FIORI di CAMPO..e di MONTAGNA

tutti i tipi di fiori..spontanei

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    I FIORI DI CAMPO


    Nel giro di qualche settimana la natura dipingerà con la sua tavolozza un vortice di tinte variopinte di cui potremo godere fino alla fine dell’estate. Ma già da marzo i boccioli di alcune varietà selvatiche punteggiano giardini, aiuole e campi: tarassaco, primule, ellebori, giacinti, narcisi, mughetti, forsizie, calendule e margherite.

    E così, sui campi incolti, negli orti, ai margini delle strade e nei giardini, si alterneranno colori sgargianti nelle tonalità del blu, del rosso, del rosa, del giallo e del fucsia.

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    Edited by gheagabry1 - 3/2/2022, 15:20
     
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  7. gheagabry
     
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    NON TI SCODAR DI ME



    non-ti-scordar-di-me-semina




    Il genere Myosotis (termine che in greco significa orecchie di topo dalla forma della foglia), della famiglia delle Boraginaceae, comprende circa 50 specie di erbe annuali o perenni, alcune conosciute anche come nontiscordardimé e/o occhi della Madonna.

    Il nome di "non ti scordar di me" pare legato a una storia austriaca, occorsa lungo il Danubio: due giovani stavano scambiandosi le promesse attraverso il simbolo di questo fiore, ma lui cadde nel fiume vorticoso e, prima di morire, le gridò appunto la famosa frase.
    Gli "occhi della Madonna" potrebbero essere legati allo stesso significato, cioè a quello di affidare, mediante il dono di questo fiore, la persona cara in partenza alla benevolenza divina.
    Nella Germania del 15simo secolo, chi indossava il fiore non sarebbe stato dimenticato dalla propria amata; mentre le donne lo indossavano come segno di fedeltà.
    La massoneria usa il "nontiscordardimé" per ricordare quei massoni vittime del regime nazista.
    Il non-ti-scordar-di-me è stato adottato a livello internazionale come fiore ufficiale della Festa dei nonni.

    I fiori disposti in cime di solito appaiate sono generalmente senza brattee o qualche volta portano brattee nella parte inferiore. Il calice è regolarmente diviso fino a metà o oltre, più o meno accrescente nel frutto; è ispido per la presenza di peli setolosi tutti uguali e uniformi, diritti, appressati e rivolti verso l'alto; oppure per la presenza di peli ad uncino o di due tipi, alcuni setolosi, di solito uncinati e più o meno patenti, altri più corti, esili, diritti o anche arcuati. Rispetto al peduncolo, il calice, può essere articolato e caduco o non articolato e persistente. La corolla rotata o rotata-imbutiforme, ha il tubo generalmente corto, la fauce munita di cinque gibbosità glandulose, bianche o gialle e generalmente incluse; il lembo regolarmente diviso in cinque lobi, piano o leggermente concavo, di solito blu (a volte può essere bianco, giallo o giallo e blu). Gli stami sono generalmente inclusi, recanti ognuno una appendice lingulata terminale; i filamenti sono inseriti a metà del tubo. Lo stilo è incluso e porta uno stimma capitato. Le nucule sono quattro, ovoidi, erette più o meno compresse, lisce e lucide, di colore che va dal bruno al nero, spesso con un evidente margine (orlo); l'area di attacco di solito piccola può presentare a volte un'appendice spugnosa o ligulata.

    Questo genere è particolarmente diffuso nelle regioni temperate dell'Europa e dell'Australia, ma è parimenti presente nelle regioni temperate dell'Asia, Africa e America boreale.
    In Italia è presente in tutte le regioni con un numero variabile di specie.


    non-ti-scordar-di-me_NG1


    storia


    gli antichi lo consideravano L'erba sacra, simbolo della salvazza da tutit i mali. Il nome popolare nontiscordardime si lega ad una leggenda medievale germanica. Due giovinetti, passeggiavano lungo un fiume, raccogliendo questi graziosi fiorellini il giovane cadde e mentre venne portato via dalla corrente urlò alla dolce amata, "non ti scordare di me!", gettandole un mazzetto di qei fiorellini. Tale storia ha fatto il giro dell'Europa ed ha consacrato questi fiori come sacri all'Amore eterno.

    ambiente

    alcune specie sono particolarmente adatte alla zone paludose, o lungo i corsi d'acqua. La distinzione tra le specie non è molto semplice, infatti, sono tutte molto simili.

    letteratura e mitologia

    Il nome scientifico Myosotis significa orecchio di topo, ed è decisamente molto meno riomantico del nome volgare. L'origine di tale nome sembra essere legata alla forma ed alla superficie vellutata delle sue foglioline.


