FRIULI VENEZIA GIULIA ... 2^ Parte

PORDENONE..SPILIMBERGO..GORIZIA..CODROIPO..TOLMEZZO..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “... Sabato ... inizia il fine settimana, l’ennesimo sulla nostra mongolfiera ... mentre viaggio penso all’importanza del nostro desiderio di volare, penso al nostro viaggio e ai luoghi che abbiamo attraversato tutti insieme intorno al mondo ... luoghi meravigliosi vissuti da persone altrettanto belle ... e mi vien naturale pensare alla nostra isola felice e alla meraviglia di questo luogo e dei suoi abitanti ... noi abbiamo bisogno di questo fantastico luogo perchè abbiamo trovato in esso lo spazio dove dar vita ai nostri sogni al nostro desiderio di amore, di amicizia ...e allora proprio perchè abbiamo bisogno di questo luogo è nostro dovere renderlo vivibile,accogliente ... aperto a tutti coloro che desiderano rifugiarsi in esso per essere felici ... la mongolfiera vola verso ovest ... attraversiamo le terre del Friuli verso Pordenone ... tornano alla mia mente le parole di un poeta famoso che così parlava nel dialetto di questi luoghi ... Buon risveglio amici miei ...

    (Claudio)


    FEVRÀR

    Sensa fuèjs a era l'aria, sgivìns, ledris, moràrs... Si jodèvin lontàns i borcs sot i mons clars. Strac di zujà ta l'erba, in tai dis di Fevràr, i mi sintavi cà, bagnàt dal zèil de l'aria verda. I soj tornàt di estàt. E, in miès da la ciampagna, se misteri di fuèjs! e àins ch'a son passàs! Adès, eco Fevràr, sgivìns, ledris, moràrs... Mi sinti cà ta l'erba, i àins son passàs par nuja.

    FEBBRAIO

    - Senza foglie era l'aria, canali pianelli, gelsi. Si vedevano lontani i borghi sotto i chiari monti. Stanco di giocare, sull’erba, nei giorni di Febbraio, mi sedevo qui, bagnato dal gelo dell’aria verde. Sono tornato d’estate. E in mezzo alla campagna, che mistero di foglie! e quanti anni sono passati! Adesso, ecco Febbraio, canali pianelli, gelsi… Mi siedo qui sull’erba, gli anni sono passati per nulla.

    (PIER PAOLO PASOLINI)



    PORDENONE..SPILIMBERGO..GORIZIA..CODROIPO..TOLMEZZO..RESTIAMO IN FRIULI ...



    “Oltre al Po, oltre al Piave, nell’estremo Nord-Est dello stivale si trova una terra di confine che nasconde, come un’ostrica, le sue perle più rare ….la sua gente.. apre la porta ed il suo cuore ad un sorriso… Gente di frontiera, che ha difeso con il sangue il suo angolo di paradiso da popolazioni ostili, che ha spesso cambiato padrone, che ha versato lacrime e sudore, che per dovere ha girato il mondo, ma sempre rimanendole fedele nel nome e nella lingua, nobile e preziosa…..Le Alpi la cingono …. nelle giornate limpide si stendono innevate da Est a Ovest e si mostrano nel loro splendore fin dalla pianura, nascoste solo in parte dalle morbide colline più in basso. Se si volge lo sguardo a meridione si scorge la linea blu del mare. Mare di sabbia fine di colore dell’oro con ampi litorali che si spingono fino alle pendici del Carso triestino, dove la roccia abbraccia direttamente le onde più verdi e più profonde….Le placide colline che dal borgo di Attimis si stendono sonnecchiose verso Dolegnano, si bagnano i piedi nel Natisone e guardano il sole in faccia dall’alba al tramonto, sferzate a volte dai venti freddi e secchi del nord e coccolate dalle calde carezze dello Scirocco in altre giornate. Siamo nella regione del Collio friulano, è quasi settembre .. lungo i filari, gli acini biondi del “Friulano” fanno bella mostra di loro appesi alla vite… comincia la raccolta, una festa che continuerà per le prossime settimane, per i prossimi mesi, fino a gennaio quando si assaggerà il novello dell’annata……Mentre si porta le uve appena raccolte verso la cantina, lo sguardo si perde nella vallata, è un ubriacatura di colori, il bruno della terra esplode di rossi, di gialli e di arancio, solo l’azzurro intenso del fiume spezza il caldo dei colori…. la bella Carnia verde, di Udine ed il suo centro, di Passariano dell’arte e della villa dei conti Manin, di Mortegliano, di Spilimbergo e Valvasone un tempo signorie di pregio, di Pordenone e il suo campanile, di Maniago patrona di coltelli e sovrana dell’arte del mosaico……Ormai è sera, il sole scende a ovest tingendo il cielo delle mille sfumature dell’arcobaleno: blu, azzurro, lilla, rosa, arancio, giallo, verde…le rondini e le farfalle hanno lasciato spazio alle falene…è ora di stappare una bottiglia del miglior vino per festeggiare…. tra una bottiglia e l’altra, Merlot, Refosco, Franconia e poi Friulano, Malvasia, Traminer, Ramandolo, Verduzzo, Apicjo, sullo scaffale in alto una vecchia cassa con bottiglie di Bacò (ormai non lo produce più nessuno), poi la mano si ferma, cabernet barricato in rovere è quello che ci vuole con un buon piatto di polenta e spezzatino di cinghiale. ….questa terra di confine tanto amara quanto dolce, molto chiede e molto dona all’occhio, all’anima e al cuore.”

    “Pordenone è una gemma di inestimabile valore incastonata negli scenari del ricco Nord Est… con i suoi i palazzi cinquecenteschi, le chiese romaniche, gli edifici gotici e barocchi, il centro storico scandito da un lungo susseguirsi di portici e di facciate affrescate… La dominazione degli Asburgo sarà l’anima di Pordenone, perché crebbero attività che col passare degli anni sarebbero diventate fondamentali nella vita del paese: mulini, botteghe di ceramica e oro, cartiere e addirittura studi notarili. Per rendere un’idea dell’impronta asburgica rimasta impressa su Pordenone, basti pensare che il Mulino è ancora attivo, e irrora una buona fetta del nordest di prodotti della macinazione.”

    “….a destra del fiume Tagliamento, Casarsa della Delizia è un centro agricolo della provincia pordenonese…Una terra dall’ancestrale tradizione contadina che conquistò il cuore del grande Pier Paolo Pasolini, la cui vena poetica trovò in questi luoghi grande ispirazione. Un legame che è andato al di là della vita terrena del poeta, tant’è che le spoglie di quest’ultimo riposano, accanto a quelle della madre, nel cimitero di Casarsa….”

    “La lontana nascita di Spilimbergo si perde tra due date. La prima, incerta, è più un’epoca che una data, ed è quella romana. I resti del castelliere di Gradisca, sulla riva sinistra del torrente Cosa… L’altro momento, decisamente più preciso, è quello del 1120… l’anno del primo documento che reca il nome di Castrum de Spengemberg riguarda il castello….. Tra il 1600 e il 1700 Spilimbergo vive la sua fase più florida, tanto che vi lavorarono diversi artisti di grandissima fama. Allievi di Vitale da Bologna affrescarono per oltre 500 mq il Duomo e altri artisti di diverso spessore, tra i quali Narvesa, Pomponio Amalteo e addirittura Irene (allieva di Tiziano)….”

    “Sesto al Reghena è uno degli ultimi baluardi friulani prima di entrare in Veneto…. al confine tra le due regioni, nella parte sud occidentale del Friuli-Venezia Giulia…. Nonostante le dimensioni ridotte è un piccolo tesoro. A renderla tanto preziosa, in primis la già citata celeberrima Abbazia “Santa Maria in Sylvis” e.. nella frazione di Venchieredo.. la fontana descritta ampiamente da Ippolito Nievo in “Confessioni di un Italiano” e ripresa poi, più volte, da Pier Paolo Pasolini…..e i Prati Burovich..”

    “Gorizia è un'elegantissima città al confine con la Slovenia….adagiata in mezzo al verde, in una ridente conca ai piedi delle Prealpi Giulie e del Carso…Gorizia ha saputo mantenere la caratteristica di "città giardino", dove il verde pubblico e privato si mantiene in equilibrio con l'architettura e dove il profilo delle vie, degli edifici e delle chiese dalle cupole a cipolla, le atmosfere dei caffè, ricordano costantemente la sua matrice mitteleuropea….. Tra le chiese la più importante ….S. Ignazio, dalla scenografica facciata… il Duomo… la seicentesca chiesa di S. Rocco e quella dei Cappuccini… Fulcro è Borgo Castello, al quale si giunge risalendo un ripido viale costeggiante i bastioni cinquecenteschi…. A due passi dalla città parte la "strada del vino" del Collio, zona collinare nota per la sua eccellente produzione di vini D.O.C. “

    "Zuf de Zur". Zuf in friulano significa miscuglio, mentre in sloveno Zur sta per festa… Uno dei luoghi simbolo del dialogo che non c'era è stato per cinquant'anni il piazzale della Transalpina. Da un lato l'estremità settentrionale del centro storico di Gorizia che da fitto si dirada in case più basse, ciascuna con il proprio giardino. Sull'altro lato le stesse case, ma di meno, e la stazione ferroviaria dalla quale si parte per andare a nord, verso il bel parco naturale del Trglav. Alle loro spalle una spianata dove è sorta Nova Gorica…. A dividere le due città, tutt'attraverso il piazzale della Transalpina, un muretto. Modesto. Cinquanta centimetri di muratura e poi una rete metallica che quasi non arriva ai due metri d'altezza….ora non esiste più…fortunatamente”

    ““Frazione di Passariano, località Codroipo” recita il cartello all’entrata del piccolo borgo…. Ecco la dimora dell’ultimo doge di Venezia, Ludovico Manin, custode delle firme del Trattato di Campoformio del 1797 tra Francia e Austria…. alloggio per le ferie estive…dove nell’ampio giardino antistante si svolgevano fino a qualche anno fa gli importanti “giochi senza frontiere”…. Un’abitazione circolare decorata da colonne, con statue sulla parte superiore. Un cancello in ferro battuto separa la zona “privata” da quella di passaggio per i “semplici” cittadini e, davanti, un immenso manto erboso fa da guardia alla villa… Un’immensa camera profuma ancora del ricordo e della grandezza di Napoleone Bonaparte. Tutta in verde, con un divanetto senza appoggio per la schiena e delle sedie in raso…. Un suo quadro appeso alla parete, il leone di San Marco, simbolo del potere veneziano, e uno specchio enorme, tipico dell’epoca, rievocano l’antica maestosità di Napoleone e della villa. Le stanze sono tutte dipinte con colori chiari, dal rosa al violetto senza eccessi, con uno splendido atrio dipinto da uno dei pittori più richiesti all’epoca…Dorigny.”

    “Tolmezzo.. Un paesino piccolo..un borgo di montagna… capitale di tutta la Carnia. Il nome, un po’ strano, pare derivi dal latino Tulmentium e probabilmente le prime dimore risalgono proprio all’epoca romana…Il paese sembra un disegno, dalle tinte azzurrine che si mescolano a quelle verdi della vallata e al marroncino dell’Amariana, il monte che si inserisce nello schizzo con una forma piramidale… Sembra di vivere nella storia anche solo percorrendo le sue strade. Trincee, fortini, rifugi e tracciati di guerra sfumano tra la flora proprio lì dove le escursioni sono più numerose e dove ad un passo c’è il confine con l’Austria. Pochi ruderi restano ancora della Torre Picotta, al disopra di un’altura, che servì, in passato, come difesa dagli attacchi contro i Turchi… La campanella della scuola richiama a raccolta i bimbi con i loro grembiulini bianchi, diversi da quelli neri di una volta, proprio in quella stessa scuola dove Benito Mussolini fu maestro agli inizi del Novecento. “










    Pordenone

    (Pordenon in friulano e dialetto pordenonese) è un comune italiano di 51.517 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia nel Friuli-Venezia Giulia.







    PORDENONE


    In epoca romana il nucleo urbano si situava nell'alto corso del fiume Noncello pressappoco nel luogo dove oggi sorge la frazione di Torre come dimostrato dal ritrovamento dei resti di una villa romana. Il luogo venne scelto probabilmente per la presenza più a nord di un ampio guado fluviale. Con l'inizio del periodo altomedioevale (dal VI secolo) le vie fluviali assunsero maggiore importanza e il nucleo della citta si spostò, di conseguenza, verso valle, in una posizione che permettesse l'approdo di barche di stazza maggiore. La città si sviluppò quindi sulla sponda destra del fiume Noncello, presso una insenatura che approfittava di una "motta" circondata ad ovest dalla roggia Codafora e a nord-est da quella dei Molini. La sua vocazione portuale si evidenziava anche nel nome: Portus Naonis (in latino porto sul [fiume] Naone [Noncello]) Tutto il periodo che va dall'epoca romana fino a circa il X secolo è, comunque, poco documentato. Recenti ritrovamenti nell'area del duomo di San Marco, e in particolare nell'area antistante il municipio e sotto il Palazzo Ricchieri, mostrano che Pordenone era abitata, all'incirca sotto il regno di Berengario, da popolazioni provenienti dalla Carinzia che all'epoca era di cultura slava (Carantani). Successivamente durante l'XI e il XII secolo, la curtis (corte) fu nelle mani dei duchi e marchesi di Austria, Carinzia e Stiria. Il castello di Torre con un piccolo territorio circostante era, invece, di proprietà dei patriarchi di Aquileia, che successivamente l'avrebbero concesso in feudo ai nobili di Prata e poi permutato con i Signori di Ragogna. Il villaggio di Vallenoncello apparteneva al vescovo di Salisburgo. Tra il XIII e XIV secolo la frammentazione politica della zona si accentuò ulteriormente perché Corva (attuale frazione di Azzano Decimo) venne data ai di Prata che acquisiranno anche alcune parti di Fiume Veneto. Nel 1282 Pordenone divenne patrimonio personale degli Casa d'Austria rappresentando de facto un'enclave dell'Arciducato d'Austria nel territorio del Patriarcato di Aquileia. Il 23 agosto del 1318 un furioso incendio distrusse le case di legno della città. Nel 1347 fu inaugurato il campanile, edificato accanto al duomo di San Marco. La città subì - come quasi tutte le città del tempo - anche molte pestilenze ed epidemie (nel 1444, 1485, 1527, 1556 e 1576), ma la peggiore avvenne nel 1630 quando morì quasi la metà della popolazione. Nel XIV secolo l'insediamento di Pordenone si ingrandì notevolmente grazie ai fiorenti traffici commerciali fluviali e nel 1314 le venne conferito lo status di città. Il 20 aprile 1508 il capitano Bartolomeo d'Alviano entrava in Pordenone, togliendola agli Asburgo per conto della Repubblica di Venezia. Venezia mantenne la città solo per un biennio poiché nel 1509 perse nuovamente Pordenone. Tuttavia nel 1514 lo stesso Bartolomeo d'Alviano la riconquistava definitivamente a Venezia. Venezia non governò direttamente la città, preferendo darla in feudo al condottiero Bartolomeo d'Alviano che la resse a signoria. Alla sua morte, avvenuta nel 1515, gli succedette la consorte Pantasilea Baglioni, e quindi il figlio Liviano fino al 1537. In quell'anno Pordenone e i territori limitrofi passarono sotto il diretto controllo della Repubblica di Venezia e vi rimasero per più di due secoli e mezzo. La Serenissima mantenne gli statuti della città e ne riconobbe i privilegi già acquisiti durante la signoria degli Asburgo e provvide a riattivare l'economia pordenonese realizzando un nuovo porto e potenziando le attività manifatturiere. Con la caduta di Venezia, Pordenone subì un primo ritorno all'Austria, seguito dalla parentesi napoleonica. Con la caduta di Bonaparte e il Congresso di Vienna, fu aggregata con il resto del Friuli e del Veneto al Regno Lombardo-Veneto. Con la realizzazione della strada Pontebbana e della linea ferroviaria (1855) decadde il ruolo del porto e del percorso fluviale, ma iniziò ad affermarsi con decisione l'industria. A partire dagli anni 1840 erano sorti numerosi cotonifici che affiancarono le già numerose cartiere e la fabbrica della Ceramica Galvani. Dopo l'annessione al Regno d'Italia, avvenuta nel 1866, l'introduzione dell'energia elettrica nel 1888 consentì la modernizzazione degli impianti e un incremento nella produzione industriale. Le distruzioni arrecate dalla Prima guerra mondiale e la crisi del 1929 trascinarono il settore cotoniero in un lento declino da cui non si sarebbe più ripreso. Dopo la Seconda guerra mondiale la Rex, ora facente parte della multinazionale svedese Electrolux, che sino ad allora era una piccola azienda di produzione di cucine economiche con alimentazione a legna o gas, divenne un colosso europeo nel campo degli elettrodomestici, arrivando a occupare molti degli abitanti della città. Nel 1968 Pordenone diventò capoluogo di provincia. Sino ad allora il territorio della Destra Tagliamento faceva parte della provincia di Udine. Dal 1974 è anche sede vescovile della diocesi di Concordia-Pordenone. Già dal 1919 a Pordenone era ubicato il seminario vescovile, con la scuola di teologia. Recentemente la città è divenuta sede di un consorzio universitario che ospita corsi universitari organizzati dall'Università di Udine e dall'Università di Trieste. Inoltre dal 2002 è attivo il Polo Tecnologico di Pordenone per promuovere la cultura dell'innovazione nelle imprese del territorio.







