VERDURE conosciamole

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL CARCIOFO



    bdd9a896d77ce69b76e0


    Originario del Medioriente, il carciofo selvatico ha costituito fin dall'antichità un prodotto importante per i fitoterapisti di Egizi e Greci, ma pare che altrettanto antico sia il suo impiego nella cucina. Già nel IV sec. a.C. era coltivato dagli Arabi che lo chiamavano "karshuf" (o kharshaf), da cui l'attuale termine.
    Nello stesso periodo Teofrasto nella "Storia delle piante" parla di "cardui pineae" che per caratteristiche di forma, proprietà e virtù sarebbero assimilabili ai nostri carciofi. L'uso di una qualche varietà di carciofo selvatico nella cucina romana è ricordata da Columella, che chiamandolo col nome latino di Cynara, conferma come a quel tempo si usasse consumare quella pianta sia a scopo medicinale che alimentare.
    Nel "De re coquinaria" di Apicio, si parla anche di cuori di cynara che, a quanto pare, i Romani apprezzavano lessati in acqua o vino.
    La coltivazione del carciofo da noi conosciuto venne introdotta in Europa dagli Arabi sin dal ‘300, ma notizie molto dettagliate sul suo sfruttamento risalgono al '400, quando dopo vari innesti, dalle zone di Napoli si diffuse prima in Toscana, e successivamente in molte altre regioni. Nella pittura rinascimentale italiana, il carciofo è rappresentato in diversi quadri: "L'ortolana" di Vincenzo Campi, "L'estate" e "Vertumnus" di Arcimboldo.
    Il carciofo dapprima non godette di un eccessivo favore culinario, tanto che ai primi del '500 Ariosto affermava: "durezza, spine e amaritudine molto più vi trovi che bontade". In quell'epoca, l’ortaggio iniziò comunque a comparire frequentemente nei trattati di cucina, dove si spiegava anche come trinciarlo, e la stessa regina Caterina de' Medici ne divenne una sua estimatrice.

    554ab5125a94a3287b



    La fama afrodisiaca del carciofo, derivante con molta probabilità dall’aspetto fallico, andò di pari passo con la sua diffusione, ed era già ben radicata nel 1557, se il Mattioli nei suoi “Discorsi” scrive: “la polpa dei carciofi cotti nel brodo di carne si mangia con pepe nella fine delle mense e con galanga per aumentare i venerei appetiti”.
    Un anno dopo il Felici concorda attestando che: “servono alla gola e volentieri a quelli che si dilettano de servire madonna Venere”.
    Riguardo alla preferenze dal modo di consumare i carciofi nel 1581 Montaigne durante il suo Grand Tour annota che: "in tutta Italia vi danno fave crude, piselli, mandorle verdi, e lasciano i carciofi pressoché crudi".
    La marcia trionfale di questa pianta non conobbe soste neppure nei secoli successivi, tanto che ai primi dell’Ottocento il grande gastronomo Grimod de La Reyniere decanta: “Il carciofo rende grandi servigi alla cucina: non si può quasi mai farne a meno, quando manca è una vera disgrazia. Dobbiamo aggiungere che è un cibo molto sano, nutriente, stomatico e leggermente afrodisiaco”.
    Ciò che distingue i diversi tipi di carciofo sono le spine che possono essere presenti o meno e il colore che può essere verde tendente al grigio o violetto. Oggi le varietà spinose più conosciute sono: i verdi della Liguria e di Palermo, e i violetti di Chioggia, Venezia e Sardegna. Un'ulteriore varietà di spinoso è quello di Toscana, di colore violaceo.
    Fra i non spinosi, invece, troviamo il cosiddetto Romanesco, comunemente conosciuto come mammola, quello di Paestum e di Catania.
    La massima produzione di carciofi l'abbiamo da novembre a giugno. Il requisito fondamentale del carciofo è la freschezza, quindi al momento dell'acquisto è bene scegliere carciofi pieni, sodi, con foglie dure e ben serrate.
    Quando li si acquista devono essere sodi e senza macchie. Preferire gli esemplari più piccoli con le punte ben chiuse. Il gambo deve essere duro e senza parti molli o ingiallite. Se il gambo è lungo ed ha ancora delle foglie attaccate, controllare che siano fresche.
    Per la conservazione si consiglia: se sono molto freschi ed hanno il gambo lungo di immergerli nell'acqua come si farebbe con i fiori freschi. Per riporli in frigo si devono togliere le foglie esterne più dure e il gambo; lavati e ben asciugati vanno messi in un sacchetto di plastica o un contenitore a chiusura ermetica: si conserveranno per almeno 5-6 giorni.
    Si possono anche congelare dopo averli puliti e sbollentati in acqua acidulata con succo di limone, lasciati raffreddare e sistemati in contenitori rigidi.
    Gustosi e versatili, questi ortaggi rappresentano una vera e propria miniera di principi attivi, utili sia per la digestione e la diuresi che per la cura della bellezza di viso, corpo e capelli.
    In cucina i carciofi molto teneri si possono mangiare anche crudi, mentre gli altri vengono preparati fritti, alla giudia, alla romanesca, insomma nei più svariati modi. Si ricordo inoltre che in molte regioni italiane c'è la grande tradizione di fare con i carciofi le conserve sott'aceto o sott'olio.




    b78bfe3a6bbebae37



    A livello mondiale, i Paesi in cui la coltivazione del carciofo è maggiormente diffusa sono l'Italia, la Spagna, la Francia, la Grecia, il Marocco, il Perù, il Cile, la California.
    La pianta del carciofo è originaria dei Paesi del bacino del Mediterraneo, probabilmente dall'Egitto e dall'Africa settentrionale. Il carciofo era conosciuto sia dagli antichi greci che dai romani, i quali attribuivano al carciofo poteri afrodisiaci. Tuttavia non è ancora ben chiaro se gli scritti greci e romani che citano questo ortaggio si riferissero propriamente alla pianta del carciofo o a quella del cardo da cui sembrerebbe derivare. Attualmente il carciofo è un prodotto tipico delle regioni del Mediterraneo. l'Italia, la Francia e la Spagna sono le maggiori produttrici di carciofo (assieme costituiscono l' 80% di tutta la produzione mondiale).
    Tra questi, al primo posto, svetta l'Italia: infatti, si calcola che circa il 50% di tutta la produzione mondiale di carciofo provenga dal nostro Paese.In Italia, le regioni in cui si é più grandemente propagata la coltivazione del carciofo sono il Lazio, la Toscana, la Sicilia, la Sardegna e la Puglia.
    Dall'Italia, dalla Francia e dalla Spagna la coltivazione del carciofo si è successivamente diffusa in altre zone del mondo che presentano condizioni climatiche simili a quelle del Mediterrraneo.
    La Sardegna, per le sue caratteristiche climatiche (calda la stagione estiva; mite la stagione invernale) è particolarmente vocata alla coltivazione del carciofo. Nell'isola sono coltivate le seguenti varietà di carciofo:
    carciofo spinoso sardo: coltivato nel medio campidano di Cagliari (Serramanna e Villasor), nel sulcis, nell'oristanese e nel sassarese.

    carciofo terom: coltivato nel medio campidano di Cagliari.

    carciofo violetto di provenza: coltivato nel medio campidano di Cagliari (Samassi,Serramanna e Villasor).

    carciofo tema: coltivato soprattutto nel medio campidano di Cagliari (Villasor,Serramanna,Samassi) e nella zona di Oristano.

    carciofo romanesco: coltivato nel medio campidano di Cagliari.
    A Serramanna, le prime carciofaie intensive, le cui produzioni erano destinate all'esportazione verso i mercati del nord Italia, furono impiantate intorno agli anni 50. Il carciofo che antecedentemente a quella data era coltivato esclusivamente per soddisfare il fabbisogno della famiglia, divenne, in breve tempo, una delle più importanti risorse di reddito dell'economia agricola del Campidano di Cagliari.
    Oggi il carciofo viaggia su mezzi gommati dotati di impianto frigorifero. Allora viaggiava esclusivamente sui vagoni dei treni, senza impianto di refrigeramento, e per raggiungere le varie destinazioni occorrevano anche più di tre giorni.
    Oggi gli imballaggi vengono pallettizzati e le operazioni di carico e scarico vengono agevolate e velocizzate dall'uso di carrelli elevatori.
    Negli anni 50, 60, 70, 80 ogni singola cassetta veniva caricata e scaricata nel e dal vagone ferroviario esclusivamente a mano.

