OGGETTI nei ricordi e nella storia

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  1. gheagabry
     
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    bici



    "Ci sono oggetti del quotidiano, del reale, che tutti i giorni noi usiamo e ai quali non facciamo più caso. Oggetti che sono il frutto di una ricerca tecnologica nata in origine per facilitare le attività umane, oggetti che come tutte le innovazioni da che mondo è mondo, sono stati accolti al loro ingresso sul mercato con estrema diffidenza. Pensate a quanti oggetti che facevano parte della nostra infanzia, oggi sono quasi considerati antiquariato.
    Eppure funzionavano… per esempio chi di voi non ha mai usato una penna con pennino e calamaio? Beh… ok, ho sbagliato esempio… comunque, a rigor di cronaca, poi arrivò la stilografica.. e poi la biro (o bic come comunemente la si identifica ancora oggi per il marchio). Ci sono le radio… quelle a transistors superarono quelle a valvole.

    Il giradischi prima e lo stereo poi, rigorosamente con piatto e bilancino… e oggi anche il lettore mp3 si trova quasi superato dall’ipod. Ok … arriviamo a tempi più moderni: il telefono! Nato nei primi anni del secolo scorso, invenzione usurpata all’italiano Meucci dall’americano Bell, segnò il passaggio da una comunicazione rigorosamente scritta a quella verbale. E per oltre cinquant’anni questi oggetti rimasero fermi, quasi cristallizzati nella loro tecnologia semplice. Ricordate i telefoni a muro, con il disco? Quelli ai quali in caso di guasto si cambiava una molla ed un elastico?

    Poi l’impennata. Nel giro di 25 anni, a partire dagli anni ’80, siamo passati dai primi cellulari con batterie a tampone, che si portavano in giro con una valigetta ed erano grandi come un walkie-talkie militare, alla miniaturizzazione totale. Ricordo che il primo che utilizzai si chiamava Butterfly… ma di sicuro non aveva il peso di una farfalla!
    Ma non è stata solo un’impennata tecnologica: ha trascinato con se una concezione dell’oggetto diversa. Oggetti diversi, dal cellulare all’auto, dal pc al notebook, sono diventati ovviamente emblema di uno status symbol (sostituendo quello che una volta era rappresentato dall’abito da una borsa in coccodrillo o da una pelliccia), un must, un segnale di chi si tiene al passo con i tempi, ma soprattutto hanno eliminato il concetto di RIPARAZIONE. Già, gli oggetti concettualmente moderni inglobano la capacità di autodiagnosi ma allo stesso tempo non sono riparabili. O almeno, la loro riparazione non è economicamente conveniente. Ecco il nuovo concetto di usa e getta, concetto esteso poi anche ad altri settori, come i piccoli elettrodomestici da cucina. E la tecnologia si è lanciata alla forsennata ricerca di oggetti sempre più sofisticati ma di uso semplificato, dall’utilità discutibile, creando il circolo vizioso del consumismo, aumentando il bisogno e sottraendo valori. Vita di corsa. Vita incapace di soffermarsi e guardarsi alle spalle.

    Domenica scorsa mi sono incantata a vedere una bicicletta in legno, che faceva bella mostra in un jardin d’hiver della casa di campagna di un’amica. E con lei una miriade di altri oggetti che lì per lì ho fatto fatica ad identificare: c’erano vecchie bilance a stadera in ferro, bilance da negozio a doppio piatto con contrappesi da 10-100-500 gr., strumenti contadini come falcetti e roncole, vanghe e zappe, e il mio pensiero è immediatamente volato a quando bambina correvo in fondo alla via per andare a trovare un anziano signore che aveva un piccolo orto. Ricordo il pozzo con la pompa a mano per l’acqua… lui chino sulla terra per rincalzare gli zucchini… e poi, come magia, prendeva una piccola zappa, ed estraeva dal terreno una carota, la passava sotto l’acqua corrente e me la porgeva da mangiare.

    Non mi sono sentita vecchia però.. non pensatelo nemmeno… mi sono sentita molto ricca. Ricca dentro per tutte queste esperienze. Ricca per aver conosciuto questi oggetti, ed aver visto la loro trasformazione nel tempo. Ricca per non essermi ancorata alla concezione del tempo che fu e aver accettato il progresso tecnologico ma ponendomi dei limiti: non oltrepassare mai la comprensione e la fruizione del mezzo.








    la televisione



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    L'inizio della storia della televisione può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l'ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra.



    Televisione elettromeccanica

    Nella dimostrazione di Baird, le immagini in movimento rappresentavano delle silhouette, avevano cioè solo due tonalità di grigio. La trasmissione a distanza di immagini in movimento con una vasta gamma di grigi, quelle che comunemente chiamiamo in bianco e nero, riuscì a realizzarla il 2 ottobre dello stesso anno 1925 . La trasmissione avvenne dal suo laboratorio alla stanza a fianco. Si trattava della ripresa di un viso di un giovane (William Taynton, il suo fattorino) che si era prestato per l'esperimento. La risoluzione verticale dell'immagine televisiva era di 30 linee e la frequenza delle immagini era di 5 immagini al secondo.
    Il 26 gennaio 1926 Baird diede una nuova dimostrazione pubblica di televisione nel suo laboratorio di Londra ai membri del Royal Institution e alla stampa, appositamente convenuti.



