FIABE DI Gianni Rodari

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    Il semaforo blu


    (Gianni Rodari)






    Una volta il semaforo che sta a Milano, in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu', e la gente non sapeva più come regolarsi."Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?"Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeval'insolito segnale blu', di un blu' che così blu' il cielo di Milano non era stato mai.In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e ipedoni più grassi gridavano:"Lei non sa chi sono io!"Gli spiritosi lanciavano frizzi:"Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci unavilletta in campagna.Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l'olio d'oliva."Finalmente arrivò un vigile e si mise in mezzo all'incrocio adistricare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandiper riparare il guasto, e tolse la corrente.Prima di spegnersi il semaforo blu' fece in tempo a pensare:"Poveretti! Io avevo dato il segnale di - via libera - per ilcielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forsegli è mancato il coraggio."-Gli uomini sono abituati, come gli automobilisti, a vivere con latesta china sul volante, badando alla strada, ciascuno chiuso nellasua scatola di ferro, preoccupati del lavoro, del denaro, delle mille"grane" quotidiane.L'Avvento è come il semaforo blu. E' qualcosa che ti dice:"Fermati! Stai buttando via un tesoro! Non c'è solo la terra! Guarda su! C'è anche il cielo!"Ma è una voce esile e molti, spesso, la ignorano...
     
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  2. gheagabry
     
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    Un Governo che piace a me


    di Gianni Rodari.



    Signore e signori,
    ancora non c’è
    un Governo che piace a me.
    Se potessi nominarlo
    é così che vorrei farlo:

    un Ministro del Caffelatte
    per cominciare bene la giornata,
    con un Segretario dei i Biscotti
    e uno per la Marmellata;
    e se toccasse un mattino
    a un solo cittadino
    di rimanere senza colazione,
    via! Il Ministro in prigione.
    Nominerei, s’intende, un Ministro per i Giocattoli
    e uno per le Merende,
    e al posto del Ministro della Guerra
    io ci metterei quello della Pace…

    battetemi le mani
    se il discorso vi piace!





    “Il palazzo di gelato”
    (da Favole al telefono di Gianni Rodari)



    Una volta, a Bologna fecero un palazzo di gelato proprio in Piazza Maggiore, e i bambini venivano da lontano a dargli una leccatina.
    Il tetto era di panna montata. Il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato ad un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato,il più buono.
    Una guardia del Comune, ad un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa. “Presto!” gridò la guardia. “Più presto ancora”. E tutti giù a leccare più presto, per non lasciare andare perduta una sola goccia di quel capolavoro. “Una poltrona!” implorava una vecchiettina che non riusciva a farsi largo fra la folla.
    “Una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se é possibile”. Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.
    Fu un gran giorno, quello e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia. Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: ” Eh, già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna”.

     
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  3. gheagabry
     
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    Il povero Ane

    Se andrete a Firenze
    vedrete certamente
    quel povero ane
    di cui parla la gente.
    È un cane senza testa,
    povera bestia.
    Davvero non si sa
    ad abbaiare come fa.
    La testa, si dice,
    gliel'hanno mangiata...
    (La " c " per i fiorentini
    è pietanza prelibata).
    Ma lui non si lamenta,
    è un caro cucciolone,
    scodinzola e fa festa
    a tutte le persone.
    Come mangia? Signori,
    non stiamo ad indagare:
    ci sono tante maniere
    di tirare a campare.
    Vivere senza testa
    non è il peggio dei guai:
    tanta gente ce l'ha
    ma non l'adopera mai.







