FAVOLE DELLA BUONANOTTE

.....prima che il sonno ci raggiunga...

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  1. gheagabry
     
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    In un tempo fa, in un certo regno dell'impero russo, lontano dal cielo blu e dietro i più alti monti, vivevano uno Zar e una Zarina. Lo Zar aveva vissuto a lungo, ed era ormai in età avanzata. Egli aveva tre figli, tre principi, tutti e tre giovani, coraggiosi oltre misura, e ancora nubili. Durante le lunghe giornate di sole essi cavalcavano a lungo i loro fieri e poderosi cavalli, e sembravano dei luminosi falchi in volo nel cielo azzurro. Tutti e tre i fratelli erano belli e intelligenti, ma il più valoroso e il più bello di tutti era il più giovane, il principe Ivan.

    Un giorno lo Zar riunì i suoi tre figli alla sua presenza e disse loro: "Miei cari figli, siete ormai diventati uomini, ed è ora che cominciate a pensare di sposarvi. Desidero quindi che voi scegliate una moglie fedele così che anch'io abbia tre valorose nuore. Tendete i vostri archi forgiati sul fuoco, e andate per sentieri impervi a scagliare in tre diverse direzioni le vostre frecce, e là dove queste cadranno, saranno le vostre spose." Così i tre fratelli andarono con i loro archi forgiati nel fuoco in tre diverse direzioni, pronti ad obbedire all'ordine paterno. Il maggiore lanciò la freccia verso est, il secondo verso ovest, mentre il giovane Ivan strinse con molta forza a sé il suo arco, lanciando la freccia davanti a sé. Quando il maggiore andò a cercarla, vide che era finita nella corte di una famiglia nobile, proprio davanti alla torre dove si trovavano gli appartamenti delle giovani figlie. La freccia del secondo fratello era invece caduta nel cortile padronale di un ricco mercante che commerciava con i paesi stranieri, ed era andata a colpire proprio la finestra della camera della figlia del mercante. Invece la freccia scagliata da Ivan non si trovava da nessuna parte, sicché egli dovette vagare a lungo per cercarla, con grande delusione e sofferenza. Cercò per campi e foreste, finché finalmente arrivò sulla riva di uno stagno circondato da betulle dal tronco d’argento e dal fogliame leggero, nel mezzo dell'acqua vide una grossa rana che reggeva in bocca il dardo. Quando vide la scena, deluso, ebbe l'impulso di tornare indietro, ma la rana gracidò per richiamare la sua attenzione e disse rumorosamente: "Cra! Cra! Cra! Vieni qua a prendere la tua feccia! Se non mi prendi in moglie, non uscirai mai da quella melma." Ivan rimase alquanto sorpreso di sentir parlare la rana, e non sapeva davvero cosa fare. Alla fine recuperò la freccia, prese con sé la rana, se la mise nella giacca e si diresse tristemente verso casa. Quando arrivò al palazzo e raccontò la strana storia, i fratelli risero di lui, e anche le loro fidanzate risero divertite, cosicché egli, sentendosi umiliato, andò dallo Zar a lamentarsi: "Come faccio a prendere in moglie una rana che gracida tutto il tempo e dice sempre 'Cra! Cra! Cra!' ? Non è certo al pari di me. Vivere tutta la vita non è certo come attraversare un fiume o camminare su un campo. Come posso passare la vita con una rana?" Ma lo Zar rispose: "Questo è il mio volere, un ordine reale, tu la prenderai in sposa, perché così vuole il tuo destino!"

    A nulla servì il pianto prolungato del principe, che dovette rassegnarsi al suo destino suo malgrado e ubbidire. Così i tre figli dello Zar si sposarono: il maggiore con la figlia del nobile, il secondo con la figlia del mercante, e al più giovane toccò la rana. Il giorno del matrimonio, egli andò in carrozza al palazzo reale e la rana fu scortata su un piatto d'oro. Così vissero un pò di tempo, e nonostante tutto il principe Ivan visse con la sua rana trattandola con gentilezza e tenerezza finché un giorno lo zar riunì nuovamente i figli e disse loro: "Cari figlioli, adesso che siete sposati, voglio mettere ora alla prova le virtù e le abilità delle vostre spose nell'arte della gestione domestica. Darò ad ognuno di voi molta tela, e pregherete le vostre mogli di tessere per me ognuna di loro una camicia per domani." I due fratelli maggiori portarono il tessuto alle mogli, le quali chiamarono subito le loro ancelle e governanti, e tutti quanti si misero alacremente al lavoro, tagliando, cucendo e tessendo. E mentre lavoravano, ridevano tra sé al pensiero di Ivan pensando 'Chissà cosa sarà in grado di combinare la sua gracidante moglie per domani?' E difatti il principe Ivan tornò a casa con un'aria così seria e corrucciata, che sembrava che avesse dovuto ingoiare un ago. 'Come può una rana cucire una camicia?' pensava preoccupatissimo, "lei che sa solo saltellare per il pavimento e gracidare?' E il suo sguardo imbronciato scendeva tanto in basso, quanto il suo morale si trovava sotto i piedi. Quando essa lo vide così giù di morale, gli disse: "Cra! Cra! Principe Ivan, perché sei cosi triste? Hai forse ricevuto parole amare da parte di tuo padre lo Zar?" "E come potrei non essere giù?" rispose Ivan. "Lo Zar mio padre vuole che tu cucia per lui una camicia con questa tela per domani." "Non preoccuparti," disse la rana, "e non temere; vai pure a letto e riposa, che la notte porta consiglio e il mattino ha l'oro in bocca!" Quando il principe si coricò, essa chiamò a sé i suoi fedeli servi e li pregò di tagliare la tela in molti pezzi. Quindi li prese in bocca, li portò alla finestra, facendoli svolazzare, e disse: "Venti! Venti! Soffiate su questi umili pezzi di stoffa e cucitemi una camicia per lo Zar mio suocero!" E in men che non si dica la camicia fu fatta e finita.

    Il mattino dopo quando il principe si svegliò, la rana gli mostrò la camicia. "Eccola qui," disse. "Portala a tuo padre e vedi se gli piace." La felicità di Ivan fu immensa e presa con sé all'istante la camicia si diresse di corsa al palazzo dove i fratelli già erano arrivati e lo aspettavano. Il primo a donare la camicia fu il fratello maggiore. Lo Zar la prese, la osservò e disse: "Questa è stata filata in maniera grossolana, e va bene giusto per un uomo del popolo!" Esaminò quella del secondo e sentenziò: "Questa è stata tessuta meglio dell'altra, ma può andar bene quando faccio il bagno!" Ma quando prese nelle sue mani la camicia della moglie di Ivan, la esaminò deliziato, per la grande maestrìa con la quale era stata finemente cucita e ricamata. Gli piacque a tal punto che diede ordine che l'avrebbe riservata alle più solenni e importanti occasioni. Ivan tornò a casa felice, mentre i fratelli dissero complottando tra loro: "Abbiamo fatto male a ridere della moglie di Ivan; quella non è una rana, è una strega."

    Venne poi un giorno in cui lo Zar chiamò nuovamente i figli e disse: "Miei cari figlioli, questa volta voglio gustare del buon pane preparato con le mani delle mie nuore. Voglio quindi che torniate domani portandomi del buon pane bianco e soffice." Ivan rientrò con una faccia truce, come colui che ha appena mangiato senza sale, e ancora una volta aveva il morale sotto i piedi, e nel vederlo così, la rana gli disse: "Cra! Cra! Cra! Perché così triste, mio principe? E' successo qualcosa al palazzo di tuo padre?" "Come potrei non essere triste?" rispose Ivan. "Lo Zar mio padre vuole che tu gli prepari del pane bianco e soffice per domani". "Non ti rattristare, principe. Non serve essere tristi. Vai pure a dormire e riposa tranquillo. Come già ti dissi, la notte porta consiglio." Quando egli fu addormentato, essa ordinò ai suoi servi di portare una grande ciotola da pasta, e di fare un bell'impasto con farina e acqua calda. Quindi versò il tutto lei stessa nel forno caldo, e quando rimase sola restò un momento davanti al forno e disse: "Pane! Pane! Impasto, cuoci! Fai un bel pane bianco e soffice come la neve!" E il forno si riempì all'istante di un'enorme boccia di pasta, che cosse bianca e croccante.

    Ora le due zarine, le mogli degli altri due figli dello zar, odiarono la rana perché aveva cucito una camicia migliore delle loro, e a questa seconda richiesta del suocero, la moglie del maggiore mandò una schiavetta nera a spiare la rana e vedere cosa avrebbe combinato. La ragazza si nascose dove poteva vedere inosservata, e tornò a riferire alla padrona tutto quello che aveva visto e sentito. Allora le due cognate si misero d'accordo fra loro, e decisero di imitare la rana. Seguirono anche loro lo stesso rituale davanti al forno, ma i forni rimasero freddi e il pane rimase crudo. A quel punto, furibonde, punirono con una severa battuta la povera schiava, e ordinarono di rifare l'impasto con più farina, con acqua calda e a forno riscaldato. Ma in tutta risposta alle loro speranze, l'impasto fuoriuscì dalla teglia, senza cuocere a dovere all'interno, mentre la pasta debordata, al contrario, bruciacchiò tutta da una parte.

    Il mattino dopo, quando il principe Ivan si svegliò, la rana lo mandò al palazzo reale con la sua bella pagnotta ben cotta, avvolta in un bel panno pulito, e lì vi trovò pure i fratelli. Lo Zar tagliò una fetta della pagnotta portata dal maggiore e la assaggiò. "Questo pane," disse, "è il pane di ben poco valore, è proprio il pane dei più poveri," e lo rimandò in cucina perché fosse dato ai mendicanti. Assaggiò poi il pane del secondo figlio e disse: "Questo potete darlo pure ai miei cani da caccia." Quando infine il principe Ivan porse il suo, tutti ebbero un sussulto di ammirazione per quanto sembrava ben cotto ed invitante. Infatti era talmente meraviglioso da essere degno del pane delle fiabe. Oltre ad essere bianco e ben cotto, era tutto farcito con eleganti forme e ai lati erano riprodotte le forme delle città dello Zar con le loro alte mura e cancellate. Lo Zar lo gustò con piacere e ordinò: "Che sia posto sulla tavola speciale della domenica di Pasqua, in onore degli ospiti reali." E così Ivan tornò a casa raggiante.

    Una terza volta lo Zar chiamò a sé i figli e disse loro: "Miei cari figli, è necessario che ogni donna sappia ricamare tessuti d'argento e d'oro, quindi vorrei vedere se le vostre spose sono abili anche in questo. Portate a casa oro e argento e seta, e pregatele di cucire per me un tappeto per domani." Quando Ivan tornò a casa tutto mesto con in mano sete e tessuti d'argento e oro, la sua rana sedeva tranquillamente su una sedia. "Cra! Cra! Cra!" disse. "Perché quella faccia? Perché quel morale così mesto? E' stato forse duro, lo Zar tuo padre, con te, mio principe?" "Duro? Come faccio io a stare allegro.." rispose "prima ha voluto che tu gli preparassi la camicia, poi è stata la volta del pane, e ora vuole un tappeto di seta, d'oro e d'argento, per domani." "Tranquillo, principe Ivan," disse la rana. "Sdraiati e riposa questa notte. Come oramai dovresti ben sapere, la notte porta consiglio." E appena si fu addormentato, essa chiamò le ancelle e i servi e disse loro di tagliare pezzi di seta, d'oro, e d'argento e, quando rimase sola, li portò alla finestra e disse: "Venti! Venti! Soffiate su questi pezzi di seta, d'argento, e d'oro, e fatemi un tappeto degno dei tessuti splendidi e meravigliosi con i quali mio padre usava addobbare le sue belle finestre!" E aveva appena finito di dire queste parole, che appena rientrata in camera, il tappeto meraviglioso era già pronto. Anche questa volta le mogli dei cognati avevano mandato la servetta nera a spiare, la quale corse a riferire tutto. Cosicché anch'esse fecero come la rana aveva fatto con le sue tele, e sparsero quindi i loro preziosi tessuti al vento, pronunciando lo stesso comando: "Venti! Venti! Soffiate su questi pezzi di seta, d'argento, e d'oro, e fateci un tappeto degno dei tessuti con i quali i nostri padri addobbavano le loro finestre!" Ma dopo aver aspettato a lungo, i venti non fecero nulla. Allora le zarine, furibonde e sentendosi tradite, colpirono duramente la servetta ancora più crudelmente dell'altra volta, e si fecero cucire in tutta fretta i tessuti dai loro servi.