    9482404288b359b



    Il carciofo (Cynara cardunculus vr. scolymus L.) è una pianta erbacea, poliennale, molto vigorosa che può raggiungere anche il metro e mezzo di altezza.
    Il carciofo appartiene alla famiglia delle Compositae (o Asteracee) e, come tale, presenta una infiorescenza a capolino: i suoi piccoli ma numerosi fiori di color azzurro lavanda, sembrano un solo fiore composto e sono riuniti in un ricettacolo comune retto da un unico gambo.
    La pianta del carciofo è caratterizzata da un fusto eretto, a sezione circolare, che, nel periodo della fioritura si dirama, e da ampie foglie raccolte in cespi, disposte in posizione alterna, incise da ben visibili nervature.
    La parte sotterranea della pianta del carciofo è costituita da un grosso e fibroso fusto allungato (detto rizoma) e da grosse radici laterali che si sviluppano sino a 60 cm di profondità.
    I carducci e gli ovoli sono gli organi di propagazione del carciofo; entrambi si sviluppano dalle gemme del rizoma.
    Il capolino, costituito da una parte basale del ricettacolo e dalle brattee, rappresenta la parte della pianta del carciofo che viene raccolta, quando è ancora ben chiusa, come ortaggio.
    La parte buona a mangiarsi del carciofo è costituita dal cosiddetto cuore (il ricettacolo in cui si inseriscono i fiori), dalle più tenere brattee interne, dalla parte basale delle brattee esterne, nonché, per alcune varietà come lo Spinoso sardo, dal peduncolo (il gambo) dell'infiorescenza.

    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:52
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    e5c14acac504d483



    Proprietà nutrizionali del carciofo.



    La parte edule del carciofo è costituita dal suo involucro embrionale difeso dalle brattee e dal peduncolo.
    Questa costituisce la parte più tenera della pianta,il cosiddetto cuore del carciofo ed è prevalentemente composta di acqua.
    Il gusto amarognolo e un po' aspro del carciofo è dovuto all'acido malico e tanico che esso contiene. Altri elementi costituenti il carciofo sono la cinarina ,il tannino, l'inulina, gli enzimi ( inulasi, invertasi,cinarasi, proteasi ), il cinaroside, lo scolinoside, gli acidi clorogenico e caffeico, la pectina, le vitamine A, B1, B2, PP e C, le proteine, i grassi, i carboidrati e i sali di potassio, calcio, magnesio, sodio, manganese, zinco e ferro, mentre è poverissimo di zuccheri. Il carciofo ha proprietà toniche, astringenti, diuretiche e depurative.
    Il carciofo è un grande alleato del nostro fegato, regolarizza le funzioni intestinali, ha proprietà antiarteriosclerotica e antianemica, aperitiva, ipocolesterolenizzante, ipoglicemizzante, lassativa, metabolizzante.
    Tuttavia, tutte queste proprietà benefiche sono ricavabili solo in minima quantità dalla parte edule del carciofo.
    Questo perché le sostanze benefiche (cinarina,tannini,ecc.) si trovano soprattutto nelle foglie.

    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:55
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    alcachofa



    Ode al carciofo
    (tratto dal libro "Le odi elementari")
    di Pablo Neruda (Premio Nobel per la Letteratura nel 1971)

    Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,
    ispida edificò una piccola cupola,
    si mantenne all'asciutto sotto le sue squame,
    vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono,
    divennero viticci,
    infiorescenze commoventi rizomi;
    sotterranea dormì la carota dai baffi rossi,
    la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,
    la verza si mise a provar gonne,
    l'origano a profumare il mondo,
    e il dolce carciofo lì nell'orto vestito da guerriero,
    brunito come bomba a mano,
    orgoglioso,
    e un bel giorno,
    a ranghi serrati,
    in grandi canestri di vimini,
    marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:
    la milizia.
    Nei filari mai fu così marziale come al mercato,
    gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi,
    file compatte,
    voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,
    ma allora arriva Maria col suo paniere,
    sceglie un carciofo,
    non lo teme,
    lo esamina,
    l'osserva contro luce come se fosse un uovo,
    lo compra,
    lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,
    con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,
    entrando in cucina,
    lo tuffa nella pentola.
    Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,
    poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta
    del suo cuore verde.



    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:57
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    LE VARIETA' COLTIVATE




    SPINOSO SARDO


    Carciofo-spinoso-di-sard


    In Sardegna, dal punto di vista prettamente economico, la coltivazione del carciofo (cynara scolimus) varietà spinoso sardo, è stata senza alcun dubbio la più importante e sino a qualche tempo fa anche la più remunerativa. Rimane, ancora oggi, la più antica tra tutte le varietà coltivate nell'isola.
    Il carciofo spinoso sardo è un ortaggio che si contraddistingue per il suo caratteristico gusto amarognolo, dovuta alla cinarina, un principio attivo naturale.
    Questa varietà di carciofo è tradizionalmente coltivata in Sardegna nel Campidano di Cagliari, nel Sulcis e nella provincia di Sassari.
    Il capolino è caratterizzato da una forma conica allungata, è provvisto di brattee di colorazione verde con accentuate sfumature bruno-violetto il cui apice termina con una spina gialla la cui puntura è molto dolorosa.
    Gli ultimi carciofi prodotti dalla pianta, i carciofini, sono ottimi per la preparazione dei carciofini sott'olio.


    Il carciofo spinoso è presente in molte ricette della cucina tradizionale sarda ( Agnello con carciofi, Carciofi fritti, Panada di carciofi, Carciofi alla bottarga, Carciofi alla brace ).
    Tuttavia, il vero intenditore sa che per gustare appieno il sapore di questo prelibato ortaggio occorre mangiarlo crudo: sfogliare ad una ad una le brattee e intingerne in olio extra vergine d'oliva insaporito con un pizzico di sale ed una spolveratina di pepe la parte basale, la più tenera. Gustare, condito allo stesso modo, il cuore del carciofo tagliato in quattro spicchi e privato dell'eventuale barbetta interna, ed il suo gambo preventivamente ripulito dai filini che lo rivestono.
    Per il suo alto contenuto in ferro, il carciofo gustato crudo lascia in bocca un particolare e caratteristico sapore, quasi metallico.




    TEMA


    carciofi_tema


    La varietà del carciofo tema (tema 2000) è stata costituita in Toscana, successivamente al Terom, negli anni '90, isolando le caratteristiche migliori del Terom e di altre varietà toscane.
    Per la sua alta resa in termini di produzione si è velocemente diffusa anche in Sardegna dove ha trovato condizioni pedoclimatiche assai favorevoli.
    Come già detto la varietà tema è molto produttiva e generalmente è in grado di dare due produzione annue: la prima precoce, da ottobre a dicembre, la seconda tardiva, successivamente alle gelate invernali, da febbraio ad aprile.
    Richiede terreni irrigui e per impiantarne un ettaro occorrono circa 7.000 piantine.


    La pianta del carciofo varietà tema è molto sensibile alle gelate e i capolini alla Botritis, una muffa che colpisce le brattee esterne in condizioni di elevata umidità.


    TEROM



    carciofo-violetto-terom


    La varietà del carciofo terom è stata selezionata in Toscana e introdotta in Sardegna negli anni '90, sostituendo completamente un'altra varietà, sempre toscana, già presente nell'isola, il " moretto ".
    Il carciofo terom è una varietà tardiva la cui produzione ha inizio in febbraio e termina a fine aprile. E' molto generosa nella produzione e dal punto di vista economico, sino ad oggi, ha risposto in maniera egregia..
    Richiede terreni irrigui e per impiantarne un ettaro occorrono circa 7.000 piantine.
    Questa varietà teme i ritorni di freddo che possono verificarsi nei mesi di marzo ed aprile.




    ROMANESCO

    carciofi_romaneschi-1024x683


    La coltivazione del carciofo romanesco è tipica del litorale laziale, ma in questi ultimi anni va diffondendosi con interessanti risultati anche in Sardegna ( Clone C3). Per ogni ettaro di coltivazione occorrono circa 7.000 piantine.
    La piantagione avviene interrando, a metà luglio, le piantine estirpate dalla pianta madre durante il periodo di riposo estivo.
    Il tempo della raccolta va da dicembre a maggio. Durante questo lasso di tempo ogni pianta produce dai 15 ai 20 carciofi commerciabili.
    La pianta, in coltivazione intensiva, produce con buona resa per 2 o 3 anni, dopodiché invecchia e non produce più in modo redditizio.
    Gli ultimi carciofi, i carciofini, sono ottimi per la preparazione di sottoli casalinghi. Raramente vengono raccolti per le industrie di trasformazione. Per questo tipo di lavorazione, infatti, vengono utilizzati, generalmente, altre varietà di carciofino, disponibili in maggiori quantità e, a parità di qualità, a prezzi più concorrenziali.