    Edited by gheagabry1 - 3/2/2022, 15:24
     
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  11. gheagabry
     
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    Le donne sono come fiori: se cerchi di aprirli con la forza, i petali ti restano in mano e il fiore muore.
    Perché solamente con il calore si schiudono.
    E l’amore e la tenerezza insieme sono il sole per una donna.
    (Fabio Volo)


    NIGELLA di DAMASCO


    coltivare-la-Nigella


    Conosciuta anche come: NIGELLA DAMASCENA, Fanciullaccia, strega, damigella, scapigliata, occhio di pavone, barba di frate, lampioncini della Madonna
    Ciò significa che le sue foglioline che le danno quell’aria veramente un po’ scapigliata o l’involucro a palloncino dei suoi semi hanno sempre colpito la fantasia delle persone che la incontravano nei campi.
    Il nome Nigella deriva dal latino “nigrum” (nero) poiché i suoi piccoli semi sono neri come il carbone.
    Pare che il termine damascena derivi proprio da Damasco: in tempi molto lontani, si effettuavano frequenti importazioni di grano dall’Asia Minore. La nigella era (e lo è ancora in qualche rara circostanza) una frequente pianta infestante dei campi di grano e quindi i suoi semi erano presenti tra i chicchi, che venivano così “seminati” anche nei nostri campi.
    Insieme alle sue strette parenti N.sativa L. e N.arvensis L., nel passato le venivano riconosciute proprietà medicinali, tra cui l’aumento della secrezione lattea. I semi di tutte queste nigelle sono aromatici (un po’ meno proprio la N.damascena) con un profumo simile alla fragola, usato in passato per aromatizzare gelati, liquori, confetti o anche focacce.
    Va comunque utilizzata con cautela, perché dosi eccessive possono risultare tossiche.
    Cresce in tutta Italia dal mare alle prime colline, negli oliveti e nei vigneti, nei prati assolati, calcarei, asciutti, ai bordi delle strade.
    Si tratta di una pianta erbacea annuale con radice a fittone, da cui parte un unico stelo alto fino a 40 cm: talvolta può essere ramificato nella parte alta.
    Le foglie sono alterne, variamente incise: da pennate o bipennate o settate in sottilissime lacinie lineari. Le foglie inferiori hanno un picciolo con una guaina che avvolge il fusto, mentre quelle superiori sono sessili.
    I fiori sono solitari all’apice del fusto, formati da 5 petali bianco azzurrini e con una corona di foglie bratteiformi. Il frutto è inconfondibile: è un palloncino secco, ovale o sferico largo fino a 3 cm, sormontato da brattee filiformi che con il tempo si rompono e cadono.


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    Viene chiamata anche "grano nero". Questa pianta era conosciuta fin dall'antichità: sono state trovate delle anfore contenenti olio di grano nero nella tomba di Tutankhamon a dimostrazione dell'importanza attribuita a questa pianta a cui venivano attribuite doti medicamentose notevoli (curava i disturbi intestinali e dell'apparato genitale).
    Gli arabi, fedeli a quanto aveva detto di lei Maometto (secondo il quale la nigella curava tutti i mali tranne la morte), la usavano come rimedio contro l'asma, le bronchiti, i reumatismi.
    In Cina ed in India la nigella viene usata come un antibiotico naturale. L'uso di questa pianta non è fatto solo a scopo medicinale, ma anche gastronomico: i semini del grano nero sono onnipresenti nelle preparazioni culinarie mediorientali sul pane o nelle insalate. Negli Stati Uniti l'olio di nigella viene usato come integratore dietetico.
    Della pianta vengono usati solo i semi che sono scuri e triangolari ed hanno un sapore leggermente piccante ed amarognolo. Il nome stesso, nigella, deriva dal colore nero dei suoi piccoli semi. Polverizzati, i semi di nigella possono benissimo sostituire il pepe nero in molte miscele di spezie




