella costituisce la formazione vegetale più estesa dell’Appennino. Tra i 1800 m circa e gli 800 m. sono presenti i boschi rappresentati dalla faggeta e intercalati dai prati e pascoli. Questi sono gli ambienti elettivi degli ungulati selvatici e di predatori come l’orso e il lupo, anch’esse specie prioritarie ai sensi della direttiva appena citata.

    Oltre che ambienti naturali, il territorio del Parco presenta anche una discreta superficie occupata da aree agricole abbandonate ormai da lungo tempo e in fase di lenta evoluzione naturale verso ecosistemi più complessi (arbusteti, pascoli arborati, boschi di neo formazione, ecc.).

    Altri esempi di segni lasciati dall’Uomo sono i rimboschimenti con pinete o gli stessi pascoli e prati falciabili. In quest’ultimo caso le attività umane condotte da secoli hanno ampliato la diffusione di certe specie e hanno contribuito significativamente a mantenere la biodiversità. Infatti, mantenere alcune pratiche agricole, come l’allevamento estensivo o un’agricoltura condotta in maniera tradizionale, può essere uno strumento fondamentale per conservare ambienti, che sono frutto di interazione tra Uomo e Natura; di contro la riforestazione dei pascoli, seppur naturale, porterebbe ad una drastica diminuzione di certe specie sia vegetali che animali.


    La fauna del Parco
    La millenaria, invadente e distruttiva azione dell'uomo, aveva portato alla completa distruzione dei grandi erbivori selvatici dall'area della Majella ed alla estrema rarefazione, in aree sempre più marginali, della fauna più pregiata del Parco. L'ultimo esemplare di Camoscio nel massiccio fu abbattuto nell'ottocento, analogamente a capriolo e cervo. L'Orso, ridotto a pochi esemplari, è riuscito a sopravvivere in condizioni precarie nelle foreste più impenetrabili, così come la Lontra. Solo il lupo, soprattutto per l'abbondanza di greggi e la maggiore capacità di adattamento è sfuggito all'annientamento.

    Grazie all'affermarsi, anche tra le popolazioni dell'area, della cultura della conservazione, ai notevoli sforzi compiuti da Corpo Forestale dello Stato, dal Parco Nazionale d'Abruzzo, dal WWF Italia, dal Club Alpino Italiano e da diversi Comuni - Lama dei Peligni, Palombaro, Fara San Martino, Sant'Eufemia a Majella - ed alla azione di tutela del Parco, la situazione è mutata radicalmente.

    Cervo e Capriolo, oggi popolano quasi tutte le aree boscate e le radure del Parco, con circa 150 e 100 individui.
    Il Camoscio d'Abruzzo, è tornato signore incontrastato delle vette e praterie d'alta quota dove è presente con circa 130 unità e si riproduce regolarmente.
    L'Orso bruno Marsicano, con circa 15/20 esemplari, è segnalato in ogni angolo del Parco.

    Il Lupo Appenninico, presente con circa 30 esemplari, per effetto dell'abbondanza di prede naturali, ha dimenticato le discariche ed è tornato alle antiche abitudini predatorie.
    La Lontra, l'animale più esclusivo del Parco, è segnalato nelle acque dell'Orfento e dell'Orta, e, sporadicamente, anche nel Vella e nell'Aventino.

    Gli ambienti forestali del Parco, oggi sottoposti ad un'oculata politica di uso razionale delle risorse boschive, ospitano Gatto selvatico, Martora, Faina, Donnola, Puzzola, Picchiodorsobianco, Falco pecchiaiolo, Astore e tante altre specie, tra cui anfibi particolarmente rari come l'Ululone dal ventre giallo, la Salamandra appenninica e la più rara Salamandrina dagli occhiali.

    Gli aspri e grandi valloni calcarei, tipici della Majella, costituiscono rifugio ideale per Aquila reale, Gracchio corallino, Gracchio alpino, Picchio muraiolo, Falco pellegrino ed il raro Lanario.
    In alto, a contatto con la maestosità dell'infinito, negli ambienti delle mughete e praterie d'alta quota vivono, tra i tanti, la rara Vipera dell'Orsini, il Fringuello alpino, il Sordone, l'Arvicola delle nevi.
    Esclusivo della Majella il Piviere tortolino: per il simpatico uccello, il Parco rappresenta in tutta l'Europa mediterranea, Alpi comprese, l'ultimo rifugio.

    Come un quadro variopinto, la Majella è abbellita dai colori delle farfalle, presenti in quasi tutte le specie diurne italiane - 116 su 131- e notturne -700-
    Molti gli insetti presenti esclusivamente nel Parco come il coleottero Polydrusus lucianae legato alle faggete o l'ortottero Italopodisma lucianae presente nelle praterie d'alta quota.




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    ALBA IN ABRUZZO....

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    ABRUZZO..TERAMO.....image

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    farfalle


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    camosci


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    lontra


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    cinghiali nella neve


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    coturnice



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    lupo appenninico



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    croco-zafferano selvatico



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    hepatica


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    sorbo


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    centaurea con farfalla

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    genziana appenninica

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    stella alpina biotipo appenninico



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    la croce sul monte amaro



    sempre nel parco della maiella.........
     
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    Gole del Sagittario



    lupo abruzzese (una dolce espressione del viso)



    un piacevole incontro



    aiutoooo soffro di vertigini

    e... per finire



    là dove vivono le fate


    Villetta Barrea con il lago



    Lago di Barrea



    Sentiero tranquillo


    là dove vivono le fate

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    Pizzoferrato è un comune italiano di 1.163 abitanti della provincia di Chieti in Abruzzo. Fa anche parte della Comunità montana Medio Sangro.

    Medaglie al valor militare

    Pizzoferrato è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la su

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    Comune di Pizzoferrato
    Chieti



    Il Comune di Pizzoferrato è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività partigiana con la seguente motivazione:

    «Comune di montagna, preso fra le linee di combattimento e rimasto in zona controllata dalle pattuglie tedesce, valorosamente contribuiva con l'azione dei suoi partigiani a cacciare, con duro combattimento, il presidio germanico. Ritiratesi le pattuglie italiane ed alleate, la popolazione provvedeva da sola alla difesa del paese e dal 7 marzo al 20 aprile 1944 con sorveglianza ininterrotta e fiero ardimento respingeva ben sedici tentativi di penetrazione da parte di pattuglie nemiche. Tutti i cittadini, uomini, donne fornivano belle e ripetute prove di coraggio e di determinazione dal giorno dell'armistizio sino alla definitiva ritirata dei tedeschi dalla zona ed il Comune di Pizzoferrato testimoniava con gravi perdite di vite, distruzione e saccheggi la sua fiera devozione alla Patria. Pizzoferrato, 8 settembre 1943 - 9 giugno 1944.»





    Fotografie e captions di partigiani di Pizzoferrato dall'Imperial War Museum di Londra.



    Dai belvedere di Pizzoferrato si può ammirare un panorama che arriva alla Dalmazia, tanto che da Gabriele D'Annunzio venne definita "la terrazza d'Abruzzo".







    La bellissima canzone abruzzese composta dall'ortonese Luigi Dommarco negli anni '20 del Novecento.
    Le illustrazioni sono tratte da quadri dei Celomni (padre e figlio), Cascella, Michetti e altri.
    Canta Terige Sirolli.





    Vulesse fa' 'rvenì pe' n'ora sola
    lu tiempe belle de la cuntentezze,
    quande pazzijavame a "vola vola"
    e te cuprè de vasce e de carezze.

    E vola vola vola vola
    e vola lu pavone.
    Si tiè lu core bbone
    mo fammece arpruvà.

    E vola vola vola vola
    e vola lu pavone.
    Si tiè lu core bbone
    mo fammece arpruvà.

    'Na vote pe' spegna' lu fazzulette,
    so' state cundannate de vasciarte.
    Tu te scì fatte rosce e me scì dette
    di 'nginucchiarme prima d'abbracciarte.

    E vola vola vola vola
    e vola lu gallinacce.
    Mo si me guarde 'n facce
    mi pare di sugna'.

    E vola vola vola vola
    e vola lu gallinacce.
    Mo si me guarde 'n facce
    mi pare di sugna'.

    Come li fiure nasce a primavere,
    l'amore nasce da la citilanze.
    Marì, si mi vuò bbene accome jere,
    nè mi luvà stu sogne e sta speranze.

    E vola vola vola vola
    e vola lu cardille.
    Nu vasce a pizzichille
    non mi le può negà.

    E vola vola vola vola
    e vola lu cardille.
    Nu vasce a pizzichille
    non mi le può negà.




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    fonte maggiore a Pizzoferrato

     
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    Città Sant’Angelo (Pe)



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    Una meravigliosa città d’arte

    Città Sant’Angelo, stupenda città d’arte, è situata su un panoramico colle a 322 m s.l.m. da cui si gode una vista magnifica sui monti della Maiella e del Gran Sasso e sulla costa pescarese. Il suo territorio, uno dei più vasti tra i comuni del pescarese, presenta una connotazione morfologica prettamente collinare che culmina in un lembo di terra bagnato dal Mare Adriatico, che divide appena, i limitrofi comuni di Silvi e di Montesilvano. Qui è ubicata la frazione Marina di Città Sant’Angelo, frequentata località balneare, ma soprattutto rinomata area commerciale. Le origini di Città Sant’Angelo sembrano risalire, sulla base di ritrovamenti archeologici avvenuti tra la foce del Piomba e quella del Saline, all’epoca dei Vestini e, taluni storici la identificano con l’antica Angulum, trasformata poi in Castrum Sancti Angeli.
    L’abitato vestino-romano, che sarebbe stato ubicato nel vicinissimo Colle di Sale, forse fu distrutto nell’Alto Medioevo, e i Longobardi avrebbero interamente ricostruito il paese nell’odierna ubicazione, lasciandovi come traccia della loro presenza il culto dell’Angelo.

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    palazzo baronale



    Con una pianta a spina di pesce, la struttura urbanistica del centro storico, che conserva ancora alcune delle antiche porte di accesso
    Porta Sant’Egidio,
    Porta Licinia

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    Porta Sant’Antonio,


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    Porta Casale



    è medievale, come appare dalla serie di stradine che si intersecano lungo il corso principale. Monumento simbolo della città è

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    la Cattedrale di San Michele Arcangelo



    divenuta Collegiata nel 1353.
    Sormontata da un campanile alto 48 metri, fu costruita prima del Mille, ricostruita nel ‘300 e ampliata nel corso del Rinascimento. Edificata su un precedente edificio del IX secolo, è costituita da due navate e completata da un pregevole porticato quattrocentesco, diviso in due atri coperti tra i quali si innesta l’ampia gradinata di accesso che conduce all’artistico portale, realizzato nel 1326 dallo scultore di Atri Raimondo di Poggio. L’interno è di stile barocco, con soffitto a cassettoni lignei del 1911 e affreschi trecenteschi attribuiti al Maestro di Offida.
    Da ammirare l’imponente statua in legno policromo di San Michele del XIV secolo, il coro ligneo intagliato, con leggio, eseguito dall’ebanista angolano Giuseppe Monti nel XVII secolo, il sarcofago quattrocentesco del vescovo Amico Bonamicizia, una Madonna delle Grazie in terracotta policroma del XIV secolo, opera del Maestro di Fossa e, all’esterno, le pietre d’ambone del IX secolo collocate alla base dei pilastri d’ingresso della scalinata.

