Liguria ... Parte 3^

MAESTRI D’ASCIA..LA PIETRA DOLCE..COLLINE SOTTOVETRO..LA STRADA DEL VINO E DELL’OLIO..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    ... Mercoledì ... la Liguria ci ha incantato ... una regione dove montagne e mare spesso si sfiorano ... dove i sapori salmaastri dell’aria marina si fondono con quelli rarefatti e puri della montagna ... la mognolfiera dell’isola felice ha attraversato i paesaggi da incanto che si sono mostrati a noi ... i liguri, nei loro caratteri rappresentano perfettamente questa dicotomia del paesaggio ... oggi voleremo, come abbiamo fatto in tutte le regioni d’Italia fin qui raccontate, attraverso gli usi i costumi e le tradizioni di questa meravigliosa regione, e così facendo daremo colore e spessore al nostro viaggio in Liguria ...”

    (Claudio)


    U fiêu e a nêutte

    Ciéllu pistu de stélle in sci-a campagna dezerta, dréntu ina nêutte grande,
    avèrta. U fiêu u l'amìa pêui, sercandu a-u riùndu, suttuvuxe u suspìa:
    "Dunde u fignisce u mundu?" "U mundu - ti nu-u sai? - u nu fignisce mai..."
    "U nu fignisce mai?..." E u chêu u se fa asbuìu, pulìn che ciü u nu atrêuva u gnìu


    Il bimbo e la notte

    Cielo pieno di stelle sulla campagna deserta, dentro una notte grande,
    aperta. Il bimbo lo guarda poi, cercando all'intorno, sottovoce sospira:
    "Dove finisce il mondo?""Il mondo - non lo sai? - non finisce mai..."
    "Non finisce mai?..." E il cuore si fa timoroso, pulcino che più non trova il nido.



    LA LIGURIA..MAESTRI D’ASCIA..LA PIETRA DOLCE..COLLINE SOTTOVETRO..LA STRADA DEL VINO E DELL’OLIO..



    “....l’arte nel Tigullio è artigianato, ossia la capacità di produrre con maestria oggetti della vita quotidiana. i maestri d’ascia e i calafati sono ormai una rarità, ma qualcuno resiste ancora, producendo piccoli gioielli, o lavorando in grandi cantieri dove si restaurano yacht d’epoca. nella lavorazione del legno sono molto attivi oggi come un secolo fa, i maestri di chiavari; dai loro laboratori escono seggiole, costruite secondo la regola di gaetano descalzi “il campanino”, che all’inizio dell’ottocento cominciò a curvare il legno con il vapore e a modellarlo con il tornio. le “tre archi” o le “parigine” sono i modelli più richiesti delle sedie, meglio conosciute come “campanino”. i pizzi macramè e al tombolo sono un’arte divenuta una rarità che si può ammirare presso il museo del pizzo di rapallo. zoagli è la patria dei velluti; come nel cinquecento i telai in legno a mano rimasti costruiscono la trama di pochi e preziosi centimetri di stoffa. a lorsica, in val fontanabuona, qualche famiglia intesse broccati e damaschi di seta sulla base di disegni antichi."

    “Nel Tigullio la chiamano familiarmente lavagna, un dono della natura attorno al quale ruota tutta un’economia. e che per la Liguria rappresenta un simbolo. Da Orero a Cicagna, da Monleone, a Lorsica a Verzi si susseguono le cave della “pietra dolce”, la pietra umida e morbida sensibile a un filo d’aria che l’indurisce mentre viene estratta. L’ardesia è storia e tradizione, la quale è raccontata in un museo a Cicagna, la capitale della pietra nera. Con l’ardesia da sempre si fanno gli “abbadini” tegole tradizionali delle case liguri; si fanno pavimenti, tavoli da biliardo e si ottengono oggetti d’arredo.”

    “Vezzano Ligure domenica 10, venerdì 15 e lunedì 18 agosto sarà possibile fare un “tuffo” nel passato con la manifestazione “I caret d’na vota”, con l’intento di proporre alle nuove generazioni i giochi di una volta…Un tempo i ragazzi giocavano costruendosi direttamente i giochi. Sono stati rivalutati i “careti” in modo da far dialogare le nuove generazioni con le vecchie attraverso la “progettazione”….”

    “Quella terra tra Italia e Francia "La felicità e poter seguire, passeggiando e scrivendo, i propri pensieri in una località stupenda – e Sanremo è veramente bellissima – senza essere tormentato dalle preoccupazioni quotidiane..." Così scriveva nel 1934 il filosofo Walter Benjamin, appena arrivato nella città rivierasca, all'amico Alfred Cohen. E il segreto del fascino sanremasco è in gran parte svelato da quell'inciso: "Sanremo è veramente bellissima"….le particolari caratteristiche della zona, dove le antiche tradizioni liguri si fondono con un brillante tono cosmopolita…La Riviera dei Fiori, di cui Sanremo è capitale….L'immagine più rappresentativa è quella costituita dai paesi della costa, dove i primi viaggiatori stranieri, dalla fine dell'Ottocento, accorrevano numerosi a crearsi un piccolo paradiso privato, e lungimiranti uomini d'affari costruivano grandi alberghi spesso ancor oggi attivi…..Ma alle spalle dell'animato prospetto costiero esistono le colline "sottovetro" con una straordinaria varietà di fiori, e le vallate, dove si coltiva ancora la vite, e dove il frutto degli oliveti si raccoglie …Bussana Vecchia, morta e resuscitata, San Romolo, Poggio e Verezzo, Coldirodi, con la sua pinacoteca lasciata da Paolo Rambaldi ai compaesani e da loro gelosamente difesa anche dalle rapine di guerra….Tutti luoghi dove caratteri mediterranei e montani si fondono gradevolmente, come è tipico dei tanti paesini dell'entroterra sanremese, bellissimi da visitare magari seguendo le numerose strade ex militari di fine Ottocento che fanno capo a monte Ceppo, come la San Romolo- Perinaldo o la Baiardo Apricale .”

    “A Lavagna, località del Golfo del Tigullio.. ogni anno il 14 agosto si celebra la Torta dei Fieschi, una serie di manifestazioni che rievocano un episodio storico del 1230. In quella data, Opizzo Fiesco, conte di Lavagna e rappresentante di quella famiglia Fieschi che tanta parte ebbe nella storia genovese e ligure, sposò la nobildonna senese Bianca de' Bianchi e volle coinvolgere tutta la popolazione offrendo una monumentale torta…Dal 1949, e fino a oggi ininterrottamente, l'episodio viene rievocato con una sfarzosa sfilata di oltre cento personaggi in costumi medioevali che percorre il centro storico di Lavagna, riprendendo l'antica suddivisione in sestieri: Borgo, Cavi, Scafa, Ripamare, Moggia e San Salvatore…Giunto il corteo ai piedi della Torre dei Fieschi in Piazza Vittorio Veneto, viene data lettura del proclama delle nozze; al termine avviene il taglio della torta, un dolce di 15 quintali confezionato su una ricetta segreta risalente al Medioevo, e la sua distribuzione, legata a un originale gioco di abbinamenti tra tutti gli spettatori…Ciascun partecipante acquista un biglietto, recante un nome di fantasia, rosa per le donne e azzurro per gli uomini, dopodichè si scatena sulla piazza la caccia all'anima gemella, cioè a colui o colei che possiede il biglietto di differente colore ma con il medesimo nome stampato: presentarsi al banco di distribuzione così accoppiati è l'unico modo per ottenere una fetta dell'ambita torta….con gruppi di danza medioevale con musiche eseguite con strumenti tradizionali, esibizioni di duelli all'arma bianca secondo le antiche regole della cavalleria, spettacoli di sbandieratori.”

    “La strada del vino e dell’olio, “dalle Alpi al Mare”, si sviluppa lungo un percorso che incontra le Alpi, le valli, le colline e infine le coste del mare. Essa rappresenta un compendio di storia, di usi, di costumi, di tradizioni e leggende e collega la stupenda costa ligure all’incontaminato entroterra….Il paesaggio di questa lunga strada, presenta le tracce della civiltà del vino, dell’olio e di moltissimi altri prodotti genuini e tipicamente liguri; si presenta in una cornice di alta collina e montagna, in cui il bosco è ricchissimo, costellato di paesi, borghi storici, castelli e chiese….L’olio che si produce lungo il percorso presenta una particolare caratteristica di delicatezza e di fragranza, che lo rende adatto all’elaborazione dei piatti più saporiti, soprattutto a crudo…. Le varietà di olive che si incontrano lungo il percorso sono la Taggiasca, introdotta dai monaci benedettini nel Medioevo e la Pignola, citata già in documenti nel Seicento. La prima è coltivata prevalentemente nella zona che da Albenga va verso Ventimiglia ed ha un gusto dolce, leggermente fruttato e delicato al palato….La presenza della vite nel paesaggio agrario ligure è millecentenaria e deriva dalla grande passione che hanno avuto da sempre le genti liguri per questa coltura….Il Pigato è un bianco al colore giallo paglierino e dal sapore secco, asciutto lievemente amarognolo…..il Vermentino, di colore giallo paglia ma più fine al naso e di sapore fresco, asciutto e sapido, particolarmente adatto per la cucina di pesce o per i primi piatti a base di verdure….Il Rossese, di colore rosso rubino brillante, anch’esso caratterizzato da un sapore delicato, ma asciutto con un retrogusto tendente all’amarognolo, si abbina benissimo ai piatti di pesce oltre che a tutto pasto.”

    “La gastronomia tradizionale è costruita essenzialmente sugli aromi veramente eccezionali delle erbe della zona, senza dimenticare l’aglio, che tipico di Aquila e Vessalico e si presenta violaceo e ricco anche nella forma. Del resto basilico e aglio sono i fondamenti del pesto, con l’olio di oliva naturalmente. La squisitezza degli ortaggi, i carciofi, le melanzane, gli asparagi, i pomodori, da libero spazio alla creatività in cucina…Il pane di Pieve di Teco, preparato con una lievitazione naturale, il latte fresco ed i formaggi prodotti con latte crudo danno completezza ala cucina….
    senza dimenticare le 6 tipologie di rinomatissimo miele prodotto a Cosio di Arroscia.”

    “….nel mese di Luglio… la celebrazione delle Torte in Piazza a Zuccarello, la sagra di Vendone dedicata alla montagna, la sagra del Palio a Giustenice e la sagra della trota a Rezzo… nel mese di Agosto ….la sagra delle frittelle a Testico, la festa in costume a Castelvecchio di Rocca Barbena, la sagra dei “Gumbi” a Toirano ed infine a Settembre … la sagra del cinghiale con polenta a Stellanello, in frazione di S.Daminao. Inoltre nel mese di Ottobre….manifestazioni dedicate alla castagna un po’ ovunque, a partire da quella di Erli e di Montegrosso Pian Latte.” nel mese di Luglio abbiamo la celebrazione delle Torte in Piazza a Zuccarello, la sagra di Vendone dedicata alla montagna, la sagra del Palio a Giustenice e la sagra della trota a Rezzo; nel mese di Agosto troviamo la sagra delle frittelle a Testico, la festa in costume a Castelvecchio di Rocca Barbena, la sagra dei “Gumbi” a Toirano ed infine a Settembre troviamo la sagra del cinghiale con polenta a Stellanello, in frazione di S.Daminao. Inoltre nel mese di Ottobre abbiamo manifestazioni dedicate alla castagna un po’ ovunque, a partire da quella di Erli e di Montegrosso Pian Latte."

    “Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin ..ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà..ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà…ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn ..che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria..a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn..‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia “…Questi sono i versi di una canzone di Faber dedicata a questo tipico piatto genovese.Pare che le malelingue asseriscono che questa storica vivanda sia la lampante prova della oramai nota spilorceria, o più eufemisticamente geniale parsimonia, dei genovesi: piatto di carne che carne non è!"

    “GASTRONOMIA E VINI DELLE CINQUE TERRE….Il vino è elemento principe di queste parti, assieme all’olio. Sulle coste terrazzate delle Cinque Terre, i cian, prosperano le uve vermentino, bosco e albarola dalle quali nasce lo Sciacchetrà, il vino passito più famoso d’Italia. Noto a poeti e scrittori, condottieri e papi, che ne celebrarono le eccelse qualità di elevazione del corpo e dell’anima sin dal 1300…Il mare delle Cinque Terre offre un habitat ineguagliabile per molte specie di pesce. L’afrore delle acciughe, per esempio, è assolutamente unico. La loro pesca è praticata con la tecnica delle lampare, nei fondali poco lontani da Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore. I più fortunati, e i più esperti, potranno catturare qualche stupendo esemplare di branzini, loassi e spigole dalla polpa delicatissima. Da primato sono le orate e le mormore, i totani e i calamari. Di frequente, inoltre, il mercato suggerisce partite di gamberi raccolti al largo della costa ligure. I muscoli, le cozze, sono onnipresenti; nelle insalate miste, totani, gamberi, polpo e conchigliacei portano allegria di colore. Cosa dire poi delle cotolette di acciughe (acciughe ripiene e fritte) e delle soavi frittelle di bianchetti (il novellame di acciughe e sardine)?”

    “LA GASTRONOMIA DEL GOLFO…La tavola è soprattutto legata al mare: fritture di pesci, molluschi e crostacei, frittelle di bianchetti, frutti di mare fra cui i tartufi e i muscoli ripieni o alla marinara, polpo, zuppe di pesce (tipica la “burridda” di Porto Venere), stoccafisso, baccalà, “scabecio” (pesce marinato), grigliate di pesci e crostacei e altre specialità. Ma troviamo anche: minestrone e trenette al pesto, pasta alla contadina, “mesciua” (minestra di grano, ceci e fagioli, tipica della Spezia e del suo immediato entroterra), farinata (polentina di farina di ceci con olio, cotta in teglia nel forno a legna). Fra i dolci locali: buccellati, torte di riso, castagnaccio e “pattona” (specie di castagnaccio).”

    “Grazie ai suoi baci Alassio, cittadina ligure in provincia di Savona, è entrata a far parte del club Città del Cioccolato, diventando così una delle tappe degli itinerari enogastronomici…I baci di Alassio sono un gustosissimo dolce dal cuore di cioccolata, nato intorno al 1910 ed "imparentato" con i baci di dama piemontesi della cittadina di Tortona (Alessandria)…Sono formati da due semisfere fatte impastando nocciole del Piemonte, zucchero, cacao, miele, albume d'uovo, farina, burro, vaniglina e aromi naturali, farcite da uno spesso dischetto, morbido ed omogeneo, fatto con panna, latte, cacao magro, zucchero, cioccolato e panna bollita.”

    “Nelle Alpi Liguri e Marittime domina una cucina povera di colori, e per questo denominata cucina bianca, ma ricca di sapori che derivano da prodotti sani, quali farina, latticini e patate, tipici dell'ambiente montano e della secolare transumanza agricola e pastorale…Sono prodotti spontanei, raccolti camminando sui sentieri della transumanza che hanno dato origine ad una particolare gastronomia, lontana dalla tradizionale cucina mediterranea, e le cui ricette sono state tramandate per secoli.”

    “Il latte fritto è un dolce tradizionale ligure, molto semplice e gustoso, che ha una versione dolce, latte fritto dolce, ed una saporita, latte fritto brusco. ..Per il latte fritto dolce si fa bollire il latte dopo avervi stemperato la farina passata al setaccio. Durante la cottura lo si arricchisce con zucchero, scorza grattugiata di limone e uova sbattute, fino ad ottenere una crema piuttosto densa e consistente”







    ** SANREMO **






    Sanremo o San Remo (Sanrému in ligure), anticamente Villa Matutiæ, è un comune italiano di 56.873 abitanti[1] della provincia di Imperia in Liguria. Attualmente è il quarto comune ligure per numero di abitanti, ma la sesta area urbana preceduta dai capoluoghi di provincia e da Sarzana.


    Centro Storico



    Per tradizione, vi sono tre diverse modalità di indicare gli abitanti della città: i sanremaschi sono coloro che da generazioni sono nati e vissuti a Sanremo; i sanremesi, coloro che risiedono o sono nati in città ma che hanno origini forestiere; infine matuziani, usato più raramente e spesso in senso lato, raccoglie nella globalità gli abitanti della città dei fiori.
    È una località turistica, rinomata per la coltivazione dei fiori (celebrata ogni anno con il corso fiorito Sanremo in Fiore), da cui il nome di Città dei Fiori. Inoltre ospita l'arrivo della corsa ciclistica Milano-Sanremo (una delle più importanti classiche del ciclismo), il Festival della canzone italiana, il rally di automobilismo, ed è sede del Casinò (uno dei quattro presenti in Italia).
    La posizione geografica, in una insenatura riparata dalle montagne, è la principale causa del rinomato clima mite della città, che la rende mèta di soggiorni sia estivi, sia invernali, anche curativi.


    Bandiera Blu



    Alla città è stata conferita nel 2006 la Bandiera Blu per la qualità dei servizi del porto turistico (Portosole di Sanremo).

    La città offre diversi mirabili esempi di eterogenee architetture, che spaziano dal barocco allo stile liberty, dal romanico al neoclassico.


    Il Casinò


    All'inizio del '900 cominciarono a sorgere le strutture di intrattenimento più qualificate per l'esigente élite della Belle époque: il Casinò, il campo golf, la funivia Sanremo-Monte Bignone, all'epoca la più lunga del mondo, l'ippodromo, lo stadio, eccetera.


    Cattedrale di S. Siro


    Basilica Collegiata Cattedrale di S. Siro. Costruita nel XII secolo, sui resti di una chiesa paleocristiana, probabilmente dai Maestri Comancini. Attualmente di architettura romanico-gotica, a tre navate, fu rimaneggiata ed ampliata nel sec. XVII, quando anche il campanile, con 12 campane, venne ricostruito in seguito ad un bombardamento navale inglese.

    Madonna della Costa


    Santuario della Madonna della Costa . Affettuosamente chiamato dai cittadini e meglio noto ai turisti come Madonna della Costa, è da sempre un punto di riferimento per naviganti in quanto è stata edificata in cima alla collina della Pigna, sede del nucleo primitivo della città.


    Chiesa Ortodossa


    Chiesa Ortodossa Russa. Alla fine dell'Ottocento la nobiltà russa aveva scelto la città come luogo privilegiato per svernare e per soggiorni curativi. La comunità russa dell'epoca aveva raggiunto il migliaio di persone, tanto che venne stabilito, in concerto con il Comune, di realizzare una chiesa ortodossa.


    Palazzo Bellevue


    Palazzo Bellevue. Costruito tra il 1893 ed il 1894 su progetto di Pietro Agosti, la sua destinazione fu per quasi 70 anni quella di albergo di lusso per una selezionata clientela.


    Palazzo Borea D’Olmo


    Palazzo Borea D’Olmo. Costruito in momenti diversi, a partire da un'abitazione del tardo Medioevo, il palazzo, nella centralissima Via Matteotti a pochi metri dal Teatro Ariston, ha assunto l'attuale aspetto tra i secoli XVII e XVIII, e rappresenta uno dei più importanti edifici barocchi della Liguria Occidentale.


