Paul Newman

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    Paul Leonard Newman (Shaker Heights, 26 gennaio 1925) è un attore, regista e produttore cinematografico statunitense.

    Biografia


    Cresciuto nei pressi di Cleveland da padre ebreo, figlio di emigranti europei e proprietario di un grande negozio di articoli sportivi, e madre ungherese. Si arruolò, appena dopo la High School nella Naval Air Corp sperando di diventare pilota, ma un problema alla vista glielo impedì; durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nel Pacifico del sud come radio-operatore.

    Nella ripresa economica del dopoguerra, si occupò della gestione della ditta paterna; nel 1949 sposò Jackie Witte e decise di perseguire la carriera cinematografica; dal matrimonio nacquero tre figli, ma l'unico maschio, Scott, morì nel 1978 per overdose.

    Dopo aver frequentato per meno di un anno la scuola d'arte drammatica della Yale University, si iscrisse all'Actor's Studio di New York e debuttò nel 1953 in teatro a Broadway in Picnic.

    Il 1954 segnò il suo esordio cinematografico ne Il calice d'argento, un insuccesso clamoroso, seguito però, due anni più tardi, dal trionfo per la grande interpretazione del pugile Rocky Graziano in Lassù qualcuno mi ama che lo illustrò all'attenzione di critica e pubblico.

    Nel 1958 convolò in seconde nozze con l'attrice Joanne Woodward dalla quale ebbe tre figlie e con la quale è tutt'ora sposato.

    A cavallo degli anni '60 fu protagonista di alcuni fra i più grandi successi della storia di Hollywood (La gatta sul tetto che scotta, Lo spaccone, Hud il selvaggio, Intrigo a Stoccolma, Il sipario strappato, Nick mano fredda, Butch Cassidy, La stangata) diventandone una delle stelle più famose di sempre.

    Vinse l'Oscar nel 1986 con Il colore dei soldi, premio che tra l'altro non ritirò personalmente perché non presenziò alla cerimonia viste le numerose volte in cui era stato candidato e mai premiato.

    Una sua grande passione sono le corse automobilistiche: nel 1979 partecipò alla 24 ore di Le Mans con la sua Porsche arrivando secondo.

    Ha fondato la "Newman's own", un'azienda alimentare specializzata in produzioni biologiche i cui ricavati vengono devoluti in beneficenza a scopi umanitari ed educativi.

    Nella versione originale del film Cars uscito nella sale italiane il 23 agosto 2006, è la voce di Doc Hudson, una Hudson Hornet del 1951.

    Il 25 maggio 2007 l'attore ha dichiarato in un'intervista alla rete televisiva ABC la sua decisione di ritirarsi dalle scene, considerandosi troppo vecchio per continuare a recitare.[1]

    Gli è stato diagnosticato un cancro ai polmoni al Sloan-Kettering Cancer Center di New York, uno dei maggiori centri negli Usa per la lotta ai tumori; l'attore dice che tutto procede bene.




    filmografia


    Attore:

    * Il calice d'argento (The Silver Chalice), regia di Victor Saville (1954)
    * Lassù qualcuno mi ama (Somebody Up There Likes Me), regia di Robert Wise (1956)
    * Supplizio (The Rack), regia di Arnold Laven (1956)
    * Quando l'amore è romanzo (The Helen Morgan Story), regia di Michael Curtiz (1957)
    * Quattro donne aspettano (Until They Sail), regia di Robert Wise (1957)
    * La lunga estate calda (The Long, Hot Summer), regia di Martin Ritt (1958)
    * Furia selvaggia (The Left Handed Gun), regia di Arthur Penn (1958)
    * La gatta sul tetto che scotta (Cat on a Hot Tin Roof), regia di Richard Brooks (1958)
    * Missili in giardino (Rally 'Round the Flag, Boys!), regia di Leo McCarey (1958)
    * I segreti di Filadelfia (The Young Philadelphians), regia di Vincent Sherman (1959)
    * Dalla terrazza (From the Terrace), regia di Mark Robson (1960)
    * Exodus (Exodus), regia di Otto Preminger (1960)
    * Lo spaccone (The Hustler), regia di Robert Rossen (1961)
    * Paris Blues (Paris Blues), regia di Martin Ritt (1961)
    * La dolce ala della giovinezza (Sweet Bird of Youth), regia di Richard Brooks (1962)
    * Le avventure di un giovane (Hemingway's Adventures of a Young Man), regia di Martin Ritt (1962)
    * Hud il selvaggio (Hud), regia di Martin Ritt (1963)
    * Il mio amore con Samantha (A New Kind of Love), regia di Melville Shavelson (1963)
    * Intrigo a Stoccolma (The Prize), regia di Mark Robson (1963)
    * La signora e i suoi mariti (What a Way to Go!), regia di J. Lee Thompson (1964)
    * L'oltraggio (The Outrage), regia di Martin Ritt (1964)
    * Lady L (Lady L), regia di Peter Ustinov (1965)
    * Detective's story (Harper), regia di Jack Smight (1966)
    * Il sipario strappato (Torn Curtain), regia di Alfred Hitchcock (1966)
    * Hombre (Hombre), regia di Martin Ritt (1967)
    * Nick mano fredda (Cool Hand Luke), regia di Stuart Rosenberg (1967)
    * Guerra, amore e fuga (The Secret War of Harry Frigg), regia di Jack Smight (1968)
    * Indianapolis pista infernale (Winning), regia di James Goldstone (1969)
    * Butch Cassidy (Butch Cassidy and the Sundance Kid), regia di George Roy Hill (1969)
    * Un uomo oggi (WUSA), regia di Stuart Rosenberg (1970)
    * Sfida senza paura (Sometimes a Great Notion), regia di Paul Newman (1971)
    * Per una manciata di soldi (Pocket Money), regia di Stuart Rosenberg (1972)
    * L'uomo dai sette capestri (The Life and Times of Judge Roy Bean), regia di John Huston (1972)
    * L'agente speciale MacKintosh (The MacKintosh Man), regia di John Huston (1973)
    * La stangata (The Sting), regia di George Roy Hill (1973)
    * L'inferno di cristallo (The Towering Inferno), regia di John Guillermin e Irwin Allen (1974)

    * Buffalo Bill e gli indiani (Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull's History Lesson), regia di Robert Altman (1976)
    * Colpo secco (Slap Shot), regia di George Roy Hill (1977)
    * Quintet (Quintet), regia di Robert Altman (1979)
    * Ormai non c'è più scampo (When Time Ran Out...), regia di James Goldstone (1980)
    * Bronx 41mo distretto di polizia (Fort Apache the Bronx), regia di Daniel Petrie (1981)
    * Diritto di cronaca (Absence of Malice), regia di Sydney Pollack (1981)
    * Il verdetto (The Verdict), regia di Sidney Lumet (1982)
    * Harry & Son (Harry & Son), regia di Paul Newman (1984)
    * Il colore dei soldi (The Color of Money), regia di Martin Scorsese (1986)
    * L'ombra di mille soli (Fat Man and Little Boy), regia di Roland Joffé (1989)
    * Scandalo Blaze (Blaze), regia di Ron Shelton (1989)
    * Mr. & Mrs. Bridge (Mr. & Mrs. Bridge), regia di James Ivory (1990)
    * Mister Hula Hoop (The Hudsucker Proxy), regia di Ethan Coen e Joel Coen (1994)
    * La vita a modo mio (Nobody's Fool), regia di Robert Benton (1994)
    * Twilight (Twilight), regia di Robert Benton (1998)
    * Le parole che non ti ho detto (Message in a Bottle), regia di Luis Mandoki (1999)
    * Per amore... dei soldi (Where the Money Is), regia di Marek Kanievska (2000)
    * Era mio padre (Road to Perdition), regia di Sam Mendes (2002)

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    Regista

    * La prima volta di Jennifer (Rachel, Rachel) (1968)
    * Sfida senza paura (Sometimes a Great Notion) (1971)
    * Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilde (The Effect of Gamma Rays on Man-in-the-Moon Marigolds) (1972)
    * Harry & Son (Harry & Son) (1984)
    * Lo zoo di vetro (The Glass Menagerie) (1987)


    Doppiatori

    La voce storica di Paul Newman è quella di Giuseppe Rinaldi, che lo ha doppiato sin dagli inizi e per quasi tutta la sua filmografia. In altri film l'attore è stato doppiato da

    * Giancarlo Maestri in: Nick mano fredda, L'uomo dai sette capestri
    * Pino Locchi in: Butch Cassidy
    * Gigi Proietti in: Buffalo Bill e gli indiani
    * Marcello Tusco in: Quintet
    * Oreste Rizzini in: Ormai non c'è più scampo, Il verdetto
    * Michele Kalamera in: Mr. & Mrs. Bridge
    * Carlo Sabatini in: Twilight
    * Cesare Barbetti in: Le parole che non ti ho detto, Per amore... dei soldi, Cars - Motori ruggenti

    Curiosità

    In un suo film del 1970 ("La carrera mexicana") l'attore indossava un Rolex ref.6239 in acciaio col quadrante che poi diverrà il celebre ROLEX DAYTONA "PAUL NEWMAN". Il valore medio di questo orologio si aggira attualmente sui 50.000 € ed è molto ricercato e voluto tra i collezionisti del mondo.
     
