GIANLUCA GRIGNANI

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  1. tomiva57
     
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    Campi Di Pop Corn


    GrignaniCampiPopCorn



    Recensione di:
    Totisque -debaser.it

    Un'onda che piano piano si forma, all'orizzonte, vistosa, grande ("Destinazione Paradiso"), s'infrange con irruenza, potenza e bellezza sulla riva di una spiaggia arida e deserta ("La fabbrica di plastica"), spumeggia e si avvicina delicatamente alla sabbia prossima al lungomare ("Campi di pop corn") e poi piano piano, lentamente, si ritira, senza lasciare (o quasi) traccia ("Sdraiato su una nuvola" e relativi seguiti).
    Così io rendo l'idea dell'ascesa del "Grigna" e della sua lenta discesa. Dai fasti di un buon album di musica leggera quale poteva essere "Destinazione Paradiso", alle accelerazioni e alle acide sonorità di quel bellissimo lavoro che è "La fabbrica di plastica" (tuttora, a mio parere, il suo miglior album), passando per questo strano ma comunque buono "Campi di pop corn". Poi "tutto il resto - come disse il Califfo - è noia".

    L'album del quale scrivo è innanzitutto diverso, sia come tematiche che come tipo di musica, da quello precedente. Se il Grignani spelacchiato del 1996 era un ragazzo che voleva spaccare la vetrina del suo negozio di giocattoli, frutto di una "Fabbrica di plastica" della quale, però, non si sentiva figlio, quello del 1998 è di nuovo capellone, un sognatore, un cantautore che sembra chiedere un'armistizio con la massa che aveva storto il naso nei confronti della sua improvvisa sbandata dopo "Destinazione Paradiso". Ciò pare evidente già dalla copertina e dal libretto (plastificato, patinato, dai colori intensi, differente dalla semplicità, da quella voluta povertà di dettagli e da quella stupenda carta riciclata dell'album precedente, che aveva stupito anche me), o da come è stato impostato il lavoro, che inizia forte per piacere ai fan e piano piano si va calmando. Come un temporale. Basta ascoltare per rendersene conto.
    "Baby revolution", hit single nonchè canzone di lancio dell'album, sembra in un primo momento ricordare "La fabbrica di plastica", ma già nel ritornello è più dolce e meno ruvida. Con "Campi di pop corn" e soprattutto con "La Canzone" si ritorna un po' al Grignani degli esordi, con quella malinconia che lo aveva contraddistinto nel panorama italiano. Ma è comunque un Gianluca sognatore, che parla quasi piangendo con la ragazza ideale, addormentatasi accanto a lui, o che sogna di camminare per prati bianchi di pop corn sostenuto dal vento "che lo aiuta a far tornare il sole". Voglia di normalità dopo la precedente sbandata musicale?. In seguito alla breve ma intensa parentesi "grunge" di "Dalla cucina al soggiorno", torniamo alla tristezza di "Marce 1/2", bella e melanconica ballata che tanto ricorda "Sally" di Vasco Rossi, l'idolo di tutta una vita (per sua stessa ammissione). Si torna nuovamente alla musica leggera "stile Destinazione Paradiso" con "Scusami se ti amo" e poi al rock con "Dio privato".

    La nuova immagine di Jocker tra realtà e fantasia si rivede in "Jocker" e soprattutto in "Candyman", in cui i richiami ai Radiohead più malinconici sono evidenti. In questa seconda parte l'album accusa una brusca frenata di creatività, nota dolente che si avverte in canzoni come "Mi piacerebbe sapere" (comunque molto orecchiabile) "Little man" e "Buongiorno guerra". Sembra quasi, in questo momento, che le idee del cantautore milanese siano venute meno. Forse strozzate? Mistero. Al di là di tutto ciò rimane un buon lavoro, ben suonato e ben cantato, anche se meno ispirato del prorompente secondo album. Infatti,chi si aspettava da Grignani una sorta di iperbole verso la sperimentazione, ne rimarrà deluso. Come scritto sopra, con e soprattutto dopo questo "Campi di pop corn", l'onda si ritira poco a poco. Seguiranno partecipazioni anonime ai miseri Festival di San Remo e album scialbi. Ciò che rimane è solo rimpianto. Rimpianto per quel che sarebbe potuto essere ma che si è poi rivelato solo un cromosoma impazzito.



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    da:wikipedia:

    Campi di popcorn è il terzo album di Gianluca Grignani, l'abum pubblicato nel 1998 presenta la vena più visionaria dell'artista, suoni sperimentali che seguono una vena tra Pink Floyd e Radiohead[senza fonte]. Considerato per la critica uno dei suoi più grandi capolavori[senza fonte], da sottolineare il sublime e personale uso delle chitarre interamente scritte e suonate dallo stesso autore[senza fonte].


    Tracce