DEA MADRE

...agli albori della mitologia

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    LA DEA MADRE








    "Tu sei la mamma anche della luna?" Mi chiese mio figlio, a due anni, in una notte di plenilunio, al mare, sotto il cielo stellato.
    Che gli astri nascano all'interno del ventre materno è un pensiero mitico, patrimonio dell'umanità bambina (ma non stupida) che immaginò una grande progenitrice del Tutto, immaginò che corpo e cosmo fossero della stessa sostanza...

    da: "Prima di Eva", Luisella Veroli, edizione Melusine


     
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    Le Quattro Forme dell'Antica Dea
    Di Anna Pirera, riflessioni su un testo di Luciana Percovich*






    La Dea assisa sul trono di Catal Huyuk, 6.000 a.C.



    All'inizio era la Dea

    Ricercare notizie sulla Grande Dea è un modo, per me come per molte di noi, di indagare la nostra identità.
    Nel nostro guardare indietro, lontano nel tempo, cerchiamo di guardare più profondamente in noi stesse e la forma che recentemente hanno preso gli studi archeologici con il lavoro di molte donne, la forma della mito-archeologia, dell'unione di archeologia e mito attraverso le ere è per me incomparabilmente affascinante. E mi accorgo che sempre più numerose sono le mie compagne di viaggio.
    Nel segno di questa ricerca vi propongo qui le quattro forme dell'Antica Dea individuate dalla Gimbutas e sintetizzate da Luciana Perkovich.
    E le propongo in una forma che è anche un racconto e in quanto tale sono consapevole che altre ricerche, altre autrici, altri punti di vista potrebbero raccontare una storia anche molto diversa **

    Dal Paleolitico al Nolitico il culto della Dea diffuso fra Europa, Medierraneo, Medio Oriente e India si sviluppa lungo quattro forme, quattro figure o funzioni cui sono associati segni, simboli ed iconografie chiaramente differenziate, come mostrano gli studi di Marija Gimbutas.

    La descrizione quadripartita della figura della Dea rende conto dello sviluppo storico della Grande Madre, dal Paleolitico in cui una sola forma sembra dominare in luoghi anche molto distanti fra loro al Neolitico in cui gli sconvolgimenti sociali e razziali determinati dalle invasioni di popolazioni di razza diversa, armate, composte da guerrieri a cavallo, portano ad una evoluzione, ad una differenziazione e ad una riflessione-comprensione della morte, della morte violenta e della rigenerazione; la morte che diventa ora centrale come fenomeno appartenente alla natura e anche come fenomeno da ricondurre nella natura a differenza del periodo precedente. Caratteristica infatti dell'epoca Neolitica è il farsi strada del "pensiero, quasi un'ossessione, della morte" che si sviluppa lungo linee, come vedremo fra poco, che ne differenziano livelli ed aspetti.

    Ma vediamo ora nel dettaglio le quattro forme individuate dalla Gimbutas:




    Fase Paleolitica e poi Neolitica: La Dea Madre, Dispensatrice di Vita

    Nota a tutti noi nella figura tipica della Dea gravida delle cosidette Veneri.
    Sono immagini scolpite nella pietra, o nell'osso, generalmente oggetti mobili di piccole dimensioni con le gambe rastremate, in modo da poter essere piantate nel terreno. Datano dal 30.000 a.C. circa in poi e ne sono state trovate centinaia nei diversi scavi archeologici. Gli elementi caratteristici sono curve e rotondità: i seni in rilievo, i glutei, il ventre gravido e la vulva (come nella Venere di Lespugue, qui raffigurata). Spesso la Dea è colegata ad animali simbolici quali l'orsa, la cerva, il daino, il bisonte con le sue corna e la giumenta. E' dunque la Dea generatrice di tutte le cose.

    Dominante è qui l'elemento acqua, "a indicare che la credenza prevalente era che tutta la vita viene dall'acqua" infatti ad essa vengono associati simboli acquatici, come lo zig-zag, linee ondulate o serpentine.




    La Dea della Vita continua ad essere raffigurata - chiamata a vivere - lungo i millenni successivi con le stesse caratterstiche.
    L'abbondanza delle forme si trova ancora nella sua piena maestà nella Dea del Parto di Catal Huyuk, che apre questa pagina.
    Per tutto il Neolitico sono diffussime le statuette di dee con le braccia che reggono i seni, da cui naturalmente sgorga il latte, nutrimento di VIta, come la Ishtar- Inanna raffigurata qui a fianco.

    La Dea come fonte di Nutrimento e Vita si evolve poi in seguito anche nelle figure della Dea Madre con figlio in braccio, tipica ad esempio di Iside e prototipo della seguente Madonna con Bambino.

    Fra gli animali che accompagnano la Dea ha avuto particolare importanza e fortuna nel tempo la Vacca Celeste o Mucca Sacra, che fra le altre forme ha preso quella di dea Hathor nell'antico Egitto, e il cui culto è ancora vivo e presente in India, dove le mucche anche oggi sono venerate e rispettate come incarnazioni della Madre.

    La Madre Antica è Una, Generatrice del Tutto e come tale anche inesauribile, costante. Un riferimento che senza variazioni marcate che attraversa secoli, millenni, uguale a se stessa, continuità di una visione del mondo che si trasmette di madre in figlia, di sacerdotessa in sacerdotessa, nello scorrere di tempi lunghi, costanti. E' indubitabile e immutabile come l'eterna. Ha uno sguardo uguale per tutto, è generosa e imparziale.
    Di lei non abbiamo racconti. Forse non ha storia, non ha miti di cui sia protagonista, "è" senza necessitò di agire. Emana, più che fare, genera per il solo fatto di essere.


    In un secondo tempo, nella fase Neolitica, alla Dea nella sua forma di pura generazione, si affianca la Dea Madre nella forma che poi è giunta a noi:



    "Iside seduta, che tiene sulle ginocchia il figlio, segna il definitivo passaggio dal simbolo steatopigio del corpo femminile, espressione della potenza creatrice allo stato puro (gravidanza, incubazione, farsi energetico e nascosto nel grembo/forno), al simbolo della maternità, dove il prodotto è venuto alla luce, ha preso le sembianze del figlio maschio che si è in-sediato sul suo grembo, che tra poco si trasformerà in astratto trono, su cui il potere maschile potrà sedersi da solo. Ed è questa diade madre/figlio che arriva direttamente a noi attraverso le figure della Madonna con figlio in braccio, ancora oggi l'immagine 'sacra' più comune, perché ancora viviamo in quell'aura culturale."

    La Dea Una è ora relazione, è madre di, accoglienza e nutrimento e l'uomo si percepisce figlio, tenuto in braccio, e la donna può essere figlia, o madre. La Dea entra nel visibile, nel manifesto.