    Villa Nobel


    Villa Nobel. Nel 1870 il farmacista rivolese Pietro Vaccheri fece edificare sulle coste di levante della città un'elegante palazzina che "per la sveltezza e l'eleganza delle sue forme piace ai più scrupolosi nel voler adempiute le regole dell'arte". In stile moresco, questa fu l'ultima residenza di Alfred Nobel, che acquistò nel 1892, ristrutturò (su progetto di Pio Soli) sopraelevandola di un piano, rinominò "Villa Mio Nido" e dove vi si trasferì principalmente per motivi di salute.



    Teatro Ariston


    Il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, comunemente noto come Festival di Sanremo, è una manifestazione canora che ha luogo ogni anno a Sanremo.


    Il Festival ha cadenza annuale, e si tiene durante la stagione invernale: attualmente si svolge al Teatro Ariston di Sanremo in un periodo che oscilla tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo. Originariamente la sede del Festival era il salone delle feste del Casinò di Sanremo.
    In oltre cinquant'anni di storia, per il festival sono passati la maggior parte dei nomi celebri della canzone italiana. Nella metà degli anni cinquanta fu fonte d'ispirazione per la creazione dell'Eurofestival.
    Essendo la manifestazione di musica leggera più famosa in Italia, con un certo riscontro anche all'estero (è trasmesso anche in Eurovisione), il Festival è diventato uno dei principali eventi mediatici della televisione italiana e non manca di sollevare dibattiti e polemiche ad ogni sua edizione.





    La Festa dei fiori - Sfilata dei carri


    Ogni anno si svolge la tradizionale Festa dei Fiori, infatti Sanremo è detta : La Città dei Fiori.

    Pietra Ligure

    Pietra Ligure deve il suo nome all'antico castello che si erge sullo spuntone di roccia esposto a nord-est, dominando la baia, la costa e le colline circostanti. Castrum et Oppidum Petrae, il castello di pietra, costruito nel VII - VIII secolo ed abitato a lungo dai vescovi di Albenga, che nel 1100 ne fecero loro dimora estiva.



    Il centro storico di Pietra Ligure, caratterizzato dai caruggi (le strette vie tipiche dei borghi liguri) è uno dei più tipici e architettonicamente interessanti della Liguria. Dopo i recenti lavori di riqualificazione è oggi quasi completamente un'isola pedonale. Benché il tessuto commerciale e turistico sia ben sviluppato, la parte più antica del centro storico di Pietra Ligure (che si sviluppa intorno all'antica chiesa parrocchiale, offre angoli tranquilli e suggestivi. Gli antichi ingressi della città vecchia sono stati recentemente restaurati e riportati al loro aspetto originario. Il centro storico ha il suo naturale sbocco (attraverso due archivolti) sul lungomare Giovanni Bado, ornato da palme e giardini. Durante i mesi estivi, il lungomare è quasi sempre affollato da turisti e residenti, attirati dai numerosi esercizi pubblici e dagli eventi dell'estate pietrese, tra i quali si possono citare i fuochi artificiali in occasione della festa del Miracolo (8 luglio) e dell'Assunta (15 agosto).



    Il Castello

    L'antico nome della città era La Pietra, e faceva riferimento all'imponente scoglio calcareo che si trova a levante del centro storico, sopra il quale fu costruito il castro romano. Il castello, ingrandito nel periodo delle invasioni barbariche e saracene (VI-IX secolo), era di proprietà vescovile e raggiunse le sue attuali dimensioni nel XVI secolo. Si ritiene che questo sbarramento naturale, facilmente difendibile, costituisse un caposaldo di confine fra i Bizantini e i Longobardi.

    Il castrum bizantino fu distrutto probabilmente da Rotari, ma nello stesso sito sorse nel XII secolo il castello medievale, roccaforte dei Vescovi di Albenga, soggetta allora a frequenti attacchi da parte dei Del Carretto di Finale. A ovest del castello si sviluppò un borgo, cinto da mura turrite, dotato di 5 porte e precisamente la porta della marina protetta da un bastione a sud, la porta di S. Caterina vicino all'omonimo Oratorio campestre a nord, la porta del portino protetta dalla torre di via Rocca Crovara e la porta reale ad ovest, la porta del macello ad est. Dopo alterne vicende, il borgo fu definitivamente ceduto dal papa Urbano VIII a Genova, nel 1385, e acquistò notevole importanza quale punta avanzata della Repubblica tra il Finalese e Loano, feudo dei Doria.



    Il castello rimase invece proprietà dei vescovi di Albenga, che lo cedettero agli Arnaldo alla fine del Trecento. Passò poi in possesso di altre famiglie patrizie e fu ampliato nel Settecento con l'aggiunta di un'ala verso sud-ovest. La parte medievale, alla fine degli anni cinquanta, è stata ristrutturata e trasformata in locale di ritrovo. La solida muratura appoggiata direttamente sulla roccia, la posizione impervia, i passaggi voltati e i bassi locali detti "Grimaldina", per il fatto che vi furono imprigionati i Grimaldi alla fine del Trecento, giustificano l'importanza che il castello esercitò nel sistema difensivo locale.

    Basilica di San Nicolò



    La costruzione della chiesa parrocchiale venne decisa per voto dalla Comunità in seguito al miracolo della liberazione dalla peste operata, secondo la leggenda da san Nicola di Bari nel 1525. Tuttavia le discussioni sul luogo dell'edificazione si protrassero fino alla prima metà del XVIII secolo.

    Tigullio

    è un comprensorio territoriale che fa parte della provincia di Genova in Liguria. Il territorio, inserito tra il Golfo Paradiso a ovest, la val Fontanabuona e la val Petronio a est, comprende i comuni costieri di Portofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo, Zoagli, Chiavari, Lavagna e Sestri Levante.
    Area geografica storicamente importante durante il dominio della Repubblica di Genova, con la suddivisione del territorio in podesterie e due capitaneati (Rapallo e Chiavari) e "quartier generale" di una delle famiglie più importanti della nobiltà genovesi, i Fieschi di Lavagna, anche in epoca napoleonica il Tigullio conobbe fasi importanti con la promozione di Chiavari a capoluogo del Dipartimento degli Appennini e, in seguito con il Regno di Sardegna, capoluogo della provincia omonima tra il 1817 e il 1859. Oggi l'area tigullina è meta del turismo vacanziero, costituente la principale attività economica del territorio.





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    Portofino






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    Gilberto Govi



    Gilberto Govi nasce a Genova il 22 ottobre 1885 in Via San'Ugo 13 nei pressi della Stazione Principe. Il padre Anselmo è impiegato delle ferrovie e dalla nativa Modena si è trasferito nel capoluogo ligure per motivi di lavoro assieme alla moglie Francesca Gardini, di Bologna.
    A quattordici anni Gilberto entra a far parte di una compagnia filodrammatica genovese e per cinque anni frequenta questo mondo artistico che gli trasmette la passione per il teatro che diverrà poi il grande amore della sua vita. Nel 1902 viene intanto assunto come disegnatore presso le Officine Elettriche Genovesi, ma Govi non pensa di rinunciare al teatro per una vita da impiegato. Nel 1904, infatti, a soli 19 anni si iscrive all'Accademia Italiana del Teatro Nazionale con sede nello stradone Sant'Agostino ed inizia la sua carriera artistica: nel 1911 incontra sul palcoscenico del Nazionale Caterina Franchi Gaioni che diverrà poi sua moglie, nel 1912 viene scritturato come attor giovane da una compagnia professionista e nel 1914 fonda la Compagnia Dialettale, di cui assume il ruolo di direttore artistico e primo attore, nel 1917 si esibisce per la prima volta lontano dalla Liguria, a Torino con “I manezzi pe' maià 'na figgia ed il 26 settembre dello stesso anno si sposa con Rina. Sino al 1923 alterna l'attività di disegnatore a quelle di attore che gli da sempre maggiori soddisfazioni anche sotto il profilo economico e finalmente il 31 dicembre di quell'anno si dimette dalle Officine Elettriche Genovesi per dedicarsi completamente al teatro. Il 1926 è l'anno della splendida e fortunata tournèe in Argentina dove recita per tre mesi e mezzo con ben 162 repliche e conserverà le locandine dell'epoca per sempre tra i suoi ricordi più cari. Il successo fu enorme perché i tantissimi emigrati liguri ritrovarono in lui non solo il gusto della propria lingua, ma il sapore delle proprie tradizioni e delle proprie radici. Nel 1928 recita a Roma, l'anno dopo a San Rossore ospite di Vittorio Emanuele III e della corte sabauda e nel 1930 porta in scena a Parigi Pignasecca e Pignaverde. Non va dimenticato che il governo di quegli anni non amava particolarmente i dialetti poiché li considerava un ostacolo alla diffusione dell'italiano e quindi alla costruzione della patria fascista e quindi in un primo tempo l'attività artistica di Govi fu guardata con sospetto, ma agli spettacoli romani intervenne persino Mussolini, che volle regalargli una foto con dedica in segno di sincero apprezzamento. Da quel momento gli attestati di stima dei più importanti gerarchi divennero usuali e Govi sarà l'unico attore dialettale ad assurgere a fama nazionale. Nel 1932 riceve l'onorificenza di Grande Ufficiale della Corona d'Italia e nel 1935 si esibisce a Tripoli ospite personale di Italo Balbo. Nel 1938 inaugura il Teatro Margherita a Genova e tra il 1942 ed il 1951 le sue commedie approdano al cinema ed incide alcuni dischi con i suoi più celebri monologhi. Nel 1957 si dedica ad un lungo ciclo di commedie da portare in scena esclusivamente per essere riprese e trasmesse in televisione e nel 1960 rimette in piedi la compagnia per l'ultima stagione della sua fortunatissima carriera e nel 1966 muore nella sua Genova.



    Il suo studio, le sue foto di scena, i suoi disegni, i suoi schizzi e studi di trucchi e parrucche, gli abiti di scena, i copioni tante volte modificati e corretti, i suoi ricordi più cari, il suo medagliere, furono poi conservati gelosamente dalla moglie Rina per quasi vent'anni ed alla sua scomparsa furono donati al Comune di Genova affinché trovasse una definitiva sede espositiva presso il Museo Biblioteca dell'Attore. Sino ad oggi ciò non è stato possibile per ragioni di spazio ed il lascito Govi è ospitato presso il Museo di Sant'Agostino in una saletta riservata. A richiesta lo si può visitare, si possono consultare i copioni e le fotografie, ma soprattutto si può rivivere l'atmosfera magica del suo studio privato dove i ricordi di una meravigliosa carriera gli hanno allietato gli ultimi anni di vita: il veliero che troneggiava sulla scena di “Colpi di Timone”, gli occhiali di “Sotto a chi tocca” e “Tanto pe-a regola”, il gilet dei “Manezzi”, i trucchi e lo specchio che portava sempre per il suo camerino, di scena, il baule dei vestiti, la croce cardinalizia di “Sua eminenza manica larga”, le bocce dell'omonima commedia, le foto con dedica di altri famosi artisti: Ermete Zacconi, Aureliano Pertile, Pietro Mascagni, Tito Schipa… ed il quadro forse più celebre: Govi il volto e la maschera dove il pittore Canepa nel 1925 volle immortalare a sinistra l'attore nei panni del personaggio di “Quello Bonanima” ed a destra com'era nella vita.

    Giunio Lavizzari Cuneo

    Enzo Tortora



    Enzo Tortora (Genova, 30 novembre 1928 - Milano, 18 maggio 1988) è stato un giornalista, conduttore radiofonico, conduttore televisivo e politico italiano.
    È stato deputato per il Partito Radicale al Parlamento Europeo, candidatura arrivatagli in segno di sostegno per una clamorosa vicenda giudiziaria dalla quale è uscito completamente riabilitato pochi mesi prima di morire



    Gli anni ottanta: il "caso Tortora"

    L'attività lavorativa di Tortora prosegue fino al 1982 in RAI con programmi quali Portobello e L'altra campana (1980) e su Antenna 3 Lombardia; durante quell'anno passa a Retequattro per condurre Cipria. Conduce infine con Pippo Baudo alcune puntate della rubrica Italia parla.

    La carriera di Tortora viene bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli.

    Le accuse si basano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso detto "Gianni il bello", Pasquale Barra, noto come assassino di galeotti quand'era detenuto e per aver tagliato la gola, squarciato il petto e addentato il cuore di Francis Turatello, uno dei vertici della malavita milanese; infine altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D'Agostino pluriomicida, detto "Killer dei cento giorni", accusano Tortora. A queste accuse si aggiungeranno quelle, rivelatesi anch'esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.

    L'accusa si basa, di fatto, unicamente su di un'agendina trovata nell'abitazione di un camorrista con su scritto a penna un nome che appare essere, all'inizio, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; nome che, a una perizia calligrafica, risulterà non essere il suo, bensì quello di tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risulterà appartenere al presentatore. Si stabilirà, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che erano stati indirizzati al presentatore perché venissero venduti all'asta del programma Portobello.

    La redazione di Portobello, oberata di materiale inviatole da tutta Italia, smarrisce i centrini ed Enzo Tortora scrive una lettera di scuse a Pandico. La vicenda si conclude poi con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire.

    In Pandico, schizofrenico e paranoico, crescono sentimenti di vendetta verso Tortora. Inizia a scrivergli delle lettere, che pian piano assumono carattere intimidatorio con scopo di estorsione.

    Il presentatore sconta sette mesi di carcere - ottenendo tre colloqui con i magistrati inquirenti Lucio Di Pietro e Felice Di Persia - e continua la sua detenzione agli arresti domiciliari per motivi di salute. Nella sua autobiografia, relativamente al suo periodo carcerario, racconterà di un suo sogno in cui assieme ai suoi compagni di cella diviene ladro di appartamenti.

    Nel giugno del 1984 Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento Europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sosterrà le battaglie giudiziarie.

    Il 17 settembre 1985 Tortora viene condannato a dieci anni di carcere, principalmente grazie alle accuse di altri pentiti.

    Il 9 dicembre 1985 il Parlamento Europeo respinge all'unanimità la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'eurodeputato Enzo Tortora per oltraggio a magistrato in udienza. I fatti contestati sono relativi all'udienza del processo alla N.C.O. del 26 aprile 1985, in occasione della quale il pubblico ministero Diego Marmo afferma:

    « Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra! »


    accusa dinanzi alla quale Tortora grida:

    « È un'indecenza! »


    Nella motivazione della decisione del P.E. si legge tra l'altro:

    « Il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un'offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al «fumus persecutionis»: in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all'origine dell'azione penale, si collochi l'intenzione di nuocere all'uomo e all'uomo politico. »


    Il 31 dicembre 1985 si dimette da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, resta agli arresti domiciliari.

    Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte d'Appello di Napoli e i giudici smontano in tre parti le accuse rivolte dai camorristi, per i quali inizia un processo per calunnia: secondo i giudici, infatti, gli accusatori del presentatore - quelli legati a clan camorristici - hanno dichiarato il falso allo scopo di ottenere una riduzione della loro pena. Altri, invece, non legati all'ambiente carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda: era, questo, il caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.

    Così, in una intervista concessa al programma La Storia siamo noi, in una puntata dedicata specificamente al caso Tortora, il giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d'indagine che ha portato all'assoluzione del popolare conduttore televisivo:

    « Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all'ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po' sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell'altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell'imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie... E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.» »


    Enzo Tortora torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello.



    Il ritorno in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, leggermente invecchiato e fisicamente molto provato dalla terribile vicenda passata, con evidente commozione pronuncia serenamente la famosa frase:

    « Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi; sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta. »


    L'accoglienza del pubblico non è tuttavia plenaria. Sono in molti a dubitare dell'innocenza del conduttore che, a loro parere, si sarebbe avvalso della notorietà e dell'elezione a parlamentare europeo per scagionarsi.

    Una trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documenta per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto.

    Tortora sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, a quattro anni esatti dal suo arresto.

    Il caso Tortora porterà, in quello stesso anno, al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: in quella consultazione voterà il 65% degli aventi diritto, l'80% dei quali si esprimerà per l'estensione della responsabilità civile anche ai giudici.

    Alcuna azione penale, indagine di approfondimento venne mai avviata né alcun procedimento disciplinare verrà mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguiranno le proprie carriere, senza ricevere censure per il loro operato nel caso Tortora.



    La morte
    Conclusa in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma televisivo intitolato Giallo andato in onda nell'autunno 1987, Enzo Tortora muore la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare che molti hanno ritenuto di origine psicologica, cioè scatenato dall'enorme stress psicologico sofferto per le vicende giudiziarie.[senza fonte]

    A Tortora è stata dedicata la Biblioteca Enzo Tortora a Roma e la Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora, presieduta dalla compagna, Francesca Scopelliti.

    fonte wikipedia


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    San Lorenzo della Costa - Rapallo

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    Camogli - panorama

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    Santa Margherita Ligure - il golfo del tigullio e le ginestre

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    CAMOGLI
    Il centro di Camogli è situato in una conca del Golfo Paradiso all'estremità occidentale del promontorio di Portofino, nella riviera ligure di levante a 23 chilometri ad est di Genova. Appartiene a Camogli la parte più ampia del parco naturale regionale di Portofino, mentre lo specchio acqueo antistante il promontorio fa parte dell'Area naturale marina protetta Portofino. L'aspetto più rilevante della cittadina è la presenza di edifici colorati che si affacciano sulla spiaggia. I colori e le linee più chiare orizzontali (dette marcapiano) servivano ai marinai camogliesi per riconoscere più facilmente la propria abitazione tra i vari piani dei palazzi del borgo e farvi ritorno dopo la pesca. La maggior parte degli edifici del centro storico sono stati edificati con un susseguirsi di aggiunte e modifiche nel corso dei secoli. Spesso le aggiunte riguardavano anche singole stanze che modificavano l'aspetto sia interiore che esteriore dei palazzi. La nascita di un figlio di un navigante o quanto ricavato da un lungo imbarco, spesso erano le motivazioni da cui nasceva una nuova appendice al palazzo esistente.


    DI GIORNO



    DI NOTTE



    Paolo Villaggio
    Rieccomi ciao Zara ciao massi ciao Lussy
    ciao Raffa




    Paolo Villaggio (Genova, 30 dicembre 1932) è un attore, scrittore e regista italiano.

    Tra gli esponenti di spicco della comicità italiana, è famoso soprattutto per i suoi personaggi legati ad una comicità paradossale e grottesca: il professor Kranz, il timidissimo Giandomenico Fracchia, ma soprattutto il servile e sottomesso ragionier Ugo Fantozzi. Notevole la sua attività di scrittore, iniziata proprio con un libro su Fantozzi al quale seguiranno altri sei sul ragioniere, e altri libri di carattere satirico. Versatile attore, nonostante i numerosi ruoli "fantozziani", ha recitato in ruoli più drammatici, partecipando a film di registi del calibro di Fellini, Wertmuller e Olmi.




