ANIMALI MITOLOGICI

minotauro, draghi.........

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  1. gheagabry
     
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    LICAONE



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    Licaone era un figlio di Priamo e di Laotoe.
    È citato nell'Iliade di Omero, precisamente nel 21° Canto, quando Achille per vendicare la morte del suo amico fraterno Patroclo, fa strage di troiani sul fiume Scamandro, che scorre vicino Troia. Il povero Licaone da bambino era stato rapito da Achille, che lo vendette come schiavo, per poi appunto rivederlo in armi ed ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola. Nell' episodio possiamo notare un cambiamento da parte dell'eroe greco. Infatti non è più colmo di onore e di gloria, per aver ucciso un suo avversario, ma diventa un semplice assassino, lontano dai parametri di abile guerriero. Licaone con un gesto di supplica (ossia toccando i ginocchi di Achille e sottomettendosi) cerca di far provare pietà al suo nemico. Quest'ultimo sembra non essere scosso da alcuna pena, ma arriva addirittura ad ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola; non contento, Achille afferra per un piede il nemico e lo trascina nella polvere fino a gettarlo nel fiume, impedendo per sempre alla sua anima il suo ingresso al cancello di Ade dove sarebbero giunti coloro che, dopo la morte, per pietà del nemico, avrebbero avuto l'onore di ricevere le esequie funebri da parte dei propri genitori e della patria, che è appunto la città di Troia, essendo un fratellastro dell'eroe troiano Ettore, l'assassino dell'amico di Achille Patroclo, ritornato nel campo di battaglia per vendicarlo e cominciando indiscriminatamente a spargere sangue.


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    Licaone è un personaggio della mitologia greca, figlio di Pelasgo e sovrano dell'Arcadia, ritenuto in quasi tutte le versioni del mito come un uomo empio.

    Desiderando Zeus accertarsi dell'empietà di Licaone andò, travestito da contadino, a chiedere ospitalità al sovrano. Il re per sapere se l'ospite fosse veramente una divinità decise di servire al banchetto in suo onore le carni del nipote Arcade, o in un'altra versione, quelle di un prigioniero. Il dio inorridito fulminò l'empio e tutti i suoi 49 figli, eccettuato Nittimo, salvato dalla dea Gea, il quale poté così succedere al padre.
    Un'altra versione del mito, narrata da Publio Ovidio Nasone nelle Metamorfosi, racconta che per la sua empietà Licaone fu punito con la trasformazione in un "feroce lupo", destinato a cibarsi di carne umana.
    Questa versione viene messa in rapporto con i sacrifici umani che si svolgevano in Arcadia in onore di Zeus Liceo, quando una vittima umana veniva immolata e i celebranti, che si erano cibati delle viscere, venivano trasformati in lupi per otto anni. Scaduto questo termine potevano ritornare umani, a patto che non avessero mangiato carne umana.



    PALLADE





    Pallante o Pallade, nella mitologia greca, fu figlio di Licaone l'empio.

    Pochi miti raccontano di lui. Inoltre la sua storia è fortemente adombrata da altri "Pallante" più famosi, come il titano patrono della Saggezza, il gigante padre di Atena e l'eroe attico.

    Il fatto che fosse un pelasgo giustifica l'assimilazione al titano Pallade. I titani erano infatti le divinità greche preelleniche, che, come racconta il mito della Titanomachia, furono estromessi dal pantheon greco per essere sostituiti dagli Olimpi, le divinità degli elleni vincitori.

    Di questo Pallante si sa solo che fu figlio di Licaone, fondò la città di Pallanzio in Arcadia e generò Crise.
    (La storia si incrocia con due dei suoi omonimi: si dice che qui generò una stirpe di Giganti. Ma lo stesso si racconta anche dell'eroe attico Pallade! Si dice inoltre che fu questi, successivamente, dopo esser stato esiliato da Atene, a fondare Pallanzio.)

    Crise sposò Dardano e visse in Arcadia. I loro figli vissero nella regione che fu governata dal titano Atlante.
    Dopo il diluvio di Deucalione, Dardano e Crise migrarono in Dardania, dove Dardano divenne capostipite dei Troiani. Questa però è solo una propaganda politica raccontata dagli Ateniesi: in tal modo si fa dello stretto dei Dardanelli, oggetto della guerra di Troia, "proprietà" degli Achei (che lo ribattezzarono Ellesponto, cioè "mare di Elle", altro nome di Elena).
    Era un modo per giustificare col mito l'assedio alla prosperosa città di Troia, additata così come illegittima esattrice del commercio attraverso lo stretto.

    Crise, nel viaggio, portò i propri idoli con sè, cioè il culto della dea Pallade Atena.
    Infatti anche Troia aveva il suo Palladio, come la città di Atene. Questo può significare semplicemente che anche i troiani adoravano la Dea, così come anch'essi avevano un collegio di cinquanta pallas, "giovani" dediti al servizio della Dea: "i cinquanta figli di Priamo", poteva essere un epiteto dei sacerdoti di Atena, e il re troiano ne era officiante supremo.


    FONTE IT.WIKIPEDIA.ORG


    LICANTROPO

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    Il licantropo (dal greco λύκος (lýkos), "lupo" e ἄνθρωπος (ànthropos), "uomo"), detto anche uomo-lupo o lupo mannaro, è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura horror e successivamente del cinema horror.

    Secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia horror sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si può uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Altre volte, invece, per "licantropo" non si intende il lupo mannaro: quest'ultimo infatti, si trasformerebbe contro la propria volontà, mentre il licantropo si potrebbe trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).

    Storia e diffusione

    Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo.

    Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.

    Il mito dell'uomo che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indo–ariane le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamchacta, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.

    Le leggende riguardo gli uomini–lupo si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.


    Antico Egitto

    Nell'antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacallo. Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi egizi, sia nell'Alto che nel Basso Regno, fin dalle prime dinastie. Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C.-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l'equivalente dell'anima cristiana) nel regno delle ombre. Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell'anima. Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.


    Antica Grecia



    Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.

    Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.

    Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.


    Antica Roma

    La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.

    È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:




    « [...] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. [...] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. [...] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. [...] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »


    Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.

    Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (versione romana di Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus homenarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".

    I romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:

    « Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »

    Medioevo

    Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).


    Nord Europa

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    Incisione tedesca in legno raffigurante un licantropo del 1722.Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.

    Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.

    Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.

    I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.

    « [...] quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »

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    Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.

    Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:

    « [...] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »
    (traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)

    Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:

    « quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »


    Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".


    Altre culture europee

    In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.

    Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo alcuni, garou contiene una radice che significa "uomo", mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi". Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.

    In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dal latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).

    Nell'Europa dell'est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa.

    È detto volkalak in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania.