    La mattina dopo, quando Ivan si alzò, la rana lo mandò al palazzo con il bel tappeto, e lì vi trovò i fratelli. Lo Zar esaminò il tappeto del maggiore e disse: "Questo potete buttarlo alle stalle. Andrà bene per coprire il mio povero cavallo quando piove!" Osservò poi quello del secondo e disse: "Questo tappeto potrà servire come stuoino per pulirsi le scarpe, davanti al portone." Quando Ivan srotolò il suo, così meravigliosamente lavorato in una trama sottile e riccamente decorato in oro e argento con taglio elegante e artistico, così stupendo come non se ne erano mai visti, lo Zar rimase estasiato e immensamente compiaciuto, al punto che ordinò che fosse trattato con la più grande attenzione e cura, e ordinò anche che fosse utilizzato nelle più solenni occasioni. "Ora, miei cari figli," disse, "che le vostre mogli, ossia le mie nuore, hanno fatto tutto quello che ho chiesto loro, portatele domani con voi qui al palazzo per una grande cena che faremo tutti insieme, cosicché io possa congratularmi personalmente con loro." I due fratelli maggiori tornarono a casa dalle loro spose, parlottando tra loro: "Ah ah, adesso deve portare la sua moglie rana da nostro padre per un'udienza ufficiale, e voglio proprio vedere come farà". Ivan tornò a casa in lacrime e con il morale come non mai sotto i piedi. La rana stava già seduta davanti alla porta. "Cra! Cra! Cra!" gracidò, "Caro principe Ivan, perché piangi? Tuo padre lo Zar è stato cattivo con te? Ti ha trattato con dure parole?" "Come faccio a non piangere?" rispose, "Prima gli hai cucito la camicia, poi gli hai sfornato quel meraviglioso pane, poi gli hai intessuto un bel tappeto, e adesso, non contento, vuole addirittura che domani ti porti con me al palazzo per un'udienza ufficiale, e dopotutto, tu sei una rana.. Immagini per me che vergogna sarà presentare una rana come moglie?" "Smetti di piangere," esortò la rana, "Vai pure a dormire tranquillo. Lo sai che il mattino ha loro in bocca e che la notte porta consiglio."

    Il giorno seguente quando Ivan si svegliò, essa disse: "Non devi badare a quello che diranno gli altri. Pensa che lo Zar è stato soddisfatto della camicia, del pane, e del tappeto. Forse sarà contento anche di sua nuora, dopotutto. Farai così: vai avanti tu per primo, e io verrò dopo un'oretta. Porta i miei rispetti allo Zar, e quando sentirai un rombo e un tuono, dirai: 'Ecco che arriva la mia povera piccola rana nella sua gabbia!'" Così Ivan andò al palazzo, in qualche modo intimamente incoraggiato dalle sue parole. Quand'egli non fu più in vista, la rana andò alla finestra e chiamò: "Venti! Venti! conducetemi subito al palazzo reale, in una ricca carrozza, scortata da orsi bianchi, da lacchè, e da baldi cocchieri!" Istantaneamente si udì il suono di un corno e bianchi cavalli al galoppo sul sentiero, che trainavano una ricca carrozza tutta d'oro. Ella non indossava più la sua solita pelle di rana, ma si trasformò in una splendida fanciulla, tanto bella da togliere il fiato, bella come l'eroine delle fiabe. Nel frattempo tutti erano già riuniti al palazzo reale, i due fratelli maggiori di Ivan con le loro belle mogli, entrambe sfarzosamente agghindate e caricate di seta e vistosi gioielli. Entrambe risero alle spalle di Ivan che veniva solo, e dissero: "Dov'è la tua zarina, tua moglie? Perché non l'hai portata con te, in un bel panno da cucina? E sei proprio sicuro di aver scelto la più bella del reame?". Ma mentre si burlavano del povero Ivan, improvvisamente si udì un fragoroso rombo di tuono, e mentre lo Zar stava già ipotizzando una qualche visita inaspettata, Ivan chiarì: "Non darti pena, padre. E' soltanto la mia povera piccola rana che viene nella sua gabbia!" E quando tutti accorsero alle finestre per vedere chi arrivava, ecco che avanzava al palazzo la carrozza d'oro trainata dai sei cavalli bianchi, e dalla carrozza videro scendere una meravigliosa creatura, tanto immensamente bella e fascinosa da far sfigurare dalla vergogna persino la luna. Venne dal principe Ivan, egli la prese per mano e la condusse dallo Zar suo padre e lo Zar sedette con lei alla tavola reale per il banchetto. Siccome fu presto ammirata da tutti e già regnava un'atmosfera felice e cordiale, le mogli dei fratelli di Ivan, invidiose, bisbigliarono qualcosa ai mariti, i quali sussurrarono tra loro: "Allora è proprio vero! È una strega. Bisogna controllarla attentamente in tutto ciò che fa". E le mogli, con l'occhio lungo, s'avvidero che durante il pasto, ella versò in una manica un pò di vino, e delle ossa di cigno nell'altra, ed esse fecero altrettanto. Quando fu il momento di alzarsi da tavola per il ballo, i musicisti cominciarono a suonare, e lo Zar invitò la moglie di Ivan a ballare, e lei lo fece con tanta grazia, che mentre si muoveva, dalla sua manica sinistra uscì un incantevole laghetto, e dalla destra fuoriuscirono invece oche e cigni che vi nuotarono candidamente. Ciò suscitò la più grande sorpresa negli ospiti, al punto che cominciarono a pensare se non stavano sognando. Quando smise di ballare, anche l'incantesimo del lago e dei cigni svanì. Allora fu il turno delle altre zarine ballare, e anch'esse copiarono le mosse della cognata, ma con il pietoso risultato di macchiare di vino i loro ballerini e buttare in faccia agli invitati gli ossicini di cigno. Allora lo Zar s'inquietò alquanto e intimò alle due nuore di lasciare immediatamente il palazzo, così esse furono allontanate nel disonore e nella vergogna.

    Allora, realizzando che la sua piccola moglie ranocchia era diventata per misterioso prodigio una meravigliosa e incantevole fanciulla, Ivan disse fra sé e sé: ' E se ritorna a essere rana come prima? ' E in un battibaleno, senza farsi vedere da nessuno, corse a casa a cercare la pelle di rana e la buttò nel fuoco. La moglie, rientrando, corse a cercare la pelle e quando non riuscì a trovarla, capì quello che era successo. Allora scoppiò in lacrime e disse: "O, mio Ivan, cos'hai fatto! Avresti dovuto pazientare ancora per un poco, e io sarei stata tua per sempre, invece adesso mi hai persa per sempre, a meno che tu riesca a trovarmi nel trentesimo regno, di là da tre volte nove paesi, nell'impero che si trova sotto il sole. Sappi che io sono la fata Vassilissa la saggia." Come proferì queste parole, si trasformò in una colombella azzurra e volò via. Il principe Ivan pianse disperato amare lacrime, e senza por temo in mezzo, pregò Dio di aiutarlo nell'impresa che stava per compiere, e pregò subito lo Zar e la Zarina madre dilasciarlo partire in ricerca dell'amata sposa perduta.

    Il cammino fu lunghissimo e duro; quanto e per dove dovette camminare e vagare non si sa, ma probabilmente deve essere stato un lungo viaggio. Vagò per tre volte nove terre, chiedendo ovunque a chi incontrava se conoscesse Vassilissa la saggia, e dove trovarla, ma nessuna sapeva rispondere, fino a quando giunse finalmente all'impero che risiedeva sotto il sole, e lì, nel trentesimo regno incontrò un vecchio dalla barba argentata; gli raccontò tutta la sua triste storia e gli chiese se sapeva dove poteva trovare la sua amata fata. "Sì, io conosco bene Vassilissa la saggia" rispose il vecchio. "E' una fata potente, ma ha avuto la sfortuna di nascere da un padre che un giorno, in un momento di rabbia la relegò a vivere per tre anni con le sembianze di rana. I tre anni erano quasi finiti, e se tu non avessi bruciato la sua pelle di rana ora lei sarebbe con te. Non so dirti di preciso dove si trovi, adesso, ma tu non scoraggiarti e lasciati guidare da questa palla magica; non perderla mai di vista e valle sempre dietro." Grato al vecchio, Ivan proseguì il cammino senza mai staccarsi della palla che rotolava indicandogli il sentiero. E rotolò a lungo, verso spaventose lande e foreste desolate, e nel mezzo di una foresta egli giunse un giorno davanti a una piccola miseranda capanna che era retta da due zampe di gallina, che girava ininterrottamente su se stessa. E Ivan disse:

    Capanna, piccola capannuccia!
    Fermati e mostrati come tua mamma t'ha fatta,
    fermati volgendo la porta verso di me!

    E la capanna obbedì, fermandosi improvvisamente di fronte a lui.Il principe Ivan si arrampicò su una delle due zampe ed aprì la porta, e si trovò al cospetto della più vecchia tra le Baba Yaga, l'ossuta e centenaria nonna di tutte le streghe di Russia, in piedi davanti alla sua cucina di mattoni, con la bocca china sui fornelli, il naso lungo quanto il ponte Perevitzky, dritta davanti al fumaiolo, con l'enorme mortaio di ferro sull'angolo. "Pù!" gridò, digrignando i denti. "Cosa ti porta qui da me? Fino a questo momento non ho mai avuto l'onore di sentir parlare o vedere nessun essere umano nato nella grande madre Russia; ma oggi, è proprio un russo di persona che è entrato nella mia casa! Ebbene, principe Ivan, sei venuto di tua spontanea volontà o qualcuno ti ha obbligato?" "Bhè, in parte di mia volontà, e in parte spinto dagli eventi", rispose Ivan, "comunque tu dovresti vergognarti, per non avermi ancora offerto niente da bere e da mangiare, e nemmeno un pò d'acqua per il bagno!" Poi la Baba Yaga, che apprezzò questo suo spirito di carattere, lo rifocillò e lo dissetò a dovere e gli diede acqua per farsi un bel bagno; e quando fu pulito e rinfrescato, si sentì predisposto a confidarsi con lei e le raccontò tutta la storia in cui si era trovato. E quando lei seppe che Vassilissa la saggia era sua moglie, disse: "Guarda, voglio aiutarti e renderti servizio, non per affetto nei tuoi confronti, ma perché odio profondamente suo padre. La fata vaga per questi boschi selvaggi tutti i giorni, portando messaggi per suo padre, e spesso fa tappa qui da me. Ora tu resta qui, e come entra, acchiappala per la testa. Quando si sentirà catturata, si trasformerà in rana, poi da rana in lucertola, ancora da lucertola in serpente, e alla fine si trasformerà in freccia. Tu dovrai afferrare subito il dardo e romperlo in mille pezzi, e allora l'incantesimo sarà rotto e lei sarà tua per sempre! Ma devi stare attento che non ti scappi."