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    ZOAGLI

    Zoagli è un piccolo borgo incastonato tra i comuni costieri di Rapallo e Chiavari nel Golfo del Tigullio. Dista 38 chilometri da Genova. Conosciuta e apprezzata località balneare è celebre per la sua scogliera pedonale a ridosso sul mare realizzata negli anni trenta del XX secolo con il contributo economico degli abitanti; nel territorio zoagliese sono presenti inoltre diversi percorsi naturali boschivi, le caratteristiche crêuze liguri, e mulattiere che permettono dal centro cittadino di raggiungere le frazioni e località del comune.





    UNA FESTA MERAVIGLOSA ... SEMBRA L'IMMAGINE DELLA NOSTRA ISOLA FELICE ... NOI INNAMORATI DELL'AMORE ... NOI SOGNATORI ... GUARDATE LE IMMAGINI DI QUESTA RICORRENZA ... A LAVAGNA (LIGURIA)... E DITEMI SE NON VI SEMBRA DI SOGNARE ...


    Torta dei Fieschi

    è una manifestazione storica tenuta a Lavagna, in provincia di Genova, il 14 agosto di ogni anno. Questa festa rievoca il matrimonio, avvenuto nel 1230, tra il conte Opizzo Fiesco e la nobildonna senese Bianca de' Bianchi, e comprende una sontuosa sfilata in costume per le strade della città sino ad arrivare in piazza Vittorio Veneto, ai piedi della Torre Fieschi, dove avviene il taglio della mastodontica torta che, secondo la tradizione, i due sposi avrebbero donato alla popolazione per festeggiare l'unione tra i loro due casati. La storicità di questo avvenimento non è stata accertata. Le cronache dell'epoca parlano infatti di un matrimonio e di una grande torta, ma non si sa per certo quale membri della famiglia fossero gli sposi, mentre il nome della contessa Bianca de' Bianchi è forse stato inventato da Yvon Palazzolo nel 1949.














     
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    ...Questa festa rievoca il matrimonio, avvenuto nel 1230, tra il conte Opizzo Fiesco e la nobildonna senese Bianca de' Bianchi....


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    ...il Gran Ballo storico

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    Giulia Ottonello nasce a Genova nell'estate del 1984.

    S’impone all’attenzione del grande pubblico vincendo la seconda edizione (2002-2003)
    del programma televisivo "Amici" di Maria De Filippi.
    Debutta nel panorama del musical italiano, interpretando il ruolo di Kathy Selden
    al fianco di Raffaele Paganini in "Cantando sotto la pioggia", con la regia di Saverio Marconi
    per la Compagnia della Rancia



    Nel giugno 2007 partecipa al concerto tributo ad Umberto Bindi "Il mio Concerto"
    che si tiene a Genova al "Teatro Della Tosse". Serata magica in cui conosce il GnuQuartet,
    con cui nasce fin da subito una profonda stima, ricca di future collaborazioni artistiche
    Tra settembre e ottobre 2007 si affaccia al mondo del doppiaggio cinematografico,
    doppiando la voce cantatadella Principessa Giselle nel film "Come D'Incanto" della Walt Disney.
    Incide anche il brano, che oltre a far parte della colonna sonora,
    verrà usato per la promozione del film.Ottobre 2007, partecipa all'album
    "Il Diverso Sei Tu"- Cantare, Suonare, Leggere De André", interpretando "Cantico Dei Drogati".
    Progetto creato per la Giornata Europea delle Persone Disabili,
    che si svolgerà nella serata concerto del 3 dicembre all'Auditorium Rai di Torino,
    a cui lei prenderà parte.

    La danza

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    Distribuzione del dolce "Torta dei Fieschi"

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  4. tomiva57
     
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    molto belle queste immagini ..grazie claudio
     
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  5. tomiva57
     
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    LA RIVIERA DEI FIORI



    AIROLE

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    Airole è tipicamente ligure per la sua spiccata arcaicità. Nella sua chiesa parrocchiale, la grande tela dei santi patroni di Carlo Morgari, le statue devozionali, la tela della Vergine con i Santi, incorniciata dai quindici misteri del Rosario. Dalla piazza della chiesa, una strada conduce al santuario della Madonna delle Grazie, donde un percorso fra gallerie di olivi, boschi, passaggi aperti su antichi ponti per raggiungere Fanghetto, il minuscolo borgo silenzioso nei pressi di un confine di stato ormai inesistente.


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    APRICALE



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    Per raggiungere Apricale (il paese del sole, lo dice il toponimo), oltrepassata Isolabona, bisogna abbandonare la direttrice della Val Nervia ed imboccare la diramazione per la vallata del torrente Merdanzo. Qui, d'improvviso, dopo una curva, appare Apricale, appollaiato su un pendio, circondato dagli ulivi. Anticipa il paese un percorso sterrato laterale, che conduce ai ruderi dell'antica chiesa romanica di San Pietro in Ento (XI secolo), situata su breve pianoro. Ritornando sulla strada carrozzabile, nei pressi di una piccola sorgente (ritenuta per lungo tempo miracolosa e terapeutica), si erge la chiesa di Santa Maria in Albis (ora Madonna degli Angeli) del XIII secolo, che subì trasformazioni in epoca barocca. Nel suo interno, una lunga sequenza di affreschi, di epoca diversa, fra i quali spicca una Incoronazione della Vergine del 1400.
    Nel borgo antico fortificato (oggi decorato da originali "murales" di artisti contemporanei) ci si addentra attraverso ripide stradine, passaggi coperti, archivolti in pietra, sino a raggiungere la piena ed inaspettata luce della piazza principale, sotto la rocca, dal suggestivo impianto scenografico: giochi di archi in pietra, un antico abbeveratoio fontana, di sapore prerinascimentale, logge e palazzotti con decori, prospetti barocchi e ottocenteschi e, da ultimo, i possenti contrafforti del castello. Sul lato destro della piazza, quasi a creare mistico fondale, l'oratorio di San Bartolomeo, dalla facciata barocca sovrastata da una gentile torretta campanaria, conserva, nel suo interno, un pregevole trittico in legno del 1500, che raffigura il santo. Di fronte, in posizione sopraelevata, la chiesa parrocchiale della Purificazione di Maria Vergine (dall'impatto troppo modernizzato in conseguenza dei rifacimenti subiti nel secolo scorso) e il campanile, che poggia su una torre del XIII secolo.
    Di fianco a quest'ultima chiesa, il castello feudale (oggi castello della Lucertola), con il suo giardino pensile, sorvegliato da uno slanciato campanile postmedievale, eretto su una preesistente torre quadrangolare. Oggetto di importanti restauri, il castello è oggi punto di incontro artistico e culturale ed ospita, nelle sue sale affrescate in stile liberty, un interessantissimo museo tematico (pittura, teatro, cimeli da collezione di epoche varie, memorie e leggende locali e, non ultimi, gli "statuti" di Apricale, i più antichi della Liguria).
    In uscita dal paese, verso Bajardo, presso il cimitero, la chiesetta romanica di Sant'Antonio (XIII secolo), con la facciata barocca e i suoi affreschi quattrocenteschi.
    L'approccio con il borgo si completa nelle sue botteghe artigiane e nei suoi atelier (di rilievo le scuole di incisione e di ceramica, quest'ultima per artisti in erba) e, a tavola, in uno dei suoi ristoranti, ormai di nome e nelle sue trattorie tipiche per ritrovarvi una ragione in più di ritorno, magari, in estate, allorché il borgo intero si trasforma in palcoscenico per accogliere performances di teatro, torneo di "Balun" pallone elastico, rassegne musicali, spettacoli d'arte o più semplicemente per un appuntamento di gastronomia per mangiar "naturale".

    Apricale è Comune Bandiera Arancione.

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    AQUILA D'ARROSCIA



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    A circa 500 metri di altezza si trova il borgo medievale di Aquila d’Arroscia. Come per la maggior parte dei comuni dell’Imperiese, anche ad Aquila l’economia è basata principalmente sulla coltivazione degli ulivi e della vite, ma vi sono praticate con ottimi risultati anche l’orticoltura e la pastorizia.

    Storia

    Il borgo di Aquila di Arroscia entrò a far parte del Marchesato dei Clavesana nel 1202, con annesso castello del XI secolo, stringendo un'alleanza con Genova.

    Nel 1286 la città di Albenga tentò di impadronirsi del borgo, ma le difese del signore del luogo Emanuele I riescono a far demordere l'impresa ingauna. Nel 1346 fu invece Giorgio Del Carretto ha impadronirsene, sottraendola al potere dei Clavesana che però dopo alcuni anni ritornano al potere nel borgo.

    Nel 1393 il marchese Giorgio di Saluzzo, nuovo signore, vendette il borgo di Aquila al comune di Genova dividendo e subendo così le stesse sorti del capoluogo genovese e della sua repubblica.

    Fu dal 1928 al 1947 inglobata al comune di Borghetto d'Arroscia, fino alla definitiva indipendenza comunale.

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    Armo




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    Armo (Àrmu in ligure) è un comune italiano di 118 abitanti della provincia di Imperia in Liguria. Per numero di abitanti è il comune meno popoloso della provincia.


    Geografia fisica

    Il borgo di Armo sorge alla testata della valle, adiacente al torrente Arogna (affluente del fiume Arroscia), ai piedi del monte Rocca delle Penne. Dista dal capoluogo circa 31 km.


    Storia

    Antico piccolo borgo del Medioevo si unì, assieme ad altri borghi adiacenti, nel 1233 alla formazione del nuovo comune di Pieve di Teco.

    Venne quindi compreso nel marchesato della famiglia Clavesana, signori della valle, fino alla cessione di quest'ultimi alla Repubblica di Genova nel 1386.

    Durante il dominio genovese aspre furono le lotte con il vicino comune cuneese di Caprauna, per il dominio di entrambi sui pascoli.

    Nel 1928 venne aggregato nel territorio comunale di Pieve di Teco, fino alla costituzione a comune autonomo da Pieve nel 1949.

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    Armo e le sue case
    Il paese di Armo, come gli altri paesi della Valvestino ha una forma compatta, in cui i percorsi destinati all'uso pubblico non si distinguono nettamente da quelli che, fra casa e casa, gli abitanti usavano non solo come vie di transito ma anche come spazio per alcuni lavori domestici. I principali fra questi percorsi, lungo i quali si distinguono i fabbricati, seguono le linee di livello del terreno e sono spesso collegati da ripide viottole, che a volte alcuni gradini permettono di risalire più agevolmente. La morfologia del terreno influenza sensibilmente anche la struttura delle abitazioni, la cui tipologia è in molti casi quella della casa a pendìo, dotata di un accesso a valle, per la stalla, e di un altro a monte per il fienile e l'abitazione. Rampe di scale esterne mettono in comunicazione il piano seminterrato con quello superiore, ma il collegamento e a volte reso possibile anche da passaggi, spesso voltati (e perciò detto "involt"), che si aprono nella facciata della casa e sveltiscono la comunicazione la comunicazione fra i due livelli.

    Armo

    Il Vaticano: un esempio di casa unitaria
    Fra le case dei paesi di montagna si distinguono quelle che riuniscono in un solo edificio gli spazi di abitazione e quelli riservati agli animali e al lavoro. Un esempio di questa organizzazione è data dal "Vaticano", così detto perché abitato un tempo da parecchie famiglie. Al piano terra, una volta si trovava anche un forno per il pane, si trovava la stalla e lo spazio destinato alla casera e alla cantina; al primo piano la cucina, al secondo le camere e nel sottotetto il fienile. Mentre la stalla rappresentava un luogo di uso comune, anche per trascorrere le lunghe serate invernali, gli spazi di abitazione erano suddivisi fra le famiglie secondo una linea verticale, in modo da creare lotti speculari.





    AURIGO


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    L'abitato di Aurigo, comune dell'alta valle Impero, è situato sul maggiore contrafforte del Monte Guardiabella (1200 m) ad una altitudine di circa 450 m sul livello del mare.
    Il paese riceve la luce del sole dall' alba al tramonto grazie alla sua posizione privilegiata ed è da questa che prende il nome: infatti Aurigo deriva dal latino "apricus" che significa soleggiato.
    Da Aurigo si può godere di una fantastica vista su una parte della catena delle prealpi Marittime.
    l borgo primitivo sorgeva nelle vicinanze della chiesa di S.Andrea, in parte conservata nelle forme originali. Il paese vive soprattutto grazie all'olivicoltura ed all'agricoltura.

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    La località era già sede del castello dei Ventimiglia-Lascaris costruito intorno alla metà del XII secolo.
    I resti di questa antica fortificazione si trovano nella parte settentrionale di Aurigo a poca distanza dal Palazzo de Gubernatis, già castello Lascaris del XV secolo con interessanti portali in pietra nera, infine con Carlo Emanuele I entrò a far parte dei domini sabaudi. Con ogni probabilità l'abitato originario si estendeva piu in alto, vicino alla chiesa di Sant'Andrea , antica pieve medioevale attribuibile al XII secolo, ma rifatta in epoca barocca.
    Di notevole interesse il campanile che potrebbe essere la derivazione di una torre del sistema difensivo della Valle del Maro.
    PoggialtoLa chiesa parrocchiale della Natività è stata costruita in stile barocco da G. F. Marvaldi.
    La presenza dei conti di Ventimiglia è poco leggibile, se non nei resti del palazzo Lascaris, impreziosito da bei portali, e nelle sovrapporte che si trovano nella via principale, testimonianza di un passato di prestigio.
    A poca distanza da Aurigo, su un bel piazzale reso suggestivo dai resti di antiche colonne, si trova il santuario di San Paolo , di origini medioevali, ma ricostruito nel XVI secolo. La facciata e abbellita da un portale del 1602, all'interno si può ammirare un polittico raffigurante San Paolo attribuito al Pancalino. La torre della Colombera
    Sulla via che collega Aurigo al santuario è interessante una serie di edicole scolpite in pietra grigia.
    A Poggialto non si trovano opere d'arte di rilievo, a parte l'oratorio di San Bernardo con una bella acquasantiera medioevale. Il paese e stato costruito vicino alla Torre della Colombera del XII - XIII secolo, avamposto del sistema difensivo del Maro.

    La vita economica del paese resta legata alla produzione olearia: ne sono a dimostrazione i frantoi ancora presenti e funzionanti e i molti ettari di terreno coltivati ad uliveto.

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    BADALUCCO



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    Badalucco è un comune di 1.234 abitanti della provincia di Imperia.
    Badalucco è situato nella media Valle Argentina, adiacente la Rocca di San Nicolò. L'antico borgo medievale, sorto lungo il torrente omonimo, presenta tipiche case in pietra a vista site in stretti vicoli, caruggi e piazzette. Caratteristici sono i due ponti del tardo Medioevo, costruiti con forma a schiena d'asino, situati all'entrata e all'uscita del borgo.
    Il clima, nonostante la vicinanza alla costa, è di tipo continentale con estati afose ed inverni freddi ed umidi. Le brezze marine infatti non riescono a penetrare negli stretti meandri della Valle Argentina. Il comune fa parte della Comunità Montana Argentina Armea.
    Secondo fonti storiche locali, nei pressi di Campo Marzio posto all'inizio dell'abitato, si è combattuta la battaglia fra la popolazione dei Liguri contro l'esercito dell'Impero Romano nel 181 a.C.. La vittoria dei Romani sulla popolazione locale segnò la sottomissione della Riviera di Ponente e delle valli circostanti.
    In seguito divenne feudo dei Conti di Ventimiglia, fino alla metà del XIII secolo, ossia quando Genova diede inizio alla sua mira espansionistica nel ponente ligure.
    Nel 1258 Badalucco subì l'occupazione militare da parte della Repubblica di Genova, in lotta con Carlo d'Angiò, riuscendo nell'anno successivo (1259) ad acquistarne delle terre. Giovanni Boccanegra, per conto del Comune di Genova, riscattò le terre di Balauco, Baiardo e la metà di Buzana (le odierne Badalucco, Bajardo e Bussana) per la somma di 2.300 mila lire.
    Nel XVIII secolo subì l'invasione e la conseguente occupazione da parte dell'esercito dell'Impero Austro-Ungarico (1747) e cinquant'anni dopo (1797) quella del generale corso Napoleone Bonaparte durante la calata francese napoleonica in Liguria.
    Nel 1815 alla caduta dell'imperatore francese rientrò nei confini del Regno di Sardegna, così come il resto della precedente repubblica genovese, e nel 1860 nel Regno d'Italia.

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    Murales e ceramica accompagnano il visitatore a riscoprire il centro storico con i bei ponti in pietra, i suoi carrugi e le vecchie botteghe medievali. Il borgo medievale conserva ancora oggi cinque passaggi: la porta di San Rocco con piccolo corpo di guardia, la porta del Poggetto, la porta di Santa Lucia sul ponte omonimo, la porta del Beo e della Castella.

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    Caratteristica tutta speciale di questa località è la presenza di una "Galleria d'Arte all'aperto" opere in ceramica e legno, sculture, dipinti sono state murati sulle stradine di Badalucco, a mo' di mostra permanente, visitabile a qualsiasi ora del giorno o della notte. Inoltre sono state recuperate tutte le fontane, decorandole in modo fantasioso. L'iniziativa e dell'assessore al Turismo Franco Boeri e ha riscosso grande entusiasmo prima di tutto negli abitanti, che sono molto fieri di queste opere di artisti famosi che hanno conferito un qualcosa di magico e di unico al loro paese, rispettando perfettamente la sua medievalità. Giganteschi murales, opera di grande impatto visivo, coprono muri pareti in origine diroccati e anonimi. Sono 45 le opere qui conservate,
    A questa galleria d'arte all'aperto si affiancano le sale per esposizioni che consentono, attraverso mostre, di continuare il cammino artistico intrapreso. Due attrezzati laboratori per la lavorazione della ceramica costituiscono la base per un rilancio culturale ed artistico del paese.
    Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta e San Giorgio. Costruita in stile barocco, di cui conserva un elegante facciata, conserva al suo interno una scultura lignea di Anton Maria Maragliano raffigurante la Madonna ed un gruppo di angeli della scuola del Bernini.
    Chiesa di San Nicolò. Eretta nel XVII secolo al di fuori del paese è stata costruita sulle precedenti rovine del castello di Badalucco.
    Cappella dedicata alla Regina di tutti i Santi. Costruita nel 1721 sul poggio di Pallarèa.
    Palazzo Boeri. Posto di fronte alla chiesa parrocchiale venne eretto intorno al XVI secolo.



    La zona di produzione del "FAGIOLO BIANCO di BADALUCCO” è individuata all’interno del territorio amministrativo dei Comuni di Badalucco, Montalto Ligure, Taggia (limitatamente ai fogli catastali 5-6-8), e specificatamente nella fascia altimetrica compresa tra i 200 ed 500 metri sul livello del mare.
    Le produzioni sono realizzabili solo in pieno campo durante il periodo estivo , ed in particolare dai primi giorni di giugno alla seconda metà di ottobre.