    Fase Neolitica: le Dee del Rinnovamento, della Morte e dello Sviluppo


    Con il Neolitico siamo entrati in un altro momento della storia delle civiltà, un periodo storico di qualche millennio in cui avvengono molti cambiamenti radicali. La figura della Dea si arriccchisce di funzioni, volti e differenziazioni. La vita agricola e l'incontro con la guerra, la violenza e il predominio maschile di cui i popoli invasori sono portatori portano al confronto, a volte brutale, con la morte. La riflessione profonda sulla morte porta a scoprirne aspetti diversi. E porta la Dea al movimento, alla trasformazione, alle storie (e alla Storia). E la Dea entra nel mondo del fare, pur mantenendo la sua origine nell'essere.


    La Dea Ctonia della Terra che si Rinnova



    Entriamo nel "neolitico agricolo e sedentario, che sviluppa l'arte della ceramica. La madre ora è snella, e le sue storie si combinano con quelle delle prime forme maschili del Dio, rappresentato come spirito della vegetazione che ciclicamente nasce e muore...
    Connesso col ciclo dell'agricoltura, cioè all'alternarsi della stagione senza messi, della semina, della rinascita e del raccolto, prende piede un'immagine ctonia della divinità, nascosta, quella della Dea della vegetazione che si nasconde sottoterra, dove la vita cova, non vista, per poi riemergere. Questa visione è all'origine di diversi miti, da Inanna/Ereshkigal a Persefone e Core, fino alla morte e resurrezione di Cristo.
    Il figlio generato dalla madre è come la vegetazione prodotta dalla madre ctonia, da cui, per la Gimbutas, le prime rappresentazioni sacre del maschile....che poi diventerà il "re per un anno" che, alla fine del ciclo, deve essere sostituito - o rigenerato - per garantire nuove messi."

    Siamo dunque in quel mondo di pensiero che produrrà la figura in Egitto del re-faraone, figlio di Horus-Horus egli stesso (figlio della Dea Iside) che è garante con la bontà del suo operare della piena feconda del Nilo.

    E siamo nel mondo delle storie, dei miti. In questa, più che in altre forme della Dea, a contare è il racconto, spesso lungo e complesso, mentre le figure, le statue, le ceramiche e i bassorilievi, ci 'parlano' poco.
    E' anche, del resto, l'epoca delle grandi cosmogonie, in cui la creazione del mondo ha luogo attraverso più stadi, con l'intervento di molte figure e dei e dee. Cosmogonie che talvolta recano traccia dei venti di guerra che hanno travolto paesi e popolazioni, come nel caso di quella babilonese, in cui il giovane Dio dà 'creazione' al mondo smembrando il corpo della Grande Dea Tiamat (!).


    La Dea della Morte e della Rigenerazione




    "Alla fine del neolitico, nell'età del rame, quasi ormai nell'età del ferro, quando arrivano gli Indoeuropei compare una nuova associazione di animale con la Dea, quella dell'avvoltoio"
    Per la Percovich "è un passaggio ulteriore, in cui si fa strada una formulazione più astratta, più separata dalla naturalità del ciclo della terra."
    O forse è figlia di un incontro molto concreto con un diverso tipo di morte, una morte che è violenza e dominio e non più evento interno al ciclo della natura. Una morte che ora è un punto interrogativo da comprendere e da riportare, con riti e sepolture, nel ciclo della natura.
    La morte non è più 'ovvia' e diventerà l'ossessione per molti popoli, e per alcuni, come quello egizio, un'ossessione per la possibilità di 'dirigere' il viaggio oltre la morte.
    E la Dea della morte si sviluppa in tre linee principali:

    Da un lato la "Dea della Morte annuncia la morte, come passaggio per una nuova rigenerazione. Avvoltoio e corvo...e la più esplicita connessione tra l'avvoltoio e la morte era già raffigurata nelle pitture parietali dei santuari di Catal Huyuk..."

    "...altro simbolo ricorrente, la Dea civetta, anche questa frequentissima: la civetta è un uccello notturno, il cui canto che turba il silenzio della notte era ritenuto un annuncio di morte."

    La Dea annuncia la morte, protegge il viaggio nell'aldilà come testimonia la sua presenza, alata, all'interno dei sarcofaghi egizi. Non è una Dea che porta la morte, pittosto la preannuncia, rappresentandola, oppure scorta, accompagna, nel viaggio oltre.

    Nelle tombe si ritrovano statuette di Dee magre, rigide, schematiche, dagli occhi rotondi, bianche. Dee della morte che personoficano la morte, ne trasmettono l'energia, la natura. Una morte, verrebbe da dire ,"morta", che non dà segno di eventuale futuro rinnovamento, non di vita, perlomeno. Se rinnovamento ci sarà. sarà su altri piani, a raggiungere le stelle, come per gli egizi, appunto.






    Da un altro lato "associate con la Dea compaiono ora le zanne di cinghiale, che hanno il potere di uccidere, perchè il cinghiale è uno degli animali pericolosi, uno degli animali che uccidono: Osiride viene ucciso da un cinghiale così come Attis."

    "Si sviluppa la raffigurazione della Dea della Morte, che ha bocca larga, zanne e talvolta la lingua pendula, come nelle Gorgoni greche, che erano simboli terrificanti e avevano il potere di trasformare gli uomini in pietre... forse i simboli della Gorgone e della Medusa furono elaborati in risposta all'impatto dei guerrieri a cavallo venuti dalle terre di nordest: quando Teseo tagliò la testa della Medusa, crollò una delle ultime difese dell'antica visione del mondo."

    E' la Dea che dà la morte, terribile, talvolta ancora alata, spesso con denti di cinghiale, quella Dea assetata di sangue che è ancora viva oggi nella figura di Kali in India. E', forse, la Dea furiosa per gli oltraggi subiti, per la violenza entrata prepotentemente nel vissuto di popolazioni dall'indole pacifica, la Dea che giunge alla sua forma di furia estrema, come nel caso di Kali, appunto, per frontegggiare nemici troppo forti.

    Da ultimo la Dea della morte prende la forma del Grande Corpo della Dea, in cui è possibile tornare con la morte, e in cui i corpi vengono sepolti. Si tratta delle innumerevoli forme di sepolture in cui viene ricostruito un ventre dove i morti vengono deposti.




    "I templi megalitici di Malta (3.000 a.C.), le tombe a corridioio... sotterranee, a volte scavate dentro una lieve collina... spesso intorno alla collina scorre un torrente, e in cima alla collina è posta una pietra, l'ombelico... "




    La Dea come Energia e Sviluppo




    Per la Percovich è una formulazione più astratta e spirituale della Dea come Dea della Nascita e della Morte, anche se, anche qui, appaiono a mio parere segni concreti di potere e dominio che rimandano a funzioni anche terrene.