    La strega nascose Ivan dietro i fornelli e Vassilissa entrò. Ivan però si mosse rumorosamente dietro di lei ma riuscì ugualmente ad afferrarla per la testa. Lei si tramutò all'istante in in un enorme rana verde e lui rise con gioia nel rivederla nella forma che lui ben conosceva. Quando divenne lucertola, però, il tocco con la mano sulla sua pelle gelida si sembrò così repellente che la lasciò andare, e disgraziatamente la lucertola cadde di botta sul pavimento, incrinandolo. La Baba Yaga lo rimproverò aspramente: "Come puoi recuperare tua moglie" inveì, "se il tocco della sua pelle di lucertola ti dà così ribrezzo? Dal momento che non sei riuscito a trattenerla, qui lei non tornerà più. Ma se vuoi tentare ancora, andiamo da mia sorella e vediamo se lei può aiutarti." Così, Ivan seguendo la palla lungo il sentiero impervio, giunse a una seconda capanna decrepita che come la precedente non faceva che muoversi su se stessa. Come prima, la fece arrestare, entrò, e lì, con un labbro sulla cucina e con il naso puntato verso il soffitto, stava la macilenta prozia di tutte le streghe. Anche a lei raccontò tutta la storia, e per affetto nei confronti della sorella strega, acconsentì ad aiutarlo. "Vassilissa la saggia," disse, "riposa di tanto in tanto qui in casa mia, e noi riproveremo a rompere l'incantesimo, ma se anche questa volta non riuscirai a tenerla ferma, potresti veramente non rivederla mai più."

    Così, quando finalmente Vassilissa arrivò, lui si gettò su di lei e l'afferrò e non lasciò la presa neanche quando si trasformò in lucertola nelle sue mani. Ma quando lei si tramutò in un feroce serpente, egli si spaventò e gridò, e lasciò la presa, e così il serpente si dimenò verso la porta e sparì. A quel punto Ivan si sentì talmente prostrato dalla disperazione che non fece nemmeno caso agli improperi di disapprovazione che la vecchia strega gli rivolgeva. Pianse amare lacrime così disperato che infine ella ebbe pietà di lui e disse: "Per ora ancora non meriti abbastanza la tua sposa, ma se veramente la vuoi, fatti coraggio, và dalla mia sorella più giovane e vedi se almeno lei può aiutarti; sei fortunato, perché a volte Vassilissa si ferma anche da lei per riposare". Così Ivan si fece coraggio e partì alla volta della casa della terza sorella Baba Yaga. La palla rotolò per un lungo cammino e forse non tanto lungo, attraversando un vasto fiume, e lì sulla riva, giunse alla terza capannuccia, ancora più sgangherata delle precedenti, che come le altre egli dovette fermare, ed entrando, egli incontrò la seconda prozia di tutte le streghe. Anche lei, per fortuna, acconsentì ad aiutarlo. "Ma ricorda," disse, "se questa volta non dimostrerai abbastanza coraggio e se le tue mani vacilleranno ancora, dovrai dire addio per sempre alla tua amata sposa!"

    E così, per la terza volta, il principe Ivan si nascose nella capanna, ed improvvisamente Vassilissa entrò veloce come la luce, e questa volta Ivan affidò le sue sorti a Dio pregandolo di aiutarlo a non fallire, e la braccò in una morsa strettissima. Di nuovo lei si tramutò prima in rana, poi in una viscida lucertola e poi in un feroce e convulso serpente, ma questa volta Ivan resistette; finalmente lei si trasformò in freccia e nello stesso istante egli afferrò la freccia facendola in mille pezzi, e immediatamente la dolcissima Vassilissa, nella sua vera sembianza di donna, gli apparve e gli gettò le braccia al collo. "Oh, mio principe Ivan," disse, "sono finalmente tua e tua sarò per tutta la vita, se mi vorrai!" La Baba Yaga diede loro in dono una giumenta bianca che aveva il dono di volare veloce come il vento, e finalmente il quarto giorno i due furono sani e salvi nel regno dello Zar. Il vecchio padre li accolse con gioia e ringraziò la buona sorte per il loro ritorno, e s fecero grandi festeggiamenti, e in seguito elesse il principe Ivan Zar dopo di lui.





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  2. gheagabry
     
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    La favola di Aquilone
    ( ovvero: lo sciopero dei colori )


    .............................




    Un giorno, nella fabbrica dei colorici fu un incredibile sciopero:

    matite colorate pennarelli , pastelli , colori a tempera

    insomma, tutti decisero di
    non dipingere piu' il mondo
    perche' stanchi di cosi' tanto lavoro.


    "Io sono stufo di prati, piante e foglie."
    disse il verde

    "E noi non ne possiamo piu' dei fiori"
    risposero il rosso ed il giallo in coro

    " Che dovrei dire io, allora ?
    Sono il colore che lavora senza dubbio di piu' "
    disse imbronciato il blu

    Lo sciopero fu dunque deciso.
    Soltanto due colori, sempre in disparte perche' un po' tristi,
    non avevano pronunciato parola: il grigio ed il nero.

    Anzi, decisero che quella sarebbe stata l'occasione giusta
    per dominare il mondo intero.
    E cosi' fecero: tutto divenne nero e scuro.

    Notte e giorno divennero una cosa sola,
    oscurarono il sole e la luna

    I prati ed i fiori divennero grigi,
    le citta' ed i paesi avvolti da una nebbia desolante.

    Nessuno sapeva dare una risposta a quel fatto così strano.

    I bambini di tutti i paesi decisero di riunirsi
    e di fare qualcosa per salvare il loro mondo colorato

    al quale non avrebbero rinunciato per nessun motivo.


    " Rivogliamo i nostri colori ! " dissero tutti insieme.

    Cosi' decisero di raccogliere tutte le scatole di colori che possedevano,
    le legarono ad altrettanti palloncini e, nonostante il buio,
    li liberarono in volo verso il cielo.

    All'improvviso, pero', scoppio' un terribile temporale

    lampi e tuoni distrussero tutti i palloncini

    e le scatole di colori
    ricaddero al suolo in men che non si dica.

    Pensate alla delusione dei bambini!
    Ma non si persero d'animo: con l'aiuto delle loro mamme
    cucirono un bellissimo aquilone variopinto,
    legarono al filo le scatole di colorie tentarono ancora.

    Niente e nessuno questa volta li fermo':
    l'aquilone era cosi' forte
    e costruito con cosi' tanto amore

    che sali' in alto in alto, oltrepasso' il buio e arrivo' oltre le nuvole.

    Ad attenderlo c'erano il sole e la luna
    le stelle e le nuvole
    che iniziarono a parlottare tra di loro.

    Di li' a poco una pioggia colorata inizio' a scendere verso terra
    dipingendo ogni cosa, scacciando il buio per sempre.

    Per la gioia di tutti i bambini,
    la Terra torno' cosi' a vivere a colori


    Non stupitevi se,
    alzando gli occhi al cielo in una limpida giornata di sole,
    vi capita di veder volare un bellissimo aquilone
    colorato





    Greta Blu



    Edited by gheagabry - 11/8/2014, 23:32
     
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  3. gheagabry
     
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    Magia di una notte di luna piena





    Non riusciva a dormire. Le tende bianche svolazzavano leggere e una chiara luce illuminava la stanza.
    Il respiro del mare arrivava alle sue orecchie, il richiamo era troppo grande.
    Una figura esile, dai lunghi capelli biondi, innamorata del suo mare.
    Il suo sorriso dolce e i suoi occhi sempre tristi. Viveva il suo mondo pieno di sogni.
    Confidava al mare i suoi segreti, sicura che mai nessuno li avrebbe rubati.
    Ora lui la chiamava in quella notte di luna piena. Aveva bisogno che qualcuno guardasse, che sognasse per lui.
    Ed era già là.
    A piedi scalzi, sulla sabbia umida e fresca.
    Si lasciava accarezzare dalle sue onde.
    I suoi occhi erano quelli del mare, guardavano la luna, il suo chiarore.
    I suoi desideri, i suoi sogni.
    La luna era alta nel cielo, la sua luce argentea illuminava il mare.
    Gli occhi della ragazza seguivano il ritmo delle onde.
    E sognava.
    Un silenzio irreale, rotto solo da un impercettibile respiro.
    “Amico mio” – disse la ragazza quasi sussurrando – “Vorrei…” – chiuse per un attimo gli occhi e di colpo gli si riempirono di lacrime.
    All’improvviso il mare aumentò il suo ritmo. Le sue onde si fecero più possenti, il suo respiro divenne più forte.
    La ragazza aprì gli occhi.
    Davanti a sé vide una figura. Due occhi blu la guardavano, le sue mani sfiorarono il suo volto. Stranamente non aveva paura, nei suoi sogni lo aveva già incontrato. Lo conosceva bene – era il suo amico. Si strinse a lui e rimase in silenzio.
    Il suo cuore batteva forte, i suoi desideri, in quell’attimo, si erano avverati. Non era più sola, c’era lui, il suo amante.
    Rimasero insieme tutta la notte.
    Le prime luci dell'alba arrivarono. La ragazza era addormentata sulla spiaggia. Si svegliò, guardò l'orizzonte. Nei suoi occhi c'erano ancora i suoi sogni.
    Si alzò, diede un ultimo sguardo e lentamente se ne andò.
    La magia della luna li aveva fatti incontrare ancora una volta.
    (Laura)



     
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  4. almamarina
     
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  5. gheagabry
     
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    Un giorno su un isolotto in mezzo ai sette mari , dove il vento del nord soffiava con la ferocia del ghiacci e ruggiva in continuo mentre il gelo dipingeva gli alberi d’argento e la neve copriva il verde dell’erba con il suo manto bianco, un gigante fermo dietro il muro della sua dimora scrutava come di consueto l’orizzonte. Nulla era diverso dagli altri giorni e nulla mutava quel paesaggio mentre la grandine scendeva vestita di grigio con il suo respiro di ghiaccio.
    Non un uccellino in cielo che cantasse, non un fiore sull’albero, non un filo d’erba che uscisse timidamente dalla neve e il gigante con la sua pipa in mano come un vecchio pescatore era sempre lì silenzioso e immobile ad aspettar la sera di un giorno che seguiva l’altro.
    Si domandava spesso il gigante come mai sull’isola non arrivasse mai la primavera eppure prima di essere approdato lì l’aveva vista quella bella donna che rendeva soffici i prati e belli come le stelle i rami degli alberi. Già se lo domandava spesso ma non aveva risposte e così continuava a guardare l’orizzonte tra il sibilo del vento e il ruggito del temporale.
    Ma quel giorno l’aria era diversa dalle altre volte e il vento meno ruggente, aveva l’impressione che qualcosa di diverso stesse accadendo, guardava il cielo e notava dei circoli di aria che volteggiavano in spirali diverse e inusuali e lì fermo dietro il suo muro ne osservava i mutamenti.
    Da lontano nel punto in cui i sette mari si univano in un unico grande oceano notò un puntino nero, i suoi occhi brillarono e si mosse finalmente dalla sua dimora per cercare di scorgere cosa fosse. Il puntino diventava sempre più grande e prendeva forma davanti ai suoi occhi e lui ora poteva distinguerla bene, era una nave, alto il suo albero maestro spiccava all’orizzonte con il suo pennone e una bandiera svolazzava sull’albero di prua.
    Il colore marrone della carena e il bianco della bandiera rompevano la monotonia del grigio di quel paesaggio che ormai da tanto, troppo tempo il gigante aveva imparato ad osservare.
    La nave si avvicinava a una velocità sempre maggiore finchè si fermo proprio lì davanti all’isolotto. Su di essa un grande essere dalle forme a lui similari si fermo a guardarlo e i due immobili e silenziosi incrociavano i lori sguardi.
    Quanti pensieri passavano ora nella mente del triste gigante, quanti sogni sembravano prendere forma, e quante risposte sembrava voler dare nel silenzio quella nave così bella alla sua vista.
    Non fece a tempo però a pensare a cosa dire che la nave alzò l’ancora e ripartì sparendo nella nebbia a ricostituire quel cielo grigio e compatto a cui il gigante era tanto abituato.
    Perché era arrivata? E perché non si era fermata di più? Perché non gli aveva rivolto la parola e perché se ne era andata senza chiedergli nulla? Perché lo aveva lasciato di nuovo solo?
    Ah quante domande si poneva il povero gigante, domande nuove e diverse da quelle che si poneva prima, domande cariche di delusione.
    Dentro di lui però qualcosa si agitava e guardando il cielo sempre uguale nel suo grigiore cominciava a sbuffare e a imprecare, non riusciva a stare più fermo dietro il muro della sua dimora.