    Oriente e Americhe

    In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".

    Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto.


    Epidemie medievali

    Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforme, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacuqes Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:

    « L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »


    Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:

    « Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »


    Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.

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    Morfologia Licantropica

    Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film horror), che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.

    Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:

    « Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »


    Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.

    Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo–lupo è il francese mener de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.

    Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.


    Leggende ....Diventare licantropo

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    Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.

    Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata dal diavolo, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell'anima. Un'alternativa all'uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assa fetida, solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo–lupo.

    La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L'idea dell'influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni (ad esempio in Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l'influsso della luna nuova. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio, secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell'anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell'Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Vi è una tradizione abruzzese secondo cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un mercoledì notte) porta al licantropismo. Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall'est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri). Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.


    Difendersi dal licantropo

    Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, nonostante la tradizione cinematografica prediliga il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune versioni del mito, l'arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d'argento. Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d'argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione della Saintogne non prevede espressamente l'argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant'Uberto (protettore dei cacciatori). Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava).

    La licantropia si fronteggia un po' meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Ad esempio, l'uomo–lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo. Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbain, "bandisci-lupi") che risulta particolarmente sgradito.

    La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.




    La Licantropia è da tempo considerata una malattia


    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 20:14
     
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  2. gheagabry
     
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    DRAGHI


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    Fin dagli albori la storia dell’uomo è sempre stata popolata da miti e leggende che riferivano di mostri e temibili creature incantate che avevano incredibili poteri e forza soprannaturale. Le più potenti tra queste creature erano i draghi, distruttivi e malvagi, ma adi intelligenza superiore all’uomo.
    La descrizione che è sempre stata fatta di queste creature leggendarie li fa rassomigliare a giganteschi serpenti, a volte con zampe anteriori e posteriori, a volte solo posteriori, con ali oppure senza. La maggior parte di loro sputava fuoco ed avevano grandi fauci ed enormi artigli affilati.
    Rappresentavano l’incarnazione del male in quasi tutto il globo, tranne nelle civiltà occidentali, dove venivano ritenute creature benefiche protettrici degli uomini. Due punti di vista diametralmente opposti. Per tutti indistintamente però ossa e sangue di drago avevano grandissime proprietà curative.

    Secondo le leggende un uovo di drago poteva metterci anche cento anni prima di schiudersi, altretanto tempo ci impiegava il drago a raggiungere la maturità in seguito alla quale poteva arrivare ad un altro stadio successivo di miglioramento con la crescita di un paio di grandi corna ramificate sulle testa.
    Riuscivano ad avere la grande saggezza di cui si parla grazie alla loro longevità che permetteva ai draghi di accrescere sempre la loro conoscenza. Il drago però portava distruzione, morte e carestia, attaccava la popolazione e causava guerre.
    Rappresentava a tal punto la lotta e la violenza che era raffigurato su moltissimi araldi da battaglia. Nel Medioevo le fonti su di lui si moltiplicarono. Nei libri cosiddetti “bestiari”, cioè dove si parlava di bestie, ne venivano fatte descrizioni dettagliate persino sulle abitudini di vita: cibo, luoghi di “residenza”, di solito grotte difficilmente raggiungibili in cima alle montagne. E il suo verso era così potente e riconoscibile che al sentirlo tutti gli altri animali scappavano. Nel Medioevo molti cavalieri “erranti”, cioè che non avevano fissa dimora, andavano in gior per il paese a caccia di draghi. Era una professione di tutto rispetto!

    Il più famoso cacciatore di draghi è senza dubbio San Giorgio, cui segue su territorio italiano, San Silvestro che liberò Roma dall’alitosi velenosa del drago che viveva nelle profondità della terra e che impestava l’aria, e Santa Marta che sconfisse Tarasca, il drago che devastava al suo passaggio le pianure della valle del Rodano poi ancora San Marcello, San Romano e la Gargouille di Rouen, come si può notare tutti Santi.
    Per quale motivo? Beh, la malvagità non poteva che essere sconfitta dalla… Santità! Un’altra storia di cavalieri e draghi è quella di Sant’Efflem, nella quale un principe per sconfiggere il drago chiese aiuto al parroco della sua città. E fu proprio quest’ultimo, armato solo della fede a far scappare la bestia a … zampe levate!
    Di contro ai Santi famosi, cacciatori di draghi, ci sono le bestie famose, fin dai tempi antichi. Possiamo citare, Tiamat, di cui potete leggere in un altro articolo, di Apopi, drago contro cui combatteva il dio sole Ra ogni volta che tramontava e veniva la notte, Tifone dalle mille teste che solo Zeus ebbe il coraggio di combattere.

    Per i romani c’erano i Dracones, per i vichinghi i Drakkar. Nell’antica Grecia fu Giasone a combattere contro un drago comune e a sconfiggerlo,con le suer eroiche gesta, seguito da Ercole e dagli stessi dei. Però poteva anche succedere che una qualche divinità utilizzasse un drago come guardiano.
    Se il mito dei draghi era molto vivo nella cultura greca, con quella romana perse molto del suo fascino. Pare ne abbia avvistati Plinio il Vecchio, ma solo nell’ALto Medioevo tornarono in auge per essere sconfitti e distrutti e giungere all’estinzione a causa delle gesta dei cacciatori di draghi.
    Quelli che rimanevano migrarono prima in scandinavia e in Russia, poi Beowulf ne sterminò molti e del drago si persero le tracce. Qualcuno sembrava avvistarne qui e là, ma ormai la grande stagione delle bestie più intelligenti dell’uomo era finita.


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    I primi mostri alati, dotati di artigli, comparvero nelle leggende della Mesopotamia. Erano di colore nero o blu scurissimo e sono le razze più antiche. Il Drago Nero è sempre stato riconosciuto malvagio e astuto, simboleggia il male profondo.
    Il primo drago nero di cui si ha memoria è la leggendaria Tiamat, madre di tutti i draghi neri che li generò per lanciarli contro gli dei. Questo esercito popolò la terra. Avevano artigli da aquila e ali da pippistrello e si nutrivano di ogni creatura vivente che trovavano sul loro cammino.
    Coda a parte, questi draghi hanno una lunghezza di circa venti metri e un’apertura alare a volte più grande di quanto sono lunghi, sono provvisti di corna e di una coda piena di aculei. I loro occhi somigliano a quelli dei felini, leoni e tigri. I loro metodi di attacco sono molto vari: bava appiccicosa, fuoco e acido, oltre a gas mortali.