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    Paul Newman: la vita a modo mio


    L’impressione è che, nei tanti ritratti di questi giorni, i lineamenti di Newman emergano per opposizione e contrasto, più che per luce diretta. Forse, si è trattato dell’attore più universale e completo della sua generazione. Probabilmente di tutto il cinema americano. E proprio questa universalità contribuisce a renderne sfuggente, “indefinibile” la figura. Noi spettatori proviamo a coglierne i contorni e a intuirne i limiti. Ma sappiamo, in cuor nostro, che se avesse voluto, Paul ci avrebbe condotti per mano sempre più in là, un passo oltre.

    Ammettiamolo. Siamo in colpevole ritardo. Di fronte alla scomparsa di Paul Newman, ci siamo comportati come quelli che ai funerali non si mostrano, non mandano fiori e, men che meno, fanno opere di bene. Ci siamo messi in disparte, a pensare se e quanto quell’attore fosse stato importante nel nostro immaginario, quanta parte avesse avuto nei nostri pensieri, nelle nostre emozioni, nelle lacrime di spettatori, che sempre e comunque sono un riflesso delle nostre ansie di uomini. In silenzio ci siamo fermati a guardarlo, ancora una volta, e abbiamo provato a scorgerne i tratti nelle parole degli altri, nelle manifestazioni di affetto e dolore che gli hanno dedicato. E’ strano. Non sempre l’abbiamo riconosciuto. L’impressione è che, tranne in alcuni casi (Roberto Silvestri su “Il Manifesto”), nei ritratti di questi giorni, i lineamenti di Newman non si disegnino netti, vivi, ma si delineino come in negativo, in controluce, emergano per opposizione e contrasto, più che per luce diretta. Come se il senso profondo del suo ruolo nel cinema e nell’immaginario non possa essere colto, se non attraverso un paragone costante con altri attori, il cui segno distintivo appare più netto. Marlon Brando e James Dean, prima di tutti, figure ingombranti a cui Newman fu accostato immediatamente, a partire da quel Lassù qualcuno mi ama. Era il 1956. Il trentunenne Newman aveva esordito due anni prima, nel polpettone in costume Il calice d’argento, dopo un apprendistato all’Actor’s Studio, che a Broadway gli aveva già fruttato il ruolo di primo piano nella messa in scena di Picnic. Ora, dismessi i costumi d’epoca e indossati gli “scomodi” guantoni di Rocky Graziano, Newman mostra gli inequivocabili segni, i tic, le nevrosi del metodo Strasberg. Più che normale, dunque, il paragone con le altre star cresciute all’Actor’s Studio. E dalle rigidità del “metodo” Newman non riuscirà a liberarsi neanche nei film successivi, per altro bellissimi: Furia selvaggia, straordinaria interpretazione psicologica che Arthur Penn dà della storia e del mito di Billy the Kid, La gatta sul tetto che scotta, cupa e dolorosa trasposizione di Richard Brooks della pièce di Tennessee Williams, La lunga estate calda, altra infuocata (nel vero senso della parola) lettura di Faulkner ad opera di un regista non propriamente allineato come Martin Ritt. Paradossalmente, quanto più l’interpretazioni di Newman si fanno efficaci, potenti, tanto più si palesa il suo debito nei confronti di una “scuola” e di uno stile di recitazione. L’attore Newman sembra sempre più “indefinibile” nella sua personalità unica. Il 1961 è un anno fondamentale. S’intuisce il principio di una svolta, che prenderà forma e sostanza lungo tutto l’arco del decennio. E’ quello l’anno di The Hustler, del fragile, splendido spaccone Eddie Felson, della sua sfida ossessiva contro Minnesota Fats, ma soprattutto contro i fantasmi della mediocrità e del fallimento. C’è ancora la “maniera”, ma grazie all’asciuttezza quasi noir di Robert Rossen, l’interpretazione di Newman per gran parte sembra spogliarsi delle incrostazioni di uno stile recitativo che, se da un lato ha fatto epoca, dall’altro ha fagocitato il cinema americano. La tensione, il nervosismo del personaggio, la fragilità ritornano sotto pelle, nei muscoli, nei movimenti e nelle posizioni del corpo, che non risponde più tanto agli automatismi di un “metodo”, ma sembra animato da una compenetrazione totale, naturale tra l’attore e il personaggio. Newman è davvero Eddie Felson e il dramma dello spaccone sembra essere la cifra della sfida dell’interprete: il desiderio vitale d’affermazione, l’ansia di rivendicare lo spazio della propria autenticità e autonomia.
    Ecco…chiunque parli di Newman è d’accordo su un punto, innegabile: la bellezza. Newman era il più bello di tutti, e non ci frega nulla se sembra sciocco dirlo. La sua era una bellezza impagabile, classica, universale, apollinea. Viene in mente solo un altro attore in grado di reggere il confronto (e qua cediamo anche noi alla tentazione dei paragoni): Alain Delon. Due personaggi dalla vita privata quasi opposta e dalla recitazione estremamente differente: immedesimazione, sensibilità, humor, tensione esplosiva per l’americano, asciuttezza, rigore, un’emotività tutta sotto pelle, fisicità atletica, un corpo che si fa macchina e cuore per il francese. Eppure due personaggi in un certo modo simili, sempre protesi ad esprimere qualcos’altro che non fosse il proprio lineamento perfetto. La bellezza più che un dono, è una responsabilità che si sconta o prima o dopo. Può diventare una prigione da cui liberarsi. Newman e Delon non appartengono alla categoria dei belli e dannati, di quelli che bruciano in un istante la meraviglia di cui sono fatti. In loro, invece, si avverte il lavoro, la fatica di un professionismo ostinatamente