    Fra i simboli, troviamo "corni o falci di luna, che molto spesso sono interscambiabili, semicerchi a u, ganci, asce, itifalli... e naturalmente l'immagine del serpente ripetuta infinite volte: spirali e serpente a confondersi una nell'altro..." Come nella Dea serpernte cretese, raffigurata qui accanto.

    "Poi ancora vortici e croci, tutti segni che indicano il dinamismo della natura. Lo chevron, cié la v doppia, una v dentro l'altra, le x, il triangolo, sia con la punta in su che con la punta in giù, il rombo, l'occhio, anche la forma stilizzata delle mammelle, la zampa di uccello sono simboli assai frequenti sul vaselllame, sulle ceramiche e sono tutti interpretati come simboli del dinamismo della natura, associati con l'acqua o con le forme in movimento, simbolo di energia."

    Una categoria vastissima, in cui si possono riconoscere moltissime figure della Dea nel suo potere, tutto femminile, di mutamento e trasformazione la cui forma nel corpo femminile è quella del ciclo mestruale, forse il ciclo naturale più vicino per noi oggi, abitanti in un mondo dove la differenza delle stagioni per chi abita in in città è sempre meno sensibile.

    E dalle prime quattro forme, dalle prime quattro linee si diramano poi quelle che condurranno alle molteplici figure - non più una dea dalle molte funzioni, come era ancora nel neolitico - ma molte dee, ricche di storia, di miti, di fare. Dee troppo spesso subordinate a dei e comunque sempre nel fare che le allontana, a volte dalla semplicità dell'essere, come dicev,o della Grande Madre.
    Molto è guadagnato, in ricchezza e varietà, ma qualcosa è andato perduto, un mondo essenziale che non è solo dimenticato, è anche, e soprattutto, sconfitto.
     
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    GAIA





    Si può avere la certezza di affermare che qualcosa è esistito prima di Gaia, la Terra?
    Difficile immaginarlo, in quanto la nostra mente e i nostri sensi si intrecciano in modo irrevocabile con tutte le esperienze di vita che accumuliamo su questo pianeta. La bellezza di questo emisfero verde e azzurro, popolato da innumerevoli specie di animali, piante e altre forme di vita presenta una magnificienza tale da garantirgli rispetto e protezione.

    Il mito
    Gaia è il nome della Dea attraverso cui gli antichi Greci onoravano la Terra.
    In base a questa credenza, Gaia, fecondo ventre cosinico scaturito dal primordiale spazio interstellare noto con l’appellativo di Caos, sarebbe esistita prima di qualsiasi altra forma di vita. Gaia ha generato il cielo, da lei battezzato Urano, affinché le tenesse compagnia e facesse l’amore con lei.

    Il cielo che si protendeva al di sopra della Terra ha creato molti figli nle grande ventre di Gaia, ma Urano, temendo che la loro forza potesse essere superiore a a sua, ha proibito a Gaia di partorirli.
    Nondimeno, a Cronos, il Tempo, il più forte dei suoi figli, Gaia donò una falce fatta con un materiale duro come l'acciaio e simile al diamante: con essa Cronos avrebbe reciso i genitali di Urano ponendosi all'entrata del ventre materno.
    Ciò ha permesso a Gaia di creare tutti gli dèi e tutte le dee dell'antica Grecia.

    Presso il celeberrimo tempio innalzato a Delfi in suo onore, si recavano le sacerdotesse che gettavano manciate di erbe sacre all'interno di un calderone, ricorrendo al fragrante fumo che ne scaturiva per invocare l'eterna saggezza di Gaia.
     
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    grazie special ghea..pusaaa
     
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    CERERE



    Il suo nome deriva dalla radice indoeuropea ker e significa "colei che ha in sé il principio della crescita".
    Prima dell’adorazione di Cerere come versione italica della grande dea greca Demetra, essa aveva senza dubbio un propia identità e leggenda.
    Ma oggi rimane soltanto una Dea ellenizzata a cui viene attribuita la storia di Demetra.

    “rendete propizie le madri della coltivazione, Tellus e Cerere”,
    così cantava Ovidio al suo pubblico romano.

    In tal modo il grande poeta distingueva le due principali Dee della terra di Roma: Tellus era la stessa terra, il ricco suolo scuro in attesa del seme; Cerere invece era la personificazione della forza della crescita vegetale.
    Per comprenderne il significato originario possiamo analizzare il suo nome, che ha la stessa radice del termine “creare” e possiamo studiare il suo rituale.
    Era celebrata ogni 19 aprile (altre fonti attestano il 12 aprile) nelle “Cerealia”, con discutibili riti e sacrifici che avevano la funzione di proteggere la crescita delle messi nonché assicurare un raccolto abbondante dovuto allo splendore del sole.
    Comunque sia è evidente il collegamento tra cerere e un buon raccolto. Si pensava che avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi e per questo veniva solitamente rappresentata come una matrona severa e maestosa, tuttavia bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di frutta nell'altra.
    Ma la dea della crescita doveva presiedere anche alla sua inevitabile fine. Così cerere, una dea del munifico agosto, mese in cui le donne celebravano dei riti segreti in suo onore era anche a dea della morte delle piante che le rende commestibili e della morte degli essere umani che li fa ritornare alla mater tellus, la terra.


    il cerchio della luna

    DEMETRA






    L'archetipo

    Demetra rappresenta l'energia materna per eccellenza, la vera nutrice e protettrice dei giovani e vulnerabili. Non necessariamente è la madre biologica delle sue creature, poichè sa nutrire con pari amore anche amici, conoscenti e compagni, che in lei vedono la buona madre sulla cui spalla si può piangere. Il suo senso protettivo e la sua determinazione nel difendere sono leggendarie, come l'orsa che protegge il suo cucciolo. Il suo limite consiste nell'identificarsi nel solo ruolo di madre e nella difficoltà a lasciare andare le sue creature.
    La donna che incarna l'archetipo Demetra ha bisogno di comprendere che, come la natura con il ciclo delle stagioni insegna, il cambiamento è parte del ciclo naturale delle cose, e resistere ad esso significa solo ristagnare.
    La Dea della fertilità può essere madre di tante creature, di un figlio, di un animale, di un opera d'arte o di un progetto creativo. Ma qualsiasi sia l'oggetto del suo amore, deve imparare a lasciarlo andare, affinchè a sua volta segua il suo percorso.


