FAVOLE DEL BUONGIORNO

.... per un buon inizio di giornata....

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    IL BUCANEVE








    Era inverno, l'aria era fredda, il vento tagliente, ma in casa si stava bene e faceva caldo; e il fiore stava in casa, nel suo bulbo sotto la terra e sotto la neve.
    Un giorno cadde la pioggia, le gocce passarono attraverso la coltre di neve fino alla terra, toccarono il bulbo del fiore, gli annunciarono il mondo luminoso di sopra; presto il raggio di sole, sottile e penetrante, passò attraverso la neve fino al bulbo e bussò.
    "Avanti!" disse il fiore.
    "Non posso" rispose il raggio, "non ho abbastanza forza per aprire, diventerò più forte in estate".
    "Quando verrà l'estate?" domandò il fiore, e lo domandò ancora ogni volta che un raggio di sole arrivava laggiù. Ma doveva passare ancora tanto tempo prima dell'estate, la neve era ancora lì e ogni notte l'acqua ghiacciava.
    "Quanto dura!" disse il fiore. "Io mi sento solleticare, devo stendermi, allungarmi, aprirmi, devo uscire! Voglio dare il buongiorno all'estate, sarà un tempo meraviglioso!".
    Il fiore si allungò e si stirò contro la scorza sottile che l'acqua aveva ammorbidito, la neve e la terra avevano riscaldato, il raggio di sole aveva punzecchiato; così sotto la neve spuntò una gemma verde chiaro, su un gambo verde, con foglie grandi che sembravano volerla proteggere. La neve era fredda, ma tutta illuminata, ed era così facile passarci attraverso, e sopraggiunse un raggio di sole che aveva più forza di prima.
    "Benvenuto, benvenuto!" cantavano e risuonavano tutti i raggi, e il fiore si sollevò oltre la neve nel mondo luminoso. I raggi lo accarezzarono e lo baciarono, così si aprì tutto, bianco come la neve e adorno di striscioline verdi. Piegava il capo per la gioia e l'umiltà.
    "Bel fiore" cantavano i raggi, "come sei fresco e puro! Tu sei il primo, l'unico, sei il nostro amore. Tu annunci l'estate, la bella estate in campagna e nelle città. Tutta la neve si scioglierà; i freddi venti andranno via. Noi domineremo. Tutto tornerà verde, e tu avrai compagnia, il lillà, il glicine e infine le rose; ma tu sei il primo, così delicato e puro!".
    Era proprio divertente. Era come se l'aria cantasse e risuonasse, come se i raggi di sole penetrassero nei suoi petali e nel suo stelo; lui era lì, così sottile e delicato e facile a spezzarsi, eppure così forte, nella sua giovanile bellezza, era lì in mantello bianco e nastri verdi, e rendeva lode l'estate. Ma doveva ancora passare tempo prima dell'estate; nuvole nascosero il sole, e venti taglienti soffiarono sul fiorellino.
    "Sei giunto troppo in anticipo!" dissero il vento e l'aria. "Noi abbiamo ancora il potere, ti dovrai adattare! Avresti dovuto rimanere chiuso in casa, non correre fuori per farti ammirare, non è ancora tempo".
    C'era un freddo pungente! I giorni che vennero non portarono un solo raggio di sole, c'era un freddo tale che ci si poteva spezzare, soprattutto un fiorellino tanto delicato. Ma in lui c'era molta più forza di quanto lui stesso sospettasse, era la forza della gioia e della fede per l'estate che doveva arrivare, che gli era stata annunciata da una profonda nostalgia e confermata dalla calda luce del sole; quindi resistette con la sua speranza, nel suo abito bianco sopra la neve bianca, chinando il capo quando i fiocchi cadevano pesanti e fitti, quando i venti gelidi soffiavano su di lui.
    "Ti spezzerai!" gli dicevano. "Appassirai, gelerai! Perché hai voluto uscire? perché non sei rimasto chiuso in casa? Il raggio di sole ti ha ingannato. E adesso ti sta bene, fiorellino che hai voluto bucare la neve!".
    "Bucaneve!" ripeté quello nel freddo mattino.
    "Bucaneve!" gridarono alcuni bambini che erano arrivati in giardino, "ce n'è uno, così grazioso, così carino, è il primo, l'unico!".
    Quelle parole fecero bene al fiore, erano come caldi raggi di sole. Il fiore, preso dalla sua gioia, non si rese neppure conto d'essere stato colto; si ritrovò nella mano di un bambino, venne baciato dalle labbra di un bambino, poi venne portato in una stanza riscaldata, osservato da occhi affettuosi, e messo nell'acqua: era così rinfrescante, così ristoratrice, e il fiore credette improvvisamente di essere entrato nell'estate.
    La fanciulla della casa, una ragazza carina che era già stata cresimata, aveva un caro amico che pure lui era stato cresimato e che ora studiava per trovarsi una sistemazione. "Sarà lui il mio fiorellino beffato dall'estate!" esclamò la fanciulla; prese quel fiore sottile e lo mise in un foglio di carta profumato su cui erano scritti dei versi, versi su un fiore che iniziavano con "fiorellino beffato dall'estate" e finivano con "beffato dall'estate".
    "Caro amico, beffato dall'estate!". Lei lo aveva beffato d'estate.
    Tutto questo venne scritto in versi e spedito come lettera; il fiore era là dentro e faceva proprio scuro intorno a lui, scuro come quando stava nel bulbo. Il fiore viaggiò, finì nel sacco della posta, fu schiacciato, premuto; non era per nulla piacevole, ma finì.
    Il viaggio terminò, la lettera fu aperta e letta dal caro amico; lui era molto contento, baciò il fiore che fu messo insieme ai versi in un cassetto, con tante altre belle lettere che però non avevano un fiore; lui era il primo, l'unico, proprio come i raggi del sole lo avevano chiamato: com'era bello pensarlo!
    Ebbe la possibilità di pensarlo a lungo, e pensò mentre l'estate finiva, e poi finiva il lungo inverno; e venne ancora l'estate, e allora fu tirato fuori. Ma il giovane non era affatto felice; afferrò i fogli con violenza, gettò via i versi, e il fiore finì sul pavimento, piatto e appassito; non per questo doveva essere gettato sul pavimento! Comunque meglio lì che nel fuoco, dove tutti i versi e le lettere andarono a finire. Che cosa era successo? Quello che succede spesso. Il fiore l'aveva beffato, ma quello era uno scherzo; la ragazza l'aveva beffato, e quello non era uno scherzo; lei si era trovato un altro amico durante l'estate.
    Al mattino il sole brillò su quel piccolo bucaneve schiacciato che pareva dipinto sul pavimento. La ragazza che faceva le pulizie lo raccolse e lo infilò in uno dei libri appoggiati sul tavolo, perché credeva fosse caduto da lì mentre lei faceva le pulizie e metteva in ordine. Il fiore si trovò di nuovo tra versi stampati e questi sono più distinti di quelli scritti a mano, per lo meno sono più costosi.
    Così passarono gli anni e il libro restò nello scaffale; poi venne preso, aperto e letto; era un bel libro: erano versi e canti del poeta danese Ambrosius Stub, che certo vale la pena di conoscere. L'uomo che leggeva quel libro voltò la pagina. "Oh, c'è un fiore!" esclamò, "un bucaneve! E' stato messo qui di certo con un preciso significato; povero Ambrosius Stub! Anche lui era un fiore beffato, una vittima della poesia. Era arrivato troppo in anticipo per il suo tempo, perciò subì tempeste e venti pungenti, passò da un signore della Fionia all'altro, come un fiore in un vaso d'acqua, come un fiore in una lettera di versi! Fiorellino, beffato dall'estate, zimbello dell'inverno, vittima di scherzi e di giochi, eppure il primo, l'unico poeta danese pieno di gioventù. Ora sei un segnalibro, piccolo bucaneve! Certo non sei stato messo qui per caso!".
    Così il bucaneve fu rimesso nel libro e si sentì onorato e felice nel sapere di essere il segnalibro di quel meraviglioso libro di canti e nell'apprendere che chi per primo aveva cantato e scritto di lui, era stato anche lui un bucaneve, beffato dall'estate e vittima dell'inverno. Il fiore capì naturalmente tutto a modo suo, esattamente come pure noi capiamo le cose a modo nostro.
    Andersen