    Nel 1927 trasmise la televisione da Londra a Glasgow (700 km di distanza) attraverso una normale linea telefonica in cavo. Nel 1928 realizzò la prima trasmissione televisiva transoceanica, da Londra a New York. Sempre nel 1928 riuscì a trasmettere le prime immagini a colori.
    La televisione di Baird fu in seguito definita televisione elettromeccanica perché l'apparecchio di ripresa delle immagini e quello di visione si basavano su un dispositivo elettromeccanico inventato il 24 dicembre 1883 da Paul Gottlieb Nipkow, il disco di Nipkow. Fu definita elettromeccanica per differenziarla dalla televisione elettronica inventata negli anni seguenti e tuttora utilizzata.



    La televisione elettromeccanica era una televisione ancora ad uno stadio embrionale che si diffuse solo in alcuni Stati del mondo e in aree geografiche molto limitate. In Italia non si diffuse, fu solo sperimentata. Già nel 1939 fu completamente dismessa sostituita dalla televisione elettronica.

    Televisione elettronica

    La televisione elettronica fu realizzata per la prima volta il 7 settembre 1927 dall'inventore americano Philo Farnsworth nel proprio laboratorio di San Francisco. La definizione è dovuta al fatto che sia l'apparecchio di ripresa delle immagini che quello di visione erano realizzati con un dispositivo elettronico, il tubo a raggi catodici, inventato dal fisico tedesco Ferdinand Braun nel 1897. Questa tecnologia è quella tuttora utilizzata.
    Il tubo a raggi catodici è stato sostituito negli apparecchi di ripresa (telecamera e videocamera) dal CCD, mentre negli apparecchi di visione (televisore, monitor e videoproiettore) si appresta ad essere completamente sostituito dalla tecnologia al plasma, a cristalli liquidi, OLED e altre ancora in fase sperimentale.
    La televisione in Italia



    In Italia le prime prove di diffusione della televisione furono effettuate a partire dal 1934, e, nel 1949, ci fu già una trasmissione sperimentale dalla Triennale di Milano presentata da Corrado, ma il servizio regolare cominciò soltanto dal 3 gennaio 1954, a cura della RAI, in bianco e nero.
    Il segnale arrivò su tutto il territorio nazionale tre anni dopo, il 31 dicembre 1956, e a quel momento gli abbonati erano ancora relativamente pochi - 360.000 - a causa del costo elevato degli apparecchi.



    Dagli anni cinquanta la diffusione della TV crebbe a ritmi stupefacenti, come precedentemente accaduto sul mercato americano. In quegli anni la televisione era un bene di lusso che pochi italiani potevano permettersi, tanto che i bar o le case dei propri vicini diventarono luoghi prediletti per visioni di gruppo, soprattutto in occasione delle trasmissioni del primo e subito popolarissimo telequiz italiano, i primi pionieri furono Mario Riva con Il Musichiere, e Mike Bongiorno con Lascia o raddoppia?.

    Verso la fine degli anni cinquanta anche la carta stampata si accorge del nuovo mezzo. Nasce la prima rubrica di critica televisiva: la tiene Ugo Buzzolan - già autore del primo originale televisivo (La domenica di un fidanzato) - su La Stampa di Torino.



    Negli anni sessanta, con il progresso dell'economia, il televisore divenne accessorio di sempre maggior diffusione, sino a raggiungere anche classi sociali meno agiate; l'elevato tasso di analfabetismo riscontrato fra queste suggerì la messa in onda di Non è mai troppo tardi (1959-1968); un programma di insegnamento elementare condotto dal maestro Alberto Manzi e che, è stato stimato, avrebbe aiutato quasi un milione e mezzo di adulti a conseguire la licenza elementare.
    Almeno nella fase iniziale la televisione italiana era una delle più pedagogiche al mondo. Le sue finalità erano certamente educative e se da un lato, non cercando il consenso dei telespettatori, era considerata soporifera, ha indubbi meriti nei confronti di una situazione di partenza di una nazione arretrata e culturalmente divisa. Non è solo una battuta umoristica dire quindi che, almeno a livello linguistico, "L'unità d'Italia non l'ha fatta Garibaldi, ma l'ha fatta Mike Bongiorno."



    Anche le tappe successive dello sviluppo televisivo italiano indicano un ritardo rispetto agli altri Paesi europei: solo nel 1961 iniziarono le trasmissioni del secondo canale RAI e la terza rete tv arrivò tra la fine del 1979 e l'inizio del 1980 (come da riforma del 1975). Le trasmissioni a colori, iniziate in via sperimentale fin dagli anni '70, in particolare con la trasmissione delle Olimpiadi di Monaco nel 1972, che avveniva con diversi sistemi a giorni alterni in quanto proprio in quel periodo veniva dibattuta in Parlamento l'adozione del sistema di trasmissione tra i sostenitori del francese SECAM e quelli del tedesco PAL, inizieranno ufficialmente solo nel febbraio 1977 cioè circa 10 anni dopo rispetto ai paesi europei più sviluppati e soprattutto agli USA, principalmente per l'opposizione di alcuni personaggi politici (in particolare Ugo La Malfa) che temevano gli effetti devastanti sull'allora precaria situazione economica italiana dello scatenarsi della "corsa all'acquisto" del nuovo elettrodomestico (costoso e quasi sempre importato dall'estero) da parte delle famiglie italiane.