    Da Gabry ...





    L’immagine centrale della stampa raffigura la città, vista da levante, come appariva alla metà del XIX secolo. Evidente è il gruppo architettonico del duomo San Marco, che unitamente all’elegante campanile, caratterizza la veduta. Sulla destra si nota la mole del castello, dall’800 trasformato in carcere. Fu costruito nella seconda metà del XIII secolo dai governanti di Casa d’Austria che lo occuparono sino al 1508. Sucessivamente, sino al 1797, fu la sede del dominio della Repubblica Veneta.







    Scorcio da ..






    Da Claudio ...

    Palazzo Comunale




    Palazzo Ricchieri

    originariamente una casa-torre a difesa del nucleo cittadino edificata nel XIII secolo fu adattata durante il periodo veneziano in palazzo dalla famiglia Ricchieri. È ora sede del Museo Civico d'Arte.







    Duomo di Pordenone

    edificato a partire dal XIII secolo in stile romanico-gotico e rimaneggiato successivamente nel XVI e XVIII secolo. Contiene la pala d'altare denominata Madonna della Misericordia di Giovanni Antonio de' Sacchis detto "il Pordenone" e dello stesso l'affresco di San Rocco, oltre a numerose altre opere che ne impreziosiscono l'interno.





    Campanile del Duomo

    terminato nel 1374, successivamente, durante il XVII secolo, vi fu aggiunta una cuspide che lo portò a raggiungere un'altezza di circa 79 metri.




    Da Rino ...

    Il Territorio e la Popolazione
    Provincia: Pordenone (sigla automobilistica PN)
    Altitudine: 132 s.l.m.
    Estensione: 72,47 Km2
    CAP: 33097
    Prefisso telefonico 0427
    Codice Istat 093 044
    Codice Catastale: I904

    Patroni:
    Santa Maria Assunta, 15 agosto
    San Rocco, 16 agosto

    Popolazione al 31/12/2009: 12.140 abitanti, di cui 8.111 nel Capoluogo

    Posizione geografica
    il Comune di Spilimbergo è ubicato nel cuore del Friuli occidentale, in Provincia di Pordenone, tra la pedemontana e la zona delle risorgive.

    Dista 30 Km. circa da Pordenone ed altrettanti da Udine.
    Dista un centinaio di km. circa, sia da Trieste che da Venezia.


    Il territorio è pianeggiante con leggero digrado verso mezzogiorno.
    E’ situato tra il fiume Tagliamento ed il torrente Cosa, eccettuate le frazioni di Istrago, Vacile, Tauriano e Barbeano che sono a ponente di quest’ultimo.


    Agricoltura
    il terreno è in genere fertile e profondo e ben si presta alla coltivazione del mais; tuttavia esistono ampie fasce di terreno ghiaioso, i cosiddetti “magredi”, solo da pochi decenni recuperati alla coltivazione intensiva della vite e del melo che qui hanno trovato un habitat favorevolissimo.
    In zona esistono importanti centri di raccolta della frutta e dei cereali, allevamenti di suini e bovini, imponenti Cantine Sociali e private in cui, con rara perizia il frutto della vite viene trasformato in vino dal delicato abboccato e tra le tante qualità si ricordano il Merlot, il Cabernet, il Tocai (ora Friulano), il Refosco.









    Pordenone





    dintorni ..













    La diga del Vajont

    La diga è tristemente famosa per il disastro del Vajont del 9 ottobre 1963, quando una frana del monte Toc precipitò nel bacino, facendo traboccare lo stesso e inondando il paese di Longarone causando quasi 2.000 vittime.

    È importante ricordare che la diga non crollò e che le sollecitazioni cui il manufatto fu sottoposto durante l'immane tragedia furono 7 volte superiori a quelle prevedibili durante il normale esercizio.[senza fonte]

    La tenuta della diga è la dimostrazione dell'eccellente professionalità di chi ha progettato e di chi ha eseguito l'opera.[senza fonte] La tragedia fu causata dall'onda provocata dalla frana che, sfiorato il coronamento della diga, lo superò abbattendosi nella valle del Piave, e dall'onda di riflusso che tornò verso il lago. Se la diga avesse ceduto le conseguenze sarebbero state ancora più disastrose, in quanto la quantità di acqua che si sarebbe riversata a valle sarebbe stata tripla (l'onda è stata valutata in 50 milioni di metri cubi, la capienza del lago era di 150 milioni e al momento dell'evento si era quasi al limite).

    La diga oggi [modifica]
    Negli ultimi anni è avvenuta una ripresa di interesse verso la diga e la tragedia del Vajont e si sono fatte frequenti le visite guidate da parte di specialisti interessati agli aspetti scientifici della diga ma anche di gente comune.
    L'ENEL, oggi proprietaria delle strutture e dei terreni, ha aperto al pubblico nell'estate 2002 la prima parte del coronamento sopra la diga, affidando ad alcune associazioni del territorio (tra cui l'Associazione Pro Loco di Longarone) il compito di gestire le visite guidate.

    Tuttavia, ogni estate è possibile percorrere il coronamento senza prenotazione, grazie al servizio di un custode. Infatti, da sabato 12 agosto 2007 è stato aperto al pubblico, dopo l'inaugurazione ufficiale, il coronamento della diga. La gestione è affidata al Parco naturale delle Dolomiti Friulane, e durerà per l'intera stagione estiva. I turisti possono ora accedere ai primi venti metri di coronamento, pur senza la prenotazione, per osservare con i propri occhi l'impressionante scenario della frana del Monte Toc e della valle sottostante di Longarone. Anche i visitatori occasionali hanno l'opportunità di vedere da vicino il luogo dal quale ebbe origine la tragedia.

    Non si possono ancora perlustrare, invece, le gallerie interne alla montagna, anche se, dal settembre 2006, è stata ideata una manifestazione podistica non competitiva, con cadenza annuale denominata "I Percorsi della Memoria", che permette al pubblico partecipante di poter attraversare anche le strutture all'interno della montagna

     
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    Da Gabry...

    Fiume Nocello





    Da Lussy ...

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    PANORAMA..DI UDINE..AL TRAMONTO...



    Da Gabry ...


    LA LEGGENDA DI MADONNA BORA
    di Edda Vidiz Brezza



    Molti, molti anni fa Vento, scorrazzando per il mondo con i suoi figli, tra cui Bora, la più bella e la più amata, capitò in un verdeggiante altipiano che scendeva ripido verso il mare.

    Bora si allontanò dall’allegra brigata dei suoi fratelli, per correre a scombussolare tutte le nuvole che si trovavano in quell’angolo di cielo e a giocare con i rami dei quercioli e dei castagni, che si agitavano nervosi al suo passaggio.. Dopo un po’, stanca di correre di qua e di là senza alcuna meta, Bora entrò in una grotta, all’interno della quale, nel frattempo, aveva trovato rifugio da tutta quella buriana, l’umano eroe Tergesteo.

    Tergesteo era così forte e così bello e così diverso dai suoi fratelli Venti, e da Mare e da Terra e da tutto quello che fino a quel momento Bora aveva visto e conosciuto, che di colpo se ne innamorò. E fu subito passione tempestosa, passione che Tergesteo ricambiò con eguale impeto: e i due vissero felici in quella grotta tre, cinque, sette splendidi giorni d’amore.

    Quando Vento si accorse della scomparsa di Bora (ci volle un bel po’ di tempo perché i suoi figli erano tanti e molti di loro parecchio irrequieti) si mise a cercarla tutto infuriato. Cerca di qua, cerca di là, cerca che ti cerca - al vedere tanta furia tutti zittivano al suo passaggio - ma un cirro-nembo brontolone, irritato da tutto quel trambusto, gli rivelò il rifugio dei due amanti. Vento arrivò alla grotta, vide Bora abbracciata a Tergesteo, e la sua furia aumentò enormemente. Senza che la disperata Bora potesse in alcun modo fermarlo, si avventò contro l’umano, lo sollevò e lo scagliò contro le pareti della grotta, finché l’eroe restò immobile al suolo, privo di vita.

    Vento, per nulla pentito del suo gesto, ordinò a Bora di ripartire, ma lei impietrita dal dolore non ne volle sapere. Bora piangeva disperatamente e ogni lacrima che sgorgava dal suo pianto diventava pietra e le pietre erano ormai talmente tante, da ricoprire tutto l’altipiano.

    Allora Odino, che era un dio saggio, ordinò a Vento di lasciare Bora sul luogo che aveva visto nascere e morire il suo grande amore. Ma Bora ancora non smetteva il suo pianto.

    E allora Natura, preoccupata per tutte quelle pietre che rischiavano di rovinarle irrimediabilmente il paesaggio, concesse a Bora di regnare sul luogo della sua disperazione. E Cielo, per non essere da meno le consentì di rivivere ogni anno i suoi tre, cinque, sette giorni di splendido amore. Allora, e solo allora, Bora smise il suo pianto.

    Le storie dei grandi amori finiti male commuovono sempre e anche Terra sentì un piccolo nodo alla gola nel vedere la disperazione di Bora. E così dal sangue di Tergesteo fece nascere il Sommaco, che da allora inonda di rosso l’autunno carsico.

    Anche Mare volle dare il suo contributo e diede ordine alle Onde di lambire il corpo del povero innamorato ricoprendolo di conchiglie, di stelle marine e di verdi alghe.

    Così Tergesteo si elevò alto verso il cielo diventando più alto di tutte le alte colline che già coprivano quell’angolo di mondo. E i primi uomini giunti su queste terre si insediarono sulla sua collina e vi costruirono un Castelliere con le lacrime di Bora divenute pietre.

    Con il passare del tempo il Castelliere divenne una città, che in ricordo di Tergesteo venne chiamata Tergeste, dove ancora oggi Bora regna sovrana, soffiandovi impetuosa: ”chiara” fra le braccia del suo amore “scura” nell’attesa di incontrarlo.



    il fiume tagliamento




    Da Mela ...

    ** T O L M E Z Z O **





    Tolmezzo (Tumieç in friulano) è un comune italiano di 10.710 abitanti della provincia di Udine in Friuli Venezia Giulia, è il centro più importante della Carnia e ne è quindi considerato il capoluogo.


    Monte Amariana innevato


    Monte Strabut



    Fiume Tagliamento



    Tolmezzo si trova ai piedi del monte Strabut a 323 m s.l.m., tra il Tagliamento e il torrente Bût, alla confluenza delle sette valli carniche, circondata dalle Alpi Orientali. La posizione in cui sorge Tolmezzo è, ed era soprattutto in passato, molto favorevole: la valle è infatti attraversata dalla strada, già esistente in epoca romana, che attraverso il Passo di Monte Croce Carnico porta in Austria. Il simbolo di Tolmezzo è l'Amariana (1906 m), splendido monte che con la sua forma piramidale si erge sopra la città.


    Stemma di Tolmezzo



    Nel 1356, Tolmezzo divenne la capitale della Carnia ad opera del Patriarca Nicolò di Lussemburgo che suddivise il territorio in quattro quartieri amministrativi: Gorto, Socchieve, Tolmezzo e San Pietro. A questo periodo risale lo stemma di Tolmezzo: una croce bianca bordata di rosso in campo azzurro.


    Alpi Carniche



    Resti di fortificazioni sulle Alpi Carniche



    La seconda guerra mondiale vide impegnati i carnici contro i cosacchi e l'occupazione tedesca. Sulle montagne che circondano Tolmezzo e in tutte le Alpi carniche, che segnano in gran parte il confine con l'Austria, si scorgono ancora i resti e le rovine di trincee e fortini; anche la maggior parte dei sentieri, attualmente gestiti dal CAI e che i turisti percorrono abitualmente per raggiungere i numerosi rifugi, sono in realtà tracciati di guerra utilizzati dagli alpini nella prima guerra mondiale.

    Nell'anno scolastico 1906 - 1907 l'insegnante della II classe della scuola elementare di Caneva di Tolmezzo fu l'allora maestro Benito Mussolini.


    Medaglia d'argento al Valor Militare



    Tolmezzo è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.