    Il romanesco è un carciofo assai apprezzato per le sue qualità: è privo di spine, è assai tenero e ha poco scarto. Il suo capolino è di forma sferica, compatto, un pò schiacciato.
    Chiamati anche " cimaroli " , " mammole " o " cardini ", nonostante, raggiungano diametri ben superiori ai dieci centimetri, i carciofi romaneschi custodiscono al loro interno un cuore assai tenero. Questo prelibato ortaggio, durante la cottura emana un caratteristico profumo ed il suo gusto delicato lo innalza a principe della tavola.
    In cucina, le ricette più note per assaporare questo gustoso ortaggio sono l'antica ricetta del "Carciofo alla Giudia" , di origine ebraica, e la variante del "Carciofo alla Romana".




    VIOLETTO


    cf093af5e67c13ca19b47c



    Il carciofo violetto, originario della Provenza, è stato introdotto in Sardegna negli anni '80, quando sostituì una varietà indigena abbastanza diffusa, il carciofo "masedu".
    La coltivazione del violetto è a "ciclo lungo" ed è molto generosa, soprattutto nei mesi di marzo-aprile, quando una pianta è in grado di produrre anche 10-12 capolini.
    Il capolino più apprezzato, soprattutto nel Lazio, è il primo che generalmente è emesso dalla pianta nel mese di dicembre.
    Tra la produzione del primo e del secondo capolino può intercorrere un lasso di tempo anche di 20 giorni, particolarità che non si verifica con le altre cultivar presenti in Sardegna le cui produzioni sono molto più concentrate.
    Per questo motivo si ha la tendenza ad impiantare anche oltre 10.000 piantine per ettaro, allo scopo di sfruttare al massimo, in termini economici, la commercializzazione del primo capolino, il più pregiato e richiesto.
    La coltivazione del carciofo violetto di Provenza richiede terreni irrigui.

    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 19:10
     
    Top
    .
  5. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    LA ZUCCA




    La zucca, appartiene alla famiglia delle Cucurbitacee, ed è molto varia per forma, fusto, colore e dimensioni del frutto e del seme.
    E’ originaria dell’America Centrale (Messico), infatti, con il pomodoro e la patata è diventato un ortaggio di importante valore alimentare dopo la scoperta dell’America.
    In botanica, le zucche si dividono in quattro categorie: Cucurbita maxima, Cucurbita moscata, Cucurbita pepo, Cucurbita melanosperma, o più semplicemente zucche da inverno e zucche da zucchini.

    Le zucche da inverno appartengono alle specie Cucurbita maxima (a turbante o ovoidali) e Cucurbita moscata (claviformi), ed hanno fusto rampicante.
    La Cucurbita maxima ha frutti sferoidali spessi molto grandi (può arrivare fino a 80kg), a buccia variamente colorata, polpa gialla, farinosa e dolce. A questa specie appartengono:
    - zucca a turbante: dal grosso frutto costituito da una cupola di colore scuro avente una calotta sporgente e costoluta di un colore rosso-arancio intenso. E’ largamente coltivata nell’Italia centrale e meridionale.
    - Zucca grigia di Bologna: ottima per preparare marmellate.
    - Zucca marina di Chioggia: ha un fusto molto lungo, frutto tondo e molto grosso schiacciato ai poli e dagli spicchi molto pronunciati di colore verde e polpa gialla-arancione.
    - Zucca gialla mammouth: con frutto enorme avente costole molto pronunciate e schiacciato ai poli, con polpa gialla dolciastra.

    La Cucurbita moscata ha frutto allungato, oblungo o cilindrico, più o meno curvato all’apice, buccia di colore verde scuro o arancione, polpa consistente di colore giallo-arancione dolce e tenera.
    A questa specie appartengono:
    - Zucca piena di Napoli: avente foglie verdi con chiazze grigie, frutto allungato e cilindrico con estremità ingrossata e appena ricurvo, e buccia gialla-rossastra con polpa gialla e dolce.

    La zucca da zucchini appartiene alla specie Cucurbita pepo L.(conosciuta anche come “Zucca d’Italia” o “Cocuzzella di Napoli”); ha aspetto cespuglioso e di essa si consumano i frutti appena formati e anche i fiori (ottimi impastellati e fritti).

    La Cucurbita melanosperma (o ficifoli) cresce allo stato spontaneo nell'Asia orientale, è originaria del Messico, ed è anche detta Zucca spaghetti in quanto la sua polpa, in cottura si spappola in filamenti che assomigliano ai capelli d'angelo, i quali si condiscono proprio come gli spaghetti.

    E' giusto menzionare anche le zucche ornamentali (specie Lagenaria), che a maturazione avvenuta risultano avere poca polpa ma durissima come la buccia, e se essiccate, risultano cave abbastanza da contenere dei liquidi; nei tempi antichi, infatti con queste zucche si ricavavano dei comodi contenitori per l’acqua o il vino.
    La polpa della zucca è poco calorica in quanto contiene un’alta concentrazione di acqua e una bassissima concentrazione di zuccheri. E’ inoltre ricca di fibre, di vitamina A e C e di betacarotene; contiene inoltre minerali come il potassio, il fosforo, il calcio.


    La zucca è comunemente usata nella nostra cucina: oltre alla polpa di zucca, se ne mangiano i fiori, e anche i semi, opportunamente salati.
    La zucca è un ortaggio che si presta a mille ricette: si consuma cucinata al forno, al vapore, nel risotto o nelle minestre, fritta nella pastella.
    Si accosta magnificamente con il burro, gli spinaci, i formaggi, la salsiccia, i funghi e i tartufi. E per chiudere in bellezza, ricordiamo i famosi tortelloni di zucca di pasta all'uovo.

    ■ Curiosità
    Quando acquistate una zucca è importante che il prodotto sia sodo e ben maturo: il picciolo deve essere morbido e ben attaccato alla zucca. La buccia deve essere priva di ammaccature e deve emettere un suono sordo se le si danno dei leggeri colpetti.
    Se comprate una zucca a pezzi, fate attenzione che il frutto sia ben maturo e sodo e che il pezzo tagliato non sia asciutto, e quindi che i semi siano umidi e scivolosi.
    La zucca intera può essere conservata in ambiente buio, fresco e asciutto anche per tutto l’inverno; la zucca in pezzi invece, si conserva in frigorifero, avvolta nella pellicola trasparente e va consumata velocemente poiché tende a disidratarsi. La sua polpa può essere anche congelata, meglio se preventivamente sbollentata.





    Come conservare le zucche

    Acquistata una zucca intera, la si può conservare per tutto l’inverno, in un ambiente buio, fresco e asciutto. Secondo la tradizione, le zucche andrebbero mangiate entro carnevale. I pezzi di zucca cruda, si conservano invece nel frigorifero, generalmente nello scomparto delle verdure, avvolti nella carta trasparente: in questo caso però, vanno consumate entro alcuni giorni poiché facilmente “si disidratano”. Se invece la si vuole conservare nel congelatore, si dovrà limare la buccia, tagliare la zucca a dadini e “sbollentarla” un po’, prima di congelarla.

    Le proprietà nutrizionali

    La zucca è in grado di “riempire” un intero menù, dall’antipasto al dolce, poiché molte sono le sue “virtù” ed ogni piatto risulterà quindi gustoso e salutare. Ecco le proprietà nutrizionali della zucca, riferite a 100 grammi di prodotto.