ricercato, anche con contraddizioni, fissazioni, ma senza mai indulgere troppo agli isterismi da star e alla pose da divi. Newman il professionista non si tira indietro di fronte a nulla e per tutti gli anni ’60 e ’70 colleziona una galleria di personaggi di una ricchezza e varietà difficilmente eguagliabili. Ha i suoi registi di riferimento, Martin Ritt e Stuart Rosenberg, che lo spingono a confrontarsi con i generi. Ritt lo dirige in una serie di western atipici, psicologici come Hud il selvaggio (1963), L’oltraggio (1964), Hombre (1967); Rosenberg gli apre le strade del poliziesco con Detective’s Story (1966) e Detective Harper: acqua alla gola (1975), gli fa affrontare il carcere in Nick mano fredda (1967), ne esplora le potenzialità più comiche in un western stralunato come Per una manciata di soldi (1972). Newman frequenta autori opposti per visione del cinema e del mondo, va da Il sipario strappato (1966) di Alfred Hitchcock al delirante L’uomo dai sette capestri di John Huston/John Milius (1972). Ma si tratta pur sempre di un’autorialità che ha ben chiare l’esigenze dello spettacolo, a cui Newman non si tirerà mai indietro. Anzi, proprio il titolo più puramente spettacolare della sua carriera, L’inferno di cristallo (1974) di John Guillermin, sembra segnare il compimento di una parabola. Il confronto con Steve McQueen, un attore solo in apparenza antitetico, è il punto di arrivo dell’arco di trasformazione del’interprete, che rinuncia del tutto ai parametri e fardelli del metodo per portare all’estreme conseguenze quella che, sin dagli incontri di boxe di Lassù qualcuno mi ama, è sempre stata una traccia sotterranea delle sue caratteristiche attoriali: quella recitazione fisica, materica, in cui la psicologia è tutta movimenti e azione. D’altro canto l’approccio di Newman con lo show business è sempre più complesso e problematico, come dimostra l’incontro con il cinema di George Roy Hill, sempre a metà tra spettacolo, politica e rilettura dei generi (Butch Cassidy, La stangata, il fantastico e dimenticato Colpo secco), con la parodia irriverente e metalinguistica di Mel Brooks (L’ultima follia di Mel Brooks, 1976). Sino ad arrivare al Robert Altman più caustico di Buffalo Bill e gli indiani (1976), tentativo radicale di svelare la crisi della Storia come meccanismo narrativo che risponde alla menzogna delle coordinate spettacolari. In anni in cui i codici del cinema americano vengono sottoposti a un ripensamento profondo e a uno stravolgimento sistematico, Newman si pone sempre a metà tra il mainstream e la critica al sistema. La sua è una posizione di “cerniera” che svela i punti di contatto e di frizione tra due modalità di fare e vedere il cinema. Una strategia di mediazione che può sembrare di convenienza, ma che in realtà si rivela di pragmatica intelligenza e di non pacifica attuazione, come dimostra il malcelato ostracismo di Hollywood, che gli ha negato l’Oscar per decenni. Una strategia che si riflette in prove da regista assolutamente non conciliatorie e fuori da coordinate sicure (La prima volta di Jennifer, l’incompreso Sfida senza paura, Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilde, il doloroso Harry & Son). E che si traduce, tra l’altro, in scelte di vita concrete come l’appoggio alla causa democratica del senatore Eugene McCarthy contro Nixon o la fondazione Newman’s Own, che riutilizza in opere di beneficienza i ricavi delle sue attività commerciali. Da un lato, quindi, si sfrutta l’esposizione mediatica del personaggio, il merchandising, dall’altro si ridisegnano le finalità dell’economia della società dello spettacolo: una partecipazione sociale attiva che sarà un modello per le star delle generazioni successive. Dentro e fuori, sempre...ed è proprio questo faticoso ruolo di insider/outsider che fa di Paul Newman l’attore più universale e completo della sua generazione e, forse, del cinema americano tutto. Un attore capace di non lasciarsi imprigionare nelle gabbie di un ruolo, di uno stile, di un genere, e di non restare schiacciato in quell’assurda, logorante coincidenza tra pubblico e privato, tra personaggio e professionista che sembra la condanna di ogni star. Una voglia di rimettersi sempre in gioco, che è indice di versatilità e umiltà, e di cui danno ulteriore prova le interpretazioni degli ultimi due decenni di carriera: dal poliziotto disilluso ma incapace di arrendersi dell’incredibile Bronx, 41º distretto di polizia (1981) di al vecchio impunito di La vita a modo mio (1994) di Robert Benton, dall’avvocato in cerca di un ultimo riscatto ne Il verdetto (1982) di Lumet al vecchio padre, tenero e solitario, di Le parole che non ti ho detto (1999) di Louis Mandoki, sino ad arrivare al tragico patriarca gangster di Era mio padre (nessuno ha azzardato paragoni col Vito Corleone di Brando? Come mai?). Ragionando per ipotesi, o per assurdo se si vuole, non ci avrebbe meravigliato vederlo nel più sputtanato dei blockbuster come, al contrario, nel più dolente e incendiario dei film di Peckinpah (e del resto nel finale di Butch Cassidy non si coglie già una consonanza ideale con il massacro di The Wild Bunch?). E, forse, proprio questa universalità e completezza contribuiscono a rendere oggi sfuggente, “indefinibile”, la figura di Newman. Paradossalmente. Noi spettatori proviamo a coglierne i contorni e a intuirne i limiti. Ma sappiamo, in cuor nostro, che se avesse voluto, Paul ci avrebbe condotti per mano sempre più in là, un passo oltre…




