FRIULI VENEZIA GIULIA ... 1^ Parte

..TARVISIO..UDINE..TRIESTE..

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  1. gheagabry
     
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    "Talvolta città diverse si succedono
    Sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome,
    nascono e muoiono senza essersi conosciute ,
    incomunicabili tra loro"
    Italo Calvino, Le città invisibili



    Vi è una città, la più meridionale dell'Europa del Nord "un luogo che coniuga la suggestione mediterranea con l'atmosfera di forme tipicamente nordiche".
    E' ............



    TRIESTE



    «Si si, xè Trieste»
    "Il primo impatto con la città giuliana è un dialogo che si consuma in una carrozza della seconda classe, lentamente, ci si avvicina a questa città ai confini nord-orientali di un’Italia che appare sempre molto più lontana, diversa, altra. Ancora prima di scendere dal treno ti accoglie un idioma sconosciuto che ti classifica come foresto, uno di fuori, «uno che parla in lingua» e non capisce nulla del dialetto locale. Ma se ti fermi ad ascoltare con attenzione capisci che quella parlata, apparentemente così astrusa, trasmette, invece, lo spirito stesso della città: termini veneti che si mischiano con parole slovene, mentre il tedesco e il croato, rielaborati e adattati, fanno la loro saltuaria comparsa in alcune frasi. Un’unione che a volte sembra trasformarsi in scontro, ma che dona una singolare armonia alla parlata: questa è Trieste, terra di confine in cui i popoli si incontrano e scontrano da sempre, ma riescono a dare vita a un’originale atmosfera di complicità che raramente è riscontrabile in altre città italiane...la prima statua che si incontra è quella di Sissi, imperatrice d’Austria: sembra quasi un messaggio destinato ai foresti abituati ai classici busti di Garibaldi o Mazzini. Qui la Storia ha lasciato un segno diverso da quello a cui siamo abituati: i fasti dell’Impero Asburgico, di cui Trieste era il porto, riecheggiano tra i palazzi e le vie del centro e può succedere di entrare in un bar e scoprire che al posto delle fotografie di calciatori ci siano quelle di Francesco Giuseppe o i simboli della glorioso passato austriaco.
    Trieste è una città impossibile da definire: il suo molteplice fascino di crocevia mitteleuropeo ha influenzato grandi scrittori come Italo Svevo, Umberto Saba e James Joyce.
    Trieste città di mare, ma diversa da ogni altra; città di confine, di palazzi, di storie di re e regine, di guerre e di etnie diverse che qui, quasi per magia, si uniscono in un delicato e armonioso connubio. Lo stesso che lo scrittore Italo Svevo aveva sublimato così efficacemente nel suo nome d’arte... Col mare che penetra nelle strade e nelle piazze.."



    Il nome di Trieste deriva da Tergeste. Così fu chiamata dai romani circa alla metà del I secolo la colonia romana che fu qui fondata...Il nome "Tergeste" consiste di due parole, che a loro volta derivano dal vecchio dialetto della regione: "Terg" significava mercato ed "este" significava città......la " città di mercato"