    Proprietà nutrizionali Quantità (100 gr. zucca)

    Proteine totali 0,60 gr
    Lipidi totali assenti
    Glucidi totali 3,40 gr
    Amido 0,70 gr
    Glucidi solubili 2,70 gr
    Energia 15,00 Kcal
    Fibra alimentare 1,30 gr
    Colesterolo Assente
    Calcio 20,00 mg
    Ferro 0,90 mg
    Sodio 1,00 mg
    Potassio 202,00 mg
    Fosforo 40,00 mg
    Vitamina B1 0,03 mg
    Vitamina B2 0,02 mg
    Vitamina A 599,00 mcg
    Vitamina PP 0,50 mg
    Vitamina C 9,00 mg



    Le proprietà della zucca

    Le proprietà della zucca sono diverse, a cominciare dalla polpa che contiene diversi principi attivi in particolare modo carotenoidi, ma anche mucillagini e sostanze pectiche. Anche i semi hanno la loro importanza perché in essi è possibile trovare fitosteroli, olii grassi, melene e fitolecitina. Inoltre dai semi di zucca freschi pestati si estrae un olio scuro mentre, tostati e salati, vengono serviti come “stuzzichini” insieme all’aperitivo. Essi hanno anche una funzione medicamentosa, infatti sono molto indicati per combattere la tenia echinococco (verme solitario). Questa proprietà deriva dalla cucurbitina (un amminoacido) che “paralizza” letteralmente il verme e ne provoca il distacco dalla parete intestinale. L'uso dei semi come vermifugo è da tempo conosciuto, generalmente ben tollerato e privo di controindicazioni. Ma non è solo questa la loro funzione positiva, infatti i semi della zucca sono anche in grado di alleviare le infiammazioni della pelle e di prevenire le disfunzioni delle vie urinarie. La polpa e il succo della zucca spesso vengono utilizzati come diuretici e gli specialisti consigliano di bere un bicchiere di succo la mattina a digiuno. Da essa inoltre si ricava un estratto che, mischiato al latte, è molto indicato per i disturbi gastrici e le patologie della prostata.

    La zucca in cosmesi

    Con la polpa della zucca si può preparare un’ottima maschera di bellezza, in grado di restituire tonicità e lucentezza alla pelle del viso. In che modo? Schiacciare una fettina di zucca cruda e un pugnetto di semi, mescolare il tutto con un po’ di miele, applicare l'impasto sul viso e lasciarlo in posa per qualche minuto: quasi miracolosamente tutti i tipi di pelle, specialmente quella grassa con i punti neri, risulteranno più puliti e levigati.

    La zucca in cucina

    Con la zucca si può veramente cucinare un pasto intero, dall’antipasto (tortini di zucca), al primo piatto, (i famosi tortelli di zucca) al contorno (è molto indicata ad esempio per accompagnare la carne di maiale), fino al dolce, dove viene utilizzata per la “tipica” torta americana molto nota con il nome di “pumpkin pie”. Il modo più “classico”per gustarla è di tagliarla a fette abbastanza spesse e sbollentarla nel forno al naturale, per poi condirla con una noce di burro e un po’ di sale.



    La zucca utilizzata come contenitore
    In ogni parte del mondo, la zucca viene utilizzata anche come contenitore: in Africa gli abitanti del luogo sono soliti fabbricare con le zucche cave, delle pipe ad acqua, dove il fumo prodotto dal piccolo braciere viene “indirizzato” tramite un cilindro di legno, nell'acqua contenuta in una zucca dopo aver praticato un foro nella parte superiore di essa, dal quale viene aspirato il fumo filtrato. Alcune varietà di zucche appartenenti alla specie Cucurbita Lagenaria, quando raggiungono la piena maturazione, hanno una buccia durissima e anticamente erano coltivate nelle campagne con il preciso scopo di ricavarne contenitori, borracce per vino o acqua, e perfino imbuti. Per questo motivo la Zucca Lagenaria viene anche detta “Zucca da vino”, poiché dopo essere stata essiccata, al suo interno presenta una cavità che può essere utilizzata per conservare o per trasportare queste bevande o altri liquidi. Le zucche più piccole, invece, dopo essere state essiccate e spaccate a metà, vengono utilizzate come cucchiaio o mestolo.
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Quelli di sempre
    Posts
    1,263
    Location
    napoli

    Status
    Offline
    è stato un piacere leggere.....davvero molto interessante :17.gif: Gabry
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted



    «Le zucche, che uolgarmente s'usano la state ne i cibi ,sono ditre
    sorti, lunghe cio è,tonde, e stiacciate. Ma non però se ben sono di
    forme diverse,sono diverse di natura: percioché (secondo che
    riferisce Columella, &Plinio al v capo del xviii libro) quelle forme
    nelle Zucche si possono fare co'lseme d'una sola zucca perche
    togliendosi ilseme del collo, nascon lunghe, prendendosi quel del
    corpo, nascon tonde:&seminandosi quel delfondo,sifanno piatte,
    &schiacciate,&molto atte, quando son secche, è tenerui dentro
    uino, olio,&altri liquori»
    [Andrea Matthioli, I discorsi neisei libri di Pedacio
    Dioscoride Anazarbeo,1557, pp. 273‐274]



    LA ZUCCA



    Con il termine zucca vengono identificati i frutti di diverse piante appartenenti alla famiglia delle Cucurbitaceae, in particolare alcune specie del genere Cucurbita (Cucurbita maxima, Cucurbita pepo e Cucurbita moschata) ma anche specie appartenenti ad altri generi come ad esempio la Lagenaria vulgaris o zucca ornamentale. La zucca è molto ricca di varietà, sia per quanto riguarda la forma, che per il colore. Le specie più note sono la Cucurbita maxima (zucca dolce) e la Cucurbita moschata (zucca torta o zucca pepona), da non confondere con la Cucurbita pepo, specie cui appartengono le comuni zucchine. Nella Cucurbita maxima il “frutto”, considerato la zucca per eccellenza, ha una forma voluminosa e appiattita in alto, caratterizzata da una spessa buccia verde solcata da striature longitudinali. Generalmente è di grandi dimensioni (può arrivare a pesare anche 80 kg), mentre la Cucurbita maxima presenta una polpa di colore giallo-arancio farinosa e dolciastra. La Cucurbita moschata invece, ha una forma allungata, cilindrica, un po’ “gonfia”all'estremità, è di colore verde/arancione, di dimensioni medie ed ha una polpa dolce e tenera.
    Le piante delle zucche sono vigorose, a fusti striscianti lunghi diversi metri o a portamento cespuglioso e fusto breve in varietà selezionate per la coltivazione in orti. Le foglie ed i piccioli sono ricoperti di ruvidi peli, i fiori sono grandi, di colore giallo intenso e di sesso diverso sulla stessa pianta; si riconoscono dal peduncolo che nei fiori maschili è assai più lungo; i fiori sono commestibili e oggetto di commercio, raccolti freschi e venduti a mazzi.

    Come insegnano alcune popolazioni primitive, la zucca è utile come recipiente: ancora oggi infatti, alcuni popoli dell’Africa equatoriale la usano per contenere il latte, sale e farinacei. I contadini sanno, da tempo, che non bisogna seminare i meloni vicino alle zucche, altrimenti perderanno il loro gusto originale e avranno quello della zucca. Alcune varietà, dalla forma talvolta strana, coloratissima e bitorzoluta, a forma di bottiglia. Sono amate dai pittori perche’ simbolo della pienezza della vita, della maturità e del sole.

    L’ origine del suo nome potrebbe derivare dal latino cocutia che significa testa; nel tempo il suo significato prima di arrivare al nome attuale zucca è stato trasformato da cocuzza a cozuccca (termine ancora utilizzato nelle lingue dialettali di alcune regioni meridionali).




    ...storia, miti e leggende...



    L’origine della zucca (Cucurbita maxima, moschata e pepo sono le varietà più coltivate) è controversa. Alcuni studiosi pensano che la zucca fosse conosciuta già nell’antichità ed abbia provenienza asiatica o africana; questo perchè sono state trovate delle citazioni di autori classici di quell’epoca che facevano riferimento nelle loro opere ad un particolare tipo di zucca, la Lagenaria. Altri credono, invece, che la zucca, così come il pomodoro e la patata, provengano dall’America Centrale; anche in questo caso esistono delle testimonianze che risalgono al Neolitico, secondo cui dei semi di zucca sarebbero stati ritrovati in alcune zone del Messico. A dar man forte a questa tesi, c’è il fatto che in questi Paesi, la zucca cresce ancora oggi in modo spontaneo.

    Plinio il Vecchio, che nella sua monumentale opera in 37 volumi Naturalis historia (Isec.) disserta ampiamente sulle zucche riferendosi a differenti varietà di Lagenaria vulgaris; egli sostiene che per l'uso alimentare le zucche sono tanto più pregiate quanto più sono lunghe e sottili, e per questo motivo sono più sane quelle cresciute sospese.

