L'Iliade

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  1. susacrie
     
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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2020, 02:47
     
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  2. tomiva57
     
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    Riassunto Iliade
    Il dio Apollo aveva scatenato una pestilenza nel campo Acheo per vendicare l'oltraggio che Crise (suo sacerdote) aveva subito da Agamennone quando si era preso la sua figlia (Criseide) come serva e bottino durante uno dei saccheggi.Durante un'assemblea istituita per comprendere il motivo della pestilenza l'Indovino Calcante rivela la responsabilità di Agamennone: deve concedere Criseide al sacerdote, pretendendo però in cambio un'altra serva. Chiede allora ad Achille.
    Briseide: la sua serva, Achille deve concedergliela, ma esce dalla guerra con i suoi Mirmidoni provocando grandi lutti fra i suoi. Poi, l'eroe, si reca sulla riva del mare e invoca la madre, ninfa marina Teti. Quest'ultima sale all'Olimpo e chiede e ottiene dai re celesti che Agamennone capisca e si renda conto dell'errore commesso. Il colloquio non sfugge ad Era, moglie di Zeus, che discute col marito in un'accesa discussione, sedate dal loro figlio: Efesto, fabbro degli dei. Durante la notte Zeus convoca il sogno malefico, che dice ad Agamennone che gli dei sono sfavorevoli ai Troiani e che il giorno della caduta di Troia è segnato. Agamennone crede a queste parole ed il giorno successivo riferisce al consiglio dei capi tutto e decide l'attacco decisivo della città. Prima di attaccare fa una prova all'esercito: dice di rinunciare alla conquista e tutti i guerrieri si dirigono alle navi. Solo Odisseo spinto da Atena, interviene e conduce gli eroi, che corrono a prepararsi alla battaglia, in seguito i guerrieri ad un banchetto vestono le armi e fanno sacrifici agli dei. L'esercito Acheo si schiera in pianura. I due eserciti sono uno contro l'altro. Paride e Menelao scendono dal carro ed il primo propone ad Ettore un duello tra i due eroi, il vincitore avrà Elena e le sue ricchezze, e la guerra finirà. Ha inizio il duello, Paride ha la peggio e sta per soccombere quando interviene Afrodite che lo porta salvo a Troia, Agamennone proclama la vittoria di Menelao ed esige il rispetto dei patti giurati. Intanto, sull'olimpo gli dei osservano e Zeus dice di terminare la guerra, se non che la moglie Era vuole a tutti in costi la distruzione di Troia e si riaccende la battaglia, inviando Atena per infrangere la tregua, per arrivare a questo obbiettivo, assume le sembianze di un Troiano e fa colpire Menelao con una freccia dall'arciere Pandaro. Menelao viene ferito, facendo iniziare così una prima battaglia nella quale i guerrieri si affrontano con l'aiuto degli dei: Atena con gli Achei, Ares con i troiani, molti eroi cadono. Si distinse per le sue gesta Diomede che travolse schiere troiane, Pandaro ed Enea cercarono invano di fermarlo: Enea è salvato dalla madre Afrodite, che lo avvolge nel suo peplo divino. Diomede incalza entrambi: Afrodite, che viene colpita al polso affida il figlio ad Apollo, che con il cocchio di Ares porta in salvo a Troia. Diomede, istigato da Atena, assale Apollo e colpisce Ares, chi risale alla dimora urlando. L'indovino di Priamo consiglia ad Ettore di tornare a Troia, il quale si reca da Paride e da Andromaca col figlio. Ettore allora va alle porte Scee ed Andromaca lo prega di ritirarsi dalla guerra poiché tutti stanno soccombendo; l'eroe rifiuta a nome dei valori guerrieri, lascia la moglie ed il figlio e seguito da Paride, rientra in battaglia. Col rientro dei due eroi, le sorti si ribaltano a danno degli Achei, tanto che Atena decide di intervenire a loro favore, Apollo la vede e propone la sospensione della battaglia; la dea accetta e fa si che Ettore sfidi poi a duello il più forte degli achei. Il sorteggio designa per l'impresa Aiace Telamonio. Il duello è molto violento e gli eroi si scambiano colpi violenti finché non si fa notte. Ettore ed Aiace si scambiano cavallerescamente dei doni e rientrano con i compagni. Il Troiano Antenore propone che Paride restituisca Elena e le sue ricchezze sottratte a Sparta; Paride acconsente ma la proposta di metter fine alla guerra della mattina seguente viene respinta. Su consiglio di Nestore, re di Pilo, gli Achei ergono un muro con una fossa a protezione delle navi. All'alba Zeus fa riprendere la battaglia ed impedisce agli dei di combattere. La battaglia riprende ed ha un esito incerto fino a quando Zeus, sulle bilance auree, misura il fato dei due popoli: il piatto dei Troiani si muove verso l'alto e quello Acheo verso il basso. Egli scaglia allora un fulmine agli Achei che fuggono. I Greci contrattaccano ma sono di nuovo volti in fuga; Era ed Atena vengono persuase a non attaccare da un richiamo di Zeus. La notte interrompe le ostilità. Mentre i Troiani vegliano, Agamennone dichiara ai capi che vorrebbe abbandonare la guerra a causa dello sfavore da parte degli dei. Nestore suggerisce invece di invitare Achille a tornare in battaglia. Agamennone riconosce i propri errori e riconsegna ad Achille Briseide, altri doni ed una delle sue figlie in sposa, ma Achille non retrocede, l'offesa di Agamennone è troppo grande. Egli combatterà solo se Ettore appiccherà il fuoco alle navi. Agamennone consulta nuovamente Nestore: organizzano una sortita notturna: si offrono per questo scopo Diomede ed Odisseo. I due si armano e invocata la protezione di Atena si allontanano dal campo, in seguito incontrano Dolone, mandato da Ettore per ispezionare i movimenti degli Achei, e sotto minaccia si fanno spiegare l'accampamento Troiano, poi lo uccidono; arrivati al campo Troiano uccidono il capo di Dolone nel sonno, cui sottraggono splendidi cavalli. Poi rientrano al campo. Durante la terza battaglia del giorno dopo Agamennone combatte con onore ma viene ferito e costretto ad allontanarsi, come lui vengono feriti molti uomini valorosi come Macaone, salvato da Nestore. Aiace Telamonio semina una strage finché Zeus non lo ferma. Achille manda poi Patroclo da Nestore per sapere chi è l'eroe ferito, poi lo stesso Achille decide di mandare i Mirmidoni con Patroclo. Nonostante la difesa degli Achei, Ettore varca il muro di difesa delle navi Achee, facendo scappare chiunque vi fosse dietro verso il mare. Nel frattempo, Era, inganna il marito aiutata dal sonno, facendo combattere gli dei, ma quando Zeus si risveglia scopre di esser stato ingannato e fa tornare all'Olimpo gli dei. Ettore e i suoi riprendono l'assalto, spaventano nuovamente gli Achei e si apprestano ad incendiare la navi. Patroclo torna da Achille, il quale ha visto l'incendio e cede nel dargli le sue armi per far retrocedere i Troiani; Patroclo si spinge fino alle mura ma viene colpito alle spalle da Apollo, che gli fa cadere tutte le armi, poi Èuforbo lo colpisce nuovamente ed Ettore da il colpo mortale, dopo il quale si riprende tutte le armi. Antiloco porta in seguito la notizia della morte dell'amico ad Achille, il quale con Teti ed Efesto piangono il morto Patroclo con un dolore immenso nel corpo. Al sorgere dell'aurora Achille indossa le armi forgiate da Efesto e tutti gli Achei sono pronti a combattere. Zeus riunisce gli dei e decide di farli combattere per non far finire subito la guerra. Nel frattempo Achille è in cerca di Ettore. Assaliti da Achille, i Troiani, si lanciano nelle acque del fiume Xanto, il quale è una divinità che protegge i teucri, che prega l'eroe di interrompere la carneficina perché i cadaveri ostruiscono il corso del fiume, ricevuta una sprezzante risposta il fiume si scatena contro Achille e tenta di sommergerlo invano, perché il dio fuoco scatena fiamme sulla pianura e minaccia di prosciugare le acque del fiume, e si ritira. Intanto Priamo fa aprire le porte di troia e tutti i Troiani fuggono in salvo nelle mura della città; solo Ettore resta fuori dalle porte, invano Priamo tenta di far entrare Ettore e di non fargli affrontare
    Achille. Quando arriva però Achille, ha paura e fugge, gira tre volte le mura di Troia e poi ingannato da Atena, che ha preso le sembianze del fratello Deifobo, si ferma ed Affronta l'Acheo. Lo scontro è impari: con l'aiuto di Atena, Achille, uccide per vendetta l'eroe Troiano, spoglia il cadavere delle armi e lo trascina nella sabbia sino al campo Acheo, non preoccupandosi delle grida di Priamo ed Ecuba; Andromaca, turbata dalle grida raggiunge le porte Scee, vede lo scempio e sviene. Mentre tutta Troia piange la morte del suo protettore Ettore morto si compiono i rituali alla bara di Patroclo e il banchetto. Nel sonno, Patroclo appare ad Ettore e gli chiede di fargli la sepoltura, Achille tenta di abbracciarlo invano; i giorni successivi vengono fatti la sepoltura, i sacrifici presso lo Xanto ed il rogo con i giochi funebri. Tuttavia Achille non trova pace e trascina il corpo di Ettore, preservato dalle ingiurie e dalla corruzione dagli dei, intorno al sepolcro di Patroclo. Al dodicesimo giorno Zeus dice a Teti di dare al figlio l'ordine di restituire il cadavere di Ettore. Nella notte Priamo si reca nella tenda di Achille protetto dagli dei e concordano dopo un lungo pianto il rilascio del corpo con undici giorni di riti funebri e l'ospitalità per la notte; Priamo accetta solo i primi due accordi ma non il terzo. Troia è in lutto, Priamo rende al figlio gli ultimi onori con l'inizio del rogo.
     
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  3. gheagabry
     
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    L'Iliade è - assieme all'Odissea - un poema epico attribuito ad Omero. Si compone di ventiquattro libri o canti, ognuno dei quali è indicato con una lettera dell'alfabeto greco maiuscolo. In totale sono 15.693 versi, (esametri dattilici). Opera ciclopica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca ed occidentale. Narra le vicende di un breve episodio della storia della guerra di Troia, quello dell'ira dell'eroe Achille, accaduto nell'ultimo dei dieci anni di guerra. L'ira di Achille è l'argomento portante del poema.


    L'opera venne composta nella regione della Ionia Asiatica intorno al IX secolo a.C., anche se alcuni autori ne pospongono la data della composizione a circa il 720 a.C. Il tiranno ateniese Pisistrato, nel VI secolo a.C., decise di uniformare e dare forma scritta al poema che fino ad allora si era tramandato quasi esclusivamente in forma orale. Quest'ultima forma, però, continuerà a restare viva fino al III secolo d.C. in Egitto, con tutti i cambiamenti e le mutazioni inevitabili nella forma orale. La guerra di Troia aveva avuto secondo Omero una durata effettiva di 10 anni, ma nell'Iliade ne vengono narrati soltanto 51 giorni.

    Si sa che il poema era già noto nel VI secolo a.C.; la prima testimonianza sicura è di Pisistrato di Atene (561 a.C.-527 a.C.). Dice infatti Cicerone nel suo De Oratore: “primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus” ("Si dice che Pisistrato per primo avesse ordinato i libri di Omero, prima confusi, così come ora li abbiamo"). Il primo punto fermo è quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti i libri di Omero, ordinati.
    L'oralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche. L'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul modello di Atene ogni città (di sicuro Creta, Cipro, Argo e Massalia, oggi Marsiglia) probabilmente aveva un'edizione “locale”, detta kata poleis. Le varie edizioni kata poleis non erano probabilmente molto discordanti tra di loro.
    Si hanno notizie riguardo edizioni precedenti all'ellenismo, dette polustikoiae, “con molti versi”; avevano sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ce ne parlano ma non ne sa l'origine.
    L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci si avvicinavano alla lettura attraverso i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più facile comprensione per i bambini.
    Si conosce anche l'esistenza di edizioni kata andra: personaggi illustri si facevano fare edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea per farla leggere ad Alessandro Magno, tra la fine del V e l'inizio del VI secolo.
    Con tutte queste versioni prealessandrine, si è arrivati a una sorta di testo base attico, una vulgata attica (quando si affermò il Cristianesimo, c'erano in giro un gran numero di versioni della Bibbia; San Girolamo le analizzò tutte e scrisse un testo latino definitivo, che chiamò Vulgata – per il volgo, da divulgare).
    Teagene di Reggio, VI secolo a.C., fu il primo critico e divulgatore dell'Iliade, che fra l'altro pubblicò.
    Gli antichi grammatici alessandrini tra il III e il II secolo a.C. concentrarono il loro lavoro di filologia del testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché era universalmente riconosciuto come il padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (diorthwsis) volta ad eliminare le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che entravano anche tutte insieme.
    Si arrivò dunque ad un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre grandi filologi, vissuti tra la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione alfabetica dei libri ed operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio, di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo che fu un gran commentatore, inserì il prosodio (l'alternarsi di lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti, Aristarco di Samotracia, che operò una forte ed oggi considerata sconveniente atticizzazione, convinto che Omero fosse di Atene, e si occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo “dubbio”, curandosi però di mettere un obelos con le altre lezioni scartate; non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi.
    Il testo giunto all'età contemporanea dell'Iliade è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su 874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; la vulgata alexandrina è quindi uguale alla nostra solo per il 10%. Questo dimostra che il testo della vulgata alessandrina non era definitivo; è possibile che nella stessa biblioteca di Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni dell'Iliade.