    Usciva ora sempre più spesso nel freddo di quel gelido , implacabile e interminabile inverno.
    Non sopportava più quei neri alberi che lo guardavano in senso di ammonito e che lo giudicavano rozzo e gretto e così un giorno con la sua ascia li tagliò di netto, quelli che erano stati i suoi unici amici nelle notti buie e che con i ram sembravano schernirlo di continuo ora erano lì che giacevano spezzati e con quei rami il gigante accese un fuoco e notò che il grigiore di quel plumbeo cielo perdeva consistenza e che la nebbia così pungente acquistava colore e u tenero arancio si distingueva tra la grandine e la neve.
    Ed ecco di nuovo quel puntino all’orizzonte, lo stesso puntino che aveva visto giorni addietro, prendere forma e diventare di nuovo l’immagine di una nave, la stessa nave e stessa bandiera batteva in alto a sfidare il vento. Ah lo voleva vedere di nuovo in volto quell’essere similare e non avrebbe abbassato lo sguardo davanti a lui ma anzi lo avrebbe sfidato e gli avrebbe vietato di attraccare alla sua isola.
    La nave arrivò lì davanti e il gigante urlò di andar via, di non gettare l’ancora in mare e di abbassare la bandiera perché suo era quel mondo e suo quel territorio. Ma la nave non ascoltò e gettò l’ancora e la scialuppa fu messa a mare e l’essere, lo stesso essere di quella vota scese e si fece largo tra il vento e la grandine.
    La neve di colpo smise di cadere e sotto le pesanti orme dell’essere che arriva timido si vedevo un filo d’erba. Smise di brontolare e ruggire il vento e una brezza tiepida accarezzava ora il viso non più tagliente come la lama di un coltello.
    L’essere si rivolse al gigante e disse porgendogli la mano:
    “Vieni con me ti porto sulla terraferma”
    Il gigante attonito guardava e fece per aprire la bocca e reclamare quando vide che il cielo si apriva dalle nuvole e che un raggio di sole colpiva il punto in cui giacevano gli alberi ormai cenere dopo il fuoco della notte.
    “perché me lo chiedi ora e l’altra volta non ti sei neanche fermato?” gli disse il gigante
    “ oh caro mio” disse l’essere “non mi fermo tutte le volte che qualcuno vuole, mi fermo quando il tempo è maturo e la primavera è alle porte”
    “ma qui non c’è mai la primavera” disse il gigante
    “ tu sei la rassegnazione “ disse l’essere ” e la rassegnazione da sola non porta a nulla e nulla le può venire incontro”
    “ma tu sei passato l’altra volta, potevi aiutarmi e non ti sei fermato”
    “io sono la speranza “ disse l’essere “e la speranza con la rassegnazione non va da nessuna parte ed entrambe affonderebbero in un mare di grigiore e di implacabile inverno senza sufficienti forze per lottare contro il vento”
    “ e allora perché ora ti sei fermato e vuoi portarmi via’” replicò il gigante che non riusciva a intendere le sue parole
    “ perché non sei più la rassegnazione ora, tu ora sei la Rabbia e la rabbia con la speranza possono solcare il mare e trovare il sole”.
    (Diana Mastrilli)


     
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  6. gheagabry
     
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    STORIA DI UNA MARIONETTA
    - la ricchezza delle differenze -



    Prima Parte


    C’è una bambina speciale, là fuori. La sento spesso anche se non posso vederla. Ascolto tutto di lei, ogni sottile sfumatura della risata così genuina che di pomeriggio, sempre alla stessa ora, come un rituale che scandisce questo infinito tempo fermo e piatto, riempie il prato davanti a questa casa, riempie questo cielo di fine inverno e arriva più su, sino agli angeli dei miei sogni. Ti inseguo con la mente mentre giochi e rincorri la tua palla e l’odore di muffa di questa misera stanza si mescola con quel profumo che può essere solo il tuo, che sa di minestra calda e speziata, di pane appena sfornato, di latte e biscotti.

    Ti sembrerà buffo che io, marionetta in pensione, dimenticata sopra questa seggiola in una casa di cui non conosco neppure il colore della facciata ne’ in che paese si trovi, io che passo i miei giorni su questo sbiadito quadrato di stoffa imbottita che mi fa da cuscino e che, almeno quello, mi ripara dagli spifferi d’aria, possa pensare a te. Spesso azzardo un sorriso, una mossa, cerco di strattonare questi fili con la forza del pensiero e mi sforzo di piangere lacrime di legno, ma pur sempre lacrime, perché il suono allegro della tua risata mi costringe a sperare. Quando sento la tua corsa lì fuori, in quel pezzo di verde che immagino troppo grande per te e pare inghiottirti, io mi sento felice: farei piroette, sberleffi e tripli salti mortali, inventerei le storie più fantastiche per divertirti e alla fine ascolterei il battere delle tue mani e quella risata che ti rende unica e speciale.

    Una folata di vento tiepido entra dalla finestra.

    Cerco di proteggermi con le braccia, senza ovviamente riuscirci, ma sono fatta così: ogni tanto mi dimentico di essere solo una marionetta. Ricordo poco, quasi nulla. Mi sforzo di pensare ad un nome, un volto o un qualsiasi avvenimento del mio passato ma la memoria arriva sempre e soltanto al giorno in cui mi sono ritrovata qui, in mezzo alla polvere. Quando Beniamino varca la soglia, immagino di salutarlo e parlare con lui, per tenerci compagnia, prevedendo le sue risposte alle mie domande. Il sabato torna dall’osteria un po’ brillo e oltre al passo incerto diventa incerta anche la mente. Allora si mette a parlare: parla e parla e così mi faccio un’idea di cosa succede nel mondo, un’idea tutta mia che custodisco come un tesoro.

    - Perché non giochiamo più con i bambini, Beniamino -

    - Perché interessa più a nessuno un burattinaio vecchio al pari mio, con quattro marionette per altrettante storie. I tempi cambiano, le mode anche. E anche le persone -

    - Ma siamo sempre stati bravi insieme, i bambini si divertivano molto…-

    Ecco proiettati sul soffitto ricordi in bianco e nero, come in un vecchio film. Immagini confuse e sovrapposte di ragazzini chiassosi seduti a terra, davanti al teatrino, impazienti di veder scorrere le tendine rosse ed apparire noi, le marionette, magistralmente guidate da Beniamino con la magia di qualche filo invisibile. Diventiamo vive, parliamo, ci inchiniamo, molleggiamo appena, dondoliamo la testa, un poco a destra, un poco a sinistra. Quanti sberleffi, scherzi e battibecchi mentre da lontano il suono dolce di un vecchio organetto riempie l’aria.

    - Che ne è stato di Poldo, di Giacomina, del Nobile Crociato e tutti gli altri? -

    - In soffitta, nel baule dei ricordi. I bambini vogliono giochi nuovi e i loro genitori non hanno più tempo di portarli la domenica in piazza, allo spettacolo delle quattro. Hanno troppo da fare. Rassegnati, come faccio io -

    Ed esce, Beniamino, con passo incerto e la schiena curva. Mi sento presa da una grande rabbia per la poco considerazione che mi concede e gli faccio una grossa pernacchia, tanto non la può sentire e neppure offendersi. Si degnasse almeno di togliermi la polvere dalle ciglia che continua a darmi un gran prurito!

    Sento il paese che odora di buono, di zucchero filato, di giostrine festanti, di grida di bambini. Accidenti, se è la fiera del paese dovrei essere sul palcoscenico per mostrare la mia bravura! E’ pur vero che sono vestita un po’ fuori moda ed invidio gli abiti luccicanti che intravedo nella televisione di Beniamino ma in fin dei conti sono un’artista di tutto rispetto!. A pensarci bene con qualche ritocco qua e la’ farei ancora la mia bella figura.

    In quel momento un passerotto sventato si precipita dentro la stanza volando scomposto attorno a tutti i mobili: - Attento! – grido col pensiero – per poco sbattevi contro il lampadario! E’ qui la finestra per uscire, ma sei tonto o cieco?– Naturalmente non mi sente, ma dopo aver svolazzato dappertutto, attratto dalle briciole sparse sul tavolo, si posa a becchettare goloso. Finalmente un po’ di tranquillità, non sono più abituata al trambusto.

    Neanche a dirlo.

    Oh mio Dio! Ed ora che succede? Chi è questa furia di bambina? Lo dico sempre a Beniamino di chiudere la porta, mi spavento quando la dimentica aperta, ma è ovvio che è come parlare al muro.

    - Maria! Non puoi entrare così in casa d’altri! – fuori una voce un po’ allarmata mi fa sussultare.

    Maria è sicuramente quel tornado di bimba che è appena entrata e che non fa cenno di preoccuparsi della voce che la richiama. Sorride in modo particolare ed unico, con i denti piccolini e stretti da un palato che fatica a contenerli tutti. Gli occhi scuri sono un po’ a mandorla, gli zigomi sono alti e il naso piccolo piccolo. Il viso rotondo è paffutello, un po’ schiacciato, e sulle prime non si capisce bene dove guarda, un occhio volge da una parte, l’altro appena meno e pare osservare qualcosa vicino a quello che osserva il primo. La punta della lingua, adagiata mollemente sul labbro inferiore, fuoriesce un tantino. I capelli sono fini e nerissimi, dritti come fili d’erba. La frangetta, anche se corta, sembra quasi coprire la fronte stretta. Le piccole e tozze mani, con le dita paffute e corte, battono una contro l’altra fuori tempo, esprimendo felicità. Ovviamente il passerotto si terrorizza, prende il volo e infila immediatamente la finestra riconquistando la cima dell’albero di fronte.

    - Allora tutta quella confusione l’hai creata apposta! - gli grido dietro.

    Maria non si dispiace per nulla della fuga precipitosa del passerotto anzi ride, ride e continua a battere le manine felice ed emozionata. Solo in quel momento riesco a riconoscerla! E’ lei! E’ la bambina che sento ridere dalla finestra!

    - Perché non sei anche tu alle giostre? – le domando, curiosa.

    La mamma di Maria bussa alla porta ed entra, abbassandosi per parlare con lei guardandola negli occhi.

    - Non si può entrare in casa d’altri così, Maria. Occorre bussare ed aspettare che ci facciano entrare. – Ma la bimba ha fissato su di me i suoi occhi scuri e profondi, o almeno uno di essi perché l’altro sembra osservare qualcosa alla mia sinistra. Dapprima mi sento un po’ inquieta, poi ricordo la sua risata e capisco che in lei c’è solo curiosità e tenerezza.

    - Bel burattino bello tutto impolverato – dice, puntando l’indice verso di me.

    - Sulla polvere hai ragione, ma sono una marionetta, non facciamo confusione per favore – rispondo un poco irritata. Mi afferra delicatamente e mi tiene davanti al viso per osservarmi meglio.

    - Bel burattino bello – dice, e mi schiocca un sonoro bacio sul naso. Mi sento quasi svenire, il legno si accappona e sento i brividi in tutte le giunture. Poi mi abbraccia e mi stringe forte forte, mi viene quasi da piangere.