    IL Musichiere

    Fra poco sono 50 anni dall'ultima puntata trasmessa

    Il Musichiere è il titolo di una celebre trasmissione televisiva RAI diretta da Antonello Falqui, andata in onda il sabato sera per novanta puntate, dal 7 dicembre 1957 al 7 maggio 1960.

    Il-musichiere-Lardori-1958-tavola-Molino

    Condotto dall'attore romano Mario Riva, Il Musichiere era un gioco musicale a quiz: i concorrenti, seduti su di una sedia a dondolo, dovevano ascoltare l'attacco di un brano musicale e, una volta riconosciutolo, precipitarsi a suonare una campanella a dieci metri di distanza per avere diritto a dare la propria risposta, accumulando gettoni d'oro per il monte premi finale.
    Il monte premi si conquistava indovinando il "motivo mascherato", eseguito all'apertura di una cassaforte che conteneva la vincita.

    I motivi musicali erano eseguiti dall'orchestra di Gorni Kramer e da due cantanti: Nuccia Bongiovanni e Johnny Dorelli. Quest'ultimo fu poi sostituito da Paolo Bacilieri.

    Ispirato a un format della NBC statunitense, intitolato Name That Tune, riscontrò un grande favore di pubblico grazie alla semplicità del meccanismo di gioco, ma soprattutto grazie alla facilità con cui tutti da casa potevano partecipare attivamente, avvalendosi soltanto della propria conoscenza del panorama musicale popolare, allora molto meno ramificato e complesso di quello odierno.



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    Edited by gheagabry1 - 17/1/2022, 15:41
     
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    CALAMAIO




    da claudio

    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Il calamaio tascabile...


    “Stamattina c'è compito in classe. I ragazzi entrano in punta di piedi, guardano timorosamente il maestro, aprono la cartella e dispongono sul banco i due foglietti, uno per la brutta l'altro per la bella copia, lisci, puliti, comprati adesso in quella botteguccia di cartolaio a due passi dal portone di scuola…Il calamaio tascabile... È il sogno di tutti i ragazzi delle scuole elementari: quei calamai che, premendo un bottone, si aprono con lo scatto; e poco importa se perdono inchiostro da tutte le parti e macchiano le mani, i vestiti, allagano le tasche: possedere un calamaio tascabile è il sogno di tutti i ragazzi, ma costa molto, e in una classe sono due o tre, al massimo, che ce l'hanno……….”

    (La redazione)






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    antico clamaio



    Il calamaio, derivato dal greco antico calamos (καλαμος), è un piccolo recipiente, spesso di vetro, porcellana, argento, ottone o peltro.
    Posto vicino alla persona che deve scrivere, contiene l'inchiostro utilizzato per la scrittura per mezzo del calamo o penna rappresentata da un'asticella appuntita o da una estremità di una penna di un grande uccello o da un pennino infisso su di un'asticella.
    Il calamaio serve anche per contenere l'inchiostro per riempire le penne stilografiche.
    L'inchiostro contenuto nel calamaio è un liquido colorato (spesso nero) con vari pigmenti quali: nerofumo, bacche vegetali, minerali vari, con il quale si tracciano i segni ideografici o sillabici su superfici sottili, di colore chiaro o bianco, quali i papiri, la carta o la pergamena.
    Un calamaio spesso ha un coperchio per evitare l'evaporazione, la fuoriuscita accidentale o l'eccessiva esposizione all'aria dell'inchiostro.
    Il nome del calamaio deriva dal greco antico calamos (καλαμος), come già detto, che era il nome che si dava all'asticella appuntita e alla parte terminale della penna (d'uccello) usati per scrivere e che, come tali, venivano intinti nel calamaio.
    Dallo stesso termine deriva la parola calamita data ai magneti naturali utilizzati per la realizzazione delle prime bussole; ciò era dovuto al fatto che l'ago di dette bussole era appoggiato su di una leggera asticella (appunto un calamo) per farlo galleggiare nell'acqua e così ruotare indicando il nord magnetico.
    Alcuni esperti inoltre sostengono che il termine derivi dal termine copto "kalamrk", ovvero calamaro, animale acquatico ripieno dell'inchiostro tipico dei calamai.



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    Edited by gheagabry - 16/8/2011, 21:50
     
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    QUANTI RICORDI GABRY E ANCHE UN PO' DI NOSTALGIA
     
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  5. gheagabry
     
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    Materiali scrittorî

    Immaginiamo uno scrittore latino (o greco) di 1500-2000 (e più) anni fa. Egli intende scrivere una poesia, un’opera di storia o un’opera filosofica. Incomincia a prendere appunti. Per farlo, usa uno stiletto (stilus, graphéion o graphiur) di metallo (ferro o bronzo) o di avorio, appuntito da una parte, per incidere, e piatto dall’altra, per cancellare (stilum vertere = cancellare).

    Donna con tavoletta di cera e stilo.