    Le origini della città di Trieste sono antichissime, tuttavia sono di modesta entità le tracce, giunte fino a noi, del suo più remoto passato....La leggenda vuole che anche il mitologico eroe greco Giasone, alla ricerca del “vello d’ora“, sbarcasse con gli Argonauti alle foci del Timavo. Un bosco sacro, alle pendici del monte Hermada, sarebbe inoltre dedicato agli eroi Antenore e Diomede.
    Nel 50 a.C. circa, il piccolo borgo di pescatori divenne colonia romana ed il nucleo abitativo venne cinto da forti mura e, successivamente, arricchito di importanti costruzioni quali il Foro ed il Teatro, i cui resti sono visibili ancora oggi sul colle di S.Giusto.
    A partire dall’inizio del III secolo d.C., l’urbe tergestina fu ripetutamente travolta dalle invasioni barbariche e soltanto a metà dell’800, quando il vescovo Giovanni acquista da Lotario, re dei Franchi, il potere sulla città cominciò una fase storica caratterizzata da maggior stabilità.
    Trieste riuscì ad affermarsi come libero comune appena nel 1300 ma, nel momento in cui venne nuovamente minacciata la tanto sospirata autonomia, la città, nel 1382, si pose spontaneamente sotto la protezione di Leopoldo III d’Austria, instaurando il lungo e fecondo rapporto con la dinastia asburgica.
    Il passaggio alla Trieste moderna avvenne nel 1719, quando Carlo VI decretò, con un editto, la libertà di navigazione, aprendo così le porte al commercio e assegnando alla città il privilegio di Porto Franco. Successivamente, sotto Maria Teresa e Giuseppe II, i benefici concessi alla città accrebbero i già prosperi traffici, attirando la contempo persone di varia provenienza e creando così quel cosmopolitismo che ancora oggi si ritrova nei luoghi di culto, nel dialetto e nei cognomi stessi dei triestini. Il vecchio borgo, all’interno del perimetro medioevale, non bastò più ad accogliere gli abitanti, il cui numero, in poco tempo, si era notevolmente accresciuto e, conseguentemente, la città si espanse guadagnando terreno sul fronte mare e collegando progressivamente i vari colli che si protendono a ventaglio dall’interno verso la costa.
    Nell’ ‘800, in un clima di prosperità generale, vennero fondati i grandi gruppi assicurativi, le compagnie di navigazione, si sviluppò la Borsa e crebbe la produzione artistica e culturale. La crescita della città, da un lato ne fece uno dei centri più importanti dell’allora impero asburgico, dall’altro ne rafforzò il sentimento di italianità, sia culturale che politica.
    Il ritorno all’Italia, così lungamente atteso, avvenne nel 1918, in un tripudio tricolore, ma tale annessione retrocesse Trieste al ruolo di “porto qualunque”, avendo perso, una volta svincolata dal contesto mitteleuropeo, la sua unicità.
    Il secondo conflitto mondiale comportò la perdita delle terre della penisola Istriana, passate alla neocostituita Jugoslavia. Solo nel 1954, con la firma del Memorandum di Londra, Trieste e il suo entroterra furono definitivamente restituiti all’Italia.



    ...luogo dell'anima....


    Da più di un secolo, scrittori di varie nazionalità hanno avuto Trieste come “luogo dell’anima”, da Rainer Maria Rilke che proprio durante il suo soggiorno al Castello di Duino, ospite della bisnonna principessa Marie von Thurn und Taxis, nel 1912, iniziò a comporre le famose Elegie Duinesi, a Richard Francis Burton che, in epoca asburgica, visse i suoi ultimi 18 anni di vita a Trieste. Jules Verne scrive La congiura di Trieste e descrive vie e giardini di questa città con estremo realismo.
    Jan Morris (Trieste o del nessun luogo), scrittrice gallese, lasciata Trieste subito dopo la ricongiunzione all'Italia, ha scelto di raccontare il genio della città evocando il fascino indefinibile che esercita sui viaggiatori, l'enigma che si cela dietro la sua compostezza, una città in nessun luogo, un luogo dove ciascuno è libero di vivere senza costrizioni, di scoprire la propria identità più autentica.
    Ma sicuramente lo scrittore che tutti ricollegano al capoluogo giuliano è James Joyce.



    ....soffia la Bora.....