    Quest’ortaggio sembra fosse conosciuto e coltivato, in varietà diverse, dai popoli più antichi, tra cui gli Egizi, i Romani, gli Arabi e i Greci; questi popoli la importarono con molta probabilità dall’Asia Meridionale, più precisamente dall’India. La sua coltivazione non era solo scopo alimentare, gli antichi Romani una volta svuotata la polpa e fatta essiccare la utilizzavano come contenitore per il sale, latte o cereali.
    Ma sembrerebbe che la zucca fu conosciuta dagli europei solo dopo la conquista delle Americhe quando Cristoforo Colombo portò in Italia diverse varietà di zucca; né arrivano varietà più disparate e di tutti i tipi: bislunga o rotonda, grande o piccola, verde, gialla, striata, rossa. Tuttavia non godette affatto di ottimo prestigio e venne comunemente ritenuto un cibo della bassa plebe. La zucca inizialmente fu usata per sfamare il popolo contadino che col passare del tempo né ricavò sapientemente ricette prelibate. Le lunghe carestie fecero cadere i pregidizi sulle zucche e iniziarono a essere apprezzate anche dalle classi sociali più abbienti. Anche se inizialmente di quest’ortaggio colpì la sua stranezza, finalmente aveva attirato l’attenzione del palato. Ci si accorse, infatti, che la sua polpa, diventava ottima se preparata con condimenti e aromi giusti. Tantè che oggi si cucina in svariati modi, si può utilizzare per realizzare un primo o un secondo piatto e perché no anche per un dolce. (ricettezucca.com)



    Le zucche di Adriano - Le zucche pare siano state anche causa di funesti eventi,
    Lo storico Dione Cassio ci ha riportato che la causa delle sfortune del celebre architetto Apollodoro di Damasco furono proprio le zucche.
    Apollodoro fu un valente architetto di origini nabatee che fu già architetto di corte presso Traiano per poi alla sua morte esserlo del grande Adriano.
    Furono molte le opere progettate e realizzate da questo valido architetto: il Foro i Mercati a Roma le terme sul colle Oppio il porto di Ostia e molte altre.
    Dione Cassio ci riporta che fra Apollodoro e Adriano assolutamente non scorreva buon sangue avevano in fatto di architettura idee diametralmente opposte.
    Sempre il famoso storico ci narra che ancora quando l'architetto era alle dipendenze di Traiano avesse cacciato, l'allora giovane, Adriano che gli aveva sottoposto alcuni suoi progetti architettonici. Le critiche di Apollodoro ai progetti furono spietate: "Fuori dai piedi! - gli aveva detto - Va' un po' a disegnare le tue zucche altrove. Di architettura tu non hai mai capito niente!".
    Questo certo non fu dimenticato da colui che poi divenne imperatore di Roma, ne le parole... ne le zucche infatti proprio a Villa Adriana - ancora oggi - possiamo vedere queste cupole particolari nel Serapeo del Canopo e nel Vestibolo della Piazza d'Oro. Sì, cupole dalla forma molto peculiare ed originale, simile a un ombrello. Circa 1400 anni dopo un altro grande architetto fu conquistato dalla loro stranezza: Francesco Borromini, che si ricordò delle "zucche" di Adriano quando costruì il suo capolavoro, la chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza a Roma.
    Apollodoro invece non ammise l'originalità del progetto che tanto si discostava dai suoi canoni classici. Dopo pochi anni dalla sua salita al trono Adriano esiliò Apollodoro e secondo lo storico Dione Cassio nel 125 ne ordinò l'assassinio.
    (vampiri.net)

    Nell’antichità la zucca, con i suoi molti semi, fu considerata sia in Occidente che in Oriente simbolo di resurrezione dei morti; a testimonianza di ciò infatti nelle antiche tombe del Wurtenberg, una regione del sud ovest della Germania con capitale Stoccarda, sono state ritrovate noci, nocciole, zucche considerate un mezzo per l’ascesa al cielo. Infatti nella festa di Halloween, la notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre, è usanza svuotare le zucche, decorarle per farle sembrare delle teste mostruose e illuminarle dall’interno con un lumino, sistemarle sui davanzali per rappresentare l’arrivo dei morti nella notte che segna la fine dell’anno per i Celti, nel III secolo A.C.



    In ambito ecclesiastico la zucca fu utilizzata dagli studenti di Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, e in particolare da Antonio Vignali nella sua opera “cazzaria”, dove è riportato il fatto che le cose migliori, ovvero i semi celati all’interno della zucca, sono come le qualità dell’uomo semplice, cioè se ne stanno nascoste per bene. Tuttavia la zucca non è solo fonte di cose positive infatti è ispirazione di simboli ed emblemi negativi in quanto alla sua bellezza esteriore non corrisponde un altrettanto valore nutrizionale. Viene anche rappresentata come simbolo di brevità: Albrecht Durer nel suo San Girolamo nello studio l’ha dipinta come emblema della brevità della vita e della felicità, sulla base di una tradizione iconografica, in quanto la zucca in un brevissimo spazio di tempo diventa altissima e con la stessa rapidità perde vigore e cade a terra.

    La zucca è un frutto magico, leggendario: in passato, quelle giganti e vuote, venivano usate dai marinai come boe o come salvagente per inesperti nuotatori: nel Medioevo infatti, alcuni racconti descrivono come uomini e donne siano stati salvati dalla corrente di acque impetuose grazie a formidabili zucche.

    «La zucca è buona da mangiare,trita cruda,&impiastrata lenisce i tumori, e le posteme [pustole, ascessi]. Le mondature applicate in su la parte dinanzi della testa, giouano ne fanciulli alle infiammagioni de i pannicoli del ceruello. Impiastransi quell emedesme alle infiammagioni de gli occhi, e alle podagre [gotta]. II succo spremuto dall'emondature peste, e distillato perse solo, e con olio rosado [ottenuto macerando nell’olio di oliva i petali della rosa] nell'orecchie, gioua à i dolori di quelle. Giouamedesimamente ungendotene ne gli ardori delle calidissime febbri alle cotture della pelle. Il succo di tutta la zucca prima lessa, e poscia spremuta, aggiunto ui un poco di mele, e nitro, solue famigliarmente il corpo. Il uino, che si mette in una zucca fresca scauata, tenutoui dentro una notte al sereno, e poscia beuuto, lenisce il corpo»
    (Andrea Matthioli, 1557)




    Le proprietà della zucca sono diverse, a cominciare dalla polpa che contiene diversi principi attivi in particolare modo carotenoidi, ma anche mucillagini e sostanze pectiche. Anche i semi hanno la loro importanza perché in essi è possibile trovare fitosteroli, olii grassi, melene e fitolecitina. Inoltre dai semi di zucca freschi pestati si estrae un olio scuro mentre, tostati e salati, vengono serviti come “stuzzichini” insieme all’aperitivo. Essi hanno anche una funzione medicamentosa, infatti sono molto indicati per combattere la tenia echinococco. Questa proprietà deriva dalla cucurbitina (un amminoacido) che “paralizza” letteralmente il verme e ne provoca il distacco dalla parete intestinale. L'uso dei semi come vermifugo è da tempo conosciuto, generalmente ben tollerato e privo di controindicazioni. Ma non è solo questa la loro funzione positiva, infatti i semi della zucca sono anche in grado di alleviare le infiammazioni della pelle e di prevenire le disfunzioni delle vie urinarie. La polpa e il succo della zucca spesso vengono utilizzati come diuretici e gli specialisti consigliano di bere un bicchiere di succo la mattina a digiuno. Da essa inoltre si ricava un estratto che, mischiato al latte, è molto indicato per i disturbi gastrici e le patologie della prostata.

    Con la zucca si può veramente cucinare un pasto intero, dall’antipasto (tortini di zucca), al primo piatto, (i famosi tortelli di zucca) al contorno (è molto indicata ad esempio per accompagnare la carne di maiale), fino al dolce, dove viene utilizzata per la “tipica” torta americana molto nota con il nome di “pumpkin pie”. Il modo più “classico”per gustarla è di tagliarla a fette abbastanza spesse e sbollentarla nel forno al naturale, per poi condirla con una noce di burro e un po’ di sale.