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    Incide le lettere direttamente su tavolette di legno duro lisciato ed imbiancato, o su tavolette lignee od eburnee spalmate di cera o gommalacca fusa (tabulae, tabellae, cerae, in greco ptychái, ptýchia, da ptússô, piegare), due o più tavolette (fino a 10) tenute insieme da legacci che passavano per fori praticati nel bordo interno (due tavolette: díptycha, cfr. l’italiano dittico; tre: tríptycha, trittico; quattro: tetráptycha, etc.). Ne abbiamo delle raffigurazioni in affreschi di Pompei, e ce ne sono arrivate alcune: nel 1875, nella casa del banchiere Cecilio Giocondo, a Pompei, furono scoperte centinaia di tavolette degli anni 15-62 d.C. Il legno era carbonizzato, la cera scomparsa, ma alcune lettere sono ancora leggibili perché lo stilo aveva graffiato il legno (si tratta di conti).

    Poi (già nel I sec. a. C.) dal mazzetto di fogli lignei si passa al mazzetto di fogli di pergamena, più leggeri e anch’essi riutilizzabili, perché si poteva cancellare l’inchiostro lavandolo o grattandolo. A materiali di questo genere si riferisce appunto Paolo quando chiede a Timoteo: “Portami anche i libri e specialmente le membrane (2 Tim. 4, 13) (membránas sia in latino sia in greco)”.
    In seguito, il nostro scrittore antico si accinge alla stesura vera e propria della sua opera, che solitamente dettava ad uno scriba. Per scrivere si usavano due tipi di materiale: il papiro (più anticamente) e la pergamena (in prevalenza, a partire dal I sec. d. C.).

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    Pianta di papiro

    Il papiro (pápyros, in latino charta) era ricavato dall’omonima pianta, una specie di canna egiziana che raggiunge l’altezza di tre o quattro metri. Il fusto (il midollo, da cui veniva tolta la corteccia esterna) era tagliato in strisce, nel senso della lunghezza, che venivano disposte parallelamente l’una vicina all’altra e inzuppate d’acqua. Su un primo strato se ne disponeva un altro trasversalmente, poi i due strati erano compressi e lasciati asciugare (cfr. Plinio, Naturalis Historia XIII, 68-89, capp. 21-28). I fogli così ottenuti erano poi incollati a formare un rotolo (kýlindros = cilindro, in latino volumen). Il rotolo di solito era molto lungo (ce ne sono arrivati di quelli lunghi anche più di 10 metri), ma non molto alto (secondo Plinio, si andava all’incirca dai 24 cm. delle carte migliori, agli 11 delle peggiori1). Ogni rotolo serviva a ricevere la trascrizione di un’opera letteraria completa: ecco quindi la divisione in «libri» delle opere letterarie antiche.
    Rotolo di papiro
    Sul rotolo si scriveva in colonne (paginae, schedae, in greco selídes. In Antologia Palatina IX, 251 si parla di un selidêfágos, uno che divora i fogli dei libri, a proposito di un lettore accanito). Le colonne avevano righe di 35 lettere circa (15 sillabe), leggermente inferiore alla larghezza delle righe di un libro d’oggi, corrispondenti ad un verso omerico di media lunghezza. La scrittura correva parallelamente al bastoncino sul quale il rotolo era avvolto. Al fondo del rotolo si faceva il calcolo delle linee (stíchoi) scritte, cioè la sticometria, in base alla quale si pagava lo scriba; una volta che di un’opera s’era fatta la sticometria, gli amanuensi delle copie posteriori ricopiavano anche la sticometria. Callimaco, quando compilò il catalogo della biblioteca di Alessandria, nel III sec. a. C., vi segnò per ciascuna opera anche il suo numero di stichi. Nel 301 Diocleziano fissò la retribuzione dei copisti all’ammontare di 25 denarii per 100 righe in scritti di prima qualità, e di 20 per scritti di seconda qualità.
    Per lo più si scriveva solo sulla parte interna del rotolo (recto), ove le fibre del papiro erano orizzontali, che era più protetta. Quando, per risparmiare, si scriveva anche sulla parte esterna (verso), il rotolo è detto opistografo (da ópisthen = dietro).
    Ci sono arrivati molti papiri: particolarmente importanti sono quelli di Ossirinco e quelli di Ercolano. Questi ultimi appartenevano alla biblioteca di Filodemo di Gadara, filosofo epicureo (metà del I sec. a.C.), ospitato da L. Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, in una villa ad Ercolano. Sono stati ritrovati circa 1800 rotoli carbonizzati, alla metà del 1700; con le tecniche odierne possono essere svolti e letti.
    Dione Crisostomo (30-117 d.C.) dice che già ai suoi tempi erano pregiati i papiri antichi, vecchi di uno o due secoli; certi librai disonesti li invecchiavano artificialmente immergendoli nel grano per ingiallirli.