    Nigella_sativa_e_damascena_tavola

    la nigella nel mondo

    German - Schwarzkümmel - schwarz
    Norwegian - swartkarve -svart
    Swedish - svartkummin - svart
    Latvian - melnsēklīte - melns
    Lithuanian - juodgrūdė juodas
    Estonian - mustköömen - must
    Finnish - mustakumina - musta
    Hungarian - feketeköméni - fekete
    Latin - Nigella - niger
    Italian - grano nero - nero
    Spanish - niguilla - negro
    Portuguese - cominho-preto - preto
    Romanian - negrillică - negru
    Polish - czarnuszka - czarny
    Russian - charnushka [чернушка] - chiornyj [чёрный]
    Greek - melanthion - melas
    Turkish - kara çörek otu - kara
    Turkish - siyah kimyon - siyah
    Hindi - kalonji - kala




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    Edited by gheagabry1 - 3/2/2022, 15:31
     
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  12. gheagabry
     
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    .... sono tra i fiori di campo più resistenti: rinascono puntualmente ogni anno, e certo significano Costanza per la loro tenacia, una volta che abbiano messo radici in un giardino. A maggio, esse ricoprono di un tappeto azzurro il terreno dei nostri boschi, ma non amano essere raccolte: allora, infatti, le loro già chine campanelle piegano presto il capo ....


    La CAMPANULA


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    Il genere Campanula appartiene alla famiglia delle Campanulaceae. Si tratta di un genere molto vasto, con circa 300 specie e tutte originarie dell'Europa che ritroviamo spontanee un po' ovunque, in pianura e sulle montagne.
    Sono piante per la maggior parte sempreverdi, per lo più rustiche che possono essere allevate sia in casa che in giardino. Dato il gran numero di specie ritroviamo campanule a fusto eretto, striscianti o rampicanti...Le foglie della Campanula sono alterne, intere o con i margini dentellati a seconda delle specie e in genere cuoriformi.
    I fiori possono essere disposti in infiorescenze oppure singolarmente, per lo più penduli, lunghi dai 2 ai 4 cm, di colore per lo più azzurro-violetto ma si ritrovano anche specie con i fiori bianchi o rosa.
    La Campanula deve il suo nome al fatto che i suoi fiori penduli ricordano una campanella in quanto si muovono ad ogni alito di vento. Le Campanule sono considerate delle piante pioniera in quanto compaiono in quelle zone dove, date le condizioni particolarmente impervie e difficili cresce solo il muschio e sono dette appunto "pioniere" in quanto aprono la strada ad altre specie.
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    Dalle documentazioni risulta che il primo ad usare il nome botanico di “Campanula” sia stato il naturalista belga Rembert Dodoens, vissuto fra il 1517 e il 1585. Tale nome comunque era in uso già da tempo, anche se modificato, in molte lingue europee. Infatti nel francese arcaico queste piante venivano chiamate “Campanelles” (oggi si dicono “Campanules” o “Clochettes”), mentre in tedesco vengono dette “Glockenblumen” e in inglese “Bell-flower” o “Blue-bell”. In italiano vengono chiamare “Campanelle”. Tutte forme queste che derivano ovviamente dalla lingua latina.



    Quando durante il Medioevo la carestia spingeva l’uomo a mangiare tutto quello che era commestibile, una delle piante più amate fu il “Raperonzolo” o “Campanula Rapunculus“, di cui si consumavano in insalata le foglie e le radici, con proprietà altamente depurative..... La coltivazione di queste piante, nei giardini o nelle coltivazioni orticole, già nel XVIII secolo comprendeva una 20 di specie. Numero che aumentò nel secolo successivo grazie ad un largo sviluppo delle importazioni europee dagli altri continenti. Oggi questo numero arriva ad una sessantina di specie coltivate soprattutto nel giardinaggio.

    Campanula è il nome scientifico, ma il fiore è conosciuto anche con il nome popolare di campanella perché la forma dei petali ricorda una piccola campana. È uno dei più potenti fiori fatati e un prato pieno di campanule è un luogo estremamente pericoloso da attraversare, irto di sortilegi e incanti, perché questi sono i fiori prediletti dalle fate. Secondo la tradizione crescono vicino all’ingresso del mondo magico e avrebbero il potere di rendere visibile l’invisibile. Inoltre, le fate li usano come cappellini.