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    BAJARDO



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    Il borgo medievale di Bajardo (900 metri s.l.m.) è raggiungibile, attraverso strada carrozzabile, tra pinete e boschi di castani, valicando il passo Ghimbegna. Il borgo, sovrastato dai ruderi della chiesa di San Nicolò, è luogo di villeggiatura estiva, in posizione panoramica con vista sulle Alpi liguri e francesi (consigliata l'escursione alla vetta del monte Ceppo).
    La nuova chiesa parrocchiale (consacrata alla fine dell'Ottocento) conserva, al suo interno, il quattrocentesco polittico del pittore lombardo Francesco da Verzate. La leggenda del luogo racconta dello sfortunato amore della figlia del conte di Bajardo per un marinaio, tragicamente concluso con la condanna a morte di entrambi nel giorno di Pentecoste. Da qui, la celebrata festa di "Ra Barca", nella solennità annuale di Pentecoste, allorquando gli abitanti del luogo danzano in circolo, sulla piazza principale del borgo, intorno a un gigantesco albero (quasi albero di maestra di una nave), cantando una ballata che rievoca il fatto.


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    BORGHETTO D'ARROSCIA



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    Già dominio dei Marchesi di Clavesana, nel 1512 venne acquistato dalla Repubblica di Genova.
    Con Armo , Vessalico e Ranzo entrò a far parte del «capitaneato» della Pieve di Teco .
    Al comune, fino al 1862 chiamato Borghetto, furono aggregati Ubaga nel 1886 e i comuni di Aquila d'Arroscia e di Ranzo dal 1928 al 1947.
    Tipico centro agricolo di impianto lineare ai due lati della strada a ponente dello sbocco del rio Calabria.

    I maggiori prodotti sono quelli dell'olivo e della vite.
    Il raccolto delle olive viene trasformato in profumato olio molto apprezzato e richiesto sul mercato.
    Buon raccolto anche quello delle pesche. Negli ameni e freschi castagneti di Leverone scaturisce limpida e pura la sorgente di acqua oligo-minerale «Santa Vittoria», conosciuta in tutta la Liguria occidentale. Prodotti tipici sono l'olio vergine d'oliva, le pesche, le albicocche, le patate, i vini pigato e ormeasco, il miele, i funghi e le castagne.

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    Luoghi e monumenti

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    S.Antonio Abate e UbagaDi epoca barocca è la chiesa parrocchiale di S. Marco Evangelista all'inizio dell'abitato. Un polittico attribuito a Giorgio Guido da Ranzo, datato 1544, è conservato nell'oratorio della Madonna della Neve, mentre un altro polittico attribuito a Pietro Guido, padre di Giorgio, e datato 1532, è conservato nella chiesa parrocchiale di S. Antonio Abate a Ubaga. In un'altra frazione, Gavenola, la chiesa parrocchiale di San Colombano San Colombano a Gavenola e la piu grande della valle dopo quella di Pieve di Teco .

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    Sorta nel 1796 è di stile neoclassicheggiante, ad una sola navata e a pianta regolare.
    Nel tempio si conservano: la statua lignea del Cristo morto e le tre casse della flagellazione attribuite al Maragliano.
    Una bella pala d'altare del XVII secolo e conservata nell'oratorio di S. Caterina attiguo alla chiesa parrocchiale di Leverone della quale e titolare S. Bernardo Abate.
    Sulla vetta della montagna che sovrasta la frazione, a 1.171 metri di altitudine, La Madonna della Misericordiasorge il santuario della Madonna della Neve più comunemente conosciuto come Madonna del Monte.
    Ai Santi Cosimo e Damiano è dedicato il santuario che sorge in cima al colle di S. Cosimo, teatro dei feroci combattimenti fra le truppe francesi e piemontesi avvenuti nel 1794, come testimoniano ancora ben visibili gli scavi fatti per i trinceramenti. Il tempio subì vari rifacimenti nel 1762, nel 1883 e nel 1888.
    Ad Ubaga sono ancora ben visibili i resti di una torre di vedetta e di segnalazione a base quadrangolare detta «castello di Ubaga».

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    BORDIGHERA



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    La svolta epocale per Bordighera avvenne con l'inaugurazione della linea ferroviaria (circa intorno al 1872). Da piccolo borgo arroccato sul promontorio di Sant'Ampelio e baia di pescatori nella frazione di Arziglia, la nuova Bordighera si apre alla zona piana, delimitata a levante dal massiccio di capo Sant'Ampelio sino alla vallata del Roia, per accogliere l'abitato, ville, villini e palazzi dallo stile eclettico, circondati da giardini e parchi. La intersecano ampie strade e viali. Nasce la pittoresca via dei Colli e, a mezza costa, la via Romana. Oltre la ferrovia, la spiaggia, per lungo tratto, si arricchisce di una suggestiva passeggiata a mare.
    La favorevole posizione della città, protetta a nord da una catena di alture, esposta a mezzogiorno sul mare, garantisce una temperatura uniforme nelle varie stagioni, senza bruschi sbalzi, con insolazione rilevante durante l'estate. Che Bordighera fosse una località di soggiorno sereno e riposante grazie anche ad un'ottima organizzazione di ospitalità (alberghi, centri residenziali ed appartamenti per vacanze di ogni categoria), lo scoprirono per primi i viaggiatori britannici che, sul finire del 1800, in certi periodi dell'anno, con la loro prolungata presenza, superavano il numero degli abitanti locali.
    Non a caso, proprio grazie alla nutrita colonia britannica, nasce a Bordighera, nel 1878, il primo circolo del tennis italiano e, nel 1888, lo studioso inglese Clarence Bicknell fonda il museo, che oggi porta il suo nome, ricca raccolta paleontologica della Liguria (si ricordino i calchi delle incisioni rupestri provenienti dalla Valle delle Meraviglie sulle pendici del monte Bego). Il museo, ubicato sulla via Romana, è dotato di biblioteca internazionale, che raccoglie oltre 20.000 volumi ed oggi ospita l'Istituto Internazionale di Studi Liguri, motore culturale dell'intera regione. Francese fu, invece, l'architetto che segnò, a partire dal 1870, lo sviluppo urbanistico di Bordighera, Charles Garnier, che qui costruì la sua villa pensile sul mare influenzando, nello stile, tutte le future residenze signorili della città.
    Caratteristica, inoltre, predominante di Bordighera e non solo, ma anche di tutta la zona, è la lussureggiante vegetazione, ove primeggiano i palmizi. Celebre, in proposito, il giardino Winter, ricchissima raccolta di palme ed altre piante, ulivi, agrumi, macchia mediterranea. E poi le variopinte e preziose coltivazioni di fiori che si estendono anche oltre Bordighera verso le località limitrofe e nell'immediato entroterra. Sull'onda della sua fama crescente, Bordighera ospita per lunghi periodi, in amena e signorile villa sulla via Romana, la Regina d'Italia Margherita di Savoia, che qui morì nel 1926.

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    Bordighera oggi è un affermato centro turistico, famoso e conosciuto, in grado di offrire tutto, nel migliore dei modi, in maniera attraente e contagiosa e al tempo stesso con humor (all'inglese). Forse è proprio per questo motivo che oggi Bordighera adotta un nuovo slogan, un marchio di qualità tutto suo, "Bordighera - Città dell'Umorismo", legata com'è, a doppio filo, al suo Festival internazionale dell'Umorismo.
    Per conoscere meglio la città, si consiglia al turista di scegliere una delle eleganti traverse, in leggera salita, che si dipartono dalla centrale via Vittorio Emanuele II per raggiungere la via Romana, costeggiata da ville, residenze ed ospitali alberghi. Da qui, si può salire al borgo antico (la città alta) e ammirarne la possente cinta muraria tardomedievale, le monumentali porte di accesso, la secentesca chiesa parrocchiale (con il gruppo della Maddalena in Gloria, attribuito all'allievo del Bernini, Filippo Parodi), il loggiato di piazza del Popolo e il cinquecentesco campanile dell'oratorio di San Bartolomeo.
    Abbandonata la città alta, attraverso via dei Colli, si raggiunge la residenza del pittore lombardo Pompeo Mariani (1857-1927), immersa tra olivi e piante esotiche. Le principali opere di questo pittore sono conservate nel Museo Bicknell sulla via Romana.
    Rientrando nella città moderna, superata la Spianata di Capo Sant'Ampelio (un punto panoramico di eccezionale suggestione), si incontra la strada litoranea e, sulla sottostante scogliera, la chiesetta in stile romanico che racchiude, nella cripta, le spoglie del patrono di Bordighera Sant'Ampelio, l'anacoreta della Tebaide, qui approdato nel V secolo, portando con sé i semi delle prime palme di dattero.

    Bordighera è Comune Bandiera Blu.

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    BORGOMARO



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    Borgomaro comprende quasi tutto il bacino del torrente Maro, territorio ricco di acque e di sorgenti, anche solforose, punteggiato da numerosi mulini e frantoi. Ottima la cucina locale, rustica e dai sapori intensi: da gustare il pane di Aurigo, prodotto secondo le antiche tradizioni artigianali del luogo e i fagioli di Conio, che sono tra i migliori della Riviera di Ponente. Il borgo alpestre racchiude in sé una suggestiva chiesa parrocchiale che conserva, nell'abside, i resti di una struttura medievale.
    Da Conio si dipartono incantevoli percorsi panoramici per i passi di Colla d'Oggia e di San Bernardo, che collegano la valle Arroscia alla valle Argentina. Candeasco, Maro Castello, Ville San Sebastiano e la pieve dei Santi Nazario e Celso a Borgomaro, fra uliveti e macchie di bosco deciduo, sono vestigia antiche di un tempo glorioso, ricche di preziosità artistiche e monumentali.

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    CAMPOROSSO



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    Camporosso, sul fiume Nervia, è il primo paese dell'omonima vallata. Nato, probabilmente, come agglomerato di capanne per ospitare, durante la stagione agricola, gli abitanti agricoltori della vicina Ventimiglia, trae il nome (secondo le differenti interpretazioni) o dal colore rossiccio del suo suolo, o dalla colorazione degli oleandri, di cui la zona fu ricca, o dai folti tappeti di anemoni scarlatti, che venivano coltivati sotto gli ulivi.
    La sua chiesa parrocchiale, dedicata a San Marco (costruita nel XV secolo, ristrutturata e rinnovata nel XVIII secolo) conserva, tutt'ora, tre tavole dipinte su legno, degne di segnalazione, databili tra il 1436 ed il 1553. Sulla piazza del borgo, l'oratorio del Suffragio o della Confraternita dei Neri. L'appuntamento di tradizione per Camporosso è la solenne processione del 20 gennaio (festa del patrono San Sebastiano. Tale solennità si festeggia anche, con identiche modalità e nello stesso periodo, a Dolceacqua), durante la quale un grande alloro, ricoperto di ostie variopinte, viene trasportato dai membri delle Confraternite attraverso le vie del borgo. Le ostie vengono poi distribuite agli abitanti e conservate gelosamente per tutto l'anno. Con questo atto si fa memoria del martirio di San Sebastiano che, impedito dai suoi carcerieri di ricevere la Comunione prima di morire, fu soccorso da un angelo, in cella, che gli portò l'ostia consacrata. All'uscita del borgo, sulla strada che sale su per la vallata, la vecchia chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nell'attuale cimitero, con il suo incantevole, piccolo campanile e la sua abside romanica.

    Camporosso è Comune Bandiera Blu.

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    CARAVONICA



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    Caravonica è un borgo che conserva ancora gran parte del primitivo aspetto medioevale; il paese, oltre all’attività olivicola propria di tutti i paesi delle valli di Imperia, vanta anche una interessante produzione vinicola di dolcetto e vermentino dai vigneti ubicati intorno al centro abitato.

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    CARPASIO




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    Borgo di montagna già prospero per l'attività pastorale, appartenne ai conti di Ventimiglia, ai Lascaris di Tenda dal 1455, ai Savoia (1573); fu conteso per la sua posizione di frontiera e per il controllo dei vasti pascoli circostanti. All'ingresso del paese la parrocchiale di S. Antonio del 1404 è stata rifatta in forme barocche e presenta il campanile curiosamente inclinato.
    A Carpasio si svolgono tornei di pallone elastico; le residue attività agricolo-pastorali producono formaggi, miele, lavanda, erbe aromatiche, castagne. Festa patronale il 2 settembre; Natale dei pastori con offerta simbolica dell'agnello.
    Nella frazione Costa, un vecchio casolare ospita il Museo della Resistenza, con esposizione di cimeli, reperti e fotografie d'epoca. Sul vicino Monte Grande fu combattuta e vinta una fra le più importanti ed eroiche battaglie della lotta di liberazione nella Liguria di ponente (4-5 settembre 1944).
    II carattere montano del paesaggio si afferma man mano che la strada risale le zone boschive e a pascolo, in cui sono presenti le "caselle", costruzioni in pietra a secco, monocellulari, ricoperte da tetti a pseudocupola, di antica tradizione. Prati Piani (1130 m) è luogo di villeggiatura dell'alta valle, che precede il passo del Colle d'Oggia (1187 m), punto d'incontro fra le valli Argentina e Impero. Si prende la strada sulla destra che discende al Passo del Maro (1064 m), altro punto panoramico d'eccezione, abbandonando il percorso che conduce al Colle di S. Bartolomeo.
    Oltre il Passo del Maro, dopo aver attraversato un territorio ricco di pascoli, boschi e uliveti, s'incontrano le numerose frazioni del capoluogo della valle, che si raggiunge più in basso.
    II territorio montano della valle (che prende nome da mara=palude, acquitrino), accolse probabilmente i primi abitanti nel X sec., quando le frequenti scorrerie saracene spinsero le comunità del litorale a trovare rifugio all'interno.
    II nucleo primitivo fu forse stabilito attorno al castello del Maro, che in seguito divenne feudo dei conti di Ventimiglia, nel 1455 dei Lascaris di Tenda e, dal 1575, passò ai Savoia. II castello fu distrutto dai Genovesi nel 1625.

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    CASTELLARO



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    Castellaro è un borgo di crinale in posizione panoramica sulla fiumara di Taggia. Importante la chiesa dell'Assunta, che sorge sul grande sagrato dove si affaccia anche la Parrocchiale, dedicata a San Pietro in Vincoli, festeggiato il 1° agosto.
    Molto suggestivo il santuario di Nostra Signora di Lampedusa, meta di pellegrinaggi.

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    Facciata del Santuario della Madonna di Lampedusa presso Castellaro (foto di Mattia Anselmi)
    Il santuario di Castellano sorge a poca distanza dall’abitato, un piccolo centro della provincia di Imperia con poco più di mille abitanti ed è conosciuto con il nome di Nostra Signora di Lampedusa.
    La curiosa denominazione è dovuta alle sue origini che mischiano storia e leggenda.
    Un cittadino castellanese, Andrea Anfosso, fu catturato dai turchi durante un’invasione, nel 1561 e fatto schiavo. Durante una traversata, giunti all’isola di Lampedusa fu mandato dai pirati a rifornirsi di legname, proprio in quell’occasione, in mezzo ad una luce abbagliante scorge una tela raffigurante Maria e il Bambino. L’apparizione gli diede la forza per mettere in pratica il piano di fuga: da un tronco ricavò una sorta di imbarcazione con la tela come vela e fuggì in mare diretto alla terra natia.
    L’affascinante storia racconta che giunse sulle coste liguri e nel 1602, giunto a Castellaro, decise di costruirvi il santuario in onore della Madonna di Lampedusa che lo aveva protetto nel viaggio.
    Il santuario fu eretto nel 1619, su di una piazza a forma di trapezio, con dei possenti muraglioni a sostenerlo, 15 cappellette rappresentanti i misteri del Santo Rosario, affiancano la strada che porta al santuario, divenuto ben presto meta di pellegrinaggi dei fedeli cristiani, che accorrono durante tutto l’anno.
    Molte sono le guarigioni miracolose che sono collegate al santuario e all’intercessione della Madonna di Lampedusa e i numerosi ex-voto stanno lì a testimoniarlo.

    CASTELVITTORIO


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    Castelvittorio è paese di origine molto antica: in altri tempi possedeva un castello-fortezza, mura e torri di difesa. Sito imprendibile, dunque, posizionato strategicamente su uno sperone di roccia sulla via di accesso all'alta val Nervia, visto da sud, si presenta nella sua conformazione a cuneo, come sospeso in mezzo ai boschi. Nel borgo sono ancora riconoscibili elementi delle originarie, sobrie ed essenziali, strutture militari e fabbriche medievali dai caratteristici portali in ardesia. Lo "astregu" (il centro murato) compendia in sé tutta la logistica per la sopravvivenza degli abitanti: la piccola piazza, la casa pubblica, la chiesa e le residenze private più antiche, che si collegano alla piccola piazza attraverso passaggi coperti, stradine e vicoli a forte pendenza e scalinate.
    Del suo rapporto di convivenza costretta con Pigna rende testimonianza la leggenda del trafugamento, da parte dei Pignaschi, della campana di Castelvittorio, ripagato dagli abitanti di Castelvittorio con il furto delle lastre di pavimentazione della piazza di Pigna e la vecchia strada di collegamento con Pigna stessa, lungo la quale si incontra l'isolata chiesetta della Madonna dell'Assunta di Lago Pigo, anche detta di Santa Maria di Nogareto, o Santa Maria dei boschi di noci.


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    CERIANA



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    Nella Liguria di ponente, nell'entroterra della Valle Armea, Ceriana custodisce un enorme patrimonio artistico ed architettonico testimone della sua millenaria storia.

    Storia

    Deriva il suo nome dai suoi fondatori, membri della famiglia dei Celii che la fondarono in epoca imperiale dandogli nome Coeliana. I Romani vi costruirono anche un tempio dedicato al culto del dio Apollo.
    Subì certamente la devastazione delle invasioni barbariche (V sec.) prima e longobarde poi (VI sec.), anche se non si hanno molte notizie storiche di Ceriana sia per il periodo post imperiale sia per l'epoca alto medievale. Il borgo dovette conoscere anche la piaga delle incursioni di Saraceni che dal IX secolo flagellarono le coste ed i borghi del Mar Ligure.

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    Fu possedimento dei Conti di Ventimiglia (XI sec.) e dell'Arcidiocesi di Genova (1038) la quale favorì lo sviluppo agricolo di Ceriana fino allla fine del XIII secolo, quando fu venduta a Oberto Doria, potente signore di parte ghibellina di Genova.

    Nel 1359 Ceriana fu annessa alla Repubblica di Genova la quale applicò un gravoso innalzamento dei tributi suscitando il malcontento della popolazione. La situazione migliorò dal 1538 quando Ceriana poté avere degli statuti propri. Il borgo finì poi nei possedimenti dei Savoia (1625) per tornare infine nuovamente alla Repubblica di Genova. Poco tempo dopo la popolazione di Ceriana, esasperata dalla politica fiscale oppressiva di Genova, si rivoltò (1729).