     
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  2. gheagabry
     
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    IL CAVALLO A DONDOLO





    Storia per bambini “Nel piccolo mondo in cui tutti i bambini, comunque vengano educati, vivono la loro vita, non c’è nulla di più sentito e avvertito dell’ingiustizia, anche se si tratta di una ingiustizia di poco conto; ma il bambino è piccolo e piccolo è il suo mondo, e il suo cavallo a dondolo è per lui molto più alto di lui, e lui lo vede e lo considera come un cavallo da caccia irlandese dalle ossa grossa.”
    Charles Dickens, Grandi Speranze

    Frenzifré non era il suo nome, ma fin dalla nascita così lo avevano chiamato i genitori. È un nome noto fra i bambini che amano le sue fiabe, ma pochi conoscono la sua storia e l’importanza che in essa ha il suo cavalluccio a dondolo. Si può affermare, senza tema di smentita, che è stata l’amicizia con quel giocattolo a trasformare Frenzifré in un narratore di meravigliose fiabe per bambini. Anche ora il nostro novellatore, ormai avanti con gli anni, a volte usa intrattenersi a lungo con i suoi giocattoli di un tempo e soprattutto con il cavallo a dondolo. È trascorso molto tempo dal giorno in cui Frenzifré ricevette in dono, per il suo primo anno di vita, il cavalluccio di legno. Appena lo vide, comprese che era davvero un bel regalo, ma gli sembrò troppo grande e provò un poco di timore, sebbene non riuscisse a staccare gli occhi da Tornado. Questo era il nome del cavallo. Come tutte le sere, la madre preparò la cena. Era proprio un bel quadro di tranquilla e felice vita familiare: padre, madre e figlio intorno attorno al tavolo della cena. Frenzifré tuttavia non mangiava, ma lasciava sentire il suo pianto dall’alto del seggiolone ed i genitori pensarono dapprima che stesse male. Misurarono la febbre, toccarono la fronte, provarono a farlo giocare, ma il bambino continuava a lamentarsi sempre più forte. Finalmente il padre ricordò di aver lasciato Tornado in salotto ed andò a prenderlo. Frenzifré guardò il suo nuovo amico e questi –incredibile a dirsi– rivolse un cenno, impercettibile ai genitori ed a qualsiasi adulto che si fosse trovato nella stanza, ma non al bambino. Ed anche ad altri bambini sarebbe stato chiaro quel segno, ma noi adulti, o almeno la maggior parte di noi, abbiamo dimenticato che solo i cuori ingenui vedono ciò che rende poesia la vita e non siamo disposti a credere ai fanciulli che ci raccontano i loro meravigliosi sogni ad occhi aperti. Questo è veramente strano: crediamo alle bugie di coloro che governano il mondo, crediamo che esistano guerre giuste, e non prestiamo fede ai nostri simili più piccoli e più sinceri. Noi pronunziamo menzogne per scopi meschini e non ci fidiamo di chi non ha interessi materiali, ma possiede una visione più ampia della nostra, perché riesce a vedere l’invisibile e l’incredibile. Fatto è che Frenzifré si calmò improvvisamente e mangiò di gusto il pasto cucinato con amore dalla mamma. La madre, dopo cena, collocò il bambino a cavallo di Tornado ed egli manifestò la sua gioia con gemiti, risa e sorrisi, tipici di quell’età. La notte giunse e con essa il sonno, ma verso l’alba Frenzifré si destò, perché aveva sentito qualche lieve sospiro. Guardò i visi di mamma e papà che dormivano tranquillamente. Si calò dal suo lettino e, un po’ gattonando un po’ camminando, si recò da Tornado. Era proprio un bel cavallo: fulvo con piccole macchie nere, con un criniera bionda come la grande coda e con una sella rossa. Tornado voltò lentamente la testa e parlò: << Frenzifré, sali. È tutta la notte che ti aspetto. Facciamo un giro>>. Si chiamava Tornado e naturalmente, per fedeltà al suo nome, era in grado di galoppare più veloce del vento, ma egli sapeva anche che ora era il cavallo di un bambino e si mosse, quella prima sera, con cautela, raccomandando a Frenzifré di tenersi ben stretto al suo robusto collo. Dove Tornado portasse Frenzifré quella prima felice alba non è dato di sapere, salvo che uno dei due personaggi non decida un giorno di raccontarlo. Quel che è veramente importante sapere è che durante la cavalcata Tornado raccontava al bambino bellissime storie con voce dolce, come sono le parole delle madri che narrano fiabe, perché è l’amore che parla. Madre e padre trovarono Frenzifré a cavallo di Tornado: ambedue ondeggiavano lievemente. Essi non sospettarono nulla del viaggio intrapreso dal loro piccolo figlio. E come avrebbero potuto? Dopo quell’episodio fantastico accadde molte volte che Frenzifré giocasse con il suo nuovo compagno di legno a quattro zampe e andasse in giro. Tornado naturalmente narrava storie. Il bambino era naturalmente troppo piccolo