    Volumen - Lipsanoteca del V-VI secolo d.C. - Brescia, Museo di S. Giulia

    I volumina non erano facili da leggere: bisognava usare entrambe le mani, la destra per tenere il rotolo, la sinistra per tener ferma la parte iniziale srotolata e per arrotolarla via via che la lettura procedeva; arrivati alla fine, bisognava riavvolgerlo nel senso opposto. “Srotolare il rotolo” in latino è explicare volumen (in greco exeiléin bíblon o kylíndron). “Arrotolare” invece si dice plicare = piegare (eiléin). Liber explicitus significa “libro letto fino alla fine”; di qui l’abbreviazione explicit (= explicitus) posta alla fine di un’opera, abbreviazione che, per analogia con incipit liber nel titolo, fu scambiata con la III persona singolare del presente di un verbo explicere che non esiste, dando origine a frasi del tipo explicit liber.
    Sul papiro, via via prevale l’uso della pergamena (pergamené = di Pergamo, sottinteso diftéra, pelle conciata, o dérma, la pelle, in latino membrana). Secondo la tradizione fu Eumene Il re di Pergamo (197- 158 a.C.) a inventarla, in un momento in cui il papiro scarseggiava perché l’Egitto ne vietava l’esportazione; più probabilmente fu lui a dare impulso alla sua diffusione. La pergamena era fatta con pelli di pecora (cfr. l’italiano cartapecora), di capra, di montone, di vitello, messe a bagno in acqua di calce, rasate dei peli, pulite, essiccate, imbiancate con calce, levigate con pomice, tagliate per formare fogli.
    Solitamente, questi venivano piegati in quattro e davano origine ai quaternioni (quaterniones, in greco tetrádes, tetrádia) che, rilegati insieme, davano il codex. Il codex è il vero antenato del libro moderno. La forma del codex fu usata già per i papiri, soprattutto in ambiente cristiano, ma trovò larga applicazione in particolare con la pergamena. Può esser vera l’ipotesi che siano stati i Cristiani i primi ad adottare per le scritture la forma del codice, al posto del volumen, nel deliberato tentativo di differenziare le consuetudini della Chiesa da quelle della Sinagoga e del paganesimo. I motivi del passaggio dal papiro alla pergamena non sono chiari e sono state formulate varie ipotesi. Rispetto al papiro, la pergamena sembra presentare dei vantaggi tali da renderla preferibile: è più comoda per la lettura, solida (il papiro si conserva solo in ambienti caldi e secchi), economica (il papiro deve essere importato dall’Egitto)2. Solitamente si associa il papiro al volumen, e la pergamena al codex; in realtà, abbiamo anche qualche caso di codici papiracei e rotoli pergamenacei.


    Penna e calamaio romani del I secolo d.C.

    Sul papiro e sulla pergamena si scrive col calamus, kálamos, una canna vegetale tagliata ed appuntita con un temperino (scalptum); cfr. Girolamo: “Lo stilo scrive sulla cera, il calamo sul papiro o sulla pergamena” (Epistula LXV, 7)3. Dal VI sec. d.C. si usano penne di animali (oca), anche se nel medioevo i termini calamus e penna si confondono volentieri.
    L’inchiostro (atramentum = color nero; encaustum = fatto a fuoco) era prodotto con ingredienti vegetali e si cancellava con una spugna bagnata. Si usavano fuliggine delle lampade, fondi di vino e nero di seppia, mescolati con sostanze gommose vegetali, diluite con acqua (nerofumo). Ci sono anche inchiostri a base metallica, dal III sec. d.C.
    La carta fatta di stracci macerati in acqua costituirà materiale scrittorio in Occidente dal XIII secolo (in Italia, nella seconda metà del XIII sec, abbiamo le cartiere di Fabriano); le origini della carta sono orientali, cinesi, ed essa fu introdotta nel mondo arabo nel secolo VIII, e in quello bizantino nell’XI.
    Esiste una classe particolare di manoscritti, detti palinsesti (da pálin pséô, raschio di nuovo) o codices rescripti, nei quali la scrittura è stata raschiata via per lasciare il posto alla scrittura di un secondo testo. Il problema del reimpiego dei codici ammette due soluzioni: quella economicista (riutilizzo di pelli per risparmio o scarsità di mezzi), o quella ideologica (eliminazione dei testi pagani in favore di quelli religiosi). Lo studio quantitativo dei palinsesti non sostiene la convinzione di una programmatica eliminazione della letteratura pagana; sono numerosisimi i testi cristiani eliminati in favore di altri testi cristiani (ad esempio le traduzioni della Bibbia anteriori alla Vulgata di Girolamo)4. Si ricordi la scoperta e la pubblicazione nel 1822 da parte di Angelo Mai, bibliotecario della Vaticana, di un palinsesto contenente il De Republica di Cicerone; purtroppo i reagenti chimici usati allora per far riaffiorare la scrittura sottostante, hanno danneggiato i codici; oggi si fa uso dei raggi ultravioletti.

    Edited by gheagabry1 - 17/1/2022, 15:54
     
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  11. gheagabry
     
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    Penne stilografiche...


    “….c'erano anche le penne stilografiche, da quelle più vecchie, come le Waterman's, nate a cavallo tra '800 e '900 a quelle più belle, ma anche più costose. Nella foto modelli risalenti agli anni '30 del secolo scorso. A scuola molti usavano le penne cosiddette "scolastiche", poco costose, ma adatte ad utilizzatori non proprio provetti e non proprio attenti.

    Come-funzionano-le-penne-stilografiche-01-1-1080x675

    Ma verso la fine del 1945, in un grande magazzino statunitense, viene per la prima volta messa in vendita una penna rivoluzionaria, destinata a dare un potente scrollone al tranquillo mondo delle stilografiche…Si tratta della "penna Biro", chiamata così dal nome del suo inventore, l'ungherese Laszlo Jozsef Biro….Questa penna non ha il pennino; al suo posto c'è una strana punta con una piccola sfera d'acciaio, libera di ruotare, che in parte sporge all'esterno e in parte rimane all'interno a contatto con l'inchiostro. Strisciando sul foglio la sfera ruota e deposita sul foglio una traccia di inchiostro. Subito molte ditte, fiutando l'affare, iniziano la produzione e sono milioni le penne biro vendute nei primi anni, anche se la qualità non è delle migliori.