    La passeggiata di un distratto




    la passeggiata del distratto

    Mamma, vado a fare una passeggiata.
    - Va' pure, Giovanni, ma sta' attento quando attraversi la strada.
    - Va bene, mamma. Ciao, mamma.
    - Sei sempre tanto distratto.
    - Si', mamma. Ciao, mamma.
    Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca.
    - Ci sono tutto? Si, - e ride da solo.
    E così' contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s'incanta a guardaté le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai.
    Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera:
    - Ma che distratto, sei. Vedi? Hai già perso una mano.
    - Uh, è proprio vero. Ma che distratto, sono.
    Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sarà proprio vuoto? Vediamo. E cosa c'era dentro prima che fosse vuoto? Non sarà mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno...
    Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perché ha visto un cane zoppo, ed ecco per raggiungere il cane zoppo prima che volti l'angolo perde tutto un braccio. Ma non se ne accorge nemmeno, e continua a correre.
    Una buona donna lo chiama: - Giovanni, Giovanni, il tuo braccio!
    Macché, non sente.
    Pazienza, - dice la buona donna. - Glielo porterò alla sua mamma.
    E va a casa della mamma di Giovanni.
    - Signora, ho qui il braccio del suo figliolo.
    - Oh, quel distratto. Io non so piu' cosa fare e cosa dire.
    - Eh, si sa, i bambini sono tutti cosi.
    Dopo un po' arriva un'altra brava donna.
    - Signora, ho trovato un piede. Non sarà mica del Giovanni?
    - Ma si che è suo, lo riconosco dalla scarpa col buco. Oh, che figlio distratto mi è toccato. Non so piu' cosa fare e cosa dire.
    - Eh, Si sa, i bambini sono tutti così.
    Dopo un altro po' arriva una vecchietta, poi il garzone del fornaio, Poi un tranviere, e perfino una maestra in pensione, e tutti portano qualche pezzetto di Giovanni: una gamba, un orecchio, il naso.
    Ma ci può essere un ragazzo piu' distratto del mio?
    - Eh, signora, i bambini sono tutti Così
    Finalmente arriva Giovanni, saltellando su una gamba sola, senza piu' orecchie nè braccia, ma allegro come sempre, allegro come un passero, e la sua mamma scuote la testa, lo rimette a posto e gli dà un bacio.
    - Manca niente, mamma? Sono stato bravo, mamma?
    - Sì Giovanni, sei stato proprio bravo.