    Il Mito

    Antica Dea greca della natura e delle messi, simbolizza l'energia materna archetipica.
    Dea di fertilit, presiede al ciclo naturale di morte e rinascita.
    Figlia di Rea e di Crono, Demetra è sorella maggiore di Zeus, con cui concepì l’adorata figlia Persefone-Kore.
    Ma un giorno Persefone, fresca come un fiore, scomparve e sua madre non riuscì a trovarla da nessuna parte. Piangente, Demetra cercò e ricercò ovunque nelle campagne chiamando a gran voce questa figlia che le era tanto vicina da sembrare quasi un suo doppio, la sua infanzia, la sua giovinezza felice. In preda all’ira Demetra afferrò il suo manto verde-azzurro e quasi senza pensarci lo fece in minuti pezzi e li sparse tra l’erba ovunque come fossero spighe di grano. Ma fiori ed erba appassirono ben presto perché la stessa Demetra era l’origine di ogni crescita e il suo dolore faceva sì che la sua energia abbandonasse le piante, che cominciarono ad avvizzire. Fu così che Chloè (la verde), la gioiosa terra, si trasformò per la prima volta nella Demetra autunnale, dai colori giallo oro.
    La Dea vagò per la terra morente finchè giunse a una città vicina ad Atene. Lì, sotto le sembianze di una vecchia di nome Doso, assunse l’incarico di nutrice preso la regina di Eleusi Metanira, di cui voleva rendere immortale il figlio Trittolemo tenendolo sospeso sulle fiamme del focolare. La regina terrorizzata la scoprì e la Dea in incognito venne riconosciuta. Demetra restò tuttavia a Eleusi dove sedeva tristemente vicino ad un pozzo, piangendo la perdita della figlia adorata. Un giorno la figlia della regina, Baubo, vide la Dea così triste che volle consolarla. Demetra rifiutava qualsiasi parola di conforto e allora Baubo, per strapparle un sorriso mise allo scoperto maliziosamente i propri organi genitali. Sorpresa Demetra ebbe un sogghigno, la prima risata che la terra moribonda udiva dalla Dea dopo mesi e mesi. Poco dopo Persefone venne restituita alla madre e la primavera fiorì nuovamente sulla terra.
    Grata dell’ospitalità ricevuta dagli abitanti di Eleusi, Demetra insegnò l’arte dell’agricoltura al principe Trittolemo e in seguito fece di quella città il centro dei suoi riti misteriosi.
    Questa storia greca della grande dea è un’evidente metafora del volger delle stagioni, ma rappresenta anche un tenero archetipo del legame tra madre e figlia. Pur essendo una variante del comune mito mediterraneo che mostra come la terra ami e consumi la sua vegetazione, questa leggenda ha di singolare l’accento posto non sull’amore sessuale tra il figlio che eternamente muore e la madre, ma sul legame familiare tra la materna Demetra e la sua adorata figlia Persefone. Questa figlia, la terra durante la primavera, in realtà era solo un’altra forma della stessa Demetra. In sicilia l’identità tra Demetra e Persefone era canonica: entrambe erano chiamate damatres (madri) e venivano raffigurate in modo indistinguibile. Ma la forma più comune della grande dea era una triade di dee e non una coppia. Molti studiosi hanno setacciato i più famosi miti di demetra sperando di trovare il terzo elemento della triade femminile, la terra invernale, la vecchia carica di età, il seme ibernato.
    In generale la riflessione si è soffermata su Ecate, che certamente sembra essere la più simile a una vecchia ta le possibili figure divine del racconto. In più essa compare nei punti cruciali della storia, per esempio era l’unica testimone della scomparsa di Persefone. Dato che difficilmente l’onnisciente terra, Demetra, poteva ignorare ciò che accadeva sulla superficie, è ragionevole pensare che Ecate fosse un aspetto della stessa Demetra in qualità di madre terra.
     
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  7. gheagabry
     
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    PACHAMAMA





    Pachamama o Mama Pacha, è la Dea Terra dei popoli andini del Sudamerica, tuttora venerata dalle genti che ancor’oggi si riconoscono nella cultura Inca.



    Letteralmente Pacha Mama significa in lingua quechua “madre spazio tempo” o "madre universo", tuttuno con madre Terra.
    Le cime dei monti sono i suoi seni, i fiumi il suo latte di vita e i campi sono il suo fertile grembo.
    Pachamama dunque è la generosa Dea della fertilità e dell’agricoltura, madre nutriente che dà la vita, ma altrettanto può mostrare il suo lato crudele quando produce terremoti per ricordare ai suoi figli che devono sempre onorarla.
    Pachamama ci riporta ad un tipo di spiritualità della terra immanente, panteistica (dal greco pan: tutto) dove tutto è sacro e divino, la terra è sacra e così gli esseri viventi, in contrapposizione alla spiritualità di tipo trascendente che domina nelle culture di stampo patriarcale.
    Pacha-Mama è la dea Terra di una religione che in sé stessa non può definirsi di stampo matriarcale, tantè che i sacerdoti sono uomini, tuttavia si rileva un’attitudine, presente anche presso altri popoli che praticano una religiosità di tipo immanente e non trascendente, a rapportarsi con la terra in un modo meno aggressivo, più rispettoso, sicuramente più sacro, di quanto facciano i popoli con religioni di stampo patriarcale, spesso accompagnate da un razionalismo e utilitarismo che pone il rispetto per l’ambiente e per gli animali tra gli ultimi valori.
    Si nota inoltre che presso questi popoli cosiddetti “sottosviluppati” ad un maggior rispetto per la terra si affianca anche un ruolo di maggior preminenza sociale che viene assegnato agli anziani, nonché un atteggiamento di maggior attenzione nei confronti delle donne, dei bambini e di tutte le categorie socialmente più deboli.