per comprendere i racconti di Tornado, ma la voce era suadente e lo rassicurava. La maggior parte erano racconti di cavalli famosi che correvano per ogni parte della terra ed anche per le praterie del cielo fra gli astri sfavillanti. Alla presenza di adulti, però, Tornado non proferiva parola e non si muoveva, ma quasi per un tacito accordo fra i due amici, Frenzifré non si lamentava di questo silenzio e di questo stare completamente immobile del cavalluccio, come se comprendesse che quelle avventure e quei discorsi dovessero restare un segreto. Iniziò il periodo della parola e Frenzifré poteva ora conversare con Tornado, tanto che durante le scorribande pomeridiane o notturne lo tempestava di domande su ogni luogo della terra e sui nomi delle stelle, ma poi taceva e lasciava che la voce raccontasse altre favole. Venne il primo giorno di scuola. Frenzifré entrò con timore nell’edificio grigio: c’erano tanti altri bambini e c’era la maestra seduta in alto, ma un sorriso tranquillizzò tutti. Quante cose avrebbe avuto da raccontare a Tornado! In quel primo periodo di scuola il bambino non dimenticò il suo amico ed ora era lui a narrare. Tornado ascoltava e rivolgeva domande. Col tempo però qualcosa cambiò: Frenzifré aveva nuovi amici e sempre meno visitava Tornado. Il piccolo cavallo a dondolo non era geloso, ma rimpiangeva le notti trascorse con il bambino, il suo sorriso, le sue infinite domande, le gite su boschi, su monti innevati e su città, su deserti e su tetti dorati d’Oriente, vicino all’arcobaleno o accanto alla linea dell’orizzonte. Sebbene sapesse che è destino di tutti i giocattoli essere riposti in soffitta e dimenticati, qualche volta dai suoi grandi occhi sempre aperti scivolava una lacrima. Per Frenzifré giunse l’adolescenza e giunsero altri sogni: l’amore, nuovi amici. Tornado fu preso e portato nel sottotetto. Come è triste un giocattolo che più nessuno usa! Quel compagno dell’affacciarsi nel mondo non ha chiesto niente in cambio della sua amicizia e del suo amore; non era parte del nostro mondo, ma era il nostro mondo, del tutto ignoto agli adulti. Frenzifré pensava ogni tanto alla sua infanzia e al cavallo a dondolo e si domandava come avesse potuto essere tanto sciocco da credere che un giocattolo di legno potesse galoppare e trottare sopra i tetti della sua città o per i sentieri della via lattea, per giunta raccontando fiabe! E tuttavia nel suo cuore nasceva, a questo pensiero, un senso di tenerezza ed allora si accorgeva che l’antico affetto per il suo piccolo compagno non era del tutto estinto. Tornado riposava nel solaio, invecchiato, coperto di polvere, le zampe indebolite dall’inattività, la coda bassa e spelacchiata, la criniera rada, gli occhi tristi. Frenzifré divenne adulto, si sposò, come tutti gli uomini ebbe piccoli e grandi dolori, piccole e grandi gioie. Una sera, mentre leggeva al suo piccolo bambino una fiaba, ricordò Tornado. Chiuse il libro e raccontò la storia sua e di Tornado. Il figlioletto si addormentò. Ed anche la sua amata moglie s’addormentò. Frenzifré in punta di piedi si recò nel lucernaio: bauli, vecchi quadri, soprammobili polverosi, album di fotografie. Tutto era ammassato alla rinfusa. Dov’era Tornado? Lo aveva forse dato via oppure l’aveva gettato nella spazzatura? Lo aveva fatto a pezzi e bruciato durante un freddo inverno? Un tremito lo pervase e lo assalì un pianto incontenibile. Allora chiamò fra i singulti “Tornado”. Un gemito o un lieve nitrito giunse da qualche luogo della soffitta; l’uomo cominciò a cercare; un lento rumore di zoccoli si udiva provenire da qualche angolo. Finalmente arrivò presso il cavallo: com’era ridotto! Povero Tornado! Tornado girò la testa verso di lui e sorrise: era lo stesso sorriso di quando s’erano incontrati la prima volta. Ambedue avevano conservato un cuore fanciullo. Frenzifré si chinò, lo abbracciò, gli carezzò l’incanutita criniera, chiese perdono per la sua dimenticanza. Si pentiva di averlo sepolto non solo nella soffitta ma anche nel suo cuore. Domandò di ascoltare le storie di una volta. Tornado rispose che egli era fatto di legno come gli alberi che non dimenticano e acconsentì con felicità. Così trascorsero la notte. Molte cose accaddero: mentre Tornado raccontava il suo pelo tornava del bel colore d’un tempo e le sue zampe ritrovavano il vigore della giovinezza. Al mattino, quando il figlioletto di Frenzifré si destò, trovò nella sua camera un bel cavallo a dondolo. A volte, mentre il bambino gioca con il suo amico di legno, il padre apre senza farsi sentire la porta: li vede che dondolano piano piano, ma egli sa che è soltanto una sua illusione e che essi in realtà galoppano fra le stelle fiammeggianti.
     