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    Addio agli occhi blu più celebri di Hollywood: è morto, all’età di 83 anni, l’attore Paul Newman. Malato da tempo di cancro ai polmoni, lo scorso 31 luglio Newman aveva deciso di lasciare l’ospedale Medical Center di New York, per trascorrere a casa gli ultimi giorni di vita. A darne notizia in Italia, Vincenzo Manes, presidente della fondazione Dynamo Camp di Limestre di Pistoia, che fa parte dell’organizzazione internazionale di solidarietà voluta dall’attore, notizie poi confermata dalla sua portavoce Marni Tomljanovic.

    Quella di Newman è stata un’esistenza indimenticabile, vissuta intensamente dentro e fuori dal set. Nato il 26 gennaio 1925 a Shaker Heights, Ohio, Paul è figlio di un commerciante di origini europee e di un’ungherese. Sognava di fare il pilota, infatti ancora giovanissimo si arruola nella Naval Air Corp. Ma un problema alla vista gli impedisce di realizzare il suo sogno. Nel 1949 sposa Jackie Witte. Dal matrimonio nascono tre figli, ma l’unico maschio, Scott, muore nel 1978 per overdose.

    È intorno ai primi anni ’50 che nasce in Paul il desiderio di intraprendere la carriera di attore. Dopo aver frequentato per meno di un anno la scuola d’arte drammatica della Yale University, Paul si iscrive all’Actor’s Studio di New York e, nel 1953, debutta in un teatro a Broadway con "Picnic", opera resa famosa dall’omonimo film. L’esordio cinematografico avviene l’anno successivo con "Il calice d’argento", che però non si rivela un successo, tanto che il The New Yorker scrive: «Recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali».