    La Repubblica resse il potere fino al 1797 quando Napoleone Bonaparte sciolse la millenaria costituzione e annetté Ceriana alla neonata Repubblica Ligure inserendola nel Distretto delle Palme. Ma la Repubblica Ligure ebbe vita breve e seguì il destino e la caduta di Bonaparte; Ceriana passò al Regno di Sardegna nel 1815 e quindi al Regno d'Italia (1861).

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    ORATORIO DI S. CATERINA

    Visita alla città

    Giunti a Ceriana dalla statale che sale da San Remo, sale improvvisa l'emozione dovuta al fascino indubitabile dell'ardito impianto urbanistico di questo borgo d'arte: in una successione verticale di edifici e vicoli storici Ceriana si abbraccia alla collina retrostante.


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    PORTALE SS. PIETRO PAOLO

    Notevoli le emergenze architettoniche tra le quali spiccano a valle dell'abitato la romanica Chiesa dei SS. Pietro e Paolo (XII sec.) con bei portali in pietra e l'adiacente Oratorio di S. Caterina.
    Risalendo il borgo tra tortuosi vicoli s'arriva all'Oratorio della Visitazione (XV sec.) e quindi alla nuova Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo.
    Notevoli anche la Chiesa di Sant'Andrea (IV sec.), sopra su un tempio pagano dedicato ad Apollo, e la romanica Chiesetta di San Salvatore, anch'essa costruita su un'antica area sacra pagana.

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    Vale la pena concedersi un po' di tempo per scoprire la gastronomia di Ceriana che vanta numerosi prodotti genuini tra cui un ottimo l'olio extravergine d'oliva taggiasca.




    CERVO



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    A pochi chilomentri da Imperia e poco prima del capo a cui dà il nome l'antico borgo di Cervo si slancia davanti agli occhi del suo visitatore, sia che esso arrivi via terra o via mare.

    Storia

    Dopo che i Romani conquistarono la Liguria (181 a.C.), combattendo contro popolazioni indigene, si rese possibile la costruzione della via Julia Augusta. Fu lungo questa arteria che sorse Servo, una mansio romana, che offriva servizi alle legioni ed ai mercanti dell'Impero. Grazie alla sua favorevole posizione, alla presenza di ricche sorgenti d'acqua e di un porto, si sviluppò il borgo che condivise totalmente il destino dell'Impero, andando incontro alla devastazione perpetrate dalle invasioni barbariche (V e VI sec.).

    Dopo l'oscurità che contraddistinse la Liguria per gran parte dell'Alto Medioevo il centro apparve nella storia con il nome di Castrum Cervi, rocca fortificata infeudata ai Marchesi di Clavesana.
    Divenne libero Comune nel 1204 ma ben presto cominciò ad orbitare attorno a Genova che il secolo successivo, la assegnò ai Cavalieri di Malta (1330). Questi la vendettero subito al Marchese Lazzaro Doria il quale dovette cederla a sua volta al marchese Enrico Del Carretto, discendente dei Clavesana.
    Genova entrò in possesso nuovamente di Cervo (1384) e gli conferì presto il diritto di eleggere un suo podestà (1425).

    Il secolo successivo Cervo, come molti altri centri costieri della Liguria, subì il danno delle incursioni di Turchi dal mare. La Battaglia di Lepanto (1571) mise fine a questo flagello e Cervo poté svilupparsi economicamente grazie alla pesca del corallo ed al commercio dell'olio.

    La Repubblica di Genova resse il potere fino al 1797, quando Napoleone Bonaparte annetté Cervo alla neonata Repubblica Ligure. Questa istituzione ebbe vita breve e seguì il destino e la caduta di Bonaparte; Cervo passò prima al Regno di Sardegna nel 1815 e poi al Regno d'Italia (1861).

    Visita alla città

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    In cima al borgo domina il Castello dei Clavesana risalente al XIII sec. ed attuale sede del Museo Etnografico del Ponente Ligure. Da qui, attraverso suggestivi vicoli che attraversano un centro storico molto ben conservato, si arriva alla piazzetta sulla quale sorge la Parrocchiale di San Giovanni Battista, maggiore edificio barocco del Ponente Ligure e simbolo indiscusso di Cervo, punto di riferimento per chi arrivi dal mare.

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    La chiesa merita una visita attenta per la bellezza degli stucchi, degli affreschi, dei suoi bassorilievi in marmo e dell'altare.

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    A fianco sorge il medievale Oratorio di S. Caterina (XI sec.) che conserva al suo interno resti d'affreschi.

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    Scendendo verso il mare si possono ammirare il cinquecentesco Palazzo Morchio ed il settecentesco Palazzo Viale.



    CHIUSANICO



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    Le bellezze artistiche di Chiusanico sono conservate nel nucleo medievale, dove si possono osservare i grandiosi edifici ed i portali. Nella chiesa di S. Stefano, ricostruita nel secolo scorso, è conservato un polittico cinquecentesco del Pancalino.



    CHIUSAVECCHIA



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    A Chiusavecchia sono da vedere il caratteristico ponte a due arcate, degli inizi dell'Ottocento, e la chiesa parrocchiale che conserva un crocefisso quattrocentesco, in legno, di pregevole fattura.
    Questo borgo medievale prende il nome da un’antica chiusa, che aveva lo scopo di mettere a regime le acque che dovevano far funzionare mulini e frantoi.

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    CIPRESSA



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    Cipressa comprende, oltre al borgo centrale posto su di un colle, anche la frazione Lingueglietta e si spinge fin sulle rive del mare con le zone "Piani", e "Aregai". Da vedere la Torre Gallinara (opera d'ingegneria militare del '500, uno degli esempi meglio conservati tra quelli che furono costruiti per la difesa dagli attacchi dei pirati turchi), la Chiesa della Visitazione (Parrocchiale del XVII secolo e l'Oratorio dell'Annunciazione (costruzione attribuita a Filippo Marvaldi che l'avrebbe finita nel 1757).

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    CIVEZZA



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    Presentiamo questo comune con le parole dello scrittore Francesco Biamonti:
    "Civezza. Che volete di più? Paese in mezzo agli ulivi e alto sul mare; per arrivarvi si passa in una sinfonia di tronchi di rami; l'orizzonte si apre, oltre che sul mare, su altri paesi dai nomi bellissimi, Pietrabruna, Boscomare, su crinali che se ne vanno lontano, come melodie su flutti d'argento; le case e le piazzette sono antiche, di un'intimità raggrumata nel vento. C'è un che di sospeso, di dolce, di lieve, una vertigine che viene dalla luce in ascesa.
    Più su del paese, più su degli ulivi si stende la macchia mediterranea con strade polverose e chiese e sentieri e ovili rosi dai cespugli. La grazia, che sotto era fragile, si fa rude, si accorda fuori del tempo alla forza del mare.
    Poiché le prime alture, bisogna pur dirlo, sono le più indifese, di un equilibrio che se si tocca si rompe. Collocata su un costone, arenatavi come una barca, Civezza è fragile e leggera, una nuvola che vi si accosti sembra trascinarla.
    Basta un palazzo sghembo per offenderla, e una macchina che passi in un vicolo disturba i morti. E' un paese che ha bisogno di vivere intatto come un ricordo. Di che sia frutto questa bellezza rimane un mistero: vicoli e cascate di ulivi non bastano a spiegarlo. Che venga dal fatto che ha, sotto, la luce instabile del mare e, sopra, quella più ferma di un paesaggio montano? "

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    COSIO D'ARROSCIA



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    Cosio d'Arroscia è un borgo alpino tra i più interessanti dell'alta valle Arroscia, con le sue architetture in pietra a vista, i passaggi coperti e gli stretti ed ombrosi vicoli.



    DIANO ARENTINO



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    Le borgate Costa e Chiesa danno vita al comune di Diano Arentino, noto per i suoi oratori campestri secenteschi. Fra ricca vegetazione, antichi uliveti e boscaglie, si aprono squarci panoramici sulle valli dianesi. Punto d'osservazione privilegiata la cappella di San Carlo, ormai abbandonata.
    A Chiesa, la robusta parrocchiale di Santa Margherita, con il campanile medievale mozzato, sostituito da cuspide a linee secentesche, veglia sul borgo. Nella pieve, in zona absidale, di fattura rinascimentale, spiccano tre cupolette su un tiburio ottagonale. I pilastrini binati dell'interno fanno da cornice ad opere pittoriche di pregio.
    Raggiunto Evigno (nella chiesa parrocchiale, trittico cinquecentesco di Raffaele e Giulio De Rossi), il paese di valle più alto, si prosegue fino alla vetta del Pizzo o monte Torre, da cui si gode splendida veduta sull'intera vallata, fino al mare.


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    DIANO CASTELLO



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    Non lontano dalla costa sorge Diano Castello, antica residenza dei marchesi di Clavesana, sicuramente uno dei borghi della Riviera dei Fiori più ricchi di storia e di opere architettoniche.
    Costruito in posizione strategica e impreziosito da chiese e palazzi che ricreano magiche e antiche atmosfere, meritano visita le chiese romaniche dell'Assunta e di San Giovanni e l'imponente chiesa parrocchiale barocca di San Nicola, con la facciata rivolta al mare, punto di riferimento visivo per chi arriva dalla costa.
    In estate, le vie e le viuzze dell'antico nucleo si popolano di figuranti in costume per il corteo storico, che sottolinea con forza la bellezza del borgo. Sulle colline intorno a Diano Castello prosperano uliveti e vigneti. Si produce il pregiato Vermentino, vino bianco ideale per gustare piatti di pesce.


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    DIANO MARINA



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    Diano Marina è il capoluogo del Golfo Dianese con le sue strutture alberghiere, le sue attrezzature balneari, i suoi frequentatissimi locali notturni. La vocazione turistica di Diano Marina nacque con la ricostruzione della città dopo il terremoto del 1887, che distrusse quasi completamente l'antico borgo di pescatori. Fu l'albergo Paradiso il simbolo della ricostruzione, voluto da una colonia di milanesi, che scelsero la località per il suo clima e la sua costa ospitale.
    La borgata Paradisi (oltre il ponte sul torrente San Pietro) vede la più ampia concentrazione di alberghi, ritrovi e negozi, in cui concedersi qualche ora rilassante di shopping di ritorno dalla spiaggia.
    Sul lungomare, attraversata la via Aurelia, il Palazzo del Parco ospita il Museo Civico con i reperti preromani e romani e i cimeli napoleonici e risorgimentali. Fra ferrovia e campo sportivo, la zona archeologica della città accoglie la piccola chiesa, di origine paleocristiana, dedicata ai Santi Nazario e Celso. Un appuntamento da non perdere, a Diano Marina, il Carnevale dianese e la "Infiorata del Corpus Domini", allorché le strade della città si coprono di spettacolari tappeti fioriti.

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    DIANO S. PIETRO



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    uddiviso in più borgate, Diano San Pietro ha il suo centro nella chiesa parrocchiale, il cui sagrato, cintato da mura, ricorda il sistema difensivo adottato dalle popolazioni locali contro gli attacchi barbareschi. Sottoposto all'autorità di Diano Castello, dotato comunque di migliore posizione strategica, la sua chiesa perse la sua funzione di "matrice" (sede battesimale), conservando peraltro il privilegio di accogliere prelati e sacerdoti dell'intera vallata per le vigilie pasquali e di Pentecoste.
    Da Diano San Pietro, lungo il torrente omonimo (fonte di forza motrice per i numerosi frantoi), la strada porta a Diano Borganzo, disposto su ripido pendio. Qui emerge la chiesa parrocchiale ottocentesca, che conserva il polittico di Antonio Brea la Madonna della Consolazione (1518). A Roncagli, agglomerato minore, il ponte di origine medievale sul Rio San Pietro conduce al versante di Virgili e a Diano Arentino.


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    DOLCEACQUA



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    Dolceacqua è un centro medievale della val Nervia che ha ricevuto la Bandiera Arancione, marchio di qualità turistico-ambientale dato dal Touring Club Italiano ai piccoli comuni dell'entroterra italiano.

    Storia

    Tracce testimoniano insediamenti degli Intemeli, polazione ligure presente qui fin dall'Età del Ferro, che oppose una forte resistenza alla penetrazione dei Romani costruendo i Castellari (V sec. a.C.): fortificazioni in pietra a secco ad anelli concentrici costruiti sulle cime dominanti le valli Nervia e Roia.

    Il centro vero e proprio invece deriva il nome da Dulcius, colono romano possessore del fondo agricolo, divenuto in seguito Dulciàca, Dusàiga ed infine Dulcisaqua. Un'altra ipotesi chiama in causa i Celti, fondatori del centro di Dussaga. In un modo o nell'altro è chiara la relazione con il torrente Nervia e la presenza di sorgenti sparse.

    Dolceacqua comparve poi nella storia in un documento (1151) risultando infeudata ai Conti di Ventimiglia, responsabili della costruzione del primo Castello poi acquistato dall'ammiraglio genovese Oberto Doria (1270).

    Dolceacqua fu per secoli al centro delle lotte tra i Doria ed i Grimaldi di Monaco fino al 1524, anno in cui fu associata alla casa dei Savoia. Per questo motivo subì l'assedio e la distruzione del Castello (27 luglio 1746) da parte delle truppe francesi e spagnole, in guerra contro l'Austria sostenuta dai Savoia. Gli accordi della Pace di Aquisgrana (18 ottobre 1748) restituirono il feudo ai Doria.

    Napoleone Bonaparte sostò qui durante la sua discesa in Italia (1794) che determinò la fine della Repubblica di Genova (1797) e la creazione dell'effimera Repubblica Ligure, alla quale Dolceacqua fu assegnata.

    Gli accordi del Congresso di Vienna (1814-1815) determinarono l'annessione di Dolceacqua al Regno di Sardegna (1815) dei Savoia i quali in seguito unificarono la penisola nel Regno D'Italia (1861).

    Visita alla città

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    Divide il borgo in due frazioni il torrente Nervia. Sulla sinistra il nucleo più antico, chiamato Terra, si sviluppa in forme urbanistiche concentriche che ricordano l'originale struttura di borgo fortificato (castrum) di Dolceacqua. In cima domina il Castello Doria, fortemente danneggiato dal terremoto del 1887.

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    Scendendo e attraversando i vicoli intatti del centro storico s'arriva alla Chiesa di S. Antonio Abate, edificata in forme barocche, custodisce al suo interno il polittico di Santa Devota di Ludovico Brea (1515).
    Di fronte alla chiesa il Monumento al Frantoio ricorda Pier Vincenzo Mela.

    Si sorpassa il Nervia camminando sul bellissimo Ponte Vecchio (XV sec.), opera medievale ad unica campata, giungendo di fronte alla Chiesa di San Giorgio (XI sec.), che conserva al suo interno le tombe di Stefano Doria (1580) e di Giulio Doria (1608).

    Attraversando la statale si entra nel Borgo, frazione moderna dell'abitato.

    Nel territorio attorno al borgo viene prodotto un ottimo vino, il Rossese di Dolceacqua.

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    DOLCEDO



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    La rigogliosa valle formata dal torrente Prino ha uno dei suoi centri più affascinanti nell'ampio comune di fondovalle di Dolcedo, con le sue caratteristiche palazzate lungo gli argini del torrente ed il suo particolare Ponte Grande, costruito, nel 1292, dai Cavalieri di Malta.

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    Immerso negli uliveti, ricco di frantoi e mulini, l'abitato si divide in due zone, l'una intorno alla chiesa parrocchiale di San Tommaso, l'altra lungo il torrente Prino, attraversato da ben cinque ponti. Dal sagrato della chiesa di San Tommaso parte il sentiero che porta al santuario dell'Acquasanta di Lecchiore, incontrando, fra uliveti e vigneti, antiche borgate abbandonate.

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    Visita alla città

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    Appena arrivati a Dolcedo si può ammirare la settecentesca Chiesa di San Lorenzo sorta sull'area dove erano attivi i Domenicani a partire dal 1497.

    Salendo, si entra nel borgo storico caratterizzato dal passaggio del torrente Prino sul quale sorge Ponte Grande, opera ad unica arcata costruita nel 1292.
    Di fronte si può ammirare la Loggia del Comune.

    I vicoli del centro storico conducono alla piccola piazzetta dove sorge la Parrocchiale di Sant'Antonio Abate (1492), con chiari rifacimenti barocchi.

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    ISOLABONA


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    L'elemento architettonico più interessante di Isolabona è la fontana ottagonale (1486) del centro storico. Già borgo dei Doria, costruito in posizione strategica, è difeso da un castello con un torrione a pianta quadrata, oggi restituito al suo antico splendore, nel quale si svolgono le più importanti manifestazioni estive, d'arte e di cultura. Proseguendo nella visita della valle, sempre sulla strada provinciale, si raggiunge il santuario tardomedievale di Nostra Signora delle Grazie, preceduto da un classicheggiante pronao, ricco, all'interno, di affreschi di Luca Cambiaso (1527-1585). Poco distante, la chiesa di San Giovanni Battista, ove è conservato un Battesimo di Cristo di anonimo del Quattrocento.

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    LUCINASCO



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    A 500 metri di altitudine sorge Lucinasco, meta privilegiata per chi vuole unire la pace della natura alla contemplazione artistica dei luoghi. Ne sia esempio per tutti la chiesa di Santo Stefano, posta sulla riva di un suggestivo laghetto circondato da salici, immersa in una dimensione surreale.
    Alle spalle della chiesa di Santo Stefano si diparte una stradina che conduce alla chiesa della Maddalena, raffinata costruzione quattrocentesca in pietra da taglio, esaltata dal suo isolamento in un ambiente naturale di rara bellezza: ampie fasce disposte ad anfiteatro e querce secolari.

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    La passeggiata può proseguire fino al monte Acquarone, sulla cui vetta sorge una cappelletta mariana, luogo di culto molto sentito per gli abitanti della zona.


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    MENDATICA



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    Mendatica é dominata dalla grandiosa chiesa parrocchiale barocca, a pianta ovale. Dal suo abitato, percorrendo ripida mulattiera, si raggiunge la chiesetta di Santa Margherita, posta a dirupo su uno sperone di roccia.

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    Irrinunciabile l'escursione, attraverso un sentiero fra boschi di faggi ed aceri, da Mendatica alle cascate dell'Arroscia per ammirare, a primavera, la straordinarietà dello spettacolo delle sorgenti del fiume in piena.

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    MOLINI DI TRIORA



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    Le prime notizie storiche sul villaggio di Molini risalgono al XIII secolo quando si stabilì la cessione del territorio dai conti di Ventimiglia nella Podesteria di Triora, quest'ultima legata tradizionalmente alla sfera politica genovese). In questo secolo divenne un importante centro locale grazie alla costruzione dei ventitré mulini lungo i torrenti Argentina e Capriolo, alimentando di molto gli interessi della podesteria e della stessa Repubblica di Genova.