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    Da visitare ancora nel centro storico la Chiesa di San Francesco del XIII secolo, inserita in un più vasto complesso architettonico, il cui convento oggi è sede comunale e racchiude il prezioso chiostro restaurato. Di valore sono il meraviglioso portale trecentesco, opera di Raimondo di Poggio, la torre campanaria, a pianta quadrata, del Quattrocento, il pavimento a mosaico del 1845, la tela raffigurante la Madonna del Rosario e San Domenico, opera di Paolo De Cecco. Il rifacimento barocco dell’interno è del 1741, ma l’impianto primitivo della chiesa è del XIII secolo. I cospicui resti di affreschi rinascimentali sono stati scoperti da poco dietro una muratura.

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    chiesa di S. Antonio. Facciata e campanile



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    la Chiesa di Sant’Antonio



    Varcato l'ingresso, si accede ad un nartece o piccolo atrio, e da qui alla chiesa: composta da un'unica navata con copertura a crociera e abside quadrata, è interamente decorata con stucchi di epoca barocca. Sopra l'ingresso si trova la cantoria, mentre a sinistra si aprono due profonde cappelle e, di fianco all'altare, il vano della sacrestia, anch'esso voltato a crociera. Nonostante la struttura così semplice, le pareti della chiesa sono animate da nicchie, edicole, altari e arredi sacri.


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    Chiesa di Santa Chiara,

    ,è a pianta trilobata, e merita una visita anche per la magnificenza degli stucchi e delle dorature, e per il pregevole pavimento a mosaico. Era la cappella privata delle Clarisse, cui apparteneva pure il vasto monastero oggi adibito a centro culturale.
    Notevoli anche le architetture civili da ammirare a Città Sant’Angelo, come il Palazzo Baronale, la dimora gentilizia più antica della città, i palazzi Crognale, Colella, Maury, Castagna e ancora, i palazzi Di Giampietro, con cortile medievale ad ordini sovrapposti, Basile, Colamico, Sozj, Ursini, con elegante facciata, e Coppa Zuccai. Nelle vicinanze di quest’ultimo c’è la Chiesa di San Bernardo, costruita su una struttura del XIV secolo di cui restano alcune arcate, visibili all’esterno, e la cripta affrescata. A fare da sfondo al Corso c’è invece la Chiesa di Sant’Agostino, con retrostante convento, a navata unica con quattro altari ornati di stucchi e bassorilievi, opera di Alessandro Terzani da Como, e una facciata di notevole effetto, spaziata da quattro lesene. A lato di questa si erge la Chiesa di San Salvatore, oggi Museo Civico.


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    In ordine alle manifestazioni organizzate si ricordano: il carnevale che ha radici antiche e ruota attorno alla figura di “Ndirucce”, la Festa patronale a settembre in onore a San Michele e la Madonna Addolorata, il “Presepe Vivente”, “Festa in Corso” dopo ferragosto, la “Sagra dell’Uva” con carri allegorici e, “Borghi Incantati” in agosto.

    Tutte ghiotte occasioni queste, per degustare anche l’ottima cucina locale , si possono assaggiare i famosi arrosticini, la pecora alla callara, la gustosissima pasta e fagioli con le cotiche e,il baccalà cucinato nelle maniere più svariate.
    Tipici di Città Sant’Angelo sono il timballo, i maccheroni “alla mugnaia” (lavorati a mano), l’agnello “cace e ove” (cotto al tegame e ripassato con una stracciatella di formaggio e uova) e i dolci natalizi chiamati “manucce” e “tatoni”.

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    www.comune.cittasantangelo.pe.it




    PENNE



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    La storia


    Penne è uno dei centri più importanti della provincia di Pescara, punto di riferimento dell’area vestina. Le origini della città per l’appunto risalgono al popolo vestino proveniente dalla Sabina che vi si stanziò a seguito di una migrazione sacra. Di questo ne è una testimonianza anche l’antico nome Pinna Vestinorum, dove Pinna stava per altura rocciosa.
    Il borgo che sorge su una collina tra la Val di Tavo e la Val di Fino, in epoca romana era una rinomata stazione termale. In seguito la città ebbe un periodo di grande splendore soprattutto nel Medioevo.

    Nel 1522 fu assegnata da Carlo V in dote a Margherita d’Austria, e successivamente passò sotto il dominio dei Farnese e dei Borboni. Dopo i celebri moti carbonari pennesi del 1837 venne privata del titolo di capitale di distretto (concesso a Città Sant’Angelo), titolo riacquistato nel 1848. Il suo passato è ancora oggi rintracciabile nei suoi palazzi, nei monumenti e nelle chiese che fanno di Penne una interessante città d’arte.

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    Resti della città antica



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    La città

    La città di Penne è definita città del mattone, per le sue costruzioni quasi interamente in cotto, impiegato anche per pavimentare le vie strette e ripide dell’antico abitato, che conserva ampi tratti della cinta muraria quattrocentesca.
    Uno degli accessi più suggestivi della città è quello attraverso la settecentesca Porta S. Francesco, in mezzo alla quale si apre una nicchia con la statua di S. Massimo Benedicente, patrono della città. La Cattedrale della città, sorta sul sito di un tempio pagano, risale a prima dell’anno 1000 e presenta al suo interno un’interessante cripta dell’IX secolo, che mostra il riutilizzo di materiale di epoca romana. Accanto alla Cattedrale si trova il Palazzo Vescovile che oltre ad ospitare le reliquie del patrono San Massimo, ora è anche sede del Museo Archeologico Civico Diocesano “G.B. Leopardi”.

    Madonna del Carmine
    Questo al suo interno custodisce oltre agli oggetti di arte sacra, una sezione archeologica con reperti rinvenuti nella zona, risalenti al periodo Paleolitico e Neolitico ed altri di epoca romana. Sempre in Piazza del Duomo si trova anche il Museo Civico Diocesano da dove si entra nella bellissima chiesa medievale di San Massimo. Nel cuore del borgo antico troviamo anche la Chiesa di S. Domenico e la Chiesa di S. Giovanni Evangelista che al suo interno custodisce un Crocifisso d’argento attribuito a Nicola da Guardiagrele e datato 1450.

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    Richiedono una visita anche la Chiesa di Sant’Agostino del XII secolo, in cui sono presenti affreschi con influssi del gotico internazionale e la Chiesa dell’Annunziata da dove parte la processione del venerdì santo del Cristo Morto che si snoda per le vie cittadine fin dal 1570.
    Fuori dalla città si trova la bella chiesa benedettina di S. Maria in Colleromano, costruita tra il duecento e il trecento e rimaneggiata nel tempo. Nel suo interno conserva una tela attribuita al Guercino.


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    Porta d'entrata della città




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    la piazza



    Eventi, tradizioni e cultura

    Il 15 Luglio si celebra la festa della Madonna del Carmine, mentre il 7 Maggio si festeggia San Massimo Patrono della città.
    Ad agosto vi è la tradizionale Giostra dei Sei Rioni, mentre in autunno si ripete puntualmente il noto Premio Penne, con sezioni di narrativa opera prima, poesia edita e inedita (in lingua italiana e in dialetto) e di narrativa per l’infanzia e l’adolescenza.

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    Lago di Penne



    Si consiglia, poi, di visitare il vicino Lago di Penne, bacino artificiale e rinomata oasi naturalistica con un ricco patrimonio di flora e fauna locale.


    Si trova tra il Gran Sasso e la Majella, a pochi chilometri dalla città di Penne. E' un lago artificiale costituito dallo sbarramento del fiume Tavo e, dal 1987, è una delle più importanti Riserve Naturali della Regione. L'area protetta è gestita in collaborazione tra il Comune di Penne, il WWF e la Cooperativa Cogecstre.

    Intorno al lago sono presenti il carpino, l'acero, il salice e il pioppo. Nel lago vivono l'anguilla, la trota, il luccio, la carpa. Si contano 160 specie di uccelli: aironi, cicogne, rapaci e anatre; nell'habitat anche il riccio, la talpa, la volpe e il tasso.

    Tra le attrezzature della Riserva: il Centro di Educazione Ambientale, l'Orto Botanico, il Centro Recupero Rapaci, il Centro Lontra e il Museo della Farfalla e il Museo Naturalistico Nicola de Leone. Il lago è il punto di partenza per escursioni in mountainbike o a piedi, per praticare il birdwatching e il biowatching. Per i bambini pareti artificiali attrezzate.



    II lago di Alanno

    L'Oasi del Lago di Alanno-Piano d'Otta, comprende i comuni di Alanno, Torre de' Passeri, Bolognano e Scafa. L'Oasi è stata istituita nel 2002 in seguito a un accordo tra il WWF e la Provincia di Pescara.

    L'area protetta è occupata dal canneto più vasto d'Abruzzo. Offre riparo a numerose specie di uccelli: alzavole, germani reali, moriglioni, gallinelle d'acqua, tuffetti e folaghe. Altre presenze rare, come la nitticora, il tarabusino, l'airone rosso, il porciglione, la marzaiola, l'albarella, il falco di palude, il lodolaio e il pendolino, fanno dell'Oasi di Alanno un importante sito di birdwatching. Le colline circostanti sono frequentate da tassi, volpi, cinghiali, faine e donnole. Il lago è il punto di partenza per escursioni in mountainbike o a piedi.

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  6. tomiva57
     
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    Crecchio


    Da Wikipedia



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    Crecchio è un comune italiano di 3.064 abitanti della provincia di Chieti in Abruzzo. Il paese conserva l'aspetto di un piccolo borgo medievale dominato dal castello ducale.
    Posizione del comune di Crecchio nella provincia di Chieti.

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    Geografia fisica
    Territorio


    Il comune di Crecchio è compreso all’interno della zona collinare che si estende dalla costa adriatica fino al limite della fascia pedemontana della Maiella. Nella parte nord-occidentale il territorio è solcato dal fiume Arielli e dal torrente Rifago che, nel loro corso, hanno delimitato ed isolato il colle su cui sorge il centro storico . Nella parte orientale il terreno digrada dolcemente verso la valle del Moro. Non mancano alcune aree pianeggianti, in particolare in prossimità della Strada Provinciale (ex SS 538) “Marrucina” (località Pietra Lata, Casone e Macchie), nelle zone di Fonte Roberto e Ciaò (comprese tra Villa Mascitti e Casino Vezzani), nei dintorni di Villa Tucci (Padule, Pozzo e Capo Lemare) ed a S. Maria Cardetola La pendenza diminuisce progressivamente da SW a NE. L’altimetria varia da un minimo di 86 m s.l.m., misurata nella valle dell’Arielli in località Piano di Morrecine (nella parte settentrionale del Comune), ad un massimo di 276 m s.l.m., registrato nei pressi della vecchia stazione ferroviaria (al confine con il comune di Arielli) . La casa comunale è situata a 209 m s.l.m L’altitudine delle frazioni è riportata nella tabella seguente


    La quasi totalità del territorio comunale presenta strati di ciottolame poligenico con lenti di sabbie giallastre e argille grigio-verdognole, originari del Pleistocene Marino . Lungo le valli dell’Arielli e del torrente S. Giorgio sono presenti ghiaie, sabbie, limi torrentizi e fluviali risalenti all’Olocene. La valle del Moro è caratterizzata da depositi di sabbie e arenarie giallastre di origine Pleistocenica; diffusi risultano detriti di falda, coperture detritico-colluviali del Pleistocene medio superiore – Olocene, depositi alluvionali e deltizi attuali Il territorio, nella sua parte centrale e sud-orientale, è inoltre attraversato da alcuni terrazzi morfologici che separano le zone sabbiose da quelle di materiale più grossolano

    Idrografia

    La strada provinciale Marrucina divide per la sua intera lunghezza il territorio comunale in due aree idrografiche differenti: una parte settentrionale appartenente al Bacino dell’Arielli (14,10 km²) ed una parte meridionale inclusa nel Bacino del Moro (3,39 km²) . Una striscia sottile, al confine con il comune di Ortona, appartiene invece al bacino del Fosso Riccio (1,87 km²) . I principali corsi d’acqua che attraversano il territorio del comune sono:

    * Fiume Arielli: nasce a circa 390 m s.l.m. poco a monte dall’abitato di Malverno (comune di Orsogna). L’asta principale ha una lunghezza di poco più di 18 km sfociando nel mare Adriatico a sud della stazione di Tollo. Il bacino si estende per 41 km² ed è compreso tra quello del Foro a Nord e quello del Moro a Sud. In prossimità del centro storico di Crecchio la valle diviene stretta e profonda, con una notevole copertura boschiva. Per un breve tratto funge da confine tra Crecchio e Canosa Sannita
    * Fiume Moro: nasce a 5 km a nord dell’abitato di Orsogna a quota 590 m s.l.m. e presenta una lunghezza di circa 23 km. Rimane compreso tra i bacini dell’Arielli a nord e del Feltrino a sud e si sviluppa in un'area complessiva 73 km². Rappresenta il confine tra Crecchio e Frisa
    * Torrente Rifago : nasce vicino Arielli a 304 m s.l.m. e, dopo un tratto circa 5 km, confluisce nell’Arielli (140 m s.l.m.) poco a più a nord di Crecchio. La valle presenta una folta vegetazione nei pressi del colle di Crecchio .
    * Torrente S. Giorgio: scorre interamente in territorio comunale. Nasce nei pressi della stazione di Crecchio a 274 m s.l.m. e, dopo aver ricevuto il contributo di alcuni fossi, si immette nell’Arielli in località Parco dei Mulini (148 m s.l.m.). Ha una lunghezza di poco superiore ai 5 km .
    * Torrente S. Onofrio: nasce in località Portone (221 m s.l.m.), al confine tra Crecchio e Canosa Sannita. Dopo aver percorso quasi 6 km si unisce all’Arielli nei pressi dellà località Collesecco (68 m s.l.m.), nel comune di Tollo. Il torrente segnala il confine tra Crecchio e i comuni di Canosa e Tollo

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    Storia

    La tradizione vuole che in antichità gli abitanti di Crecchio fossero stanziati nella frazione di S. Maria Cardetola, a poca distanza dall’attuale centro abitato. Sporadici ritrovamenti, fra cui quello di una dea madre riferibile al paleolitico superiore, frammenti di ossidiana e selci lavorate, confermano la presenza dell’uomo sulle colline di Crecchio fin dall’epoca preistorica. I rinvenimenti di fondi di capanne dell’età del ferro, attestano inoltre una discreta produzione ceramica intorno al IX secolo a.C.

    Nel 1846 lo studioso e archeologo lancianese A. Carabba, rinvenne a S. Maria in Cardetola, un'epigrafe italica del VI secolo a.C. (conservata nel Museo Nazionale di Napoli) nella quale – secondo recenti interpretazioni – vi è il primo riferimento a Crecchio, chiamato in epoca arcaica Ok(r)ikam ; il ritrovamento di alcuni corredi funerari di origine Frentana fanno ipotizzare che il paese sia stato una loro roccaforte a guardia del confine con i Marrucini o dei tratturi che passavano nelle vicinanze. Divenuto municipio romano, il nome si trasformò in Ocriculum, e l'intero territorio fu diviso in grandi ville rustiche (aziende agricole) vocate alla coltivazione di cereali, vite ed ulivi. Le attuali frazioni e contrade sono ubicate proprio in prossimità di quelle ville . Degli antichi insediamenti rimangono oggi solo i resti della Villa di Vassarella-Casino Vezzani, riportata alla luce durante gli scavi eseguiti tra il 1988 e il 1991 dalla Soprintendenza Archeologica d'Abruzzo, in collaborazione con l'Archeoclub d’Italia di Crecchio . Le ville rimasero attive fino al VI-VII secolo d.C. esportando vino ed olio grazie al vicino porto di Ortona [. Dopo le devastazioni della guerra greco-gotica (535-553 d.C.), molti villaggi furono abbandonati e gli abitanti si insediarono nel colle ove sorge l'attuale centro storico. In un'epoca di invasioni e scorrerie esso era il luogo meglio difendibile, grazie alle due profonde vallate dell'Arielli e del Rifago. Secondo la tradizione il sito ospitava già all'epoca un tempio pagano (il sito di S. Maria da Piedi) ed un fortilizio romano .

    L'abitato cadde in mano longobarda probabilmente intorno alla fine del VII secolo d.C. e seguì le vicende storiche del Ducato di Spoleto, passando prima nelle mani dei Franchi e poi in quelle dei Normanni . Nell'XI secolo il nuovo insediamento era ancora privo di cinta muraria: lo conferma la bolla di Papa Nicola II, del 1059, dove ci si riferisce ad una "Plebem Occrecle", senza però la qualifica di Castellum . Durante la dominazione normanna venne migliorato l’apparato difensivo del borgo con la costruzione di mura, lungo le quali si aprivano due grandi porte, dette Da Capo (ingresso meridionale vicino al Castello) e Da Piedi (nella parte nord-orientale del paese), quest'ultima ancora oggi visibile . Nel 1189-92 Guglielmo Monaco, appartenente alla nobile famiglia Monaco di Crecchio, partecipò alla terza crociata .

    Agli inizi del XII secolo fu eretta l'imponente Torre dell'Ulivo e, intorno ad essa, nel corso degli anni successivi si formò l’intero castello. La torre faceva parte di un complesso e ramificato sistema di postazioni di avvistamento che dal mare toccava tutti i centri dell'entroterra e vigilava sulle terribili incursioni dei pirati ungari e saraceni . Nel 1279 il feudo di Crecchio venne incluso nella “Rassegna dei feudatari d'Abruzzo” voluta da Carlo I d'Angiò: da quest'ultima emerge che il feudo con il castello era sotto la giurisdizione di Guglielmo Morello. Tale feudo chiamato “di un Milite” era formato oltre che da Crecchio, anche da Arielli con il suo castello (completamente distrutto agli inizi del Novecento), Castel di Mucchia e metà del feudo di Pizzo Inferiore (nel comune di Ortona) Nel XIV secolo il borgo si arricchì di alcuni palazzi tra i quali emerge il Palazzo Monaco, dotato di torre signorile

    Nel 1406 Crecchio era feudo di Napoleone degli Orsini conte di Manoppello e Guardiagrele. Questi, ribellatosi alla corte di Napoli, venne privato del feudo che fu devoluto alla comunità di Lanciano dal re Ladislao . Il 23 agosto 1406 Giovanni Di Masio, mastrogiurato di Lanciano, entrava nella "rocca e nella Torre di Ocrecchio" . Il possesso da parte di Lanciano rappresentava per Crecchio l'opportunità di vendere agevolmente il grano che si produceva nel territorio, dato che Lanciano, con le sue fiere, era un punto di passaggio importante per i mercanti di ritorno da Venezia . Nel 1627 Crecchio passò a Giovanni Bonanni dell'Aquila che nel 1633 lo vendette ad Andrea Brancaccio di Napoli In occasione di tale vendita fu chiamato a stimare il valore del feudo un certo Scipione Paternò “tabulario napolitano”, che dà un’immagine molto nitida del borgo nel Seicento :
    « Per distanza di miglia cinque in circa detta città di Lanciano possiede un altro Castello chiamato Crecchio di fuochi 150 quale giace in un uno spino di monte dolce et fruttato posto fra dui profondi valloni detti Lariella et lo Rofare , ambe dui irrigati d’acque, uno delli quali corre per ordinario et tiene magior forza per essere acqua viva, et proprio quello della Riella del quale parlando riferisco a V.S. che nel suo corso sono posti sette molini per fila con proportionata distanza […]. Et tornando nel corpo di detta terra ricordo a V.S. come si dignò vedere che il suo sito è piano, et in quello s’entra per dui porte, uno detta de Capo et l'altra de Piedi per le quali intrando si discorre et camina per diverse strade tutta la sua abitazione, et da ogni sua parte si gode vista di marina quale accompagnata con il sito et sua vista di montagna , si rende d’aria perfetta come si va confinando dalli molti vecchi e lor salute, fecondità di donne e vivacità di fanciulli, et benché questa terra sia posta nella estremità di questo monte, et se ne sta ben guardata et sicura per essere cinta da dui valloni alti e profondi conforme si è detto, non cesorno con ciò li primi loro habitatori restringere loro casamenta con muraglie le quali al presente parte sono erte et parte dirute.

    Il territorio di questa terra è parte piano et parte collinoso et costoso, il qual confina con il territorio de Ariella, Canosa, Tollo, Urtona la Villa Callara et il fiume Moro dividente il territorio di Frisa quale circuito di territorio così descritto sarà da miglia nove in circa dentro il quale si comprendono territorij seminatorj, erbaggi, vigne, boschi, oliveti, cannittera, orti di verdumi et altri frutti dal quale si percepiscono buona qualità di grani, orgi, legumi, vini, egli, lini […]. Li habitanti di questa terra sono al generale homini rustici foresi et fatigatori, quali si esercitano nella cultura et governo di territori alieni et propij […]. Le donne habitatrici si trattengono in filare et tessere tela et in tempo di sugna et vendemmia si conducono di fuori a travagliar la loro vita secondo le stagioni et tempi.
    Contiguo essa terra da un tiro di balestra è una fonte d'acqua perfetta con conserva di fabbrica dove si piglia l'acqua per bere, ma ad uso del lavare vanno nel vallone. Si regge et governa questa predetta terra da dui sindaci et uno mastrogiurato dalli quali unitamente si tien conto del buon governo et amministrazione della terra […]. Et in mezzo la terra predetta è la piazza pubblica in mezzo alla quale è fondata la chiesa matrice sotto il nome di Santo Salvatore dove sono dui preti inclusivi con l'arciprete […]. Vi è di più un'altra chiesa detta "Santa Maria di Piedi" iusta li mura di essa terra dove si celebra et vive con elemosine. »

    (Scipione Paternò, 1633)

    La famiglia Brancaccio mantenne il possesso di Crecchio fino al 1702. Il 15 ottobre 1705 il feudo fu acquistato da Gaetano Antonio D'Ambrosio, principe di Marzano. La vendita risultò però non valida ed il feudo venne quindi assegnato a Vincenzo Frascone, nominato marchese di Crecchio. I D'Ambrosio ritornarono in possesso del feudo l'11 agosto 1734, mantenendolo fino al 1785, quando passò ai De Riseis, duchi di Bovino e baroni di Crecchio. Quest’ultimi conservarono i beni ad esso legati fino al 15 novembre del 1958 . Negli anni 1870-1879 fu realizzata la nuova strada provinciale per Canosa ed abbattuta la porta da Capo con il resto della cinta muraria ].