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    .....una favola......


    In un regno lontano e misterioso nacque, in un giorno di sole e primavera, una piccola bellissima principessa, così minuta e delicata che le fu dato il nome di un fiore, Campanula. La principessina cresceva felice e raggiante nel suo castello quando un giorno un principe dagli occhi azzurri la vide e ne sentì il suono delicato della voce , e se ne innamorò perdutamente.
    Ma una strega brutta e malvagia aveva già posato gli artigli sul principe, e richiesto il suo cuore, ed era da lui già stata rifiutata. Colma di rabbia per il diniego, la strega decise che né il principe né alcun altro avrebbero mai più amato la giovane principessa. Così, con un malefico incantesimo, ridusse la principessa ad una minuscola bambolina, e la rinchiuse nella corolla di un fiore notturno, la campanula.
    Ogni giorno, alla splendida luce del sole, il fiore restava chiuso e dall’interno la giovane principessa continuava a cantare le sue note d’amore strazianti, e a sognare il suo bel principe innamorato, tra le foglie di quel fiore colorato, chiuse intorno alla sua corolla, per proteggerla e incatenarla allo stesso tempo.
    E quando il timido sole al tramonto lasciava spazio alla luce della luna, quegli stessi petali che erano prigione si aprivano a formare un fiore bellissimo e profumato, e la principessa poteva finalmente godere dalla sua prigione della vista dell’erba bagnata di rugiada, della luce dolce delle lucciole di passaggio, e della lenta melodia delle cicale. Per poi tornare, alle luci dell’alba, chiusa nella corolla del suo fiore, per restarci fino alla notte successiva.
    La giovane principessa era ormai certa che niente e nessuno l’avrebbero mai più trovata, eppure non sapeva quanto forte può essere il richiamo dell’amore. Così, un giorno d’autunno, quando il sole era coperto dalle nuvole, e i petali dischiusi dall’ombra, il principe cavalcava lungo il ruscello, e si era fermato ad abbeverare il cavallo. Nel silenzio rotto solo dal fruscio del vento, sentì ancora il canto della sua amata, quella canzone d’amore che lo aveva ammaliato e reso schiavo del suo cuore.
    Cercò per giorni e giorni, la chiamava, e lei, chiusa nel suo fiore, gli rispondeva di amarlo, lo implorava di continuare a cercarlo, e continuava il suo canto d’amore sperando che lui potesse seguire il suono della sua voce e trovarla. E una notte, al chiaro di luna, il giovane principe si accostò a quella campanula azzurra, e quando i petali lentamente si dischiusero, vide apparire la sua principessa in catene nella corolla del suo fiore. I suoi occhi si riempirono di lacrime alla vista della donna che aveva amato e cercato tanto a lungo, ma subito dopo la gioia dell’averla ritrovata si tramutò nell’angoscia di non poterla portare via con sé. Il principe interpellò maghi e stregoni in ogni dove, ma nessuno riuscì a spezzare l’ignobile incantesimo della strega. Vinto dal dolore, il giovane principe si distese accanto a quella campanula, godendo del suo canto, e della bellezza della sua principessa, ogni notte. E un giorno, proprio quando ormai ogni speranza era persa, una giovane strega passando di lì chiese al principe quale fosse la cosa per lui più preziosa, e a cosa fosse disposto a rinunciare per la giovane principessa. E il principe, senza esitazione, le rispose – la vita – Così, con un tiepido tocco della mano, la strega buona trasformò il principe in un minuscolo esserino e lo depose nella corolla della campanula, accanto alla sua giovane e bellissima principessa. E i due giovani principi poterono finalmente vivere il loro amore per sempre, chiusi alla luce del giorno, intrappolati nel canto dell’amore, e all’ombra del riflesso della luna che li aveva fatti innamorare


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    Edited by gheagabry1 - 3/2/2022, 16:03
     
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  13. gheagabry
     
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    Soavi amori di farfalle e fiordalisi colmano il cielo estivo di acre profumo...
    occhieggiano, nel loro dondolio, papaveri scarlatti e garruli voli allietano il cuore...
    poi, tutto tace d'intorno; tutto è lieve fruscio...e intanto il sole, lento, si sposa con il mare.
    (Paola, dal web)