    Peter Paul Rubens, Achille trafigge Ettore 1630-1635
    Un'invenzione molto importante della biblioteca di Alessandria furono gli scolia, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni, commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il III e il II secolo a.C dagli studiosi alessandrini; poi tra il I secolo e il II secolo d.C. quattro scoliasti redassero gli scolia dell'Iliade, poi compedianti da uno scoliasta successivo nell'opera “Commento dei 4”. L'Iliade di Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa; anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie tradizioni orali e rapsodiche.
    Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti stabilirono il numero di versi e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C. sparirono le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è la sintesi di tutto.
    Nel medioevo occidentale non era diffusa la conoscenza del greco, nemmeno tra personaggi come Dante o Petrarca; uno dei pochi che lo conosceva era Boccaccio, che lo imparò a Napoli da Leonzio Pilato. L'Iliade era conosciuta in occidente grazie alla Ilias tradotta in latino di età neroniana.
    Prima dei lavoro dei grammatici Alessandrini, il materiale di Omero era molto fluido, ma anche dopo di esso altri fattori continuarono a modificare l'Iliade, e per arrivare alla koinh omerica bisogna aspettare il 150 a.C. L'Iliade fu molto più copiata e studiata dell'Odissea.
    Nel 1170 Eustazio di Salonicco contribuì in modo significativo. Nel 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi; un grandissimo numero di profughi dall'oriente emigrano verso l'occidente, portando con se una gran mole di manoscritti. Questo accade fortunatamente in concomitanza con lo sviluppo dell'Umanesimo, tra i punti principali del quale c'era lo studio dei testi antichi.
    Nel 1920 si ammise che era impossibile fare uno stemma codicum per Omero perché, già nel '20, escludendo i frammenti papiracei, c'erano ben 188 manoscritti e perché non riusciamo a risalire ad un archetipo di Omero. Spesso i nostri archetipi risalgono al IX secolo, secolo in cui a Costantinopoli, il patriarca Fozio si preoccupò che tutti i testi scritti in alfabeto greco maiuscolo fossero traslitterati in minuscolo; quelli che non furono traslitterati, sono andati persi. Per Omero tuttavia non esiste un solo archetipo: le translitterazioni avvennero in più luoghi contemporaneamente.
    Il più antico manoscritto capostipite completo dell'Iliade è il Marcianus 454a, presente a Venezia; risale al X secolo, quando Bessanone, rettore della biblioteca, lo ricevette dall'oriente da Giovanni Aurisma. I primi manoscritti dell'Odissea sono invece dell'XI secolo.
    L'editio princeps dell'Iliade è stata stampata nel 1488 a Firenze da Demetrio Calcondila. Le prime edizioni veneziane, dette aldine dallo stampatore Aldo Manuzio, furono ristampate ben 3 volte, nel 1504, 1517, 1512, indice questo senza dubbio del gran successo sul pubblico dei poemi omerici.

    L'eroicità è riconosciuta come accento fondamentale del poema e per Omero eroico è tutto ciò che va oltre la norma, nel bene e nel male e per qualunque aspetto. Queste grandezze non sono guardate con occhio stupito perché il poeta è inserito nel mondo che descrive e l'eroico è sentito come normalità. L'intera guerra è descritta come un seguito di duelli individuali, raccontati spesso secondo fasi ricorrenti.
    L'opera non tratta, come indicato dal titolo, dell'intera guerra di Ilio (Troia), ma di un episodio di questa guerra, l'ira di Achille, che si svolge in un periodo di soli 51 giorni. Aristotele lodò Omero nella Poetica, per aver saputo scegliere, tra il numeroso materiale mitico-storico della guerra di Troia, un episodio particolare, rendendolo centro vitale del poema. Aristotele aggiunge inoltre che la poesia non è storia ma una fecondissima verità teoretica ed anche una verità di fatto.




    L'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano 51 giorni dell'ultimo anno della guerra di Troia. Il nucleo conduttore della storia è l'ira d'Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie aristie, ovvero le narrazioni di gesta d'altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie (battaglie di dei).
    In questo caso l'autore è Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - autore di due fondamenti della letteratura occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade che l'Odissea, viaggio di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.
    I poemi del ciclo troiano erano otto ed oltre ad Odissea e Iliade comprendevano anche: Cypria , L'Etiopide, La Piccola Iliade, La caduta di Troia, I Ritorni, Telegonia, in gran parte andate perduti. Si conoscono i loro nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nel V secolo, che li riassunse in un manoscritto.


    liade, Libro VIII, versi 245-253 - da un manoscritto greco di fine V secolo o inizio VI secolo
    Nell'Iliade, oltre agli dèi e agli uomini, si trova una sottocasta di semidei antropomorfi. Tra questi vi è anche Achille. Nei testi epici tali personaggi si possono riconoscere dato che hanno un genitore divino mentre l'altro è un umano. Le ambientazioni della storia non sono realistiche al confronto con l'Odissea in cui sono molto più realistiche.
    Le città sono descritte in maniera insufficiente; invece le navi achee sono descritte con molta più concentrazione ed impegno da parte dell'autore.
    Lo stile narrativo della storia è maestoso.






    Personaggi principali

    Achille: Figlio della Dea Teti e di Pelèo e valoroso guerriero acheo;
    Agamennone: Re di Argo e di Micene, fratello di Menelao, figlio di Atreo e marito di Klitemnestra;
    Aiace Telamonio: Eroe greco, re di Salamina;
    Andromaca: Moglie di Ettore e figlia del re di Cilici;
    Calcante: Indovino greco;
    Cassandra: Profetessa, figlia di Priamo;
    Diomede: Eroe greco, principe degli ètoli;
    Ecuba: Moglie di Priamo;
    Elena: Moglie di Menelao che, sedotta da Paride grazie a un incantesimo di Afrodite, abbandona il marito e parte per Troia;
    Enea: Figlio di Anchise ed Afrodite;
    Ettore: Eroe di Troia e fratello di Pàride;
    Macaone: Medico greco, guarisce e salva Menelao;
    Menelao: Re di Sparta e marito di Elena, fratello di Agamennone;
    Mirmidoni: Popolo di guerrieri agli ordini di Achille;
    Nèstore: Eroe greco, re di Pilo
    Pandaro: Arciere troiano colpisce e ferisce Menelao guidato dalla Dea Minerva;
    Paride: Principe Troiano figlio di Priamo e provocatore della guerra;
    Patroclo: Amico fraterno di Achille ed eroe greco;
    Priamo: Re di Troia e padre di Ettore, Paride, Cassandra, Cebrione (non legittimo);
    Ulisse: Re di Itaca che sarà l'autore dell'inganno col quale i Greci conquistarono Troia.

    I nove principi greci che si alzano per sfidare Ettore sono : Ulisse, Aiace d'Oileo,Aiace Telamonio, Agamennone, Diomede, Idomeneo, Merione,Euripilo e Toante.
    Non si può non far parola del Fato, figura superiore anche agli dei; per Omero è il Fato che decide il risultato degli eventi, ad esempio è lui che determina il vincitore nella battaglia tra Ettore e Achille.


    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:36
     
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    ACHILLE




    Achille (in greco antico Ἀχιλλεύς / Achilleus, in latino Ăchillēs, -is), soprannominato "piè veloce" o "piè rapido", è un personaggio della mitologia greca, nonché uno dei principali eroi leggendari della guerra di Troia e il protagonista dell'Iliade.

    La leggenda di Achille è una delle più ricche della mitologia greca e una delle più antiche. Oltre ad Omero, altri poeti e le leggende popolari s'impadronirono del personaggio e s'ingegnarono a completare il racconto della sua vita, inventando episodi per supplire alle lacune dei poemi omerici. In questo modo si formò poco a poco un ciclo di Achille sovraccarico di incidenti e di leggende spesso divergenti, che ispirò i poeti tragici e i poeti epici di tutta l'antichità, fino all'epoca romana.

    Achille era figlio del mortale Peleo, re dei Mirmidoni di Ftia (regione nel sud-est della Tessaglia) e della nereide Teti.

    Zeus e Poseidone si erano contesi la mano di Teti fino a quando Prometeo (o, secondo altre fonti, Temis) profetizzò che la ninfa avrebbe generato un figlio più potente del padre. Per questo motivo essi dovettero rinunciare alle loro pretese e costrinsero Teti a sposare Peleo. Esiste una versione alternativa data da Le Argonautiche,[1] nella quale Era allude alla resistenza e al rifiuto di Teti alle avance di Zeus, per rispetto al legame matrimoniale Era-Zeus. Nel poema incompleto Achilleide di Publio Papinio Stazio del I secolo, c'è una versione che non si trova in altre fonti, in base alla quale Teti, quando Achille nacque, per renderlo immortale, lo immerse nel fiume Stige,[2] tenendolo per un tallone: il bambino divenne così invulnerabile tranne che nel tallone, che non era stato immerso nell'acqua del fiume (cfr. Tallone di Achille). Non è chiaro se questa versione di Stazio fosse nota in precedenza.

    In un'altra versione, citata nel Libro IV de Le Argonautiche, Teti, per rendere immortale il piccolo Achille, lo ungeva di giorno con l'ambrosia, mentre di notte, di nascosto da Peleo, ne bruciava le parti mortali del corpo sulla fiamma del fuoco. Una notte, però, Peleo balzò dal letto e, vedendo il figlioletto agitarsi tra le fiamme, lanciò un urlo: Teti, adirata, gettò il bambino a terra e, veloce come il vento o come un sogno, se ne andò, immergendosi nel mare, senza fare più ritorno.[3] Peleo, con l'aiuto del centauro Chirone, sostituì il tallone di Achille, rimasto ustionato, con l'astragalo (osso del tallone) del gigante Damiso, celebre per la sua velocità nella corsa: da qui l'appellativo di "piè veloce" (podas ôkus) con cui l'eroe viene anche identificato.

    Tuttavia nessuna delle fonti antecedenti Stazio fa riferimento alla sua invulnerabilità. Al contrario, nell'Iliade, Omero narra di un Achille ferito: nel libro XXI, l'eroe peonio Asteropeo, figlio di Pelegone, sfida Achille nei pressi del fiume Scamandro. Egli, ambidestro, scaglia due lance alla volta e la seconda colpisce Achille al gomito, facendogli sgorgare del sangue: «sfiora coll'altro il destro braccio dell'eroe, di nero sangue lo sprizza»[4]. Neanche nei poemi epici greci del ciclo troiano dove compare una descrizione della morte dell'eroe, Cypria, Etiopide, la Piccola Iliade e l'Iliou persis (La caduta di Ilio), c'è traccia della sua invulnerabilità o del suo famoso tallone. In alcuni successivi dipinti su vaso che raffigurano la sua morte, una o più frecce trafiggono il suo corpo.

    Peleo affidò Achille al centauro Chirone sul Monte Pelio affinché provvedesse alla sua crescita ed educazione.

    Sul Pelio il fanciullo ricevette le cure della madre del centauro Chirone, Filira, e di sua moglie, la ninfa Cariclo. Chirone provvedette anche a cambiargli il nome in Achille: prima infatti era stato chiamato Ligirone, che significava "piangente".
    Teti richiama Achille dal Centuro Chirone, 1770, dipinto di Pompeo Batoni, San Pietroburgo, Ermitage.

    Quando fu più grande Achille incominciò a esercitarsi nella caccia e nell'addestramento dei cavalli e parimenti nell'arte medica.[6] Inoltre, imparava a cantare e a suonare la lira, mentre Chirone lo addestrava alle antiche virtù: il disprezzo dei beni di questo mondo, l'orrore della menzogna, la moderazione, la resistenza alle cattive passioni e al dolore. Il Centauro lo nutriva esclusivamente di midolla di leone e di cinghiale,[7] per trasmettergli la forza di questi animali e di conseguenza per renderlo coraggioso e forte; gli veniva invece somministrato miele e midollo di cerbiatto per renderlo agile e veloce, ma anche per dargli dolcezza e persuasione.