    Un'appassionata descrizione del paese viene fornita da Don Ermenegildo Blasioli, reverendo parroco di Crecchio, che nella novena di S. Elisabetta protettrice di Crecchio, datata 1901, così scriveva :
    « Chi guarda la regione Abruzzese Teatina in quel leggero declivio, che dalla maestosa Majella si distende al mare, rimane estatico, rimirandolo frastagliato da poggi e colline, ricoperto di rigogliosi vigneti, di verdeggianti ulivi, di alberi fruttiferi di ogni specie; con fiumicelli e rivi che, solcando questa terra de’ Frentani, formando pittoresche ombrose valli, onde nell’estasi della contemplazione lo spettatore esclama Oh! panorama stupendo o terra fortunata, ove Iddio ha prodigato i beni della natura! Nel mezzo di questo declivio tra il monte e il mare, sul limite di una collina, costeggiata da due ruscelli, il Rifago ad oriente e l’Arielli a ponente, sorge un piccolo, ma delizioso paese a nome Crecchio, in latino Oppidum Ocreclii, ed anticamente chiamato col nomignolo Granaio di Lanciano. La vetustà del paese è attestata da alcune lastre di pietra sugli architravi delle porte, con iscrizioni e con le date degli anni 863, 1110 e 1263. Sono notevole di menzione; il campanile della Chiesa Parrocchiale di San Salvatore di stile del XVI secolo, ed il palazzo del Barone De Riseis con torri merlate di stile medievale. Nelle colline circostanti si scorgono ruderi di abitazioni distrutte dall’invasione dei barbari, restando piccolo avanzo di tante rovine questo paese, che un tempo era ben fortificato con cinta di muri. »

    (Don Ermenegildo Blasioli, 1901)

    Il 9 settemebre 1943, Crecchio ed il castello furono scenario di importanti eventi della storia d'Italia: dopo essere fuggiti da Roma, sostarono nel castello il re Vittorio Emanuele III, la Regina, il principe Umberto, Badoglio e l'intero Stato Maggiore. Qui si decisero le sorti della Monarchia Sabauda Il principe Umberto era già stato altre volte ospite dei duchi De Riseis, a Crecchio, negli anni 1926, 1928 e nel 1932 con Maria Josè Dall’inverno del 1943 all'estate del 1944, Crecchio, trovandosi sulla linea Gustav, subì le devastazioni dei bombardamenti: la Chiesa di San Rocco all'ingresso del paese fu rasa al suolo (e mai più ricostruita), il castello e la Torre dell'Ulivo gravemente danneggiati, la facciata settecentesca della chiesa di San Salvatore semidistrutta così come molte abitazioni . Il Dopoguerra rappresentò per il centro storico il periodo dell'abbandono, il comune passò dai 3.765 abitanti del 1951 ai 3.139 del 1971. Il castello, in rovina, venne trasformato in falegnameria e le ricostruzioni di quel tempo e gli interventi edilizi furono devastanti. La situazione cominciò a cambiare nel 1976, quando iniziarono i lavori per il suo restauro . Negli anni Ottanta e Novanta l'Archeoclub intraprese una vera e propria campagna di riscoperta del patrimonio antico del paese, anche grazie a interventi di restauro di molti edifici, restituiti alla loro fisionomia medievale. Dal 1995 il Castello ospita il Museo dell'Abruzzo Bizantino ed Altomedievale, contribuendo alla vocazione turistica del paese

    Monumenti e luoghi di interesse

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    * Chiesa di Santa Maria da Piedi (detta anche di Sant'Antonio ); è situata a ridosso della Porta da Piedi, da cui prende il nome. La chiesa, costruita nel 1581 sulle più antiche mura difensive del paese, presenta una facciata rettangolare in pietra e mattoni. Il portale, in arenaria, risale al 1584 ed è sormontato da un timpano . Sopra di esso è presente una finestra circolare . Il campanile a vela, ad una luce, è situato nella parte posteriore della chiesa. L'interno è composto da una singola navata con soffitto a capriate in legno. Attualmente la chiesa è sconsacrata e viene utilizzata come auditorium [.


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    * Chiesa del Santissimo Salvatore ; si trova e metà strada tra il Castello e la chiesa di Santa Maria da Piedi. Davanti ad essa si apre la piazza di S. Salvatore. La facciata, in sobrio stile barocco, è realizzata in muratura . Il portale presenta un coronomento a timpano spezzato e, superiormente, compresa tra due cornici orizzontali, si apre una finestra rettangolare. La facciata termina con un timpano circolare, al cui interno è presente un oculo. La copertura è a doppia falda mentre l'interno è ad aula unica Il campanile, anch'esso in muratura, è a base quadrata e posizionato ad un lato della facciata. Ornato agli spigoli da delle lesene, è dotato di una cella campanaria (con un concerto di cinque campane ) che si apre ad ogni lato con un arco a tutto sesto. Immediatamente al di sopra è presente un attico, con ringhiere e colonnette agli spigoli, ed un dado Su quest'ultimo è posizionato un orologio, costituito da quattro quadranti luminosi . Il campanile termina con un tetto a padiglione. Non si conosce la data esatta di costruzione della chiesa ma è probabile che il primo nucleo risalga al tempo in cui i primi abitanti si trasferirono sul colle attuale da Santa Maria Cardetola . Fino al Settecento la chiesa presentava una facciata quattrocentesca, distrutta poi da un terremoto e ricostruita in stile barocco . Nel periodo bellico 1943-1944 la chiesa subì gravissimi danni: la facciata e l'interno gravemente danneggiati, completamente abbattuto il campanile (una grossa torra in pietrame del XVI secolo). Nella ricostruzione sono state quasi fedelmente conservate le linee architettoniche originali .

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    * Santuario di Santa Elisabetta; sorge a breve distanza dal centro storico. La facciata è a salienti, suddivisa in tre parti da quattro lesene . A metà altezza è presente una cornice marcapiano, al di sopra della quale è collocato il rosone. Il portale è sovrastato da un timpano circolare. Il campanile è a vela. La chiesa ha origini molto antiche, così come la venerazione degli abitanti per la Santa . Pesantemente danneggiata negli anni 1943-1944, è stata ricostruita nel 1955 dal Genio Civile, pur con notevoli cambiamenti.Al suo interno è possibile ammirare una statua quattrocentesca della Santa ed alcuni ex voto del XIX secolo

    Nel territorio comunale sono presenti altre chiese, ubicate nelle varie frazioni:

    * Chiesa di San Giuseppe; si trova a Villa Tucci ed è una delle più antiche. Ricordata in un decreto di visita pastorale del 1894, conserva ancora la struttura antica. Con la ricostruzione del secondo Dopoguerra è stato aggiunto uno snello campanile.

    * Chiesa della Madonna dei Sette Dolori; sorge a casino Vezzani ed anch'essa è menzionata nel decreto pastorale del 1894. L'edificio attuale è stato ricostruito sulle rovine di una chiesa più antica, demolita perché bassa e fatiscente .

    * Chiesa di Sant'Antonio da Padova ; edificata nel 1926 a Villa Consalvi. La struttura è in pietra a faccia vista


    * Chiesa di San Rocco; dopo la distruzione dell'antica chiesa di San Rocco, in Crecchio, si decise di ricostruirla non più nel capoluogo ma a Villa Selciaroli. La chiesa è stata aperta al culto nel 1975 .


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    Architetture civili

    * Palazzo Monaco; realizzato in pietrame , è posizionato di fronte alla Chiesa di Santa Maria da Piedi, adiacente alla porta da Piedi. Il nucleo originario dell'edificio risale al XIV secolo. Un tempo appartenente alla famiglia Monaco, possedeva anche una torre signorile.

    * Ponte del XIII secolo; realizzato in muratura, è costituito da un arco a sesto acuto Fino alla Seconda Guerra Mondiale fungeva da collegamento tra il Castello ed il suo parco.

    * Porta da Piedi; unica porta ancora esistente attraverso la quale si entrava nel borgo durante il Medioevo

    * Mulini della valle dell'Arielli; i mulini sono tutti situati sulla sponda destra del fiume Arielli, al di sotto del colle di Crecchio, e dislocati su un tratto di circa 3 km. Si tratta di mulini ad acqua, del tipo a palmenti, con mole di pietra e ruota idraulica a pale sotterranee L’abbandono dell’attività molitoria, fiorente nel Medioevo, ha fatto sì che i mulini subissero un inevitabile degrado, accompagnato dalla crescita di una rigogliosa vegetazione. Oggi i mulini, a partire da quello più a monte, sono così individuati: Mulino di Grogne, Mulino del Barone, Mulino del Santissimo Sacramento, Primo Mulino di Cillarille, Secondo mulino di Cillarille, Mulino di Valle Cannella, Mulino di Casino Vezzani . Grazie ad una accurata ristrutturazione portata avanti dall’Amministrazione Comunale negli anni Novanta, è stato possibile realizzare il Parco dei Mulini, un’area attrezzata di particolare pregio naturalistico nella quale i mulini stanno rivivendo come strutture polifunzionali .

    Architetture militari

    Castello Ducale di Crecchio.

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    Cenni storici.

    8 settembre del 1943; una data che segnò il destino dell'identità di un popolo, una data che inflisse una ferita morale mai rimarginata ad una nazione. Il compianto Renzo De Felice, forse il più grande storico del nostro secolo, sostenne sempre che gli eventi di quella data furono talmente gravi, più della sconfitta di un intera guerra, da minare l'etica di una comunità. In quel triste giorno il Re d'Italia insieme alla sua corte e ai vertici dello Stato Maggiore fuggì codardamente lasciando il proprio popolo in balia di un conflitto perso in partenza e una brutta eredità agli italiani, che da quel momento non saranno mai più gli stessi. Quel senso dello Stato e delle istituzioni, ma soprattutto quell'irrompente orgoglio etnico forgiato da una storia che è, la storia, si indebolisce inevitabilmente.

    Il Castello Ducale di Crecchio è stato il testimone della fuga reale che causò più danni di una guerra; è infatti da questa splendida fortezza che il Re si rifugiò l'ultima notte prima dell'imbarco nel porto di Ortona.

    Sarebbe tuttavia non solo riduttivo, ma ingrato ricordare l'edificio di Crecchio solo per le vicende dell'ultima guerra mondiale; è invece necessario partire dalle antiche origini della città confermate dal ritrovamento di reperti archeologici di età protostorica e romana. è probabile che in epoca angioina il paese avesse già assunto la fisionomia di borgo fortificato, come dimostrano di fatto le torri cilindriche tipiche di quel periodo; del resto la documentazione è rara fino al secolo XV che vede Crecchio dominata dalla città di Lanciano e successivamente, nel 1624, dai nobili Brancaccio. Nei primi anni del 1700 il feudo e la fortezza appartennero ai D'Ambrosio dei principi Marzano, alla fine dello stesso secolo i De Riseis acquisirono il titolo di baroni di Crecchio mantenendo il possesso del borgo fino all'ultimo dopoguerra.

    Il castello, suggestivo nel suo complesso, mostra facilmente nelle sue linee costruttive la trasformazione subita nei secoli da nucleo prettamente difensivo a organismo architettonico residenziale, costituito com'è da quattro corpi serrati da torri angolari a formare un cortile aperto a loggiato su due lati. La torre primitiva, quella rivolta a nord-est, rappresenta con molta probabilità il corpo originario da dove successivamente, nel tempo, si svilupparono tutte le altre di forma inerenti al periodo di costruzione. Di notevole spessore, la torre si articola in tre piani ed una scala ricavata nelle mura consente di raggiungere il livello più alto, mentre quelle esposte a sud sono costruzioni attribuibili al XV secolo; la torre nord-orientale è invece originaria del secolo XII.

    Nel giugno del 1943 la fortezza fu seriamente danneggiata dai bombardamenti; oggi, dopo un impegnativo restauro è sede del Museo dell'Abruzzo bizantino e altomedievale.