    IL PAPAVERO




    I primi Papaveri arrivarono in Italia agli arbori della civiltà dal Medio Oriente con i semi dei primi cereali e subito divennero una nota costante del paesaggio campestre.
    Comune infestante dei campi, del frumento e dell'orzo, il papavero si rinviene con estrema facilità anche ai bordi delle strade, tra le macerie, nei campi incolti, lungo i fossati.
    Il papavero è un fiore tanto bello quanto delicato..perde i suoi petali dopo un solo giorno e se lo cogliamo si avvizzisce subito. Del centinaio di specie comprese nel genere Papaver, che ha l'epicentro,
    grosso modo nell'altopiano iranico, una decina si trovano nel nostro paese...

    PAPAVER RHOEAS L. o ROSOLACCIO
    "Il papavaro per eccellenza" ha fusto eretto, peloso, ramoso, debole. I fiori formati da petali sovrapposti, solitari, grandi e molto appariscenti, hanno un bellissimo colore rosso acceso. La pianta può raggiungere i 70 centimetri di altezza e fiorisce in primavera ed in estate.
    PAPAVER ARGEMONE
    ... è più piccolo e si trova soprattutto nell'Italia settentrionale.
    I petali dei suoi fiori sono macchiati alla base e non si sovrappongono.
    PAPAVER SOMNIFERUM o PAPAVERO DA OPPIO
    ... ha fiori grandi, rosati con una macchia scura alla base e può raggiungere anche un metro d’altezza. E' ampiamente coltivato ed è considerata una pianta ornamentale.
    Esso prende il nome da Somnus il Dio del sonno.
    PAPAVER DELLE SABBIE....
    vive lungo le coste e fiorisce da maggio a agosto.. ha petali gialli.
    PAPAVER RHAETHICUM o PAPAVERO ALPINO
    ... è diffuso nelle Alpi orientali nella sottospecie retica. E' una piante perenne che presenta fiori gialli singoli con 4 petali setosi che formano una corolla tonda. Lo stelo generalmente eretto presenta
    una peluria ispida, può crescere fino a 15 centimetri. Fiorisce fin oltre i 3000 metri nei mesi di luglio e agosto, in particolare tra detriti e zone franose, per i quali funge da fissatore, grazie al suo apparato radicale assai esteso.





    ....la storia....



    Il nome di questa pianta deriva dal latino "papaver", termine di origine popolare probabilmente proveniente da un vocabolo celtico "papa" (alimento per l’infanzia) che evidenzia la consuetudine di mescolare il succo di una specie di Papavero alle pappe destinate ai bambini, con lo scopo di prevenire le malattie infantili....Altri naturalisti ritengono che la medesima radice "papa" volesse invece significare "denso lattice", tanto in rapporto agli umori contenuti nelle piante, quanto in merito alle utilizzazioni medicinali certamente molto antiche.

    Al tempo dei Romani, con miele, farina, olio e semi di Papavero si preparavano speciali focacce da consumarsi sulle tavole dei patrizi più raffinati come seconda portata. Nel genovese venivano confezionati piccoli confetti con i semi del Papavero. Tombe egizie di 3000 anni fa hanno conservato alcune varietà di papavero, fiore che gli abitanti dell'antica Roma ritenevano alleviasse le pene d'amore, mentre per i greci era segno di fertilità. Considerandone i semi portatori di salute e forza, gli atleti greci ne bevevano una pozione fatta con miele e vino.
    Sembra che i Sumeri, cinquemila anni fa, ne conoscessero l'azione narcotica. I greci antichi rappresentavano la morte e la notte coronate di papaveri. Esculapio, mitico medico del mondo greco antico, pare che lo utilizzasse per curare i mali della mente. Paracelso, medico del rinascimento, lo usava in forma di tintura di oppio.





    ......miti e leggende......



    Nella mitologia orientale Papavero nasce dalle palpebre del Budda, che se le recise per resistere al sonno.
    Anticamente era il simbolo del sonno che conduce all’oblio. In questo senso il sonno è legato alla morte spirituale, che è il passaggio dell’iniziato da un livello profano a uno stato superiore, di risveglio a un nuovo inizio. Il dio Morfeo, nella mitologia Greca, è il dio del sonno, veniva infatti rappresentato con un fascio di papaveri fra le braccia.