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  3. gheagabry
     
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    "C’erano una volta un re e una regina che non avevano figli. La regina camminando per il giardino e vedendo un bellissimo melo, si chiedeva sempre perché lei non potesse fare figli, come il melo faceva le mele.
    Successe che alla regina nacque una mela, così bella e colorata come non se n’erano mai viste. Il re la mise in un vassoio d’oro sul suo terrazzo. Di fronte al palazzo di questo re ce n’era un altro, abitato anche questo da un re. Questi, un giorno che stava affacciato alla finestra, vide, sul terrazzo del re di fronte, una bella ragazza bianca e rossa come una mela che si lavava e pettinava al sole.
    Lui rimase a guardarla a bocca aperta, perché non aveva mai visto una ragazza così bella. La ragazza però, appena si accorse di essere guardata, entrò in una mela e sparì.
    Il re se n’era innamorato.
    Pensa e ripensa andò a bussare al palazzo:
    “Maestà, avrei da chiederle un favore “
    “ Volentieri !Se tra vicini si può essere utili “ disse la regina
    “Vorrei quella mela che avete sul terrazzo “
    “Ma che dite maestà ? Non sapete che io sono la madre di quella mela e che ho sospirato tanto perché nascesse? “
    Il re tanto insistette che non gli si potè dir di no, per mantenere l’amicizia. Così lui portò la mela a casa sua e le preparò tutto perlavarsi e pettinarsi.
    La ragazza tutti i giorni usciva dalla sua mela per lavarsi e pettinarsi; il re la guardava. Altro non faceva la ragazza: non mangiava e non parlava, solo si lavava e si pettinava, poi tornava nella sua mela.
    Quel re abitava con una matrigna, la quale, vedendolo sempre chiuso in camera, incominciò ad insospettirsi e a chiedersi perché il figlio stesse sempre nascosto.
    Venne l’ordine di guerra e il re dovette partire; gli piangeva il cuore al pensiero di lasciare la sua mela. Chiamò il suo suddito più fedele e gli lasciò la chiave della sua camera raccomandandogli di non far entrare nessuno nella stanza.
    Il servitore preparò tutti i giorni l’acqua e il pettine per la ragazza della mela. Appena il re fu partito la matrigna si diede da fare per entrare nella sua stanza. Fece mettere dell’oppio nel vino del servitore e, quando si addormentò, gli rubò la chiave. Aprì e frugò tutta la stanza e più la frugava meno trovava. C’era solo quella mela in una fruttiera d’oro. La regina prese lo stiletto e si mise a trafiggere la mela. Da ogni trafittura uscì un rivolo di sangue.
    La matrigna si prese paura, scappò e rimise la chiave nella tasca del servitore addormentato. Quando il servitore si risvegliò, non si raccapezzava di cosa fosse successo. Corse nella camera del re e la trovò allagata di sangue.
    "Povero me! Cosa devo fare?"
    Andò da sua zia, che era una fata e aveva tutte le polverine magiche. La zia gli diede una polverina magica che andava bene per le mele incantate e un’altra che andava bene per le ragazze stregate e le mise insieme.
    Il servitore tornò dalla mela e le passò un po’ di polverina su tutte le ferite.
    La mela si spaccò e ne uscì fuori la ragazza tutta bendata e incerottata.
    Tornò il re e la ragazza per la prima volta parlò e raccontò cosa era successo:
    "Ho diciotto anni e sono uscita dall’incantesimo, se mi vuoi sarò tua sposa".
    La ragazza mela sposò il re con gran gioia dei due regnanti.
    Mancava solo la matrigna che scappò e nessuno ne seppe più niente. "



    Edited by gheagabry - 17/7/2010, 21:47
     
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  4. gheagabry
     
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    Tonari no Totoro: film di animazione giapponese