    La Torre Picotta



    Eretta nel 1477 per far fronte alle invasioni dei Turchi, venne distrutta durante il secondo conflitto mondiale (1944) dai tedeschi, ed è stata in seguito ricostruita grazie agli studi fatti su vecchi documenti e fotografie. Posta su una altura, una volta raggiunta a piedi attraverso un sentiero, vi si può ammirare tutto il paesaggio circostante e la città stessa.

    image


    Palazzo Liniusso



    Jacopo Linussio, industriale carnico del XVIII secolo, scelse di costruire un grandioso complesso architettonico che fungesse al tempo stesso da industria tessili e da residenza per la sua famiglia.


    Campanile del Duomo con angelo



    Risalente al 1764 sorge sul sito dell'antica chiesa di San Martino demolita per far posto alla nuova chiesa progettata dal tolmezzino Domenico Schiavi. Fu restaurato nel 1931 con il completamento della facciata; il campanile è coronato da un angelo anemometro.


    Chiesa di Santa Caterina



    Di origine quattrocentesca, ma interamente ricostruita nel '700, possiede una pregevole pala raffigurante lo Sposalizio di Santa Caterina del pittore pordenonese Pomponio Amalteo risalente al 1537.


    La porta di sotto



    Faceva parte dell'antica cinta muraria (XII-XIV secolo), oramai quasi del tutto scomparsa, che circondava e proteggeva la città in epoca medioevale.


    Palazzo Campeis



    Ha sede a Palazzo Campeis, fa parte del Sistema museale della Carnia. L'importante raccolta, che è la maggiore della regione, fu istituita nel 1921 da Michele Gortani; documenta diffusamente ed esaurientemente la vita, il costume, l'agricoltura, l'industria della Carnia attraverso i tempi, con notevoli raccolte di utensili, attrezzi, abiti, e con la ricostruzione di ambienti tipici (cucine, camere da letto e da soggiorno, antiche botteghe). Vi si conservano inoltre sculture, quadri, strumenti musicali, gli affreschi di Francesco Chiarottini staccati dal Palazzo Garzolini, alcuni dipinti, tra cui il Ritratto di Jacopo Linussio eseguito da Nicolò Grassi intorno al 1732, una serie di ritratti carnici del XVIII-XIX secolo, tre tele di Antono Schiavi con scene bibliche e varie miniature.



    Da Gabry ...

    Com'è nata la neve in Carnia
    di Renzo Balzan
    Tutti in Carnia lo sanno, almeno quelli che abitano nel Canale di Gorto, che la montagna chiamata Crostis è una delle più ricche di leggende.
    A Collina, Givigliana, a Tualis e a Salars se ne possono ascoltare più d'una.
    Sul monte Tenchia si riuniscono in convegno e ballano le streghe, come del resto si sapeva anche prima che lo scrivesse la Percoto e che il Carducci lo cantasse nelle sue poesie; ma che sul monte Crostis fosse nata la neve, crediamo che siano davvero pochi a saperlo.
    Racconta questa leggenda che si era alla fine del mese di marzo, e che i primi segni della primavera cominciavano già a farsi sentire.
    Cominciò d'un tratto a fuoriuscire un leggero vapore dalla terra, che si alzava sempre più in alto, fino ad arrivare a ricoprire i fiumi, i laghi, le pianure, i boschi e il monte Crostis.
    E più il tempo passava, più si faceva tutto bianco.
    Un bianco sempre più denso. così ogni cosa venne circondata e avvolta da quello che era ormai diventato una sorte di mare di nebbia candida.
    Ma ecco che a un certo punto venne fuori una pecora che andò su per la salita di Tualis, attraversò il bosco e svelta come un capriolo corse sulla cresta della montagna fino su all'ultima cima, poi con un grande salto arrivò su nel cielo. Dietro di lei arrivò una seconda, e una terza, e dieci e cinquanta e cento...
    Allora sugli infiniti prati dal cielo iniziò una gara, vivace e graziosa.
    Le pecore correvano leggere una più dell'altra e gli angeli volavano loro attorno e cercavano di fermarle afferrandole per i riccioli del loro vello di lana.
    Ma le pecore si liberavano, lasciando tra le mani degli angeli i boccoli del loro soffice mantello.
    A un certo punto arrivò anche il vento ad unirsi a questa specie di gioco.
    La lana sfilacciata leggera dondolava nel vento, rilucendo al sole che stava salendo dietro le cime. Giravano attorno a se stessi i fiocchi candidi in una danza leggera, si alzavano su in alto e poi piano piano venivano giù, venivano giù...
    La nevicata è andata avanti fitta, fitta, per tutta la notte, poi alle prime luci dell'alba la nuvola cominciò ad aprirsi e sotto la luce incerta del primo mattino la terra mostrò i monti coperti dal bianco mantello.
    A questa vista rise appagato perfino il sole che si alzava sul monte Crostis, come per una stregoneria che era riuscita bene.

     
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  3. tomiva57
     
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    foto sparse del fiuli









    CITAZIONE (tomiva57 @ 28/7/2010, 13:50)
    grazie claudio :36_3_15.gif:

    Ahahaahahahaahah ... Grazie a te Ivana ... ti abbraccio fortissimo ....



    Da Gabry ...

    Immagini sparse








     
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  5. tomiva57
     
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    Pordenone: il Museo Civico di Storia Naturale “Silvia Zaneri”.

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    Esemplare di Mammuth ricostruito e visibile nel Museo.

    Il Museo Civico di Storia Naturale, che ha sede nel cinquecentesco Palazzo Amalteo, è stato fondato nel 1970, raccogliendo e riunendo il patrimonio naturalistico e scientifico della Società Naturalisti e Silvia Zenari. Proprio a quest'ultima, la più illustre naturalista pordenonese, il 14 novembre 2007 è stato intitolato il Museo nel corso di una cerimonia molto sentita dalle istituzioni e dalla cittadinanza.

    Nel corso degli ultimi anni il Museo ha assunto nuova linfa e si propone tuttora di accrescere e di studiare, anche attraverso le più recenti tecnologie, il proprio patrimonio naturalistico. Un'importante collezione di uccelli esotici, comprendente 495 esemplari provenienti da tutto il mondo e risalente alla prima metà dell'Ottocento, è quella di Oddo Arrigoni degli Oddi, padre di Ettore Arrigoni degli Oddi, considerato il capostipite della moderna ornitologia italiana. La collezione di Insetti più consistente del Museo, che comprende circa 9000 esemplari di Coleotteri del genere Carabus, è quella ottenuta dagli eredi di Umberto Posarini, entomologo originario di Polcenigo.

    Una seconda collezione è costituita da quasi 10000 esemplari, in particolare Coleotteri, Lepidotteri e Ortotteri, raccolti da studiosi e appassionati locali. Le collezioni mineralogiche sono di grande interesse e annoverano nel complesso 13000 campioni. Tra queste, considerevole è¨ la collezione ottenuta da Giorgio Rimoli, costituita da più di 9000 campioni, che può essere a buon diritto considerata la raccolta più completa dei minerali dell'Alpe Adria. Il Museo conserva inoltre importanti collezioni riguardanti la paleontologia, la botanica, la malacologia e l'osteologia, con svariate migliaia di campioni.

    Gli esemplari e i campioni di maggior rilievo, appartenenti alle collezioni sopraccitate, sono raccolti in alcune tra le principali sale espositive del Museo. La Sala degli Invertebrati, con l'esposizione di vetrine contenenti organismi marini e di numerose scatole entomologiche che rappresentano le principali famiglie di Insetti. La Sala dei Minerali, che raccoglie campioni di grande valore e fascino, tra cui spicca un microclino varietà amazzonite. La Sala dei Diorami, realizzata negli anni Settanta del xx secolo, che rappresenta il nucleo originario intorno al quale si è sviluppato il Museo.

    La Sala dell'Ottocento è Arrigoni degli Oddi, nella quale i preparati sono disposti in ordine sistematico e l'organizzazione rispecchia quella dei musei del XIX secolo. La ricostruzione di una Wunderkammern, o camera delle meraviglie, antesignana degli odierni Musei di Storia Naturale, nella quale sono esposti esemplari rari o bizzarri di storia naturale. Nella sezione preistorica il Museo propone infine le ricostruzioni di alcuni momenti del Quaternario italiano, tra cui un diorama che ricostruisce fedelmente un accampamento di Homo erectus e le imponenti ricostruzioni di un mammut e di un rinoceronte lanoso.

    Una saletta tematica è stata di recente dedicata alle Rondini, prendendo spunto da una nostra pubblicazione intitolata per l'appunto è Pordenone città delle rondini. Il Museo Civico di Storia Naturale mette a disposizione un apprezzato servizio di laboratori, percorsi assistiti e attività didattiche per le scuole di ogni ordine e grado. La biblioteca scientifica, che viene costantemente arricchita con l'acquisizione di nuovi testi specifici, è accessibile su appuntamento. Il Museo riaprirà al pubblico nel mese di Agosto 2009, giacchè si stanno completando importanti lavori di restauro dell’edificio e di adeguamento degli impianti tecnologici e delle barriere architettoniche.
     
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  6. tomiva57
     
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    itinerari lungo il tagliamento



    SAN VITO AL TAGLIAMENTO



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    Situato in una fertile zona della pianuta alluvionale, subito sotto la linea delle risorgive, San Vito è capoluogo di un comprensorio abitato sin dai tempi remoti. Infatti, a ovest dell'attuale centro sono stati localizzati vari insediamenti neolitici, risalenti soprattutto al terzo millennio a.C., con molto materiale litico e ceramiche.
    E' inoltre venuta alla luce una necropoli con una trentina di urne cinerarie, che individua una comunità inserita nella civiltà paloeveneta della prima età del ferro (IX-VII sec. A.C.). Il materiale, ben conservato ed esposto, è visitabile presso il Museo archeologico della Torre Raimonda.
    San Vito crebbe nei secoli XII e XIII, legandosi alle sorti dei Patriarchi di Aquileia. Essi costruirono il castello fortificato andato poi distrutto (ma le cui basi sono recentemente tornate alla luce tra Via Altan e Via Marconi, in quello che è tuttora chiamato "Borgo castello") e investirono molte famiglie di feudo d'abitanza, per cui sorse l'antico borgo ancora visibile tra le calli del centro storico, che mantiene interessanti elementi originari. Alla fine del sec. XIII il Patriarca Raimondo della Torre di Como potenziò il centro ampliando il castello e
    costrunedo nuove mura, fossato e gli accessi fortificati delle torri Raimonda e Scaramuccia (recentemente portata all'aspetto primitivo).
    Il Rinascimento determinò uno sviluppo architettonico, urbanistico e culturale. Sorsero lo slanciato ed elegante campanile (iniziato nel 1484), la loggia comunale, la Chiesa di san Lorenzo (1479) con annesso convento domenicano, palazzo Altan (poi Rota, frutto di attenti restauri e oggi sede comunale), la Chiesa dei battuti (1493).
    Nei primi decenni del '500, dopo alcune incursioni turchesche, il fossato venne ampliato, Borgo san Lorenzo incorporato nel centro e furono costruiti la torre Grimana e il torrione circolare a sud-est. La trasformazione più importante avvenne nella piazza centrale, che assunse l'aspetto attuale, ampia e con prestigiosi palazzi della nascente borghesia.
    Allora vi soggiornarono e vissero importanti artisti (pittori, scultori in pietra e in legno, maestri di grammatica, letterati). La tradizione culturale continuò nei secoli successivi, in particolare con lo storico Paolo sarpi, figlio di un sanvitese e con il sacerdote, maestro di cappella e naturalista Anton Lazzaro Moro, uno dei più insigni scienziati del '700 italiano.
    La visita al centro potrà iniziare dal borgo medioevale e della chiesa più antica, dell'Annunciata (sec. XIV), con affreschi di buona fattura ma di incerta attribuzione.
    Il Duomo, costruito a metà Settecento per volontà dell'ultimo Patriarca Daniele Delfino, su un progetto di Luca Andrioli, è ad unica navata, incompiuto all'esterno ma ricco e solenne all'interno, ove ospita una vera galleria di opere d'arte. Citiamo sopra il confessionale un trittico di Andrea Bellunello (Madonna con Bambino e i santi Pietro e Paolo) del 1488; molte le opere del pittore Pomponio Amalteo (1504-1588): Sacra Conversazione (arco del presbiterio), resurrezione (sopra la porta della sacrestia), Deposizione (tra I e II altare), tele e tavole provenienti dall'antico organo (presbiterio), fra cui il Martirio dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia, patroni del luogo.
    Di Alessandro Varottari, detto il Padovanino (1588-1648), la tela dedicata nel II altare a sin. alla Madonna di Loreto. Portale, busto di daniele Delfino, statue dei santi Vito e Modesto nell'altar maggiore di Giovanni e Giuseppe
    Mattiussi (metà del sec. XVIII).
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    Poco discosta, la Chiesa di S. Maria dei Battuti sorge a fianco dell'interessante complesso trecentesco già adibito a ospizio e ospedale, in fase di restauro.
    Il Portale del Pilacorte (1493) presenta motivi floreali e medaglioni in bassorilievo dei santi protettori, mentre l'importante ciclo di affreschi di Pomponio Amalteo dell'abside venne lodato dal Vasari; Battistero di scuola "tolmezzina" e altare di Pietro Baratta (sec. XVIII). La Chiesa di San Lorenzo, di impianto quattrocentesco ma ampliata con due navate dopo due secoli, oltre a conservare le spoglie di Pomponio Amalteo presenta un S. Vincenzo Ferreri affrescato dal Bellunello nel 1481 e considerato l'inizio della pittura rinascimentale in Friuli.
    Tra le numerose chiese ricche d'arte e di storia, meritano una visita la campestre Santa Petronilla, con affreschi tre-e quattrocenteschi e, nel vicino borgo di Prodolone, pure ricco di storia, Santa Maria delle Grazie, eretta nel 1437, il cui coro è interamente affrescato dall'Amalteo con scene della vita di Maria, che mostrano indirettamente molte usanze dell'epoca in Friuli. Pregevole, nel presbiterio, l'altare ligneo e il polittico intagliato da Giovanni Martini nel 1515.

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    Tra i musei, quello civico presso la Torre Raimonda, oltre alle sezioni archeologiche, espone testimonianze notevoli di cultura figurativa tra gotico internazionale e protorinascimento, in particolare negli affreschi staccati in borgo Castello raffiguranti Costanza d'Altavilla, alcune Sibille e altre figure allegoriche. Merita una visita anche il Museo provinciale della vita contadine, presso Palazzo Altan. I naturalisti potranno trovare, in pochi ambianti salvati dalle coltivazioni, a est del centro, l'isola golenale sul Tagliamento presso Carbona, ove coesistono più microambienti.
    Ogni anno a fine maggio il centro storico di San Vito si trasforma in un grande giardino con la manifestazione Piazza in Fiore.