    Chirone gl'insegnò l'uso perfetto della forminx come strumento musicale, mentre la Musa Calliope lo istruì nel canto e nell'arte della pittura. Le doti del giovane eroe si rivelarono già all'età sei anni quando, grazie ai consigli del suo maestro centauro, uccise il suo primo cinghiale. Da quel momento il Pelide iniziò a portare continuamente nella grotta del centauro prede da lui abbattute. La sua bionda capigliatura splendeva al sole durante le corse, quando braccava, raggiungeva ed abbatteva i cervi senza l'aiuto dei cani. Le sue doti stupivano persino le divinità Atena e Artemide, sbalordite dalla grazia e dalle capacità di quel fanciullo così piccolo. Durante questo periodo di educazione alla vita guerriera, Achille ebbe un inseparabile compagno, Patroclo, il quale, benché fosse più anziano di lui, non gli era superiore per la forza né poteva vantare una nobile origine.

    Sempre contemporaneamente alle cure di Chirone, Achille apprese dal precettore Fenice l'arte dell'eloquenza e l'utilizzo adeguato delle armi.[8] Secondo la tradizione omerica, il Pelìde trascorse la sua giovinezza a Ftia, insieme al padre Peleo e all'anziano Fenice, che molto lo amava e lo considerava come un figlio; il poema ricorda anche il tenero episodio in cui Fenice offriva del vino al giovane eroe, ma quest'ultimo spesso lo risputava sulla sua tunica, ancora troppo giovane per poterlo gustare.[9]

    Sin da bambino, gli dei che da molto lo ammiravano e conoscevano bene il destino che attendeva quell'eroico ragazzo, lo avevano avvisato del futuro che l'avrebbe seguito. Gli fu chiesto se preferisse vivere a lungo senza gloria e sconosciuto a tutti o avere una vita breve e famosa per le imprese che avrebbe compiuto, il giovane Achille scelse quest'ultima, così il suo destino fu segnato.

    Quando Achille aveva nove anni Calcante, un indovino che aveva tradito i Troiani per schierarsi dalla parte degli Achei, annunciò che Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza l'aiuto del giovane tra le schiere.[10] Teti, (o secondo altre tradizioni Peleo), la quale era venuta a sapere di quest'oracolo, temendo la morte del figlio sotto le mura della città, sottrasse il giovane alle cure di Chirone e lo portò presso il re Licomede, a Sciro, presentandolo a quest'ultimo come una donna, quindi lo nascose rivestendolo di abiti femminili e lo fece vivere insieme alle figlie del re.[11] Oppure Licomede era a conoscenza del vero sesso di Achille, tuttavia non volle protestare, anzi accettò di buon grado. Qui l'eroe vi rimase nove anni, venendo soprannominato "Cercisera", "Essa" o "Pirra" (cioè "la Fulva"), a causa dei capelli di colore biondo ardente.[12] Durante questi anni, l'eroe si innamorò di Deidamia, una delle figlie di Licomede, unendosi a lei nel suo letto e rendendola incinta di un figlio, Pirro, che più tardi prese il nome di Neottolemo. Secondo una tradizione diversa, Neottolemo era figlio di Achille e di Ifigenia.[13]
    Achille tra le figlie di Licomede, da un sarcofago attico, 240 a.C. ca. conservato a Parigi, Louvre.

    Intanto Ulisse, avendo anch'egli saputo dall'indovino Calcante che Troia non poteva essere espugnata senza la partecipazione di Achille, fu incaricato insieme a Nestore e Aiace Telamonio di cercare il giovane eroe celato a chiunque. Scoperto il suo nascondiglio, attraverso indicazioni di alcuni volontari, i tre si presentarono al cospetto di Licomede travestiti da mercante, portando con una nave a Sciro tanti oggetti e stoffe preziosi, adatti ai gusti femminili e raccolti in una cesta, al fondo della quale erano nascoste alcune splendide armi. Ulisse lasciò allora che le figlie del re scegliessero per prime, quindi diede l'ordine di rievocare all'esterno uno scontro armato. Le fanciulle preferirono oggetti di ricamo e stoffe quando, all'improvviso, dall'esterno, si udì uno squillo di trombe e un fragore di armi, in mezzo all'harem di Licomede.[14]

    Sentendo il frastuono, tutte le ragazze, terrorizzate, fuggirono mentre Achille si strappò di dosso le vesti femminili, si rivestì del bronzo guerriero ed uscì pronto a combattere. Teti e Peleo dovettero dunque rassegnarsi all'inevitabile e la vocazione bellicosa di Achille non fu più ostacolata. Al momento della sua partenza, Peleo fece voto di consacrare al fiume Spercheio, che bagnava il suo regno, i capelli del figlio, se fosse tornato sano e salvo dalla spedizione. Teti, da parte sua, avvertì Achille del destino che lo attendeva: se fosse andato a Troia, avrebbe avuto una fama radiosa, ma la sua vita sarebbe stata breve. Se invece fosse rimasto, sarebbe vissuto a lungo, ma la sua vita sarebbe rimasta senza gloria. Senza esitare, Achille confermò la decisione di molti anni prima e scelse la vita breve e gloriosa.

    La dea consegnò all'eroe anche un'armatura divina, offerta un tempo da Efesto a Peleo, come regalo di nozze. Ella vi aggiunse i cavalli che Poseidone aveva portato come dono nella stessa occasione. Inoltre, per tentare un'ultima volta di mutare il corso del destino, pose presso il figlio un compagno di nome Mnemone, la cui sola funzione era quella d'impedirgli, con i propri consigli, di uccidere un figlio di Apollo. Infatti un oracolo voleva che Achille dovesse morire di morte violenta se avesse ucciso un figlio di Apollo, il cui nome non era stato specificato in altro modo. Infine, Teti gli proibì di sbarcare per primo sulla riva troiana, poiché il primo eroe sbarcato doveva cadere per primo.

    Nell'Iliade, in seguito ad un invito personale portatogli in patria da Nestore, Ulisse e Patroclo, Achille decise di partecipare alla spedizione di Troia. Guidò una flotta di cinquanta navi, sulla quale naviga una schiera di Mirmidoni.[15] Egli è accompagnato dall'amico Patroclo e dal precettore Fenice. Prima della partenza, su decisione dei capi, Achille assunse il comando supremo della flotta achea, con l'aiuto di Aiace Telamonio e di Fenice.[16]

    Nella tradizione dell'Iliade, l'esercito greco giunse direttamente da Aulide a Troia. Ma le leggende posteriori conoscono un primo tentativo di sbarco che fallì completamente. La prima volta in cui la flotta lasciò Aulide per attaccare Troia, vi fu un errore sulla direzione da prendere e, invece di approdare nella Troade, i Greci approdarono molto più a sud, in Misia. Pensando di essere nella Troade, i Greci si sentirono in dovere di saccheggiare il paese, il cui re era Telefo, figlio di Eracle. Alcuni autori sostengono che essi fecero abbattere la potenza dei Misi coscientemente e di loro volontà, prima di attaccare Troia, per impedire che Priamo potesse far ricorso ad essi.

    Telefo si portò dinanzi agli invasori con il suo esercito, ne uccise molti fino a trafiggere Tersandro, figlio di Polinice, il quale aveva tentato di resistergli. Patroclo e Diomede riuscirono però a lottare e strapparono il suo cadavere ai nemici. Durante la lotta tuttavia, Patroclo venne colpito da una freccia scagliata dalle truppe nemiche e fu costretto a ritirarsi, ma quando si presentò Achille, Telefo, spaventato, fuggì lungo le rive del fiume Caico.[17] Durante l'inseguimento, s'impigliò un piede in un ceppo di vite, e cadde, cosicché l'eroe Protesilao riuscì a strappargli lo scudo, permettendo ad Achille di ferirlo con la lancia alla coscia. L'errore del luogo di sbarco fu poi riconosciuto ed i Greci s'imbarcarono allora in direzione di Troia. Non dovevano giungerci affatto, poiché una tempesta disperse la flotta e ogni contingente si ritrovò a casa sua. Achille, in particolare, fu scagliato a Sciro, presso la moglie e il figlio.[18] Durante gli otto anni trascorsi nella città, Achille non esitò a dichiarare a Licomede il suo amore per Deidamia, cosicché il re concesse ai due il matrimonio, anche per riparare al concepimento che Achille aveva voluto tenere nascosto per tutta la sua permanenza a Sciro sotto abiti femminili. Secondo una leggenda del tutto diversa, ovvero quella che riporta l'Iliade,[19] dopo la tempesta che disperse l'intera flotta, Achille realizzò una spedizione contro la rocca di Sciro, insieme all'amico Patroclo, uccidendo il re Enieo e facendo numerosi schiavi.

    Otto anni dopo i Greci riunirono un altro esercito e si radunarono, questa volta ad Argo. Ma non sapevano come raggiungere la Troade. Telefo, la cui ferita non guariva e al quale Apollo aveva predetto che «colui che lo aveva ferito lo avrebbe guarito», giunse dalla Misia ad Argo, vestito di stracci come un mendicante, e si offrì ai Greci di indicare loro il cammino, se Achille avesse acconsentito a guarirlo. Edotto da Ulisse sul vero significato dell'oracolo, confermato dallo stesso Calcante, Achille acconsentì: mise un po' della ruggine, che si trovava sulla sua lancia, sopra la ferita di Telefo e questi guarì. In seguito alla sua guarigione, Telefo promise di accompagnare i capi achei fino al loro sbarco in Troade e, per mantenere duraturi rapporti con i suoi salvatori, promise che né lui né i suoi discendenti avrebbero combattuto contro i Greci.

    Da Argo la flotta greca si portò ad Aulide. Qui il mare restò precluso alle navi a causa di una bonaccia persistente. Interrogato, Calcante rispose che tale bonaccia era dovuta alla collera di Artemide. La dea si sarebbe placata soltanto se Agamennone avesse acconsentito a sacrificarle la figlia Ifigenia, la quale si trovava allora, insieme con la madre, a Micene.[20] Agamennone acconsentì al sacrificio e, per attirare la figlia ad Aulide senza destarne sospetti, né quelli della madre Clitennestra, pensò di opporre come pretesto alla sua domanda il suo desiderio di fidanzarla ad Achille.[21][22]

    Quest'ultimo non era al corrente dell'inganno del re. Quando l'eroe seppe che Agamennone si era preso gioco di lui servendosi del suo nome per tramare un inganno, stabilì di intervenire per salvare la giovane[23] ma era troppo tardi, poiché la ragazza era già ad Aulide. Achille cercò in mille modi di opporsi al sacrificio, ma i soldati, sollevatisi contro di lui, minacciavano di lapidarlo ed egli dovette trattenerli. Promise a Clitemnestra di impedire l'uccisione della figlia, ma quest'ultima si offrì per essere immolata. L'eroe disse comunque che se voleva cambiare idea, lui era sul luogo per intervenire. Ifigenia stessa offrì il suo collo all'ascia del sacerdote che doveva compire il sacrificio, ma prima che la lama calasse su di lei apparve un cervo e la fanciulla fu portata via da Artemide (Euripide, Ifigenia in Aulide). Secondo altri l'eroe, per ordine della stessa Artemide e straziato dalle lacrime di Clitennestra, intervenne durante il sacrificio, salvando la giovane e conducendola in Scizia.[24] Secondo Tzetze, Achille la sposò e da lei generò il giovane Neottolemo.

    Tuttavia i venti favorevoli arrivarono e l'esercito, guidato da Telefo, giunse nell'isola di Tenedo.[25] Quando le navi giunsero sulle coste dell'isola, il re Tenete, salito dall'alto di un promontorio, iniziò a scagliare enormi massi sulla flotta ivi radunata. Achille furente si tuffò in mare e raggiunse a nuoto la riva dove si scontrò col nemico. Colpì Tenete trapassandogli il cuore con la lancia. Quando l'intero esercito fu sbarcato, Achille penetrò personalmente nell'isola coi suoi Mirmidoni; qui si batté con Cicno, padre di Tenete, figlio di Poseidone, che uccise con un colpo alla nuca, unico punto vulnerabile.[26] Durante il saccheggio intravide anche Emitea, figlia di Cicno e sorella di Tenete, verso la quale concepì un amore violento. La fanciulla fuggì come una cerbiatta, ma la terra si aprì sotto di lei, inghiottendola nelle profondità e salvandola dal suo inseguitore. Secondo altri, Tenete intervenne proprio allora per salvare la sorella, ma l'eroe lo trafisse con la sua lancia mentre Emitea era risucchiata nella cavità.

    Accorgendosi, troppo tardi, di aver compiuto la profezia contro la quale la madre lo aveva messo in guardia, fece a Tenete funerali magnifici e, per vendicarsi del suo destino e per castigare la negligenza che l'aveva condannato,[27] uccise il servo Mnemone che avrebbe dovuto impedire quel delitto. Secondo versioni più antiche invece Tenete venne ucciso in un semplice scontro e non viene citata la profezia.

