IVANO FOSSATI

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  1. tomiva57
     
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    Lyrics to Il Grande Mare Che Avremmo Traversato :

    (Parte prima)

    Guardo laggiù
    il mare
    oltre la città
    il mare
    e rimango
    a pensare
    cosa c'è più in là
    del mare.

    E rivedo la mia vita
    come un uomo di citta
    ma non chiudo la partita
    perche non mi va.

    Partire
    qui davanti a me
    c'è il mare
    ce la potrei fare.


    [ Il Grande Mare Che Avremmo Traversato Lyrics on www.lyricsmania.com/ ]



    Ivano Fossati "Nulla è più politico dell'amore"

    "Cerco di raccontare il mondo attraverso piccole storie"


    ANDREA SCANZI
    LEIVI (GENOVA)
    La casa in collina di Ivano Fossati si arrampica per una via tortuosa che parte da Chiavari e sale. Uliveti a strapiombo, dietro una curva il mare e sul tavolo del salotto l’ultimo libro letto, L’eroe alternativo: «Mi ha salvato, ero a metà dell’Idiota e non sapevo come uscirne». In estate suonerà a New York, a fine anno il nuovo disco. Ricordi ha da poco edito Di tanto amore, raccolta «che ho avallato quando ho visto la tracklist: non c’era La mia banda suona il rock».

    Quanto è cambiato in trent’anni?
    «Il tratto distintivo è forse una costruzione musicale che, ogni volta, si sforza di essere diversa. Una sorta di irrequietezza compositiva. In Italia si analizzano le canzoni guardando solo il testo: per me viene prima la musica».

    Con il tempo sembra diventato più solare.
    «Prima i miei innamorati soffrivano di più. Per un lieto fine ho aspettato il 2003 (Il bacio sulla bocca). Oggi i miei personaggi parlano un linguaggio più diretto, avvertono l’importanza di essere compresi. Mi somigliano. Gaber diceva che amavo complicarmi la vita. Un po’ aveva ragione: chissà, magari oggi gli piacerei di più».

    Mai lo scontro politico ha raggiunto questi livelli. E lei fa una raccolta d’amore.
    «Nulla è più militante dell’amore. Non canto i fidanzatini di Peynet, cerco di raccontare la società attraverso piccole storie».

    Battiato ha scritto Inneres Auge, lei non ha quasi mai firmato invettive.
    «Solo due, Iubilaeum Bolero e Cara democrazia. La politica italiana non merita canzoni. Confido che il pubblico capti le sfumature. So che non farò mai grandi numeri, ma va bene così».

    Finardi dice che la canzone ha esaurito il suo compito.
    «Eugenio è un autore libero, il suo teatro-canzone è coraggioso. Non credo però che il problema sia la forma. Se hai la folgorazione, la canzone va benissimo. Più sei sintetico e più comunichi: in tre minuti i Beach Boys dicevano tutto».

    Per De André i cantautori avevano «lingue adatte per il vaffanculo», ma oggi sembrano quasi tutti pompieri e non incendiari.
    «C’è più disillusione di quindici anni fa. Disillusione e paura. La satira è scomparsa, chiunque canti fuori dal coro è massacrato. E i toni si sono smorzati».

    Però l’artista dovrebbe squarciare il velo dell’indifferenza.
    «È forse la nostra colpa principale. Il conformismo è una malattia endemica. Ci vorrebbe più coraggio, la gente non reagisce e l’artista non tiene il capo abbastanza eretto».

    La ridarebbe La canzone popolare all’Ulivo?
    «Sapevo benissimo cosa facevo. Se però dovessi dare un consiglio a un collega, gli direi di non fare come me. Ti etichettano. Era il ‘96 e cominciava allora quella che oggi è una vera e guerra subdola. Con un Paese spaccato».

    Però i giornali di destra la stanno rivalutando.
    «Da una parte fa piacere, dall’altra sogno una destra europea e democratica. Non come questa».

    Gli ultimi suoi due dischi hanno ricevuto qualche critica.
    «La recensione negativa ferisce ma fa quasi “piacere", se ha fondamento. L’acquiescenza mi dà fastidio, i complimenti immotivati mi disturbano. Nei Settanta si creavano dialettiche brutali ma stimolanti tra artista e giornalista, oggi quasi mai».

    Perché le piacciono Tiziano Ferro e Morgan?
    «Sono artisti dal respiro internazionale. Ai giovani dico sempre: siate europei, non italiani. Tiziano fa suonare la voce come uno strumento, puoi farlo perché sa scrivere benissimo. Morgan è amabile e geniale, non facilmente gestibile: ha una caratura cui gli italiani non sono abituati».

    È un caso che lei non nomini mai Capossela?
    «Vinicio è molto bravo, però in effetti non lo seguo con grande attenzione. Forse non è mai scattata fino in fondo la scintilla. Oppure, per colpe non sue, sconta il fatto che provo la più assoluta repulsione per tutto il “cantautorame”».

    Le piace la moda della cover?
    «C’è il rischio che dimostrino una generale mancanza di idee. E poi come fai a rileggere Gaber? Era unico. Con Fabrizio c’è una proliferazione sospetta, tutti ne parlano bene ma non quando era in vita. L’unico che ha veramente diritto di cantarlo è Cristiano».

    Di X Factor cosa pensa?
    «È una delle poche cose buone della tivù. I discografici non rischiano, quindi X Factor o il nulla. Il punto è un altro: ci sono X Factor, Amici, Sanremo. Ognuno lancia talenti a getto continuo. Mi chiedo: poi dove li metti? Come fai a congestionare un mercato che è morto?»

    Com’è che tutti vogliono una sua canzone?
    «Pensano che abbia i cassetti pieni di inediti, ma i brani brutti mica li conservo. E poi sono lento, per una canzone impiego due mesi. Magari un giorno apro un negozio e ci scrivo: Confezioni musicali vendesi».

    www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubr...one=62&sezione=
     
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