    CASARSA DELLA DELIZIA


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    Il toponimo, documentato dal 1182: "Casam arsam cum curte", significa "casa bruciata" ed allude probabilmente a devastazione ingave avvenute attorno l'anno Mille. Ma sono state le incursioni turchesche della fine del '400 a rivestire un significato particolare per Casarsa (fr.: Ciasarsa). Il paese, infatti, nel 1499 fu risparmiato, in circostanze che la devozione popolare ritenne miracolose, dalle orde ottomane e a tale episodio storico-devozionale si ispirò Pier Paolo Pasolini per l'opera teatrale I Turcs tal Friùl - che il poeta iniziò
    a scrivere nel maggio 1944 - rappresentazione epica del friuli contadino. Casarsa, paese della madre, Susanna Colussi, è indissolubilmente legata alla figura e all'opera di Pier Paolo Pasolini. Qui egli dimorò per n lungo periodo, dal 1943 al gennaio 1950, gli anni della sua passione friulana: ideologica, artistica e sentimentale. A Casarsa, durante la guerra,
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    fece scuola ai ragazzi del luogo e diede poi vita, nella vicina Versuta, all'Academia di Lenga Furlana (lett. "Piccola Accademia di Lingua Friulana"). Nella parlata casarsese Pasolini scrisse poesie di grande bellezza. Ventenne, dedicò alle fontane d'acqua del paese materno una lirica in tre versi, di straordinaria suggestione metaforica:
    DEDICA: Fontana di aga dal me paìs / A no è aga pì fres'cia che tal me paìs / Fontana di rustic amòur.
    [DEDICA: Fontana di acqua del mio paese. Non c'è acqua più fresca che nel mio paese. Fontana di rustico amore].

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    La tomba del grande poeta si trova nel cimitero cittadino. Dal punto di vista del patrimonio storico-artistico, si segnala a san Giovanni una Loggia trecentesca di buona fattura, mentre altre interessanti realtà sono rappresentate da alcune deliziose chiesette. La più conosciuta è la Chiesa di S.Croce (fr. Glisiùt), la cui parte più antica risale al XV sec., che ospita nella zona absidale affreschi di Pomponio Amalteo. Ancora più antica è la Chiesa di S. Antonio Abate, a Versuta, al cui interno, nella parte a
    destra, si possono ammirare affreschi del XIV sec., attribuibili ad un artista della scuola di Vitale da Bologna, ed altri, nell'intradosso dell'arco e nella volta del coro, risalenti alla prima metà del XV sec. Nell'abside della Chiesetta di S. Floriano, vi sono invece delle scene dipinte dal sanvitese Cristoforo Diana, un frescante del '500 di impronta amalteana, raffiguranti la vita di questo militare romano, un santo molto venerato in Austria ( Sankt Florian).
    A Casarsa infine vi è una delle più importanti cantine italiane per i processi di vinificazione e nell'ultima settimana di aprile si svolge qui, dal 1947, la SAGRA DEL VINO - Festa di Primavera, che attira ogni anno oltre 150.000 visitatori.





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    Poco distante da Casarsa, passava l’antica via che congiungeva Aquileia e Genova, la via Postumia, mentre a nord del paese la via incrociava un’altra strada romana, la via Giulia. In questa maniera, era inevitabile che nascesse un nucleo di ristoro tra queste due importanti rotte. In breve tempo, quel punto di sosta si è trasformato in villaggio. Tuttavia, notizie di insediamenti nei pressi di Casarsa, possono essere trovate (ma non datate con esattezza) anche in tempi più antichi.

    Se una prima panoramica sugli albori cittadini è stata fatta, ora è il momento di fare luce sul suo nome.
    Nel cartello comunale, all’entrata di essa, c’è scritto Casarsa della Delizia, e sotto, a mo’ di sommario giornalistico, “Città del Vino“.
    Casarsa, come la parola stessa suggerisce, indica una casa che brucia, una casam arsam, che è per l’appunto l’antico nome del paese. Si narra, infatti, che ci fu un devastante incendio a un grande capannone in epoca latina e da qui l’origine della prima parte del nome.

    Sul “Della Delizia”, invece, ci sono differenti versioni, una certa, l’altra più romantica (a cui sono legati gli abitanti del luogo). Quella certificata storicamente è datata 1867, quando era appena nata l’Italia, anche se ancora enormemente frastagliata. Nel 1866, Casarsa, come il Friuli orientale e il Veneto, è annessa al Regno grazie alle conseguenze della Terza Guerra d’Indipendenza e un Regio Decreto l’anno successivo le conferisce l’appellativo. Come detto, però, il nome ha anche riscontri che si perdono nell’alone della leggenda. Infatti, narrazioni popolari tramandate di generazione in generazione, vogliono che sia stato nientedimeno che Napoleone Bonaparte ad appioppare l’appellativo al paese. Ma, ripetiamo, non c’è nulla di riscontrato.

    Per quanto concerne il “Città del Vino”, ci sono due ipotesi, entrambe plausibili e valide. Bisogna dire che i vini “La Delizia” di Casarsa sono rinomati in tutto il mondo e la cantina è di fondamentale importanza per l’economia locale. Questo è un primo dato. Il secondo, che ancora una volta sconfina nella favola, è che in tempi non troppo lontani uno dei silos delle cantine sia esploso, spargendo vino in tutta la città e colorando i canali. Anche qui, però, di riscontrato c’è ben poco.

    Il ruolo storico di Casarsa è sempre stato di primo piano. Lasciando perdere i tempi più antichi, in anni più recenti il paese ha prima di tutto vissuto l’occupazione nazista dal 1943 – con conseguente bombardamento della ferrovia, nodo nevralgico – e successivamente ha svolto un ruolo fondamentale come sentinella nel corso di tutta la guerra fredda, tramite la sua caserma. Non si dimentichi che la Jugoslavia comunista titina (ora Slovenia), quella del Patto di Varsavia, dista non più di 100 chilometri.
    Con la distensione dovuta al crollo del Blocco Sovietico, la caserma ha perso d’importanza ma resta.

    Obbligatorio parlare della personalità più grande che Casarsa ha avuto l’onore di veder crescere: Pier Paolo Pasolini. Il letterato italiano si trasferì in paese all’età di sette anni, a causa di alcuni malanni del padre. Alla città il poeta dedicò le famose “Poesie a Casarsa”, e iniziò a dar vita allo studio e la rinascita della lingua friulana, con la creazione dell’Academiuta di Lenga Furlana (piccola accademia della lingua friulana).

    Qualche anno prima, con piccoli letterati del luogo, diede vita allo “Stroligut”, un rivista per contrastare l’egemonia del friulano udinese a dispetto di quello casarsese (che lui definiva di cà da l’aga, ossia al di qua dell’acqua, cioè la riva destra del fiume Tagliamento, che divide in due il Friuli, separando Pordenone da Udine). Oggi Villa Colussi, casa nativa della madre e abitazione del poeta, è stata acquistata dalla Provincia di Pordenone ed è base di partenza di un itinerario turistico che ripercorre i luoghi pasoliniani. Da non perdere, davvero!

    Uno degli appuntamenti fissi che la città regala è la Sagra del Vino, che si tiene in primavera. Questa sagra è di enorme importanza nel territorio e richiama persone da tutto il nord est. L’anno scorso la sessantesima edizione si è tenuta a cavallo tra i mesi di aprile e maggio.
    La manifestazione nacque nel 1948, nell’immediato dopoguerra, per valorizzare ulteriormente il già rinomato vino dei viticultori casarsesi. Con il passare degli anni, la sagra ha assunto connotati via via più ampi e oggi è un mix di luna park, chioschi enogastronomici, spettacoli e folklore.





    SAN LORENZO DI ARZENE



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    In questo piccolo borgo assai interessanti sono alcune vecchie costruzioni contadine, talune d'epoca cinquecentesca, con una tipologia, ben conservata, caratterizzata da classici sottoportici aperti ad archi con loggiato. Nelle case di campagna l'arco era un elemento architettonico che offriva uno spazio coperto funzionale al lavoro domestico e al ricovero degli attrezzi agricoli, e vi sono parecchi esempi a S. Lorenzo (fr. San Laurìns) di tale tipica architettura rurale. In alcuni casi, vennero incorporati in costruzioni di questo tipo resti d'antiche cinte murarie. La vecchia Parrocchiale, del XIV sec., restaurata di recente, fa parte invece di quel consistente patrimonio popolare e artistico di chiesuole e chiesette, tutte assai simili fra loro, che, a guisa di mute senti- nelle devozionali, costituivano una presenza rassicurante e materna nelle campagne della pianura friulana. Queste chiesette votive sono testimonianza di quell'intenso movimento spirituale che, nonostante gli avvenimenti anche tragici che caratterizzarono gli ultimi anni del XV sec., si

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    registrò in tutto il Friuli. All'interno si possono ancora scorgere tracce di affreschi antichi. La prima notizia documentata sul paese è del 1299, quando i signori di Valvason-Cucagna cedettero all'Abbazia di Sesto la Villa di Gruaro in cambio di Orcenico Superiore e di san Lorenzo (Villa Sancti Laurentii).
    San Lorenzo, patrono della comunità, viene festeggiato ogni anno il 10 agosto, notte delle stelle cadenti, nel corso di una pittoresca sagra paesana, assai popolare nella zona.
    Equidistante da Casarsa ed Arzene, S. Lorenzo è frazione di quest'ultimo comune, il quale fa derivare il suo nome, Arzene (fr. Darzin), dal latino "agger" ovvero "argine". Nella Chiesa di S. Margherita di un certo interesse sono l'abside, affrescata da Gasparo Narvesa (1558-1639) con raffigurazioni di Santi e Apostoli, e la pala
    dell'altare, dipinta dall'Amalteo, entro la quale campeggiano S. Sebastiano, S. Margherita al centro e S. Rocco.





    VALVASONE



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    Valvasone (fr. Volesòn) è una cittadina deliziosa, ricca di memorie e vestigia antiche, ove sono state mantenute, pressochè intatte, numerose tipologie costruttive delle epoche passate, oltre che parte dell'impianto urbanistico dell'antico borgo medievale. Il centro storico è assai caratteristico e racchiude dei significativi edifici. Tra questi, il Duomo, consacrato nel
    1484, al cui interno, oltre ad altre pregevoli opere d'arte, si può ammirare l'unico esemplare esistente e funzionante di organo del '500 veneziano, eseguito da Vincenzo de Columbis. Le portelle, iniziate dal Pordenone, furono portate a termine dal genero Pomponio Amalteo. L'organo è stato rimesso in efficienza nel 1974 e particolarmente aprezzate sono le manifestazioni concertistiche che si tengono nel mese di settembre.

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    Nella Parrocchiale si conserva anche la famosa reliquia della Sacra Tovaglia. Ricordiamo poi: la suggestiva Chiesa dei S.S. Pietro e Paolo, fatta oggetto di recenti restauri, che risale, per quanto riguarda la struttura più antica, al XIV sec., le cui pareti interne furono decorate con una serie di affreschi devozionali da Pietro da Vicenza (1467-1527); l'ex Convento di S. Maria delle grazie e l'elegante Torre delle Ore. Ma è il Castello ad attirare l'attenzione di chi giunge per primo a Valvasone, così maestoso e imponente, quasi volesse ergersi ancora a proiettare sul paese intero l'ombra severa delle sue ancestrali memorie.
    L'impianto originario risale al XII sec., ma, restaurato e danneggiato a più riprese nel corso dei secoli (il mastio, alto 18 metri, venne demolito nel 1884), ha subito notevoli modifiche, che l'hanno portato alla sua configurazione attuale. L'edificio, che è monumento nazionale, ospitò, tra gli altri, papa Pio VI nel 1782 e, naturalmente, Napoleone. Infatti, il giovane generale pernottò qui (secondo la tradizione, nella camera bianca) nel 1797, dopo la famosa "battaglia del Tagliamento" tra francesi e imperiali che ebbe luogo nelle immediate vicinanze e di cui il 16 marzo 1997 ricorre il 200° anniversario.
    Gli antichi proprietari - dalla fine del XIII sec. Sin quasi ai giorno nostri - erano i signori di Valvason-Cucagna, il cui blasone era illustrato, oltre che dal leone rosso dei Cucagna , da un lupo nero rampante, simbolo araldico-totemico del maniero. Circostanza che ha suggerito una blanditiva ancorchè azzardata etimologica del nome "Valvasone", spiegando Wolfsohn come "figlio del lupo". Ma in realtà il toponimo (documentato dall'a. 1206: "de Wolvesshon"), di
    origine germanica, significa "prato con cumuli di terra" (da wal, "cumulo di terra", e waso, "prato"). Gloria maggiore e vanto della casata nobiliare, e del Friuli, è stato il poeta Erasmo di Valvasone (1528-1593), che ha lasciato un nome nella poesia didascalica col poema Della caccia (1591). Ogni anno, nel mese di settembre, viene organizzata nella "terra del lupo" una suggestiva Rievocazione Storica in costumi d'epoca che, complice l'atmosfera medievale del borgo, attira numerosi visitatori e turisti. Altro tradizionale appuntamento è la Sagra di S. Pietro, che si tiene alla fine di giugno.





    SAN MARTINO AL TAGLIAMENTO




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    Il nostro itinerario, iniziato a ritroso dalla via del mare, si conclude nell'alta pianura friulana, a S. Martino al tagliamento (fr. San Martìn), situato a 23 km da Pordenone, che deve il nome, documentato nell'a. 1204: "in villa Sancti Martini", al santo patrono e alla contiguità con l'argine destro del grande fiume friulano.
    Sicuramente già centro abitato in epoca romana, la "Villa di S. Martino" fu, dal '200 sino all'abolizione delle giurisdizioni feudali, possedimento dei signori di Valvason-Cucagna, anche se, dal 1359, ebbe, almeno dal punto di
    vista spirituale, piena autonomia parrocchiale da Valvasone, salvo il giurispatronato esercitato dai nobili castellani sin quasi ai giorni nostri Due chiese di san Martino sono particolarmente ricche di tesori artistici: la parrocchiale e la Chiesa dei S.S. Filippo e Giacomo.
    Nella Parrocchiale è ancora leggibile all'esterno, per quanto ridotto a sbiadita immagine, il grande S. Cristoforo, affresco attribuito al Pordenone, che diede il nome ad una lirica che il giovane professore Pasolini aveva improvvisato per gli allievi della Scuola Media di Valvasone, ove insegnò dal 1947 al 1949:

    AL CRISTOFORO DI S. MARTINO. …sulle tue enormi spalle / assieme col Bambino / porta il lieto paese / di san Martino!
    All'interno della chiesa vi sono due belle pale d'altare dell'Amalteo, raffiguranti, una S.Martino, santo eponimo, e l'altra una Madonna con bambino con S. Rocco e S. Sebastiano. Fa poi bella mostra di sé un pregevolissimo fonte battesimale in pietra, con gruppo di putti, del XVI sec., opera di un lapicida di meduno. Di notevole interesse, infine, è il caratteristico campanile, realizzato in stile romanico, che data al 1945.
    La Chiesetta dei SS. Filippo e Giacomo, sita poco fuori il paese, ad Arzenutto, consacrata nel 1469, conserva affreschi di Pietro da S.Vito, ma sotto a questi ve n'erano altri, più antichi. Ospita inoltre delle suggestive statue
    lignee (Madonna e S.S. Filippo e Giacomo) e, nella nicchia sotto il campaniletto, dipinti attribuiti al Bellunello.
    La festa del santo protettore cade l'11 novembre. Un tempo la data indicava la
    scdenza dei contratti d'affitto e di mezzadria e, conseguentemente, anche il cambiamento di abitazione, tanto che l'espressione friulana Fa San Martìn (it. "Far San Martino") è rimasta nel linguaggio comune quale sinonimo di trasloco. Ma la ricorrenza novembrina ricordava anche che era venuto il momento di travasare: "A San Martìn 'i fasìn la spina al vin" ( it.: "A San Martino splilliamo il vino").