    è una favola ambientata nelle campagne di Tokio, è semplice e profonda allo stesso tempo, rende leggeri anche gli argomenti difficili, insegnando ad avere un punto di vista sulla vita meno complesso, più ottimista e fantastico
    il tutto attraverso piccoli gesti e simpatiche fantasie sulla vita e la natura...
    nell'attesa che possiate vedere il film vi presento alcuni personaggi ^^
    I Totoro sono i guardiani della foresta, spiritelli che creano il vento, la pioggia, la crescita e la maturazione delle piante ed è difficile riuscire a vederli ... i Totoro sono di tre tipi;
    Oh-totoro: è il più grande, dorme in un cantuccio sotto le radici di una enorme albero di canfora, trasporta su di se anche gli altri totoro più piccoli, insieme a loro danza intorno ai semi per far crescere le piante, vola su una trottola e la notte suonano insieme l'ocarina seduti sui rami più alti degli alberi
    Chu-totoro: il totoro medio, è blu e va in giro con un sacco dove raccoglie le ghiande e altri semi, probabilmente per il Totoro grande che ne fa crescere le piante
    Chibi-totoro: è il più piccolo e anche il più impacciato, è bianco, ha più difficoltà a scomparire agli occhi umani e perde in continuazione le ghiande (anche lui vaga con un sacchetto per i semi...)
    oltre ai Totoro ci sono altri personaggi legati alla leggenda giapponese
    Neko-bus: una sorta di gatto con 12 zampe che funge da mezzo di trasporto, è amico di Oh-totoro, corre velocissimo tra gli alberi e quando vola crea il vento...
    Susu-atari: palle di fuliggine, sono neri e tondi, vivono nelle case vecchie e vuote e ci restano finchè nn li si disturba, possono convivere con gli umani ma se vengono maltrattati fuggono via, a volte si possono confondere con i Makkuro Kurusuke che sono quelle macchie che ci appaiono passando da un luogo assolato ad un luogo buio
    ...certo che se quando c'è vento si pensa che sia stato un Totoro o un Nekobus diventa tutto decisamente più piacevole ^^....


    dal web
     
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    Buongiorno principessa!



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    Buongiorno principessa!
    Che tu sia sola nel tuo letto o abbracciata a qualcuno,che ti sia appena svegliata dopo un lungo sogno oppure dopo aver passato la notte insonne...
    Che tu sia triste o serena, pensierosa o spensierata,magari solo per oggi.
    Che tu sorrida alla tua immagine riflessa allo specchio o che ne distolga lo sguardo annoiata..
    Buongiorno principessa che aspetti l'autobus per andare a lavoro o che hai voglia di rimanere a casa tutto il giorno in pigiama..
    Che svegli il tuo bimbo con un bacio o che sogni di stringerne uno tra le braccia..
    Che canti dietro la radio o sotto la doccia o in macchina...
    Che hai le mani grandi e lunghe e curate, o piccole,infantili,timide...
    Buongiorno perchè fuori c'è il sole,perchè l'aria è fresca,perchè qualcuno ha voglia di vedere i tuoi occhi e sentire il rumore dei tuoi sorrisi...
    C'è un mondo fuori che t'aspetta,che ti spaventa,che t'avvolge...e tu irrimediabilmente sei parte di esso.Unica,irripetibile,straordinaria.
    Buongiorno principessa perchè...la vita è bella.

     
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    .leggenda dei colori dell'arcobaleno..



    da lussy



    Una volta i colori del mondo cominciarono a litigare: tutti reclamavano di essere il migliore, l’indispensabile, il preferito.

    Il verde disse: “E’ chiaro che io sono il più importante, sono il simbolo della vita e della speranza. Sono stato scelto per l’erba, le foglie e gli alberi. Senza di me gli animali morirebbero”.

    Il blu lo interruppe: “Pensi solo alla terra, ma considera il cielo e il mare. L’acqua è la fonte della vita, senza la mia pace ognuno di voi sarebbe nulla”.

    Il giallo rideva sotto i baffi: “Siete tutti così seri! Io porto il sorriso, la felicità e il calore del mondo. Il sole, la luna e le stelle sono gialle. Senza di me non ci si divertirebbe”.

    L’arancione replicò: “ Io sono il colore della salute e della forza. Il colore delle più importanti vitamine. Pensate alle carote, alle zucche, alle arance, ai mango. “.

    Il rosso non sopportò più a lungo e gridò: “Io sono il vostro sovrano, sono il sangue della vita! Sono il colore del pericolo e del coraggio. Metto il fuoco nelle vene. Sono il colore della passione e dell’amore”.

    Il viola andò su tutte le furie e con tono ironico disse: “Io sono il colore della regalità e del potere. Re, capi e vescovi hanno sempre scelto me come segno di regalità e saggezza. La gente non discute quello che dico, ascolta e obbedisce”.

    E infine parlò l’indaco: “ Pensate a me, sono il colore del silenzio. Mi si nota appena, ma senza di me diventereste tutti superficiali. Io rappresento il pensiero e la riflessione, il crepuscolo e l’acqua profonda. Avete bisogno di me come contrappeso, per la preghiera e per la pace interiore.”

    Così i colori continuarono a vantarsi, ciascuno convinto della propria superiorità. I loro contrasti divennero sempre più forti. Poi, improvvisamente, ci fu un lampo e un tuono rombò. La pioggia cominciò a cadere implacabile. I colori cominciarono a temere il peggio e si stringevano fra loro per farsi coraggio. Nel bel mezzo della tempesta, la pioggia cominciò a parlare: “ Ma perché lottate fra di voi cercando di dominarvi l’un l’altro? Non sapete che siete stati creati ciascuno per una ragione diversa, unica e particolare? Unite le mani e venite con me”.

    Facendo com’era stato richiesto loro, i colori si presero per mano. La pioggia continuò: “D’ora in poi, quando pioverà, ognuno di voi attraverserà il cielo in un grande arco, per ricordarsi che potete vivere in pace, con gioia e amicizia. E l’arcobaleno sarà il segno dell’amore, della speranza e del futuro”.

    E così, ogni volta che un buon acquazzone lava il mondo e l’arcobaleno appare in cielo, abbiamo una buona occasione per ricordarci di amare e rispettare le persone che ci vivono accanto.