    Proprio gli interessi di Triora sul commercio del grano causò una sorta di malcontenti tra le diverse ville di Molini, Andagna e Corte arrivando il 2 maggio del 1654 alla dichiarazione di indipendenza locale da Triora. Ogni villa ottenne di beneficiare di propria autonomia amministrativa e fiscale.

    Sarà in seguito con la dominazione francese che nel 1805 ripristinò i vecchi legami delle tre frazioni indipendenti con Triora. Dopo il passaggio nel Regno di Sardegna venne infine inglobata nel neo Regno d'Italia dal 1861. Soltanto il 27 dicembre del 1903, tramite regio decreto, si stabilì la costituzione ufficiale del comune di Molini di Triora.

    Durante la seconda guerra mondiale subì gravi perdite di abitanti a causa delle numerose rappresaglie dei nazisti contro i partigiani, numerosi nella zona e atti alla liberazione della valle. Oltre alla fucilazione di numerosi civili risultò gravemente danneggiata dalle bombe che rasero quasi al suolo il paese. Oggi, dopo una forte opera di ricostruzione, è divenuto un importante centro turistico e commerciale della Valle Argentina.

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    Campanile della chiesa di San Lorenzo

    Architetture civil


    Il comune prende il nome dai suoi ventitré mulini usati un tempo per macinare il grano proveniente dagli altri paesi dell'alta valle, lontani dai corsi d'acqua o dai fiumi. Sono ormai visibili solo due mulini, ai quali non è consentito l'accesso, e si trovano rispettivamente il primo nei pressi del laghetto delle noci - all'uscita del paese in direzione Triora - e l'altro alla fine di via Nuova poco dopo il bivio per il cimitero.


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    ....SI DICE CHE....



    La Cabotina

    Tradizioni e leggende fantasiose sulle streghe si rinvengono in diverse località del Ponente ligure. A Costarainera, presso Imperia, si diceva che le baggiure (streghe) di Triora, si trasformassero in uccellacci e volassero all'isola Gallinara, presso Albenga, dove convenivano pure altre streghe. A Ventimiglia si pensava che le streghe avessero costruito la Pria Margunaira. A Molini di Triora si mostra ancora la fonte dove le maghe convenivano a danzare, in processione notturna, con moccolotti accesi. Presso il paese di Andagna esiste la Rocca d'e Baggiure, dove si dice che esse si radunassero accedendovi con un parola d'ordine. Sotto Carlo Grimaldi, eletto vescovo di Albenga nel 1572, si rinnovarono in questa città gli stessi processi contro gli eretici e le streghe che, ad istigazione di alcuni Domenicani del convento di Taggia, egli aveva già fatti nella diocesi di Ventimiglia, in seguito ai quali la terra di Pigna aveva visto non pochi esiliati e consumati dalle fiamme. Nel 1588, vi fu pure a Bajardo un processo contro le streghe e, a Castellar, presso Mentone (oggi in Francia), vi fu nel 1622 un processo contro cinque donne incriminate di delitti di stregoneria, in particolare per aver causato la morte di bambini. Una di queste era pure accusata di esser intervenuta ad una festa sotto forma di gatta e di aver avuto commercio col diavolo vestito di rosso. Sottoposta a tortura, confessò di aver fatto unguenti con polvere di rospi, sangue di dragoni ed ossa di morti, e di essersene poi servita a danno altrui. Finì strangolata ad un palo e poi bruciata. In Liguria le streghe erano anche incolpate di succhiare, come i vampiri, il sangue dei fanciulli da una ferita provocata con uno spillo nel calcagno. Si pensava anche che esse potessero entrare nel corpo di una persona che rimaneva quindi stregata o, come si diceva con un termine locale "imbaggiurita". Vi era inoltre la credenza diffusa che certe persone rimaste stregate potessero a loro volta esercitare influssi maligni sulle persone che incontravano, specialmente sui bambini. Infatti, fu molto osservata la precauzione di non lasciar uscire di casa, dopo l'Ave Maria, i bambini per timore che potessero fare qualche incontro inquietante, dato che si riteneva che le streghe preferissero scegliere le loro vittime tra essi e che portassero via i neonati non ancora battezzati per consacrarli al demonio. Si cercava anche di non lasciare, dopo questo momento della sera, abitini o fasce o pannelli di bambini, poiché le streghe se ne servivano per avvolgerli e giocare a palla con loro..

    i raduni delle streghe

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    A Triora, in particolare, si credeva che le streghe giocassero a palla con quelle della vicina Molini stando su alberi di noce e di castagno situati nella zona sottostante della località Cabotina con teneri bambini avvolti nelle fasce, rubati di notte alle madri che dormivano. Quello era infatti il luogo dei convegni notturni delle streghe, che rendeva la Cabotina un luogo malfamato di cui si parlava con sgomento, ma altri due luoghi vicini erano indicati come quelli dove le baggiure celebravano i loro misteri e compivano le loro orge: la fontana di Campomavùe e la fontana campestre detta La Noce, dov'era il lavatoio pubblico. Si credeva pure che esse si ubriacassero e che, dentro il paese, tenessero convegni notturni in una via oscura e disabitata chiamata Dietro la Chiesa, presso la parrocchia. Secondo la tradizione locale, tuttavia, le streghe se volevano erano anche capaci di compiere qualche buona azione, come dare consigli utili a qualcuno che, seguendoli, poteva anche arricchirsi.








    MONTALTO LIGURE



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    Montalto Ligure con i suoi poco più di 400 abitanti, è un piccolo borgo medievale incastonato nell’entroterra del ponente ligure. Grazie alla sua posizione arroccata riesce a dominare l’intera Valle Argentina. Secondo la leggenda Montalto (dal Latino Mont Altus) fu il rifugio di due giovani sposi che si ribellarono al diritto dello Jus Primae Noctis esercitato in tutta la zona dal Conte Oberto di Ventimiglia. I due giovani innamorati, raggiunti dagli amici e dai parenti, costituirono il primo nucleo abitato del borgo.

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    Oggi Montalto conserva un centro storico intatto, caratterizzato da una complessa viabilità interna (carruggi) e abitazioni in pietra a vista, tutto impreziosito da portali scolpiti presenti all’ingresso di numerose abitazioni. Passeggiando per il borgo è possibile ammirare caratteristici monumenti religiosi. Uno dei più importanti è la Pieve di San Giorgio, risalente al XII secolo, ricca di importanti affreschi. Degna di nota è anche la Parrocchiale di San Giovanni, fondata nel XV secolo, nella quale è ancora conservato un organo commissionato nel 1810 al nizzardo Antoine Grinda, l’unica testimonianza di un’arte organara francese in Italia. Poco fuori dal borgo, immerso in un bosco secolare di castagni sorge il Santuario della Madonna dell’Acquasanta. Secondo la leggenda venne costruito nel 1453, ma fu rimaneggiato più volte a causa dei continui saccheggi e, soprattutto, del terremoto del 1887. Nel tempo è riuscito a conservare l’antico pozzo in pietra locale. Attento a conservare le antiche tradizioni, Montalto, ogni anno nel mese di luglio, si trasforma in un paese medievale, nel quale si incontrano nobili, mendicanti e, soprattutto, si potrà assistere al matrimonio dei due giovani che, secondo la leggenda, lo fondarono.

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    MONTEGROTTO PIAN LATTE



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    Sorge su un breve terrazzo aggrappato alle falde del monte Monega (1882 m), ad un'altitudine di 721 m sul livello del mare dominando l'Alta Valle Arroscia. È un centro agricolo e di villeggiatura, luogo ideale per gli amanti della natura a della quiete.

    Molti sentieri permettono passeggiate ed escursioni a piedi ed in mountain bike. Durante l'inverno i versanti delle zone più alte rivolte a settentrione si prestano per l'esercizio dello sci escursionistico.

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    Il territorio comunale ha fatto parte della Comunità Montana Alta Valle Arroscia fino al 1º gennaio 2009 quando con legge regionale n° 24 del 4 luglio 2008 il territorio è confluito nella nuova Comunità Montana dell'Olivo e Alta Valle Arroscia o Comunità Montana Imperia 3 a seguito del riordino delle comunità montane. Dista dal capoluogo circa 30 km.

    Storia

    Secondo alcune fonti storiche sembrerebbe che il primitivo insediamento abbia avuto origine intorno all'XI secolo. Una delle prime citazione del comune risale al 1207 quando i conti di Ventimiglia divisero il territorio con la famiglia Scarella, già signori di Garessio.

    Formò in seguito una Castellania con i vicini borghi di Cosio di Arroscia, Mendatica e Borghetto erigendo nel 1297 un proprio statuto speciale. Gli Scarella, signori del luogo, vendettero nel 1321 tale castellania ai conti Lengueglia che nel 1362 divise il territorio con i conti di Ventimiglia.

    Nel 1445 il conte Gasparo, discendente della famiglia ventimigliese, cedette il diritto feudale ai conti Lascaris di Tenda. Nel 1625 fu messo a ferro e fuoco durante la battaglia tra la Repubblica di Genova e la casata Savoia per i domini delle terre.

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    Chiesa parrocchiale dedicata a San Biagio. Eretta con presbiterio barocco, conserva il portale della chiesa precedente risalente alla fine del Quattrocento.




    OLIVETTA SAN MICHELE



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    Il paese con i due nomi uniti è in realtà composto da Olivetta, che si affaccia da un'altura sul torrente Bevera, e da San Michele, situata sulla statale per il Colle di Tenda.

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    La prima faceva parte fino al 1947 di una serie di località (tra le quali Piene e Libri), che ora sono in suolo francese. Olivetta era, fino al 1862, la principale località della Comunità di Penna, difesa dal castello omonimo, il cui toponimo si riferiva alla posizione dominante ma che più tardi fu tramutato in Piena.
    Importanti dal pinto di vista storico, il ponte romano e il borgo medioevale di Fanghetto, la Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio e la Chiesa di San Mauro a Piena.
    Gite da Olivetta San Michele alle rovine del castello della Piena , a piedi per la mulattiera "intagliata nella roccia" o in automobile, oltre il valico doganale di Olivetta e passando per il Col di Vescovo e Piene Haute (in Francia) al monte Grammondo (m 1378) a tante belle località della valle del Roia, in Italia e oltreconfine.

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    Ascoltate il dialetto: un curioso e affascinante “amalgama” fra una base ligure estremamente arcaica, un lessico occitanico altrettanto antico e qualche sovrapposizione piemontese.




    OSPEDALETTI



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    L'antico nucleo abitativo di Ospedaletti (poche casupole di pescatori, una chiesetta, dedicata a San Giovanni Battista, con annesso rustico ospizio atto a fornire alloggio e protezione a viandanti e pellegrini: di qui l'antico nome del borgo), fondato dai leggendari Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (poi Cavalieri di Rodi e successivamente Cavalieri di Malta), si raggruppa tutto sulla riva del mare. La città nuova, con le sue ville, i suoi alberghi per ogni tipo di domanda turistica, gli alloggi per vacanze, gli accoglienti ristoranti e caffè, si colloca in un ambiente naturale, ricco di palmizi, eucaliptus, mimose e giardini fioriti. Sulla spaziosa passeggiata di corso Regina Margherita, si affaccia villa Sultana, edificio monumentale a tre cupole dei primi anni del Novecento. Qui fu ospitato, dal 1911 al 1924, il primo Casino d'Italia, frequentato da una clientela elitaria appartenente all'aristocrazia mitteleuropea e al gotha della cultura mondiale.

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    A ponente, sulla collina, spicca il santuario della Madonna delle Porrine con i suoi due caratteristici campanili. Eretto verso la metà del Cinquecento per volontà del Cavaliere di Rodi, Tomaso Rossi, venne ampliato nel 1817 su pianta a croce greca. Successivamente, sul porticato esistente, furono realizzati alloggi per accogliere i pellegrini e sulla facciata vennero inserite decorazioni barocche. Dal sagrato, ampia e suggestiva vista panoramica su Ospedaletti e il suo golfo. Oltrepassato il santuario, inizia il "sentiero dei pali", che consente agli escursionisti, in circa quattro ore di cammino tra coltivazioni e boschi, di giungere al monte Nero e alla località Sasso di Bordighera.


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    PERINALDO



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    Dalle colline a sud-ovest di Apricale, domina Perinaldo, un borgo di crinale (di antichissima origine) a belvedere panoramico sulla copiosa flora spontanea (che tinge i pendii nella continua varietà dei colori, nell'alternarsi delle stagioni), sui boschi di castagni e pini, fino ai più lontani profili dei monti Bignone, Ceppo, Toraggio, Pietravecchia e Grai da un lato e, dal lato opposto, fino al mare. Perinaldo, però, guarda anche in alto, oltre gli orizzonti, verso gli spazi profondi del firmamento, in un rapporto privilegiato con il cielo, un cielo libero da inquinamento atmosferico e luminoso, uno dei cieli più tersi della zona, grazie all'orografia del luogo, che convoglia in quota venti costanti, tali da impedire lo stazionamento, per lungo tempo, delle nubi e delle perturbazioni.

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    Di ciò si accorse, oltre duecento anni fa, un illustre suo figlio, lo scienziato Gian Domenico Cassini, primo di quattro generazioni di astronomi. La sua fama giunse fino alla corte del Re Sole (Luigi XIV) e i suoi studi, le sue scoperte fanno ancor oggi testo in astronomia: i quattro dei diciassette satelliti di Saturno furono da lui per primo individuati, così come la divisione degli anelli di Saturno (che si identifica con il suo nome), la distanza fra la terra e i pianeti più vicini fu, sempre, da lui calcolata. Infine a lui è dovuta la misurazione del tempo di rotazione, intorno al proprio asse, di Marte, Venere e Giove, del quale descrisse anche le bande. La memoria del Cassini scienziato è legata, oggi, alla missione spaziale del nostro tempo "Cassini-Huygens" per l'esplorazione di Saturno e Titano; vive, inoltre, intensamente, nel suo paese natale, attraverso l'osservatorio astronomico ospitato all'estremità orientale dell'abitato di Perinaldo, nell'ex convento francescano di San Sebastiano (qui si svolgono, con regolarità, esplorazioni guidate del cielo notturno).
    A fianco del complesso, il municipio e la chiesa di Sant'Antonio da Padova, dal campanile sui generis, a base triangolare. Sul percorso di visita al borgo, una sosta merita il castello Maraldi (secondo tradizione, casa natale del Cassini; ospitò, durante la campagna d'Italia, Napoleone Bonaparte ed il suo generale Massena) e la chiesa parrocchiale di San Nicolò (1489, così data l'architrave della porta destra di accesso all'edificio, la cosiddetta "porta degli uomini"), onde ammirare, nella navata destra, il dipinto delle anime, attribuito alla scuola del Guercino. La casa canonica, già residenza estiva e di caccia dei marchesi Doria di Dolceacqua, reca, sulla facciata, un'antica meridiana, realizzata, secondo le indicazioni del nipote del Cassini, Gian Domenico Maraldi, anch'esso astronomo.
    Da ultimo, al di fuori della cinta muraria di Perinaldo, la chiesetta campestre di Nostra Signora della Visitazione ricorda il "Poggio dei rei" e i lontani riti di espiazione dei penitenti che colà si recavano in orante pellegrinaggio.

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    PIETRABRUNA



    Pietrabruna6.Imperia

    STORIA. Il primo documento noto in cui si trova menzione del borgo di Pietrabruna risale al 1103 e riguarda la chiesa di San Gregorio, intorno alla quale, con ogni probabilità, sorse l'originario nucleo abitativo; il paese, come molti altri della zona, fu dominio dei Clavesana, quindi, dal 1162, feudo di Anselmo da Quaranta e poi dei conti di Lengueglia che da lui discendevano. Alla fine del XII secolo il borgo entrò a far parte del territorio di Porto Maurizio, nel terziere di Dolcedo, e i portorini, per amministrare meglio il loro controllo, imposero la distruzione delle fortificazioni e la costruzione di un nuovo nucleo abitativo in posizione più elevata, nel luogo in cui fondarono la chiesa di San Matteo. Pietrabruna divenne comune autonomo nel 1613.

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    VISITA DEL BORGO DI PIETRABRUNA. Arroccato sulle pendici del monte Faudo, il paesino di Pietrabruna sembra sorvegliare dall'alto i rigogliosi uliveti che furono impiantati in questo angolo di Liguria dai Benedettini di Villaregia nel XV secolo. Da allora una delle più importanti voci dell'economia locale, accanto a quella della coltivazione dei fiori, è quella dell'olivicoltura tant'è vero che Pietrabruna, come altri centri della zona, fa parte della Comunità Montana dell'Ulivo. Il nome Pietrabruna deriva dalla pietra scura in cui sono costruiti i suoi edifici più antichi accanto ai quali sono sorti, in epoche diverse, quelli coperti da intonaci colorati. Mano a mano che ci si avvicina si riconoscono le case, massicce e possenti, come piccole fortezze e quando ci si inoltra tra stretti vicoli tortuosi, che si aprono in minuscole piazzette e scendono sotto i passaggi coperti, si respira appieno l'atmosfera del tardo medioevo che caratterizza questo borgo. Pietrabruna, insieme alle sue frazioni di Boscomare e Torre Paponi, costituisce infatti uno dei più interessanti e meglio conservati esempi di centro di crinale sviluppato intorno ad un asse viario principale. A piano della strada si trovavano numerosi frantoi che fino a qualche decennio fa erano ancora in funzione e che oggi sono tutti in disuso. Il primo nucleo del paese sorse intorno alla chiesa di San Gregorio, oggi isolata nella zona al di sotto dell'abitato, nel cimitero: di notevole interesse l'abside decorata da una teoria di irregolari archetti pensili, che risale al XII secolo e, l'affresco quattrocentesco della lunetta del portale con la Vergine con il Bambino, San Gregorio e un orante.

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    Seguendo la stretta via principale, che attraversa tutto il borgo, si giunge alla piazza su cui prospetta la parrocchiale di San Matteo, costruita nel 1844 su progetto di Giuseppe Lorenzetti laddove esisteva un antico edificio di culto di cui rimangono, sul lato destro della chiesa, l'architrave sorretto da colonne e alcuni altri frammenti di marmo. All'interno si conserva una tela seicentesca di ambito genovese raffigurante la Madonna con il Rosario. Presso la parrocchiale, su una raccolta piazzetta, è il seicentesco oratorio dell'Annunziata, nel quale si conserva una tavola datata 1545 e firmata da Agostino Casanova.