    C' è il vento e c' è la bora. Il vento, dice Stendhal, è quando «si è costantemente occupati a tenere stretto il cappello». Bora è quando «si ha paura di rompersi un braccio». La bora desertifica strade, affonda barche, scoperchia case, rovescia treni, sradica alberi, sbriciola tegole e staccionate, trasforma i moli in banchisa e gli alberi in foreste di cristallo, prende di petto gli aerei e li fa atterrare da fermi come aquiloni. Quand' è gentile, si limita a rubare cappelli, a far volare ombrelli, alzare gonne e gonfiare pastrani. Così succede che quando torna, lei non si limita a rimettere le cose a posto, come ha fatto ieri, chiudendo i conti con uno schifoso autunno monsonico. Fa di più: racconta una leggenda.....Arriva improvvisa....scende dai ripidi pendii di montagna sul mare come se non avesse il tempo di fermarsi o come se volesse sorvolare il mare e andare in altro luogo. È capricciosa, soffia con buffi improvvisi a intervalli, c’è chi la ama, chi ne fa il simbolo di una città intera e chi, quando arriva, si rifugia nei caffè per non cadere tanta è la forza e la sua violenza.
    Nel 394 l' imperatore romano d' Oriente, Teodosio, battè l' usurpatore d' Occidente Flavio Eugenio e poté riunificare per pochi mesi l' impero, grazie al vento che venendo da dietro raddoppiò la portata dei suoi giavellotti. Vinse il buon Teodosio, e gioì, ma quella stessa bora lo uccise poche settimane dopo, con una polmonite presa sul campo di battaglia, nella valle del Vipacco, sulla storica soglia di Gorizia dove da millenni si scontrano i popoli e i venti. Che storie. Come quella di Fouché, il fosco poliziotto di Napoleone che a Trieste concluse la sua esistenza terrena e la cui bara fu rovesciata con il carro per una raffica di bora e neve. Fu così che, in una sera tempestosa, l' ex ministro della polizia napoleonica, l' uomo disprezzato da tutti, «scese tra le ire del cielo nei riposi eterni della tomba». Succede così, la bora è la bora. «La bora - scriveva Scipio Slataper - è il tuo respiro, fratello gigante». Essere triestini non è solo un' origine geografica. è una categoria dello spirito. I triestini sono una razza inquieta di esploratori di bettole e grandi spazi aperti. In entrambe le direzioni, la bora dà loro la spinta determinante, li obbliga a trovar rifugio al chiuso di una taverna piena di fumo, ma li invita anche al viaggio, ripulisce l' orizzonte e lo propone come meta. «Quando vidi il mare pulirsi - racconta Scipio Slataper - e sentii fremere intorno a me l' aria, giungendomi alla pelle un piacevole frizzo e alle nari un fresco e leggero odore di sassi e di pini, allora capii cos' era. Nasceva la bora». è un vento solido, quasi liquido. è alta poche decine di metri. Si forma nel vallone fra Trieste e Lubiana,si comprime come un proiettile nelle lande sotto il monte Nevoso, poi se ti becca son dolori. Devi aggrapparti all' erba secca per non volare come un vecchio barattolo. Talvolta comincia con un ululo cupo e la pioggia, poi il fischio diventa una nota continua, sempre più bassa. Allora la temperatura scende, impercettibile, ma regolare. I friulani ne hanno paura, la chiamano «Vent sclàf», vento slavo, facendo del vento una metafora demografica, simbolo della massa nomade e bellicosa che preme sulle pianure padane e dintorni. Il poeta triestino Umberto Saba amò la bora scura, quella che spacca tutto col cielo nero. Odiò invece quella solare, artica. «Conosco la bora, chiara e scura, la detesto quando scende fuori misura con cielo sereno. Amo l' altra che ha una buia violenza cattiva». E aggiunse: «Io devo recuperare la bora / oppure qui affondare / nel mio paese natale / nella mia triste Trieste / nella mia Trieste triste / che amare è impossibile / e odiare anche». E Tomizza, il poeta istriano di «Materada». La bora, scrisse, «porta ognuno a ritrovare una parte di se stesso rimasta immutata dai giorni dell' infanzia, e nel contempo uguaglia tutti, rendendoli anche solidali fra loro, fedelmente attaccati a questo unico e composto margine di terra che ogni tanto, con la bora appunto, dichiara la sua assolutezza e la sua irripetibilità».

    PAOLO RUMIZ



    ......una leggenda triestina......



    La leggenda narra che in un tempo assai remoto nella rocca di Duino abitava un cavaliere malvagio che disprezzava la sua sposa gentile e virtuosa.
    Questa lo amava a tal punto da perdonargli tutte le offese e sperava di poter intenerire il suo cuore con parole amorevoli. L'uomo, invece, infastidito dall'atteggiamento della moglie, aveva escogitato un piano per ucciderla. Una sera l'attirò su una roccia stretta sotto le muraglie del castello per spingerla in mare. Esterrefatta la castellana volse lo sguardo al cielo, domandandogli aiuto. Un grido appena soffocato le uscì dalla bocca e rimase interrotto: nel suo grande dolore era rimasta pietrificata.
    Da quel giorno verso l'ora degli spiriti la Dama Bianca si stacca dalla roccia e comincia a peregrinare. Per tre volte appare e per altrettante scompare nelle cupe sale del castello. Passa attraverso le porte chiuse, vaga di sala in sala finché non ritrova la culla in cui un tempo dormiva suo figlio.
    Lì la Dama Bianca rimane in un silenzio profondo fino all'alba, quando, abbandonata quella culla, ritorna alla sua roccia, dove il dolore la trasforma nuovamente in pietra.
    Altri, invece, raccontano di un candelabro romano che si trova in una sala del castello e che ogni notte arde ed attraversa i saloni, mentre le porte si aprono da sole.
    È la Dama Bianca che lo regge quando, invisibile, vaga disperata per il castello.



    "Ho attraversato tutta la città.
    Poi ho salita un'erta,popolosa in principio, in là deserta,chiusa da un muricciolo:
    un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città.
    Trieste ha una scontrosa grazia.
    Se piace,
    è come un ragazzaccio aspro e vorace,
    con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore;
    come un amore con gelosia.
    Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
    o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
    Intorno circola ad ogni cosa
    un'aria strana, un'aria tormentosa,l'aria natia.
    La mia città che in ogni parte è viva,
    ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
    pensosa e schiva."

    Umberto Saba



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