    In ogni parte del mondo, la zucca viene utilizzata anche come contenitore: in Africa gli abitanti del luogo sono soliti fabbricare con le zucche cave, delle pipe ad acqua, dove il fumo prodotto dal piccolo braciere viene “indirizzato” tramite un cilindro di legno, nell'acqua contenuta in una zucca dopo aver praticato un foro nella parte superiore di essa, dal quale viene aspirato il fumo filtrato. Alcune varietà di zucche appartenenti alla specie Cucurbita Lagenaria, quando raggiungono la piena maturazione, hanno una buccia durissima e anticamente erano coltivate nelle campagne con il preciso scopo di ricavarne contenitori, borracce per vino o acqua, e perfino imbuti. Per questo motivo la Zucca Lagenaria viene anche detta “Zucca da vino”, poiché dopo essere stata essiccata, al suo interno presenta una cavità che può essere utilizzata per conservare o per trasportare queste bevande o altri liquidi. Le zucche più piccole, invece, dopo essere state essiccate e spaccate a metà, vengono utilizzate come cucchiaio o mestolo,o addirittura si ricavano piatti, ciotole, e i più fantasiosi persino uno strumento musicale, le maracas sudamericane.(.benessere.com)



    Una leggenda narra la storia di un uomo molto potente chiamato Iaia e della morte del suo unico figlio che venne seppellito in una zucca gigante posta ai piedi di una montagna. Dopo qualche tempo il padre tornò a fare visita alla tomba del figlio, ma aprendo la zucca del corpo non vi erano più tracce e al suo posto trovò dell’acqua con dei pesci che nuotavano dentro; spaventato da ciò, il padre richiuse la zucca e tornò al suo villaggio. Quattro fratelli che vivevano nella cittadina, convinti che all’interno della zucca fossero custoditi immensi tesori, decisero di rubarla, ma vennero colti in fragrante dallo stesso Iaia mentre la stavano sollevando. Spaventati dal suo arrivo lasciarono cadere la zucca che si ruppe in tanti pezzi e l’acqua che vi era all’interno fuoriuscì formando, secondo la leggenda, gli oceani e i mari. (leggenda dell'America centrale)

     
    Top
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Quelli di sempre
    Posts
    1,263
    Location
    napoli

    Status
    Offline
    Grazie Gabry

    Edited by gheagabry1 - 6/10/2019, 19:46
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    «...Entro i manipoli qua e là sparsi
    dei topinambùr lungo gli argini
    ogni lustro del giallo si fa intimo
    all'autunnale catarsi ..»
    (Andrea Zanzotto)

    IL TOPINAMBUR



    Il topinambur è detto anche rapa tedesca, tartufo di canna o carciofo di Gerusalemme. Il suo nome scientifico è Helianthus tuberosus (L., 1753), anche volgarizzato in Elianto tuberoso. E' una pianta appartenente alla grande famiglia delle Asteraceae. Il nome generico (Helianthus) deriva da due parole greche ”helios” (= sole) e ”anthos” (= fiore) in riferimento alla tendenza di alcune piante di questo genere a girare sempre il capolino verso il sole, comportamento noto come eliotropismo. Il nome specifico (tuberosus) indica una pianta perenne, il cui organo di sopravvivenza è un tubero. E' una pianta di origine americana, arrivata in Europa nei primi anni del ‘600 e diffusamente coltivata a scopo ornamentale e alimentare.
    È una pianta molto rustica, resistente, con grande facoltà riproduttiva e tendenza ad inselvatichire; quando introdotta in un ambiente favorevole, può diventare infestante; si possono vedere ai bordi delle strade e vicino a rigoli d’acqua.
    Gli steli emergono dal terreno ad aprile, crescono per tutta l’estate e fioriscono verso la fine di settembre; sono lunghi, robusti ed eretti, possono raggiungere una altezza che va dagli 80 ai 150 cm. La fioritura avviene a fine estate, con la comparsa di molti fiori giallo oro. I capolini di colore giallo acceso hanno un diametro che raggiunge i 9 cm. Terminata la fioritura la pianta si secca, ma in primavera dai tuberi nasceranno i nuovi getti.
    Le foglie hanno forme diverse mano a mano che ci si sposta dalla radice alla punta: quelle vicino al tubero sono cuoriformi, le superiori ovate, acuminate e seghettate. Sotto terra, verso la fine dell’estate, si sviluppano dei grossi tuberi di forma irregolare, talvolta bozzoluta ed arrotondata, talvolta allungata: i tuberi arrotondati hanno in genere una buccia piuttosto rossastra, mentre quella degli esemplari di forma oblunga è di solito giallastra. La parte interna, invece, è bianca. L’elianto raggiunge il suo massimo sviluppo ad autunno inoltrato: ogni pianta, se isolata, può produrre anche 4 chilogrammi di tuberi.
    L’elianto ha una caratteristica particolare: cresce anche in ambienti inquinati, dai quali assorbe non solo le sostanze nutritizie necessarie per la sua crescita ma anche le sostanze tossiche, bonificando il terreno. Un progetto in tal senso è stato proposto per risanare la Terra dei Fuochi: secondo Vito Pignatelli, infatti, vincitore dell’edizione 2014 del concorso “Dalla Natura alla Natura con Energia”, la coltivazione di particolari piante legnose a crescita rapida (salici, pioppi, robinie etc) e di vegetali erbacei – come il topinambur appunto – in grado di catturare gli inquinanti presenti nei terreni, potrebbe raggiungere il doppio obiettivo di “ripulire” la terra e di avere materia prima per gli impianti di produzione di biogas.

    Il topinambur è una buona fonte di vitamine, soprattutto vitamina A e alcune delle vitamine appartenenti al gruppo B, e di minerali, come il potassio, il magnesio, il ferro e il fosforo. È costituito per l’80% da acqua, proteine, carboidrati e fibre. È a basso contenuto calorico, molto ricco di carboidrati, soprattutto l’inulina, classificata tra i carboidrati indisponibili e che gli fornisce il tipico sapore dolciastro. L’inulina favorisce la digestione e riequilibra la flora intestinale. È una sostanza molto simile all’amido, non origina glucosio ma da fruttosio.
    Sembra inoltre che questo prodotto abbia la capacità di abbassare i livelli di zucchero e colesterolo assorbiti dall’intestino, per questo è indicato per i soggetti diabetici e per chi soffre di colesterolo alto.
    Il tubero è una forma particolare di “deposito” dei vegetali, ma in questa particolare pianta non c’è accumulo di amido, bensì di inulina, un carboidrato formato da una catena di molecole di fruttosio terminante con una di glucosio.
    Il topinambur non contiene glutine: la sua trasformazione in farina e la successiva introduzione nei pasti di bambini anche molto piccoli potrebbe essere utile sia per la regolarizzazione del transito intestinale sia per favorire il ripristino della normale flora batterica dopo cure antibiotiche.

    ...storia, miti e leggende...


    Pianta spontanea delle pianure canadesi e statunitensi nordorientali, era apprezzata dai nativi proprio per il gustoso tubero. E come nuovo alimento venne importato, dopo la scoperta dell’America, dai Francesi all’inizio del XVII secolo, riscuotendo ben più consensi della simile patata, che invece impiegò fino all’inizio del XVIII secolo per farsi apprezzare (in Irlanda). Tutti pazzi per la “patata selvatica”, al punto che noi Italiani la piantammo subito sia nell’Orto botanico di Padova – già attivo dal 1545 –, sia nel Giardino Farnese a Roma, da dove nel 1617 la trafugarono gli Inglesi per acclimatarla Oltremanica. La supremazia del topinambur durò appunto circa un secolo, poi la patata ebbe il sopravvento e la coltivazione della piccola poire de terre (pera di terra) venne abbandonata Oltralpe, mentre nel nostro Paese il “topinabò” resistette solo in Piemonte. Durante l'ultima guerra mondiale tuttavia, la carenza di prodotti petroliferi spinse la Francia a riprendere la coltura del topinambur, nella speranza di ricavarne alcol-carburante, ma in realtà oggi i tuberi sono destinati prevalentemente all’alimentazione.

    Nel XVI secolo, Samuel de Champlain – un esploratore francese – compì diversi viaggi nel Nuovo Mondo, esplorando la parte nord del continente americano. A lui dobbiamo, nel 1608, la fondazione della città di Québec, sulle rive del fiume San Lorenzo. Samuel de Champlain scoprì anche un lago, situato in una zona al confine tra Canada e Stati Uniti, tra lo Stato di New York ed il Vermont, a cui diede il suo nome, Lac de Champlain. Secondo i diari di viaggio dell’epoca, Samuel de Champlain scoprì questo particolare tubero a Cape Cod – ora nello Stato del Massachussetts – mentre stava setacciando la terra alla ricerca dell’oro ed ebbe modo di gustare le radici di questa pianta, che cresceva spontanea e la portò in Europa, dove era sconosciuta. Qualcuno sostiene che il topinambur sia stato in realtà osservato e descritto per la prima volta dal poeta-scrittore ed esploratore inglese Walter Raleigh, che lo scoprì nel 1585, nell’attuale Stato della Virginia.