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    Siti archeologici

    * Resti della villa romana in località Vassarella; il complesso è stato rinvenuto nel 1973 a seguito di lavori per l'impianto di una vigna. Fra il 1988 ed il 1991, una campagna di scavi eseguita in collaborazione fra Archeoclub di Crecchio e Soprintendenza archeologica dell'Abruzzo ha permesso di riconoscere i resti di una grande villa rustica, riferibile alla tarda età repubblicana. I ruderi delle strutture murarie delimitavano un porticato lungo almeno 75 metri, con vari ambienti collocati lungo il corridoio definito dal porticato stesso. All'interno dei vani superstiti sono stati rinvenuti numerosi dolii ed una grande cisterna in calcestruzzo, quasi completamente piena d'acqua e melma. Lo svuotamento della cisterna ha consentito di individuare vari reperti (in particolare frammenti lignei e vasellame) che testimoniano i contatti con aree quali l'Africa, l'Egitto, la Palestina, la Siria e l'Asia Minore. Nel VI secolo l'impianto veniva probabilmente impiegato dai Bizantini per l'approvvigionamento del vicino porto di Ortona. A tale periodo è infatti ascrivibile l'interro archeologico della cisterna, utilizzata come un vero e proprio "mondezzaio".




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    Pennapiedimonte


    Da Wikipedia


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    « La Panne de l'Abriozze è lu balecaune, se vaide tante more da Voste a Urtaune. Lu saule, quond esce la mateine, le vòsce 'gnà fò la momme nglù bambeine. »

    « La Penna è il balcone d'Abruzzo, si vede tante volte da Vasto a Ortona. Il sole, quando esce la mattina, le voci che fa la mamma con il bambino. »

    (Emilio Cocco in Pajese me)



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    Pennapiedimonte è un comune italiano di 517 abitanti della provincia di Chieti, in Abruzzo. Fa parte ed è sede della Comunità montana della Maielletta, oltre ad essere parte del Parco nazionale della Majella.
    Posizione del comune di Pennapiedimonte nella provincia di Chieti.

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    Geografia

    L'abitato di Pennapiedimonte sorge alle pendici del versante orientale della Maiella. Il suo territorio si estende per 47,2 km², da un'altitudine minima di 255 m.s.l.m., presso contrada Laio, ad una massima di 2.676 sul Monte Focalone, con un dislivello di 2.400 metri. Il centro cittadino si trova ad una quota di 669 m.s.l.m., adagiato su un ripido costone che scende a picco sulla valle del fiume Avello. Le abitazioni, in parte scavate nella roccia, sono realizzate in pietra locale e sono collegate tramite gradinate o strette vie, spesso percorribili solo a piedi.


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    Storia

    Il paese fu abitato sin dal V-IV secolo a.C. come dimostra il ritrovamento di alcune tombe in località contrada. Nel III secolo a.C. il paese fu assoggettato ai romani che vi costruirono la torre romana. Successivamente, mel 101 d.C. il paese fu chiamato Silio Italico, nel suo 8° libro delle guerre puniche, "Pinna" ed "Avella". Difatti, l'antica Pinna fu appollaiato alll'inizio delle gole dell'Avella e comprendeva i borghi di "Famocchiano" (da "Fanulum Jani", cioè il tempietto di Giano), contrada sita sulla strada per Guardiagrele ed Ugno (da omnium = contrada di tutti) contrada sita sulla strada per Palombaro. La parte bassa del paese viene chiamata "Castello" anche se, effettivamente, non ve n'è mai stato costruito uno perché il paese fu considerato "Castellum natura munitum" fino al Medioevo quando molte borgate del paese scoparvero eccetto Penna (l'odierna Pennapiedimonte) per via di molte frane, serroni e calanchi, così centri come Famocchiano, Ugno, Civitas Pinnae e Borgo Lucina man mano si spopolarono. Qualche tempo dopo nel 1400-1500 la gente del luogo incominciò a creare nuove borgate e nuovi casolari con chiesette, cappelline ed altari, delle quali, qualcuna sorse sui ruderi di alcuni templi pagani, altre furono fondate sulla nuda terra. Ma, dopo qualche secolo, anche queste borgate furono abbandonate e si disgregarono, solo il centro di Pennapiedimonte rimase in piedi.

    Simboli

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    Pennapiedimonte-Stemma.



    Come recitato dall'articolo 8 comma 4 dello statuto comunale, lo stemma di Pennapiedimonte è sormontato da una corona ducale e cinto da due fasci di alloro intrecciati alla base, attraversato obliquamente da una striscia azzurra che lo divide in due parti: in basso sono rappresentati tre monti e in alto delle spighe di grano.

    Nel gonfalone lo stemma si trova al centro di un drappo azzurro

    Luoghi d'interesse

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    San Silvestro e Rocco



    * La chiesa dei Santi Silvestro e Rocco
    . Edificata agli inizi del XVIII secolo in stile barocco, presenta una facciata bianca affiancata da un campanile. All'interno, in una nicchia dell'abside, è custodita una statuetta della Vergine Maria, proveniente dall'abbazia medievale di Santa Maria dell'Avella, ormai ridotta allo stato di rudere. Vi sono inoltre un Crocifisso su tavola del XV secolo e una pala d'altare dei Cinquecento, oltre ad alcune tele settecentesche. Conserva anche alcuni lavori in pietra realizzati da scultori locali, quali il fonte battesimale di Guglielmo Giuliante, l'altare e il leggio di Pierino De Virgiliis

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    interno chiesa di S.Silvestro e S.Rocco



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    * Il "Cimirocco"
    , (termine locale che significa "ai piedi del monte" dato che è sito ai piedi della Maiella. Trattasi di uno sperone roccioso o "Pinna" che si trova in localià Balzolo a 705 m. s. l. m. che sembra una donna seduta con la testa abbassata con qualcosa sulle braccia. Qualcuno vuole identificare tale donna con la dea Maja che passando in zona perse il figlio Mercurio.


    * Il Vallone di Penna o il Vallone delle tre Grotte. Grande Valle ove, secondo la stessa leggenda, la dea Maja venne a seppellirvi il bambino perso.

    * La torre romana. Sita presso Piazza Garibaldi. La torre servì come piazzaforte e come ufficio di comando, magazzino ed osservatorio. Attualmente, al suo interno vi è il museo sulla necropoli italica.

    * La Fonte medievale monumentale sita in contrada Fontana. In passato le donne di Pennapiedimonte venivano a lavarvi e stendere il bucato. Fino al 1927-28 tale fontana era l'unico approvvigionamento idrico del paesello abruzzese. Consta di quattro cannelle e di un loggiato ad "L" con pilastri poggianti su archi a tutto sesto. L'ingresso del loggiato consta di timpano.

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    * Sito archeologico in Contrada Fontana. Risale al V-IV secolo a.C. Consta di alcune tombe composte con lastre di pietra liscia.
    Durante dei lavori per la creazione di un circolo di tennis vennero trovate, nel 1982 delle tombe risalenti al V-IV secolo a.C.. Le tombe sono realizzate con delle lastre di pietra rifinite. Le tombe hanno riportato alla luce dei corredi funebri sia maschili che femminili tra cui un cinturone di bronzo, una lania ed altri oggetti di un capotribù. Questi oggetti ora si trovano al Museo Archeologico di Chieti ed al museo della necropoli italica di Pennapiedimonte. Innumerevoli altri oggetti, da scavi clandestini di contadini, sono andati irrimediabilmente persi.

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    * E, nei dintorni, la Riserva naturale statale Feudo Ugni

    La Riserva Naturale Orientata Statale Feudo Ugni interessa un'area di 1.563 ettari lungo i rilievi appenninici della Majella, delimitata a nord dal torrente Avello, nei Comuni Palombaro e Pennapiedimonte (CH).


    Descrizione

    La Riserva Feudo Ugni è ricca di grotte, tra cui la famosa Grotta Nera, formata da due stanze color panna dove stalattiti e stalagmiti si alternano in forme plastiche molli al tatto. La vegetazione varia secondo l'altitudine. Oltre i 2000 m si trovano vaste praterie d'alta quota con molte e rare specie botaniche, tra cui la soldanella della Majella, la stella alpina appenninica, la genziana primaticcia, la genziana nivale, l'Androsace della principessa Matilde ed il genepì appenninico. Le specie floristiche censite nella riserva sono 1700, delle quali 50 specie di orchidee. Troviamo estesi boschi di faggio e, nella fascia pedemontana, boschi misti di olmo montano, frassino maggiore e, nelle zone più umide, tasso e agrifoglio.
    Più di 100 sono le specie di uccelli segnlate, tra cui il falco pellegrino, l'aquila reale, il lanario, l'astore, il gracchio alpino, etc. Sporadica la presenza dell'orso bruno marsicano, mentre risulta più frequente quella del lupo appenninico. Altre specie di mammiferi sono il gatto selvatico, la puzzola, la martora, la donnola e il cervo.

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    torrente avello



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    Salsicciotto di Pennapiedimonte
    (Salumi, insaccati e prodotti a base di carne)

    Foto ARSSA

    ASPETTO DEL PRODOTTO

    Tipico di Pennapiedimonte, piccolo borgo situato alle pendici orientali della Majella, nella provincia di Chieti, è una salsiccia di carne magra di suino, preparata con i tagli magri di spalla e coscia (70%) e per la restante percentuale con tagli più grassi o semigrassi come il magro di pancetta. La spalla, prima di essere utilizzata, viene sottoposta all’eliminazione delle fibre tendinee (di cui è particolarmente ricca) e dei grassi molli. L’opportuna aggiunta della parte magra della pancetta (che conserva in ogni caso lo strato di grasso duro aderente al magro) consente di ottenere un salume dalla giusta morbidezza. La lavorazione dell’insaccato prevede che la carne, ben selezionata prima di essere insaccata, con budella naturali ricavate dal tratto intestinale del suino, venga macinata a grana medio-grossa, impastata con sale e pepe nero macinato, nitrato di potassio e acido L-Ascorbico, in modo da ottenere una massa omogenea e ben legata. Il salsicciotto, prima di essere trasferito nel locale di stagionatura, riscaldato da un camino alimentato con legna secca di faggio, viene delicatamente asciugato alternando caldo e freddo. A essiccazione avvenuta viene quindi ricoperto con una pastella a base di grasso di maiale, sale, pepe nero macinato ed erbe aromatiche tipiche del territorio pedemontano di Pennapiedimonte (precisamente timo, ginepro, rosmarino, alloro, erba cipollina, peperoncino piccante, finocchio e salvia).

    (Fonte: ARSSA Abruzzo)
    INGREDIENTI

    Carne magra di suino (spalla e coscia): 70%
    Pancetta : 30%
    Budello naturale suino
    Sale
    Pepe nero macinato
    Nitrato di potassio (E 252)
    Acido L-Ascorbico (E 300)
    Grasso di maiale
    Erbe aromatiche tipiche del territorio pedemontano di Pennapiedimonte: timo, ginepro, rosmarino, alloro, erba cipollina, peperoncino piccante, finocchio e salvia.
    FASI DI PROCESSO

    Mondatura dei tagli
    Eliminazione delle fibre tendinee
    Aggiustamento del rapporto 70:30 tra tagli magri e pancetta
    Triturazione a grana medio grossa
    Aggiunta di sale e pepe nero macinato, nitrato di potassio e acido L-Ascorbico
    Miscelazione fino a impasto omogeneo
    Insaccatura
    Legatura
    Trasferimento nel locale di stagionatura
    Asciugatura con camino alimentato con legna secca di faggio
    Preparazione di una pastella a base di grasso di maiale, sale, pepe nero macinato ed erbe aromatiche
    Avvolgimento con la pastella

    - Boni Paolo

     
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    Manoppello (257 m. s.l.m.)


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    Il borgo di Manoppello (circa 1.000 abitanti) sorge su un colle a 257 m. di altitudine. Il centro storico è caratterizzato dalla presenza di numerosi piccoli palazzi nobiliari del XVIII-XIX, realizzati con la pregiata pietra locale, conosciuta, appunto, come "pietra di Manoppello". Nel centro storico del paese spiccano la chiesa di S. Nicola (XIV sec.), con stupendo portale, la chiesa della SS. Annunziata, con l'adiacente ex convento delle Clarisse e la chiesa di S. Pancrazio.