    Pachamama aveva uno sposo (che era anche suo fratello), Pachakamac, e dalla loro unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina.
    Come in altri miti andini, il padre morì oppure, secondo altre leggende sparì in mare e rimase prigioniero di un incantesimo in un'isola del litorale.
    Pachamama rimase vedova e sola con i suoi figli. Sulla Terra regnava l'oscurità.
    In lontananza videro una luce che seguirono salendo montagne, attraversando lagune e combattendo contro mostri.
    Infine arrivarono in una grotta conosciuta come Waconpahuin, abitata da un uomo chiamato Wakon. Questi aveva sul fuoco una patata e una pentola di pietra. Chiese ai due figli di Pachamama di andare a prendere l'acqua. I due tardarono e Wakon tentò di sedurre Pachamama. Vistosi rifiutato la uccise, divorò il suo corpo e mise i resti in una pentola.
    I due gemelli tornarono e chiesero della madre. Wakon non raccontò nulla e disse loro che sarebbe tornata a momenti, ma i giorni passavano e la madre non tornava.
    Huaychau, uccello che annunciava l'alba, ebbe compassione dei due gemelli e raccontò la verità sulla loro madre, mettendoli in guardia del pericolo che correvano rimanendo con Wakon. I bambini allora legarono i capelli di Wakon ad una grossa pietra mentre questi stava dormendo e scapparono in fretta e furia.
    Incontrarono una volpe, Añas, che dopo aver chiesto loro il motivo del loro fuggire, li nascose nella sua tana.
    Nel frattempo Wakon si liberò e si mise in cerca dei gemelli. Incontrò dapprima vari animali a cui chiese se avevano visto due gemelli, ma nessuno seppe aiutarlo.
    Incontrò, infine, Añas. Questa gli disse che i bambini erano in cima ad una montagna e che avrebbe potuto, una volta in cima, imitare la voce della madre in modo che i bambini uscissero allo scoperto.
    Wakon si mise a correre affannosamente verso la cima e non si accorse della trappola che nel frattempo l'astuta volpe Añas gli aveva teso. Wakon cadde da un burrone e, morendo, causò un violento terremoto.
    I gemelli rimasero con Añas che li alimentava con il suo sangue. Nauseati chiesero se potevano andare a raccogliere qualche patata. Trovarono un'"oca" (Oxalis Tuberosa, un tubero simile alla patata) assomigliante ad una bambola, con cui giocarono finchè si ruppe un pezzo. Allora i bambini smisero di giocare e si addormentarono.
    Nel sonno la femmina sognò di lanciare il suo cappello in aria e che questo rimanesse sospeso senza ricadere. La stessa cosa accadeva, nel sogno, ai suoi vestiti. Una volta sveglia raccontò il sogno al fratello. Mentre i bambini si domandavano il significato del sogno, videro in cielo una corda lunghissima. Incuriositi si arrampicarono e salirono.
    Alla cima della corda videro il loro padre, Pachakamac, impietosito per le loro disavventure. Riuniti al loro padre, vennero trasformati nel sole e nella luna.
    Per quello che riguarda Pachamama, essa rimase sempre in basso, assumendo la forma di un imponente nevaio chiamato, anche oggi, La Viuda (la vedova).



    ZEMYNA





    Zemyna, dea della terra lituana, il cui nome viene da zeme, terra, personifica la Madre Terra, umida, fertile, nera (il colore della terra fertile) e potente.
    Somiglia a Gaia-Demetra, a Semele, Ops Consive e la slava Mat'Syra Zemlja, Madre Terra umida.
    Tra le sue controparti ci sono i guardiani della natura selvaggia (maschi e femmine), divinità maschili che muoiono e risorgono e l'omuncolo sotteraneo: i Kaukai. Queste bizzarre, arcaiche creature sono la manifestazione della vita stessa della terra, collocata tra la morte e la nascita.

    Le funzioni di Zemyna riguardano la fertilità e la moltiplicazione. Crea la vita da sè medesima, compiendo il miracolo del rinnovamento. Questo atto è parte della comprensionecon che il susseguirsi stagionale di risveglio, crescita, rigoglio e morte è un fenomeno interdipendente nei confronti di uomini, animali e piante.

    La venerazione di questa dea è durata fino a questo secolo.
    Da fonti del sediciesimo secolo, pare che nel corso di feste autunnali presiedute da una sacerdotessa venisse offerto a Zemyna un maialino nero da latte (come accadeva per Demetra in Grecia). Le offerte per lei sono della massima importanza: un errore nella scansione delle oblazioni - pane, birra e animali o uccelli neri - provoca terribili conseguenze.
    Le offere di pane a Zemyna proseguirono fino agli inizi del ventesimo secolo. Una pagnotta o un pezzo di pane veniva lasciato su un campo di segale, grano o orzo, alla prima aratura di primavera per garantire un anno fertile, oppure alla fine del raccolto, per assicurare l'abbondanza per l'anno successivo.
    Al termine del raccolto, i mietitori dovevano trovare il pane per girarci intorno per tre volte. Dopodiché potevano mangiarne un pezzo e seppellire il resto.

    La madre terra era venerata sulle cime delle montagne coronate con grandi pietre. La pietra della cima rappresenta l'omphalos*, l'ombelico, un punto in cui si concentra il potere della terra. La madre terra era venerata in modo simile in molte culture antiche europee.

    La terra è giustizia, è anche coscienza sociale.
    La madre terra presta ascolto ai richiami, risolve i problemi e punisce tuttio coloro che la ingannano o le mancano di rispetto. Non tollera i ladri, i bugiardi, gli imbroglioni o le persone vanitose e orgogliose. Nelle leggende e nelle fiabe i pecccatori vengono divorati dalla terra, insieme alle loro case e castelli: la terra si chiude su di loro e sul posto cresce una montagna o spunta un lago. Per secoli i contadini hanno risolto le dispute legali relative alla proprietà dei terreni chiamando in causa la terra. Se un giuramento veniva pronunciate tenendo una zolla di terra sulla testa o inghiottendone una parte, lo si considerava vincolante e incontestabile.
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    *“Le colline sacre sono state oggetto di culto fino al XX secolo. La Madre Terra era celebrata sulla sommità dei monti coronata con grandi pietre. Queste pratiche sono testimoniate nella Creta minoica e moderna a sud, nelle isole britanniche a ovest, e nell’area baltica orientale, in vari periodi storici. Per esempio, la collina sacra Rambynas sul Nemunas, nella Lituania occidentale, è nominata fin dal XIV secolo. Ancora nel XIX secolo le coppie di sposi vi facevano offerte per chiedere fertilità in famiglia e nei campi. Secondo una fonte del XVI secolo, le donne che vanno a Rambynas a chiedere fertilità devono essere molto pulite.
    Le pietre della Madre Terra dotate del potere di concedere la fertilità alle donne sterili hanno una superficie levigata. In Germania e nei paesi scandinavi una pietra piatta con le superfici levigate è chiamata Brautstein, o pietra della sposa.
    Le giovani spose vi sedevano sopra o vi si strusciavano per avere fertilità. La glissade, “scivolata” in francese, praticata segretamente in Francia nel XVIII e XIX secolo, richiedeva il contatto delle parti posteriori con la pietra.
    Le pietre inclinate si prestano meglio a questo scopo. La continua ripetizione della cerimonia da parte di numerose generazioni ne ha levigato le superfici.
    Strofinare l’ombelico nudo o lo stomaco contro un menhir e in particolare contro una sporgenza, una protuberanza rotonda o un’irregolarità della pietra, assicurava matrimonio, fecondità e un parto felice. Una protuberanza rotonda e perfino un’irregolarità su un menhir erano considerate il punto in cui l’energia divina era concentrata: in altre parole, un omphalos. L’usanza è ampiamente documentata in Europa e nel Vicino Oriente, e ovunque è definita “antica”.
    Grosse pietre con le superfici piatte dedicate a Ops Consiua, Dea romana della Fertilità della Terra, erano tenute in buche scavate nella terra (sub terra) coperte con la paglia. Venivano scoperte solo una volta l’anno alla festa del raccolto. Circa 1500 anni dopo, la stessa tradizione si registra nell’Europa settentrionale. In Lituania, gli annali dei gesuiti del 1600 descrivono grosse pietre piatte interrate e coperte di paglia; erano chiamate Deives, “Dee”. La pietra dunque è la Dea in persona.
    Il folclore europeo ha ricordi di colline magiche che si aprono se si bussa. Una bella signora conduce l’eroe del racconto alla collina e bussa tre volte o conosce una formula magica per aprirla; la collina si apre e dentro siede una Regina in pieno splendore. E' la Dea preistorica della Fertilità della Terra, la Regina che possiede i segreti della vita delle piante