    - Va bene, passi per burattino, a te posso concederlo. Ma solo a te, sia inteso –

    Cerco di mantenere un contegno anche se l’unica cosa che desidero è rimanere stretta nel suo abbraccio.

    - Hai visto che bella marionetta, Maria? – interviene la mamma.

    - Grazie signora – rispondo, lusingata dal fatto che la mamma sa distinguere una nobile marionetta da un burattino da quattro soldi.

    - Ma adesso dobbiamo posarla e andare, piccola mia – continua con dolcezza – i padroni di casa potrebbero non essere contenti che ci siamo intrufolate qui senza il suo permesso.

    In quel momento Beniamino entra claudicante, e dopo un attimo di sorpresa sorride vedendo Maria che mi stringe al cuore.

    - Buongiorno – dice con la sua vociona.

    - Buongiorno, ci scusi se siamo entrate, ma .. -

    - Lasci perdere, non ha importanza, la mia casa è aperta a tutti. Ciao – dice poi rivolgendosi a Maria – ti piace Serenella, la mia marionetta?

    - Accidenti, ecco come mi chiamo! Ma era talmente tanto tempo che non sentivo più il mio nome che me l’ero scordato! – esclamo felice ma anche un po’ preoccupata.

    - Burattino Serenella stanco di stare seduto– inizia a raccontare Maria – e si aggrappa alle zampe di un uccellino ma lui si spaventa così tanto che vola subito via. Burattino Serenella vola nel cielo verso le nuvole e con un rametto le avvolge tutte facendo del buonissimo zucchero filato. Anche l’uccellino lo assaggia, senza avere più paura, perché è lo zucchero filato più dolce che si sia mai mangiato. Allora tornano tra le giostre e i bambini si siedono intorno a Burattino Serenella per mangiarlo tutti insieme -

    Maria sorride e mi dondola davanti ai suoi occhi. Ascoltandola, mentre le sue mani mi sollevano in aria, sopra la testa, continuo il mio volo con la fantasia lassù, tra l’azzurro del cielo, e quando mi appoggia a terra, tra i suoi piedi, vedo tanti bambini che si siedono in cerchio per assaggiare lo zucchero filato fatto di nuvole. La mamma osserva Maria con un sorriso dolce dolce mentre Beniamino rimane a bocca aperta e se non fosse che all’improvviso si riprende passandosi il dorso della mano sul viso, giurerei di aver visto una lacrima.

    - La sua bambina racconta delle bellissime storie – dice Beniamino.

    - Lo so, mi incanto ogni volta ad ascoltarla – risponde la mamma – ma vorrei tanto che potesse fare quelle piccole cose che tutti gli altri bambini fanno. Inventare storie non credo possa aiutarla nella vita -

    Il velo di tristezza che vedo negli occhi della mamma non riesce a cancellare la felicità che sento nel cuore. Poi prende la figlia per mano dicendole di posarmi sulla sedia.

    - No ti prego! – grido con tutto lo zero fiato che possiedo.

    Maria ubbidiente mi posa sulla sedia accarezzandomi i capelli di lana gialla.

    - La prego signora – interviene Beniamino – sarei felice se Maria tenesse Serenella, lei saprà farla ancora vivere come ha fatto oggi. Preferisco pensarla dentro le sue favole che vederla immobile su quel cuscino-

    La mamma dice che non può accettare, ed io tremo, anche se mi sento in colpa nel voler abbandonare il buon Beniamino. - La prego accetti, mi fa un grande regalo - dice Beniamino, e io gli butterei le braccia al collo, se solo ne fossi capace. Alla fine lo saluto mandandogli mille baci con il pensiero ed esco tra le braccia di Maria, sicura che con lei potrò vivere mille storie, anche se saranno solo per noi due, anzi tre, se ci mettiamo anche la mamma.



    segue...........


    Fuori il sole è accecante e d’istinto mi viene da coprirmi gli occhi con la mano. Ecco il mondo, finalmente! Mi assale uno stato di agitazione misto ad euforia, non so più cosa devo guardare per prima. Il colore della facciata verde menta, le petunie e i gerani nei grandi vasi che delimitano la stradina, gli oleandri fioriti e il profumo di salvia e rosmarino che arriva dall’orto della casa di fianco. Alzo gli occhi al cielo e vedo le nuvole, contenta di non averle usate tutte per lo zucchero filato. Rido tra me e me e mi lascio dondolare tra le braccia di Maria, liberando la mente dai tristi pensieri che ho avuto fino ad ora. Ho provato così tante emozioni in così poco tempo che sento il sonno avvolgermi piano, piano.

    Non so quanto tempo è trascorso ma ora sono certa di trovarmi nella cameretta di Maria. Il disordine regna sovrano! Sono comodamente seduta sopra una montagna di pupazzi che odorano di pulito. Lei è di fronte a me, la intravedo seduta sul letto disfatto con le gambe ciondoloni che si muovono su e giù con la regolarità di un orologio svizzero, con un libro sui ginocchi e l’indice della mano destra sulle belle figure.

    - Burattino Serenella questa è la storia che la mamma mi legge prima di dormire - E così dicendo scende dal letto come una furia, afferra il libro e me lo sbatte sul naso, ridendo divertita. In lei vedo tanta gioia e il desiderio di farmi partecipe del suo mondo che è la sua stanza, la sua casa, la sua mamma. Probabilmente anche la sua scuola.

    Dalla cucina arriva un invitante profumino di patate al forno e la voce della mamma che chiama Maria per la cena. Lei batte le mani in quel modo tutto suo che avverto un tuffo al cuore dalla gioia. Anche le marionette hanno un cuore, signori miei, ed il mio batte per Maria.

    Mi porta con se’ sotto braccio, quasi stritolandomi e mi scaraventa alla sua sinistra sulla tavola apparecchiata con gusto: dalla tovaglia color panna sembrano esplodere fiori di tutti i tipi e di tutti i colori e solo a vederla mi mette allegria e mi fa dimenticare i suoi modi maldestri. I piatti bianchi immacolati contengono già una fumante minestra.

    - Mangia tutto, mi raccomando - dice la mamma.

    All’improvviso, con la coda dell’occhio, vedo precipitare in picchiata sulla mia bocca un cucchiaio colmo di brodo e pastina e la mano paffuta di Maria che me lo conficca nel legno spingendo a più non posso. Nel vedere la minestra colarmi lungo il collo, i suoi occhi si fanno vicini vicini, la fronte si corruga, sbatte rumorosamente il cucchiaio vuoto sulla tavola e, con le mani sui fianchi come un comandante di vascello in procinto di redarguire la sua flotta, mi ordina: - Mangia, Burattino Serenella! –

    - Maria calmati – dice la mamma, prendendola per un braccio e facendola sedere al suo posto. – E’ di legno, non può aprire la bocca per mangiare, capisci? Lascia stare e finisci la tua minestra, veloce! –

    Cara mamma, quanto ti voglio bene! Cerco di rilassarmi ma mi sento tutta appiccicosa per via del brodo e delle pastine-stelline incastonate come diademi tra i capelli e sobbalzo ad ogni minimo rumore. Confido in una notte tranquilla, senza più pericolosi colpi di scena: la cucchiaiata sulla bocca mi è bastata!

    Il fascio di luce che entra dalle persiane mi avverte che è mattino.

    - Buongiorno bimba mia, hai dormito bene? – la mano della mamma scompiglia la testolina di Maria che, furbetta e giocherellona, si rifugia sotto le coperte. Poi risale, come un pesciolino la corrente, e si siede sul cuscino, stropicciandosi energicamente gli occhi. Poi si ferma, con le mani sugli occhi ed un sorriso stampato sul bel visetto. Apre le manine come fossero finestre ed esclama: “cu-cù”, guardando verso di me. Come è bella Maria quando ride. Depone un bacio sul palmo della mano e soffia forte nella mia direzione, guardandomi con adorazione. Poi ritorna la saetta di sempre: toglie il pigiama scalciando come un asinello e lo butta sul tappeto; apre i cassetti e rovista cercando il vestito da indossare; rifiuta con un secco “no” l’aiuto della mamma e lesta corre in bagno; sento l’acqua scorrere nel lavandino e immagino schizzi dappertutto; operazione denti: - Mamma ho mangiato il dentipricio!– e si sente lo spazzolino cadere a terra e la mamma, dalla cucina: -Dentifricio, Maria, si dice dentifricio - ; operazione capelli: spazzola nella mano destra, pettine nella sinistra, mollettina con brillantini che non si sa a cosa serve, un po’ di gel che non si sa a cosa serve.

    - Siediti, la colazione è quasi pronta – dice la mamma, sfilandosi il grembiule.

    E mentre sto cercando di capire cosa ne sarà di me in questa nuova giornata di metà maggio, ecco arrivarmi al naso quel buon profumo di latte e biscotti che mi è tanto familiare e ringrazio la sorte per essere ancora ferma ed immobile sopra questi pupazzi anziché sul tavolo in cucina! Come non detto: il trotterellare che proviene dal corridoio mi avverte che Maria sta tornando in camera. Si ferma ansimante sulla porta con le mani sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e farfuglia non so quali parole. Mi guarda, fa scivolare lo zaino che aveva già sulle spalle, lo apre. Allarga le braccia verso di me: è la fine, penso, questa volta mi stritola. Vengo scaraventa nello zaino, non vedo più nulla. Con un volo da montagne russe ribalta lo zaino sulle spalle ed esce di corsa dalla stanza. Ho il voltastomaco, un senso di panico mi avvolge. Detesto l’odore dell’inchiostro, i libri e i quaderni mi pungolano dappertutto. Vorrei piangere le solite lacrime di legno ma resto lì, come il miglior cow-boy da rodeo dei film preferiti da Beniamino mentre Maria, cavallo imbizzarrito, corre, corre, corre ed io sobbalzo implorando la tregua.

    Bacio alla mamma, autobus, bambini chiassosi, autista un po’ nervoso, gomme da masticare che diventano palloni giganti. La scuola, finalmente arrivati! Ancora una corsa per raggiungere la classe, dopo di che vengo sbattuta con tutto lo zaino sul banco di Maria la quale, farfugliando con le amiche, fruga alla ricerca di astuccio, libro e quaderno provocandomi un solletico indescrivibile. Però sembra si sia dimenticata di me: sospiro di sollievo!

    Durante la lezione mi addormento e al risveglio la scena apocalittica che si presenta dinnanzi agli occhi mi vede protagonista di un rocambolesco volo, attraverso la finestra aperta, con doppio avvitamento, salto mortale e atterraggio di fortuna sul cespuglio di rose selvatiche del giardinetto della scuola. Insomma, un numero degno della donna cannone catapultata sul telo elastico del circo. Mentre volo sento Maria che urla - Cattivo, cattivo! – e piange e si dispera verso l’autore di questa brutta azione, un bambino dai capelli rossicci e col naso all’insu’ pieno di lentiggini che si fa scudo con le braccia per evitare i pugni con i quali la piccola tenta di colpirlo alle spalle. I compagni spingono e strattonano per affacciarsi alla finestra e godersi lo spettacolo. Non potendomi muovere, confido nella bontà di qualche persona gentile che mi riporti tra le braccia di Maria. Dopo pochi minuti una signora con un grembiule azzurro e un radioso sorriso, che immagino sia la bidella, mi solleva da quel fastidioso giaciglio e, spolverandomi, mi appoggia con noncuranza sulla spalla destra, dirigendosi verso le scale. Maria ci corre incontro con gli occhi arrossati ed il naso che cola, mi afferra e mi stringe in un abbraccio materno senza precedenti, riempiendomi i capelli di baci.