    Il cielo è sereno, è il giorno dell'arcobaleno,
    tutti al villaggio lo sanno, è la festa più bella dell'anno.
    La gente guarda in sù e stupita si domanda:
    vien da sè l'arcobaleno?
    lo porta forse un treno?
    Magari vien dal sole a rinfrescarsi quando piove!
    Forse c'è chi lo dipinge?
    Ma poi in cielo chi lo spinge?
    E quei colori chi li mette?
    sembran sei... ma no! ...son sette!
    E' un peccato non toccare ciò che puoi solo guardare!
    e se un poco ti avvicini sembra che lui si allontani.
    -Non toccarmi con le mani!-

    Sembra questo voglia dire...
    quando c'è chi vuol salire.






    da rino



    L’Arcobaleno del Cuore
    di Cleonice Parisi

    Ci sono giorni speciali in cui il cielo sorride con i suoi figli, il vento diviene alito leggero e i cuori gonfi d’amore salgono alti come piccole mongolfiere. Amina, era sulla sua mongolfi era, il cielo che la illuminava era radioso come il suo sorriso, un soffio di vento le scompigliò i capelli, lasciando nell’aria un intenso profumo di fiori.

    Il mondo è mio!

    Disse felice come non lo era mai stata, mentre due bianche colombe planavano leggiadre al suo fianco, portandole in dono due ramoscelli, uno di ulivo e l’altro di pesco. Amina pianse di gioia nel comprendere cosa quei due esseri alati volevano annunciarle, la pace dell’anima e l’eterna primavera. Raccolse i ramoscelli col cuore grato, carezzò le piccole testoline delle colombe, che al suo saluto ripresero immediatamente a volare. Il suo volo era sempre più alto e cullata dalla divina promessa fissava nell’attesa l’azzurrità del cielo, quando una strana pace la distolse dal suo osservare il cielo, trascinandola incontro al suo cuore ed in quel preciso istante vide avverate quelle promesse tanto attese. Era davvero felice. Un movimento fece sussultare la mongolfiera e Amina si girò di scatto per vedere cosa o chi l’avesse fatta vibrare. Un altro ospite era planato sul suo abitacolo, una sorta di strano uccello, che non aveva mai visto, la fissava immobile.

    Chi sei?

    Chiese Amina.

    Sono il tuo Angelo.

    Rispose l’uccello, parlando al suo animo senza usare le parole. Amina lo guardò con maggiore attenzione ora che sapeva.

    Sei strano, non ho mai visto un uccello come te, fin tanto ero sulla terra.

    Noi Angeli alati non possiamo scender in terra, dovete salire voi in cielo, questo è l’unico modo che abbiamo per incontrarvi.

    Sono felice che tu sia qui, porta i mie saluti a Dio quando lo vedrai, e digli che a mio modo io lo amo profondamente.

    Amina, penso che la prossima volta lo vedremo insieme.

    Amina abbassò il capo e prese a piangere tutte le sue lacrime, tante da riempire il fondo della mongolfiera.

    Ho capito sei venuto a prendermi, sto per morire!

    Disse con disperazione Amina.

    No!

    Rispose l’Angelo.

    Io sono qui per restare con te ed insieme percorreremo il cammino sino a Dio, un cammino felice e pieno di luce. Lascia questa mongolfiera sali sulle mie spalle, voleremo alti insieme.

    Amina, salì sulle spalle dell’Angelo ed insieme presero a volare alti, sempre più alti.

    Angelo, ma cosa c’entro io con te?

    Chiese Amina durante il suo viaggio.

    Amina tu sei me.

    Rispose l’Angelo.

    Io sarei un angelo? E che poteri avrei?

    Quello di toccare i cuori della gente.

    Rispose l’Angelo.

    Speravo in qualcosina di più a dire il vero.

    Disse Amina fintamente delusa, e poi ridendo aggiunse:

    Me lo farò bastare.

    Basterà, credimi basterà a rendere speciale la tua esistenza.

    L’Angelo e Amina presero a voltare sempre più in alto, tracciando nel cielo un meraviglioso arcobaleno sino al Sole, e quel bellissimo arcobaleno di luce restò a testimoniare che l’alleanza tra il cielo e la terra non era finita.




    da IVANA


    image

    Il ponte della speranza



    Farfalla giuliva, ora puoi scorgere la riva?

    Si!

    Rispose la farfalla mentre con le sue ali carezzavano il tempo.

    E cosa vedi?

    Non vedo nulla con gli occhi, ma ascolto il paradiso col cuore!

    A che serve ascoltare il paradiso col cuore, se non hai colto orizzonte nel tuo fronte?

    Bella domanda!

    Rispose pensierosa la farfalla.

    Ma forse è per questo che si chiama miracolo!

    Riprese a sorridere la giuliva farfalla.

    Miracolo? Che significa?

    C’è un miracolo in te!!! Vieni con me voglio mostrarti la luce del tuo cuore!

    La farfalla allungò una mano sino alla piccola creatura che le stava parlando, dicendole:

    Vuoi volare con me!!!

    Si, si!


    Rispose con entusiasmo la piccola.

    Aspetta che mi libero di tutti i pesi.

    La piccola lasciò a terra tutti i suoi giocattoli e poi tese la manina alla giuliva farfalla.

    Piccola che fai lasci i tuoi giocattoli?

    Disse impensierita la farfalla.

    Non mi divertivano più, ora voglio volare con te, nella luce del cuore, e non posso portare pesi.

    La bambina e la farfalla, libere e felici presero a volare incontro al mondo.


    Farfalla ed ora dove ci dirigiamo?

    Piccola cosa importa, in qualsiasi luogo si andrà è in noi la felicità, da oggi non cammineremo più nel cercarla cammineremo per donarla.

    Il volo era alto e i sorrisi pieni, mentre volavano estasiate colte da questa insperata ed emozionante avventura, la bambina scorse all’orizzonte un bellissimo ponte.

    Farfalla guarda lì un ponte…vieni andiamo a colorarlo!

    La farfalla e la bambina planarono leggere su quel ponte di pietra.


    Piccola ma ci vorrebbero i colori e i pennelli, altrimenti come si può fare a colorarlo?