    Nel territorio comunale sorgono due importanti templi del cattolicesimo:

    il Santuario del Volto Santo, dove viene custodita la famosa reliquia che, assieme alla Sacra Sindone di Torino, raffigurerebbe la vera effigie di Cristo. Il Santuario, visitato nell'autunno 2006 da S.S. Papa Benedetto XVI, si trova ad un paio di km. dall'abitato di Manoppello;




    Il Santuario del Volto Santo

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    E' la chiesa del convento dei Cappuccini, fondata nella prima metà del XVII secolo e completamente ristrutturata alla fine degli anni '40 e negli anni '60 del Novecento.

    Vi si venera un'immagine del volto di Cristo, su tessuto, donata ai frati nel 1639 da Donato Antonio De Fabritiis di Manoppello; la tradizione vuole che essa fosse stata consegnata nel 1506 ca. da un angelo, vestito da pellegrino, a Giacomantonio Leonelli nella chiesa parrocchiale di S. Nicola.



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    La veronica di Cristo Manoppello (PE)

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    Il santuario del Volto Santo di Manoppello, dopo quasi cinque secoli è ancora luogo di culto per centinaia di migliaia di fedeli.

    La leggenda racconta che Manoppello (PE) - Santuario del Volto Santoun Angelo in veste di pellegrino, consegnò neI 1506, un piccolo involto al dottor Giacomo Antonio Leonello con la viva raccomandazione di tenere cara quella devozione che a tutti avrebbe portato pace e benessere spirituale e materiale.

    Nell’aprire l’involto l’uomo si trovò di fronte all’immagine dolorante di Gesù impresso su un velo quasi inconsistente. Il Velo è oggi collocato tra due vetri, l’immagine è perfettamente visibile nel retro e nel verso con colori che si possono individuare solo da una certa angolatura e l’espressione della figura in esso rappresentata non è riproducibile da mano dell’uomo, quasi si trattasse di una vera e propria apparizione. Infatti l’espressione del volto rivela un’intensità profondamente umana e misteriosamente divina. NeI 1718 Papa Clemente XI concesse l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini che si recavano a visitare il Santuario. Il Santuario è attualmente gestito dai Frati Minori Cappuccini con l’annessa casa del Pellegrino.

    I festeggiamenti al Volto Santo si celebrano la seconda domenica di maggio.







    L'Abbazia di S. Maria di Arabona



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    Iniziata nel 1197, l'abbazia rappresenta un importante esempio di architettura cistercense in Abruzzo, diretta derivazione delle abbazie laziali di Casamari e Fossanova, delle quali ripropone la pianta e l'alzata. La costruzione, iniziata dal capocroce, è rimasta incompiuta alla prima campata dell'aula, dando origine ad un singolare impianto a croce, con transetto a cinque campate coperte con volte a crociera costolonate: quella centrale, con volta esapartita, prosegue nel coro, composto da due cellule trasversali, mentre le campate laterali si concludono in quattro cappelle poste ai lati del coro. All'interno si ammirano affreschi di Antonio di Atri e preziose opere scultoree quali il cero pasquale e il pregevole reliquiario.

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    i giardini

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    Pescara


    Da Wikipedia

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    Pescara (IPA: [pesˈkaːra], pronuncia[?·info]) è un comune italiano di 123.352 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia nell'Abruzzo. L'area urbana di Pescara si estende tuttavia ben oltre i limiti territoriali del comune di appartenenza e include vari centri limitrofi assommando a circa 330.000 abitanti.

    È la maggiore città dell'Abruzzo ed è sede, con L'Aquila, degli uffici del Consiglio, della Giunta e degli Assessorati regionali.

    Fino al 1927 il territorio dell'attuale comune di Pescara era diviso tra i due comuni di Pescara, a sud del fiume omonimo, in provincia di Chieti, e Castellammare Adriatico, a nord del fiume, in provincia di Teramo. In seguito all'unificazione dei due centri, nel 1927, fu istituita anche la Provincia, grazie all'interessamento di Gabriele d'Annunzio e Giacomo Acerbo.

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    Pescara è situata sulla costa adriatica e si sviluppa intorno alla foce dell'Aterno-Pescara. La costa è bassa e sabbiosa: la spiaggia si estende senza soluzione di continuità a nord ed a sud del fiume e, nella parte settentrionale (presso la pineta), raggiunge la larghezza di circa 140 metri. Il tessuto urbano si sviluppa su un'area pianeggiante a forma di T, che occupa la valle intorno al fiume e la zona litoranea; a nord ovest ed a sud ovest la città si estende anche sulle colline circostanti che non superano l'altezza di 122 metri sul livello del mare.

    La città è interessata dalla presenza di falde freatiche, che con le escursioni stagionali, rimontano anche di un metro, specialmente in primavera, a seguito dello scioglimento delle nevi sui monti. La costa dove si estende la città era un tempo quasi interamente occupata da una vasta pineta mediterranea, dove predominava la specie del Pino d'Aleppo. Questo bosco fu in gran parte abbattuto alla fine dell'Ottocento e poi ancora negli anni cinquanta del secolo scorso per fare posto alle nuove costruzioni. Gli esemplari superstiti sono diffusi nella pineta D'Avalos (oggi parco pubblico), nella zona di Porta Nuova, e in una fascia costiera della lunghezza di circa due chilometri suddivisa fra i comuni di Pescara e di Montesilvano (Riserva naturale Pineta di Santa Filomena).

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    Storia


    La città ha origini antiche: i primi abitanti di Pescara fondarono un villaggio sulle rive del fiume che in epoca romana fu chiamato Vicus Aterni e a cui successivamente fu attribuito il nome Aternum, dal fiume che lambiva l'abitato. I romani usavano indicare Pescara anche con il nome di Ostia Aterni cioè la foce dell'Aterno. La sua importanza, ieri come oggi, era dovuta alla strategicità della posizione geografica. Il movimento commerciale (pesca, prodotti agricoli, manufatti, ecc.) fra Aternum e Roma, era particolarmente intenso e si sviluppava attraverso la via Consolare Tiburtina che univa (e unisce tuttora) le due città, terminali fondamentali della strada d'attraversamento dell'Appennino. Con la caduta dell'Impero Romano e le invasioni barbariche, di Aternum si persero quasi completamente le tracce, ma si ritiene che il commercio ed il traffico di materiali e di uomini, data la posizione del villaggio, non si sia mai interrotto. Negli ultimi decenni del V secolo Pescara passò in potere prima degli Ostrogoti, poi, una cinquantina d'anni più tardi, dei Bizantini, e infine dei Longobardi (attorno al 570). Per quasi cinque secoli fece parte del ducato di Spoleto (fondato dai Longobardi ma entrato nell'orbita franca in epoca carolingia).

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    Porto di Pescara



    Intorno all'anno 1000, Aternum cambiò il suo nome e divenne Piscaria con riferimento, sembra, alla pescosità della zona, mentre il fiume che la bagnava venne ribattezzato Piscarius. L'abitato di Piscaria fu anche compreso, per un lungo periodo, tra le pertinenze dell'abbazia di Montecassino. Nel 1566, la fortezza fu oggetto di un terribile assalto portato dalle 105 galee dell'ammiraglio ottomano Pialy Pascià. Ma la fortezza non fu presa, anche per il decisivo contributo del valoroso condottiero, Giovan Girolamo II Acquaviva d'Aragona, duca di Atri. Nel XII secolo Pescara fu conquistata, con tutta la sua regione di appartenenza, dai Normanni, per poi entrare a far parte, nei primi decenni del Duecento, dei domini di Federico II di Svevia. Fra il XIII e il XIX secolo appartenne, con il resto dell'Abruzzo, al Regno di Napoli (che, dopo l'unione al Regno di Sicilia, passò a denominarsi Regno delle Due Sicilie). In età aragonese (seconda metà del XV secolo) fu data in feudo all'illustre famiglia di origine spagnola dei D'Avalos, che, dopo essersi legati da rapporti di parentela con i D'Aquino, si convertirono in marchesi di Pescara. Durante il regno di Carlo V, si trasformò in un'importante piazzaforte costiera del Regno. Con la stabilizzazione del potere politico nel Regno di Napoli, ebbe inizio un nuovo e fiorente periodo della storia della città, per la sua posizione strategica e militare, che durò per tutta l'epoca asburgica e per gran parte dell'età Borbonica, fin quasi alla fine del Settecento. In questo secolo Pescara contava circa tremila abitanti. Nei primi anni dell'Ottocento la città venne occupata dai francesi, continuando a costituire un importante bastione militare del regno di Giuseppe Bonaparte. In età napoleonica Castellammare Adriatico, sulla sponda nord del fiume (che allora contava circa 1500 abitanti), divenne Comune autonomo aggregato al circondario di Città Sant'Angelo (1807). Nel 1814 Pescara fu tra le città protagoniste dei moti carbonari contro Gioacchino Murat, re di Napoli. A tale insurrezione seguì la durissima repressione borbonica, simboleggiata dal bagno penale nel quale, fino alla caduta del Regno (1860), furono imprigionati molti patrioti.

    Dopo l'incorporazione al nascente Regno d'Italia e fino agli inizi del Novecento, Castellammare e Pescara conobbero un primo, sostanziale sviluppo economico e un considerevole aumento della popolazione (particolarmente significativo nel ventennio 1881-1901). Nelle due città limitrofe e nel Pescarese iniziò anche a formarsi una borghesia industriale fortemente imprenditrice che contava fra le sue file membri delle famiglie Bucco, D'Annunzio, Farina, Ricci, Mezzopreti, Muzii, De Riseis, Pomilio, Pascale. Fin da allora si pensò alla possibilità di unificare le due cittadine elevandole a provincia. Il 2 gennaio 1927, grazie soprattutto all'eccezionale incremento demografico e allo sviluppo industriale di Castellammare Adriatico e Pescara iniziati, come si è già accennato, nella seconda metà dell'Ottocento ma rafforzatisi agli inizi del secolo successivo, venne finalmente firmato il decreto di unificazione delle due città sotto il nome di Pescara e la costituzione della provincia omonima. Un contributo notevole per il raggiungimento di tale traguardo fu dato anche dalla forte spinta popolare, dall'autorità politica del ministro abruzzese Giacomo Acerbo ed dal prestigio morale di Gabriele D'Annunzio. Durante la seconda guerra mondiale Pescara subì notevoli perdite umane e danni materiali, sia per i violentissimi bombardamenti della tarda estate del 1943, che causarono la morte di almeno 3000 persone, sia per le razzie e le distruzioni da parte dell'esercito tedesco in ritirata. Per questi motivi l'8 febbraio 2001, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi ha conferito alla città la medaglia d'oro al merito civile. Nel secondo dopoguerra Pescara ha conosciuto uno sviluppo molto sostenuto che l'ha portata ad essere il fulcro di una vasta area metropolitana, legata ad essa da stretti rapporti economici e sociali e in cui risiedono complessivamente circa 330.000 abitanti (2010). Da tempo la città garantisce al territorio abruzzese una vasta serie di servizi e disponibilità che hanno permesso all'intera regione di accrescere la propria competitività sia a livello nazionale che internazionale.

    Architetture religiose
    La Cattedrale di San Cetteo



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    Cattedrale di San Cetteo



    Costruita tra il 1933 ed il 1938 sui resti dell'antica chiesa di Santa Gerusalemme, ivi situata in epoca Romanica (come mostrato dai resti di fronte la chiesa). La costruzione della chiesa nuova fu fortemente voluta da Gabriele d'Annunzio, il quale mise a disposizione anche fondi finanziari propri e che chiese a Cesare Bazzani di attuare il progetto. La chiesta ospita la tomba della madre del poeta, Luisa D'Annunzio, ed ivi è possibile ammirar un dipinto del Guercino, il San Francesco, donato dallo stesso d'Annunzio.