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    SAN MARTINO
    Nel piccolo borgo di San Martino sorge Villa Kechler, risalente al Seicento. L’imponente complesso edificato per volontà della famiglia Della Torre, in seguito fu abitato dalla famiglia Manin, prima che questa si trasferisse nella sede di Passariano. Dall’inizio del ‘900 è abitata dalla nobile famiglia di origine tedesca.
    Dal cancello d’ingresso un lungo viale conduce alla Villa attraversando la corte a giardino ai lati della quale sorgono le barchesse. Il complesso è caratterizzato da una calda colorazione rossastra.
    Sul retro della villa si estende un parco all’interno di una cinta muraria.
     
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  7. tomiva57
     
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    Il Friuli tra castelli e mosaici
    Da Gorizia ad Aquileia


    Una terra ricca di fascino, tra bellezze naturali ancora poco conosciute e le vestigia di un passato segnato da millenni di storia: siamo in Friuli Venezia Giulia, all'estremo confine Nord Orientale del nostro Paese. Una terra dai molti volti, dalle montagne anche aspre, ma insieme luogo di pacificanti scenari collinari e agresti, meta ideale di un turismo a misura d'uomo, all'insegna della cultura, della buona cucina e anche della sostenibilità. Il nostro itinerario prevede la visita di Gorizia, con particolare attenzione al Castello, un'escursione fino al mare, a poca distanza da Grado per ammirare i mosaici di Aquileia, quindi un tuffo nel romanticismo per visitare il Castello di Spessa, dove soggiornò a lungo l'icona della seduzione: Giacomo Casanova.

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    Il castello di Gorizia

    Gorizia sorge al confine con la Slovenia in una vasta conca tra i monti sloveni e la pianura friulana, al centro di un ampio e facile valico. Terra di incontro, ma anche di scontro, tra diversi popoli e culture, la città appartiene alla cultura italiana anche se ha un lungo passato asburgico e il confine di Stato corre a poche centinaia di metri dal centro storico. Già nominata intorno all'anno Mille, Gorizia si è sviluppata nel Settecento e ne''Ottocento, quando cominciò ad essere frequentata come località climatica e di villeggiatura. Durante la Prima Guerra Mondiale la città si è trovata al centro di una zona aspramente contesa in cui si è svolta una tenace guerra di posizione, con le undici battaglie dell'Isonzo tra il 1915-17. La città è stata distrutta dai bombardamenti, ricostruita in periodo fascista e di nuovo al centro di altri periodi critici nel 1947, quando il confine con la Jugoslavia si è trasformata in una "cortina di ferro". Il Castello rappresenta il cuore più antico della città, Sorge su un colle, dal quale si gode di uno splendido panorama sulla città e sui suoi dintorni. Anche se ha un aspetto apparentemente unitario, il castello risulta dall'accorpamento di parti di epoca diversa. Dopo l'erta di ingresso, ci si trova nel cortile dei Lanzi, con il pozzo. Nel duecentesco Palazzo dei Conti sono state ricostruite le cucine e la mensa, mentre il quattrocentesco Palazzo degli Stati Provinciali ospita la Sala dei Cavalieri con le prigioni e una camera delle torture. Al primo piano si trova una splendida Sala della musica, con copie di strumenti medievali. Al secondo piano la cappella e una sala didattica, da cui si gode un incantevole paesaggio sulla città e sulle colline circostanti. Da visitare a Gorizia anche le Chiese di S. Ignazio e di S. Maria Immacolata.

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    Spessa, il castello amato da Casanova

    Da Gorizia, percorrendo la strada statale 56 verso Capriva del Friuli, si arriva all' altura di Spessa, sulla quale sorge il castello omonimo che fu caro, tra gli altri, a Giacomo Casanova. Fondato intorno al 1200, il maniero fu per secoli dimora di nobili famiglie friulane e ospitò personaggi illustri, tra cui Lorenzo Da Ponte (ll celebre librettista di Wolfgang Amadeus Mozart), Emanuele Filiberto D'Aosta e appunto Casanova, che vi trovò il rifugio e la tranquillità necessaria a dedicarsi ai suoi scritti, grazie all'ospitalità dell'allora proprietario, il conte Luigi Torriani. Un susseguirsi di nobili signori e illustri personaggi hanno segnato la storia del Castello e dello splendido parco che lo circonda. Meritano una visita gli eleganti ambienti in stile mitteleuropeo e le cantine scavate in profondità nel Medio Evo, che durante la Prima Guerra Mondiale sono state presidiate dall’esercito italiano per la loro posizione sicura e isolata. Sede di comandi militari, Spessa ha avuto modo di ospitare il maresciallo Cadorna e il maresciallo Diaz. Nelle cantine attualmente ha luogo l'affinamento dei vini famosi fin dal Trecento, oggi prodotti dall'azienda vinicola. Nel castello sono state ricavate 15 eleganti suites arredate con mobili del’700 e’ 800 italiano e mitteleuropeo. Il castello è immerso nel verde di un magnifico giardino all'italiana ed è il cuore di un campo da golf 18 buche.


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    I mosaici della basilica di Aquileia

    A una trentina di chilometri da Gorizia, dirigendo invece verso il mare in direzione di Grado, sorge la città romana di Aquileia, fondata nel 181 a.C. come colonia di diritto latino nel programma di pacificazione della Gallia Cisalpina. La città si è sviluppata rapidamente grazie al porto sulle rotte verso i poli commerciali d'Oriente. Dopo la proclamazione dell'editto di Costantino del 313 che concedeva libertà di culto ai cristiani, Aquileia è diventata un importante centro di cultura cristiana. Dopo l'editto di Costantino, il vescovo Teodoro ha avviato la costruzione di tre basiliche disposte ad U intorno ad un battistero. Dagli ampliamenti e dalle modifiche successive deriva l'attuale costruzione, un edificio di semplice grandiosità, affacciata sulla Piazza del Capitolo. L'interno della basilica è a croce latina a tre navate, il cui pavimento è ricoperto dal più vasto mosaico pavimentale dell'Occidente cristiano, risalente alla primitiva basilica teodosiana e risale all'inizio del IV secolo. Il mosaico è composto da nove riquadri e raffigura, oltre ai ritratti dei donatori, varie raffigurazioni per trasmettere la novella cristiana della vittoria della vita sulla morte attraverso diversi simboli. Tra le immagini rappresentate dai mosaici, la lotta tra il gallo, annunciatore della luce, con la tartaruga, simbolo dell'oscurità; i pesci che vengono pescati, il buon pastore. Al centro ci sono tre scena della vita del profeta Giona, Altri importanti mosaici si trovano nella basilica teodosiana, mentre nelle cappelle e nel'abside della basilica si trovano importanti affreschi.



    Raffaella Martinotti
    fonte tg.com.
     
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    Morsano di Strada


    Da Wikipedia

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    morsano nell'ottocento



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    Morsano di Strada (Morsan di Strade in friulano) è l'unica frazione di Castions di Strada e conta poco meno di 1.000 abitanti.


    Geografia

    Morsano di Strada si trova al centro della pianura friulana, tra Codroipo e Palmanova, presso la strada statale 252, a 19 km a sud del capoluogo di provincia, Udine. Si trova a 40 km dal mare Adriatico (Lignano Sabbiadoro e Grado), a 50 km dalle Alpi Carniche e due nazioni, la Slovenia e l'Austria distano meno di un'ora d'auto.

    Confina a est con Gonars, a sud con Corgnolo (frazione di Porpetto), a ovest con il capoluogo del comune Castions di Strada e a nord con Gris (frazione di Bicinicco) e Chiasiellis (frazione di Mortegliano), verso i quali il confine è disegnato dalla statale n. 252.

    Storia

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    Scultura di Eligio D'Ambrosio raffigurante Murcius, mitico fondatore del paese



    Tradizionalmente, si suppone che il nome sia di origine latina e che derivi da un praedium Murcianum o Mursianum ("podere di Murcio" o "di Mursio"), come accade in genere ai toponimi terminanti in "-ano". L'origine di Morsano risalirebbe dunque probabilmente al II secolo a.C., durante il periodo della colonizzazione romana della zona di Aquileia e della bassa friulana, legata forse ad un'assegnazione di terre ad un colono romano di nome Murcius o Mursius. Un abitato si sviluppò in seguito alla vicinanza con la via Postumia, la via che percorreva il territorio, mettendo in comunicazione Genova e Aquileia. Una frequentazione della zona è attestata tuttavia solo da ritrovamenti sporadici nei dintorni (tombe, monete, utensili ecc.).

    Durante il dominio longobardo si ebbe forse la dedica di una chiesa a Maria Maddalena, il cui culto era diffuso in particolare presso questo popolo.

    La prima testimonianza scritta del nome Morsano risale al 13 luglio 1031 quando fu solennemente consacrata la rinnovata basilica di Aquileia: tra i beni di cui la chiesa viene dotata è la villa de Castellone con la villa de Mursiano e pertinenze, da Sant'Andrat fino a Gonars e al bosco. Il capitolo della cattedrale, prima di Aquileia e poi di Udine (dal 1751 mantenne la signoria feudale sulle terre di Morsano, fino all'abolizione dei domini feudali nel 1797. Nel XII secolo Marsano risulta una "villa" con una propria "curia" separata e mantenne una sua autonomia locale.

    Le prime case in muratura, con tetto in coppi, sono attestate solo a partire dal XVI secolo. Nel corso della guerra di Gradisca del 1615 morirono di peste a Morsano dieci soldati veneziani, che vennero seppelliti nel cimitero del paese.

    Morsano si trovò al confine tra la Repubblica di Venezia ed un'enclave dell'Impero asburgico che comprendeva Gonars, Fauglis e Castello, all'epoca "contea principesca di Gradisca" e accorpata nel 1754 alla contea di Gorizia ("contea di Gorizia e Gradisca"). Su un muro della canonica di Gonars si conserva una pietra che segnava il confine fra i due comuni, collocata nel 1753, dopo gli accordi fra l'impero austriaco e la Serenissima. Morsano godette quindi di un periodo di prosperità e la popolazione del paese, che non aveva mai superato il centinaio di abitanti, giunse a raddoppiare.

    Durante l'occupazione napoleonica Morsano perdette nel 1806 la propria autonomia per divenire frazione di Castions. La chiesa centrale fu spogliata di tutti gli ornamenti di valore e la chiesetta di San Pellegrino fu demolita per favorire il movimento delle truppe.

    Nell'Ottocento acquisì la denominazione di "Morsano di Strad' Alta" che divenne quindi parte integrante del nome. La via Postumia, che attraversava il paese (ne furono ritrovate le tracce nel 1862, in passato aveva infatti il nome di Stradalte, ovvero "Strada Alta", in contrapposizione ad una "strada bassa" , la via Annia (attuale statale triestina), la quale passa a qualche chilometro a sud. Attualmente viene invece chiamata impropriamente Stradalte la statale 252, che passa a nord del paese, ricalcando un tracciato di origine medioevale, percorso da crociati e pellegrini che si dirigevano ad Aquileia ad imbarcarsi per l'Oriente e desideravano evitare la zona paludosa verso sud. Tale strada fu anche spesso utilizzata per le incursioni provenienti dall'est, in particolare degli Ungari e viene infatti spesso chiamata "Ungarica" o "Ongaresca". Successivamente venne sistemata dai francesi durante le campagne napoleoniche contro gli austriaci ed è conosciuta anche come "Strada Napoleonica".

    Le due famiglie più importanti del paese erano i Mugani e gli Antivari, che hanno lasciato le tombe di famiglia nel cimitero del paese e la villa Mugani. Si trattava dei proprietari della maggior parte dei terreni, nei quali gran parte della popolazione lavorava a mezzadria.

    Come il resto del Friuli passò in seguito al trattato di Campoformio sotto il dominio austriaco e nel 1866 al regno d'Italia in seguito al plebiscito tenutosi alla fine della terza guerra di indipendenza. Le cronache riportano come tutti i morsanesi si siano recati alle urne circondati da bandiere tricolori spiegate e con il "SI" già stampato sulle schede infilate nel cappello. Il confine del regno d'Italia, tra il 21 luglio al 12 agosto 1866 (giorno dell'armistizio di Cormons tra italiani ed austriaci), divideva Morsano italiana dalla contigua Gonars austriaca.

    Negli anni 1880 anche Morsano, che allora contava 500 abitanti, fu colpita dalla crisi agricola, che comportò l'inizio del fenomeno dell'emigrazione, prima verso l'Austria (incluso il Friuli austriaco) e la Germania, dove i friulani trovavano impiego nelle industrie tessili e nelle fornaci, e in seguito verso l'Argentina, il Canada e l'Australia. A Castions il clero locale fondò una società cooperativa ("Società cattolica cooperativa Sant'Antonio di mutuo soccorso delle disgrazie dei bovini e della latteria sociale") di cui fecero parte tutti gli agricoltori di Morsano.
    Un reparto dell'esercito austriaco nel centro di Morsano di Strada nel 1917 dopo la rotta di Caporetto

    Durante la prima guerra mondiale i reparti militari italiani si stanziarono a Morsano già dal 2 aprile del 1915. Dopo la rotta di Caporetto gli austriaci invasero il paese, causando saccheggi e distruzioni e deportando gli uomini nel Campo_di_internamento_di_Katzenau e nei campi di internamento di Milovitz (oggi Milovice) e Marchtrenk. Una violenta epidemia di tifo causò nel 1916 una quarantina di morti. Morsano venne liberata il 4 novembre del 1918.

    La tradizione locale ricorda la partecipazione di alcuni giovani morsanesi all'Impresa di Fiume di Gabriele D'Annunzio, che tuttavia non è attestata da alcun documento.

    Nel 1926 nacque la "Latteria sociale Turnaria" che fu il centro dell'economia del paese per i successivi sessant'anni. Alcuni morsanesi parteciparono alla conquista dell'Etiopia (1935-1936) e alla guerra civile di Spagna. Morsano vide inoltre l'emigrazione verso l'agro pontino che in quegli anni si andava bonificando.