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    LE FRAZIONI DI PIETRABRUNA. L'abitato di Torre Paponi fu fondato nel XV secolo dalla famiglia Paponi fuggita, per ragioni ancora ignote, da Pietrabruna di cui è frazione. Quest'insediamento, dallo spiccato carattere agricolo, conobbe la sua fase di maggiore sviluppo nel corso del XVII secolo ed è a quel periodo che risalgono molte delle sue basse e massicce abitazioni, la parrocchiale intitolata ai Santi Cosma e Damiano, costruita su progetto di Giacomo Filippo Marvaldi e, l'oratorio barocco dell'Annunciazione. Gli ampi e fertili pianori, un tempo detti Campi, sono stati coltivati, fino a qualche decennio fa, soprattutto a lavanda e anemoni: la coltura dei fiori, insieme a quella degli ulivi, è infatti stata largamente praticata in tutta questa parte della valle del San Lorenzo e ancora oggi giungendo a Torre Paponi si incontra una profumeria artigianale di lavanda. E' più antica la borgata di Boscomare, un nucleo di case costruito sulla sommità dell'altura, stretto intorno ad un quattrocentesco bastione di avvistamento che poteva dare rifugio agli abitanti in caso di necessità. Durante l'alto Medioevo fu possesso della Mensa Vescovile di Genova, il che spiegherebbe l'intitolazione a San Siro della chiesetta intorno cui sorse il nucleo originario e adesso isolata nel cimitero, ma entrò poi a far parte del territorio di Porto Maurizio e seguì le vicende storiche di Pietrabruna. Ha forme barocche la parrocchiale di San Bernardo, edificata nel 1770 su progetto di Marvaldi e ornata all'interno da affreschi di Leonardo Massabò, ma i frammenti di decorazioni architettoniche e i capitelli integrati nei gradini testimoniano come già in epoca rinascimentale qui sorgesse la chiesa. Chiusa tra le case si apre una piazzetta su cui si affaccia anche l'oratorio ormai dismesso e, dietro di esso, la torre di avvistamento a pianta circolare abibita ad osservatorio e struttura museale.

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    PRODOTTI TIPICI E MANIFESTAZIONI. Si chiama Stroscia, dal verbo dialettiale strosciare, rompere, la torta tipica di Pietrabruna, fatta di pochi semplici ingredienti (farina, zucchero, lievito, Marsala, olio di oliva) impastati e cotti fino ad ottenere una sorta di pastafrolla aromatizzata che si rompe con le mani in mille pezzi e ha un gusto unico, che racchiude il racconto della vita dura della gente di questi luoghi. Nei mesi di luglio e agosto i campi intorno a Torre Paponi e a Pietrabruna si tingevano dell'inconfondibile colore delle spighe di lavanda e l'aria si caricava del loro intenso profumo. A settembre i contadini portavano i loro fasci di fiori ai distillatori che ne estraevano l'olio essenziale, prezioso ingrediente dell'industria profumiera. Non tutti sanno che già gli antichi Romani attribuivano all'olio di lavanda poteri terapeutici: pare che sia una valida arma per combattere l'insonnia, che aiuti ad abbassare le pulsazioni cardiache e che sia un efficace rimedio nei casi di asma e di malattie delle vie respiratorie. Senza contare che da secoli le donne la usano per profumare i cassetti della biancheria. A fine aprile a Pietrabruna si festeggia la Santissima Annunziata: alla processione partecipano anche membri della confraternita che indossano la cappa bianca stretta dal cordone blu. L'estate è scandita da concerti di musica classica, bandistica e lirica. La terza domenica di luglio, presso la chiesa di San Salvatore, si celebra la festa dedicata al santo titolare: alle funzioni sacre seguono la degustazione della capra con i fagioli, musica e danze.




    Pieve di Teco


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    Nello stesso nome di Pieve di Teco c'è la natura originaria della sua esistenza: è il luogo originario di amministrazione dei Sacramenti (la Pieve di Santa Maria della Ripa) e luogo di abitazione (Teco da Tectum, "casa"). Si tratta di un abitato a fondazione obbligata per volere dei Clavesana, signori locali di origine piemontese, a metà del Duecento. I residenti della zona vengono riuniti lungo una delle realtà vitali del paese, la strada che collega il Piemonte al mare. A difesa si ergeva un castello ai margini orientali del sistema edilizio, demolito dopo il 1625. Lungo l'asse viabilistico si sviluppano le case porticate e le secolari attività commerciali, fra cui spicca quella delle calzature. Città di pietra, una vera capitale dell'entroterra, poi chiave del potere genovese nell'entroterra ligure dal XVI secolo. La ricchezza economica e politica di Pieve si materializza nella grande qualità dei monumenti religiosi e civili presenti, capaci di riservare tuttora suggestive impressioni. Attualmente al comune di Pieve di Teco fanno riferimento sette frazioni che sono Acquetico, Calderara, Lovegno, Moano, Muzio, Nirasca, Trovasta. Si raggiungono mediante piacevoli percorsi ed ognuna di loro conserva un'immmagine arcaica e coinvolgente, con pregevoli dimensioni architettoniche. La festa patronale cade il 24 giugno, San Giovanni Battista: in questa data si festeggia anche l'anniversario del gemellaggio con la cittadina francese di Bagnols En Foret. La domenica successiva il 24 giugno ha luogo la tradizionale benedizione delle auto con "tour" del paese. Tra le fiere più importanti del paese ricordiamo, dal 20 maggio al 25 ottobre, ogni ultima domenica del mese, il Mercatino dell'Antiquariato e dell'Usato. Per chi desidera praticare sport Pieve di Teco dispone di uno sferisterio per il gioco della pallapugno, di un campo da calcio, da tennis, da calcetto, da bocce.

    VISITA AI MONUMENTI DI PIEVE DI TECO.

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    I Portici. La sequenza dei portici accompagna la strada antica del collegamento tra costa ed entroterra. Dopo il primo insediamento, la natura commerciale della città ha reso necessaria la costruzione di queste eleganti strutture, legate all'espansione fra il Trecento ed il Quattrocento.

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    La Collegiata di S.Giovanni Battista. L'imponente struttura attuale è opera di un originale progetto di carattere tardoneoclassico, definito dall'architetto Gaetano Cantoni. La chiesa è parrocchiale e collegiata (vi era infatti un "collegio" di sacerdoti oltre al parroco) e conserva un ricco insieme di opere d'arte pittoriche e scultoree provenienti dalla vecchia chiesa e da altri luoghi religiosi cittadini. Si segnalano il Cristo di Bernardo Schiaffino, il gruppo del Carmine di Anton Maria Maragliano e le tele del pievese Giulio Benso, Giò Raffaele Badaracco e Leonardo Massabò.
    Complesso Monumentale della Madonna della Ripa. La chiesa della Madonna della Ripa è all'origine della realtà religiosa e abitativa di Pieve. Il suo fascino è legato ad un campanile quattrocentesco integro, a tre ordini di bifore con tipica cuspide a tronco di piramide. L'interno è arioso, diviso a tre navate da colonne con capitelli ricchi di elementi decorativi e simbolici. Vi si possono ammirare anche dipinti murali medievali, con immagini di santi localmente popolari. L'ingresso è rivolto all'abitato antico, con elegante portale. Quest'asse conduce all'oratorio "segreto" dell'Assunta (restaurato nel 2006), dotato di arredi lignei, stucchi barocchi e dipinti murali ottocenteschi, ad uso di una delle locali confraternite. La struttura è destinata ad impiego museale.
    L'Oratorio di S.Giovanni Battista. Sorge, come la Madonna della Ripa, a strapiombo sulla riva sinistra dell'Arroscia.

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    Forse legato ad una prima fondazione di confraternita locale, ha un titolo di origine quattrocentesca, in linea con una prima ricostruzione dell'edificio. I confratelli sono chiamati anche Battuti o Flagellanti. La forza del sodalizio si rivela in una serie di abbellimenti della loro sede, soprattutto nel Settecento, con le statue lignee di Anton Maria Maragliano (Crocifisso e Battesimo di Cristo), i dipinti del pittore pievese Francesco Sasso, fra cui il notevole Cenacolo e le decorazioni a stucco del ticinese Giovanni Andrea Casella.
    L'ex convento degli Agostiniani. Si trova in luogo appena isolato a monte dell'abitato. Si tratta di una grande struttura iniziata nel 1472, caratterizzata da un elegante chiostro interno ritmato da pilastri ottogonali. La strutture si è progressivamente ingrandita, con ampia chiesa dotata di abside e campanile cinquecenteschi. E' stato successivamente utilizzato come caserma, per essere poi convertito a sede dell'Istituto Tecnico Commerciale "G.Ruffini". Il chiostro, per la sua particolare acustica, è stato sede principale del Festival Musicale delle Alpi Marittime.
    La Chiesa dei Cappuccini. Il Parlamento della Comunità, in data 4 aprile 1953, ha voluto la costruzione di questo convento, che rappresenta, con l'arrivo dei Cappuccini nel 1606, im segno dell'Avvenuta Riforma Cattolica. La struttura ha linee ed arredi semplicissimi, secondo la tradizione cappuccina. Pur essendo stato saccheggiato durante la guerra sabaudo-genovese del 1625, conserva notevoli opere d'arte scultoree e pittoriche.
    La meditazione e l'isolamento sono assicurate dalla posizione isolata presso l'ampio bosco secolare, chiamato il "Bosco dei Cappuccini".
    L'Oratorio dell'Immacolata Concezione. Notevole esempio di oratorio settecentesco (1754) legato alla devozione mariana. Spicca per le sue linee sinuose, che si accordano alla vicina torre civica, già parte della cintura muraria. La torre ospita una statua mariana seicentesca, legata alla maniera del ticinese Leonardo Mirano.
    L'Ex Caserma Sebastiano Manfredi. L'edificio si trova sull'area già occupata dal castello voluto dai Clavesana. Quest'ultimo è stato demolito con il grave conflitto del 1625. Nel 1645 il sito viene occupato dal Convento delle Agostiniane, dotato di una chiesa interna a pianta centrale progettata dal noto pittore pievese Giulio Benso. Dopo gli espropri statali del secondo Ottocento, il convento viene trasformato in caserma. La ristrutturazione attuale ne favorirà l'impiego pubblico in senso culturale, con funzioni di biblioteca, teatrali, didattici e museali.



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    Il Teatro Salvini. Il restauro del 2004, operato dalla provincia di Imperia, ha restituito alla città un vero gioiello: il più piccolo teatro d'Italia, nato per iniziativa privata nel 1834 sul luogo di un antico forno pubblico e poi dedicato ad un famoso attore ottocentesco. Si ammira per la sua squisita dimensione ottocentesca con ordini di palchi, già utilizzato da importanti attori del passato e per le feste cittadine.
    Il Palazzo Borelli. Il sontuoso palazzo spicca lungo la sequenza dei portici medievali per la sua facciata ottocentesca. Accorpa infatti alcune abitazioni antiche, per intervento dell'ingegnere e poi senatore Bartolomeo Borelli (1829-1905), protagonista nell'impresa del traforo del Frèjus e benefattore della sua città di origine. L'interno presenta ambienti ricchi di arredi originali e di decorazioni dipinte murali di stampo accademico ottocentesco. Spicca la sala principale con scene in stile neobarocco, legate a motivi di carattere storico e romantico, opera del pittore Foresti.
    Il Santuario Madonna dei Fanghi. Il santuario nasce dalla devozione popolare attorno ad un'immagine della "Visitazione", posta su un pilone nella prima metà del secolo XVII da tale Antonio Aicardo. Successivamente venne costruita una cappella ottogonale ornata di affreschi. Il titolo deriva dalle caratteristiche geofisiche del luogo, ricco di fango per l'abbondanza d'acqua. La chiesa, del secolo XVII, è una graziosa costruzione tardo-barocca racchiusa tra due corpi aggettanti. La facciata è adorna di lesene e l'interno ricco di stucchi. L'immagine venerata è una Madonna col Bimbo.
    Il Molino del Longo. Il complesso produttivo, situato in posizione suggestiva, impressiona nel dialogo tra pietra e acque. Vi si accede mediante il ponte di Santa Filomena, di aspetto tardomedievale. Il sistema edilizio raccoglie un mulino, il frantoio, memoria di una sempre più diffusa coltura dell'olivo e l'essiccatoio: essiccare derrate alimentari era necessario per avere cibo durante la stagione invernale.






    Pigna

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    Pigna, per il suo storico passato e per la preziosità del patrimonio artistico-monumentale, si può definire il capoluogo della Val Nervia, una delle più belle vallate di tutto il Ponente ligure. Dal basso verso l'alto, il borgo antico si aggrappa al pendio come il frutto del pino, con le sue case costruite le une sul tetto delle altre come un unico e compatto fortilizio. Le strade principali si dispongono a cerchi concentrici, collegandosi fra loro attraverso budelli, viottoli e vicoli, per serrarsi intorno alla "colla", il punto più alto del paese. Da qui, un balcone suggestivo, panoramico sulla vallata che, d'un tratto, chiude bruscamente incontrando pendii coperti di boschi di castagni e roveri nella zona d'ombra, ulivi nella zona di sole, e più in alto, pascoli e "bandite". A fondo valle, in località Lago Pigo, una sorgente d'acqua solforosa, con stazione termale ed albergo. L'acqua sulfurea viene utilizzata per la crenoterapia con ottimi risultati nella cura delle pelle e l'estetica, per bagni e fanghi, cure inalatorie e trattamenti specifici per malattie circolatorie, dell’apparato respiratorio e dell’apparato locomotore. Inoltre, Pigna è tra i maggiori produttori mondiali di mimose, utilizzate anche per la preparazione di cosmetici.

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    COME RAGGIUNGERE PIGNA. Il paese è facilmente raggiungibile in auto uscendo al casello di Bordighera o Ventimiglia. Di lì basta immettersi sull’Aurelia, raggiungere Nervia ed imboccare la Provinciale che percorre l’omonima valle. Passati Camporosso, Dolceacqua e Isolabona, si arriverà a Pigna, che dista circa 17 km dal mare. In treno basta scendere alla stazione di Ventimiglia e prendere alla fermata di via Cavour l’autobus che percorre la valle. L’aeroporto più vicino è quello di Nizza, in Francia, a circa 60 km; in alternativa, a circa 180 km da Pigna, si trova l’aeroporto di Genova.

    COSA VISITARE A PIGNA. Pigna ospita numerosi esempi di architettura religiosa, a cominciare dai ruderi della Chiesa di San Tommaso, all'entrata del paese.

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    Poi la chiesa di San Michele Arcangelo, dalla maestosa facciata in pietra nera locale del maestro Giorgio De Lancia ed impreziosita dallo stupendo rosone di Giovanni Gaggini da Bisone, in marmo bianco. Quest'ultimo è formato da dodici colonnine convergenti nell'Agnus Dei con vessillo e vetrate policrome raffiguranti i dodici Apostoli. Inoltre da notare il campanile, baricentro del borgo, dalla cuspide a pietra squadrata. All'interno della parrocchiale, il grandioso polittico opera di Giovanni Canavesio, artista fecondissimo attivo tra il 1450 e il 1500. Inoltre la romanica cappella di San Bernardo, dagli interni affrescati e il barocco Oratorio di Sant'Antonio, con la sottostante medievale fontana dei Canui. Monumento di particolare devozione da parte dei Pignaschi è il santuario della Madonna di Passoscio dedicato all'Annunziata, a circa un'ora di distanza dal paese e raggiungibile al termine di un percorso a sentiero, segnato da quindici cappellette raffiguranti i misteri della Passione di Cristo.

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    Passeggiando per le caratteristiche vie del centro storico di Pigna, si possono notare stupendi giochi di archi tra un'abitazione e l'altra, fino a raggiungere la bella Loggia della Piazza Vecchia del XV secolo, sorretta da robuste colonne in pietra grigia nera. In piazza XX Settembre, si trova il museo d'arte contadina, che dispone di cinque sale con oggetti e fotografie di origine locale che raccontano la memoria delle tradizioni del paese.

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    NEI DINTORNI DI PIGNA
    . Da Pigna si può raggiungere in breve tempo la frazione di Buggio: cinque chilometri in discesa per raggiungere il borgo, annidato ai piedi del monte Toraggio, in una conca naturale, cui fanno da cornice i primi massicci montuosi delle Alpi Marittime. Nei dintorni dell'abitato, la venerata chiesetta di San Syagrio, il vescovo di Nizza che, visitando Buggio per le cresime annuali, divenuto santo gli fu dedicata una chiesa. In paese, nei vicoli, su per le stradine, fin sulla rocca, si vive un'atmosfera fuori dal tempo, che dispone a passeggiate salutari e ricreative per le vigne, gli uliveti, verso i boschi e i pascoli, fino al monte Ceppo, al Pietravecchia, al Toraggio a diretto contatto con un'infinità di specie bonitiche di grande rarità. Sull'antica strada del sale o sul sentiero degli Alpini, c'è la possibilità di avvistare marmotte, camosci, esemplari di biancone o di aquila reale, la cui presenza certifica l'ambiente come ancora incontaminato.


    EVENTI E PRODOTTI TIPICI A PIGNA. Tra le tradizioni più significative è da ricordare la Raviolata di San Tiberio che si tiene ogni anno il 10 ottobre. Essa ricorda un’antica usanza: sembra che all’epoca delle scorribande dei Saraceni sulle coste liguri, questi abbiano tentato più volte di entrare nel borgo di Pigna, ma durante uno di questi assedi, i cittadini di Pigna scoraggiarono gli invasori difendendosi con l'olio bollente. Infatti, i Pignaschi decisero di raccogliere tutto l’olio che era in loro possesso e lo fecero scaldare rovesciandolo addosso agli invasori che batterono definitivamente in ritirata non tentando più l’assalto al paese. Gli abitanti di Pigna decisero così di festeggiare la loro vittoria con una grande mangiata del loro piatto tipico, i ravioli, ma non avendo più l’olio per condirli li mangiarono senza condimento, solo con il formaggio pecorino. Da allora si ripete il banchetto ogni anno, nel giorno di San Tiberio.
    Altro tradizionale appuntamento a Pigna è Il Festival della Poesia e della Commedia Intemelia a luglio, un’avventura nata nel 1967 da una felice intuizione: il parroco di Pigna, don Giorgio Bellotto, e il poeta mentonasco Marcel Firpo, nel fondare la compagnia di teatro dialettale del paese, la Filodrammatica San Michele di Pigna, hanno pensato di promuovere una vera e propria rassegna dialettale annuale di poesia e commedia. L’evento è cresciuto con il passare degli anni, arricchendosi di momenti musicali e dell’apporto di un sempre maggior numero di compagnie, in quello che presto è diventato un laboratorio linguistico del dialetto intemelio. Ogni anno a fine settembre si svolge la Sagra del Fungo, manifestazione con degustazione, musica, esposizione di funghi porcini e premio al miglior piatto.
    Tra i prodotti tipici il fagiolo bianco di Pigna, presente sul territorio da oltre 300 anni, abbinato a piatti di carne, pesce oppure gustato semplicemente con l'ottimo olio extravergine di oliva di produzione locale. Si consumano anche secchi nelle saporitissime zuppe oppure in pastella nei frisceui, ma il piatto simbolo è senz'altro la capra e fagioli. Altri piatti tipici sono il grano pestato e le cotiche di agnello.