    Chiesa del Sacro Cuore

    In pieno centro cittadino, è stata realizzata sul finire dell'Ottocento in Stile Neogotico.

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    Basilica della Madonna dei sette dolori



    Iniziata nel Seicento in stile barocco e in seguito inglobata nel Settecento dall'attuale, in stile neoclassico. Nei pressi della basilica si trovano due fontane di cui una risalente con certezza al milllesettecento e presumibilmente anche l'altra, nonché il convento, iniziato nel 1800


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    Santuario della Madonna del Fuoco



    Madonna del Fuoco

    All'interno dell'antico santuario situato sui colli, si può ammirare una statua della Madonna con in braccio Gesù Bambino, risalente al 1600.



    Chiesa di San Silvestro


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    Situata nella frazione dei colli, la Chiesa principale, all’origine intitolata ai santi San Giovanni Battista e San Silvestro Papa, era il nucleo centrale della vecchia Villa Feudale, luogo del culto regolato dalle norme dettate dalla riforma del sacro Concilio di Trento; fu il rifugio dei parrocchiani durante gli anni del "blocco di Pescara" del XIX secolo, luogo di preghiera e di raccolta per i poveri sfollati dopo il primo tragico bombardamento del 31 agosto 1943. La Parrocchia, creata intorno al 1500, era amministrata da un Economo molto prima della nascita del Comune ed era perfettamente organizzata per la riscossione delle Decime Sacramentali.

    Architetture militari

    "Bagno borbonico"

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    È l'antico carcere del Regno delle due Sicilie, che ha inglobato al suo interno i resti delle mura normanne e bizantine della città. Settecentesco, è vicino ai resti della fortezza cinque-secentesca che ospitano il Museo delle Genti d'Abruzzo.

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    Architetture civili

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    L'ex liquirificio dell'Aurum; la facciata a colonne è il Kursaal.



    Ex Aurum

    È un ex liquorificio dell'Aurum, recentemente restaurato, con una struttura originariamente progettata da Antonino Liberi come lido della fiorente economia balneare pescarese, e poi modificata per prendere la forma di un ferro di cavallo secondo il progetto di Giovanni Michelucci. Nell'area, situata nella zona sud della città, comprende vari edifici e ville in stile liberty, quelli cioè nella zona della Pineta Dannunziana. La zona paludosa fu bonificata e il progetto di Antonino Liberi ("Progetto Pineta") fu approvato il 14 settembre 1912.

    "Torre D'Annunzio"

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    Costruita alla fine del Millesettecento, in via Raiale, un tempo era annessa ad una masseria anch'essa tardo settecentesca, distrutta nel 1975, della quale oggi resta solo un ambiente con volta a crociera.

    "Piazza della Rinascita"

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    Una veduta di piazza Salotto



    Comunemente detta piazza Salotto, è nel cuore del centro cittadino. Ospita una scultura dedicata a un elefante, disegnata da Vicentino Michetti. La piazza, è stata ridisegnata da professionisti locali sulla base di uno studio redatto dall'Università D'Annunzio sul restauro del Moderno ed in cui è stata posizionata l'opera "Huge wine glass" dell'architetto giapponese di fama mondiale Toyo Ito, la quale, realizzata in polimero plastico di nuova concezione, grazie al contributo di una azienda privata che ne ha sopportato l'intero costo, a febbraio del 2009 è collassata; la stessa è tuttora visibile, imbracata da una gabbia d'acciaio per evitare ogni pericolo per i passanti ed in attesa di stabilire responsabilità e possibili soluzioni. La piazza è storicamente sede di manifestazioni, luogo di svago e sede di un Urban Center in cui vengono allestite piccole mostre.

    Fater Spa

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    Progettata dall'architetto Massimiliano Fuksas, è una delle principali opere moderne a Pescara, e ospita gli uffici dell'azienda omonima.


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    Il Ponte del mare



    Ponte del mare

    È una grande opera che contraddistingue il paesaggio della città e che unisce, dal 2009, le due riviere a nord e a sud del fiume. Si tratta di un ponte ciclabile e pedonale di 465 metri a forma di vela, la cui parte sospesa si regge su un pilastro di acciaio ancorato sulla sponda nord del fiume e posizionato in posizione obliqua rispetto alla traiettoria del fiume.

    Palazzo Fattiboni


    È l'edificio più antico di San Silvestro oltre alla chiesa, sorto nel 1600 su un fortino militare per volere della famiglia Celaja, per essere adibita a casa di campagna.
     
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    Siti di interesse archeologico


    * Il mosaico tardoantico ritrovato nel 2001 sulla Golena Sud del fiume, ora provvisoriamente reinterrato in attesa di una ristrutturazione definitiva. Altri resti vicini sono quelli dell'edificio a pianta centrale del III-IV che poi ha dato origine alla chiesa di Santa Gerusalemme del XI secolo. Essi si trovavano a loro volta nei pressi della Porta Nuova che dava entrata alla città sud.
    * Il Parco Archeologico del Colle del Telegrafo, dove sono stati rinvenuti resti di epoca preistorica, e attualmente in fase di completamento prima dell'apertura al pubblico.
    * Alcune vestigia romane, come le arcate rinvenute nei sotterranei della ex stazione centrale e in alcuni negozi del centro storico.
    * Resti di un villaggio di agricoltori, rinvenuti a Fontanelle Alta, risalenti a cinquemila anni fa circa.


    Aree naturali

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    Riserva Regionale Dannunziana



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    La Pineta Dannunziana



    La Riserva naturale di interesse provinciale Pineta Dannunziana è una riserva naturale che si trova nella zona meridionale della città di Pescara. Per i pescaresi, la riserva è nota come la Pineta D'Avalos, dal nome della famiglia che al tempo dei Borboni, possedeva il marchesato di Pescara. È la più grande area verde della città, con più di 50 ettari di area protetta e contiene una notevole varietà di specie di flora e fauna, tipiche della macchia mediterranea.




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    Riserva Statale di Santa Filomena





    La Riserva naturale Pineta di Santa Filomena è una riserva naturale statale situata a nord della città e che, in parte, è ricompresa nel comune della limitrofa Montesilvano. Nella Riserva, che esiste dal 1977, esiste un ricovero per rapaci, gestito dalla Guardia forestale.
     
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    Musei

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    Ingresso del Museo d'arte Moderna



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    Museo casa natale Gabriele D'Annunzio

    È la casa natale del poeta, un edificio settecentesco, proprietà della famiglia D'Annunzio a partire dall'800, che fu dichiarato monumento nazionale nel 1927. Fu ristrutturato per l'apertura da Giancarlo Maroni, architetto fidato al Vate. Il museo, allestito al primo piano della casa, è composto da nove sale e conserva arredi, mobili d'epoca e oggetti della scrittore e della sua famiglia.

    Museo Villa Urania

    Aloggiato in una villa in stile Liberty, vi si possono ammirare numerose maioliche di Castelli realizzate dal '500 al '700. La collezzione è stata realizzata a partire dal 1950 ad opera di Raffaele Paparella Treccia, chirurgo ortopedico, e dalla moglie Margherita Devlet, che ne istituirono poi la Fondazione intitolata ai loro nomi e la donarono al Comune di Pescara. Oggi la mostra permanente è formata da circa 140 pezzi originali.

    Museo delle Genti d'Abruzzo

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    Il museo è ospitato nei locali rimasti della fortezza cinquesecentesca, unita ai Bagni Borbonici nel Settecento, e al tempo del Regno delle Due Sicilie, usato nel seminterrato come "bagno penale" per detenuti politici e patrioti abruzzesi. Oggi è custode di reperti e testimonianze della vita abruzzese, dalla Preistoria alla Rivoluzione Industriale.

    Museo d'arte moderna "Vittoria Colonna
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    Si tratta di un museo d'arte moderna alloggiato nel palazzo progettato dall'architetto Eugenio Montuori. È ricco di opere d'arte moderna ed è spesso sede di mostre temporanee.

    Museo Civico "Basilio Cascella"

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    Oggi ha sede nell'antico laboratorio della famiglia Cascella, poi trasformato in museo e raccoglie la maggioranza delle opere della famiglia.

    Mediamuseum

    Contiene una raccolta di locandine, articoli di giornale, foto, dipinti, pannelli e contenuti multimediali riguardanti il cinema e il teatro. Oltre a essere un museo, è anche una videoteca pubblica.

    Museo del Mare

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    Conserva diversi esemplari di tartarughe marine e una collezione di scheletri di cetacei del Mediterraneo, fra i quali un esemplare di capodoglio, e uno di balenottera comune
    Letteratura

    Autori celebri

    Con certezza, il più celebre degli scrittori nati a Pescara è Gabriele D'Annunzio, anche detto il "vate", che rappresenta uno dei massimi esponenti della letteratura e della cultura italiana a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento. D'Annunzio è sempre rimasto molto legato alla città cercando di favorirne le sorti con il suo peso politico; inoltre, l'ha sempre frequentata assiduamente, rimanendo fortemente affascinato dal carattere dei suoi abitanti.

    Altro personaggio di grandissimo rilievo per la cultura italiana è il pescarese Ennio Flaiano che nell'immediato dopo guerra ottenne un grande riscontro da parte della critica e del pubblico come scrittore (vincitore del Premio Strega 1947, Tempo di uccidere, la sua opera più importante e il suo unico romanzo). La sua produzione letteraria si è espressa con raccolte di racconti (molte della quali postume), di diari. Fine ed ironico moralista, ma anche acre e tragico al tempo stesso, produsse opere narrative e prose varie percorse da un'originale vena satirica e da un vivo senso del grottesco attraverso cui vengono colti gli aspetti più paradossali della realtà contemporanea. È famoso per l'uso degli aforismi. Flaiano è stato anche autore di teatro e sceneggiatore e soggettista cinematografico.

    Monumento dedicato ad Ennio Flaiano all'ingresso del centro storico

    Le novelle della Pescara

    D'Annunzio ha ambientato in quello che allora era il villaggio di Pescara e nella campagna circostante Le novelle della Pescara, pubblicato nel 1902, utilizzando anche alcuni testi già apparsi nelle raccolte Il libro delle vergini (1884) e San Pantaleone (1886). L'opera nasce come raccolta di canti, con temi diversi, che acquisiscono unitarietà proprio in relazione all'elemento caratterizzante che è il territorio. D'Annunzio descrive una terra abitata da persone impulsive, irruente ed, a volte, anche feroci: emozioni ed impulsi che trovano nel territorio la loro radice poiché D'Annunzio le riconduce ad un sentimento collettivo, in quanto condiviso da tutti gli abitanti dell'area.
    Altri romanzi

    * Giovanni Di Iacovo. Sushi Bar Sarajevo. Palomar, 2006. Si ambienta a Nova Pescara, in un futuro prossimo dove la città si affaccia su un Adriatico cementificato sul quale è edificata una nazione centro commerciale;
    * Giuseppe Ferrandino. Pericle il nero. Adelphi, 2002. Parte della storia si svolge a Pescara, dove Pericle incontra Nastasia, che lavora in città;
    * Luisa Gasbarri. Istinto naturale. Todaro, 2004. Romanzo noir che si svolge a Roma ed in una Pescara del futuro.