    Leggenda vuole che il nome inglese di questo tubero, "Jerusalem artichoke" (letteralmente "carciofo di Gerusalemme") derivi da un doppio errore: dalla storpiatura della parola italiana "girasole" (Jerusalem), genere a cui appartiene il topinambur, e dal fatto che il gusto richiami vagamente quello del carciofo (artichoke). In realtà il topinambur non appartiene alla famiglia dei carciofi e non ha nulla a che fare con Gerusalemme.
    Anche il nome italiano "Topinambur" deriverebbe da un errore: si narra che nel 1613 alcuni esploratori del nuovo mondo portarono a Parigi diversi membri di una tribù che viveva in Brasile in epoca pre-coloniale, i Tupinambas (nome francesizzato in Topinamboux). Poichè i tuberi giunsero in Europa nello stesso periodo, furono associati a quella tribù, sebbene non siano originari del Brasile ma del Nord America.

    fonte www.topinampur.it, web
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    L'IGNAME



    L'Igname (Dioscorea), conosciuto anche come Yam, è un nome generico che si applica a diverse piante appartenenti ad una ventina di specie del genere 'Dioscorea', coltivate in tutte le regioni tropicali del globo a scopo alimentare, per via dei tuberi ricchi di amido. Si sviluppa principalmente nelle regioni tropicali e subtropicali dell'Africa, dell'Asia e dell'America; l'igname cinese è l'unica varietà che si sviluppa nelle zone temperate.
    La parola igname deriva dal portoghese inhame o dallo spagnolo ñame, entrambe derivate a loro volta dalla parola wolof nyam, che significa "campione" o "assaggiare". In altre lingue africane può anche assumere il significato di "mangiare".

    E' una liana che può raggiungere i 3 metri di lunghezza ed è conosciuta anche come “pianta del pane”. È un'erbacea perenne, volubile, con foglie opposte, cuoriformi-acuminate, i fiori bianchi formano dei grappoli ed emettono un gradevole e caratteristico profumo di cannella.
    Ha una radice che può pesare diversi chili, rappresenta un ingrediente base dell'alimentazione africana, caraibica e brasiliana. Il tubero può essere di forma rotonda o oblungo come la patata dolce. La sua polpa varia da bianco al giallo, all'avorio, al rosa, o al colore rosa brunastro. Secondo la varietà, la polpa dell'igname diventerà cremosa o rimarrà soda una volta cucinata. La pelle spessa può essere rugosa o lanuginosa e varia a colori da bianco a rosa o nero brunastro. Questo tubero può pesare fino a 20 kg e può misurare 50 cm di diametro. È simile nel gusto a determinate varietà della patata dolce, anche se è meno dolce e più terroso. E' uno degli alimenti più ampiamente consumati nel mondo.

    Fra e tante speci: la Dioscorea batatas Decais,della Cina e del Giappone, che fu introdotta anche in Europa, quando sembrava che la peronospora delle patate (Phytophthora infestans) dovesse distruggere le coltivazioni di questa solanacea; la D. alata L. o igname alata, originaria forse della Malesia e diffusa ormai in tutte le zone tropicali dell'Asia, Africa e America; la D. bulbifera L., originaria dell'India e propagata in Oceania, Africa e America; la D. prehensilis Benth., molto diffusa nell'Africa tropicale occidentale, ove costituisce un importante alimento degli indigeni; la D. trifida L. dell'America tropicale. In talune specie i tuberi freschi sono velenosi, ma il veleno (dioscoreina) si elimina col lavaggio o la cottura.

    Dell'igname non è conosciuto il paese d'origine, anche se gli scavi archeologici indicano che è stato coltivato perfino 10.000 anni fa in Africa ed in Asia orientale. È stato introdotto in Sud America in un periodo successivo.
    E' utilizzata da millenni nella medicina tradizionale Cinese e orientale in genere, ed è ritenuta tutt'ora “pianta sacra” per le sue molteplici qualità terapeutiche. Negli anni '20, W. Wacsmuth, uno stretto collaboratore di R. Steiner, portò i primi tuberi dalla Cina, dove si chiama Yam, e subito si iniziò la coltivazione a Dornach per moltiplicare la pianta il più possibile. R. Steiner si augurava che, negli anni a venire, la coltivazione della Yam sostituisse quella della Patata in tutta Europa e ribadì l'importanza della Yam anche in un colloquio alla fine del corso di Koberwitz svoltosi nel 1924.
    La seconda guerra mondiale interruppe la coltivazione della Yam e la pianta fu dimenticata fino agli anni 80 quando alcuni ricercatori trovarono dei tuberi ancora vitali in quelli che ora sono gli orti del Goetheanum. Fu così ripresa la coltivazione in Germania e dal 1990 la Yam è disponibile per il mercato tedesco fresca o trasformata in polvere da aggiungere agli alimenti.

    In alcuni paesi gl'indigeni tengono l'igname in grande considerazione, tanto che nel Dahomey esiste una festa speciale e nelle Isole Figi le diverse fasi della coltura e della raccolta servono di base a un calendario speciale diviso in 11 mesi. Presso alcune tribù africane la coltivazione dell'igname è ancora oggi rigorosamente riservata agli uomini. L'importante cerimonia, detta “abullu”, organizzata da un singolo individuo, prevede una partecipazione collettiva in cui si espongono gli ignami prodotti dal datore della festa, accatastati in ordine particolare e dipinti, in questa occasione vengono eseguiti particolari danze e canti, in quest'ultimi la melodia è obbligata, mentre le parole vengono improvvisate volta per volta, spesso sottolineando il legame tra la morte e la fertilità agraria.

    In cucina occorre pelarlo e immergerlo in acqua e limone o in aceto per evitare l'ossidazione a contatto con l'aria. Si consuma come la patata, anche se ha un tempo di cottura più rapido (da cinque a otto minuti, secondo dello spessore del taglio).
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...


    Il TARO


    La Colocasia esculenta è una pianta perenne, della famiglia delle Araceae comunemente conosciuta con il nome di origine polinesiana Taro. Il nome scientifico è un termine composto da “colon” e “caseina” derivante dall’arabo. Il nome riflette il fatto che la radice della pianta è una fonte di cibo, mentre il fiore può essere usato a scopo decorativo.
    E' il tubero che si presume sia originaria del Sud Est Asiatico. Cresce sia in un clima tropicale che nelle regioni temperate più calde, il suo habitat naturale è la foresta vergine. La sua coltivazione è diffusa in zone tropicali di tutti i continenti e rappresenta una base alimentare di particolare importanza per popolazioni sudamericane, africane o asiatiche e del Pacifico. Tra i principali produttori si annoverano, nell'ordine, la Nigeria, il Ghana, la Cina, la Cambogia, la Costa d'Avorio e la Papua Nuova Guinea e infine il Venezuela.
    La pianta può sviluppare fino a 2 metri di altezza ed è caratterizzata da foglie grandi e venuzzate, che possono arrivare a 60 cm di lunghezza e 40 di larghezza, da un colore verde pallido con robusti gambi. E' una delle piante più comuni del Pacifico. Ha dei tuberi simili alla patata, ed è comunemente coltivata per ricavare, dai suoi rizomi, farina e amido. In Italia è poco conosciuto come specie alimentare (le radici) mentre la pianta viene usata a scopi ornamentali con il nome volgare di "orecchie d'elefante" (a causa della forma delle grandi foglie.
    I tuberi hanno una pelle spessa brunastra e segnata ad anelli che è piuttosto robusta e pelosa. La polpa può essere bianca, color crema, o viola-grigio, a volte venato con il rosa o il marrone. Vi sono più di 100 varietà differenti. La forma è differente, alcuni sono oblunghi, assomigliando alla patata dolce, mentre altri sono arrotondati ed assomigliano al sedano rapa. Tendono ad essere più lisci e con la forma meno contorta che altri tuberi.