    Durante la seconda guerra mondiale anche Morsano ebbe i suoi caduti, in particolare sul fronte greco-albanese e in Africa, e subì le incursioni degli arei alleati. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Morsano fece parte dell' "Adriatisches Küstenland", che incluse le province di Gorizia, Trieste, Lubiana, Fiume e Udine nella Germania. Morsano venne occupata da truppe naziste che comprendevano anche cosacchi a cavallo. Vi furono diversi rastrellamenti tedeschi contro i partigiani della "XI brigata Sguazzin", appartenente alla divisione partigiana "Osoppo", di ispirazione liberal-cattolica, e della "III brigata Montina" e della "brigata Rosso", che appartenevano invece alla divisione partigiana "Garibaldi", di ispirazione comunista.

    Situazione attuale ed economia locale

    Nel dopoguerra fu completata la bonifica delle zone a sud del paese ed estesa la rete idrica per l'irrigazione a tutti i terreni. Contemporaneamente si ebbe l'elettrificazione e l'asfaltatura delle strade. Le migliorate condizioni comportarono una crescita economica e demografica (negli anni ottanta furono raggiunta una popolazione di circa 1.000 abitanti).

    Attualmente solo il 2,5 per cento dei morsanesi è ancora impegnato nelle tradizionali attività di agricoltura e allevamento: la latteria sociale venne chiusa negli anni Ottanta e agli inizi degli anni novanta l'ultima stalla venne chiusa. L'economia si basa su piccole imprese artigianali ( falegnami, costruttori edili e addetti a vario titolo all'industria meccanica).

    Monumenti e luoghi d'interesse

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    Il campanile di Morsano di Strada



    * Chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Maddalena, costruita nel XVIII secolo con il campanile e più volte rimaneggiata, fino agli ultimi restauri nel 1992. Il campanile è stato restaurato nel 2006 ed è visitabile a richiesta. Dal campanile nelle giornate limpide è possibile intravvedere il mare.

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    * Chiesetta di Santa Maria Ausiliatrice. eretta nel 1872 per volere del vescovo ausiliare di Udine, Pietro Antonio Antivari, nativo di Morsano. La chiesetta, sebbene la corte all'interno della quale è collocata sia di proprietà privata, è comunque visitabile ed aperta al pubblico.
    * La "Porta di Luce" presso la cappella del cimitero. Opera scultorea in marmo e acciaio dell'artista morsanese Giovanni Sicuro, in arte "minto".
    * Monumento ai caduti civili e militari delle due guerre mondiali

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    * Colonna di San Pellegrino delle Alpi, eretta nel 1907 per collocarvi la statua del santo proveniente dalla distrutta chiesa di San Pellegrino della Stradalta. Secondo una leggenda locale quando fu demolita la chiesetta gli abitanti del capoluogo comunale di Castions vollero impadronirsi della statua, ma i buoi che trainavano il carro, arrivati a Morsano non ne avrebbero più voluto sapere di proseguire, sicché la statua rimase a Morsano. In realtà è più verosimile ritenere che la statua fosse una copia dell'originale in quanto si trattava di una statua di cemento e non di pietra. Mentre la vecchia statua di cemento è conservata nel centro polifunzionale del paese, una nuova statua di pietra opera dello scultore Pietro Patat è stata collocata sulla colonna nel 2003 ed è oggi ben in mostra nella piazza principale del paese.
    * La scuola elementare, istituita nel 1805 in una sala adiacente alla canonica, fu spostata in un edificio dedicato nel 1914 sulla strada verso il capoluogo comunale e in seguito in un nuovo complesso edificato nel 1962, nei pressi della chiesa parrocchiale: la scuola venne quindi chiusa nel 1998 e adibita a centro polifunzionale. Oggi ospita mostre temporanee e conferenze


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    Cultura

    Personalità legate a Morsano
    Il morsanese Mons. Pietro Antonio Antivari, vescovo ausiliare di Udine dal 1893 al 1899

    * Pietro Antonio Antivari

    Il 19 settembre 1830 nacque nel paese Pietro Antonio Antivari, che fu vescovo ausiliare di Udine rettore del seminario diocesano dal 1866 alla morte, nel 1899. Fu canonico onorario del capitolo metropolitano e titolare di Eudossiade. Fece erigere a Morsano la chiesetta di Santa Maria Ausiliatrice. Nel Seminario udinese di viale Ungheria esiste un busto a lui dedicato. Riposa presso il cimitero di Udine.

    * Giovanni Sicuro detto "Minto"

    Giovanni Sicuro, classe 1971, in arte "Minto" è un artista di Morsano di Strada. Dopo aver conseguito il Diploma di Maestro d'Arte all'Istituto Statale d'Arte - sezione metalli - di Udine, si forma presso il maestro orafo Eliseo Zoratti a Udine. Nel 1993, disegnò e produsse una serie di gioielli ispirati a mostre tenutasi al Palazzo Grassi di Venezia. Durante gli anni di accademia a Venezia, dove si diploma in Scultura nel 2001, frequenta per un anno la Real Academia de Bellas Artes di Madrid ed entra contatto col mondo internazionale della scultura, con scambi culturali che continuano ad accrescere la sua formazione ed educazione ad ampio spettro.

    Poco più che ventenne, riceve il Primo Premio per il concorso di oreficeria "Segni d'Oro" di Udine. Nel 1999 è finalista nel concorso di Arti Visive di Trieste "Lilian Caraian". Tre anni dopo riceve il Secondo Premio dello stesso concorso. Da 10 anni espone in maniera continuata opere di scultura e oreficeria d'arte. Da Milano a Venezia e a Villa Pisani a Strà, fino alle recenti collettive a Lubiana, a Lisbona e Roma. Nel 2006 espone al MIAAO di Torino (Museo Internazionale di Arti Applicate Oggi) e presso la galleria in New Jersey che lo rappresenta per il pubblico americano. Nel 1998 frequenta la Facoltà di Belle Arti di Madrid in Spagna e si diploma in scultura all'Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2001. Apre quindi il proprio laboratorio-atelier di Scultura a Morsano di Strada, dove vive. Fra le varie opere realizzate, la scultura di pietra piasentina dedicata agli Immigrati a Flambro, e l'Altare Maggiore della Chiesa di Sant Andrat in candido marmo di Carrara raffigurante un angelo. Nel Duomo di Valvasone troviamo il Tabernacolo, opera di oreficeria realizzata in collaborazione con lo scultore Celiberti. Attualmente è in fase di realizzazione l'Altare in marmo, ferro e vetro per la cappella del cimitero di Morsano.

    "Minto" inizia a "giocare"con i metalli in età adolescenziale incuriosito dalle caratteristiche intrinseche e dalle tecniche orafe. Iniziò a creare gioielli all'età di 13 anni sperimentando la tecnica del cesello. La sua arte spazia dal metallo nobile all'acciaio inox, dalla pietra al marmo, dalla creta al legno. Fu immediatamente preso dalla bellezza del metallo e dalle possibilità che offre, ed iniziò a "giocare" ed esplorare le sue caratteristiche e potenzialità. Più tardi, sperimentò e ricercò con la tecnica della cera persa, una tecnica che l'artista utilizza con una personale interpretazione. La sua fascinazione verso il metallo persiste tutt'oggi, gli ossidi e gli smalti hanno iniziato a prendere il posto della superficie liscia. Recentemente con gli ultime creazioni, Giovanni si è spostato verso la sperimentazione delle diverse miscele di smalti e quindi della cottura degli stessi in maniera tale da ottenere effetti pittorici differenti. L'estetica viene rigenerata nel momento che lo smalto passa attraverso le diverse modificazioni sia di colore che di textura. Ogni pezzo viene quindi trasformato e diventa unico per il linguaggio intrinseco.

    Ha vinto premi d'arte e di oreficeria. Collabora con artisti di fama internazionale per la creazione di opere di ispirazione religiosa.

    Le sue opere di gioielleria contemporanea sono state esposte in mostre a livello nazionale ed internazionale. Ha esposto in gallerie d'arte a Milano, Venezia, Lisbona, New York,Londra, Varsavia. Nel gennaio 2008 alcuni suoi gioielli sono stati esposti presso il Victoria and Albert museum di Londra nell'ambito della mostra "Collect 2008". Nella primavera del 2009 presenta la pala dell'altare della cappella del cimitero di Morsano. L'opera è realizzata in marmo di carrara ed acciaio.


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    Minto: Altare della chiesa di Sant Andrat del Cormor, Marmo Bianco




    * Mauro Paviotti

    Fotografo artistico. Nato a Jalmicco (Palmanova-UD) ma da anni residente a Morsano, con mostre personali e collettive ha esposto in numerose gallerie italiane ed estere. Le presenze più significative sono state nel 1991 alla 4^ Biennale di Cordoba (Spagna), nel 1995 alla XLVI Biennale di Venezia. nello stesso anno è stato premiato dall'Italian Art Directors Club per le immagini realizzate a favore della Lega Antivivisezione della Campagna Istituzionale "L'Uomo è una Bestia". Nel 1996 sue opere sono state esposte al Forte Belvedere di Firenze e a Milano al Castello Sforzesco. Nel 1997 ha partecipato alla I rassegna "Mois de la photo" al Carousel du Louvre a Parigi. Di Mauro Paviotti hanno scritto F.T. Altan, B. Ballardini, V. Basaglia, S.Bertossi, O.D.Buono, C.Colombo, D.Curti, K,Dami, C.HFavrod, M.Grabar, S.Maldini, L.Malizia, C.Patrone, P.Sammartano, D.M.Turoldo, S.Zannier, I.Zannier. Opere sue sono conservate presso il Museo F.lli Alinari di Firenze e presso collezioni private e sono pubblicate sulle più importanti riviste fotografiche. Predilige le fotografie in bianconero con tematiche sociali. Ama i ritratti. Qui il suo sito.

    * Giulia Della Peruta

    Giulia Della Peruta, soprano lirico-leggero, classe 1986, si è avviata allo studio del canto lirico dopo essersene appassionata assai precocemente attraverso l’attività corale. Nel 1998 ha preso parte all’esecuzione della “Madama Butterfly” a Lignano, opera allestita per i vincitori del “Concorso M. Martini” della città. Nel 2002 ha partecipato al concorso nazionale ravennate “i Giovani per i Giovani”, classificandosi prima assoluta nella sua categoria. Allieva del mezzosoprano Liana Tarussio, ha preso parte a vari corsi di perfezionamento, tra i quali i seminari di belcanto tenuti a Villa Manin di Passariano dal soprano Raina Kabaiwanska, il laboratorio “L’operetta nelle sue diverse forme” curato dal soprano Sonia Dorigo in collaborazione con il Conservatorio J. Tomadini di Udine, una masterclass con il mezzosoprano Luciana D’Intino, una con Francesca Scaini e Sherman Lowe e nella scorsa estate ad un corso di Liederistica alla presenza del Maestro Dalton Boldwin. Nell’aprile 2004 ha partecipato al concorso internazionale “L. Tagliavini “ di Deutchlandsberg (Austria), ed ha conseguito il compimento inferiore di canto con ottimo risultato presso il conservatorio G. Tartini di Trieste. Recentemente ha preso parte all’allestimento in regione della “Traviata” di Giuseppe Verdi nel ruolo di Annina e si è esibita nelle intense stagioni organizzate dal conservatorio J. Tomadini di Udine presso il quale si è appena diplomata al Triennio Sperimentale di canto sotto la guida del professor Francesco Moi. Svolge attività solistica con numerose formazioni regionali, riscuotendo sempre unanimi consensi, e nel prossimo mese di agosto si unirà come solista alla Giovane-Orchestra della Stiria/ Lituania/Italia per una serie di concerti in Austria ed Italia.

    Attività culturali

    Esistono diverse associazioni paesane. Il gruppo di maschere artistiche "Lis Mascaris" ha partecipato al carnevale di Rio de Janeiro e alla festa per l'anniversario della fondazione delle Frecce Tricolori.


    Tradizionalmente la manifestazione paesana più importante si teneva a settembre in concomitanza con la festa religiosa del "Perdón".

    Per due volte, il 7 dicembre 2007 e nel settembre 2008, si è invece tenuta la festa paesana denominata "Morsan in Place" (Morsano in piazza) che ha richiamato centinaia di paesani ed è culminata con i fuochi d'artificio attorno alla colonna di San Pellegrino.


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    Il progetto Morsano paese delle maschere

    Fin dal 1929 i giovani morsanesi si riunivano a carnevale e vestendo delle maschere si esibivano in delle recite satiriche, il più delle volte in friulano, esibendosi nelle piazze del paese ed in quelle dei paesi vicini. Le recite dei teatranti di Morsano all'epoca erano molto famose e si protrassero fino alla fine degli anni Cinquanta. All'epoca, "le mascarade di Morsan" o "Lis mascaris di Morsan" (le maschere di Morsano) come sinonimo di guasconi teatranti da strada che si esibivano in maschera in occasione del Carnevale, erano famosi a livello locale e le loro esibizioni erano ragione di attrattiva verso il paese.

    Un libro "Le mascarade. Le recite dei teatranti in maschera a Morsano di Strada e Gonars negli anni Cinquanta" ricorda questa importante esperienza paesana.

    Inoltre, da molti anni parecchi morsanesi sono attivi nella produzione di maschere carnascialesche tramite il gruppo paesano "Lis Mascaris" che ha portato questa produzione nelle sfilate più prestigiose del mondo (inclusi i carnevali di Rio De Janeiro, Avana, Caracas, Montevideo, Cento e Abano Terme).

    Anche Mauro Paviotti, fotografo artistico, da anni residente a Morsano, si è cimentato nella realizzazione di foto il cui tema è la "maschera". Un esempio ne è la collezione "I Nuovi Guardiani" completata nel 2000.

    Da tempo in paese c'è la volontà di cristallizzare queste esperienze ed interesse paesano per le maschere. Ultimamente si stanno moltiplicando le iniziative a sostegno concreto del progetto "Morsano Pais da Mascaris " (Morsano paese delle maschere).

    Tra i progetti in corso di valutazione ci sono un monumento che ricordi i teatranti degli anni Cinquanta, la realizzazione di svariati Murales raffiguranti maschere e carnevali del mondo, intitolare una via a "Le Mascarade", un simposio internazionale sulle tecniche di costruzione di maschere, una festa biennale dedicata all'arte delle maschere.

    Le varie idee sono tutt'ora in corso di realizzazione. Il scopo ultimo è quello di far identificare Morsano di Strada come "Morsan da Mascaris" (in friulano "Morsano delle Maschere") ovvero "il paese delle maschere".



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    "Lis Mascaris" di Morsano di Strada sfilano a Rio De Janeiro.




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    Geografia antropica
    I borghi


    Tradizionalmente Morsano non ha mai avuto una divisione in borghi ben delimitata, ma piuttosto delle zone indicate con toponimi tradizionali. Di borghi si inizia a parlare in all'inizio degli anni ottanta quando venne istituito un locale torneo di calcio, il torneo dei borghi appunto. I borghi hanno poi assunto una maggiore rilevanza in particolare con l'istituzione delle varie feste del borgo, occasionalmente organizzate dagli abitanti di una specifica zona del paese.