    Al banchetto dei capi, secondo quanto testimonia l'Odissea,[28] Ulisse venne a disputa con Achille. Il primo vantava la prudenza, mentre il secondo esaltava il coraggio. Agamennone, al quale Apollo aveva predetto che i Greci avrebbero conquistato Troia allorché fosse subentrata la discordia tra gli assalitori, vide in questa discussione il presagio di una pronta vittoria. L'episodio ci è raccontato dal cantore Demodoco durante la permanenza di Ulisse alla corte del re Alcinoo. Questo episodio fu deformato dai mitografi posteriori, i quali immaginarono una situazione ancora più grave, in cui questa volta Achille entrava in conflitto, come sarebbe avvenuto dopo molto tempo, con Agamennone. In questo caso, l'eroe greco si scontrò con il re di Micene, per averlo accusato di essere solo un ripiego. Solamente Ulisse riuscì a placare i due contendenti.

    Da Argo la flotta greca si portò ad Aulide. Qui il mare restò precluso alle navi a causa di una bonaccia persistente. Interrogato, Calcante rispose che tale bonaccia era dovuta alla collera di Artemide. La dea si sarebbe placata soltanto se Agamennone avesse acconsentito a sacrificarle la figlia Ifigenia, la quale si trovava allora, insieme con la madre, a Micene.[20] Agamennone acconsentì al sacrificio e, per attirare la figlia ad Aulide senza destarne sospetti, né quelli della madre Clitennestra, pensò di opporre come pretesto alla sua domanda il suo desiderio di fidanzarla ad Achille.[21][22]

    Quest'ultimo non era al corrente dell'inganno del re. Quando l'eroe seppe che Agamennone si era preso gioco di lui servendosi del suo nome per tramare un inganno, stabilì di intervenire per salvare la giovane[23] ma era troppo tardi, poiché la ragazza era già ad Aulide. Achille cercò in mille modi di opporsi al sacrificio, ma i soldati, sollevatisi contro di lui, minacciavano di lapidarlo ed egli dovette trattenerli. Promise a Clitemnestra di impedire l'uccisione della figlia, ma quest'ultima si offrì per essere immolata. L'eroe disse comunque che se voleva cambiare idea, lui era sul luogo per intervenire. Ifigenia stessa offrì il suo collo all'ascia del sacerdote che doveva compire il sacrificio, ma prima che la lama calasse su di lei apparve un cervo e la fanciulla fu portata via da Artemide (Euripide, Ifigenia in Aulide). Secondo altri l'eroe, per ordine della stessa Artemide e straziato dalle lacrime di Clitennestra, intervenne durante il sacrificio, salvando la giovane e conducendola in Scizia.[24] Secondo Tzetze, Achille la sposò e da lei generò il giovane Neottolemo.

    Tuttavia i venti favorevoli arrivarono e l'esercito, guidato da Telefo, giunse nell'isola di Tenedo.[25] Quando le navi giunsero sulle coste dell'isola, il re Tenete, salito dall'alto di un promontorio, iniziò a scagliare enormi massi sulla flotta ivi radunata. Achille furente si tuffò in mare e raggiunse a nuoto la riva dove si scontrò col nemico. Colpì Tenete trapassandogli il cuore con la lancia. Quando l'intero esercito fu sbarcato, Achille penetrò personalmente nell'isola coi suoi Mirmidoni; qui si batté con Cicno, padre di Tenete, figlio di Poseidone, che uccise con un colpo alla nuca, unico punto vulnerabile.[26] Durante il saccheggio intravide anche Emitea, figlia di Cicno e sorella di Tenete, verso la quale concepì un amore violento. La fanciulla fuggì come una cerbiatta, ma la terra si aprì sotto di lei, inghiottendola nelle profondità e salvandola dal suo inseguitore. Secondo altri, Tenete intervenne proprio allora per salvare la sorella, ma l'eroe lo trafisse con la sua lancia mentre Emitea era risucchiata nella cavità.

    Accorgendosi, troppo tardi, di aver compiuto la profezia contro la quale la madre lo aveva messo in guardia, fece a Tenete funerali magnifici e, per vendicarsi del suo destino e per castigare la negligenza che l'aveva condannato,[27] uccise il servo Mnemone che avrebbe dovuto impedire quel delitto. Secondo versioni più antiche invece Tenete venne ucciso in un semplice scontro e non viene citata la profezia.

    Al banchetto dei capi, secondo quanto testimonia l'Odissea,[28] Ulisse venne a disputa con Achille. Il primo vantava la prudenza, mentre il secondo esaltava il coraggio. Agamennone, al quale Apollo aveva predetto che i Greci avrebbero conquistato Troia allorché fosse subentrata la discordia tra gli assalitori, vide in questa discussione il presagio di una pronta vittoria. L'episodio ci è raccontato dal cantore Demodoco durante la permanenza di Ulisse alla corte del re Alcinoo. Questo episodio fu deformato dai mitografi posteriori, i quali immaginarono una situazione ancora più grave, in cui questa volta Achille entrava in conflitto, come sarebbe avvenuto dopo molto tempo, con Agamennone. In questo caso, l'eroe greco si scontrò con il re di Micene, per averlo accusato di essere solo un ripiego. Solamente Ulisse riuscì a placare i due contendenti.

    Sconfitti momentaneamente i Teucri, costretti alla ritirata, gli Achei circondarono con accampamenti Troia e tirarono in secca la loro flotta. Contemporaneamente Achille si armava e riuniva le truppe dei Mirmidoni, realizzando con esse alcune incursioni per annientare le difese esterne della città. Insieme ai suoi uomini migliori si preparò ad un saccheggio notturno all'interno della stessa città, riuscendo a penetrarvi e ad afferrare con la forza Licaone, figlio di Priamo, mentre era intento a potare i rami nella vigna del padre.[33] Achille gli balzò addosso e lo consegnò a Patroclo con l'incarico di condurlo a Lemno e di venderlo come schiavo al migliore offerente. Dieci anni dopo Licaone fu scoperto e scagionato da Eezione, re di Tebe, il quale riuscì a ricondurlo nella sua città.[34]

    Insieme a Patroclo Achille s'inoltrò sul monte Ida, sapendo che lì Priamo teneva le sue greggi e mandrie di buoi, custodite dai figli. Ivi si scontrò con Enea, che possedeva un vasto bestiame che faceva pascolare liberamente; vi erano con lui anche altri figli di Priamo. Achille iniziò subito una terribile razzia, alla quale l'eroe troiano non poté opporsi, conoscendo le origini divine e la natura sovrumana dell'eroe. Mentre le sue mandrie subivano una crudele strage o venivano rubate, Enea fuggì cercando rifugio in una città vicina, nello stesso momento in cui il Pelide uccideva i mandriani dei buoi e anche Mestore, uno dei figli di Priamo incaricato della sorveglianza.[35] Achille sorprese anche altri due figli di Priamo, Iso ed Antifo, che catturò legandoli con funi di vimini e che lasciò liberi solo dopo il pagamento di un cospicuo riscatto.[36]

    Frattanto Enea aveva trovato rifugio presso la città di Lirnesso. Zeus stesso gli garantì "slancio ed agili gambe",[37] e riuscì a proteggerlo dalla foga del Pelide e della sua protettrice Atena. Ma Achille, arruolato un gruppo resistente di soldati Mirmidoni, assediò la città alleata dei Troiani costringendola in poco tempo alla resa. Penetrò infatti con i suoi uomini nella città, iniziandone il saccheggio e la caccia di bottino. Achille uccise il re Minete, sovrano dei Cilici, risparmiando la sua promessa sposa Ippodamia, meglio nota come Briseide. Ella era figlia di Brise, un sacerdote di Apollo che abitava a Lirnesso, il quale, alla vista della sua casa distrutta e della figlia rapita, si era suicidato per il dolore. Achille rese la fanciulla la sua schiava favorita e teneramente amata; lo stesso Patroclo, per consolarla della morte del padre, le aveva promesso di fare in modo che l'eroe la sposasse. Quando la città fu rasa al suolo, Enea chiese aiuto agli dèi e questa volta, grazie a Zeus, scampò nuovamente alla morte rifugiandosi a Troia.

    Achille nell'Iliade
    Giovanni Battista Tiepolo, Atena impedisce ad Achille di uccidere Agamennone, 1757, Villa Valmarana.

    Achille compare molto presto nell'opera, all'interno del primo canto. Crise, padre di Criseide e sacerdote di Apollo, dopo essersi recato da Agamennone per implorare la restituzione della figlia, venne insultato e cacciato in malo modo; in questo modo Agamennone scatenò l'ira di Apollo che, per punirlo, provocò una grande pestilenza a discapito dei greci, colpendo prima gli animali e poi gli uomini. L'indovino Calcante dunque rivelò ad Agamennone che la pestilenza avrebbe avuto termine solo con la restituzione di Criseide; di malavoglia Agamennone accettò, ma esigette in cambio Briseide, la prigioniera di Achille e - benché furente - Achille accettò di donargli la schiava, ma si ritirò nella sua tenda rifiutandosi da quel momento di combattere. In sua assenza i Troiani sembrarono prevalere: nel corso di una grande battaglia, essi giunsero ad attaccare il campo greco e minacciavano di dare fuoco alle navi. A questo punto la situazione per i Greci precipitò ma Achille sembrava non curarsene; Patroclo, suo scudiero e caro amico, riuscì però a convincerlo a lasciare ai Mirmidoni la possibilità di battersi. Non solo: Achille permise a Patroclo di indossare le sue armi e la sua corazza, avvertendolo di non avvicinarsi troppo alle mura di Troia.

    Patroclo però, dopo aver respinto l'assalto, tentò più volte di scalare le mura di Troia, ma venne affrontato e ucciso da Ettore.

    L'ira di Achille contro Agamennone si placò ed egli decise di tornare a combattere: Teti gli fece costruire da Efesto una nuova armatura, poiché la sua originale era stata presa prima da Patroclo e poi da Ettore. Achille rientrò in battaglia, cercando tra le schiere nemiche il principe troiano, deciso ad ucciderlo. Quando lo vide lo invitò a duellare con lui e a questo punto intervenne Apollo, che salvò Ettore da sicura morte. Questo provocò l'aumento della collera dell'eroe che, non sapendo dove cercarlo, iniziò rabbiosamente ad uccidere sfrenatamente qualunque troiano gli capitasse a tiro, compiendo così un massacro indiscriminato. Infine, affrontò Ettore in duello e lo uccise, nonostante la madre gli avesse predetto che alla morte di Ettore sarebbe seguita ben presto la sua. Per vendicarsi dell'amico ucciso, trascinò dietro il suo carro il cadavere di Ettore, facendone scempio; quando però Priamo si recò nottetempo al campo greco per implorargli di restituire il corpo Achille, pur contrariato, si lasciò convincere dalla madre Teti e restituì il corpo di Ettore al padre.
    Ultime gesta e morte

    Nonostante la morte di Ettore la guerra continuò ed altri alleati giunsero in soccorso a Troia per sfidare Achille. Giunse Pentesilea, regina delle Amazzoni che, con poca fortuna, si scagliò contro di lui al termine dei funerali di Ettore. Secondo il mito, solamente quando la colpì al petto, rompendone così l'armatura, Achille conobbe la sua bellezza. Stando ad alcune tradizioni[38] Achille sarebbe già rimasto invaghito di Pentesilea e, scoprendone l'identità solo dopo averla colpita, si unì a lei prima e dopo la morte. Infine uccise Memnone, ultimo alleato dei Troiani e fu a sua volta ucciso da Paride con una freccia avvelenata diretta nel tallone destro, il suo unico punto mortale. Dopo la morte, il suo corpo venne conteso per un giorno finché Aiace Telamonio non riuscì a trasportarlo via dalla mischia, dopo aver ucciso il capitano dei Lici Glauco. E ancora, le armi dell'eroe vennero assegnate ad Ulisse e Aiace, per la disperazione, fece scempio del bestiame sacro che Achille e i suoi compagni avevano razziato durante i primi nove anni di guerra, poi, svanito l'incantesimo che Atena gli aveva lanciato, si suicidò trafiggendosi con la propria spada. Infine Ulisse elaborò un piano per ingannare i Troiani e fece costruire il cavallo di legno dentro il quale si nascosero i più forti dei soldati achei. I Troiani, ingannati, lo portarono all'interno della città dopo aver aperto una breccia nel muro per farlo passare e fu da tale breccia che i Greci riuscirono ad entrare dentro le mura della città con tutto l'esercito, trucidando quindi gli abitanti e mettendo la città a ferro e fuoco, secondo il volere di tutti gli Dei e del Fato.

    Nella versione di Tolomeo Efestione, viene descritto come l'eroe acheo fosse stato respinto dalla regina delle amazzoni Pentesilea, che era accorsa con uno squadrone di donne guerriere in difesa della città di Troia. Achille poi uccise Memnone, re degli Etiopi, accorso in aiuto del re Priamo con una schiera di Etiopi e di Indiani; durante i combattimenti Memnone uccise alcuni guerrieri achei e Antiloco, il guerriero figlio di Nestore. Quando però affrontò Achille, ritornato in vita, questi lo decapitò con la spada e gettò i suoi resti sul rogo di Antiloco, partecipando anch'egli ai suoi funerali e venendo infine ucciso da Paride con una frecciata (o, secondo altre versioni, con un colpo di spada) al tallone, il punto del suo corpo non immerso nella palude stigia (il fiume Stige) subito dopo la sua nascita.