    Quelli dell’esordio di Newaman sono gli anni d’oro di Hollywood, gli anni di attori belli, dannati e osannati da pubblico e critica, primo fra tutti Marlon Brando con il suo "Fronte del porto". Per Paul non è facile affermarsi ed entrare a far parte dello star system. Ma dietro la tragedia della prematura morte di James Dean, si nasconde l’occasione della sua vita: l’attore viene infatti chiamato per interpretare il ruolo del pugile italo-americano Rocky Graziano, in "Lassù qualcuno mi ama". È il 1956 e la pellicola si rivela da subito un grande successo di pubblico e critica.

    Nel frattempo, il matrimonio con la Witte naufraga, e nel 1958 Paul sposa l’attrice Joanne Woodward conosciuta sul set di "La lunga estate calda". Con lei Newman trascorre il resto della vita e dall’unione nascono tre figlie. Nel 1961 compie il grande passo e decide di cimentarsi dietro la macchina da presa con il cortometraggio "On the harmfulness of tobacco". Il suo debutto alla regia avviene con "La prima volta di Jennifer", nel quale recita anche la moglie Joanne. La carriera da regista prosegue con "Sfida senza paura" del 1971, "Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilde" del 1972, "Harry & son" del 1984, in ricordo del figlio Scott, e "Lo zoo di vetro" del 1987.



    Il 1986 segna una tappa fondamentale per Newman attore. Finalmente, l'Accademy si accorge di lui e gli assegna l’Oscar per l’interpretazione in "Il colore dei soldi" di Martin Scorsese, nel quale è affiancato da un giovane Tom Cruise, mentre è nel corso del decennio successivo che arriva la svolta del Newman uomo. Nei primi annì Novanta fonda la Newman’s own, azienda alimentare specializzata in produzioni biologiche, i cui ricavati vengono devoluti in beneficenza. Per le sue iniziative solidali, l’attore nel 1993 riceve anche il premio Jean hersholt Humanitarian dall’Accademy.

    Ma non è solo l’Accademy ad accorgersi del talento fuori e dentro il set di Paul: ben 36 sono i premi che colleziona in giro per il mondo e 47 le nomination all'Oscar. E Newman non rinuncia neppure ad un ruolo da sex symbol: nel corso degli anni è apparso spesso nelle hit parade della celebrità più fascinose, come in quella della prestigiosa rivista britannica "Empire", che lo classifica al diciannovesimo posto tra le superstar di tutti i tempi.

    L’indimenticabile classe e talento di Paul si ritrovano in numerose pellicole, dai capolavori "La gatta sul tetto che scotta" del 1958, con Elizabeth Taylor, oppure "La stangata" del 1973, con Robert Redford, fino agli ultimi successi come "Le parole che non ti ho detto" del 1998, con Kevin Costner, ed "Era mio padre" del 2003, con Tom Hanks. Sebbene anziano la sua presenza fa ancora la differenza, ed è all’insegna del sorriso che conclude la sua carriera: nel 2006 partecipa come doppiatore nel cartoon "Cars".

    Con lui scompare così uno degli ultimi appartenenti all’olimpo di Hollywoood: non solo attore ma anche regista, uomo impegnato socialmente, nonchè sogno proibito di milioni di donne in tutto il mondo. In parte grazie ai suoi indimenticabili occhi blu, suo vero e proprio "marchio di fabbrica", al quale probabilmente Newman avrebbe anche rinunciato: «Mi piacerebbe che la gente pensasse che in me c’è uno spirito che compie azioni, un cuore e un talento che non arriva dai miei occhi blu».


    27 settembre 2008
    La stampa



    «Un altro che mi è sembrato sereno, e bello da perdere la testa, è Paul Newman [...] ha occhi come il mare, ed è un mare nel quale ti viene veramente voglia di tuffarti. »
    (Claudia Cardinale)

    Vorrei ricordarlo con le sue stesse parole :
    «I’d like to be remembered as a guy who tried — tried to be part of his times, tried to help people communicate with one another, tried to find some decency in his own life, tried to extend himself as a human being. Someone who isn’t complacent, who doesn’t cop out.» (cit. in The Films of Paul Newman (1971) by Lawrence J. Quirk)