    Le foglie sono commestibili e sono note col nome di "callaloo" nelle regioni caraibiche.
    Il tubero è tossico se mangiato crudo, quindi è necessario quindi bollirlo prima di consumarlo. Bisogna avere molta attenzione a non toccarsi gli occhi perchè può causare forti irritazioni. La sua polpa bianca bollita è molto gustosa.
    La taro ha proprietà nutrizionali simili alla patata con le seguenti differenze: ha quantità più elevate di calcio, un quantitativo doppio di ferro, ma molta meno vitamina C. Secondo recenti ricerche i rizomi della taro sono un'importante fonte di amidi rispetto a tutti gli altri vegetali, anche per la dimensione stessa dei granuli di amido, 10 volte inferiori a quelli della patata, che rendono migliore la cottura e la digeribilità, è inoltre ricca di proteine vegetali, di vitamine del gruppo B e di potassio.

    ..storia..


    La coltura del taro è antica di circa 4.000 - 7.000 anni. Si pensa che la pianta del taro sia originaria delle regioni tropicali dell’Asia Sud-Orientale, comprese l’India orientale, Myanmar, la penisola malese e la Cina meridionale.
    Il Taro è uno dei più importanti vegetali di tutti i tempi per i Polinesiani. Viene coltivato da oltre 1000 anni ed è stato spesso l'unica risorsa alimentare durante le antiche migrazioni o nelle isole che offrivano poche risorse alimentari. Nei vari viaggi effettuati con le loro grandi canoe, i Polinesiani lo portavano sempre con loro sia come cibo, sia come vegetale commestibile da piantare per avviare nuove coltivazioni, insieme al cocco ed alla patata dolce.
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    LA PASTINACA



    La pastinaca (Pastinaca sativa L.) è una pianta biennale, coltivata come annuale, appartenente alla famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere)., assai vigorosa e frugale. Cresce spontaneamente in Europa e Italia. Il nome deriva dal latino pastus, che significa nutrire - nutrimento, e sativum,che significa coltivato. Il primo a descrivere e a classificare la specie fu Carl von Linné (Linneo). Cosa curiosa, la pastinaca ha assunto in Italia svariati nomi dialettali,viene infatti chiamata pastenaca, pastriciano cepobianco, fostenaja, frastenaca, frustinaga, pasticciona , patriciano, pastamacina, pistinega, vastunaga servaggia, solo per citarne alcuni. In Germania, dove viene ancora consumata in grandi quantità è detta Pastinake, nel mondo anglosassone parsnip, in Francia panais, in Spagna pastinaca, e in Russia pasternak.

    La pastinaca sviluppa una vegetazione non abbondante ma folta e vigorosa. Il cespo di foglie può raggiungere i 40 cm d’altezza e una larghezza di 15. E' caratterizzata da un fusto erbaceo, cavo e angoloso. Ha foglie riunite a rosetta, con un lungo picciolo violaceo alla base, ampie, pennate, pelosette, profondamente incise e composte di pochi segmenti ovali, irregolarmente dentati e di un bel verde lucente. Le piante fiorite sono inconfondibili per le eleganti ombrelle composte di fiori giallognoli; le ombrelle esterne sono sorrette da peduncoli lunghi rispetto a quelli che caratterizzano le ombrelle interne.
    La radice è fittonante, carnosa, biancastra o bianco-rosea con polpa aromatica. Al secondo anno emette uno stelo fiorale alto fino a 80 cm, ramificato, con fiori ermafroditi giallastri riuniti in ombrelle composte; il frutto è un diachenio con singoli acheni ellittici alati al margine; la fecondazione è generalmente entomofila. Le radici vengono impiegate in cucina analogamente alle carote o per l'alimentazione del bestiame. La sua coltivazione è diffusa in Gran Bretagna e Francia, poco in Italia. Ama particolarmente il freddo invernale, la radice si sviluppa in spessore se l’inverno è molto lungo e rigido.

    Si narra che l'imperatore Tiberio fece importare la pastinaca a Roma dalla Valle del Reno. Molto diffusa in tutta Europa durante il Medio Evo e il Rinascimento, la pastinaca era nota soprattutto come cibo dei poveri insieme alle patate, veniva consumata lessa o fritta, fatta fermentare per preparare bevande alcoliche o addirittura ridotta in purea come pappina per neonati. E' andata man mano a scomparire durante il Rinascimento, quando in Italia iniziò a diffondersi la patata. La pastinaca è poi sparita quasi completamente dalle nostre tavole nel XIX secolo. In cucina, può essere preparata al forno o fritta, proprio come le patate. Può essere impiegata per preparare zuppe e vellutate, da sola o accompagnata da altri ortaggi come le stesse carote o la zucca.

    La pastinaca è in grado di stimolare la digestione. Ricca di fibre, vitamina K e potassio, è utile per febbre, raffreddore, ritenzione idrica e affezioni dell’apparato gastrointestinale

    Pestanaca di S. Ippazio



    Nel Basso Salento (Tricase, Tiggiano, Specchia) si coltiva invece la pestanaca di S.Ippazio. La pestanaca di S. ippazio non appartiene al genere Pastinaca, ma è una carota a radice lunga: Daucus carota L. var. sativus cultivar "Santu Pati". Bellissima, con colori che vanno, a seconda della purezza e della maturazione, dal giallo chiaro al viola scuro. È croccante e molto fragile, ha gusto fresco e succoso ed è l'unica carota conosciuta ad aver conservato la capacità di produrre cianidine.
    Spesso viene consumata bollita con aceto; essendo più dura e flessibile della carota arancione, è leggermente meno facile consumarla cruda, e non si presta come ingrediente per altre pietanze più complesse. Per questo è sempre più rara e poco commercializzata.


    .
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    I CHIACCHIETEGLI

    03d5e69395

    Un’infiorescenza di un bel colore viola. E’ questo il segno distintivo dei «chiacchietegli» di Priverno, in provincia di Latina, in prossimità del fiume Amaseno. Parenti dei broccoletti dal sapore delicato, sono un ecotipo di rapa locale e appartengono alla famiglia delle Brassicacee .

    L’origine di questo ortaggio è sconosciuta, i produttori della zona si sono tramandati la semente e la tradizione di padre in figlio: ogni anno in estate fanno la semina in semenzaio e poi il successivo trapianto in campo. Prima di Natale spuntano i primi germogli ricchi di gemme fiorali e di colore viola, particolari anche perché radi e molto ramificati. La raccolta inizia tra fine gennaio e inizio febbraio: dapprima si effettua una cimatura sull’infiorescenza centrale, poi la pianta emette germogli laterali che devono essere raccolti prima della fioritura.
    I germogli sono raccolti in modo scalare fino a Pasqua: devono essere staccati via via che se ne formano di nuovi. Si tratta di un’operazione simile alla cosiddetta “scacchiatura” della vite: i cacchi o chiacchi sono i germogli e il nome chiacchietegli trarrebbe origine da questa similitudine.

    59c8d729846411aabd0870d

    I contadini privernati producevano questi ortaggi sia per il consumo familiare sia per la vendita nel mercato rionale di Piazza Trieste e nel mercato all’ingrosso dell’Osteria-Madonna del Pozzillo. Si cucinano come i broccoletti e cucinati così sono uno dei contorni più prelibati della gastronomia privernate. Ma vengono utilizzati anche nella preparazione di una tipica zuppa locale. Durante la cottura, tirano fuori un liquido dalla caratteristica colorazione bluastra. Anche la «zuppa di chiacchietegli», come gli stessi ortaggi, rischia di scomparire. E’ un piatto povero della tradizione contadina che in passato ha sfamato intere generazioni di privernati.

    I germogli dei broccoletti si conservano sott’olio o si mangiano freschi, cucinati in numerosi piatti del territorio e, in particolare, nella tradizionale zuppa di chiacchietegli. Per cucinarla, si usa una pentola di terracotta (pignatta), si prepara un soffritto con aglio e olio (fino alla fine degli anni ’50 al posto dell’olio, molte famiglie utilizzavano il battuto di lardo) e quindi si aggiungono i chiacchietegli privati della base dell’infiorescenza, spesso coriacea. Quando sono cotti, si versa il tutto su fette di pane raffermo, accompagnando con olio extravergine di oliva itrana, cultivar locale.



    www.fondazioneslowfood.com/ - www.taccuinistorici.it/

    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:41
     
    Top
    .
29 replies since 12/10/2010, 01:06   3354 views
  Share  
.