    " Dolcemente Febo alzava il sottile velo che ancora copriva la terra e timidamente baciava il rosso–oro del grano di Demetra.
    L’occhio di Michele, che si era fermato a riposare sul ceppo di gelso al lato della strada sterrata, si allungava sulla distesa di grano e papaveri.
    L’occhio, spaziando, catturava anche le diverse sfumature che la luce creava riflettendosi sui colori puri, e le filtrava all’anima che affascinata si godeva beatamente il silenzio e le meraviglie della natura. Una brezza, venuta dalle colline, carezzava le bionde spighe e i delicati papaveri che ondeggiavano con sinuose movenze nel verde circostante.
    Michele era talmente assorto in questo spettacolo che non sentì arrivare, chissà da dove, una donna che lo salutò. Lui rispose al saluto scusandosi e guardò la donna. Gli anni le avevano solcato il viso, ma i lineamenti, che sembravano greci, mostravano ancora segni evidenti di una donna in gioventù bellissima.
    Con voce flebile disse a Michele:
    “Goditi intensamente e profondamente queste meraviglie, e soprattutto i papaveri, perché fra non molto il rosso scomparirà dai campi di grano”.
    Ciò detto si avviò, senz’altro proferire, verso la tavolozza sulla quale la natura aveva versato i sui colori.
    A Michele occorse un po’ di tempo per uscire dal suo “imbambolamento” e a voce alta chiese alla donna: “Signora, quale è il significato di ciò che mi avete detto? Come si chiama e dove và?”.
    Questa, che si era già inoltrata nel grano, senza voltarsi, rispose: ”Lo capirai da solo. Io sono Demetra e vado a lenire il mio dolore”.
    Michele, perplesso, seguiva la donna che si allontanava quando un luccichio sul ceppo di gelso attrasse la sua attenzione. Si chinò e raccolse un ciondolo sul quale, a sbalzo, era raffigurato un papavero con una spiga. Da dov’era arrivato?!......"

    Dalle ricerche poi effettuate seppe che Demetra, mitologica Dea dei campi di grano e dei raccolti, per placare il suo dolore, per il rapimento della figlia Persefone da parte di Ade dio dell’inferno, beveva infusi di papavero. E il ciondolo che portava al collo era il suo simbolo.
    (Giovanni De Simone)





    ....una favola.....



    C'era una volta un folletto che viveva in un papavero, ed un elfetta che viveva in un tulipano.Quando tirava vento entrambi avevano paura e quando pioveva dormivano o scrivevano canzoni.Ma la notte entrambi adcoltavano il profumo del proprio fiore, il profumo di papaveri, di tulipani e il profumo delle canzoni. Ma del profumo dei colori loro non avevano idea... il loro mondo era bianco e nero, fino a quando il folletto dei papaveri non scoprì la bellezza dei tulipani, fino a quando l'elfetta dei tulipani non scoprì la bellezza dei papaveri. E la loro scoperta nacque dal vento, dal rumore del canto, dalla paura del vento quando tira forte, dalla paura di un'amore quando piano nasce. Involontariamente un gorno il vento diede loro una mano. Ogni giorno portava il profumo del tulpano al folletto dei papaveri e il profumo del suo papvero all'elfetta dei tulipani.
    Mostrò ad entrambi che esistono molti fiori, molti altri fiori oltre il proprio, trasportando a loro ogni giorno il profumo di ognuno di essi, ma insegnando al folletto dei papaveri a riconoscere tra mille altri il profumo di un solo tulipano. Insegnando all'elfetta dei tulipani come riconoscere in mezzo ad un campo di fiori il profumo di uno solo tra mille papaveri...E il folletto si innamoro del profumo dei tulipani... ...e l'elfetta si innamoro del profumo dei papveri...Ma il vento era geloso...
    Da tempo aveva fatto suo l'amore del tulipano, sperando di far respirare all'elfetta il profumo dell'amore per il vento. E il folletto del papavero sapeva questo.
    Il papavero è lontano dal tulipano, il vento può accarezzarlo ogni giorno, il papavero può solo sentirne il profumo da esso trasportato. Ma arrivò un giorno in cui tramite il vento innamorato, il papvero si staccò dal suolo e volò lontano! E delicatamente, con volontà propria, contro vento e senza essere portato da esso, conto la volontà del vento di amare il tulipano, il papavero volò via e si poggiò infine ai piedi del tulipano... Il folletto amò per sempre i tulipani, sapendo che del vento l'elfetta aveva solo un ricordo lontano. L'elfetta amò il suo Folletto per l'eternità e amò i papaveri che gli apparirono da quel giorno così familiari.
    (dal web)



    .....tra papaveri e fiordalisi.....