    Non era l’eroe del distacco, l’eroe dell’addio che travolge tanti cuori di ragazze e li lascia sul margine della carreggiata per proseguire oltre. Paul Newman era l’eroe della distanza. La sua comprensione passa dalla figura del felino che non si lascia avvicinare, e tanto più chiaro appare nel film La gatta sul tetto che scotta, dove Liz Taylor, invece, è la gatta delle carezze e degli strusciamenti. Lei si accosta quasi indifferente, in sottoveste, dicendogli che il vecchio suo padre prova una grande ammirazione per la bellezza della nuora, al che lui reagisce con schifo e lei, di rimando:”Col tempo stai diventando sempre più bacchettone”. Sembrava un profezia: col tempo si allungò sul personaggio di Paul Newman un’ombra di moralismo, un’ombra fredda che ce lo rende ancora più prezioso nella sua icona erotica, inaccostabile.

    Il volto di Paul Newman si modella sul calco della statua greca che nessuna ferita riesce a deturpare, e anche quando appare scalfito, la bellezza vi resta, forse ancora più accentuata. Nick mano fredda contuso dai pugni nel penitenziario e Rocky Graziano di Lassù qualcuno mi ama, che torna a casa sempre con un occhio nero e fa spaventare la moglie, sono personaggi che lo esaltarono nella bellezza forse più di quanto lui stesso avrebbe desiderato. Perchè anche nella vita era schivo e fece di tutto per restarlo.

    Per questo si accampa sul suo volto l’eros vergine, la proibizione del contatto, l’aria di chi guarda sempre al di là, che non si piega a bere da nessun calice, che ti ricorda sempre un altro dovere, un’altra urgenza.
    Essex, il cacciatore di foche in Quintet di Altman, porta in braccio il cadavere della moglie incinta, uccisa da un ordigno primitivo, e lo adagia sull’acqua, affidandolo alla corrente che lo porterà via, in salvo dal morso dei cani neri che si nutrono di cadaveri. Questo è stato il suo più bel ruolo di amante casto, perchè riassumeva in sè un’arcaicità che gli si addiceva: una mitologia del gesto sacrale e circospetto.

    da La linea dell’occhio 60



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    1956, Paul Newman insieme al pugile Rocky Marciano sul set di 'Lassù qualcuno mi ama', film che lanciò l'attore dagli occhi azzurri nell'Olimpo di Hollywood




    Con Pier Angeli in 'Lassù qualcuno mi ama'. L'attrice italiana ebbe una grande storia d'amore con James Dean, originario protagonista del film. I genitori di lei si opposero duramente alla relazione. Lei dovette sposare un altro, e si suicidò nel '71




    1958, Paul Newman sposa l'attrice Joanne Woodward. I due sono ancora oggi una delle coppie più durature di Hollywood. Newman era già stato sposato con Jackie Witte




    Paul Newman e Sophia Loren in 'Lady L.' di Peter Ustinov (1965)

     
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    "Recitare consiste nell’ assorbire le personalità di altre persone e nell’ aggiungervi parte della propria esperienza."
    >Paul Newman<





     
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    Nato il 26 gennaio del 1925, l'attore è morto nel 2008. 60 film e due Oscar. Difficile da immaginare, ma una leggenda di Hollywood piena di fascino come Paul Newman (avrebbe compiuto il 26 gennaio 90 anni. Occhi azzurri e tanta autoironia, l'attore (e regista), morto il 26 settembre 2008, ha attraversato la sua lunga carriera (60 film e due Oscar) con quella naturale disinvoltura che lo ha reso credibile nel ruolo di un pugile come in quello di un indiano bianco allevato dai pellerossa (HOMBRE). E tutto questo in un'epoca in cui doveva confrontarsi con dei super-miti già affermati come Marlon Brando e James Dean.