    Un'altra leggenda[39] racconta come l'eroe, innamorato della figlia di Priamo, Polissena, si sarebbe recato al Tempio di Apollo a Timbra per averla in sposa; qui avrebbe trovato la morte per mano di Paride. Apollonio Rodio[40] narra che una volta morto, Achille divenne giudice infernale e che visse nell'Isola dei Beati, prendendo poi in sposa Medea (o forse Ifigenia).

    Vittime di Achille
    La Nereide Cimotea offre una fiala e un oinochoe ad Achille in armatura, del Pittore di Eretria. Particolare da un kantharos Attico a figure rosse, 450-400 a.C. da Vulci. Parigi, Louvre.
    Combattimento tra Achille e Pentesilea.

    1. Acestore: un Beota, figlio di Evippo.
    2. Asteropeo: un valoroso guerriero peone, compagno di lotta di Sarpedone. Figlio di Pelegone, a sua volta figlio del dio fluviale Assio e di Peribea (i Peoni erano una popolazione della Macedonia). Fu colpito al ventre dalla lancia di Achille e gettato agonizzante nel fiume Xanto con tutte le viscere sparpagliate sulla riva.
    3. i guerrieri peoni, alleati dei Troiani, uccisi dal Pelìde tramite taglio della gola e poi gettati dentro il fiume Xanto: Enio, Astipilo, Mneso, Trasio, Midone, Ofeleste, Tersiloco.
    4. Antandra: Amazzone che giunse con la regina Pentesilea durante l'assedio di Troia. La regina stessa venne ferita a morte da Achille, che s'innamorò di lei dopo averle tolto la vita. Secondo un'altra versione fu Pentesilea stessa ad uccidere Achille dopo averlo respinto diverse volte dalle mura di Troia, ma Achille ritornò in vita a causa di un incantesimo effettuato da Zeus, su supplica di Teti, cosicché l'eroe poté ucciderla, dopo aver ingaggiato nuovamente il duello, e spogliarla dell'armatura.
    5. le guerriere amazzoni Antibrote, Armotoe Polemusa, Ippotoe e Pentesilea.
    6. Dardano (Biante): omonimo del fondatore di Troia, figlio del vecchio troiano Biante, ucciso sul suo carro insieme al fratello Laogono. Laogono fu finito con ripetuti colpi di lancia al corpo (ma non sono specificati i punti precisi dove Achille colpisce il suo nemico), Dardano con un colpo di spada (non specificato anche qui il punto preciso dove colpisce).
    7. Demoleonte: figlio di Antenore, il vegliardo troiano, colpito alla tempia dalla lancia di Achille.
    8. Ippodamante: giovane guerriero troiano che combatteva sul cocchio di Demoleonte, colpito al dorso con la lancia mentre, sceso dal carro, stava tentando di fuggire.
    9. Demuco: prode guerriero troiano, figlio del vecchio Filetore. Colpito dapprima al ginocchio con la lancia e poi finito con un colpo mortale di spada (anche qui non è specificato con precisione il punto del corpo dove lo colpisce a morte).
    10. Driope (Iliade): guerriero troiano, colpito alla gola con la lancia.
    11. Deucalione (Iliade): guerriero troiano al quale venne riservata la sorte più macabra: dapprima Achille lo colpì con la lancia scagliata al gomito, nella conversione dei tendini, facendolo entrare in agonia; per finirlo lo colse di spada al collo, staccandogli di netto il capo e dal busto di lui fece schizzare in aria il midollo, che ricadde poi al suolo.
    12. Mulio: guerriero troiano, ebbe le orecchie trapassate da un'asta.
    13. Ettore: il più nobile guerriero troiano. Achille lo uccise per vendicare la morte dell'amico Patroclo.
    14. Ipponoo: guerriero troiano, massacrato con un tizzone ardente da Achille morente, al tempio di Apollo Timbreo.
    15. Licaone: figlio di Priamo e Laotoe. Fu colpito a morte tra collo e clavicola con la spada e poi gettato nel fiume Xanto, per impedire le sue onoranze funebri da parte dei cari.
    16. Mestore: figlio di Priamo.
    17. Polidoro: il più giovane dei figli di Priamo. Come Licaone, aveva per madre Laotoe. Fu raggiunto da un'asta da dietro, nel punto in cui si incrociano le cinghie che difendono la parte bassa della schiena.
    18. Troilo: figlio di Priamo e di Ecuba, ucciso presso il tempio di Apollo Timbreo dallo stesso Pelìde.
    19. Echeclo: giovanissimo guerriero troiano. Era figlio di Agenore. Ebbe spaccato in due il cranio da un potente colpo di spada.
    20. Eezìone: re di Tebe di Cilicia, ucciso da Achille mentre questi saccheggiava la sua città. Egli era padre di Andromaca e forse anche di Pode, ucciso da Menelao.
    21. sette fratelli di Andromaca durante i primi nove anni di guerra, dopo la morte del padre Eezìone.
    22. Epistrofo: capo degli Alizoni, alleati dei Troiani, insieme ad Odìo. Era figlio di Mecisteo.
    23. Ifitione: capitano di un grande contingente di Troiani, figlio di Otrinteo e di una Naiade. Achille, ritornato nel campo di battaglia per vendicare la morte di Patroclo, ucciso da Ettore, si scagliò innanzitutto contro Ifitione, che gli veniva incontro, e gli gettò in viso la lancia che, con forza penetrò nel cervello e lo divise in due parti dentro l'elmo di bronzo.
    24. Memnone: re degli Etiopi, il quale giunse con un grande esercito per difendere Troia. Memnone era figlio di Eos e di Titone. Il padre Titone era figlio di Laomedonte e fratello di Priamo. Achille, alla notizia della morte del suo amico Antiloco, ucciso da Memnone, si gettò ad affrontare il grande nemico e, riuscito a raggiungerlo dopo essere stato oggetto di qualche graffio al petto, lo decapitò con la spada e ne gettò i resti sul rogo di Antiloco, partecipando anch'egli ai suoi funerali. Dopo la sua morte, Memnone venne reso immortale da Zeus, su richiesta della madre.
    25. Menete: un guerriero della Licia, alleato dei Troiani.
    26. Mente eTalio: guerrieri etiopi nello schieramento di Memnone.
    27. Minete: re della città di Lirnesso, che venne saccheggiata da Achille. Morto Minete, Achille ne rapì la moglie, Briseide.
    28. Rigmo: un giovane condottiero della Tracia, alleato dei Troiani, figlio di Piroo (anch'egli ucciso a Troia, da Toante). Fu colpito al ventre con l'asta e gettato a terra dal cocchio su cui si trovava.
    29. Areitoo: lo scudiero e auriga di Rigmo, colpito alla schiena e fatto sbalzare dallo stesso carro del suo signore.
    30. Trambelo: quest'uomo era detto figlio di Telamone. Egli resistette all'invasione di Achille a Lesbo.
    31. Troo: arresosi spontaneamente, cercò di supplicare Achille di lasciarlo in vita perché era troppo giovane per morire; ma Achille lo pugnalò al fegato facendolo schizzare in aria: quindi lasciò Troo sul terreno mentre esalava l'ultimo respiro.
    32. Cicno: figlio di Poseidone, eroe invulnerabile ucciso dall'acheo dopo essere riuscito a soffocarlo con i cinturini del suo stesso elmo durante i primi anni di guerra. Il greco, dopo averlo ucciso, lo decapitò con la spada ed issò la sua testa in cima a Vecchio Pelio; tuttavia, mentre cercava poi di spogliarlo delle armi, il padre Poseidone lo trasformò in un cigno immortale, come rimpianto per la perdita di uno dei suoi figli più forti e valorosi in battaglia.
    33. trentatre giovani guerrieri troiani presi a caso nello Xanto e gettati sul rogo di Patroclo con le armi e tutto.
    34. un eroe troiano che Achille uccise indirettamente, quando minacciava i nemici di tornare a combattere urlando dal fossato; la sua voce giunse nella piana di Troia e, per lo sgomento, questo guerriero si trafisse involontariamente con le sue armi da lancio.

    Achille uccise quindi 74 nemici in totale durante il corso della guerra di Troia.

    La leggenda dell'invulnerabilità di Achille non è riscontrabile nei poemi omerici ma è attestata molto più tardi nell'epopea incompiuta di Publio Papinio Stazio. Nella guerra di Troia gli unici mortali che poterono vantarsi di aver ferito Achille, anche se leggermente, furono i seguenti:

    * Eleno, figlio di Priamo e fratello di Ettore, salvò quest'ultimo interponendosi tra lui e Achille nei primi scontri in campo aperto e ferì l'eroe acheo al polso con una freccia scoccata dall'arco d'avorio donatogli personalmente dal dio Apollo. (Tolomeo Efestione)
    * Asteropeo, capitano peone alleato dei Troiani, le cui estreme gesta sono raccontate nell'Iliade. Non temette le stragi seminate da Achille dopo la morte del compagno Patroclo, ma affrontò l'eroe apertamente mettendolo inizialmente in serie difficoltà; essendo ambidestro, Asteropeo cercò di colpire l'avversario scagliando due lance contemporaneamente, una delle quali ferì Achille al gomito. (Omero, Iliade, libro XXI, versi 147 ss.)
    * Ettore, principe ed eroe troiano, non inflisse mai danni fisici al Pelide ma, per alcuni poeti, il troiano riuscì a sorprendere Achille nel loro ultimo scontro aperto trafiggendolo al femore con la lancia. (Darete, 24.)

    Sono moltissime e svariate le immagini di Achille, la cui descrizione è tramandata da fonti scritte e soprattutto dipinte. Fra gli episodi più celebri in cui è protagonista l'eroe, si ricorda l'agguato a Troilo rappresentato anche nel vaso François conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ma proveniente da Vulci.


    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:35
     
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    AGAMENNONE




    Agamennone (in greco 'Ἀγαμέμνων', "molto determinato") fu una delle figure più importanti della mitologia greca. Figlio del re Atreo di Micene e della regina Erope, era il fratello di Menelao e cugino di Egisto.
    Secondo la tradizione più accettata, Agamennone era figlio di Atreo e di Erope e fratello maggiore di Menelao e Anassibia. Suo padre prese in moglie Erope dopo che la sua prima consorte, Cleola, era morta dando alla luce un figlio malaticcio, Plistene.

    La guerra di Troia è stata raccontata all'interno dell'Iliade da Omero. Agamennone raccolse le forze greche per salpare verso Troia. Preparandosi a partire da Aulide, che era un porto della Beozia, l'esercito di Agamennone incorse nell'ira della dea Artemide. Ci sono diverse versioni delle ragioni di quest'ira: nell'opera di Eschilo, Agamennone, Artemide è irata per i giovani uomini che perderanno la vita a Troia, mentre nell'Elettra di Sofocle, Agamennone ha ucciso un animale sacro ad Artemide, per vantarsi in seguito di essere pari alla dea nella caccia. Sfortune comprendenti la peste e la mancanza di vento impediscono all'esercito di salpare; alla fine, l'indovino Calcante annuncia che l'ira della dea può essere propiziata solo dal sacrificio di Ifigenia (figlia di Agamennone). Le drammatizzazioni classiche differiscono su quanto padre e figlia fossero disposti ad accettare questo destino, compresi trucchetti quali il sostenere che era promessa in sposa ad Achille, ma Agamennone alla fine sacrifica Ifigenia. La sua morte tranquillizzò Artemide e l'esercito greco partì per Troia. Diverse alternative al sacrificio umano sono state presentate nella mitologia greca. Altre fonti sostengono che Agamennone era pronto a uccidere la figlia, ma Artemide accettò un cervo al posto di Ifigenia, e la trasportò in fretta a Taurus in Crimea. Esiodo narra che divenne la dea Ecate.


    Agamennone era il comandante in capo dei greci durante la guerra di Troia. L'Iliade racconta la storia della discussione tra Agamennone e Achille nell'ultimo anno di guerra. Agamennone prese ad Achille una schiava attraente e preda di guerra, Briseide. Achille, il più grande guerriero dell'epoca, si ritirò dalla battaglia per vendetta e quasi fece perdere la guerra alle armate greche.
    Anche se non pari ad Achille in coraggio, Agamennone era un degno rappresentante di autorità reale. Come comandante in capo, egli convocò i principi al concilio e guidò l'esercito in battaglia. Scese in campo egli stesso e compì molte imprese eroiche, uccidendo Bienore ed Oileo (Iliade), Deicoonte, compagno di Enea, Iso (Iliade) e Antifo (due Priamidi), e poi Pisandro e Ippoloco (i due giovani figli del troiano Antimaco), Ifidamante e Coone (due dei tanti figlioli di Antenore), Elato e Adrasto (Iliade). Prima di uccidere Coone, Agamennone venne ferito al braccio da costui, e fu dunque costretto a ritirarsi nella sua tenda. Il suo errore principale fu il suo arrogante sussiego. Un'opinione sovraesaltata della sua posizione lo portò ad insultare Criseide e Achille, portando così grande disastro sui greci.
    Dopo la caduta di Troia, Cassandra, profetessa maledetta e figlia di Priamo, finì nel lotto di Agamennone durante la distribuzione dei premi di guerra.
    Secondo l' Eneide, l'auriga di Agamennone, Aleso, stabilitosi in terra italica dopo la presa di Troia, combatté a fianco di Turno contro Enea, venendo ucciso da Pallante.