    E' il 18 marzo 1948, e chissà, forse proprio l'importanza dell'avvenimento spinge l'insegnante a passare dalla penna ad inchiostro alla penna biro (o forse ha solo finito l'inchiostro?). Da quel momento il resto del registro, compresi i voti finali, sono scritti in penna biro.” (dal web)




    Edited by gheagabry1 - 17/1/2022, 16:00
     
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  12. gheagabry
     
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    IL DOLLARO










    Il Dollaro Statunitense (USD) non è solo la valuta ufficiale degli Stati Uniti d'America, ma è anche la principale moneta del globo ampiamente utilizzata come valuta di riserva. Inoltre anche alcune nazioni al di fuori della giurisdizione statunitense usano il Dollaro Usa come valuta ufficiale: Ecuador, Palau, Timor Est, Panamá e gli Stati Federati di Micronesia.Dollaro

    Il Dollaro, la prima valuta nella storia per cui venne utilizzato il sistema metrico decimale, è utilizzato dal 1785 e dal 1929 le banconote sono stampate dalla Federal Reserve.

    Attualmente, le denominazioni pari o inferiori a un dollaro sono emesse in moneta, mentre quelle uguali o superiori a un dollaro sono emesse in banconote. La banconota da un dollaro, comunque, è molto più diffusa della moneta di pari valore facciale.

    Tale valuta è spesso chiamata “biglietto verde” per il colore dominante con cui sono stampate le banconote: durante la Guerra di secessione americana (1862) la Federal Reserve iniziò a emettere moneta, supportata dal Dollaro Spagnolo. Un lato delle banconote stampate era verde e per questo vennero dette “greenbacks”, anche per distinguerle dai dollari della potenza coloniale europea. Da allora, per tradizione, la cartamoneta ha quel colore. A partire dal 9 ottobre 2003, tuttavia, è entrata in circolazione la banconota da 20$ a colori (la prima dal 1905) per contrastare la crescente contraffazione
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    La storia del Dollaro, la banconota sempreverde..




    Il termine dollaro deriva dall'antico tedesco daler o taler, nome di una moneta d'argento coniata nel 1519 in Sassonia. Il dollaro, per antonomasia, è quello statunitense, che derivò il suo nome da un’altra moneta d’argento, il peso duro, o doleras, coniata in Spagna e utilizzata nelle colonie spagnole e nel Nord America anche dai coloni inglesi….Il governo federale statunitense iniziò a emettere valuta durante la Guerra Civile americana; il dollaro venne scelto come unità monetaria degli Stati Uniti il 6 luglio 1785: fu la prima volta che una nazione adottava un sistema decimale per la valuta. Le banconote, conosciute come “greenbacks” per il loro colore, diedero inizio alla tradizione statunitense di stampare la valuta in verde. Infatti, diversamente ad altre nazioni, tutte le banconote statunitensi sono state stampate con lo stesso colore per la maggior parte del XX secolo. Solo il 13 maggio del 2003, il Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato l'introduzione di una banconota da 20$ e da 50$ a colori..




    un po' nell'esoterico


    il dollaro statunitense



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    Cercheremo di comprendere se anche in questa banconota esiste un «linguaggio» o dei messaggi segreti che sfuggono al nostro controllo conscio. «The One Dollar», come viene comunemente chiamato, fu adottato per la prima volta durante la presidenza di George Washington, nell’anno 1794. Questo spiega come mai un lato della banconota - che per comodità chiameremo lato A - presenta proprio l’effige del primo presidente degli Stati Uniti d’America.


    Lato A del dollaro

    Sulla figura storica di George Washington si potrebbe scrivere un intero libro, ma in questa sede ci accontenteremo di una piccola parentesi storica, perché colui che supervisionò la costruzione della «White House» ha avuto strettissimi collegamenti con la massoneria dell’epoca. Ufficialmente George Washington venne eletto il 30 aprile 1789, ma quello che pochi ignorano è che tale nomina fu voluta fortemente dal Gran Maestro (massone) di New York, e che il giuramento presidenziale fu fatto addirittura sopra la «bibbia sacra» della massoneria. Non è certo una novità questa per il giovane George, se consideriamo che venne «iniziato» ai segreti esoterici prima di compiere ventuno anni; quindi ben prima della sua candidatura.
    A destra di Washington, sempre nel lato A, compare un cerchio di colore verde rappresentante il simbolo del Dipartimento del Tesoro («Department of The Tresury»), e una data: il 1789.