    Nato il 26 gennaio del 1925 a Shaker Heights (Ohio) da una famiglia di americani di seconda generazione - suo padre di origine ebraico-tedesca e sua madre di famiglia ungherese di fede cattolica - Newman nel 1943 aveva già fatto qualche esperienza di recitazione in alcune compagnie teatrali dell'Illinois e Wisconsin. Non manca all'appuntamento con la seconda Guerra Mondiale decidendo di arruolarsi in Marina. Ma per lui non ci sarà prima linea: a causa del suo daltonismo dovrà accontentarsi di un più tranquillo ruolo amministrativo. Finita la guerra conclude l'università, laureandosi in Scienze nel '49, anno del suo primo e fallimentare matrimonio con Jackie Witte, dalla quale avrà tre figli; il più piccolo dei quali, Scott, morirà per overdose nel 1978. Sempre nel '49 muore suo padre e così l'attore rileva e gestisce per un breve periodo il negozio di articoli sportivi di proprietà della famiglia. Nel 1951 si iscrive alla 'Yale School of Drama'. Comincia ad aggiudicarsi alcuni ruoli di un certo interesse sia in tv che in teatro, dove conosce quella che diventerà la sua seconda moglie: l'attrice Joanne Woodward che sposerà nel 1958, dalla quale avrà tre figli. Allo stesso tempo, per perfezionare la sua recitazione, si iscrive all' 'Actor Studio'. Il vero battesimo d'attore arriva con la versione teatrale del film PICNIC. Proprio per questo ruolo viene notato dalla Warner Bros che decide di lanciarlo, ma con un contratto iniziale di soli 17.500 dollari a film.

    Arriva cosi' il suo primo film IL CALICE D'ARGENTO (1954) di Victor Saville, discutibile kolossal epico-religioso che fu letteralmente stroncato dalla critica e di cui l'attore ancora si vergogna. Andrà molto meglio con il secondo lungometraggio che e' anche il suo primo successo cinematografico. Newman interpreta infatti il pugile Rocky Graziano nel film LASSU' QUALCUNO MI AMA (1956) di Robert Wise (un ruolo in realtà che doveva essere di James Dean nel frattempo morto in un incidente d'auto).

    Nel 1961 compie il grande passo e decide di cimentarsi dietro la macchina da presa con il cortometraggio ON THE HARMFULNESS OF TOBACCO; il suo primo vero film da regista e' invece LA PRIMA VOLTA DI JENNIFER in cui dirige la moglie. E' ancora dietro la macchina da presa per SFIDA SENZA PAURA (1971), GLI EFFETTI DEI RAGGI GAMMA SUI FIORI DI MATILDE (1972) e LO ZOO DI VETRO (1987).

    Dopo sette nomination, nel 1986 vince un Oscar onorario ''per le sue molte e memorabili interpretazioni sullo schermo, per la sua integrità personale e per la sua dedizione all'arte''. L'anno successivo viene premiato con l'Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione nel film di Martin Scorsese, IL COLORE DEI SOLDI. Nel 1993 riceve il premio 'Jean hersholt Humanitaria' dall'Accademy per le sue iniziative benefiche. Nel 1994 gli Academy Awards gli assegnano poi il 'Jean Hersholt Humanitarian Award', cui seguono altre due candidature tra cui la prima, nel 2003, come miglior attore non protagonista per ERA MIO PADRE (2002) di Sam Mendes.

    La classe di Paul Newman la si ritrova in numerosissime pellicole, da quei capolavori che sono LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA di Richard Brooks (1958) con Elizabeth Taylor, suo primo incontro con il drammaturgo americano Tennesee Williams con cui si sarebbe confrontato poi ne LA DOLCE CASA DELLA GIOVINEZZA (1961), e in film di culto come LA STANGATA (1973) in accoppiata con Robert Redford. Per molti la vera anima di questo attore sta però in un lavoro del 1961 come LO SPACCONE nel personaggio di un giocatore di biliardo rampante quanto cinico e indifeso.

    Un ruolo che gli sarebbe stato proposto 25 anni dopo da Martin Scorsese ne IL COLORE DEI SOLDI dove torna a fare un Eddie Falson invecchiato, ma ancora più disincantato, e maestro di biliardo di un impacciato Tom Cruise (allora solo promettente attore).

    Tra i tanti titoli vanno ricordati la pellicola diretta da Alfred Hitchcock, IL SIPARIO STRAPPATO (1966), e i due fortunatissimi lavori in coppia con Robert Redford, i cult movie BUTCH CASSIDY (1969) e LA STANGATA (1973). Sua grande passione sono sempre state le corse automobilistiche. Nel 1979 prende parte alla 24 ore di Le Mans arrivando secondo al volante della sua Porsche e sul circuito di Daytona, anni dopo, la sua auto si incendiò durante delle prove, ma l'attore ne uscì illeso. Convinto liberal, ribelle più nei film che nella vita, Newman è stato sempre impegnato in diverse campagne umanitarie e, insieme allo sceneggiatore A.E. Hotchner, aveva creato anche una catena alimentare no profit, la 'Newman's Own', e dei centri ricreativi per ragazzi affetti da tumori e gravi malattie del sangue. (Ansa)

     
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