    Tratto da:
    Le Dee Viventi, Marija Gimbutas, ed Medusa.1999
    Il linguaggio della Dea, Marija Gimbutas


    Dee Madri di tradizioni meno note





    Ogni tradizione ha venerato Madre Terra attraverso le figure di Dee Madri cui hanno dato nomi differenti, che per ovvie ragioni sono meno note della stessa Gaia.
    Questa ricerca è dedicata alle Dee ALA, MA-EMMA, MAMAPACHA, PERCHTA, TACOMA E TAILLTE'.


    ALA, ALE, ANE


    La divinità più popolare della tribù Ibo della Nigeria è la madre terra Ala, creatrice di tutto ciò che vive e regina dei morti che provvede alla lealtà reciproca nella società e dà la legge.
    Essa viene venerata ancora oggi. E’ la guardiana della moralità, colei su cui si pronunciano i giuramenti e nel cui nome i tribunali giudicano.
    L’altare a Lei dedicato occupa il posto centrale in ogni villagio Ibo. È al suo albero sacro che il popolo offre sacrifici al momento della semina, della raccolta dei primi frutti e della mietitura.

    MA-EMMA , MAA-EMA


    La Madre-Terra degli Estoni era una delle grandi divinità di quel popolo baltico, riverita ovunque un vecchio albero si ergesse da solo in una palude, o dove un mucchio di pietre segnasse le fondamenta di una casa da tempo rasa al suolo dal fuoco.
    Poiché essa controllava tutte le creature della terra, gli esseri umani dipendevano da lei per il cibo; per ringraziarla di quanto essa aveva elargito loro, essi le offrivano le primizie di prodotti come il latte, il burro, la lana.
    Uno dei giorni più adatti per celebrare le feste in suo onore era quello di mezza estate, quando si accendevano per ricordare la sua fecondità, dei fuochi, intorno a cui si radunavano mandrie di animali, in modo che il fumo sacrificale potesse proteggerli per tutto l’anno. Fiori ed erba, portati da bambini in mezzo al fumo, venivano fatti mangiare agli animali. La serata terminava quand ola donna più eminente del villaggio guidava tre processioni intorno al fuoco, poi metteva per terra del cibo ringraziando ma-Emma con queste parole: "madre, tu hai dato a me, ora io do a te. Accetta da me quello che io ho accettato da te".

    MAMAPACHA, AMARA, PACHAMAMA


    Gli Incas vedevano la terra come una dea-drago che viveva sotto le montagne; di tanto in tanto essa si scuoteva e in tutto il mondo si verificavano dei terremoti. Mamapacha era anche la Dea dell’agricoltura; si dovevano celebrare riti in suo onore giornalmente per garantire che la quantità di cibo disponibile fosse sufficiente. Durante la semina e il raccolto, le donne lavoravano nei campi per parlare a bassa voce con Mamapacha, versando ogni tanto sulla sua superficie del cibo fatto con il grano come offerta di ringraziamento.

    PERCHTA, BERCHTA, PERCH
    T

    Un’antica Dea Madre sopravvissuta nella moderna Germania, Svizzera e Austria sotto il nome di donna cervo.
    Essa ha fama di render fertili i campi e favorire la nascita di vitelli forti.
    Si dice che la si può talvolta vedere mentre aleggia sui campi per nutrirli, con il suo mantello bianco che assomiglia a una nebbiolina diffusa.
    Naturalmente c’è anche la faccia negativa della medaglia: la Dea non sopporta la pigrizia, ispeziona con cura conocchie e arcolai, cercando i pezzetti di lana sciupati; se ne trova, graffia la tessitrice colpevole oppure ancor peggio, le apre la pancia e la imbottisce con gli avanzi di lana.
    Essa stessa, tuttavia, ha un aspetto piuttosto trasandato, con i lunghi capelli scarmigliati e le vesti logore. La sua faccia è rugosa come una mela ma i suoi occhi sono belli; il periodo dell’anno che preferisce è quello dei dodici giorni di Natale, che culminano nel giorno di Perchta, quando tutti mangiano le torte di farina e latte in suo onore lasciandone qualche fetta per lei; essa verrà segretamente a gustarle ma se qualcuno cercherà di spiarla o di sorprenderla mentre mangia si troverà cieco per tutto l’anno.


    TACOMA, DAH-KO-BEED, TACOBUD, TAKKOBAD, TAKOBID, TEHOMA


    La grande Dea terra dei monti Cascade (Nord America) era incarnata nella vetta nevosa del monte Rainier. Presso i Salish, i Nisqualli, i Puyallup, gli Yakima e altri popoli di quell’aera, Tacoma era la protettrice delle acque del paese che apportavano il nutrimento sotto forma di salmone che risaliva la corrente per andare a deporre le uova.
    Su di lei fiorivano le leggende che solitamente la collegavano alle altre montagne delle Cascade e dell’Olimpo.
    Una di queste leggende narra che essa in origine era un’enorme donna che aveva un marito in comune con altre due mogli. L’uomo, stufo delle loro continue liti le collocò una distante dall’altra: due su un versante del Puget Sound e Tacoma sul versante opposto dove non mancava lo spazio per la sua grande massa. Tutto ciò non le impedì comunqe di seguitare a lanciare improperi alle sue co-mogli.
    Secondo un’altra versione, il marito e una delle altre due non la lasciavano riposare un momento, finchè un giorno lei si stancò, si mise a sedere e rimase irremovibile continuando tuttavia a odiare l’altra moglie contro la cui testa gettò dei carboni ardenti: sarebbe questa la ragione per cui oggi il monte Constance è calvo.
    Un altro racconto ancora dice che Tacoma, anche in questo caso una montagna, quando era una giovane montagna-donna, sposò un principe della montagna.
    Ma non avendo ancora al momento del matrimonio ultimata la sua crescita, dopo poco aveva superato il marito in grandezza. Così per dar spazio al marito e al suo popolo, essa attraversò il Puget Sound, portandosi via i frutti selvatici e il salmone.
    Tacoma crebbe talmente da diventare una montagna-mostro, perché mangiava qualsiasi cosa ponesse piede sulle sue pendici; divorava voracemente gli animali come le persone umane. Infine il grande dio Changer la trasformò in una volpe e sfidò Tacoma a ingoiarlo, dopo essersi magicamente attaccato a un’altra montagna. Quando Tacoma tentò di ingoiare il dio, ingurgitò un’enorme quantità di pietre e di acqua ma non riuscì a smuovere Changer.
    Fece un altro tentativo e .. scoppiò: il suo sangue bollente correva giù, lungo le sue pendici.
    Il suo cadavere è rimasto lì, ricoperto di neve, un corpo di donna pietrificato.