    La maestra, messa al corrente dell’accaduto, richiama gli alunni in classe, battendo le mani: - Quante volte devo ripetere che non si fruga nelle cartelle dei compagni e che bisogna avere rispetto per le cose altrui? Vieni, Maria, porta qui la tua marionetta, da brava - La bimba, come una diva in passerella, raggiunge la cattedra ed inizia a raccontare tutta la storia, ovviamente colorandola di particolari di pura fantasia ed i compagni, guardandola gesticolare, così radiosa in viso, rimangono a bocca aperta ad ascoltarla. La maestra, visibilmente entusiasta, si alza, appoggia le mani sulla cattedra e dice: - Per il nostro saggio di fine anno potremo invitare il signor Beniamino e presentare il teatrino delle marionette, che ne dite bambini? - Un coro euforico di “si” riempie la stanza e Maria batte forte le manine, lasciandomi cadere a terra. La perdono: fortunatamente è quasi l’ora di ritornare a casa.

    Nelle settimane che seguono, i bambini organizzano il loro spettacolo insieme alla maestra, Maria e la sua mamma, Beniamino e le altre marionette. La gioia di Serenella nel ritrovare i suoi compagni di avventura Poldo, Giacomina e il Nobile Crociato è immensa.

    Il giorno tanto atteso è arrivato.
    Con indosso il vestito della festa, Serenella riconquista la sua dignità e riprende a sperare.

    Mi sembra un sogno. Vi prego, qualcuno mi dica che sono sveglia e mi dia pizzicotti così sono sicura che è tutto vero e che Maria, in punta di piedi sulla sedia, con le braccia in alto e con i pugni ben stretti, strattona proprio i miei, di fili, ed io danzo e goffamente mi inchino ed inciampo sul piccolo palco di legno del ritrovato teatrino, con i drappi rossi e la scritta dorata, mentre la sua voce emozionata riempie l’aula e cambia tonalità a seconda se ordina, invita, ripete. I bambini la adorano e rifanno il verso alle sue smorfie e ai movimenti buffi della bocca che lei, per dovere di scena, regala generosa, inventandosi battute fuori copione. Gli alunni delle altre classi le fanno cenni e le mandano saluti per incoraggiarla, seduti accanto ai genitori sulle seggiole tutte in fila davanti al teatrino. E lei ride ed ogni tanto alza il viso per cercare approvazione negli occhi di Beniamino che le è accanto. – Attenta - le sussurra – non guardare me ma Serenella - L’applauso del pubblico sembra non finire mai e nessuno fa caso alle stonature del coro, alle battute dimenticate, al trambusto dietro le quinte.

    - Sei stato molto bravo burattino Serenella - mi dice una gioiosa Maria con le guance rubiconde al termine dello spettacolo. L’aula si riempie di festanti bambini che corrono e di euforiche mamme i cui discorsi, che sanno di vacanze, mare e sole, si disperdono nell’aria ancor prima di raggiungermi. La mia attenzione è tutta per Beniamino e la maestra che, in disparte, parlano fitto fitto. Penso a cosa ne sarà di me ma non voglio rattristarmi proprio in uno dei giorni più belli della mia vita di marionetta.

    - Maria! Maria vieni qui, per favore! – la chiama Beniamino, facendo cenno con la mano.

    La bimba lo raggiunge di corsa, insieme alla mamma. – Maria ti nomino mia aiutante in campo, tanto sei stata brava a condurre lo spettacolo! Ma bada bene: dovrai prenderti cura del teatrino e delle marionette, e soprattutto di Serenella. Dovrai inventarti nuove storie per nuovi spettacoli. Te la senti, piccola mia? –

    Da quel giorno di giugno la mia vita è cambiata, non perché lo sbiadito quadrato di stoffa imbottita che mi faceva da cuscino è solo un lontano ricordo, come l’odore di muffa e la solitudine. No, non per questo, e neppure perché sono tornata a fare il mio mestiere di sempre. No. La mia vita è cambiata perché ho incontrato quella furia di bambina che mi guarda con quegli occhietti piccoli e neri che parlano d’amore e mi accetta così come sono, sgangherata, di legno e senza voce. Io, piena di fiducia, spero di vivere sino al giorno in cui il mondo diverrà una casa per tutti, con grandi finestre aperte come le braccia di Maria quando mi stritola e dice “ti voglio bene, burattino Serenella”.


    pluftbello



    seconda parte e ultima

    Fuori il sole è accecante e d’istinto mi viene da coprirmi gli occhi con la mano. Ecco il mondo, finalmente! Mi assale uno stato di agitazione misto ad euforia, non so più cosa devo guardare per prima. Il colore della facciata verde menta, le petunie e i gerani nei grandi vasi che delimitano la stradina, gli oleandri fioriti e il profumo di salvia e rosmarino che arriva dall’orto della casa di fianco. Alzo gli occhi al cielo e vedo le nuvole, contenta di non averle usate tutte per lo zucchero filato. Rido tra me e me e mi lascio dondolare tra le braccia di Maria, liberando la mente dai tristi pensieri che ho avuto fino ad ora. Ho provato così tante emozioni in così poco tempo che sento il sonno avvolgermi piano, piano.

    Non so quanto tempo è trascorso ma ora sono certa di trovarmi nella cameretta di Maria. Il disordine regna sovrano! Sono comodamente seduta sopra una montagna di pupazzi che odorano di pulito. Lei è di fronte a me, la intravedo seduta sul letto disfatto con le gambe ciondoloni che si muovono su e giù con la regolarità di un orologio svizzero, con un libro sui ginocchi e l’indice della mano destra sulle belle figure.

    - Burattino Serenella questa è la storia che la mamma mi legge prima di dormire - E così dicendo scende dal letto come una furia, afferra il libro e me lo sbatte sul naso, ridendo divertita. In lei vedo tanta gioia e il desiderio di farmi partecipe del suo mondo che è la sua stanza, la sua casa, la sua mamma. Probabilmente anche la sua scuola.

    Dalla cucina arriva un invitante profumino di patate al forno e la voce della mamma che chiama Maria per la cena. Lei batte le mani in quel modo tutto suo che avverto un tuffo al cuore dalla gioia. Anche le marionette hanno un cuore, signori miei, ed il mio batte per Maria.

    Mi porta con se’ sotto braccio, quasi stritolandomi e mi scaraventa alla sua sinistra sulla tavola apparecchiata con gusto: dalla tovaglia color panna sembrano esplodere fiori di tutti i tipi e di tutti i colori e solo a vederla mi mette allegria e mi fa dimenticare i suoi modi maldestri. I piatti bianchi immacolati contengono già una fumante minestra.

    - Mangia tutto, mi raccomando - dice la mamma.

    All’improvviso, con la coda dell’occhio, vedo precipitare in picchiata sulla mia bocca un cucchiaio colmo di brodo e pastina e la mano paffuta di Maria che me lo conficca nel legno spingendo a più non posso. Nel vedere la minestra colarmi lungo il collo, i suoi occhi si fanno vicini vicini, la fronte si corruga, sbatte rumorosamente il cucchiaio vuoto sulla tavola e, con le mani sui fianchi come un comandante di vascello in procinto di redarguire la sua flotta, mi ordina: - Mangia, Burattino Serenella! –

    - Maria calmati – dice la mamma, prendendola per un braccio e facendola sedere al suo posto. – E’ di legno, non può aprire la bocca per mangiare, capisci? Lascia stare e finisci la tua minestra, veloce! –

    Cara mamma, quanto ti voglio bene! Cerco di rilassarmi ma mi sento tutta appiccicosa per via del brodo e delle pastine-stelline incastonate come diademi tra i capelli e sobbalzo ad ogni minimo rumore. Confido in una notte tranquilla, senza più pericolosi colpi di scena: la cucchiaiata sulla bocca mi è bastata!

    Il fascio di luce che entra dalle persiane mi avverte che è mattino.

    - Buongiorno bimba mia, hai dormito bene? – la mano della mamma scompiglia la testolina di Maria che, furbetta e giocherellona, si rifugia sotto le coperte. Poi risale, come un pesciolino la corrente, e si siede sul cuscino, stropicciandosi energicamente gli occhi. Poi si ferma, con le mani sugli occhi ed un sorriso stampato sul bel visetto. Apre le manine come fossero finestre ed esclama: “cu-cù”, guardando verso di me. Come è bella Maria quando ride. Depone un bacio sul palmo della mano e soffia forte nella mia direzione, guardandomi con adorazione. Poi ritorna la saetta di sempre: toglie il pigiama scalciando come un asinello e lo butta sul tappeto; apre i cassetti e rovista cercando il vestito da indossare; rifiuta con un secco “no” l’aiuto della mamma e lesta corre in bagno; sento l’acqua scorrere nel lavandino e immagino schizzi dappertutto; operazione denti: - Mamma ho mangiato il dentipricio!– e si sente lo spazzolino cadere a terra e la mamma, dalla cucina: -Dentifricio, Maria, si dice dentifricio - ; operazione capelli: spazzola nella mano destra, pettine nella sinistra, mollettina con brillantini che non si sa a cosa serve, un po’ di gel che non si sa a cosa serve.

    - Siediti, la colazione è quasi pronta – dice la mamma, sfilandosi il grembiule.

    E mentre sto cercando di capire cosa ne sarà di me in questa nuova giornata di metà maggio, ecco arrivarmi al naso quel buon profumo di latte e biscotti che mi è tanto familiare e ringrazio la sorte per essere ancora ferma ed immobile sopra questi pupazzi anziché sul tavolo in cucina! Come non detto: il trotterellare che proviene dal corridoio mi avverte che Maria sta tornando in camera. Si ferma ansimante sulla porta con le mani sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e farfuglia non so quali parole. Mi guarda, fa scivolare lo zaino che aveva già sulle spalle, lo apre. Allarga le braccia verso di me: è la fine, penso, questa volta mi stritola. Vengo scaraventa nello zaino, non vedo più nulla. Con un volo da montagne russe ribalta lo zaino sulle spalle ed esce di corsa dalla stanza. Ho il voltastomaco, un senso di panico mi avvolge. Detesto l’odore dell’inchiostro, i libri e i quaderni mi pungolano dappertutto. Vorrei piangere le solite lacrime di legno ma resto lì, come il miglior cow-boy da rodeo dei film preferiti da Beniamino mentre Maria, cavallo imbizzarrito, corre, corre, corre ed io sobbalzo implorando la tregua.

    Bacio alla mamma, autobus, bambini chiassosi, autista un po’ nervoso, gomme da masticare che diventano palloni giganti. La scuola, finalmente arrivati! Ancora una corsa per raggiungere la classe, dopo di che vengo sbattuta con tutto lo zaino sul banco di Maria la quale, farfugliando con le amiche, fruga alla ricerca di astuccio, libro e quaderno provocandomi un solletico indescrivibile. Però sembra si sia dimenticata di me: sospiro di sollievo!

    Durante la lezione mi addormento e al risveglio la scena apocalittica che si presenta dinnanzi agli occhi mi vede protagonista di un rocambolesco volo, attraverso la finestra aperta, con doppio avvitamento, salto mortale e atterraggio di fortuna sul cespuglio di rose selvatiche del giardinetto della scuola. Insomma, un numero degno della donna cannone catapultata sul telo elastico del circo. Mentre volo sento Maria che urla - Cattivo, cattivo! – e piange e si dispera verso l’autore di questa brutta azione, un bambino dai capelli rossicci e col naso all’insu’ pieno di lentiggini che si fa scudo con le braccia per evitare i pugni con i quali la piccola tenta di colpirlo alle spalle. I compagni spingono e strattonano per affacciarsi alla finestra e godersi lo spettacolo. Non potendomi muovere, confido nella bontà di qualche persona gentile che mi riporti tra le braccia di Maria. Dopo pochi minuti una signora con un grembiule azzurro e un radioso sorriso, che immagino sia la bidella, mi solleva da quel fastidioso giaciglio e, spolverandomi, mi appoggia con noncuranza sulla spalla destra, dirigendosi verso le scale. Maria ci corre incontro con gli occhi arrossati ed il naso che cola, mi afferra e mi stringe in un abbraccio materno senza precedenti, riempiendomi i capelli di baci.