    * Borc Centrâl ( colore simbolo il bianco)
    * Borc di Sore (colori simbolo il blu e il rosso)
    * Borc di Palme (colori simbolo giallo oro e verde)
    * Borc dai Siôrs (colore simbolo il rosso).

    Albo d'Oro del "Trofeo dai Borcs"

    * 1983 Borc di Sore (Calcio a Undici)
    * 1984 Borc di Sore (Calcio a Undici)
    * 1985 Borc di Sore (Calcio a Undici)
    * 1986 Borc Centrâl (Calcio a Undici)
    * 2000 Borc di Palme (Calcio a Sei)
    * 2006 Borc Centrâl (Giochi Vari - Ragazzi)
    * 2007 Borc Centrâl (Calcio a Sei), Borc dai Siôrs (Coppa Chiosco), Borc di Sore (Sedon di Len)
    * 2008 Borc di Palme (Calcio a Cinque), Borc dai Siôrs (Coppa Chiosco e Sedon di Len)
    * 2009 Borc di Centrâl(Vincitore Trofeo), Borc di Centrâl(Calcio a Cinque), Borc Centrâl(Pallavolo), Borc di Sore (Calcio Tennis), Borc dai Siôrs (Coppa Chiosco e Sedon di Len)
    * 2010 Borc di Sore (Vincitore Trofeo), Borc di Palme (Calcio a Cinque), Borc Centrâl (Pallavolo), Borc Centrâl (Dodgeball), Borc di Sore (Calcio Tennis under 40), Borc di Sore (Calcio Tennis over 40), Borc dai Siôrs (Coppa Chiosco), Borc dai Siôrs (Briscola) e Borc Centrâl (Sedon di Len)


    Albo d'Oro del Torneo dei borghi (Torneo di Briscola)

    * 2007 Borc Centrâl, Borc di Palme (Sedon di Len)
    * 2008 Borc di Sore, Borc di Palme (Sedon di Len)

    PS La Sedon di Len viene attribuita all'ultimo classificato.
     
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    Monfalcone


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    La Rocca di Monfalcone





    Posizione del comune di Monfalcone nella provincia di Gorizia
    Sito istituzionale
    Monfalcone (Mofalcon in dialetto bisiaco, Monfalcon in friulano Tržič in sloveno, Falkenberg in tedesco, desueto) è un comune italiano di 27.856 abitanti della provincia di Gorizia in Friuli-Venezia Giulia, è il centro principale della Bisiacaria e quinta città per numero di abitanti della regione.


    Geografia fisica

    La città è posta fra il Carso ed il Mare Adriatico, affacciata al punto più settentrionale del Mar Mediterraneo. Con i comuni contermini (Ronchi dei Legionari, Staranzano, San Canzian d'Isonzo) forma un unico agglomerato urbano di oltre 50.000 abitanti.



    Storia

    Il territorio dell'attuale comune di Monfalcone fu sede, in età preromana, di diversi castellieri mentre in tarda epoca repubblicana vennero costruiti, nelle immediate vicinanze dell'attuale centro urbano, degli edifici termali (Insulae clarae). In età medievale appartenne agli Ostrogoti, ai Bizantini, al Ducato longobardo del Friuli, ai Franchi, al Regno d'Italia, al Sacro Romano Impero e a Venezia. Fra l'899 e il 952 subì le incursioni degli Ungari. Nel 967 l'imperatore Ottone I donò Panzano ed altre località al Patriarca di Aquileia, che successivamente ottenne (1077) dall'imperatore Enrico IV anche l'investitura feudale della zona e dell'intero Friuli. Nel 1260 Monfalcone fu citata per la prima volta in un atto con il quale il conte di Gorizia Mainardo II restituiva al Patriarca di Aquileia la località, ricevuta in pegno qualche anno prima. All'epoca era già stata costruita sul monte Falcone, all'interno di un antico castelliere, la Rocca, mentre gli abitanti avevano edificato le proprie case ai piedi di tale monte. A causa delle mire dei conti di Gorizia e dei signori di Duino, la città fu circondata da mura all'interno delle quali sorsero il palazzo patriarcale, il palazzo comunale e il duomo. Il distretto di Monfalcone fu rappresentato nel Parlamento della Patria del Friuli, composto da nobili clero e comunità, in cui occupava il settimo posto fra queste ultime. I patriarchi favorirono l'immigrazione a Monfalcone, mediante la concessione di terre, al fine di stimolare la crescita demografica nel territorio.

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    La Rocca


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    Nel 1420 la Repubblica di Venezia invase il Friuli e pose fine al potere temporale del Patriarcato di Aquileia. Monfalcone fu presa il 14 luglio di quell'anno, dopo 3 giorni di assedio. Rimase sotto la Serenissima dal 1420 al 1511. Nel 1472, 1477 e 1499 il territorio subì tre incursioni dei Turchi ma la Rocca e la città murata non furono toccate. Nel 1511 fu occupata per breve tempo dai francesi in funzione anti-veneziana. Ripresa dai veneziani, nel 1514 fu espugnata dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, che occupò la città murata e distrusse la Rocca. Nel 1521, con la dieta di Worms, il territorio tornò a Venezia, che ricostruì la Rocca. Con la costruzione della fortezza di Palmanova (1593), il territorio di Monfalcone perse parte della primitiva importanza e non fu più potenziato. Fra il 1615 e il 1617, durante la guerra di Gradisca fra Venezia e l'Austria (detta anche degli Uscocchi), il territorio fu saccheggiato e incendiato ma la città murata fu salvata dalle artiglierie della Rocca.
    Nel 1751 fu soppresso il Patriarcato di Aquileia e furono create al suo posto le due arcidiocesi di Udine e Gorizia. Il territorio di Monfalcone fu aggregato ad Udine come tutta la parte veneta, mentre quella austriaca fu assegnata a Gorizia. Nel 1797 i francesi occuparono il monfalconese. Col trattato di Campoformido gran parte della Repubblica di Venezia fu ceduta all'Austria, ma i francesi rimasero a Monfalcone fino al gennaio 1798, commettendo numerosi soprusi. Con la pace di Presburgo del 1805 la quasi totalità delle terre ex venete fra cui Monfalcone l'Istria e la Dalmazia furono cedute al Regno d'Italia. Con il trattato di Fontainebleau del 1807 fu deciso il nuovo confine fra Regno d'Italia e Impero d'Austria sul fiume Isonzo. Monfalcone divenne di nuovo austriaca anche se i francesi si riservarono il diritto di attraversarla per raggiungere l'Istria. Ma da questo momento, per la prima volta nella storia, Monfalcone fu staccata dall'area di Aquileia-Udine-Cividale ed entrò a far parte del Circolo di Gorizia. Con il successivo trattato di Schönbrunn del 1809 Monfalcone fu unita, insieme ai territori a sinistra dell'Isonzo, alle appena costituite Province Illiriche poste sotto controllo francese. Nel 1813 l'Austria riconquistò le Province Illiriche e, con esse, Monfalcone. Successivamente (1825) il distretto di Monfalcone (comprendente i mandamenti di Monastero, Monfalcone, Duino e Sesana) fu incorporato definitivamente nella Principesca Contea di Gorizia e Gradisca e ne seguì le sorti (fra cui l'integrazione al Litorale Austriaco, nel 1849) fino alla prima guerra mondiale. Il 9 giugno 1915 la città venne presa dall'esercito italiano, ma a seguito della battaglia di Caporetto tornò in mano austro-ungarica (1917). Al termine del conflitto Monfalcone fu riunita all'Italia.
    La città divenne nota agli inizi del novecento con la costruzione del massimo cantiere navale italiano (attualmente Fincantieri), fondato nel 1908 come Cantiere Navale Triestino dalla famiglia Cosulich, dopo la chiusura dei cantieri navali triestini, trasferiti in Monfalcone, in cui ancor oggi vengono realizzate navi da crociera e di grosso tonnellaggio. Durante la seconda guerra mondiale (dal 1º ottobre 1943) fu aggregata alla zona di operazione del Litorale Adriatico. A partire dal 19 marzo 1944 fu più volte bombardata.
    Si organizzò la lotta di resistenza ai nazisti in particolar modo sul Carso cioè nel territorio abitato da sloveni. Per 40 giorni fu in mano alle truppe di Tito. Dal giugno 1945 al settembre 1947, trovandosi ad occidente della cosiddetta linea Morgan, fu sotto occupazione alleata. Con l'entrata in vigore del trattato di Parigi, il 15 settembre 1947 ritornò definitivamente all'Italia. Unita dal 1923 fino al 1947 alla provincia di Trieste, fu restituita, in quello stesso anno, alla Provincia di Gorizia.


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    Onorificenze


    I partigiani comunisti accolgono le truppe neozelandesi giunte a Monfalcone inneggiando all'annessione della città alla Jugoslavia
    Monfalcone è tra le città decorate al Valor Militare in quanto insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare e della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici della sua popolazione: sia durante la prima guerra mondiale, quando fu quasi completamente rasa al suolo, sia durante la seconda guerra mondiale quando subì sia l'occupazione tedesca sia quella titina.
    Medaglia di bronzo al valor militare
    Medaglia d'argento al valor militare

    «Sentinella avanzata di italianità, nelle epiche battaglie del 1915-1918, immolava interamente se stessa; rasa al suolo dagli obici nemici, durante più anni dispersa nei propri figli in lungo penoso esilio, divenne madre adottiva di puri eroi quali Toti e Randaccio e custode di epici ricordi: quota 87, quota 121, Hermada, Monte Sei Busi, che tutti si riassumono e si esaltano nel nome fatidico di Redipuglia. Non permise mai che infiltrazioni straniere potessero comunque alterare la purezza della sua stirpe italica. Durante la guerra 1940-45, diede il proprio contributo di sangue e di rovine subendo sette bombardamenti che la mutilarono gravemente e falcidiarono numerosi suoi figli. Dall'armistizio del 1943 in poi, attraverso duri anni di lotta cruenta, seppe reagire, indomita ai nemici d'Italia che, avvicendandosi nell'invasione e sopraffazione, tentarono, con ogni mezzo, di arretrare all'Isonzo il confine patrio per strappare questo lembo di terra al territorio nazionale. Conseguì la sua seconda redenzione il 18 settembre 1947»
    — Monfalcone


    Monumenti, Musei e luoghi d'interesse



    Monfalcone vista dal satellite, a destra rispetto alla foce dell'Isonzo
    La Rocca, di origine medievale, deve tuttavia il suo aspetto attuale alle profonde ristrutturazioni ed ampliamenti realizzati dai veneziani nella prima metà del XVI secolo. All'interno è sistemata l'esposizione speleologica permanente del Museo della Rocca di Monfalcone


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    Parco Tematico della Grande Guerra (trincee e cavità visitabili)

    l Parco Tematico della Grande Guerra si estende su una zona aspramente contesa nei primi due anni del conflitto (la cima più alta e orientale, quota 121, fu conquistata e perduta ripetutamente da entrambe le parti). I suoi sentieri, in buona parte coincidenti con i sentieri CAI, si snodano tra il versante sud e quello nord delle colline orientali monfalconesi attraverso numerosissime testimonianze: tra quelle da poco risistemate allo scopo di renderle visitabili si segnalano la zona di quota 121 (detta anche cima di Pietrarossa o Golas), il sistema difensivo posto sulla retrostante sella di quota 85 e la stessa quota 85, dove si trova una sorta di promenade affiancata da cippi commemorativi e focalizzata sul monumento a Enrico Toti; poi, più a ovest la Grotta Vergine, la trincea Joffre, altre trincee e asperità naturali adattate a scopi protettivi e difensivi da parte dell’esercito italiano.


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    Zona carsica


    chiesa
    Duomo di Sant'Ambrogio



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    Chiesa del Rosario



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    Santuario B. V. Marcelliana



    Chiesa di San Nicolò


    piazza
    Piazza della Repubblica






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    Eventi

    Carnevale monfalconese del martedì grasso, in particolare la cerimonia de "La Cantada", che si svolge alle ore 12:00 in Piazza della Repubblica con il notaio Toio Gratariol (interpretato da Gian Carlo Blasini, presidente della Pro Loco premiato dal Comune nel 2010 con i sigilli della Città) e sior Anzoleto postier (Orlando Manfrini), seguita alle ore 14:00 dalla grande sfilata dei carri con 3000 figuranti alla presenza di oltre 30.000 persone. Organizzazione Pro Loco Monfalcone
    "Ridendo la Cantada" Spettacolo teatrale comico dialettale della Compagnia “Quelli di Ridendo la Cantada” ideato e diretto da Gian Carlo Blasini, in scena da oltre 20 anni al Teatro Comunale il Giovedì Grasso e Venerdì. Organizzazione Pro Loco Monfalcone


    scimmie

    Scimmie in Gabbia - Festival dei nuovi linguaggi urbani. Manifestazione che si svolge dal 2002 promuove la cultura Hip-Hop, la musica balcanica, elettronica, rock e reggae. Ad agosto-settembre , organizzato dall'Associazione Culturale Scimmie Bisiache
    Absolute Poetry - Cantieri Internazionali di Poesia, (giugno) festival di poesia che si svolge dal 2006.

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    Festa del vino, nella settimana che comprende il 13 giugno (S. Antonio), con mostra e degustazione di vini regionali, italiani ed esteri, chioschi gastronomici, spettacoli e concerti in piazza. Organizzazione Pro Loco Monfalcone
    Fiera di San Nicolò il 5 dicembre.
    CantaFestival de la Bisiacaria, concorso canoro dialettale. Organizzazione Pro Loco Monfalcone
    Festa del bosco in occasione della festa patronale della Madonna della salute il 21 novembre. Organizzazione Pro Loco Monfalcone





    da: wikipedia
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    Poffabro


    Poffabro (Pofàvri in friulano standard e in friulano occidentale) è una frazione del comune di Frisanco (PN). Sorge a 525 metri di altitudine in Val Colvera, nelle prealpi carniche.

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    Storia

    In età romana passava la strada che da Julia Concordia si inoltrava nelle Alpi. Il borgo è famoso per la sua architettura rurale, con le tipiche case in pietra dai ballatoi in legno, tanto da essere considerato uno dei cento borghi più belli d'Italia.
    Nel 1663 la chiesa campestre di Poffabro, dedicata a San Nicolò, diventa autonoma dalla pieve di San Mauro di Maniago.

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    Prafabrorum, prato dei fabbri è menzionato in una sentenza del 1339, un documento del 1357 riporta notizie sulla decima di Pratum Fabri che il signore di Maniago lasciò in eredità al figlio, nel 1810 con il decreto napoleonico diventa frazione di Frisanco. Nel 1976 il terremoto di maggio lascia grandi ferite in paese.