    Logo del Dipartimento del Tesoro e data 1789



    Logo della Riserva Federale di Chicago

    La data indica la nascita del Dipartimento del Tesoro statunitense ma coincide anche con la Rivoluzione francese, «una rivoluzione in cui la massoneria - guarda caso - ha contribuito alla sua preparazione intellettuale e ha svolto un ruolo determinante nelle agitazioni». Il logo ad una osservazione più attenta, risulta pregno di simboli massonici: «scudo», «bilancia», «squadra», «chiave» e «tredici» punti. La «bilancia», lo «scudo» e la «chiave» sono facilmente identificabili, mentre la «squadra» lo è un po’ meno. Graficamente è quella linea spessa di colore verde con il vertice al centro della bilancia, che divide in due lo «scudo»: separa in definitiva la «bilancia» dalla «chiave».
    La «squadra», in cui sono disegnati «tredici» punti, rappresenta lo strumento principe del «lavoro massonico»: un utensile che racchiude in sé il rigore morale e la perfezione, e con il suo angolo sempre fisso può essere usata come mezzo di riferimento. La «chiave» altro non è che la conoscenza esoterica - rigorosamente gnostica - che i fratelli massoni si tramandano, e la «bilancia» indica l’equilibrio tra le forze opposte.
    Non male come sigillo, vero? Almeno cinque simboli universalmente conosciuti in massoneria! Se ci spostiamo a sinistra, sempre nel medesimo lato, troviamo il logo della Riserva Federale di Chicago (Federal Riserve Bank of Chicago, Illinois).
    Ad un occhio «esotericamente» allenato, colpisce immediatamente la lettera «G» maiuscola stampata all’interno del cerchio. Lettera diffusissima in massoneria a tal punto che viene considerata come uno dei simboli più importanti.
    Qual è il suo significato? Ci sono così tante interpretazioni che è difficile integrare il vero significato, almeno per coloro che non sono iniziati agli «insegnamenti nascosti»: iniziale della parola «Gnosi» (conoscenza), «Geometria» (l’arte sacra della «costruzione»), «God» in inglese, «Got» in tedesco: Dio, «Generazione», «G.A.D.U.» (Grande Architetto dell’Universo), ecc.
    E’ d’obbligo precisare, per non cadere nel ridicolo, che esistono altre serie della stessa banconota che presentano invece della lettera «G» la lettera «H» o la «J», questo a seconda della banca federale.
    Però è altresì vero che una simile coincidenza - per chi crede naturalmente nelle coincidenze - è molto interessante.




    Giriamo a questo punto il dollaro e passiamo al lato B. A destra, dentro un cerchio, l’animale per così dire ufficiale degli Stati Uniti d’America: l’aquila calva o aquila romana.



    Lato B del dollaro

    Questa «ufficialità» l’ha sicuramente reso l’animale più diffuso in loghi e/o simboli governativi.
    Senza nulla togliere agli altri animali, l’aquila per sua natura, è forse più «vicina» a Dio di qualsiasi altro animale. Il significato quindi è indubbiamente «divino». Essa infatti vola alta, sfiorando il cielo e osserva tutto e tutti. Nulla le sfugge dall’alto.
    Nel dollaro, l’aquila tiene nel becco un nastro con la scritta latina «E Pluribus Unum» (Out of Many, One), composta da «tredici» caratteri, che significa: «Da Molti Uno». Il numero «tredici», come vedremo meglio più avanti, è presente numerose volte nella banconota:

    All’interno di un cerchio una piramide - o tronco di piramide - a base quadrata con un occhio al vertice. Un simbolo affascinante e soprattutto intrigante, che vedremo di estrema importanza: si tratta infatti del «Delta Luminoso», chiamato dagli amanti della cospirazione: «Piramide del Controllo» o anche «L’occhio che tutto vede».
    Talmente importante è il suo «significato» che perfino Gustav Jung se n’è occupato: «il triangolo con dentro un occhio s’impone – sempre secondo il grande psichiatra svizzero - immediatamente ad ogni osservatore (a livello inconscio) indipendentemente dal livello di coscienza di chi lo sta guardando».Ciò significa che va a lavorare direttamente a livello inconscio bypassando la parte consapevole.
    Ma cosa ci comunica?
    Lo scopo dell’«Occhio della Trinità e dello Spirito Santo», come lo chiama la Rettore, è quello di ricordare che: «l’occhio di Dio ti vede sempre, ovunque tu sia!», mentre il triangolo va a colpire direttamente i tre corpi: materia, sensi e mente, di cui è composto l’uomo.
    Molto interessante, ma andiamo avanti perché non finisce qui. La piramide ha «tredici» gradini, simbolo - per alcuni - del «percorso iniziatico rosicruciano», alla base della quale vi è incisa la data: «MDCCLXXVI» cioè 1776, anno della fondazione degli Stati Uniti, ma anche anno della nascita dell’«Ordine degli Illuminati»: la società segreta fondata il 1° maggio da Adam Weisshaupt, allora professore ventottenne di giurisprudenza dell’Università dei Gesuiti in Baviera.
    Sopra il vertice della piramide compare la scritta «Annuit Cœptis», anch’essa di «tredici» caratteri il cui significato è: «la provvidenza ha favorito il nostro impegno», «la divinità ha acconsentito» o anche «approva le cose iniziate». Sotto la base della piramide la scritta «contenente un evidente errore ortografico affinché la “divisa” «Novus Ordo Seclorum» risulti composta di 17 lettere invece di 18».Effettivamente la scritta corretta dovrebbe essere più o meno così: «Novus Ordo Secolorum». Perché allora inserire volutamente ad arte un errore? Cosa significherà mai il numero «diciassette»? Esso equivale alla «privazione della perfezione celeste altrimenti rappresentata dal numero 18». Il XVII Arcano è rappresentato da: «Le Stelle», ma indica anche la «perpetuazione» e «realizzazione». Come dire al mondo: «ecco a voi la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale».
    Un altro simbolo curioso è invece la «farfalla» ai piedi della piramide. Per i greci la parola «psiche» significa anche «farfalla», oltreché naturalmente «anima». Quindi la piramide «sovrasta» e «sottomette» l’anima-psiche che sta alla base.
    Ma quand’è che il «Delta luminoso» è stato utilizzato per la prima volta?
    I primi ovviamente furono i membri dell’Ordine degli Illuminati, mentre nel dollaro la decisione di stamparlo fu presa solamente nel 1933 per volere del 31esimo presidente Franklin Delano Roosevelt. Un «presidente - tanto per cambiare - massone del 33esimo grado»