    Pompeiana

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    STORIA. Il paesino di Pompeiana sorge sulla villa rustica romana del fundus Pompeianum, da cui il nome della località, collegato alla mansio di Costa Balenae, la stazione di sosta per le merci che si trovava sulla litoranea via Julia Augusta e connessa alla vicina via per la Gallia. Durante il Medioevo, il borgo fu dei Clavesana e, a differenza dei territori circostanti, non fu donato dalla contessa Adelaide di Susa ai Benedettini di Santo Stefano, ma sentì comunque l'influenza dell'ordine monastico che a partire dal 1226 estese la sua autorità anche sulla chiesa di Santa Maria di Pompeiana e introdusse nuove colture, tra cui quella dell'ulivo, ancora largamente praticata. I due nuclei da cui il paese è costituito, divenuti possesso dei Lengueglia, ebbero in epoca moderna due storie differenti: quello superiore fu, dal 1472, feudo degli Spinola e poi, in seguito al matrimonio tra Maria Brigida Spinola e Marcantonio Gentile, celebrato nel 1695, dei Gentile, che lo amministrarono fino all'epoca napoleonica. Il nucleo inferiore, invece, venne inserito nella Podesteria di Taggia. Nel 1831 la parrocchia di Pompeiana, da sempre parte della diocesi di Albenga, entrò a far parte di quella di Ventimiglia; il paese divenne comune autonomo a partire dal 1815. Fin dal Medioevo il borgo fu minacciato dai pirati e anche in epoca moderna Pompeiana visse un periodo molto difficile quando, nel XIX secolo, moltissimi dei suoi abitanti, ridotti alla povertà per la crisi delle attività agricole, emigrarono in cerca di fortuna. Lo spopolamento fu massiccio e la situazione si aggravò quando, dopo il terremoto del 1887, più di cento famiglie abbandonarono il paese.
    Chi rimase si diede da fare per ricostruire gli edifici distrutti e per risollevare l'economia dedicandosi alla floricoltura che, insieme alla ripresa coltivazione dell'ulivo, costituisce ancora oggi un'importante attività produttiva. La bellezza del luogo e il felice stato di conservazione del centro storico hanno consentito a Pompeiana, nel XX secolo, di conseguire un notevole successo turistico.

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    VISITA AL CENTRO STORICO DI POMPEIANA E DINTORNI. La parte superiore del paese, dotata di fortificazioni di cui restano importanti testimonianze architettoniche, è costituita da quattro borgate: Barbarasa, Case Soprane, Valloni e Conio. Questo borgo, oltre alle sue stradine strette e tortuose, ha conservato anche degli edifici nati con funzioni militari.

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    Nella borgata di Barbarasa si può ammirare una torre cinquecentesca, struttura quadrangolare costruita in pietra avente un camminamento con caditoie da cui si lasciavano cadere pietre oppure olio bollente sul nemico che tentava di forzare la porta. Anche la casa fortificata di Case Soprane rappresentava un sicuro rifugio per gli abitanti. Nella parte inferiore di Pompeiana si conserva un esempio di struttura militare nella torre dei Panei, a Costa Panera, bastione costruito nel Cinquecento per avvistare il nemico e che oggi ospita un museo. Nel cuore del paese, su uno spiazzo che si apre panoramico sul mare e sulla torre dei Panei, sorge la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta affiancata dall'alto campanile eretto nel 1726.

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    La chiesa fu costruita tra il 1617 e il 1622 e fu completata nel 1817. L'interno, tripartito da colonne in pietra, presenta decorazioni risalenti al XVII-XVIII secolo. Subito a destra della chiesa, la stradina stretta che conduce alla piazza su cui si trova l'oratorio di Santa Maria Maddalena. La facciata si presenta semplice, mentre l'interno è impreziosito da raffinati stucchi settecenteschi. Dalla piazza della chiesa alcune viuzze salgono verso le case costruite più in alto, al limitare della campagna, ed è lì che si trovano le cappelle rurali, intitolate a San Bernardo e a San Biagio, nate dalla spontanea devozione popolare. A Barbarasa la chiesetta di Sant'Antonio, in località Costa Panera la cappella di San Giuseppe, in Borgata Conio la cappella di San Rocco. Una passeggiata di circa due ore e mezzo di cammino, consente di raggiungere la cappella San Salvatore, presso l'omonimo passo, in cui sono conservati frammenti di affreschi tardomedievali. Il percorso, con partenza da borgata Barbarasa, sale lungo la strada per Castellaro, oltrepassa la cappella di San Bernardo, prosegue verso il monte Sette Fontane per giungere al passo di San Salvatore.

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    Nella zona adiacente a San Bernardo, si trova un'area di particolare pregio naturalistico, nella quale vivono la rarissima "Lucertola ocellata" e il Pelodite punteggiato (altro animale rarissimo in Italia) oltre alla presenza spontanea di alcune preziose specie di orchidea mediterranea.

    MANIFESTAZIONI A POMPEIANA. Il calendario delle manifestazioni organizzate a Pompeiana sembra creato per fare contenti tutti i buongustai: si inizia il primo sabato di giugno con la Sagra dei muscoli alla marinara, per proseguire, l'ultimo sabato di luglio con la Sagra dei ravioli, che racchiudono la cultura contadina dell'entroterra, per concludere, infine, con la Sagra degli gnocchi il 15 agosto in occasione della festa patronale.
    A ottobre arriva il momento della Sagra d'Autunno, con giochi per i più piccoli, musica, danza e teatro per tutti quelli che vogliono divertirsi. Naturalmente non mancano gli stand gastronomici presso i quali si possono gustare i piatti che hanno come protagonista il carciofo di Pompeiana.




    PONTEDASSIO


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    Sicuramente capoluogo della valle Impero, per la sua importanza commerciale e industriale, è Pontedassio, sede originaria del pastificio Agnesi, di una cartiera (l'antica "paperera"), di una conceria e di numerosi frantoi. Il nome del borgo deriva da un antico ponte di assi di legno, distrutto e sostituito in passato da un ponte in pietra. Per i gourmet, irrinunciabile è la degustazione dei canestrelli dolci all'olio di oliva e delle gustose e delicate anguille fritte.


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    PORNASSIO

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    Pornassio, con le frazioni di Case Rosse, Ponti, Villa e San Luigi, posto sull'antica "Strada del Sale", presenta la miglior campionatura dei rinomati vini Ormeasco e Sciac-trà. Qui, merita una visita il castello cinquecentesco e la chiesa parrocchiale di San Dalmazzo, con il suo campanile romanico, la sua facciata quattrocentesca, l'affresco della lunetta, il polittico, attribuiti a Giovanni Canavesio.


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    PRELA'

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    Prelà è un piccolo comune della provincia di Imperia che conta circa cinquecento abitanti. E' il capoluogo dell'alta valle del Prino. L'antico castello feudale, le cui rovine risalgono al XIV secolo, domina in posizione strategica tutto il territorio. A fondo valle, si trova il centro di Molini di Prelà, che prende il nome dai suoi numerosi mulini, sospinti dalla forza naturale delle acque del vicino torrente. Le frazioni di Tavole, Valloria e Villatalla sono poste in posizione dominante sui pendii. Confina con i comuni di Carpasio, Vasia, Dolcedo, Montalto Ligure e Borgomaro. Il 24 giugno si festeggia il Patrono, San Giovanni Battista. Tra gli edifici religiosi, molto bella ed elegante, la Chiesa di San Giovanni del Groppo, a Molini, risalente al XV secolo. L'interno è diviso in tre navate separate da quattro pilastri di pietra sormontati da semplici capitelli e custodisce un polittico di Agostino Casanova. Il paese di Tavole è situato al di sopra della fascia degli ulivi dove sono presenti i primi castagneti. Qui troviamo nella chiesa barocca della SS.ma Annunciata il polittico della Madonna del Soccorso del 1537 del Casanova.

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    Villatalla è il paese più alto della valle, si trova in una splendida posizione panoramica tra due torri di guardia medioevali. Molto caratteristica è Valloria, piccolo nucleo di case incastonate negli ulivi, che nel labirinto dei suoi caruggi permette di scoprire straordinarie opere d’arte. Sono le più di cento porte di stalle, magazzini e cantine, dipinte da artisti di fama internazionale che durante le due feste estive dell'inizio di luglio e di agosto richiamano a Valloria gente e turisti da ogni parte d’Italia e dall’estero. Valloria è conosciuto in tutto il mondo come il paese delle porte dipinte. Questa meritata fama che si concentra nel detto "A Valloria fai baldoria" è dovuta ad un gruppo di amici che hanno inizialmente creato un'Associazione dal nome "Le tre fontane",

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    legato alla tradizione locale, che si è poi trasformato in "Amici di Valloria", con lo scopo di rivalutare e far rivivere le tradizioni e la cultura di questo paesino abbandonato dai più per andare a vivere in città. Il bisogno di mantenere un ricordo del passato e delle sue attività, usi e costumi si è materializzato con il restauro dell'Oratorio di Santa Croce nel 1994, che ha permesso di ospitare al suo interno il "Museo delle Cose Dimenticate", nel quale sono esposti tanti preziosi reperti della vita quotidiana dei nostri avi in queste valli: attrezzi domestici o degli artigiani, antichi tessuti lavorati a mano, strumenti contadini e per la produzione dell’olio.

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    STORIA DI PRELA'. La sua storia si identifica con quella del suo castello, edificato dal Marchese di Clavesana, sopra lo sperone di "Petra Lata", nel XII secolo. Feudo indipendente nel territorio di Oneglia, ma protetto dalla Repubblica Genovese; nel 1233 dopo uno scontro tra Oneglia e Genova, gli abitanti si impadronirono del castello che passò sotto il dominio dei Conti di Ventimiglia. Nel 1263 viene diviso in Superiore (soggetto ai conti di Ventimiglia) e Inferiore (venduto ai Doria, Signori di Oneglia). Dopo la conquista della parte superiore della valle di Antonio Doria (1340), il feudo passò sotto la signoria di Briga, del Maro, di Tenda, fino al passaggio ai Savoia (1575) che l'affidarono in feudo ai Doria.

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    VALLORIA, IL PAESE DELLE PORTE DIPINTE. Il nome Valloria deriva dal latino Vallis Aurea, cioè valle dell’oro: perché l’olio, dal colore dell’oro, è stata la ricchezza di questo borgo dalle origini sicuramente molto antiche fino a pochi decenni fa. E' un borgo medioevale immerso nel verde e negli uliveti, con splendide vedute sul mare. Il paese fa parte del "circuito dei paesi dalle porte dipinte" e si vanta di possedere più di cento opere d'arte: sono le porte delle abitazioni situate nel centro storico, locali, pertugi, che sono state dipinte da artisti di fama internazionale i quali si ritrovano qui ogni anno, l'ultimo week-end di luglio e l'ultimo di agosto, per incontrarsi e realizzare nuove opere che rappresentano la vita quotidiana della Valle.

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    In queste occasioni si organizzano due sagre a cui tutti possono partecipare, un'ottima occasione per assaggiare i piatti locali, l'olio extra vergine di oliva e il vino da gustare rigorosamente al fresco degli ulivi.
    Entrando a Valloria si viene subito colpiti dal grande murales di Mario Carattoli "La raccolta delle olive", un dipinto che rende omaggio alla tradizione contadina della valle.

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    Suggestiva è la passeggiata nei vicoli stretti che talvolta diventano addirittura cunicoli, lungo i quali si possono osservare le numerose porte in legno dipinte dagli artisti. Sul muro al loro fianco c'è attaccata una targa con la descrizione dell'opera, dell'artista e la data di esecuzione. Insomma una vera e propria galleria d'arte all'aperto. Ottimo il sistema d'illuminazione temporizzato che permette di osservare pienamente le opere anche quando è buio. Nella piazza principale, si trovano "Le Tre Fontane" che hanno dato nome e simbolo all’Associazione degli Amici di Valloria, a cui si deve la rinascita del borgo con tutte le sue iniziative. Dalla salita dietro alle fontane si arriva alla chiesa di San Giuseppe, in un punto panoramico che in alcune giornate offre una vista del mare fino al profilo della Corsica. Dal borgo si raggiungono anche percorsi adatti alla mountain bike e sempre dalla salita dietro le fontane con un minimo di preparazione si può, seguendo il percorso ben segnalato, raggiungere il monte Moro o il monte Faudo. Lungo il percorso si incontrano le "caselle" tipici piccoli locali in pietra normalmente rotondi sormontati da lastre di ardesia coperte di terra, ricovero di pastori in tempo di pascoli.




    RANZO

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    Ranzo ha il suo gioiello nella chiesa di San Pantaleo che, pur avendo subito vistose trasformazioni nel corso dei secoli, conserva un'abside originaria dell'XI secolo e ospita pregevoli affreschi del pittore locale Guido da Ranzo (1499-1542). Il vicino sobborgo di Costa Bacelega conserva inoltre un significativo esempio di barocco nell'oratorio a pianta ellittica di Nostra Signora della Neve.

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    Sono ancora visibili le testimonianze del passato di Ranzo, dall’antico acquedotto (nella foto accanto), alla chiesa di San Pantaleo, presso la quale si possono ammirare i resti del castello costruito dai Clavesana, i nobili che qui risiedevano, risalente al X secolo.
    Molte le architetture religiose nel territorio di Renzo, in particolare il Santuario della Madonna della Misericordia, cui gli abitanti sono molto devoti e presso cui si recano spesso.
    Al suo interno, tra gli ex voto donati dai fedeli nel corso degli anni è custodito una preziosa statua della Vergine, opera del XVII secolo dello Schiaffino.






    Rezzo


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    Il territorio di Rezzo occupa l'intera valle tributaria dell'Arroscia allungata fino alla linea spartiacque che divide la valle Argentina dalla valle Arroscia. Una visita a questo centro è raccomandabile, sia per l'ambiente naturale, caratterizzato da vaste consociazioni boschive, che oltre il paese prendono il nome di "Bosco di Rezzo"

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    e dalla strada che, attraverso il passo di Teglia porta a Molini di Triora, percorrendo uno degli itinerari più elevati e panoramici delle Alpi Liguri, sia per i tre paesi della valle: Rezzo, Lavina e Cénova, ognuno dei quali ha qualcosa di interessante da offrire al turista.
    Rezzo ha caratteristiche inconfondibili. L'architettura contadina ha qui il suo punto di forza nelle murature in pietra vista: un calcare che assume colorazioni color terra. Oggi, in presenza di molte case rifatte o intonacate e del quasi totale abbandono delle colture sui terreni a fascia, invasi dal bosco, bisogna fare uno sforzo di fantasia per immaginare il paese com'era un tempo, mimetizzato nel verde dei coltivi, sostenuti da muri in pietra, uguali nel colore a quelli delle case. Tuttavia del primitivo aspetto del paese non tutto si è perso, vi sono ancora case in pietra, logge nei sottotetti, passaggi coperti. Nel centro storico si possono ammirare architetture rurali di grande interesse, integrate un tempo con il paesaggio terrazzato su cui sorge il paese. La Chiesa di San Martino e il castello feudale sono due emergenze architettoniche vicine, da dove si domina con un solo sguardo la valle. Inoltre, il santuario di Maria Bambina sull'altura che sovrasta il paese, nato dalla volontà popolare nel 1444. Dalla frazione Cénova si sono sparsi per la valle Arroscia e oltre il confine gli artigiani delle pietre scolpite, mentre a Lavina si può visitare il santuario agreste della Madonna della Neve.


    VISITA AI MONUMENTI DI REZZO E DINTORNI. Al centro del paese su un poggio dominante la valle, si innalzano la chiesa parrocchiale, dedicata a San Martino e il castello costruito nel secolo XVII, dopo che il primo, di cui ci sono resti sopra il paese, fu distrutto dai piemontesi in lotta con la Repubblica di Genova. Il palazzo, a pianta quadrata dotato di quattro guardiole agli angoli e di un bel portale stile Rinascimento è di proprietà privata e abitato saltuariamente. L'emergenza architettonica più significativa di Rezzo è il Santuario di Nostra Signora del Santo Sepolcro e di Maria Bambina.

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    Si trova a tre chilometri dal paese ed è facilmente raggiungibile con strada asfaltata. La visita deve essere programmata d'accordo con il Comune. Il santuario venne costruito nel 1444 dalla comunità di Rezzo, che scelse il colle a Ovest del paese, nei pressi di una ricca sorgente di acqua e affidò l'incarico della costruizione ad artigiani delle valli imperiesi, che già avevano lavorato in altri santuari della regione. La chiesa fu edificata in stile gotico, a tre navate divise da colonne, terminanti con capitelli scolpiti a bugne e foglie: sulla facciata venne collocata un rosone gotico. E' importante nel santuario il ciclo degli affreschi di Pietro Guido di Ranzo, eseguiti nel 1515 e firmati in una iscrizione nella quale compaiono anche i nomi dei massari che in quel tempo avevano in cura la chiesa. Gli affreschi, divisi in riquadri, raccontano il peccato originale e la storia della Redenzione attraverso la vita e la morte di Cristo. Il ciclo si conclude con la Resurrezione e la Crocefissione. Sotto quest'ultimo affresco vi sono le figure dei Santi Mauro, Giovanni Battista, Bartolomeo e tra loro la Vergine col Bimbo. Sono figure votive fatte dipingere dai massari in ringraziamento per l'opera felicemente compiuta. Un secondo ciclo di affreschi, raffigura l'Inferno, i cicli stagionali del lavoro dei campi e i sette vizi capitali. Questi ultimi sono impersonati da figure maschili e femminili che cavalcano mostri, hanno in mano i simboli del peccato che rappresentano e viaggiano incoscienti verso le fauci spalancate di un mostro infernale. Nel secolo XVIII la chiesa di Maria Bambina venne trasformata con l'aggiunta di un portichetto e di una cripta, dove fu collocata la statua del Cristo morto. In quella occasione il santuario fu ribattezzato con il nome di Madonna del Santo Sepolcro.

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    Nella nicchia, sopra il grandioso altare barocco, si trova la statua marmorea della Vergine col Bimbo di Filippo Parodi. Il santuario di Rezzo, sia per il paesaggio naturale che lo circonda, sia per la bellezza della chiesa e delle opere d'arte che vi si trovano, è uno dei monumenti religiosi più interessanti della valle Arroscia. Tra le frazioni di Rezzo, Lavina, nel
    fondovalle, ha anch'essa un piccolo santuario dedicato alla Madonna della Neve, costruito nel secolo XVIII. Il paese mostra un interessante impianto architettonico, con esempi di case rurali di pregio e belle coltivazioni su fascia nel versante esposto a Sud. La frazione Cénova, situata in alto a mezzacosta, gode di una splendida esposizione ed è paese noto per essere stato la patria di scultori attivi nel '500 nel territorio dell'alta valle Arroscia e oltre la linea spartiacque verso la Francia.



    Edited by tomiva57 - 28/10/2011, 17:58
     
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