    Dopo un viaggio tempestoso, Agamennone e Cassandra sbarcarono in Argolide o vennero spinti fuori rotta e sbarcarono nella terra di Egisto. Egisto, che nel frattempo aveva sedotto Clitennestra, lo invita ad un banchetto durante il quale viene ucciso. Secondo il resoconto dato da Pindaro e dai tragici, Agamennone venne ucciso dalla moglie mentre era solo nel bagno, dopo che un telo o una rete vennero gettati su di lui per impedirne la resistenza. Clitennestra uccise anche Cassandra. La sua ira per il sacrificio di Ifigenia e la gelosia per Cassandra, si narra, furono i motivi del crimine. Egisto e Clitennestra quindi governarono il regno di Micene per un periodo, ma l'assassinio venne vendicato sette anni dopo dal figlio Oreste.


    Ateneo racconta la storia di Arginno, un eromenos di Agamennone: "Agamennone amava Arginno, così narra la storia, avendolo visto nuotare nel fiume Cefiso; nel quale infatti perse la vita (poiché nuotava costantemente in questo fiume), e Agamennone lo seppellì e fondò un tempio di Afrodite Argynnis." (Il Deipnosofista di Ateneo di Naucratis, Libro XIII Sulle donne, p.3) Questo episodio di trova anche in Clemente di Alessandria (Protrepticus II.38.2) e in Stefano di Bisanzio (Kopai e Argunnos), con varianti minori.
    Le fortune di Agamennone hanno formato il soggetto di diverse tragedie, antiche e moderne, la più famosa delle quali è l'Agamennone di Eschilo. Nelle leggende del Peloponneso, Agamennone era considerato come il tipo più alto di potente monarca, e a Sparta veniva venerato con il nome di Zeus Agamennone. La sua tomba venne individuata tra le rovine di Micene e ad Amicle.
    Un altro resoconto lo rende figlio di Plistene (il figlio o il padre di Atreo), che si narra fosse stato il primo marito di Erope.
    Nelle opere d'arte esiste una considerevole rassomiglianza tra le rappresentazioni di Zeus, re degli dei, e di Agamennone, re degli uomini. Egli viene generalmente caratterizzato da uno scettro e da un diadema, i normali attributi dei re.


    Vittime di Agamennone nell'Iliade

    Nella guerra di Troia, Agamennone fu tra gli eroi che più influirono sulle perdite degli avversari, arrivando ad uccidere undici guerrieri in solo tre giorni di battaglia.
    Odio, sovrano degli Alizoni e alleato dei Troiani nel conflitto, fratello di Epistrofo. (Omero, Iliade, libro V, versi 38-42.)
    Elato, alleato troiano, residente a Pedaso prima che venisse distrutta da Achille. (Omero, Iliade, libro VI, versi 33-35.)
    Adrasto, guerriero troiano, catturato vivo da Menelao e finito dal fratello. (Omero, Iliade, libro VI, versi 37-65.)
    Bienore, guerriero troiano, definito "pastore di popoli". (Omero, Iliade, libro XI, versi 91-93.)
    Oileo (Iliade), guerriero troiano, compagno e auriga di Bienore. (Omero, Iliade, libro XI, versi 93-100.)
    Iso, figlio illegittimo di Priamo. (Omero, Iliade, libro XI, versi 101-112.)
    Antifo, figlio di Priamo e di Ecuba. (Omero, Iliade, libro XI, versi 101-112.)
    Pisandro, figlio di Antimaco e fratello di Ippoloco. (Omero, Iliade, libro XI, versi 122-147.). Colpito di lancia al petto.
    Ippoloco, figlio di Antimaco e fratello di Pisandro. (Omero, Iliade, libro XI, versi 122-147.). Fatto letteralmente a pezzi mentre tentava di fuggire; Agamennone lo afferrò e gli tagliò entrambe le braccia e infine la testa.
    Ifidamante, guerriero troiano, figlio di Antenore e Teano, fratello di Coone. (Omero, Iliade, libro XI, versi 221-247.)
    Coone, valoroso guerriero troiano, figlio maggiore di Antenore e Teano, fratello di Ifidamante. (Omero, Iliade, libro XI, versi 248-263.)


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    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:33
     
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    Aiace Telamonio





    Aiace (greco: Αἴας; latino: Aiax) è una figura della mitologia greca, figlio di Telamone, re di Salamina, e di Peribea. Era sposo di Tecmessa, schiava e concubina frigia, e padre di un unico figlio, Eurisace.
    Era un leggendario eroe greco. È uno dei protagonisti dell'Iliade di Omero e del Ciclo epico, cioè quel gruppo di poemi che narrano le vicende della Guerra di Troia e quelle collegate a questo conflitto. Per distinguerlo dal suo omonimo Aiace Oileo, viene chiamato con il patronimico di "Telamonio", o, più raramente, "Aiace il Grande".

    Nell'Iliade, Aiace viene descritto come il più alto tra gli achei, dotato di una robustissima corporatura, secondo solo al cugino Achille quanto ad abilità nei combattimenti. Ed è giudicato un autentico pilastro dell'esercito greco. Era stato educato dal centauro Chirone, che in precedenza era stato istitutore anche del padre Telamone, di Peleo, padre di Achille, e di Achille stesso. Dopo il cugino, Aiace era il più valoroso guerriero dell'esercito guidato da Agamennone, sebbene non fosse dotato della stessa sagacia di Nestore, Idomeneo e, naturalmente, Odisseo. Si poneva alla testa dei suoi soldati, brandendo un'enorme scure e portando un largo scudo di bronzo, ricoperto con sette strati di pelle di bue. Uscì indenne da tutte le battaglie descritte dall'Iliade ed è l'unico tra i protagonisti del poema a non ricorrere mai all'aiuto di uno degli dei schierati al fianco delle parti in lotta. È l'incarnazione stessa delle virtù della costanza negli impegni e della perseveranza.



    Nell'Iliade, Aiace compie molte imprese valorose. Nel quarto libro colpisce con la lancia il bellissimo giovinetto troiano Simoesio, uccidendolo.
    Quindi dimostra tutto il suo coraggio nel corso di due duelli contro Ettore. Nel settimo libro, Aiace viene sorteggiato per scontrarsi con Ettore e si cimenta così in un duello che si protrae quasi per un giorno intero. All'inizio sembra riuscire ad avere la meglio e riesce a ferire Ettore con la sua lancia e a gettarlo a terra, colpendolo con una grossa pietra, ma poi Ettore si riprende e il combattimento continua finché gli araldi, su ordine di Zeus, stabiliscono che lo scontro è pari: i due guerrieri si scambiano doni in segno di rispetto. Il secondo duello tra Aiace ed Ettore (narrato nel XIV libro dell'Iliade) si verifica quando il troiano irrompe nell'accampamento acheo e affronta i greci in mezzo alle loro navi. Aiace scaglia contro Ettore un grosso sasso, che per poco non lo uccide. Nel XV libro, Apollo cura Ettore e gli restituisce le forze. Così, questi torna all'attacco. Aiace riesce intanto a tenere lontano l'esercito troiano praticamente da solo. Nel libro successivo, Ettore disarma Aiace, sebbene non lo abbia ferito, e questi è costretto a ritirarsi, mentre i troiani incendiano una delle navi. Aiace, però, prima che Ettore gli mozzasse di netto la punta dell'asta, e prima che l'incendio divampasse sulla nave di Protesilao, reagì all'atto di appiccare il fuoco alle sue navi, uccidendo molti guerrieri nemici, tra i quali il signore della Frigia, Forci, alleatosi coi troiani.
    A causa del suo litigio con Agamennone, Achille non partecipa a questi scontri. Nel IX libro, Agamennone e gli altri capi achei inviano Aiace, Odisseo e Fenice nella tenda di Achille per convincerlo a tornare in battaglia. Sebbene Aiace faccia del suo meglio, la missione fallisce. Durante l'assalto troiano alle navi greche, il compagno di Achille, Patroclo (che aveva tentato di impersonarlo per dare coraggio ai greci), viene ucciso da Ettore, che cerca di prenderne il cadavere e di darlo in pasto ai cani. Aiace, insieme a Menelao, lotta duramente per impedirglielo e alla fine riporta indietro il corpo con un carro all'accampamento e lo consegna ad Achille, che, furioso di dolore, deciderà di tornare a combattere.



    Aiace Telamonio si preparò a contrattaccare i Troiani, allorché, guidati dalla regina Pentesilea e dalle Amazzoni, avanzarono sul campo di battaglia riempiendo la pianura di cadaveri. Sfiorato da un dardo di Pentesilea, che gli aveva appena scalfito l'elmo, l'eroe rinunciò a scontrarsi con la donna, giudicando una preda così facile degna del cugino.
    Achille, dopo aver ucciso Ettore in duello, per vendicare Patroclo, in seguito cadrà ucciso per mano di Paride: Aiace e Odisseo combattono contro i troiani per strappare loro il corpo dell'eroe caduto. Aiace, roteando la sua immensa ascia, si occupa di tenere lontani i troiani, mentre Odisseo carica Achille sul suo carro e lo porta via. Durante questa battaglia, Aiace compie sanguinosi prodigi massacrando Glauco, figlio di Ippoloco e sovrano licio, e ferendo Enea e Paride gravemente.
    Dopo la cerimonia funebre, entrambi gli eroi reclamano il diritto di tenere per sé le armi di Achille come riconoscimento del loro valore: alla fine, dopo alcune discussioni, è Odisseo a spuntarla e Aiace, infuriato per questo, si accascia a terra esausto. Al suo risveglio, impazzito a causa di un incantesimo lanciatogli da Atena, si lancia contro un gregge di pecore e le massacra, credendo di uccidere i generali achei. Rientrato in sé, si vede coperto di sangue e capisce che cosa abbia in realtà fatto: perduto in questo modo l'onore, preferisce suicidarsi piuttosto che continuare a vivere nella vergogna. E così si trafigge con la spada che Ettore gli aveva donato alla conclusione del loro duello.
    Dal terreno intriso del suo sangue spunta un fiore rosso (come era accaduto anche al momento della morte di Giacinto), che porta sulle sue foglie le lettere Ai, che rappresentavano sia le iniziali del suo nome che il dolore del mondo per la sua perdita. Le sue ceneri vennero deposte sul promontorio Reteo, all'ingresso dell Questo racconto della morte di Aiace si trova nella tragedia Aiace, scritta da Sofocle, nelle Nemee di Pindaro e nelle Metamorfosi di Ovidio, e del Foscolo in cui l'eroe incarna l'ideale di ribellione nei confronti del tiranno, mentre Omero, nell'Odissea, si mantiene sul vago, riferendo soltanto che la sua morte avvenne a causa della disputa per le armi di Achille: durante il suo viaggio nell'Ade, Odisseo incontrerà l'ombra di Aiace e lo pregherà di parlargli, ma Aiace, ancora risentito nei suoi confronti, rifiuterà e ritornerà silente nell'Erebo.

    Aiace era figlio di Telamone, che a sua volta era figlio di Eaco e nipote di Zeus e della sua prima moglie, Peribea. Era anche cugino di Achille, il più forte e famoso degli eroi greci, e fratellastro di Teucro. Molti ateniesi illustri, tra i quali Cimone, Milziade, Alcibiade e lo storico Tucidide sostennero di essere discendenti di Aiace. Anche in Italia il culto di Aiace quale mitico avo di varie famiglie era diffuso. Lo studioso Maggiani ha recentemente mostrato come su una tomba estrusca dedicata a Racvi Satlnei a Bologna (V secolo a.C.) vi sia riportata l'espressione 'aivastelmunsl = della stirpe di Aiace Telamonio', insieme ad una raffigurazione del suicidio di Aiace, come insegna araldica della famiglia etrusca Satlna.

    Il palazzo di Aiace

    Nel 2001, l'archeologo Yannos Lolos cominciò degli scavi nelle rovine di un antico palazzo miceneo, sull'isola di Salamina, che si pensa sia potuto essere la reggia di Aiace. Le rovine sono state portate alla luce nei pressi del villaggio di Kanakia di Salamina, a pochi chilometri al largo di Atene. La struttura copre un'area di 750 m² ed è composta da una trentina di stanze. Pare essere stata abbandonata all'incirca all'epoca della Guerra di Troia.