    Bimbo solitario,
    dalla finestra guardavo il mare, non quello azzurro,
    quello biondo, fatto di spighe di grano.
    Mi sembrava immenso, lo vedevo agitarsi sotto il vento d'estate.
    Punteggiato di papaveri e fiordalisi.
    Era la mia barriera corallina, il mio orizzonte.
    Eludevo la sorveglianza della nonna. Correvo giù in cortile.
    Timoroso, attraversavo la strada polverosa e mi inoltravo tra le spighe.
    Che emozione! Un mare tutto mio.
    Le piantine di grano erano alte come me, non vedevo nulla,
    ma correvo, correvo sino al centro del campo.
    La mia immaginazione mi aveva trasformato.
    Adesso ero un pirata, brandivo una spada di legno
    ed urlavo felice verso chi non mi poteva sentire.
    Poi, sfinito, mi lasciavo cadere tra le onde.
    Guardavo il cielo, rapito da tanta bellezza.
    Le gonfie nubi bianche che si spostavano, sparivano, tornavano.
    Le vedevo diventare: vascelli, corsari, tesori.
    Sognavo, immerso nell'unicità del mio mare biondo...
    (Aldo Riboldi)






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  14. gheagabry
     
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    ....pochi fiori sono belli e delicati come i papaveri; un filo di vento li agita leggeri come farfalle; un soffio appena più forte li muove come onde....


    Il PAPAVERO del TIBET



    Il Papavero blu (Meconopsis betonicifolia) è una pianta dalla bellezza spettacolare, appartenente alla famiglia delle Papaveracee ed originaria di Alaska, Himalaya e Scozia. E’ caratterizzata da una rosetta di foglie di colore verde chiaro, al centro della quale spuntano dei fiori a cinque o sei petali di colore azzurro....Il papavero blu raggiunge il metro di altezza e presenta foglie oblunghe e pelose. I fiori sono azzurri con i filamenti degli stami bianchi e le antere gialle; sbocciano da maggio a luglio. Nel corso del primo anno bisogna impedire che la pianta fiorisca, tagliandone i fusti. La fioritura, abbondante e molto bella, può essere prolungata se si ha cura di asportare subito i fiori appassiti.



    Si intreccia alla lotta per la conquista del subcontinente indiano la storia del ritrovamento del papavero azzurro del Tibet da parte di Frank Kingdon Ward. L'obiettivo della sua spedizione era risolvere il mistero del fiume Tsangpo, che scende giù dalle pendici dell'Everest, ma a un certo punto scompare. Era più che verosimile che si unisse, 240 chilometri dopo, al Brahmaputra superando, non si sapeva bene per quali vie, un dislivello di quasi tremila metri. La regione, di importanza strategica, confinava con l'Impero Britannico e il bisogno di una mappa affidabile era impellente.
    Kingdon Ward partì nel 1926 insieme a Lord Cawdor. Kingdon Ward soffriva di vertigini, eppure per mezzo secolo partecipò instancabile a spedizioni che lo costringevano a pencolare su abissi paurosi per raccogliere semi di piante da acclimatare in quello che considerava il "giardino di tempra mondiale", ovvero la sua patria. Anche Lord Cawdor aveva nostalgia dell'Inghilterra e detestò ogni istante della spedizione: "Se mai dovessi tornare a viaggiare, mai più con un botanico. E' un continuo fermarsi per guardare a bocca aperta ogni genere di malerba".