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    Monumenti e luoghi d'interesse


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    Simbolo della innegabile fede del territorio, espressa anche dalla sua imponenza rispetto a quella degli altri edifici, la fisionomia dell'attuale chiesa si definì già nel XVII secolo, anche se fu spesso soggetta a restauri e rifacimenti, dovuti ai frequenti terremoti, puntualmente riportati nei registri parrocchiali.


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    CHIESA S.NICOLO'


    - S. Nicolò a Poffabro è prima di tutto un "segno", la traccia di un'innegabile e forte fede: le sue dimensioni, anomale rispetto a quelle del resto degli edifici del paese e la maestosa facciata bianca sormontata da un mosaico che raffigura il santo patrono, parlano di centinaia di fedeli che la frequentavano con assiduità. Fortunatamente l'archivio parrocchiale è ricco di libri di spese e rendiconti che ne rendono facile la datazione. Nel secolo XIV già esisteva un piccolo edificio, costruito a detta dei camerari sopra un analogo luogo di culto preesistente. Il sito, sopraelevato rispetto alla piazza, era stato dunque scelto fin dalla nascita del primo nucleo abitativo di Poffabro: e ciò è testimoniato anche dal ritrovamento di scheletri sotto al pavimento della chiesa, probabilmente i resti dei primi sacerdoti che l'ebbero in cura. Nell'archivio vescovile di Concordia, poi, si conserva un documento che narra della visita del Vescovo il 18 settembre 1587 alla chiesa di "S.ti Nicolai di villa Pofavru", all'epoca ancora sotto la pieve maniaghese (da cui si separò nel 1663). Della visita rimangono gli "ordini" che il presule impartì: l'ampliamento dell'altare e delle chiese, l'imbiancatura dell'edificio, la necessità di maggiore illuminazione. La fisionomia attuale della chiesa si delineò già a fine Seicento, ma fu spesso oggetto di restauri e rifacimenti riportati con la massima precisione nei registri, a causa di frequenti scosse di "taramoto". Da Concordia giunsero anche calici, lampade e perfino collane in vetro per la Madonna, che andarono ad aggiungersi agli sforzi sostenuti dalla popolazione che si autotassò per l'acquisto degli arredi e paramenti. Grandi nomi della pittura e dell'architettura diedero, in tempi diversi, il loro contributo: la portella del tabernacolo fu dipinta nientemeno che da Gian Antonio Guardi (ora è conservata nel museo della curia a Concordia), della facciata se ne occuparono i famosi architetti Raimondo e Girolamo D'Aronco e buona parte delle straordinarie sculture in legno si devono a Giacomo Marizza, poliedrico artista locale, celebrato anche da Armando Pizzinato in un suo volume fotografico "Poffabro luogo magico".


    Santuario della Beata Vergine della Salute
    Eretto nel 1873 a Pian delle Merie in forme neoclassiche.

    Capitelli votivi
    Diversi sono i capitelli votivi sparsi sul territorio, esigenza devozionale, legata a episodi singolari.


    Architetture civili

    Secondo il pittore Armando Pizzinato, il paese è l'esempio di architettura spontanea più fantasiosa e razionale delle Prealpi. La bellezza del borgo risiede nell'assenza di palazzi e nella semplicità di pilastri, scale, ballatoi e archi in sasso in armonia con la natura.


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    La Torre

    Il campanile di Poffabro non è tutta opera dei suoi abitanti. Dagli antichi avi sappiamo solo che la grossa costruzione terminava a forma di piramide e ad un certo punto troncata da un tremendo terremoto. Dall'archivio parrocchiale abbiamo trovato registrato un forte terremoto chiamato di S. Pietro perché accaduto il 29 giugno 1873. La piramide non è stata più rifatta. La signora Bruna Moras, residente a Porcia, ma originaria poffabrina, ci ha fatto avere, gentilmente, fotocopia della mappa del Friuli occidentale. Su questa è segnato Poffabro con una torre e dalle ricerche di Tito Miotti su "Castelli del Friuli, volume 4: Feudi e Giurisdizione del Friuli occidentale" abbiamo la conferma. Ringraziando la signora Bruna trasmettiamo le ricerche del signor Miotti su ciò che è di nostro, arricchendo la nostra cultura e storia. Le torri servivano a comunicare con i castelli mediante segnali di fumo e venivano costruite in luoghi secondo la visuale della curva delle montagne. La nostra era in via diretta con il castello di Meduno, Toppo, Travesto, lungo la pedemontana. Da una supplica inviata a Venezia tramite il luogotenente di Udine, da parte dei nostri antenati, datata 1597 per essere considerati sugli aggravi fiscali, si legge sui fogli stampati dei vecchi libri: "Comun di Frisanco" "...Siamo sottoposti alla custodia con la propria vita dai passi e confini di queste montagne siccome abbiamo fatto al tempo di guerra..." Ecco il perché della torre, doveva essere il posto di segnalazione in caso di pericolo.
    Non ci è stato possibile identificare una conta, ma riteniamo che il campanile della parrocchiale dedicata a San Nicolo, asimmetrico rispetto al luogo di culto e da esso staccato, sia sorto come torre di vedetta. Ha mura con spessore di mt. 1,30 alla base, è costruito con belle pietre squadrate e corsale, è alto una ventina di metri ed è evidente che la cella campanaria gli è stata sovrapposta, forse nel secolo XVII ma non prima. Ha forma quadrata e la scarpatura alla base porta ciascun lato a mt. 6,40. L'altissima muraglia, che sostiene il terrapieno su tre lati dell'attuale chiesa è, a nostro avviso, molto più antica della chiesa stessa; per realizzare il piano delimitato dalla muraglia, dati i mezzi del tempo, deve essere stato compiuto un lavoro enorme. Da un cunicolo esistente alla base della muraglia risulta che il suo spessore si avvicina ai 2 mt. Resta per noi un mistero il motivo di un simile sbancamento di terreno quando la chiesa poteva venire costruita in altra sede con lavoro molto meno impegnativo. Ne vi è da pensare che qui vi fosse una centa perché su tre lati era indifendibile. (A.T.)

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    Produzione di oggetti in legno e vimini, gli scarpets sorta di pantofole in velluto. Da non perdere nel periodo natalizio la visita agli originali presepi preparati per le festività in tutto il paese.

    Cucina


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    Cucina povera, un tipico piatto è il frico, formaggio fritto in padella.

    Ricetta


    da Wikipedia
    da: natisone.it
    foto web



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    Statua al campanaro Bepi Titin

    BEPI TITIN



    (di Lorenzo Padovan)

    Solitamente i monumenti ricordano grandi condottieri, personaggi storici, amministratori e preti: gente che ha fatto la storia delle nazioni. A Poffabro di Frisanco, invece, ne è stato recentemente inaugurato uno che ritrae semplicemente il campanaro del paese. Si tratta della statua dedicata a ricordare la memoria di Bepi Titin campanaro, indimenticabile sagrestano della parrocchia di Poffabro, un personaggio di qualche lustro fa.

    Proveniva da una famiglia molto povera che viveva con grande dignità con quel poco che poteva permettersi e seppe ben presto conquistare il cuore dei suoi compaesani con le sue doti di bontà e umiltà, di pazienza e gentilezza. La miseria in cui era nato e cresciuto gli aveva insegnato ad accontentarsi del minimo indispensabile ed aveva forse contribuito a creare quel legame di grande affetto che lo univa alla sua famiglia. La fumosa cucina della sua casa era un po’ il ritrovo dei compaesani: lì si godeva della compagnia e dell’allegria di Bepi Titin, nonché dei suoi racconti. La sua "s" trascinata era inconfondibile e strappava un bonario sorriso in chi lo ascoltava, così come lo distingueva anche la sua caratteristica andatura: lento e un po’ goffo, gerla in spalla girava per i borghi e si fermava a salutare tutte le famiglie dalle quali era coccolato e sempre ben accetto.

    Era analfabeta, ma ricordava perfettamente gli onomastici di ognuno e si recava nella casa del festeggiato per fare gli auguri con un mazzolino di fiori di prato, a volte anche un poco appassiti, ma che venivano sempre accettati con gioia. Bepi andava molto fiero del suo lavoro: era per lui un vanto essere l’unico ad avere l’importante compito di custodire le campane. Nelle notti estive di temporale si precipitava fuori di corsa, scalzo e senza ombrello, per far suonare le campane in modo da rompere le nuvole con il loro suono per impedire che la grandine rovinasse il lavoro di quegli uomini che avevano lavorato i campi e coltivato la vite.

    Oltre alla custodia delle campane della chiesa di Poffabro si occupava, insieme ai suoi fratelli, di tenere in ordine il cimitero del paese.

    Quando si recava in chiesa indossava gli abiti "della domenica" con tanto di cravatta e faceva il segno della croce più e più volte, diceva, anche per coloro che non lo facevano mai.

    Tutti ricordano la sua proverbiale puntualità: alle otto precise, per ben venticinque anni, ha caricato le lancette dell’orologio del campanile. La sorte, ironica e beffarda, ha voluto che Bepi Titin morisse proprio lo stesso giorno in cui vennero elettrificati le campane e l’orologio della chiesa di Poffabro. Il funerale fu grandioso, con sette ghirlande di fiori, una per ogni borgata, a testimonianza della sua popolarità e dell’affetto che la gente nutriva per lui.

    Per ricordare questo personaggio caratteristico della Val Colvera, da circa due mesi è stata sistemata, nella piazza antistante la chiesa di Poffabro, una bella statua, opera gratuitamente realizzata dallo scultore e pittore Antonio Roman, che ritrae il Quasimodo di casa nostra con la sua inseparabile gerla.

    Le gesta di Bepi Titin sono anche narrate nella recente pubblicazione "Val Colvera, uomini e storie" di Angela Tramontina, a cura di Anna Vallerugo.

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    Poffabro ha un nome famoso!


    Quel corso storico nero: guerre, invasioni e conseguenze, è già dimenticato. Il paesino sperduto, sconosciuto, destinato a scomparire come tanti borghi montani perché i loro abitanti sono sparsi ovunque nel mondo causa la terra avara, è rinato! Ora vive i suoi anni di. gloria: ha il vanto di essere scelto, classificato tra i trenta borghi più belli d'Italia. Le vecchie pietre enormi, salde, ornamentali delle antiche case, sembrano presentarsi e dire: "SIAMO VIVE! Conserviamo il ricordo di tanta gente vissuta con noi, custodiamo la loro cultura, storie belle e brutte, tradizioni di decenni e decenni. Sono un accumulo di cose le une sopra le altre, raccolte in silenzio; nascondiamo, per modestia, quel passato di gente laboriosa adattata ad ogni situazione con tanta fede e rassegnazione". Non c'è più silenzio nelle sue stradine lastricate, in mezzo a quell'intreccio di case, ma un vocio gioioso di meraviglia. Se quei ballatoi di legno di castagno, vedendo gli occhi dei visitatori alzarsi e sorridere con compiacenza e cortesia, potessero parlare direbbero: "BENVENUTI! Sì siamo unici al mondo, costruiti dall'esigenza, scaturiti dall'intelligenza dei nostri figli. Tanti sono passati, tanti sono ancora vivi, ma si ricordano di noi". Poffabro ha qualità impagabili, rimasto intatto con i suoi pochissimi veri poffabrini, ma ripopolato da altra gente, degna della sua bellezza, attirata dal suo fascino. E la notte dei Santi, cioè il primo novembre, non ha più solo le anime dei suoi tanti defunti, che accompagnati dalla processione dal cimitero alle proprie case, dove han trovato una pulizia accurata ed i secchi pieni d'acqua come voleva la tradizione antichissima e conservata fino ad oggi: ha anche persone vive che gli danno vita. Viene ammirato in ogni suo angolo e tutti apprezzano quella Chiesa addossata alla montagna in cima all'enorme gradinata. Pensano sì ai sacrifici enormi a costruirla, ma in modo particolare al senso del bello posseduto dalla sua gente, alla sua fede, al dovere di dare a Dio ciò che è di migliore, nonostante le loro ristrettezze. Poffabro è giudicato un presepio incastonato come pietra preziosa tra le rocce del suo Raut e da qualche anno lo hanno adornato di tanti presepi. Ogni buco, ogni finestrella ne conteneva uno. Anche quest'anno, Natale 2002, il numero è stato di 90, presepi grandi e minuscoli, uno diverso dall'altro. La fantasia dei compositori si è sbizzarrita in modo incredibile, ha dimostrato buon gusto, senso della creatività, gioia di lavorare e amore per il paese. In Chiesa, due per ogni altare, hanno attirato tanta gente dopo la visita a quelli del paese. I lumini accesi hanno supplito all'energia elettrica per il grande numero. Poffabro ha interamente cambiato volto! Un grazie infinito a tutti i collaboratori. Io sono una sua figlia e... ti voglio bene paese mio!

    (Angelina Tramontina)

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    Piace a tutti il paese di Poffabro:
    "Presepe tra i presepi"


    Cinquantamila visitatori in pochi giorni: "Poffabro presepe tra i presepi", entrata così di diritto tra le manifestazioni natalizie di punta di tutta la regione. Un numero elevatissimo per un paese di circa duecento anime, un esito positivo come mai era successo neanche nelle più fortunate edizioni di Paesi Aperti -il gemellaggio culturale e gastronomico tra i Comuni di Frisanco e di Andreis che si tiene la prima domenica di settembre- raggiunto a colpi di diecimila visitatori al giorno il 26 e 28 dicembre e il 1, il 5 e 6 gennaio. Organizzatori in visibilio, dunque, che si vedono piacevolmente "costretti" a rimandarne la chiusura a sabato 18, giorno in cui saranno anche consegnati gli attestati a chi ha allestito le quasi novanta composizioni natalizie. Soddisfatti anche gli abitanti, che vedono così un lungamente atteso riconoscimento delle bellezze dell'antico borgo, letteralmente invaso nei giorni a cavallo del Natale da una folla numerosissima, che si è sparsa tra le viuzze del paese dal mattino fino alla sera più inoltrata, quando gli ottantacinque presepi illuminati esposti nelle antiche corti godono di una ancor maggiore speciale magia. Nulla è riuscito a fermare i turisti, nemmeno la distanza fra le vie dei presepi e i parcheggi: invasi fino dal primo pomeriggio quelli del centro, tutti si sono adattati di buon grado a lasciare l'auto lungo la strada del campo sportivo e le vie Bertoli e Maniago (addirittura fino a Frisanco e alla località Colvere) "scarpinando" volentieri - visto anche il clima favorevole - fino al cuore dell'antico paese. Del resto lo spettacolo ne vale la pena: i presepi cambiano, infatti, di anno in anno e alle composizioni tradizionali in terracotta o legno se ne affiancano altre con ambientazioni locali o fantasiose di grande effetto. Senza contare poi che ora a Poffabro gode di una "qualifica" speciale: l'ingresso nella rosa sceltissima dei "Più bei borghi d'Italia", le trenta perle della Penisola selezionate da una speciale commissione e vale quindi comunque una visita.

    (Anna Vallerugo)

     
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