    - Gianni Rodari
     
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  4. gheagabry
     
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    Il lago della leggenda





    Ogni lago ha la sua leggenda: una leggenda che ricorda le sue origini con precisione fantastica, e si tramanda di padre in figlio finché vien fissata sulla carta e stampata, nera sul bianco, da qualche raccoglitore.
    Quanto al nostro lago, questo nostro magnifico lago di Varese, bianco sul nero se lo vedete nelle notti di luna, che si lascia comprendere d'un sol colpo d'occhio, non ha, ch'io mi sappia, una leggenda che ne racconti la nascita: nessuno dei buoni antichi ha trovato nipotini tanto poco amanti del sonno da dover inventare, per addormentarli, che gli Angeli riempirono con secchi d'oro tutta una valle, gli Angeli fecero spuntare l'isolotto, buon cane da guardia, e gli Angeli fecero questo, fecero quello.
    Che lago prosastico, direte voi.
    Adagio: c'è un compenso.
    Non avete mai visto, scendendo o salendo la strada così detta del Sasso, tra Comeno e Gavirate, a mano destra, una Chiesuola con un piccolo portico ed un campaniletto muto?
    No: voi non vi siete mai fermati. Se avete la macchina rombante, non vi siete accorti di nulla: se eravate pellegrini francescani, non vi siete fermati a guardare, attraverso una finestrella, nella penombra di questa chiesa.
    E nemmeno vi siete seduti sul muricciolo del portico a guardare quel po' di lago che trema lontanamente. Questa chiesa ha una leggenda.
    A me l'ha raccontata una vecchina di quelle che si incontrano nelle favole o negli angoli ignoti dei paesi.
    Dunque ai tempi dei tempi (quando, e chi lo sa!) avvenne ad un cavaliere che si trovasse a percorrere in pieno inverno questi paesi. La neve era tanta che pareva che tutti i mulini del cielo avessero rovesciato la loro farina, su questa piana terra di Lombardia.
    Si trova dunque d'un tratto il cavaliere davanti ad una distesa di neve dove non un arbusto, uno stecco ed un albero ischeletrito, drizzava le braccia al cielo.
    Una prateria che si allargava improvvisamente, come un miracolo. In fondo, lontano, poche casupole indicavano l'esistenza d'un villaggio.
    Il cavaliere affronta decisamente la pianura: sprona il cavallo, e sollevando turbini di neve vola a galoppo sfrenato. Gli sferza in volto un'aria più fredda: quasi direbbe gelida. In poco più di mezz'ora ha percorso tutto il prato di così insolite dimensioni.
    Eccolo ora davanti alle casupole in rovina del villaggio. Chiama, passando, perché qualcuno gli risponda. Chiama, chiama e nessuno risponde. Scalpita il cavallo ed egli batte ad una porta.
    "Buona gente!".
    S'apre finalmente la porticina cigolando sui cardini, ed emerge dall'ombra nera una vecchina piccina piccina (forse una delle nonne più lontane di quella che mi raccontò la storia).
    "Buon dì, cavaliere di Dio!".
    Egli l'interpella in modo deciso: "Dite: chi è il padrone di quel prato senz'alberi né stecchi che vedete laggiù? L'ho attraversato or ora e mi punge voglia di comprarmelo!".
    "Signore Iddio!" esclama la vecchia crocesegnandosi: "Passaste là sopra?". "Sì. Ma che avete che vi segnate su tutte le parti del corpo? Ho forse l'aria di un pagano?". La vecchina, commossa, accenna a rispondere: "Signor mio, no. Voi non siete un pagano: ché altrimenti il Signore non vi avrebbe fatto sì leggero da passare sul lago senza che il ghiaccio si rompesse sotto gli zoccoli del cavallo!".
    Ora è la volta del cavaliere ad essere stupito: ché molte avventure gli son capitate, ma giammai passò sui ghiacci di un lago scambiandoli per prati distesi sotto il cielo.
    Si fa gente e tutti lo guardano con meraviglia: il Cavaliere del miracolo egli è ormai per essi. Da le casupole le donne lo mostrano ai fantolini: il Cavaliere che passò sul lago.
    Quando infine egli si riebbe dalla sorpresa, trasse una borsa d'oro e parlò ai contadini: "Buoni terrieri, uditemi. Io voglio che in ringraziamento al Signore, voi costruiate una Chiesa e vi facciate orazione".
    E come quelli annuirono, egli li ringraziò, diede loro il denaro e se ne partì, né fu più visto.
    Cominciarono essi a costruire la Chiesa, secondo che dicono le storie. Poi cambiarono i tempi, Gavirate divenne un borgo popoloso ed industre, la Chiesa ebbe bisogno di essere rimessa a punto, forse non è più come a quei tempi.
    Ma il lago è sempre quello: a volte gela, a volte ride.
    E' sempre il lago che noi amiamo, quello che alcuni vecchi dicono sia un avanzo delle acque del diluvio, che lasciarono sepolto un paese per volontà del Signore.
    In verità un paese ci fu, dove ora le acque ondeggiano contro le molli rive.
    Come rimase sepolto e quando?
    Sedete sul muricciolo della Chiesa di cui vi ho raccontato la storia: guardate quel tratto di lago che trema al vostro sguardo e forse vi parrà di vedere tra le onde le risate dei ragazzi che furono sepolti un giorno, ma molto lontano, con le loro vecchie case di legno.

    - Gianni Rodari
     
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    L'Acca in fuga





    C'era una volta un'Acca.
    Era una povera Acca da poco: valeva un'acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:
    E così, saresti anche tu una lettera dell'alfabeto? Con quella faccia?
    Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?
    Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all'estero ci sono paesi, e lingue, in cui l'acca ci fa la sua figura.
    " Voglio andare in Germania, - pensava l'Acca, quand'era- più triste del solito. - Mi hanno detto che lassù le Acca sono importantissime ".
    Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire né uno né due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l'autostop.
    Apriti cielo! Quel che successe da un momento all'altro, a causa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.
    Le chiese, rimaste senz'acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po' dappertutto.
    In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l'acca, era stato come levargli le ali.
    Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all'aperto.
    Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole.
    Non vi dico il Chianti, senz'acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché i bicchieri, diventati " biccieri", schiattavano in mille pezzi.
    Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il " ciodo " si squagliò sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.
    La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Ionio, non un solo gallo riuscì a fare chicchirichi': facevano tutti ciccirici, e pareva che starnutissero. Si temette un'epidemia.
    Cominciò una gran caccia all'uomo, anzi, scusate, all'Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L'Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perché non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c'è una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa è una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei
    diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione
    L'Acca era di buon cuore, ve l'ho già detto. È rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianterà in asso un'altra volta.
    Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli "occiali" senz'acca non ci vedo da qui a lì.