    La spedizione durò due anni, dal 1924 al 1925. Penetrati in Tibet attraverso la valle di Chumbi, seguirono un percorso che coincideva con quello dei pellegrini devoti della cascata dietro le cui acque si scorgevano le fattezze di Dorje Pagmo, dea della morte e della trasfigurazione. Al ritorno il bottino comprendeva il Lilium arboricola, dalla fragranza di noce moscata, innumerevoli rododendri e soprattutto Meconopsis betonicifolia, il celebre papavero azzurro originario di Pemakö, terra promessa dei tibetani, rifugio dei credenti quando, come da profezia, la religione sarà perseguitata in Tibet.

    (Pia Pera)




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  15. gheagabry
     
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    I fiori di campo, per me, sono i più affascinanti. Amo la loro delicatezza, la loro innocenza disarmante.
    (Grace di Monaco)


    La PRATOLINA



    Più la vita si fa difficile e stracarica di problemi d’ogni tipo, più siamo indotti a perlustrare strade meno intricate, che ci aiutino a recuperare un attimo di respiro per consentirci di ricaricare le pile e di affrontare, se proprio è necessario, nuovi problemi e nuove complicazioni. In giardino, per esempio, dopo aver subito per anni l’invasione di fiori dalle forme più bizzarre e dai colori più insoliti, un giorno ci scopriamo a desiderare un tuffo nel passato, nel tentativo di ritrovare quella semplicità che per lungo tempo ci è sembrata fin troppo scontata. Le pratoline (o margheritine o primavere), (Bellis perennis) fanno parte di quel bel mondo che fu, che per anni avevamo infilato nel dimenticatoio e del quale invece siamo oggi sempre più assetati. In altre parole, dopo orge di piante e fiori esotici, ci rendiamo conto che in fondo l’impiego di alcuni fiorellini di campo, magari sotto forma di varietà coltivate, è qualche volta sufficiente per soddisfare anche i palati più raffinati. Gli inglesi – talvolta un po’ aristocratici, in tema di giardinaggio – chissà perché le chiamano “English daisies”, o “margherite inglesi”, quasi che la specie Bellis perennis fosse stata inventata da Guglielmo il Conquistatore, il quale l’avesse poi elargita generosamente al resto del mondo. Non è così, come sappiamo, perché se c’è un fiore ampiamente “europeo”, questo è appunto la pratolina, che nasce spontanea in tutti i prati e pascoli del Continente, fatta eccezione per le isole Baleari e le Svalbard. Diffusissima in tutte le regioni italiane, questa erbacea perenne, solitamente non più alta di 15 cm, possiede un solo capolino, con “bottone” centrale giallo e “petali” (in realtà sono fiori ligulati) bianchi, ma spesso soffusi di rosa-rosso. Anche in natura, gli ibridi e le varietà non si contano, tanto da facilitare enormemente il lavoro di chi invece si dedica alla costituzione di cultivar ornamentali. Con le umili ma graziosissime pratoline, è possibile decorare senza tanti fronzoli alcune aree del nostro giardino, utilizzando piante assolutamente rustiche e senza troppe esigenze.
    (dal web)





    In primavera i prati si coprono spontaneamente di migliaia di margheritine. Forse non tutti sanno che tale fiore, detto anche "Pratolina" e così comune alle nostre latitudini, ha una storia molto antica. Il suo nome scientifico e' "Bellis" e deriva da una leggenda. Bellis era la figlia del dio Belus. Un giorno, mentre danzava con il suo fidanzato, attirò l'attenzione del dio della primavera a causa della sua bellezza. Il dio tentò di strapparla al fidanzato, quest'ultimo reagì con violenza e la poveretta, per salvarsi da entrambi si trasformò in una margheritina.
    La Pratolina fu molto amata nei tempi antichi. Quando Margherita di Valois, sorella di Francesco I sposò Emanuele di Savoia, fu presentata a corte con un cesto di margherite. Luigi IX di Francia amava tanto questo fiore e si era fatto fare un anello a forma di margherita. Margherita d'Angiò, moglie di Enrico VI d'Inghilterra, era solita far ricamare margheritine sulle vesti dei cortigiani: aperte indicavano la vita, chiuse, la purezza.
    In inglese la Margherita si chiama "Daisy" e deriva dall'espressione "Day's eye", occhio del giorno.





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    Edited by gheagabry - 21/8/2011, 21:49
     
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59 replies since 28/9/2010, 15:16   80069 views
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