    Teatro



    Palazzo delle Poste Centrali

    In passato a Pescara vi era il Teatro Pomponi, uno splendido teatro di inizio costruito nel 1923, situato a piazza dell Rinascita, abbattutto nel 1962 in seguito ai danni subiti durante la Seconda guerra mondiale. Oggi mancano un teatro comunale, mentre la funzione di ente teatrale stabile è svolta dalla "Società del Teatro e della Musica", presieduta in passato anche da Ennio Flaiano; importante è anche il ruolo del "Florian Teatro Stabile d'Innovazione", attivo dal 1988 in città con la sua sede storica del Florian Espace, che è l'unica struttura esclusivamente teatrale. La città attende la realizzazione di un nuovo grande teatro che è in fase di realizzazione al posto del vecchio mattatoio, ma al momento, vengono usate alcune strutture polivalenti:

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    * L'Auditorium Flaiano;



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    * Teatro Michetti;



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    * Il cinema teatro Massimo;



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    obelisco


    * Il Teatro monumento Gabriele D'Annunzio (arena all'aperto);

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    * L'ex liquorificio dell'Aurum, che è stato restaurato di recente anche allo scopo di ospitare rappresentazioni e performance teatrali.





    Cucina


    La tradizione gastronomica pescarese è molto legata alla cucina marinara dell'adriatico ed alla tradizione culinaria abruzzese.

    La cucina marinara si caratterizza per l'uso di pesci di taglia piccola ma molto saporiti cucinati alla brace, in pentola o serviti crudi o marinati in aceto con l'aggiunta degli odori della cucina mediterranea. Tipica è la coda di rospo (o rana pescatrice) alla cacciatora e famoso è il brodetto di pesce che viene cucinato con tempi di cottura differenziata a seconda dei vari tipi di pesce a cui si aggiungono peperoncino fresco, aglio, pomodoro, odori da servire con fette di pane. Molto diffuso è anche il "fritto di paranza", ovvero una frittura mista di pesci di piccolo taglio- in genere, merluzzetti, triglie, sarde. Altro piatto tipico è il brodetto di cozze e vongole.

    I primi piatti si distinguono per l'uso di formati di pasta tipici dell'Abruzzo come i "maccheroni alla chitarra", la mugnaia, i ravioli, le "scrippelle" od il "timballo", accompagnati da sughi della tradizione in genere a base di salsa di pomodoro e carne di agnello o con brodi vegetali o di pollo. Tipico primo piatto dell'area del pescarese sono gli anellini alla pecoraia, una pasta a forma di anello servita con una salsa di pomodoro e vegetali vari a cui si aggiunge la ricotta di pecora. Eredità della cucina povera sono i piatti a base di legumi come le sagne(in dialetto "tajarille") servite con ceci o fagioli.
    Il parrozzo

    Le carni usate per cucinare sughi e secondi sono legate alla tradizione pastorale dell'Abruzzo: quindi sono molto usate le carni ovine. Come in tutto l'Abruzzo a Pescara sono tipici gli "arrosticini", spiedini di carne di pecora tagliata in piccoli pezzi che vengono serviti con fette di pane unte di olio. Molto usata è la carne di maiale ed è facile trovare nei mercati o per le strade i chioschi dove è possibile comprare della porchetta, piatto tipico abruzzese.

    Tra i dolci della tradizione cittadina spicca sicuramente il parrozzo, fatto con mandorle tritate, essenza di mandorla amara, buccia di limone e ricoperto di cioccolato fondente; famoso è il Parrozzo D'Amico celebrato anche da Gabriele D'Annunzio. Tipica, come in tutto l'Abruzzo e soprattutto nei periodi di festa, è anche la cicerchiata, che è un dolce a base di pasta di farina, uova, burro e zucchero. Da questa si ricavano palline di circa un centimetro di diametro che vengono fritte nell'olio d'oliva o nello strutto: scolate, vengono disposte "a mucchio" e ricoperte di miele. Altri dolci comuni sono i cacionetti ed i bocconotti.

    Altra pietanza tipica di Pescara è il fiadone, una sorta di raviolo rustico cotto in forno e fatto con uova e pecorino che può essere sia dolce che salato.

    Tra i molti liquori caratteristici della zona l'unico tipico di Pescara è l'Aurum, che è prodotto con acquavite e scorze di arancia.

    Nel pescarese, vengono coltivati interessanti vitigni che originano vini DOC come il Montepulciano d'Abruzzo, il Cerasuolo e il Trebbiano d'Abruzzo.




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    pescara vecchia

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    municipio

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    ponte sul mare

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    Roccamorice (520 m. s.l.m.)



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    Il pittoresco borgo medievale pedemontano di Roccamorice, situato su uno sperone roccioso ad una altitudine di 520 m. slm., ha una popolazione comunale di circa 1.000 abitanti ed è compreso nell'area del Parco Nazionale della Majella.

    La cittadina, antico feudo dei Valignani, conserva i suoi "tesori" fuori dal centro abitato. Nel territorio di Roccamorice si trovano, infatti, due tra i più famosi e suggestivi eremi d'Abruzzo: l'eremo di S. Spirito, probabilmente sorto prima dell'anno Mille, circondato dallo spettacolare scenario naturale dei monti della Majella, e l'eremo di S. Bartolomeo in Legio (XIII sec.), mimetizzato nella parete a strapiombo del vallone di S. Spirito. Entrambi gli eremi furono dimora, nel XIII sec., dell'umile eremita Pietro da Morrone, che divenne Papa con il nome di Celestino V.

    Un altro elemento che caratterizza il territorio di questa piccola località della provincia pescarese è la presenza di numerose capanne di pietra a secco, simili a "tholos", usate per il ricovero di greggi e pastori. Gli esempi più spettacolari di "tholos", circondati da stazzi recintati sempre con nuda pietra, si trovano in località Colle della Civita, lungo la ripida strada che conduce ai 1.995 m. della Majelletta.





    Santo Spirito a Maiella (Roccamorice)


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    L’eremo di Santo Spirito è sicuramente il più grande e famoso di tutta la Maiella, e anche se ha subito diverse trasformazioni nei secoli, mantiene ancora il fascino dovuto alla stupenda posizione nella valle omonima.
    Non esiste una data precisa della sua origine, anche se si suppone sia anteriore al Mille. La prima presenza a noi nota è quella di Desiderio, futuro Papa Vittore III, che vi dimorò nel 1053.


    San Pietro Celestino vi giunse nel 1246, e dopo aver costruito una chiesa dedicata allo Spirito Santo vi rimase, tra alterne vicende, fino al 1293 (circa 47 anni).
    Tra il 1310 e il 1317 vi fu abate il beato Roberto da Salle.
    Petrarca nominò questo eremo nel "De vita solitaria" definendolo come "uno dei luoghi più adatti all’ascesi spirituale".
    Nei due secoli successivi il monastero fu abbandonato e solo nel 1586, con il monaco Pietro Cantucci da Manfredonia, la vita religiosa riprese vigore; egli costruì la Scala Santa che porta all’oratorio di Santa Maria Maddalena.

    Negli ultimi anni del XVII secolo, il principe Caracciolo di San Buono, vi aggiunse un edificio a tre piani, la foresteria.
    Oggi Santo Spirito presenta la chiesa, la sagrestia e un ala abitativa distribuita su due piani. Attraverso un lungo corridoio che poggia su una parete rocciosa si giunge alla foresteria (o Casa del Principe) di recente restaurata. Dalla foresteria si sale la Scala Santa, interamente scavata nella montagna, fino a giungere all’oratorio della Maddalena e a due grandi balconate rocciose.

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    San Bartolomeo in Legio (Roccamorice)

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    Questo eremo, come S. Spirito a Maiella, fu costruito in un periodo anteriore al Mille e successivamente restaurato da Celestino V intorno al 1250 e da lui usato per le numerose quaresime a cui si sottoponeva.
    Nel 1274, dopo aver ottenuto il riconoscimento dell’ordine dei Fratelli di Santo Spirito, Fra Pietro vi si ritirò con alcuni discepoli e vi restò fino al 1276.

    L’eremo si trova sotto un costone roccioso che lo ricopre completamente.
    Al vero e proprio eremo si accede attraverso una scala scavata nella roccia, la "Scala Santa", che porta ad una balconata rocciosa alla fine della quale si trova la chiesa.

    Sulla facciata della chiesa vi sono affreschi malridotti che risalgono al periodo di Celestino V, mentre all’interno della chiesa si trova un semplice altare su cui è posta la statua lignea di S. Bartolomeo, e una sulla parete sinistra una vaschetta raccoglie una modesta risorgenza d’acqua che i devoti ritengono miracolosa.

    Ogni anno il 25 Agosto, dopo la messa che viene celebrata all’alba, molti pellegrini scendono all’eremo e portano in processione la statua del santo nella chiesa di Roccamorice, dove resta esposta fino al 9 Settembre, quando un nuovo pellegrinaggio la riporta all’eremo.


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    Il MONASTERO di
    SAN GIORGIO di Roccamorice

    A cura di Gianni Di Muzio


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    Nel 2003 il Comune di Roccamorice (PE) ha portato a termine la ristrutturazione muraria e del sito del Monastero e della chiesa di San Giorgio.

    La chiesa di S.Giorgio,annessa al Monastero,è la costruzione che più si è conservata nel tempo e i lavori di ripristino hanno conservato la struttura originaria del luogo di culto; mentre l’adiacente complesso Monastico aveva conservato solo alcune mura e pochi ruderi,comunque consolidati e ripuliti nel loro stato,con la eliminazione della vegetazione infestante …….

    Per l’occasione del consolidamento delle vecchie mura diroccate,il Comune ha costruito una strada carrozzabile,che scende dalla quota 542 di Pian delle Castagne di Roccamorice alla quota 480 dei ruderi del Monastero di San Giorgio……

    Anticamente il luogo era raggiungibile dai Monaci anche da Lettomanoppello (a piedi),e ancor oggi può essere un’interessante escursione……..che da quota 348 scende alla località Gesseto,attraversa e costeggia il Rio Lavino a quota 223,riattraversa il Rio più a monte (Fosso Cusano) e risale alla quota 480 di San Giorgio….

    Per il Monastero ,le cui origini non sono note,ma certamente antiche (……XIII secolo….) era stato scelto un sito in località molto boscosa (…..oggi molto meno….),sotto Pian delle Castagne di Roccamorice,tra il Fosso Cusano,un vero Canyon dove scorre il torrente Cusano,e il Fosso Sant’Angelo,altro Canyon (a quella curva di livello) e altro torrente…..

    I due corsi d’acqua affluiscono al Rio Lavino,nel Fosso omonimo,che passa sotto Lettomanoppello….

    Se la Bolla di conferma del Monastero di San Giorgio del 21 Marzo 1274,a firma di Gregorio X ,si riferisce a questo cenobio,allora a quei tempi il nome era S.Georgii de Piscaria,un Monastero di osservanza Celestino-maschile.

    Una precisazione va fatta dalla lettura del libro di Ugo Pietrantonio “Il Monachesimo Benedettino nell’Abruzzo e nel Molise”-Editrice Rocco Carabba-che a pag 269 cita il Monastero come ubicato a Roccamorice “nel versante di Pacentro proprio sotto S.Spirito a Majella”…..(Errata=Pacentro…..Corrige=Pescara….)

    Lo stesso Pietrantonio cita anche una Bolla del 22.3.1275 di Gregorio X ,nella quale il Monastero di S.Giorgio di Roccamorice appare dipendente da Santo Spirito a Majella e un’altra Bolla del 27.9.1294 dell’Ordine Celestino ,che lo elenca tra i propri possedimenti…..

    Non sappiamo l’epoca del decadimento del Monastero di San Giorgio,ma pare che nel XVI secolo aveva ancora il suo Priore…..mentre l’annessa chiesetta ha resistito fino ai nostri giorni…….

    Le immagini sono del 16 Marzo 2004………



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