    - Gianni Rodari
     
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    Gli uomini di burro



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    Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capitò una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una città dove al posto delle case c'erano tanti frigoriferi Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa di ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c'era un telefono per parlare con l'inquilino.
    - Pronto.
    - Pronto.
    - Chi parla?
    - Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualità. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?
    - Perbacco, è d'oro massiccio. Ma non esce mai di li?
    - D'inverno, se fa abbastanza freddo, in un'automobile di ghiaccio.
    - E se per caso il sole sbuca d'improvviso dalle nuvole mentre la Vostra Maestà fa la sua passeggiatina?
    - Non può, non è permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati.
    - Bum, - disse Giovannino. E se ne andò in un altro paese.

    - Gianni Rodari
     
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    GIANNI RODARI..............
    I MIEI LIBRI DELLE ELEMENTARI ERANO ZEPPI DELLE SUE STORIE FAVOLE FILASTROCCHE.............RICORDO CHE QUANDO ARRIVAVA IL NUOVO LIBRO SFOGLIAVO TUTTE LE PAGINE PER CERCARNE LA FIRMA.........E DI CORSA A LEGGERE I SUOI FIUMI DI PAROLE...........


    GRAZIE GABRY...........
     
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    UNA VIOLA AL POLO NORD

    favola di Gianni Rodari

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    Una mattina, al Polo Nord, l'orso bianco fiutò nell'aria un odore insolito e lo fece notare all'orsa maggiore (la minore era sua figlia):
    "Che sia arrivata qualche spedizione?"
    Furono invece gli orsacchiotti a trovare la viola. Era una piccola violetta mammola e tremava di freddo, ma continuava coraggiosamente a profumare l'aria, perchè quello era il suo dovere.
    "Mamma, papà", gridavarono gli orsacchiotti.
    "Io l'avevo detto subito che c'era qualcosa di strano", fece osservare per prima cosa l'orso bianco alla famiglia. "E secondo me non è un pesce".
    "No di sicuro", disse l'orsa maggiore, ma non è nemmeno un uccello.
    "Hai ragione anche tu", disse l'orso, dopo averci pensato su un bel pezzo.
    Prima di sera si sparse per tutto il Polo la notizia: un piccolo, strano essere profumato, di colore violetto, era apparso nel deserto di ghiaccio, si reggeva su una sola zampa e non si muoveva. A vedere la viola vennero foche e trichechi, vennero dalla Siberia le renne, dall'America i buoi muschiati, e più lontano anche volpi bianche, lupi e gazze marine. Tutti ammiravano il fiore sconosciuto, il suo stelo tremante, tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima.
    "Per mandare tanto profumo", disse una foca, "deve avere una riserva sotto il ghiaccio".
    "Io l'avevo detto subito", esclamò l'orso bianco, "che c'era sotto qualcosa".
    Non aveva detto proprio così, ma nessuno se ne ricordava.
    Un gabbiano, spedito al Sud per raccogliere informazioni, tornò con la notizia che il piccolo essere profumato si chiamava viola e che in certi paesi, laggiù, ce n'erano milioni.
    "Ne sappiamo quanto prima", osservò la foca.
    "Com'è che proprio questa viola è arrivata proprio qui? Vi dirò tutto il mio pensiero: mi sento alquanto perplessa".
    "Come ha detto che si sente?" domandò l'orso bianco a sua moglie.
    "Perplessa. Cioè, non sa che pesci pigliare".
    "Ecco", esclamò l'orso bianco, "proprio quello che penso anch'io".
    Quella notte corse per tutto il Polo un pauroso scricchiolio. I ghiacci eterni tremavano come vetri e in più punti si spaccarono. La violetta mandò un profumo più intenso, come se avesse deciso di sciogliere in una sola volta l'immenso deserto gelato, per trasformarlo in un mare azzurro e caldo, o in un prato di velluto verde. Lo sforzo la esaurì. All'alba fu vista appassire, piegarsi sullo stelo, perdere il colore e la vita.

    Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero dev'essere stato pressapoco questo: "Ecco, io muoio... Ma bisogna pure che qualcuno cominciasse... Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si scioglieranno, e qui ci saranno isole, case e bambini".
     