    - le frecce che l’aquila tiene negli artigli della zampa a destra;
    - le foglie del ramo nella zampa sinistra;
    - le strisce dello scudo centrale che coprono il corpo;
    - le stelle sopra la testa dell’aquila (che unite formano una stella a sei punte, sic!)
    - i gradini della piramide;
    - le lettere della scritta «E Pluribus Unum»;
    - le lettere scritta «Annuit Coeptis»;

    Aldilà dell’ovvio riferimento ai tredici stati che formarono la prima confederazione americana (tuttora presenti come numero nelle tredici strisce bianche e rosse della bandiera statunitense), il significato del «tredici» in numerologia potrebbe riempire tranquillamente una intera enciclopedia. Nei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi è raffigurato con la «Morte», intesa come trasformazione, cambiamento e rinascita. Nella tradizione cristiana, in cui Giuda il traditore è legato al tredici (Gesù più dodici apostoli), è considerato il numero della gerarchia infernale. Per alcuni studiosi dell'alfabeto ebraico il «tredici» è simbolo di distruzione e morte. Secondo invece Carmen Rettore, il tredici «oltre ad essere il numero cosmico del perdurare della presenza è anche il numero del “trasporto” e del “volo”». Cosa significa questo? «In pratica con questo numero - continua Carmen Rettore - viene data alla banconota la pulsazione di un movimento universale», della serie: un movimento di «circolazione» che «perdura, trascende e resiste per l’eternità». La conferma di quest’ultima affermazione, e cioè della «circolazione che perdura», sta nel fatto che il dollaro è sicuramente la banconota che circola maggiormente nel mondo e da tantissimo tempo.





    All’interno di un cerchio una piramide - o tronco di piramide - a base quadrata con un occhio al vertice. Un simbolo affascinante e soprattutto intrigante, che vedremo di estrema importanza: si tratta infatti del «Delta Luminoso», chiamato dagli amanti della cospirazione: «Piramide del Controllo» o anche «L’occhio che tutto vede».
    Talmente importante è il suo «significato» che perfino Gustav Jung se n’è occupato: «il triangolo con dentro un occhio s’impone – sempre secondo il grande psichiatra svizzero - immediatamente ad ogni osservatore (a livello inconscio) indipendentemente dal livello di coscienza di chi lo sta guardando». Ciò significa che va a lavorare direttamente a livello inconscio bypassando la parte consapevole.
    Ma cosa ci comunica?
    Lo scopo dell’«Occhio della Trinità e dello Spirito Santo», come lo chiama la Rettore, è quello di ricordare che: «l’occhio di Dio ti vede sempre, ovunque tu sia!», mentre il triangolo va a colpire direttamente i tre corpi: materia, sensi e mente, di cui è composto l’uomo.
    Molto interessante, ma andiamo avanti perché non finisce qui. La piramide ha «tredici» gradini, simbolo - per alcuni - del «percorso iniziatico rosicruciano», alla base della quale vi è incisa la data: «MDCCLXXVI» cioè 1776, anno della fondazione degli Stati Uniti, ma anche anno della nascita dell’«Ordine degli Illuminati»: la società segreta fondata il 1° maggio da Adam Weisshaupt, allora professore ventottenne di giurisprudenza dell’Università dei Gesuiti in Baviera.
    Sopra il vertice della piramide compare la scritta «Annuit Cœptis», anch’essa di «tredici» caratteri il cui significato è: «la provvidenza ha favorito il nostro impegno», «la divinità ha acconsentito» o anche «approva le cose iniziate». Sotto la base della piramide la scritta «contenente un evidente errore ortografico affinché la “divisa” «Novus Ordo Seclorum» risulti composta di 17 lettere invece di 18».Effettivamente la scritta corretta dovrebbe essere più o meno così: «Novus Ordo Secolorum». Perché allora inserire volutamente ad arte un errore? Cosa significherà mai il numero «diciassette»? Esso equivale alla «privazione della perfezione celeste altrimenti rappresentata dal numero 18». Il XVII Arcano è rappresentato da: «Le Stelle», ma indica anche la «perpetuazione» e «realizzazione»[10]. Come dire al mondo: «ecco a voi la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale».
    Un altro simbolo curioso è invece la «farfalla» ai piedi della piramide. Per i greci la parola «psiche» significa anche «farfalla», oltreché naturalmente «anima». Quindi la piramide «sovrasta» e «sottomette» l’anima-psiche che sta alla base.
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    Edited by gheagabry - 16/8/2011, 21:42
     
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