    TAILLTE


    Nell’antica irlanda si diceva che la Dea dell’agosto fosse madre della luce, incarnata nel dio Lug. Una delle grandi dee-terra del luogo, Taillte, viveva sulla magica collina di tara, da cui diresse il taglio di un’immensa foresta, il bosco di Cuan. Occorse un mese per creare il piano di Oenach Taillten, dove Taillte costruì poi il suo palazzo; esso è indicato ancora oggi sulle mappe dell’Irlanda come Teltown, vicino a Kells. In suo onore veniva celebrata ogni anno una festa, che durava tutto il mese di agosto. Questa usanza durò per generazioni e generazioni e sussisteva ancora nel medioevo: i riti religiosi erano accompagnati da fiere ed esibizioni sportive. Infine l’usanza si estinse, ma venne ripristinata all’inizio del nostro secolo, in un tentativo di far rivivere la cultura irlandese sotto il nome di Giochi Taillteani, una sorta di Olimpiadi locali.


    Fonti: "il dizionazio delle Dee e delle Eroine" di Patricia Monoghan
     
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  8. gheagabry
     
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    Dov'e' finita la religione primordiale della Grande Madre?

    Sicuramente la religione della Grande Madre venne smembrata, e le sue caratteristiche vennero assorbite e rielaborate nei culti successivi patriarcali, che decisero di "demonizzarla" e quasi cancellarla dal pianeta, lasciandole un ruolo subordinato e di minore rilevanza.

    Nell'antico culto della Grande Madre, erano presenti le conoscenze superiori del creato, di alta astonomia, dell'uomo e della natura che rivelavano schemi principali paralli ed interconnessi tra loro in una sorta di ragnatela cosmica, ed infatti la Grande Madre, venne anche rappresentata con l'immagine del Ragno, "la grande tessitrice del creato", ed alcuni dei suoi principali attributi erano la musica e l'acqua.

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    La trinita' femmina Ecate(triplice dea) ed in questa interessante immagine notiamo anche il 3 ripetuto tre volte, a ricordare l'antico culto dei 9 pianeti.



    da Inni Orfici


    Ecate protettrice delle strade celebro, trivia, amabile,
    celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
    sepolcrale, baccheggiante, con le anime dei morti,
    figlia di Perse, amante della solitudine, superba dei cervi,
    notturna, protettrice dei cani, regina invincibile,
    annunciata dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
    domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo,
    guida, ninfa, nutrice dei giovani, frequentatrice dei monti,
    supplicando la fanciulla di assistere alle pie celebrazioni
    benevola verso il bovaro sempre con animo gioioso.




    Fonte Cerchidellefate
     
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  9. gheagabry
     
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    IL TRONO USURPATO

    Il processo di trasformazione della Dea in Dio

    di Ardath Lili Sekhet Babalon



    image



    Il processo di assorbimento e di soppiantamento della Dea ad opera di un dio maschile non si verificò ovunque nello stesso modo né allo stesso ritmo, ma il risultato finì con l’essere sempre lo stesso. Se ci soffermiamo, per esempio, a considerare il pantheon sumero dell’inizio del periodo dinastico antico (circa 2850-2340 a.C), momento a partire dal quale le divinità cominciarono ad essere rappresentate sempre più antropomorfizzate, assistiamo ad un caso esemplare: dalla scena scomparvero la Gran Dea Nammu e Ki, Dea della terra.

    I primi miti conosciuti collocavano Nammu, Ama-to-an-Ki (Madre del cielo e della terra), all’origine di tutto. Come Gran Dea, procreò per partenogenesi gli importantissimi An (o Anu), Dio del cielo, e Ki, Dea della terra, e anche tutti gli altri dèi che esistevano. Nel più antico resoconto conosciuto del pantheon religioso sumero, la Dea Ki e il suo consorte An presiedono insieme all’universo (anki significa universo) e alla totalità degli dèi; ma in un altro documento posteriore datato circa 2400 a.C., i principali dèi cosmici erano quattro nell’ordine seguente: An (cielo), Enlil dio dell’aria, figlio di An e Ki; o di An e Antu (secondo la mitologia accadica posteriore), Ninkhursag (Signora della Montagna) e Enki (o Ea), Dio dell’acqua dolce (figlio di Enlil). Possiamo osservare che sia Nammu, la Gran Dea generatrice dell’universo e madre degli dèi, che la Dea Ki, contitolare del controllo universale, erano sparite dal quadro degli dèi, anche se invece rimaneva, al terzo posto per importanza, la Dea Ninkhursag, che ancora vagamente presentava alcune caratteristiche passate della Dea. Tuttavia, alcuni secoli più tardi, verso il 2000 a.C., Ninkhursag era passata ad occupare l’ultimo posto fra gli dèi cosmici. Sebbene fosse stata una delle divinità più potenti durante il III millennio a.C., finì per essere soppiantata dal Dio Enki, che prese per moglie Ninki, Dea della Terra, per poter assorbire (appropriarsi) le funzioni della potente Ki; e allo stesso dio passarono gran parte degli attributi che aveva avuto la grande Nammu.