    Si narra che all’inizio c’erano due creature, Tiamat, spirito del caos e dell’acqua salmastra e Apsu spirito del nulla e dell’acqua pura e corrente. Dalla loro unione nacquero tutti gli dei. Ma uno di loro uccise il padre e Tiamat, furibonda creò i draghi per uccidere e perseguitare i suoi figli.
    Marduk, potente campione eletto tra gli dei, ingaggiò una battaglia con la madre e la uccise. Poi rinchiuse la maggior parte dei draghi negli inferi, da dove riuscirono ad uscire ai tempi dei greci, ma per il calore delle fiamme divennero rossi e resistenti al fuoco.
    I draghi Neri che non furono catturati si nascosero in profonde caverne, vicino al centro della Terra, e iniziarono ad agire nell’ombra. Questi presero il nome di Grandi Dragoni e non si sa della morte di nessuno di loro. In genere sono femmine e hanno ereditato dalla madre il dono della magia. Utilizano altre creature come servitori, sono molto intelligenti e si fanno vedere raramente perchè non amano la luce del sole
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    I draghi alati fecero la loro comparsa in Occidente dapprima nelle opere dei greci, poi nella Bibbia, però fu nell’Europa Medievale che l’immaginazione collettiva fu catturata da queste creature terribili molto spesso dotate di corna e che sputavano fuoco. Sono dei rettili alati che possono arrivare alla lunghezza di dieci metri.
    Oltre a questo hanno lunghi artigli e un alito tremendo ed erano in grado di soggiogare un’intera città divorando giovani vergini fino a quando un nobile cavaliere non li uccideva con una magica spada. L’eroe più famose che uccise il drago e salvò la fanciulla è San Giorgio. Attorno alla sua figura sono nate e cresciute moltissime leggende popolari.
    Possono arrivare a pesare anche cinque tonnellate, ma grazie a possenti e grandi ali possono rimanere in volo perennemente. Sono animali fieri e consapevoli di essere le creature più potenti al mondo. Vivono molto a lungo, riescono a vedere generazioni di umani e sono intelligentissimi. Un drago può raggiungere capacità e poteri magici molto superiori a quelli di un mago umano.

    Mentre in occidente i draghi sono sempre malvagi e pericolosissimi anche da morti, una goccia del suo sangue era letale e dai suoi denti conficcati nel terreno nella notte balzavano fuori guerrieri, in oriente sono sempre stati relativamente benevoli. Se ne trovano molti nel folclore cinese.
    Anche il Principe Vlad Tepes, soprannominato Dracula, in occidente faceva parte della leggenda. Dracula in romeno ha un duplice significato: drago e demonio. Si narra però che i draghi non siano sempre stati cattivi, anzi, all’inizio erano di natura bonaria, poi si sono trasfromati in creature crudeli assetate di potere.
    Al giorno d’oggi sono perlopiù cattivi, ma per fortuna molto meno che nei secoli passati e visto che amano la solitudine, si nascondono in zone impervie del globo, raggiungibili solamente volando. E questo per noi non può essere che un bene.

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    I capostipiti dei draghi erano neri, concepiti da Tiamat, con artigli da aquila e ali da pipistrello, e blu profondo.
    Queste due si considerano le razze più antiche mai apparse sulla Terra. Poi ci sono i draghi rossi, che forse discendono da quelli neri, che simboleggiano una malgiava forza dirompente. L’Idra è una sottospecie dei draghi neri e viene descritta come la specie più cattiva perchè uccide anche solo per il piacere di farlo. Però, nonostante la loro forza e cattiveria non possiedono nessun potere magico.

    DRAGHI NERI: sono vili perchè tentano di affrontare mai chi li caccia, sono cattivi e ossessionati dalla morte. Sono malevoli e amano spaventare la gente e combinare danni, bruciavano i villaggi con il loro fuoco. Un drago nero, oltre che dal colore della pelle, può essere riconosciuto dalla sua struttura schelettrica. In genere preferisce muoversi durante la notte quando si sente più a suo agio.

    DRAGHI ROSSI: sono ossessionati dall’idea di incrementare i loro tesori e vivono in ambienti caldi, come ad esempio i vulcani. Lo si riconosce dal colore della pelle, rosso perchè ormai insensibile al calore. Ama mangiare carne, perlopiù umana, adora il sapore del sangue e come si può capire, è veramente terrificante e cattivo.

    DRAGHI BLU: vivono nei deserti o nella steppa. Oltre al colore della pelle può essere identificato dalla presenza di un solo corno posto sulla testa. Si nutre di animali del deserto, adora i cammelli, ma attacca l’uomo, raramente si nutre di piante. Guardando nei suoi, se non si viene mangiati prima, si ha la sensazione di guardare nell’eternità.


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    DRAGHI VERDI: sono creature belligeranti che amano creare intrighi a livello politico. Vivono nelle foreste, in genere scelgono come dimora l’albero più vecchio e maestoso. Sono molto aggressivi, ma talmente intelligenti da scegliere sempre le soluzioni che comportano meno lavoro possibile. Sono anche profondamente bugiardi. Fisicamenti li si riconosce anche per la lunghezza di collo e zampe. Gioca con la sua preda per giorni prima di mangiarsela ed emette gas tossici.

    DRAGHI BIANCHI: sono creature piccole e intelligenti, vivono in climi freddi, in genere artici, quindi li si possono trovare nelle zone vicino al Polo. Questo per fortuna esclude incontri sgradevoli! Amano la solitudine, la neve e le caverne in cui nascondono per evitare pioggia e sole. Anche questa specie di drago è alata.
    Il cibo preferito del drago bianco è… carne surgelata, difatti dopo aver ucciso la preda la mette a raffreddare nella neve e ve la lascia fino a che ha raggiunto il punto giusto di congelamento! Come si può ben immaginare non emette fuoco dalle fauci, bensì un repsito gelido, una nuvola fredda congelante.
    Questi sono i colori dei draghi riconosciuti in tutto il mondo. Vi sono poi altri colori presi in considerazione solamente nella cultura cinese e sono:


    DRAGHI SPIRITUALI: azzurri, i più venerati perchè guardiani di vento, nuvole, acqua.

    DRAGHI TERRESTRI: verde smeraldo, guardiani dei fiumi e dei corsi d’acqua

    DRAGHI CELESTI: di verde molto chiaro, a guardia del cielo

    DRAGHI SOTTERRANEI: dorati, custodi di tesori e immense felicità che dispensavanoi

    DRAGHI NERI e ROSSI, che litigavano tra loro creando tempeste con le loro energie scagliate uno addosso all’altro.