    Durante la guerra, Aiace uccise molti guerrieri tra i quali:
    Acamante, (Omero, Iliade, libro VI, vv. 5 ss.), un Tracio figlio di Eussoro, di cui Ares prese le sembianze per incitare i Troiani alla battaglia.
    Aganippo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230)
    Agelao, guerriero troiano, figlio di Meone. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 229)
    Agestrato, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230)
    Anfio, un valoroso e ricco possidente di terre, che il Fato condusse come alleato a Priamo. (Omero, Iliade, libro V, v. 612)
    Archeloco, un capitano Dardano residente nello stesso gruppo di Enea e Acamante. Era figlio di Antenore. (Omero, Iliade, libro XIV, versi 465 e seguenti.)
    Caletore, figlio di Clitio, uno deglia anziani di Troia e figlio di Laomedonte. (Omero, Iliade, libro XV, v. 419)
    Deioco, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529 ss.)
    Doricle, figlio di Priamo. (Omero, Iliade, libro XI, v. 489).
    Enieo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529 ss.)
    Epicle, un compagno di Sarpedone, il re di Licia. (Omero, Iliade, libro XII, v. 379.)
    Erimante, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231)
    Eurinomo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529)
    Forci, signore della Frigia. (Omero, Iliade, libro XVII, vv. 312 ss.)
    Glauco, il giovane capo licio, ricordato per aver scambiato l'armatura con Diomede. (Pseudo-Apollodoro, Epitome, libro III, 34 ss.)
    Ippotoo, capitano dei Pelasgi. (Omero, Iliade, libro XVII, vv. 288 ss.)
    Illo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529)
    Irtio, capitano dei Misi e figlio di Girtio. (Omero, Iliade, libro XIV, vv. 511 ss.)
    Laodamante, capitano troiano, figlio di Antenore. (Omero, Iliade, libro XV, v. 516)
    Lisandro, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491)
    Nesso, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231)
    Ocitoo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230)
    Pandoco, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 490)
    Pilarte, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491)
    Piraso, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491)
    Simoesio, giovane guerriero troiano, figlio di Antemione. (Omero, Iliade, libro IV, v. 473)
    Testore, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 229)
    Zoro, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231)






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  9. gheagabry
     
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    Caletore




    Nella mitologia greca, Caletore era il nome di un guerriero troiano, di nobile stirpe, figlio di Clitio, il fedele consigliere e fratello di Priamo, re di Troia. Egli prese parte alla guerra di Troia, le cui origini furono dovute a Paride, cugino di Caletore, il quale, per un capriccio amoroso, decise di rapire la giovane regina di Sparta, Elena. Offeso per l'oltraggio il marito di quest'ultima, Menelao, re di Sparta, chiamò in aiuto il fratello Agamennone e chiese l'appoggio di tutta la Grecia per attaccare la città rivale. Le vicende più importanti di questo conflitto furono poi raccolte e raccontate da Omero nell'Iliade.

    Caletore, ricordato nell'Iliade come un'illustre combattente troiano, era figlio di Clitio, figlio di Laomedonte e fratello di Lampo, Icetaone, Titone e del re Priamo. Attraverso il padre, egli era dunque cugino del valoroso eroe Ettore e di Paride, dato che entrambi erano figli di Priamo.
    Il nome di sua madre è tuttavia sconosciuto; le poche notizie che riferisce Omero non specificano il suo nome, né tantomeno precisano se egli fosse figlio unico dell'anziano troiano, o avesse altri fratelli. L'unico testo a parlare di questo personaggio è pertanto solo l'Iliade.

    In seguito allo scoppio della guerra, che vide il fronteggiarsi di due temibili eserciti rivali, Caletore accompagnò i suoi compatrioti nelle mischie più cruente, senza tuttavia mai allontanarsi dal cugino Ettore, il quale si rivelava la vera salvezza per le file troiane.
    Durante l'avanzata dei Troiani verso l'accampamento e le navi achee, Caletore fu uno dei primi ad abbattersi sui nemici per appiccare fuoco ai loro navigli. Fu il primo tra i tutti i Troiani a gettare la sua fiaccola su una delle navi achee, ma il grande Aiace Telamonio, postosi in difesa di queste ultime insieme al fratello arciere Teucro, trafisse il nemico al petto con la sua lancia. Il giovane Caletore, colpito mortalmente, non poté più avanzare, ma crollò all'indietro lasciando andare la fiaccola, la quale rotolò per terra tra i suoi compagni.
    Di fronte alla perdita di un così caro parente, Ettore s'infiammò di dolore e parlò ad alta voce tra le sue schiere e gli alleati dei Troiani:

    « Τρῶες καὶ Λύκιοι καὶ Δάρδανοι ἀγχιμαχηταὶ
    μὴ δή πω χάζεσθε μάχης ἐν στείνεϊ τῷδε,
    ἀλλ' υἷα Κλυτίοιο σαώσατε, μή μιν Ἀχαιοὶ
    τεύχεα συλήσωσι νεῶν ἐν ἀγῶνι πεσόντα. »


    « « Teucri e Lici e Dardani, bravi nel corpo a corpo,
    non lasciate la lotta in mezzo a simile stretta,
    salvate il figlio di Clitio, perché gli Achei non gli tolgano
    l'armi, ché cadde battendosi per le navi». »
    (Commento di Ettore, Omero, Iliade, libro XV, versi 425-428.)


    Poi, furibondo per la perdita di Caletore, scagliò la sua lancia contro il suo assassino, Aiace, ma l'eroe acheo riuscì ad evitarla, cosicché questa si piantò nella testa di Licofrone, suo scudiero, il quale cadde a terra morto, dalla poppa della nave.



    Un altro personaggio con lo stesso nome è menzionato da Omero nell'Iliade; Caletore, infatti, è anche il nome del padre di un valoroso guerriero acheo, Afareo, ricordato di conseguenza col patronimico di Caletoride.



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  10. gheagabry
     
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    Glauco (Licia)






    Glauco è una figura della mitologia greca, nipote di Bellerofonte.
    Fu uno degli eroi della guerra di Troia. Nell'Iliade di Omero è descritto a capo dei guerrieri di Licia (alleata di Troia) con Sarpedonte, di cui era cugino. Egli viene descritto come eroe valoroso e d'animo nobile.

    In guerra si ritrovò faccia a faccia con Diomede ma, scoperto un antico legame di ospitalità, entrambi rifiutarono di battersi e si scambiarono dei doni: Glauco (offuscato temporaneamente da Zeus) offrì a Diomede le sue armi d'oro del valore di cento buoi, ricevendo in cambio l'armatura in bronzo - meno preziosa - che valeva nove buoi.
    L'episodio omerico di Glauco e Diomede , assieme a quello di Achille e Priamo, è uno dei più importanti per comprendere il concetto di ospitalità (xenia) presso gli antichi Greci.
    Alla morte del cugino Sarpedonte, Glauco volle vendicarlo e incitò i capi troiani alla battaglia. Nel combattimento uccise un nemico: Baticle, figlio di Calcone, e abitante dell'Ellade. Finiscono qui le vicende di Glauco nel poema omerico.


    Secondo diverse fonti, quando Achille cadde in battaglia, trafitto mortalmente da una freccia scagliata da Paride, Glauco cercò di impossessarsi del suo cadavere. Sperando di uccidere qualche nemico, egli scagliò la lancia contro Aiace Telamonio, il quale proteggeva il corpo di Achille, ma essa riuscì solo a scalfire lo scudo, senza che gli penetrasse nella pelle.
    Aiace, alla vista del nemico, lo rimbrottò con dure parole. Infine gli scagliò addosso una lancia e lo uccise nel bel mezzo della mischia.


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    Diomede





    Diomede è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della Guerra di Troia. Oltre all'importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell'Adriatico.

    La stirpe di Diomede regnava su Calidone, ma il nonno Eneo era stato spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in esilio, ad Argo. Rimase orfano sotto le mura di Tebe, città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.
    Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.
    Dopo aver combattuto sotto le mura di Tebe, Diomede volle anche ridare il trono a suo nonno Eneo; con l'aiuto di un compagno ci riuscì e finalmente tornò a casa. Ad Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così re della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto, però, dovette partire per la guerra di Troia.

    Diomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Nel libro V dell'Iliade Diomede compie molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone. Memorabile il suo duello con Enea: l'eroe troiano stava per essre sconfitto da Diomede quando apparve Afrodite a proteggere suo figlio. Diomede allora ferì la dea ad una mano. Afrodite tornò sull'Olimpo, ma chiamò Ares a difendere Enea. Diomede ferì anche lui, costringendolo alla fuga. Ares chiamò a sua volta Apollo, che salvò Enea apostrofando Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede ascoltò Apollo e placò la sua furia.
    Diomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco, sul punto di intraprendere il duello con Glauco, il principe di Lidia, che si batteva a fianco dei Troiani. In uno degli episodi più toccanti dell'Iliade, Diomede si rende pian piano conto che il nemico che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi.
    Con Ulisse compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio, la statua da cui dipendevano le sorti di Troia, e l'uccisione del giovane re tracio Reso, colpito nel suo accampamento mentre dormiva.
    Assecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate, sia presso Agamennone che presso Achille.
    Dopo la caduta di Troia, tornò velocemente ad Argo, primo tra tutti gli Achei a tornare in patria. Il veloce ritorno però era opera di Afrodite, ansiosa di vendicarsi dell'offesa ricevuta durante la guerra. Ad Argo, infatti, né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più: Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata da Afrodite, tradì Diomede con un altro uomo e gli tese molti agguati.


    Dante Alighieri (Inferno - Canto ventiseiesimo) parla di Diomede nell'VIII bolgia dell'VIII cerchio, quella dei consiglieri fraudolenti, che in vita agirono di nascosto e quindi la loro pena nell'inferno sarà quella di essere celati dalle fiamme alla vista altrui. Egli infatti si trova avvolto in una fiamma insieme con Ulisse, poiché proprio con lui andò a rubare nel Palladio la statua da cui dipendevano le sorti di Troia.



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    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:29
     
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  12. tomiva57
     
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    grazie gabry
     
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  13. gheagabry
     
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    CANTO DEL CAVALLO

    Dopo dieci anni di una guerra
    che non finiva mai, una bella mattina
    i Troiani
    che stavano sempre con la testa penzoloni
    dalle mura,
    vedono che le barche greche
    hanno le vele gonfie per tornare a casa
    e sulla spiaggia è rimasto un cavallone di legno
    grande come un palazzo, con delle placche d’oro
    sulla schiena che parevano fatte di lucciole.
    “Portiamolo dentro che è un regalo che ci hanno lasciato!”
    Dicevano quasi tutti senza sapere che nella pancia
    del cavallo c’erano Ulisse con dei soldati che stavano zitti
    come le montagne sotto la neve.
    I più fanatici aprono il portone
    che era inchiodato dalla ruggine
    e i giovani e anche i vecchi si avvicinano
    a questo colosso che aveva le gambe
    come le colonne di San Pietro e la pancia
    come una nuvola che copriva il sole.
    Tira tu che tiro anch’io con delle corde
    lunghe e delle leve per smuovere le ruote di legno
    che affondavano nella sabbia, l’animale
    è arrivato sotto le mura
    e le donne battevano le mani e facevano festa
    per farlo entrare dentro la città.
    I bambini correvano davanti e dietro
    e urlavano forte: “Io gli ho toccato la coda!”
    “E io la pancia!”. Il cavallone aveva la testa
    che oscillava davanti alle finestre alte,
    come dondolano i bambocci del carnevale,
    e le ragazze si tiravano indietro perché faceva impressione
    però ridevano e subito allungavano le braccia
    per fargli una carezza. Dal portone in basso,
    che avevano levato dai gangheri, su su fino al tempio,
    hanno impiegato quattro ore e un quarto
    anche perché c’era tanta gente allegra
    tra i piedi e le ruote si incastravano tra i sassi.
    La festa vera e propria è cominciata
    alle nove di sera e c’erano pifferi e tamburi
    che facevano muovere braccia e piedi anche alle vecchie. Bevi e bevi attorno al regalo che gli avevano
    lasciato i greci, gli uomini barcollavano
    e le donne tiravano su le sottane e mostravano
    tutto. Ci sono state perfino delle ammucchiate
    dove, magari, la moglie di uno si è trovata
    tra le braccia di un altro.
    Il sonno è arrivato di colpo e la gente stava
    stravaccata sul pavimento con le gambe e le braccia
    aggrovigliate. Subito hanno fatto un sogno tutti assieme.
    Pareva che dalla pancia del cavallo
    venissero fuori dei soldati con delle spade lunghe
    che s’infilavano nella carne e facevano un male boia;
    ma non era mica un sogno!, era vero
    che dalla pancia del cavallo uscivano dei soldati
    con facce più cattive del veleno
    e le punte dei ferri rompevano le ossa
    la bocca che voleva urlare
    non poteva fare neanche un lamento;
    dai buchi della carne il sangue
    faceva una fioritura di tulipani rossi
    in mezzo a facce bianche che erano schegge di luna.
    Anche fuori dal tempio era pieno di morti
    e c’era un silenzio che si tagliava col coltello.
    Andromaca, la moglie di Ettore,
    che non si era mescolata con gli altri a fare festa,
    accompagnata da un soldato che la portava in Grecia,
    camminava a testa alta,
    vestita con una camiciola spiegazzata e le tette
    dondolavano quasi fuori proprio dove
    si appoggiava suo figlio che stava in braccio
    con degli occhi come quelli di una civetta.
    Quando il sole si è fatto vedere
    su quei morti e quelle case bruciate,
    sono arrivati tre-quattro uccelli
    che sono scappati dalla paura.
    I soldati greci che avevano fatto quel macello,
    erano stanchissimi e si sono addormentati
    con le mani insanguinate appoggiate su quella carne
    senza vita.
    Ulisse piangeva per tutta quella gioventù
    che era morta, poi, uno alla volta
    ha svegliato i compagni e hanno tirato dentro
    il tempio tutti quei disgraziati per non farli stare
    sotto l’acqua e al sole. I bambini li ha fatti sistemare
    dove dalle fessure alte
    arrivava un fascio di polvere luminosa fino al pavimento. Subito dopo hanno lasciato la città
    che ancora bruciava e si sono avviati
    verso le navi che aspettavano
    col muso dentro la sabbia.
    E’ passata quell’estate e alcuni anni
    con giornate di vento che sbatteva le porte
    e gli stracci e poi la pioggia, le burrasche
    e sciabolate di sole che facevano crepare la terra;
    l’aria era piena di calabroni, vespe e cavallette
    che pareva fossero fili d’erba in volo.
    I muri delle case erano diventati di pasta frolla
    e la fortezza, una montagna di sassi e cenere.
    L’erba piano piano ha sepolto tutto
    e non ti veniva neanche da pensare
    che degli uomini e delle donne
    proprio lì, appena anni prima, ridevano insieme
    nel guardare un albero fiorito.