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    CIAO, RODARI

    Tutti gli abitanti del mondo della fantasia erano commossi nel ricordare il grande scrittore scomparso

    Quando lo scrittore Gianni Rodari morì, anche i personaggi delle fiabe si dispiacquero.


    - E’ morto un grande poeta amico dei bambini, - commentò in lacrime la dolce Cenerentola.


    - Era buono e tanto simpatico, - soggiunsero i Sette Nani frignando.


    Cappuccetto Rosso si vestì a lutto.


    - Gli volevo bene, - confessò Pinocchio col naso che gli si accorciava, man mano che se lo soffiava, perché il dolore era sincero.


    I personaggi creati dallo scrittore scomparso erano particolarmente commossi.


    - Da quando me lo fece notare, - ricordò tra i singhiozzi lo Zero, - ho scoperto di essere molto importante nel mondo dei numeri. Cerco di collocarmi sempre alla loro destra, coi miei fratelli gemelli, e tutti ci trattano come signoroni.



    - Questa me l’aveva regalata lui per una favola divertente che non scriverà più, - gemette la Vecchina che contava gli starnuti, mostrando una calcolatrice tascabile. - Io non ho fantasia: che ci faccio con la calcolatrice? Non so neanche usarla...


    Gli abitanti del Pianeta degli alberi di Natale, - altra fiaba dello scrittore - cercavan, l’un l’altro, conforto. Si sentivano orfani.


    Il Signore di Spilamberto - come al solito con un occhio chiuso, e l’altro aperto - piangeva da tutti e due gli occhi.


    Il Palazzo da rompere, non avendo lacrime, piangeva calcestruzzo.

    Tutti gli abitanti del Mondo della Fantasia avevano un motivo per essere commossi. Ancor oggi, dall’impalpabile luogo in cui trascorrono il loro tempo, - un posto a metà strada tra Sole e Luna -, parte ogni tanto un misterioso disco volante diretto al nostro Pianeta. Dall’insolito veicolo spaziale, che atterra sempre silenziosamente, avvolto da una soffusa luminescenza azzurrina, discendono i più vari personaggi delle fiabe, depongono un fiore sulla tomba del sorridente Rodari, si raccolgono in assorto colloquio spirituale, poi, nel mistero e nel silenzio in cui sono apparsi, riprendono la siderea via del ritorno ripassando tra stelle ed astri abbaglianti. Così hanno fatto sinora Pollicino, Peter Pan, Pinocchio, Cenerentola, Geppetto, Cappuccetto Rosso, la vecchina degli starnuti, il conte Lamberto, la mucca Vah, Pippo, Pluto, Paperino, Topolino, Pelle d’Asino, Hänsel e Gretel, Totò, Charlot, e tanti, tanti ancora in un perenne pellegrinaggio che non finirà mai. Tutti hanno sguardi intensi, assorti e riconoscenti. Tutti, prima di riprendere la via del ritorno, si rivolgono all’amico visitato sussurrandogli con commossa simpatia, quasi fosse una lievissima, amorevole carezza, due sole parole di momentaneo commiato: - Ciao, Rodari...

    Paolo Gatto
     
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    FILASTROCCHE



    La scuola dei grandi




    Anche i grandi a scuola vanno
    tutti i giorni di tutto l'anno.
    Una scuola senza banchi,
    senza grembiuli nè fiocchi bianchi.
    E che problemi, quei poveretti,
    a risolvere sono costretti:
    "In questo stipendio fateci stare
    vitto, alloggio e un po' di mare".
    La lezione è un vero guaio:
    "Studiare il conto del calzolaio".
    Che mal di testa il compito in classe:
    "C'è l'esattore delle tasse"!




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  15. gheagabry
     
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    Il Paese delle Vacanze

    Il Paese delle Vacanze
    non sta lontano per niente:
    se guardate sul calendario
    lo trovate facilmente.
    Occupa, tra Giugno e Settembre,
    la stagione più bella.
    Ci si arriva dopo gli esami.
    Passaporto, la pagella.
    Ogni giorno, qui, è domenica,
    però si lavora assai:
    tra giochi, tuffi e passeggiate
    non si riposa mai.




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