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    BEOWULF





    grendel




    Intorno all’anno 1.000 a.C in Scandinavia ci fu un grandissimo incendio che proverebbe, senza ombra di dubbio, leggenda che si narra sulla presenza del drago. L’evento scatenante parte, nemmeno a dirlo, da un uomo cencioso e vestito di stracci che, dalla spiaggia, tenta di risalire le roccie.
    Questo personaggio, del tutto casualmente, finisce per ritrovarsi in una caverna piena di richezze, che viene ipotizzato appartenessero ad una tribù vissuta lì nel passato. L’oro fa gola a tutti, quindi non c’è da stupirsi se il poveraccio decide di prendersi un ricordino.
    Il drago, a guardia del tesoro, dorme della grossa, e il furto riesce benissimo. Il cencioso schiavo scappa, intenzionato a portare l’oggetto del furto, una coppa d’oro, al suo padrone. Solo che il drago ha il potere della conoscenza e SA sempre tutto. Al momento del risveglio capisce subito che è stata rubata la coppa. Sente odore di “umano” e si infuria.

    Esce dalla caverna, che era poi la sua tana e si dirige verso il villaggio dove è stata portata la coppa. Passa nel cielo sbattendo le ali, gridando e sputando fuoco. Le persone resesi conto del pericolo corrono fuori dalle case scovolte per ciò che sta accadendo. Le abitazioni, che erano tutte di legno, bruciano facilmente.
    Era notte, ma il regno fu illuminato dal gigantesco incendio. Niente nel regno di Geat sfugge alla furia del drago, all’alba non c’è più nulla, si odono solo i lamenti del popolo. Beowulf è l’eroe della leggenda, il re che tenta di sconfiggere il drago, ma che ormai anziano ci riesce solo grazie all’aiuto di un nipote. Peccato che il povero drago era stato derubato e la sua furia poteva essere in qualche modo giustificata, anche se ha ucciso per colpa di uno tanti inocenti.
    A parte questo piccolo particolare, sia il re che il drago muoiono nello scontro. Ma non sarebbe stato più semplice restituire la coppa evitando il disatro? Questa storia è narrata in un poema epico scandivano molto datato.

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    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 20:36
     
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    ANFITHER



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    Il drago alato senza zampe viene chiamato Anfither, o anche serpente piumato, che compare in molti disegni e nella mitologia del passato, noto soprattutto nelle popolazioni dell’America Latina e del Messico e veniva chiamato “piumato” proprio per le sue ali piene di piume.
    Le popolazioni di quelle zone erano solite offrire doni al Serpente Piumato per ottenere i suoi favori e non incorrere nelle sue ire. In molte incisioni e disegni di questi popoli antichi lo ritroviamo. I draghi sono infatti delle creature mitico-leggendarie che hanno sempre fatto parte dell’immaginario collettivo.
    Nelle popolazioni precolombiane il Serpente Piumato, o Quetzalcoatl, era una delle divinità più famose della Mesoamerica e secondo alcune tradizioni richiedeva anche sacrifici umani.

    Il drago alato senza zampe viene chiamato Anfither, o anche serpente piumato, che compare in molti disegni e nella mitologia del passato, noto soprattutto nelle popolazioni dell’America Latina e del Messico e veniva chiamato “piumato” proprio per le sue ali piene di piume.
    Le popolazioni di quelle zone erano solite offrire doni al Serpente Piumato per ottenere i suoi favori e non incorrere nelle sue ire. In molte incisioni e disegni di questi popoli antichi lo ritroviamo. I draghi sono infatti delle creature mitico-leggendarie che hanno sempre fatto parte dell’immaginario collettivo.
    Nelle popolazioni precolombiane il Serpente Piumato, o Quetzalcoatl, era una delle divinità più famose della Mesoamerica e secondo alcune tradizioni richiedeva anche sacrifici umani.


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    Fin dagli albori dei tempi, i miti e le leggende sono state popolate di mostri incantati, dalla forza sovrannaturale. I più potenti erano i draghi: creature con il corpo di serpente, le zampe da lucertola, gli artigli da aquila, le fauci di un coccodrillo, i denti di un leone, le ali di un pipistrello. I draghi avevano incredibili poteri sovrannaturali e, soprattutto, erano malvagi e distruttivi. In ogni mito, in ogni leggenda occidentale, il drago fa la parte del cattivo. L’origine dei draghi si perde nei meandri della storia dell’uomo: infatti compaiono nelle leggende di popoli del passato, sia europei che orientali, ma la loro concezione è notevolmente differente; mentre nelle zone occidentali i draghi erano considerati l’incarnazione del male, portatori di distruzione e morte, in oriente erano visti come potenti creature benefiche.
    I draghi sono sempre stati descritti come delle creature simili a enormi serpenti, con grandi arti anteriori e posteriori, dotati di fauci enormi e artigli taglienti.
    Normalmente venivano descritti con il corpo pieno di squame protettive e capaci nella maggior parte dei casi di sputare fuoco e di volare grazie a grandi e potenti ali.
    Nelle leggende, i draghi sono visti come creature prodigiose: si riteneva che le ossa, così come il loro sangue, potessero avere elevate proprietà curative.
    Il loro sviluppo poteva durare molti secoli prima di raggiungere la piena maturità, si narrava che un uovo di drago impiegasse non meno di un secolo per schiudersi; inoltre solo dopo altre centinaia di anni il drago raggiungerà il suo massimo sviluppo con la crescita sulla testa di lunghe corna ramificate.
    Naturalmente, grazie alla loro grande longevità, queste creature, che è estremamente riduttivo chiamare semplicemente “animali”, acquisivano una conoscenza e una saggezza senza pari… eh già, perché il Drago ha anche un’intelligenza superiore a quella dell’uomo!




    Perché dunque si è giunti all’idea del drago come di incarnazione del caos, come creatura che distrugge e non crea?
    Questo tipo di pensiero risale anch’esso agli albori del tempo.





    I Draghi nella storia


    Come detto in precedenza, la figura del drago nelle zone occidentali era sinonimo di carestia, distruzione e morte.
    In Europa i draghi erano simbolo di lotta, di violenza e di guerra: infatti la loro immagine veniva spesso utilizzata come araldo in battaglia; sono innumerevoli i riferimenti storici e le leggende legate ai draghi, la maggior parte dei quali risalenti al medioevo.
    Moltissime sono le fonti storiche ed i manoscritti che testimoniano la presenza de "la bestia per eccellenza" nel vecchio continente.
    Nei Bestiari ad esempio, ci sono descrizioni dettagliate sull'aspetto e sulle abitudini dei draghi, i quali erano soliti usare come tana, grotte in cima a montagne o in territori molto impervi da dove uscivano molto raramente; è anche noto che al solo ruggito del drago, tutti gli animali, compresi i leoni, correvano terrorizzati nelle loro tane.
    Notate l'immagine qui a destra, è un drago che solleva da terra un elefante ed è tratta da un autentico Bestiario medievale.
    Secondo la tradizione occidentale, l'estinzione dei draghi, risale proprio al medioevo dove, cavalieri erranti, avventurieri in cerca di gloria e cacciatori di draghi dedicavano la loro vita alla lotta contro queste bestie, decretandone lo sterminio. E' molto celebre la storia di San Giorgio (immagine qui sotto) l'uccisore di draghi.