    Il caso di Enki appare particolarmente interessante. Era un dio dell’acqua, oceano primigenio sul quale riposava la terra, ed era anche un dio del mondo sotterraneo, della sapienza, delle arti e della magia, che organizzò il mondo e che veniva ritenuto molto compassionevole verso le tribolazioni umane. Una divinità costruita utilizzando le funzioni e i simboli che erano stati esclusivi della Dea neolitica. In più il suo numero sacro era il 40, lo stesso di Antu, la moglie del Dio del cielo An. Appare evidente che Enki in un passato remoto era stata una divinità femminile o, almeno, era stata intimamente e intrinsecamente associata alla Dea neolitica.
    Abitualmente, se non generalmente, gli attributi della Dea passarono nelle mani degli dèi del vento, dell’aria o del tuono (come Enlil o Zeus) che assunsero le forme e i modi dei re di ogni territorio, mentre invece le dee assorbite venivano eliminate o degradate ad occupare posti secondari come mogli, figlie o madri (o tutti nello stesso tempo) di antichi dèi della vegetazione che erano stati in precedenza i loro figli, amanti e vittime sacrificali.
    Una strategia per riuscire a degradare e soppiantare la Dea fu quella di trasformarla in una potenza o essere maligno che, in certe occasioni, a seconda della cornice religiosa dominante, veniva messa in relazione a forze infernali. Così avvenne per esempio che le terribili Gorgoni, dalla testa coperta di minacciosi serpenti (il simbolo della Dea), lunghi denti canini ed occhi enormi, che in origine furono senz’altro dee benevole. Le Gorgoni o Furie derivano da Gea, Dea Madre Terra, e formavano un trio di sorelle, identificate con la Dea Luna, i cui nomi furono: Medusa(che significava saggezza), Steno (vigore), Curiale (universalità), concetti tutti molto lontani dagli esseri mostruosi in cui le trasformarono i greci.

    Alcuni racconti mitici sumeri presentano dee come Ereskigal, che crearono e governarono i tre mondi (regno divino, mondo umano, e regno dei morti) fintanto che un dio maschio non limitò i loro poteri e le esiliò in un mondo infernale. Ereskigal, Signora del Grande Sotto, fu considerata la sorella o il lato oscuro della potente Dea astrale Inanna (Signora del Cielo, il cui culto riuscì a sostituire perfino quello dello stesso An a Uruk ) ed entrambe avevano condiviso il dominio sul mondo superiore ed inferiore.
    Quando la Dea veniva trasformata in un essere demoniaco o mostruoso, o nella protettrice di esseri di quel tipo, la si faceva abitare negli oscuri abissi delle acque primigenie, rappresentandola esattamente al contrario di come era stata fino ad allora rappresentata. Tale per esempio fu il caso della grande Dea Tiamat, vinta e rimpiazzata dal dio Marduk, un cambiamento di sesso della divinità principale, con conseguente ristrutturazione mitologica, descritto nel testo accadico Enuma Elish (circa 1750 a.C.). La Mesopotamia cadde nel II mill. a.C. sotto il dominio della città di Babilonia il cui dio tutelare era Marduk.

    Tutta la manipolazione fu realizzata servendosi dell’Epopea della Creazione o Enuma Elish, opera che fu redatta ex professo ed è considerata il primo esempio documentato della politica di trasformazione della divinità in demonio, in seno alle credenze culturali che venivano soppiantate dalla nuova religione dominante.

    Troveremo questa stessa strategia nella religione giudaico-cristiana. Una volta postulato il monoteismo biblico, tutti gli dèi e le dee dei popoli vicini passarono ad essere visti come demoni.

    La Chiesa cattolica fece altrettanto con la maggior parte delle divinità che trovò nel corso della sua espansione, anche se, quando il culto era molto radicato fra la popolazione e non era facile screditarlo, la Chiesa operò con pragmatismo e si inventò un santo o una santa che assimilò e si sovrappose al dio o alla dea originale.
    Esempi di questa maniera di procedere li troviamo in San Giorgio, modello del Dio che come Murduk, lotta e vince la dea/dragone, o in santa Brigida, l’inesistente monaca inventata per sostituire il culto della dea triplice Brigit adorata dai Briganti(1).
    La cultura indoeuropea trasformò in dragoni o serpenti tutte le manifestazioni della Dea che non potè assorbire, o le associò a esseri tanto potenti quanto maligni e traditori, facendo della loro persecuzione e morte la ragione della lotta protettiva degli dei guerrieri del cielo contro le forze delle tenebre.

    L’accadico Marduk trionfò sui dragoni della Dea Tiamat; l’egiziano Ra lottava ogni notte contro Apofis, il serpente gigantesco del Caos che proteggeva la Dea Naunet nei suoi abissi acquatici; il greco Apollo uccise Pitone, il drago o serpente generato da Gea; l’indù Indra, dio del cielo, secondo i Veda, era in lotta perenne con il drago o demonio Vritra, figlio di Danu; e lo stesso Yahvè biblico ha un dragone come nemico.
    L’immagine dell’eroe che uccide il dragone o il serpente, imposta dall’Oriente, arrivò fino alla nostra cultura religiosa attuale come simbolo della vittoria della luce e del maschile sulle tenebre e il femminile.
    Nello stesso senso di demonizzazione della Dea e del femminile deve essere visto il noto racconto biblico di Eva.

    L’iconografia della scena, con donna attiva e sicura di se stessa vicino all’albero (che in questo caso è della conoscenza) e un serpente, appare una rozza ed efficace degradazione del mito originale (con Dea=albero della vita e speranza di rigenerazione=serpente in virtù della femminilità) che stravolse il suo significato allegorico al fine di denigrare tutto ciò che è femminile. Col ridurre il serpente (Dea) in demonio, la Conoscenza in qualcosa di proibito e pericoloso e la donna nell’unica colpevole di tutti i mali, si chiuse il cerchio più tragico della nostra storia.
    Nessun mito ha portato mai tanta sofferenza agli uomini in generale e alle donne in particolare come questo.

    Accanto a quanto è stato detto deve essere aggiunto che, in ogni caso, una delle battaglie più decisive per riuscire a detronizzare la Gran Dea avvenne intorno al concetto basilare di generazione e origine dell’universo, causa di decine di cosmogonie e cosmologie che furono tanto variabili quanto gli interessi socio-politici che sostenevano i teologi che le elaborarono.





    Note
    (1) La Triplice Dea Brigid, formata dalle sorelle Brighid, Brigid e Bridget, fu straordinariamente popolare fra le popolazioni briganti insediate in Irlanda, Scozia, Francia e Spagna. I romani dopo la conquista dei territori dove la si adorava, associarono Brigid alla Dea Giunone, la regina del cielo, e inglobarono le sorelle nella figura di Minerva. Gli evangelizzatori cattolici non potendo sradicare la devozione alla Dea Brigit, la sostituirono con il personaggio di santa Brigida, una monaca che non è mai esistita e che venne fatta fondatrice del monastero di Kildare. La nuova santa ovviamenre si accaparrò tutte le qualità della Dea, specialmente quelle concernenti la fertilità; veniva celebrata nello stesso giorno, il primo di febbraio che era l’inzio dell’imbolg o primavera celtica sotto il padronato di Brigid.



    Testi:
    P.Rodriguez , Dio è nato donna, Ed.Riuniti


    dal web
     
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8 replies since 12/7/2010, 14:56   1935 views
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