    Farfalla ma dai, useremo le mani e la fantasia.

    E i colori?

    La piccola immerse le mani nel Sole prendendo il giallo, nei mari prendendo il blu, nel cielo prendendo l’azzurro, nei prati prendendo il verde….e nei cuori degli uomini prendendo il rosso.

    E quando ebbe finito disse alla farfalla:

    Che ne dici?


    La farfalla ammirava estasiata quel ponte che era diventato un capolavoro di luce.

    E poi la bambina disse:

    Facciamone un ponte sino al cielo!

    E insieme alzarono un lato del ponte portandolo al Sole.

    Ecco fatto! Abbiamo compiuto la nostra missione!

    Disse la piccola.

    Eravamo qui solo per questo!

    Saliamo?

    Disse la farfalla.

    Si torniamo a casa!

    Disse la bambina felice.

    Ed insieme tornarono al Sole con il sole nel cuore.

     
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  8. gheagabry
     
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    da claudio

    Nel paese delle stagioni regnava una grande confusione. La primavera litigava con l'inverno, l'estate con l'autunno. Sulla terra nevicava, cinque minuti dopo brillava il sole d'agosto, poi pioveva…. Quando la signora primavera faceva spuntare i primi fiori ,il signor autunno con un soffio di vento spazzava tutto, mentre la signora estate faceva maturare la frutta con i raggi del sole il signor inverno a chi non piaceva il caldo faceva grandinare sull'estate. Tutta questa confusione perché nessuno aveva insegnato loro che ognuno aveva tre mesi di tempo per suo compito.



     
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  9. gheagabry
     
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    C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone:
    diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata.



    Tutti quanti glielo ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto.
    Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso.

    All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse:
    "Beh, a dire il vero, il tuo cuore è molto meno bello del mio"

    Quando lo mostrò, aveva puntati addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo.
    Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici.
    C'erano zone dalle quali erano stati asportati dei pezzi e rimpiazzati con altri, ma non combaciavano bene, così il cuore risultava tutto bitorzoluto.
    Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi.
    Così tutti quanti osservano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello.

    Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere:
    "Starai scherzando!", disse.
    E soggiunse: "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime"

    "E' vero!", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai il cambio col mio.
    Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel' ho dato, e spesso ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore.
    Ma, certo, ciò che dai, non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi e così ho qualche bitorzolo, a cui però sono affezionato: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso.
    Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini.
    Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che ho provato anche per queste persone.
    E chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa sia il vero amore?"

    Il giovane era rimasto senza parole, mentre lacrime copiose gli rigavano il volto.
    Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano.
    Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane.
    Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo.




    Poi il vecchio aggiunse:

    "Se la nota musicale dicesse: 'Non è la nota che fa la musica', non ci sarebbero le sinfonie;
    se la parola dicesse: 'Non è una parola che può fare una pagina' non ci sarebbero i libri;
    se la pietra dicesse: 'Non è una pietra che può alzare un muro' non ci sarebbero case;
    se la goccia d'acqua dicesse: 'Non è una goccia d'acqua che può fare un fiume' non ci sarebbero gli oceani;
    se l'uomo dicesse: 'Non è un gesto d'amore che può rendere felici e cambiare il destino del mondo' non ci sarebbero mai né giustizia, né pace, né felicità sulla terra degli uomini".

    Dopo aver ascoltato, il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più bello che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.





     
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  11. gheagabry
     
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    Il semaforo blu


    (Gianni Rodari)






    Una volta il semaforo che sta a Milano, in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu', e la gente non sapeva più come regolarsi."Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?"Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeval'insolito segnale blu', di un blu' che così blu' il cielo di Milano non era stato mai.In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e ipedoni più grassi gridavano:"Lei non sa chi sono io!"Gli spiritosi lanciavano frizzi:"Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci unavilletta in campagna.Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l'olio d'oliva."Finalmente arrivò un vigile e si mise in mezzo all'incrocio adistricare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandiper riparare il guasto, e tolse la corrente.Prima di spegnersi il semaforo blu' fece in tempo a pensare:"Poveretti! Io avevo dato il segnale di - via libera - per ilcielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forsegli è mancato il coraggio."-Gli uomini sono abituati, come gli automobilisti, a vivere con latesta china sul volante, badando alla strada, ciascuno chiuso nellasua scatola di ferro, preoccupati del lavoro, del denaro, delle mille"grane" quotidiane.L'Avvento è come il semaforo blu. E' qualcosa che ti dice:"Fermati! Stai buttando via un tesoro! Non c'è solo la terra! Guarda su! C'è anche il cielo!"Ma è una voce esile e molti, spesso, la ignorano...
     
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  12. gheagabry
     
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    L’ALBERO DI CILIEGIO






    In un antico giardino popolato da fiori e piante risiedeva immobile e silente un bellissimo albero di ciliegio dal fusto molto alto.
    L’inverno era alle porte, un vento umido e freddo soffiava tra le cime dell’albero oramai spoglio e vuoto e due timide foglioline dal manto giallo giacevano pendenti sull’estremità dei secchi rami.