    La maestra, messa al corrente dell’accaduto, richiama gli alunni in classe, battendo le mani: - Quante volte devo ripetere che non si fruga nelle cartelle dei compagni e che bisogna avere rispetto per le cose altrui? Vieni, Maria, porta qui la tua marionetta, da brava - La bimba, come una diva in passerella, raggiunge la cattedra ed inizia a raccontare tutta la storia, ovviamente colorandola di particolari di pura fantasia ed i compagni, guardandola gesticolare, così radiosa in viso, rimangono a bocca aperta ad ascoltarla. La maestra, visibilmente entusiasta, si alza, appoggia le mani sulla cattedra e dice: - Per il nostro saggio di fine anno potremo invitare il signor Beniamino e presentare il teatrino delle marionette, che ne dite bambini? - Un coro euforico di “si” riempie la stanza e Maria batte forte le manine, lasciandomi cadere a terra. La perdono: fortunatamente è quasi l’ora di ritornare a casa.

    Nelle settimane che seguono, i bambini organizzano il loro spettacolo insieme alla maestra, Maria e la sua mamma, Beniamino e le altre marionette. La gioia di Serenella nel ritrovare i suoi compagni di avventura Poldo, Giacomina e il Nobile Crociato è immensa.

    Il giorno tanto atteso è arrivato.
    Con indosso il vestito della festa, Serenella riconquista la sua dignità e riprende a sperare.

    Mi sembra un sogno. Vi prego, qualcuno mi dica che sono sveglia e mi dia pizzicotti così sono sicura che è tutto vero e che Maria, in punta di piedi sulla sedia, con le braccia in alto e con i pugni ben stretti, strattona proprio i miei, di fili, ed io danzo e goffamente mi inchino ed inciampo sul piccolo palco di legno del ritrovato teatrino, con i drappi rossi e la scritta dorata, mentre la sua voce emozionata riempie l’aula e cambia tonalità a seconda se ordina, invita, ripete. I bambini la adorano e rifanno il verso alle sue smorfie e ai movimenti buffi della bocca che lei, per dovere di scena, regala generosa, inventandosi battute fuori copione. Gli alunni delle altre classi le fanno cenni e le mandano saluti per incoraggiarla, seduti accanto ai genitori sulle seggiole tutte in fila davanti al teatrino. E lei ride ed ogni tanto alza il viso per cercare approvazione negli occhi di Beniamino che le è accanto. – Attenta - le sussurra – non guardare me ma Serenella - L’applauso del pubblico sembra non finire mai e nessuno fa caso alle stonature del coro, alle battute dimenticate, al trambusto dietro le quinte.

    - Sei stato molto bravo burattino Serenella - mi dice una gioiosa Maria con le guance rubiconde al termine dello spettacolo. L’aula si riempie di festanti bambini che corrono e di euforiche mamme i cui discorsi, che sanno di vacanze, mare e sole, si disperdono nell’aria ancor prima di raggiungermi. La mia attenzione è tutta per Beniamino e la maestra che, in disparte, parlano fitto fitto. Penso a cosa ne sarà di me ma non voglio rattristarmi proprio in uno dei giorni più belli della mia vita di marionetta.

    - Maria! Maria vieni qui, per favore! – la chiama Beniamino, facendo cenno con la mano.

    La bimba lo raggiunge di corsa, insieme alla mamma. – Maria ti nomino mia aiutante in campo, tanto sei stata brava a condurre lo spettacolo! Ma bada bene: dovrai prenderti cura del teatrino e delle marionette, e soprattutto di Serenella. Dovrai inventarti nuove storie per nuovi spettacoli. Te la senti, piccola mia? –

    Da quel giorno di giugno la mia vita è cambiata, non perché lo sbiadito quadrato di stoffa imbottita che mi faceva da cuscino è solo un lontano ricordo, come l’odore di muffa e la solitudine. No, non per questo, e neppure perché sono tornata a fare il mio mestiere di sempre. No. La mia vita è cambiata perché ho incontrato quella furia di bambina che mi guarda con quegli occhietti piccoli e neri che parlano d’amore e mi accetta così come sono, sgangherata, di legno e senza voce. Io, piena di fiducia, spero di vivere sino al giorno in cui il mondo diverrà una casa per tutti, con grandi finestre aperte come le braccia di Maria quando mi stritola e dice “ti voglio bene, burattino Serenella”.



    dal web

    Edited by gheagabry - 30/7/2013, 22:54
     
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  7. almamarina
     
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  8. gheagabry
     
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    le favole in disordine


    C’era una volta un grande libro di favole dimenticato aperto da qualche lettore distratto.
    Era un bellissimo libro con la copertina dorata e conteneva più di cento racconti che tutti i bambini conoscono e più di cento illustrazioni ad acquerello dai toni caldi e tenui.
    Da quella distrazione nacque una gran confusione: i personaggi delle favole smarrirono il posto ad essi assegnato ed iniziarono a vagare da pagina a pagina, tra il caos e lo stupore generale.
    Fu così che il burattino Pinocchio, diretto verso il paese dei balocchi, si imbatté nella casetta della nonna di Cappucetto Rosso. Si cibò delle leccornie che trovò nel cestino della merenda e si addormentò nel lettone della vecchina. Immaginate il Lupo Cattivo nel vedere Pinocchio anziché la nonna in carne ed ossa! Se ne andò a gambe levate, rabbrividendo al pensiero di dover mangiare un pezzo di legno: il suo stomaco non avrebbe retto quel lungo naso.
    Decise quindi di mettersi alla ricerca dei Tre Porcellini, ignaro però del fatto che i fratellini, andati a far legna nel bosco, erano entrati per errore nella casetta di Biancaneve e i Sette Nani. La Strega Cattiva, giunta con la mela avvelenata, ebbe un malore nel vedere che i nanetti erano diventanti dieci!
    Passò di lì nel frattempo il servitore del Principe Azzurro che si recava in paese alla ricerca della fanciulla che al ballo aveva smarrito la scarpetta di cristallo. Vide la strega a terra e le fece calzare la scarpina e, magia delle magie, la vecchina si trasformò in una bambina dai bei riccioli d’oro, la dolce Alice del paese delle meraviglie.
    La confusione era diventata talmente insostenibile che il Gatto con gli stivali si ritrovò imbarcato sulla nave di Capitan Uncino, ma proprio non sopportava quel Campanellino che continuava a tirargli i baffi e a fargli mille dispetti.
    E fu proprio in quel frangente che la nave andò a cozzare contro la balena la quale non ospitava nella pancia il caro Geppetto bensì Hansel e Gretel. I due fratellini, infatti, in volo sul tappeto magico alla ricerca della casina di cioccolato e marzapane, si imbatterono in un forte vento da sud, precipitarono in mare e furono inghiottiti dalla grande balena.
    Tutti questi personaggi non sapevano proprio più che fare, l’unico loro desiderio era quello di tornare ad essere gli eroi per tanti altri piccoli lettori.
    Decisero allora di chiedere aiuto al Genio della lampada ma purtroppo era nella foresta alle prese con la spada nella roccia.
    Che fare? Sembrava una situazione proprio senza via d’uscita.
    Tutte le fate e tutti i maghi si riunirono allora attorno alla tavola rotonda e decisero che l’unica soluzione era assolutamente richiudere in tutta fretta il grande libro per porre fine a tutto quel disordine.
    Arrampicandosi a fatica tra le pagine, essi videro una fanciulla intenta a scrivere un racconto per i suoi amici bambini. Con tutto il fiato che avevano in gola, insieme la chiamarono: “Greta! Greta! Aiutaci! Richiudi il libro, per favore, rimetti ordine nelle nostre fiabe! Spicciati, fai presto!”
    Non vi dico il mio stupore! Non credevo ai miei occhi: sbalordita ed incuriosita mi avvicinai a quelle minuscole creature sbucate dal grande libro e, ascoltate le loro richieste, lo richiusi in fretta e furia e rimasi in silenzio ad ascoltare: tutto taceva.
    Tornai ad sfogliarlo e vidi che erano tornati tutti al loro posto, tutte le pagine ben ordinate, pronte ad essere lette e rilette.
    Lo riposi nello scaffale insieme ad altri volumi e, sorridendo ed ancora alquanto incredula come se si fosse trattato di un sogno, tornai al mio posto con un’idea che mi balenava in testa.
    Detti un ultimo sguardo alla libreria e mi ritrovai a scrivere così: “C’era una volta un grande libro di favole dimenticato aperto da qualche lettore distratto…”


    Greta Blu
     
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  9. almamarina
     
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  11. gheagabry
     
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    C'era una volta in un tempo che non ricordo
    una piccola letterina non scritta,
    né affrancata né imbucata e tantomeno spedita.

    Era bianca come la parete più bianca che non abbiate mai visto
    e questo era il suo problema:
    non riusciva a trovare nessuno che la scrivesse,
    nessuno che facesse su di lei anche il disegno più brutto,
    nessuno che poi la chiudesse nella busta
    e la consegnasse al postino.

    Sognava di compiere un viaggio bellissimo
    in compagnia di una cartolina che proveniva dall'altra parte del mondo,
    del pacco più piccolo della Terra
    che doveva essere consegnato nel posto più sperduto
    e del telegramma più veloce che c'era
    e che l'avrebbe abbracciata
    e le avrebbe fatto fare il giro del mondo in un battibaleno.

    I suoi occhi vedevano un francobollo elegantissimo
    posarsi su di lei e baciarla,
    distendere i suoi bordi frastagliati con dolcezza
    e parlarle di un lungo viaggio nel più arido posto del pianeta,
    laggiù nella parte più sperduta dell'Africa
    dove c'è poca acqua e il sole secca la pianta più tenace
    e lascia senza cibo.

    Allora lei veniva consegnata al bambino triste che stava laggiù
    che l'avrebbe letta e sarebbe scoppiato a ridere
    e avrebbe contagiato la sua famiglia e quella del vicino,
    il villaggio e la città vicina e via via tutti e tutto
    fino a far ridere di gioia tutti quanti.

    Ma quella gioia e quella felicità scomparivano sempre
    quando apriva gli occhi e si rendeva conto che non si era mai mossa
    da quel cassetto pieno di bottoni e pinzette,
    piccoli esserini morbidi senza un'anima e figurine di calciatori,
    ciondoli e gomme da masticare.



    Certo aveva fatto la corte ai francobolli
    che stavano tutti ben distesi nel loro raccoglitore
    e russavano senza ritegno,
    ma loro affermavano di "essere fuori corso",
    d'essere troppo vecchi per intraprendere un lungo viaggio
    e che ora volevano solo riposare.

    E si era molto arrabbiata col vecchio pennino
    che non voleva sentire ragioni:
    lui per scriverla aveva bisogno di un calamaio,
    di uno scrittoio e di un tampone assorbente,
    troppe cose tutte assieme che neanche
    la splendida fantasia della letterina avrebbe trovato.

    Così il suo tempo passava tra cose che scomparivano
    e non tornavano più come i vecchi francobolli
    che furono riuniti in fretta e furia
    in un sacchettino trasparente e cambiarono casa,
    i piccoli bottoni che non trovarono mai più
    il vestitino a cui appartenevano
    e i nuovi arrivi che molte volte la sotterravano e la schiacciavano
    a tal punto da spiaccicarla sul fondo del cassetto.

    Fu durante uno di quei tragici riempimenti che conobbe Filippo,
    il più bel pennarello che non avesse mai visto:
    lui era magrissimo e aveva uno splendido colore blu,
    blu era il suo cappuccio e la sua punta,
    e lei, che lo aveva visto scivolare di notte dal quaderno da disegno,
    subito se ne innamorò.