    Non ha bisogno di presentazione la ancestrale ed impari lotta dell'uomo contro il drago. Il drago come simbolo del Male in Europa dunque, per capirne il motivo basta ricordare i massacri e le carestie che portavano i draghi medievali al loro passaggio; quale migliore arma contro la manifestazione del male se non la Santità? Si pensi dunque alle leggende di San Marcello vescovo di Parigi, di San Romano e della Gargouille di Rouen, di San Silvestro che libera Roma dal drago dall' alito velenoso, che vive in una grotta profonda per accedere alla quale bisogna scendere centinaia di gradini...

    La-Tarasque


    Importante anche la storia di Santa Marta che sconfisse un drago chiamato Tarasca: la leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta stava evangelizzando la Provenza, un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago.
    Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.

    Il più famoso Santo uccisore dei draghi è, naturalmente, Giorgio, Santo-soldato protettore dell’Inghilterra. Della sua storia si conosce ben poco: visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.



    C'è anche un'altra leggenda che ci teniamo a citare, racconta l'impresa di Sant'Efflem.
    Si narra che un principe avesse individuato la tana di un Drago che terrorizzava i suoi sudditi e in qualità di sovrano aveva il dovere morale di difenderli uccidendo o scacciando la bestia. Nella sua impresa chiese l'aiuto a Efflem, il parroco della sua città che a quel tempo ancora non era Santo, e i due si diressero insieme verso la tana del Drago per porre fine alle sue malefatte. Arrivati davanti la tana però il Principe si fece prendere da un profondo terrore, sentiva il respiro del Drago che da solo bastava a far tremare di paura qualsiasi uomo. A questo punto intervenne il Chierico che disse al Principe di non aver paura, perchè chi era sotto la benedizione di Dio non doveva temere nulla. Il Principe però era immobilizzato, allora Efflem dopo essersi fatto il segno della Croce entrò nella tana del Drago che quando lo vide non solo non riuscì ad attaccarlo, ma si precipitò fuori dalla tana, scappando lontano, fino ad arrivare sulle rive dell'oceano dove si racconta che vomitò sangue.
    Questo mostra come il male (nel caso specifico il Drago) ha paura più dello scudo interiore di fede che non delle spade e delle armature!

    Altre importanti storie sui draghi riguardano i paesi nordici; come omettere la leggenda di Beowulf?
    Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale.
    Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
    I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie.
    Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda.

    Questo è un classico esempio di leggenda sui draghi, tanto più che in Scandinavia, attorno al 1000 a.C. (l’epoca descritta nella leggenda) ci fu un immane incendio, che sembrerebbe provare l’esistenza del drago. Tuttavia, analizzando la leggenda, si scoprono alcuni dettagli che potrebbero ribaltare la situazione e scambiare i ruoli di protagonista e antagonista.
    Innanzitutto l’evento scatenante della vicenda: il furto della coppa d’oro. Come è chiaro, qui quello che subisce il sopruso è il drago, che, accortosi del furto, esce per riappropriarsi del manufatto e punisce gli uomini con l’incendio devastante, anche se con troppa severità… anche persone estranee al furto vengono coinvolte nella vendetta del Drago.
    Nessuno dice che il leone è crudele perché uccide la gazzella. Può sembrare crudele, ma non lo è. Così è per il drago che, non dobbiamo dimenticarlo, non segue la logica umana. Per il drago della leggenda l’uomo ha commesso un torto, dunque l’uomo va punito. Può sembrarci ingiusto, ma come ci insegna Einstein tutto dipende dal punto di vista.

    Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Se formiamo un’immagine mentale di questa creatura, ci accorgeremo che risponde perfettamente alla nostra idea di drago.
    Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a furia animalesca, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei.
    Per difendersi, gli dei nominarono campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi.
    Come si può ben vedere, anche in questa leggenda è il drago a subire un torto: in questo caso Tiamat perde il marito per causa dei suoi figli, e vuole punirli. Gli uomini di quei tempi, però, erano come bambini: ancora capaci di essere terrorizzati dalla furia degli elementi, di cui non concepivano le cause. Gli unici a ergersi tra loro e la potenza devastante della natura, incarnata nei draghi, si ergevano gli dei. E’ chiaro quindi che essi vedevano nel drago, ovvero Tiamat, il nemico e negli dei la salvezza.

    Anche in Egitto, all’epoca dei Faraoni, c’era la credenza che ogni volta che Ra, il dio sole, “tramontava” entrava in realtà negli inferi, combatteva contro Apopi, il drago degli abissi, e usciva vittorioso. Questa è un’evoluzione del mito mesopotamico, e già comincia a delinearsi il pensiero del drago come essere malvagio e caotico.

    Anche gli dei della Grecia combatterono contro un drago: era Tifone, ed aveva mille teste e un’immane bocca che vomitava fuoco e fiamme. Solo Zeus ebbe il coraggio di affrontare il mostro, definito Titano. Lo condusse fino oltre il mar ionio ed infine ebbe la meglio su di lui, scagliandogli contro un enorme macigno. Ma la leggenda vuole che Tifone non morì: continuò infatti a vomitare fuoco e fiamme da sotto il macigno, divenuto isola, e questa è la ragione delle eruzioni dell’Etna secondo i miti greci. Come si può vedere, già al tempo di Achille e Agamennone l’evoluzione del concetto di drago era compiuta: da madre primordiale e incontrollabile, fonte di vita e di morte, come era la Tiamat mesopotamica, si era ormai giunti al concetto odierno: il drago era un mostro terribile e incontrollato, che vomitava fuoco e vapori venefici, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio (i tifoni hanno preso il nome proprio dal drago Tifone), che uccideva e terrorizzava le razze del mondo, perfino gli dei.



    I Romani dipingevano sui loro stendardi i Dracones, i vichinghi chiamavano le loro imbarcazioni Drakkar, tutti nomi che indicavano la figura del drago.