    La prima fogliolina disse - Siamo rimasti soli qui su questo albero, anche stanotte molte delle nostre sorelle se ne sono andate via –
    La seconda fogliolina rispose - Non avere paura, si sa che prima o poi dobbiamo seguire il nostro destino –
    - Ma prima di staccarmi dall’albero avrei un desiderio da esprimere - gemette la prima fogliolina - Voglio che tutte le mie sorelle ritornino a darmi l’ultimo saluto -
    L’albero di ciliegio ascoltò con risultanza le parole tristi e meste delle povere foglioline e commosso ribadì - Esprimi un desiderio e lo vedrai realizzato –
    Le due foglioline contente sussurrarono in rima - Desideriamo, desideriamo che il gelido inverno che sta per arrivare ceda il posto alla sospirata e dolce primavera - e così fu: di colpo come per magia la natura si risvegliò, la terra nuda e stanca rifiorì, il sole brillò con tutto il suo splendore per donare calore e gioia , un venticello tiepido soffiò leggero e portò il profumo tra i rami dell’albero, e gli uccelli tornarono a cantare melodiose armonie solcando il cielo con allegri giochi.
    - Che spettacolo meraviglioso - dissero le due foglioline - I raggi del sole stanno di nuovo riscaldando i nostri cuori -
    L’albero contento rispose - Ho in serbo per voi un ultimo desiderio da esaudire –
    La prima fogliolina disse - Desidero, desidero che tutte le mie care sorelle ritornino a rivestire i rami spogli di questo albero e che siano le foglie più belle, brillanti e vigorose di tutto il giardino e che diano fiori e frutti di ciliegio rossi come coralli - e cosi fu, all’improvviso l’albero di ciliegio si ricoprì di rigogliose foglioline verdi ergendo la sua folta chioma nell’azzurro del cielo e piccoli fiori colorati si schiusero per dar vita a nuovi frutti di ciliegio.
    Tutto il giardino era oramai sommerso in un’aureola di profumi misti e di colori. Anche le due foglioline contente danzavano spensierati insieme alle loro sorelle, accarezzate dal vento tiepido di primavera e con gioia dissero in coro - Grazie padre ci hai donato la vita -
    - Figli miei - rispose l’albero di ciliegio - Dovete imparare che non può essere sempre primavera, il buon Dio ha creato le stagioni, c’è l’inverno con il freddo e il gelo, la primavera con il risveglio e l’allegria, l’estate con il caldo e il suo raccolto, l’autunno con la malinconia e la pioggia; questa giostra gira, gira senza mai fermarsi; è il ciclo vitale della natura, non dimenticatelo mai.
    Le due timide foglioline ascoltarono con veemenza le sagge parole dell’albero di ciliegio e con giudizio risposero - Siamo state due egoiste padre, è vero che ognuno di noi deve seguire il proprio destino –
    Di colpo si alzò un fortissimo vento di tramontana molto freddo che spazzò con furia impetuosa tutte le foglioline e i frutti rossi dell’albero di ciliegio. L’atmosfera ritornò silente e triste il giardino si spogliò di tutto il suo verde manto, e le foglie oramai secche e gialle staccandosi ad uno ad uno dai rami inariditi volteggiarono nell’aria come piccole farfalle formando a terra un fitto tappeto variopinto che scricchiolavano al suon di vento.
    Anche le due foglioline lasciate per ultime con i loro vestiti color avorio porsero l’ultimo accorato saluto alle loro sorelle e se ne andarono via trasportati dal brusio del vento per andare incontro al loro destino.
    L’albero di ciliegio oramai stecchito ed irto dovette aspettare con pazienza e trepidazione l’arrivo della colorata primavera e disse - Ci vediamo presto figlie mie, per adesso mi riposerò un po’ sono troppo stanco –
    L’inverno era giunto con il freddo e la neve e il povero albero di ciliegio giaceva inerte in un dolce sonno profondo tra il candore dei fiocchi cristallini di neve sognando tra i rami aridi il rifiorir della magica primavera.


    Giovanna Mangone

     
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  13. gheagabry
     
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    Tutti vollero sentire la nuova fiaba che stava raccontando il Sole alla Luna. Uno strano sospiro solcò il cielo e anche il vento si quietò, per poter udire.

    “In un giorno lontano - così cominciava - tante piccole stelle furono mandate ad esplorare i confini che non c’erano e si scoprì che l’universo poteva essere usato nella sua immensità, così come nel suo duplice mistero. Andarono un po’ qua e un po’ là, nell’intento di stabilire se vi erano dei confini precisi; ma non ne trovarono.

    Alcune stelle, però, si spinsero così lontano che non seppero più trovare la strada del ritorno e fu necessario far intervenire il grande Tutto affinché facesse qualcosa per aiutarle.

    Così avvenne che molti Soli furono lanciati nello spazio, un po’ di qua e un po’ di là, affinchè illuminassero le vie del cielo; e poi tante Lune, un po’ per ogni Sole, perchè illuminassero le vie del cielo quando i Soli si addormentavano.

    Qualche Sole, cozzando con gli altri, perse alcuni pezzetti del suo materiale e su questi pezzetti di sole le stelle che si erano perse poterono riposare.

    Dormirono e dormirono e quando, dopo centinaia di giorni stellari, si risvegliarono, cominciarono a raccontare una favola chiamata “Vita”, avvenuta sopra ognuno di quei pezzetti di Sole.”




     
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  14. gheagabry
     
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    Una delle leggende più famose è legata all’assedio di Roma da parte del popolo dei Galli. La vicenda si svolge sul Campidoglio, là dove sorgeva il tempio di Giunone presso il quale vivevano le oche sacre alla dea.

    I Romani, assediati da lungo tempo dai Galli, cominciavano a soffrire la fame, essi erano tentati dal desiderio di uccidere le oche che liberamente si aggiravano sul Campidoglio, ma non osarono farlo essendo queste sacre.


    Una notte Marco Manlio, un soldato che dormiva presso il tempio di Giunone, sentì le oche starnazzare, subito si alzò e corse alle mura della rocca. Si scontrò con un Gallo che insieme agli altri stavano scalando la rocca, affrontò il primo e gli strappò le dita. Intanto le oche continuavano a starnazzare e così svegliarono tutto l’esercito che si precipitò a dare man forte al Marco Manlio.
    I Galli, grazie all’allarme dato dalle oche, furono sconfitti definitivamente.

     
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    grazie ghea..
     
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