    Non aveva mai visto nulla di così elegante e dolce,
    di così determinato e allegro
    e quando lei gli raccontò la sua triste esistenza
    e gli parlò dei suoi desideri,
    scoprì che anche Filippo avrebbe voluto viaggiare
    e visitare Paesi da sogno,
    che anche lui avrebbe voluto scrivere parole felici
    e riempire pagine e pagine di gioia.

    E che anche lui si sentiva inutile,
    lasciato per troppo tempo in quel quaderno da disegno
    dove era scomparsa la fantasia e in cui tutte le pagine
    erano rimaste vuote a tal punto da ingiallire rapidamente.



    Fu così che una sera i due decisero di provare a scrivere:
    chiesero al foglio bianco raggrinzito che stava lì vicino
    di prestare loro uno dei suoi angoli e Filippo,
    togliendosi il cappuccio con signorilità,
    iniziò a buttare giù parole, verbi, virgole e punti.

    Ed era talmente grintoso nello scrivere
    che non s'accorse di riempire solo l'angolo,
    ma le righe iniziali, quelle di mezzo e quelle della fine del foglio.

    Stava ancora continuando quando la letterina lo fermò
    dicendosi sicura che era arrivato il momento
    di buttarsi nell'avventura:
    realizzare i loro sogni e iniziare a viaggiare.




    Allora Filippo la distese sul fondo del cassetto,
    dopo aver fatto spostare le piccole cose che ingombravano,
    e iniziò a scriverla: sotto la sua punta lei rabbrividiva
    e provava strane sensazioni,
    il suo grattare e l'odore dell'inchiostro la fecero andare in estasi
    e lei si abbandonò in un sonno profondo
    e pieno di colori vivaci e frasi bellissime.



    Sognò di essere letta e riletta centinaia di volte,
    di visitare posti incredibili e di ritornare nel suo vecchio cassetto
    per essere riscritta da Filippo e poi ricominciare i suoi viaggi,
    di non stancarsi mai, di conoscere tutti i francobolli del mondo,
    alcuni coloratissimi e altri molto tristi
    e di vedere facce di bimbi di ogni nazione
    che la fissavano e la scrutavano attentamente
    in cerca del segnale per iniziare
    un nuovo gioco o una nuova favola.



    E, quando si risvegliò dopo tanto tempo,
    si ritrovò nelle mani del bambino dell'Africa che,incredulo,
    iniziò a leggere e scoppiò in una risata allegra e felice,
    portò la letterina a mamma e papà che la lessero ai fratellini
    e tutti iniziarono a ridere a più non posso
    facendo accorrere tutto il villaggio,
    tutta la città
    e tutto il mondo.


    Fallaninna
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  13. gheagabry
     
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    La festa dei giocattoli

    Nella cameretta di Rosalia tutto tace: il sole non è ancora alto nel cielo
    e la bimba dolcemente riposa sotto le coperte
    con il viso stropicciato tra le candide lenzuola.

    Fuori, si odono soltanto i primi sussurri di una città che sta riprendendo vita.
    La casa è avvolta dal più religioso silenzio.
    Con un lieve sorriso sulle gote arrossate anche il piccolo Luca è avvolto dal sonno
    e a guardarlo sembra stia vivendo un sogno quanto meno fantastico.

    All’improvviso, dalla cesta dei giocattoli, l’orsetto Felice fa capolino con la testa
    ed osserva la scena con i suoi occhietti neri:
    fa un cenno alla fata Precisina e alla bambolina Stella,
    le quali spiccano un gran salto e si ritrovano ruzzoloni sul tappeto, in una risata generale.

    “Silenzio!” borbotta Felice “non dobbiamo svegliare i bambini:
    aspettate, amiche mie, chiamiamo tutti gli altri giocattoli per la nostra grande festa”.
    Così dicendo, a testa in giù nella cesta, l’orsetto richiama all’ordine pupazzi e bamboline,
    soldatini e indiani a cavallo, i pompieri e gli animali dello zoo i quali,
    in fila uno dietro l’altro, si ritrovano tutti a terra desiderosi di ascoltare
    la grande idea del loro amico orsetto.

    Infatti, Felice, prende la parola ed inizia così:

    “Amici, qui ci vuole una bella festa, siete d’accordo?
    Ma vista la giornata di sole propongo di trasferirci in giardino”.

    “Si si..” dice la Barbie “ io porto tutto il necessario per apparecchiare,
    o preferite fare un bel pic-nic sull’erba ? ”

    “No sull’erba” replica Pinocchio “ Le formiche mi rosicchierebbero i piedi,
    già me li sono fatti rifare una volta dal mio babbo !! ”

    Allora tutti, piano piano per non svegliare i bambini, si trasferiscono fuori,
    mentre Barbie e Ken preparano il tavolo con tante dolci bontà.

    “ Mettiamo della musica ? ” chiede il Topolino Suonatore.
    La festa sta venendo proprio bene, tutti sono molto contenti
    e si divertono un mondo, proprio come fanno i grandi.

    Ma proprio in quell’istante Rosalia e Luca si svegliano:
    “ Ohh che bella giornata Luca, guarda che bel sole.
    Oggi possiamo finalmente giocare in giardino
    dopo tutti questi giorni di pioggia ! Urrà ! ”

    “Si, hai ragione” risponde il fratellino “andiamo subito a vedere”.
    Così dicendo escono e vedono i giocattoli tutti sparsi per il prato,
    e non riescono a capire il perché.

    “Ma non ricordo di averli lasciati qui fuori ieri sera” dice sorpresa Rosalia.
    “Neppure io, ma che sarà successo?” risponde Luca intento ad iniziare nuovi giochi.




    Fonte greta blu
     
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  14. gheagabry
     
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    Il Mostro e la Farfalla





    Erano tempi pericolosi quelli ... tanti , tanti , tanti anni fa ...
    quando i giganti dalle enormi zanne camminavano sulla Terra e
    i piccoli omini vivevano nelle caverne e non avevano le scarpe...
    .
    Nicolo e' un cavernicolo ed un cacciatore .
    E voi domanderete "E cosa caccia ?"

    Bella domanda ... visto che clava ? ultimo modello...
    Io vi rispondo "Qualunque cosa che si possa mangiare e che non cerchi di mangiarsi lui ..."

    GRRRR ....sono il VelociRaptor
    Sapete , ci sono in giro delle facce poco raccomandabili armati di dentoni ed unghioni che sembrano spade affilate ...
    Quelli e' meglio non cercare di assaggiarli , date retta a me...

    Dunque ...

    Un bel giorno Nicolo se ne va per i fatti suoi , cercando qua e la'....
    Non ha fatto colazione , anzi e' una settimana che non la fa.
    Veramente neppure il pranzo e la cena ... insomma , ha una fame
    che sgranocchierebbe volentieri anche un sasso !

    Ma che succede ? Un piccolo esserino si avvicina , svolazzando leggiadro.
    La minuscola creatura leggera e coloratissima si posa sulla sua mano.
    " E tu chi sei ? " chiede Nicolo

    La creaturina gli sorride e lo guarda con simpatia .
    grunt ? (traduzione: e tu chi sei?)
    svolazz... svolazz..."Mi chiamo Lalla , sono una farfalla." risponde lei gentile.

    " Mi sembri appetitosa " Dice Nicolo . E la stringe tra le dita.
    " Certo sei un po' magrina , ma ho cosi' fame che vai bene anche tu."
    " Mi vuoi mangiare ?? " sigh ... sigh ... dice Lalla spaventata ed incredula.
    " E io che credevo di aver trovato un amico... "
    Continua singhiozzando , delusa.
    " Io sono da guardare e da amare per la mia dolce leggerezza, per i miei colori
    il mio elegante volare , non sono da mangiare ..." Dice lei piangendo a dirotto...
    .
    " E' vero sei molto bella , e sei anche gentile
    e di questi tempi di persone educate se ne incontrano pochine..."
    Ribatte Nicolo pensoso.
    che bella simpatica e dolce !
    " In fondo e' piu' gioioso guardarti che masticarti... "

    " Grazie , anche tu sei gentile e simpatico." hi hi hi Risponde Lalla .
    " Grazie carina.. piu' ti guardo piu' mi piaci ." Sorride Nicolo
    E gli da' un bacino sulle antenne sottili.
    smack !" Anche tu mi piaci ..omone." Fa lei teneramente divertita.

    Passano la giornata insieme , ridendo , scherzando e facendosi compagnia.
    Poi si lasciano , promettendosi di rivedersi presto.

    " Una piacevole giornata ..." Pensa Nicolo , mentre ritorna verso casa fischiettando.

    Ma che accade ? ?
    Tutto ad un tratto , un rumore forte
    passi pesanti che fanno tremare il terreno.
    Gli alberi si scuotono come durante un terremoto.
    Un ruggito spaventoso ... che quasi assorda il povero Nicolo.

    " GRRRRRR IO SONO MAURO ... IL TIRANNOSAURO "
    GROARRRRRR ! ! (Traduzione: ho la digestione difficile...)
    " SONO GROSSO , SONO ENORME
    E LA MIA FAME E' ANCHE
    PIU' GROSSA DI ME ..."
    Dice il tremendo mostro .

    " QUELLO CHE VEDO IO LO MANGIO ...
    ED ORA HO VISTO TE ! "
    E avanza minaccioso...
    " Se ti avvicini ti do' una clavata sul testone ! " Urla lui coraggiosamente accidenti ...e' una montagna ! sigh !
    Ma intanto trema come una foglia , Mauro e' davvero gigantesco
    ha una bocca che sembra la caverna dove vive Nicolo
    i suoi denti sono grandi come tronchi d'albero
    e come se non bastasse puzza in modo incredibile ...

    " AH AH AH ... MI FAI RIDERE TU E IL TUO STUZZICADENTE ...
    GRRAARRRR ! (Traduzione: TI MANGIOOOOO ! )

    Gli risponde Mauro tra il feroce ed il divertito ...ghignando maligno.

    " HO TROVATO LA CENA ! "

    E si avvicina all'omino che arretra sconvolto... ma non puo' fuggire , lo sa bene , la bestia e' troppo veloce ...

    E' la fine ... Pensa disperato Nicolo.

    Mauro spalanca le fauci e . . . . .
    Ma che accade ? ?
    Una piccola creatura evanescente svolazz... svolazz...si lancia contro il mostro
    svolazzando sul suo muso , solleticando le sue narici , posandosi sui suoi occhi...
    Mauro si innervoscisce , ruggisce in modo tremendo , agitando le zampe ...

    GROARRRRR !
    Si lancia contro Lalla cercando di morderla , di prenderla ...

    Si agita , salta , si gira su se stesso.
    Ma e' inutile ...prendimi se ti riesce ... hi hi hie' troppo piccola e leggera.
    Lalla si posa sul nasone immenso del bestione.
    Nei suoi vani sforzi di afferrarla Mauro si conficca un'unghione nell'occhio !

    " ARRGHH ! CHE MALE ! " Urla come un ossesso...
    Accecato dalle lacrime che gli sgorgano copiose per il forte dolore
    e dalla ferita all'occhio Mauro si allontana in tutta fretta
    inseguito da Nicolo , che gli assesta un colpo di clava sulla coda.beccati questo ... mostro !

    Nella foresta e' tornata di colpo la quiete ed il silenzio .
    Il tempo sembra essersi fermato ...

    " Cosi' minuscola ... cosi' inerme..." Pensa Nicolo meravigliato.

    E osserva incredulo il fragile esserino che ha lottato contro il gigante.
    " Grazie , mia piccolina " E sfiora la testolina di Lalla con un tenero baciosmack ... ( traduzione: ti voglio bene )
    kiss ... ( traduzione: anche io omone )Lalla sorride ... felice


    E questa e' la fine della storia...





    Greta blu
     
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  15. tomiva57
     
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