    I draghi “comuni”, invece, dovettero fin da subito lottare con grandi eroi. Riemersi dagli inferi al tempo degli antichi greci, dovettero subito battersi con eroi come Giasone, Ercole e addirittura con gli dei. A volte però le divinità li assoldavano come guardie di un particolare posto, o come creature da mandare in battaglia.
    Con la caduta dei greci e l’avvento dell’Impero romano, di loro si perse quasi ogni notizia, salvo alcuni avvistamenti di Plinio il Vecchio. In Europa di loro si tornerà a parlare nel medioevo, specialmente nell’Alto medioevo, dove molti eroi inizieranno a cacciare i draghi, uccidendone la maggior parte e causandone l’estinzione. In tutti quegli anni però i draghi non erano scomparsi: essi si fecero vivi migrati a nord, e per secoli avevano devastato la Scandinavia e la Russia. Fu forse in quegli anni che le loro fila persero il maggior numero di draghi: infatti dal nord si levarono grandissimi eroi, come Beowulf, che ne uccisero moltissimi.
    E proprio nelle lande del nord essi guadagneranno l’appellativo di malvagi e infidi: essi comparivano infatti all’improvviso, magari dopo essere cresciuti all’insaputa di tutti nell’umidità dei pozzi o nei pressi delle paludi.


    fonte bludragon

    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 20:57
     
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    Tipologie di Draghi


    Le prime leggende sui draghi, quelle mesopotamiche, parlano di grandi mostri alati, nerissimi oppure blu profondo. I draghi della notte e degli abissi. I primi due draghi ad essere concepiti furono uno nero e l’altro blu: essi sono in pratica le due razze più antiche.

    I Draghi Neri sono da sempre sinonimo di malvagità e astuzia. Essi sono la reincarnazione del male astuto, che serpeggia, da contrapporsi al male dirompente, simboleggiato dalla forza dirompente dei draghi rossi, che forse discendono dai essi.
    Il primo drago nero di cui si abbia notizia, la già citata Tiamat, denotava molte delle caratteristiche proprie dei draghi rossi e che invece tendono ad essere assenti in un drago nero. Secondo la leggenda, Tiamat generò un esercito di mostri da scagliare contro i suoi figli, gli dei, e i draghi neri, fatti a sua somiglianza, popolarono il pianeta. Anche se in altre leggende la storia cambia, tuttavia i draghi come oggi li conosciamo, quelli con le ali da pipistrello e gli artigli da aquila, discenderebbero da Tiamat.

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    Stando alle fonti dell’epoca, una volta cresciuti, i draghi neri, in preda alla fame, divoravano qualsiasi cosa capitasse loro a tiro: greggi, carne umana e quant’altro. Trattamento speciale era riservato alle vacche: i draghi mordevano i loro capezzoli, golosissimi del latte, e i lamenti strazianti delle mucche erano udibili per chilometri. Molte volte per liberare una terra da questo particolare flagello, giungevano eroi da molto lontano: ne è l’esempio un villaggio nel sud dell’attuale Danimarca che venne salvato da un eroe vichingo, giunto in cerca d’onore, con la sua nave e la sua micidiale ascia a sfidare il mostro. Con il tempo, i draghi rossi e i neri si fecero nuovamente vivi nel nord Europa: i rossi nella zona dell’Inghilterra, i neri nella Scandinavia.
    Nel frattempo, l’Impero romano cadde, scesero i barbari dalle vaste pianure della Russia e della Germania, e con loro scesero anche i draghi. In Europa però giunsero in maggioranza draghi rossi, che diedero luogo a quasi tutte le leggende con i loro scontri titanici. I draghi neri, in minor numero, non amavano affrontare il nemico in duelli, ma preferivano colpire da posizioni sicure. Ben presto, ai draghi neri bastava volare sopra a una città per scatenare grandiosi incendi o carestie. Ma così, mentre molte città presero il nome dal drago che le aveva flagellate (la parola worm, verme-serpente, o orme, dallo stesso significato, si trovano infatti in Worms Head, Great Ormes Head, Ormesleigh, Ormeskirk, Wormelow, Wormeslea e tanti altri), il ricordo dei draghi neri scomparve confondendosi con quello dei grandi cataclismi naturali, ed essi cessarono di popolare le leggende. Di fatto, fu la loro estinzione.

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    Le uniche gesta che furono quindi ricordate, furono i grandi massacri e le carestie che questi draghi portarono, ed essi si guadagnarono quindi gli appellativi di malvagi e vili: malvagi per le stragi, vili perché raramente affrontavano faccia a faccia i loro avversari.
    Questa è la storia dei draghi in occidente. In oriente, i draghi nacquero da leggende completamente diverse, come diverso fu il loro ruolo.
    All’origine dunque i draghi erano neri, tuttavia come dice la leggenda Marduk li precipitò nell’inferno, e i draghi, arroventati dalle fiamme, svilupparono due caratteristiche: la loro pelle divenne rossa e guadagnarono l’immunità al fuoco: era la nascita dei draghi rossi, che uscirono dagli inferi nelle leggende greche. Ma non tutti i draghi furono catturati da Marduk: alcuni sfuggirono, e continuarono a popolare il mondo. Essi furono i Grandi Dragoni, e avrebbero trascorso il resto della storia nascosti nelle loro tane, agendo nell’ombra, invincibili. Non tutti i draghi inoltre emersero dagli inferi subito: alcuni, i più potenti, furono rinchiusi per altre ere ancora, e quando emersero la loro pelle coriacea era ormai completamente nera. Essi furono i draghi neri che conosciamo, avversari temibili eppur destinati a scomparire.

    Un discorso a parte lo merita l’Idra. Con molta probabilità è solo una delle tante sottospecie di draghi neri. La loro caratteristica più conosciuta è che quando una testa viene decapitata, al suo posto ne può ricrescere un numero variabile, da esemplare a esemplare, compreso tra due e sette. Pochi invece sanno che le idre possiedono anche la capacità di soffiare acido sui loro bersagli e, soprattutto, quella poco comune tra i draghi neri di respirare sott’acqua. Molte leggende nordiche narrano infatti di idre degli abissi, per non parlare poi di Scylla (o Scilla), uno dei due mostri che causò la fine di tutti i compagni di Ulisse, nella celeberrima Odissea. Il mostro può infatti essere identificato come un’idra, o meglio come una delle tante fanciulle che ebbe la punizione di essere tramutata in mostro.

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    Impossibile non citare lo scontro tra Ercole e l’Idra di Lerna, dove il figlio di Zeus dovette ricorrere al fuoco per impedire la continua rinascita delle teste dell’idra.
    Le Idre vengono descritte come le più malvagie di tutti i draghi: mentre un normale drago nero uccide per istinto, un’idra può farlo per puro divertimento, ed è molto raro trovare negli scritti antichi un’idra che non trascorra il suo tempo in questo modo.
    Le idre inoltre, nelle leggende medioevali, sono spesso cavalcate da perfidi stregoni, che trovarono in quel perfido animale un perfetto destriero. Sebbene siano generalmente più grandi e forti di un normale drago, tuttavia non possiedono alcuna forma di magia, infatti tra le rare leggende di scontri tra idra e drago, quest’ultimo ha sempre avuto la meglio.