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    Estratto del libro di Tonino Guerra Odissea Il viaggio del poeta con Ulisse, Bracciali Editore

    © 2007 - Associazione Culturale Tonino Guerra

    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:29
     
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  14. gheagabry
     
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    « Ma non fia per questo
    che da codardo io cada: periremo,
    ma glorïosi, e alle future genti
    qualche bel fatto porterà il mio nome. »
    (Ettore, prima dell'ultimo duello contro Achille; Iliade, XXII, 304-305. Traduzione di Vincenzo Monti)



    ETTORE





    Il più grande eroe troiano della guerra contro i Greci; era il figlio maggiore di Priamo e di Ecuba, sovrani di Troia, marito di Andromaca e padre di Scamandrio o Astianatte. Ha un ruolo di primo piano nell'Iliade. Combatté contro i più valorosi eroi greci; tra questi fronteggiò e infine uccise Patroclo, l'amico di Achille. La morte dell'inseparabile compagno indusse Achille a scendere in combattimento, mentre tutti i Troiani, anche i più valorosi, davanti al temibile spettacolo della sua forza si ritiravano entro le mura della città. Solo Ettore, nonostante le preghiere dei suoi che lo invitavano a mettersi in salvo, rimase fuori dalle mura; ma quando egli vide Achille il cuore gli mancò, e cominciò a scappare. Per tre volte compì il giro delle mura di Troia, di corsa, inseguito da Achille, il Piè veloce; infine cadde, colpito dalla lancia dell'eroe greco. Achille poi legò il corpo di Ettore al proprio carro e in tal modo lo trascinò fino al campo dei Greci; ma secondo tradizioni più tarde per tre volte egli gli fece fare il giro intorno alle mura della città. Per esplicito ordine di Zeus, poi, Achille riconsegno il corpo dell'eroe a Priamo, che era venuto a richiederlo, e che lo seppellì successivamente a Troia con grande pompa: l'Iliade si chiude con la descrizione del suo funerale.

    Ettore è una delle figure più nobili dell'Iliade. In lui sono condensate in altissimo grado tutte le virtù eroiche: è il più grande eroe di Troia e persino Achille trema quando lo vede avanzare. La sua nobiltà d'animo lo induce a preferire una resistenza eroica — anche se accompagnata dal presentimento della prossima caduta della sua città, e quindi della vanità di tutti i suoi sforzi e persino della morte —alla resa e alla schiavitù. Insieme, la figura di Ettore è resa umana dai suoi sentimenti di tenerezza e di affetto nei confronti della sposa, dei genitori, del figlio, che si affiancano alle virtù proprie dell'eroe e del guerriero.


    Priamo, re di Troia che di figli e figlie ne ebbe a decine (almeno così è dato a sapersi), stravedeva soprattutto per Ettore, il primogenito erede al trono e per Paride Alessandro, cresciuto lontano dalla città per evitare la maledizione che avrebbe distrutto Troia e poi riaccolto come un figlio prodigo senza tener conto degli ammonimenti precedentemente.
    Ettore, serio, etico, moralmente inattaccabile per la sua durezza e la sua coscienziosità, non amò mai il fratello minore che riteneva frivolo e senza coscienza, senza morale, dissoluto a trastullarsi in taverna bevendo vino e mischiato a donnine di facili costumi.
    Ettore fu facile profeta, Paride Alessandro fu la causa della lunga e sanguinosa guerra che mise di fronte achei e troiani, andando a rapire la bella Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, atto che Ettore abborrì subito comprendendo ciò che significava, nonostante gli spartani del tempo non fossero certamente quelli della genia di Licurgo, ma evidentemente già allora non guardavano tanto per il sottile…..
    Anche durante la guerra Ettore non mancò d'apostrofare duramente l'imbelle fratello, che non pago d’aver causato il danno irreparabile preferiva stare al riparo dal combattimento tra le braccia di qualche concubina compiacente, infischiandosene largamente dei rimproveri paterni e del fratello che interpretava il sentimento di tutta la città in lotta.
    Ettore era d'un altra pasta, era un uomo vero, etico, pronto a sacrificarsi, come poi fu, per la sua patria, Paride Alessandro era invece uno che amava le parate personali in pompa magna, leziose ed inconcludenti, portava il pennacchio in testa, parlava tanto, spesso a sproposito, ma come tutti coloro che amano pavoneggiarsi nei loro ricchi abiti militari, "teneva paura" quando c'era da combattere.....
    Paride Alessandro, insopportabile per natura, oltre al gettare il discredito su tutta le gente troiana, non combatteva se non era allegro o sbronzo, cioè euforico, dimostrando ancora una volta di più che per lui la guerra era un gioco, le armi ed i capi di vestiario giocattoli ed oggetti di sola vanità personali: non aveva nessun onore, se mai l’avesse posseduto, lo perse nella dissolutezza della sua vita, non viveva nella società, al contrario del fratello maggiore, egli era fortemente odiato, non solo per ciò che aveva di dannoso aveva procurato alla città, ma anche perché nel momento del bisogno s’era tirato indecorosamente da parte visot che il suo era un eroismo essenzialmente fanciullesco.
    Ettore rappresenta chiaramente la purezza degli ideali nell'etica militare, combatteva in difesa della sua città utilizzando tutti i mezzi leciti durante una guerra, non aveva avuto quasi mai aiuto da nessun dio (a parte Apollo), unico tra tutti i "celebrati eroi" iliaci, pur essendo un uomo molto religioso e rispettoso dell’Olimpo: ne fa testo il duello serrato e leale con Aiace, interrotto al tramonto perché gli dei non volevano un vincitore tra i due, onore e tributi ad entrambi.
    Proprio per questo motivo era considerato come si suol dire un uomo “caro” per la sua devozione onesta, egli non era capace di assecondare ogni capriccio degli dei per la sua tenuta morale, ma non per questo rinunciò a combattere: era un umano senza particolari poteri, era soprattutto un uomo vero, Omero ne illustra tutte le virtù per dimostrare come ci si doveva comportare nella società quotidiana, era insomma il prototipo dell’uomo socialmente utile.
    Ettore, infatti, trasmetteva un messaggio positivo attraverso tutta la sua vicenda umana per la sua etica, la sua intelligenza, la sua umiltà e la sua profonda umanità; umanità che raramente fa capolino nell’opera di Omero per sua scelta personale, i combattenti erano tutti pronti sempre a ripicche personali per questioni di nobiltà, d’orgoglio e di vanità, ma Ettore no.
    Ettore era un soldato leale, sempre il primo a guidare i suoi nel combattimento, ma senza accanimento verso gli avversari, era quel che si soleva definire un magnifico soldato, aveva le sue regole etiche, che rispettava e chiedeva fossero rispettate, odiava la violenza bruta, uccideva i nemici perché non aveva scelta, non per gusto personale, per questo i soldati restavano dietro di lui e non indietreggiavano, si sentivano rassicurati per come agiva e parlava, per come infondeva coraggio ed abnegazione.
    Nonostante il suo coraggio, la sua forza e la sua abnegazione, egli non ha per ragione di vita la guerra, gli affetti famigliari sono al primo posto, lo dimostra la tenerezza verso la moglie Andromaca ed il suo piccolo Astianatte con cui gioca anche pochi minuti prima d’andare incontro al combattimento mortale con Achille, così l'amore per il suo popolo veniva prima del combattimento, necessario certo, ma non indispensabile.


    Egli sa d'essere il responsabile a cui tutti i troiani guardano, sostituisce il padre senza occuparne il posto pur sapendo che non è in grado di guidare le sorti della guerra, vecchio e malandato com'è, l'amore ed il rispetto che gli porta è di sapore antico, eppure presiede l'assemblea della città senza mai imporre il ruolo dato dalla sua posizione naturale regale, non si sostituisce a lui sul trono che gli spettava come primogenito pur sapendo che le condizioni mentali e fisiche dell’anziano non erano più quelle di un re che avrebbe dovuto governare la città in maniera diversa in un momento così delicato come quello dell'assedio: Ettore governava così lasciando sempre l’ultima parola all’amato padre nei consigli di guerra.
    Ettore va incontro alla morte, quando accetta il duello con Achille, lo fa con un'etica ed una morale impressionante, sa che non ha scampo con il pelide immortale, non si tira indietro, ha paura di morire certamente, ma è anche il re in pectore della sua città, è l’orgoglio dei suoi concittadini che lottano giornalmente per sfuggire all’assedio inutilmente: il suo gesto appare così in tutta la sua grande purezza d spirito, tanto da impressionare perfino gli dei, anche quelli che appoggiano incondizionatamente gli achei.
    Zeus, imporrà duramente ad Achille e soci di restituire il corpo straziato del figlio Ettore al vecchio padre Priamo che nottetempo passò tutto l'ammutolito campo nemico fino alla tenda del pelide che, testa chinata, dovrà umiliarsi a rendere omaggio, insieme ai suoi, ad Ettore, restituendo le spoglie per un giusto funerale entro le mura della città.
    Priamo, vecchio e malandato, con orgoglio tutto paterno trascinerà da solo il corpo dell’amato figlio fino a Troia, certo ferito dalla sua morte, ma fiero d'avere generato un così grande essere umano: non a caso nessuno l’aiuta nel trasporto, nemmeno un troiano lo segue, ma non per cattiveria crediamo, qui Omero evidentemente voleva rendere omaggio al vecchio re, oramai avviato al definitivo tramonto, facendogli tornare la forza personale e la fierezza del tempo passato per l’ultimo drammatico grande atto.
    Ettore era amato da tutti nella città di Troia, anche molti achei lo stimavano pur se avversario; Elena, la bella Elena, lo pianse come se fosse stato un fratello, perché egli per riparare al danno causato da Paride Alessandro la protesse sempre come una di famiglia, non permettendo a nessuno di trattarla mai male, Elena nel rimpiangerlo usò parole delicatissime, parole che toccarono il cuore a tutti, parlò di dolcezza ed amore e si strinse vicino alla moglie ed al piccolo Astianatte: un grande omaggio per un “vero” uomo da parte di una donna.
    Il nome Ettore pare proprio sia stato creato appositamente per codificare questo personaggio da parte di Omero, infatti è greca l'etimologia che ci dona il significato di "Difensore", omaggio evidentemente a qualche figura eroica del tempo che lo scrittore ebbe modo di studiare e trasporre nella sua opera, cosa che l’illustre scrittore fece certamente, essendo anche uno storico al tempo.
    Omero doveva evidentemente aver scelto come modello un uomo di cui aveva sentito molto parlare oppure, cosa più probabile, costruì la figura di chi voleva porre come modello d'uomo alla gente del suo tempo, in ogni caso il personaggio aveva una forza morale del tutto unica.
    Ettore è un eroe diverso dallo stereotipo mitologico del tempo, oltre al coraggio ed alla lealtà univa la generosità, una grande umanità ed un enorme cuore, Omero ha voluto costruirgli idealmente attorno una nicchia personale molto particolare e l’esaltazione personale non avrebbe di certo potuto far parte del suo personaggio, meglio così, molto meglio così.
    (Hadrianus - enricopantalone.eu)





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    Edited by gheagabry1 - 18/12/2021, 22:28
     
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