    Dei Grandi Dragoni, data la loro quasi assoluta permanenza nei meandri della terra, pochi ebbero la sfortuna di incontrarli e di vedere il loro aspetto. Ci sono infatti giunte per certe solo due descrizioni: quella già fatta di Tiamat, modello degli attuali draghi di tutte le specie, e quella di Tifone. Quest’ultimo aveva un corpo massiccio, camminava eretto su due zampe ed era alto quanto una montagna. Era dotato di cento teste, e aveva una grandissima bocca nel petto, dalla quale vomitava fuoco e gas venefici. Anche le sue teste erano dotate di fauci, dai denti affilatissimi, tuttavia esse non avevano la capacità di sputare fuoco, e per di più litigavano tra di loro.
    Le due descrizioni, per la verità, sembrano avere due soli aspetti in comune, il colore nero e le dimensioni colossali.
    I draghi neri “comuni” invece assomigliano tutti a Tiamat, seppure superano raramente la lunghezza di venti metri, esclusa la coda. Essi hanno un’apertura alare grande a volte più della loro lunghezza, e sono di solito muniti anche di corna e di una coda irta di aculei. La loro schiena è percorsa da una linea di scaglie ossee appuntite, utili nel combattimento contro altri draghi. Il loro muso non presenta grandi caratteristiche, tranne forse gli occhi, che a differenza degli altri draghi, che li hanno simili alle lucertole, nei draghi neri ricordano più quelli di una tigre o di un leone. Stando alle fonti, sono in grado di attaccare il nemico con una vasta gamma di soffi: fuoco, acido, gas mortali e bava appiccicosa.
    Alcuni draghi neri differiscono però in forma: sono quei draghi cresciuti nei pozzi, che emergono con sembianze di serpenti immani, ricoperti di scaglie. Questo tipo di drago nero, sebbene non possieda la capacità del soffio, non è meno temibile degli altri draghi: può infatti stritolare il nemico come un boa e i muscoli delle fauci sono così sviluppati da permettergli di troncare una quercia con un sol morso.
    Dei Grandi Dragoni si accenna in poche leggende, e soprattutto non ci è giunta storia in cui uno di loro venga abbattuto: in sostanza l’unico Grande Dragone a perire fu proprio Tiamat.
    I Grandi Dragoni sarebbero generalmente femmine, con rarissime eccezioni: essi vivrebbero in antri profondissimi, molto vicini al nucleo della Terra: anche loro sono infatti immuni al fuoco come i loro cugini tornati dagli inferi, ma i Grandi Dragoni hanno un’arma in più. A differenza dei draghi comuni, hanno ereditato da Tiamat il dono della magia. I Grandi Dragoni si circondano di servitori, arruolati tra le altre creature della natura: essi le usano per difendere gli accessi alla loro tana e per svolgere incarichi nel mondo in superficie. Essi non escono infatti quasi mai in superficie: odiando essi la luce solare e preferendo il caldo tepore del magma incandescente, preferiscono sonnecchiare nelle grotte o, per fortuna raramente, “nuotare” nel magma. Quando lo fanno, scatenano tremende eruzioni vulcaniche e terremoti devastanti. Tifone, anche lui già citato, fu intrappolato da Zeus nel magma con l’isola di Sicilia: il re degli dèi pensava di fermare il drago-titano, ma si sbagliava.


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    E’ mai esistita la “Bestia per eccellenza”? Oppure si tratta solo di leggenda?

    Se i Draghi sono davvero esistiti, perché non sono mai stati ritrovati scheletri o fossili o loro resti come è avvenuto per i dinosauri?
    La risposta sarebbe semplice; innanzitutto perché il drago era un animale estremamente raro, le fonti parlano chiaro su questo punto, e poi, nonostante i dinosauri avessero popolato la Terra per milioni di anni (provate ad immaginare quanti miliardi di individui ne sono esistiti al contrario dei rarissimi draghi), è stato possibile ritrovare solo quegli scheletri di dinosauro che si sono conservati grazie ad una serie incredibile di combinazioni ambientali chiamata “fossilizzazione” ed è, al contrario di quello che si può pensare, molto molto rara! Per esempio: un esemplare morto in un terreno fangoso con speciali proprietà geologiche, il quale fango, per una serie di combinazioni è riuscito a coprire la carcassa prima che altre specie se ne cibassero e che successivamente lo ha indurito (proprio con il processo di fossilizzazione) impedendo la decomposizione della carcassa… anche le ossa, se non si fossilizzano, durano ben poco all’aria aperta o sottoterra!!!
    Infine, stando alle tradizioni, l’uomo ha da sempre cacciato il drago ed una volta sconfitto, smembrato il corpo e utilizzato le sue ossa, scaglie o quant’altro. Questo “smembramento” non è affatto inverosimile per le culture dell’epoca, soprattutto se calcoliamo che anche ai giorni nostri ogni parte del maiale viene utilizzata, persino gli occhi. Per non parlare delle tigri utilizzate dai cinesi come rimedi per moltissime patologie o come afrodisiaci… addirittura se ne usa la bile!

    Come può, il drago, apparire in tutte le culture? Com’è possibile che popoli che non sono mai venuti in contatto tra loro abbiano conoscono il drago?
    Sono domande a cui nessuno è mai riuscito a dare risposta.
    Il drago non è presente solo nella cultura medioevale occidentale, come in genere si crede, ma ci sono molte, moltissime fonti che dimostrano la sua esistenza in tutte le culture, anche in quelle centro-americane precolombiane (Maya, Aztechi, Incas), popoli che non sono mai entrati in contatto con culture europee se non al momento della loro estinzione; in Cina, il drago è popolare ancora oggi, ma risale agli albori della tradizione cinese; notare che anche la Cina non entrò mai in contatto con culture occidentali e non subì alcuna influenza da loro, e la dimostrazione è proprio il drago cinese, il quale ha caratteristiche fisiche leggermente diverse da quello europeo.
    E’ bene precisare che le testimonianze storiche non si limitano a leggende tramandate oralmente, ma sono giunti sino a noi innumerevoli riscontri: testi e cronache dell’epoca, dipinti, nomi di città (come visto in precedenza), per non parlare dei Bestiari, insomma, non solo le segnalazioni sono moltissime, ma anche da parte di illustri scrittori di tutti i tempi: storici, filosofi, cronisti, letterati, studiosi e persino dalla Chiesa dell’epoca tramite i Santi uccisori di draghi.
    Dagli indigeni del centro America alle culture dell’estremo oriente, dalla Scandinavia all’Egitto, le testimonianze, gli avvistamenti furono moltissimi.

    Se analizziamo le fonti storiche, esse sono talmente numerose e dettagliate da far impallidire quelle di alcuni eventi storici comunemente riconosciuti tali!

    Che i draghi siano davvero esistiti, in ere ormai dimenticate?


    Blue Dragon e BrightBlade

    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 21:06
     
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  6. gheagabry
     
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    « Un drago non è una fantasia oziosa. Quali che possano essere le sue origini, nella realtà o nell'invenzione, nella leggenda il drago è una potente creazione dell'immaginazione, più ricca di significato che il suo tumulo d'oro. »


    (John Ronald Reuel Tolkien)



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    Il drago è una creatura mitico-leggendaria dai tratti solitamente serpentini o comunque affini ai rettili, ed è presente nell'immaginario collettivo di tutte le culture, in quelle occidentali come essere malefico portatore di morte e distruzione, in quella orientale come creatura portatrice di fortuna e bontà. Il termine deriva dal latino draco (nominativo), draconem (accusativo), a sua volta proveniente dal greco δράϰων (drakon), con l'omologo significato di serpente. L'etimologia del termine è stata spesso discussa: connesso col verbo δέρϰεσθαι (dèrkesthai) "guardare", probabilmente in connessione ai poteri legati allo sguardo di queste bestie o alla loro presunta vista acutissima.
    Fra gli animali realmente esistenti, a volte vengono chiamati "draghi" le specie appartenenti al genere Varanus, come il varano di Komodo.

    Presso gli antichi Greci e, a seguire, presso i Romani, acquisirono questo nome tutte le specie di serpenti grossi ed innocui che potevano anche essere tenuti come animali domestici. Già con Omero si cita un "drago", un animale fantastico con una vista acuta, l'agilità di un'aquila e la forza di un leone, rappresentato come un serpente con zampe e ali[2], mentre Filostrato, nel 217 a.C., dissertava al riguardo di queste bestie ne La vita di Apollonio di Tiana (II, 17 e III, 6-8). L'animale è già presente nella mitologia greca in vari miti, come in quello del drago Ladone, padre delle Esperidi, ucciso da Eracle e posto nel firmamento nella costellazione del Draco, o del drago Pitone ucciso da Apollo.
    Ampie trattazioni sul drago sono presenti anche in opere di scrittori Romani come Plinio, nella sua Historia Naturalis, Gaio Giulio Solino e Pomponio Mela.
    Nella favola di Fedro La volpe e il drago, il mitologico animale appare per la prima volta come guardiano di tesori nascosti.
    In Cina, i draghi sono da tempo immemorabile, assieme alla fenice, simbolo della famiglia imperiale. Il drago è divenuto quindi una creatura mitico-leggendaria presente nell'immaginario collettivo di molte culture, sia come essere malefico (il drago nella Bibbia simboleggia il male supremo, il diavolo) ma anche come guardiano e difensore di antichi tesori e luoghi magici e portatore di grandissimo sapere e conoscenza. Inoltre, non è infondato pensare che queste fantasie possano essere state alimentate dal ritrovamento di fossili di dinosauro, per l'epoca impossibili da spiegare altrimenti: per esempio, già nel 300 a.C., un misterioso fossile ritrovato a Wucheng, Sichuan, in Cina, è stato etichettato come fossile di drago da un tale Chang Qu[.

    Quando parliamo di un animale frutto della fantasia umana, può sembrare inutile trattare degli attributi fisici e delle qualità di queste creature; sta di fatto, però, che data la vastissima diffusione di questi rettili alati all'interno delle culture di tutto il mondo, è possibile catalogare e registrare differenti specie, ognuna solitamente caratterizzata da tratti distintivi ricorrenti. In linea di massima possiamo intanto affermare che tipicamente il drago è visto come una creatura appartenente alla classe dei rettili, ha sangue freddo, è carnivoro e depone le uova (ovviamente esistono eccezioni). È possibile, a grandi linee, fornire due grandi metodi di distinzione per classificare questi animali fantastici: per classi (o famiglie) o per tipologie (o specie). Poiché i due metodi di raggruppamento non sono perfettamente sovrapponibili, è necessario esaminarli separatamente.

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    Se un drago possiede grandi ali e non ha le zampe, è un Anfither. L'Anfither vive nell'America del Sud ed è anche chiamato Serpente piumato, perché è appunto ricoperto da piume. Il drago che ha invece due gambe ma niente ali si chiama Lindorm o Lindworm. Sono draghi che solitamente vengono rappresentati sugli stemmi araldici.
    I draghi con ali e due zampe si chiamano Viverne: anche questi sono animali araldici ed compaiono in molti dipinti del Medioevo e del Rinascimento.
    I draghi che possiedono quattro zampe e due ali sono definiti generalmente come draghi occidentali, mentre i draghi con quattro zampe ma senza ali sono indicati col nome di draghi orientali.
    Ricordando il mito di Ercole, i draghi con più teste vengono comunemente definiti col nome di Idre.
    Un drago senza né ali né zampe (oppure con due zampe) ma con due teste è chiamato Anfisbena.
    Infine il knucker, un drago d'acqua dagli arti piccoli, che striscia non potendo volare per via delle ali troppo corte.

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    Prima di approfondire le varie apparizioni di queste creature magiche nei vari Paesi, è opportuno fornire una prima distinzione generale sulle principali specie, per avere un'idea di quali sono le somiglianze ma anche le differenze dei draghi nelle culture di tutto il mondo. Il seguente elenco è ricco, ma comunque non totalmente esaustivo - la maggior parte delle informazioni qui presenti derivano principalmente da una rielaborazione di svariati testi più o meno dettagliati ed attendibili sull'argomento.
    L'Amphitere Messicano è un dragone tipico delle zone dell'America Latina e del Messico. Si tratta di un enorme drago senza zampe e dalle ali piumate che veniva venerato dalle antiche popolazioni del continente americano, che gli elargivano doni e sacrifici dai tetti dei templi. Possiede inoltre una vista acutissima ed un soffio infuocato letale.

    Il Drago Asiatico è il tipico dragone orientale, dal corpo lungo serpentiforme, ricoperto da peluria e da squame, senza ali ma comunque capace di volare - anche se si dice che questi draghi possono farsi crescere delle ali se vivono abbastanza a lungo. Ha il muso da coccodrillo, il corpo da serpente, la criniera e gli artigli da leone; tipicamente possiede sul muso dei lunghi baffi filiformi e una cresta che lo percorre in tutta la sua lunghezza, lungo la schiena.
    La Coccatrice, creatura simile ad un brutto pollo, è a tutti gli effetti un drago. Diretta discendente del Basilisco, il serpente di appena 30 cm è caratterizzato da una macchia a forma di corona sulla testa, è nato dalla testa di Medusa decapitata e possiede un alito venefico in grado di trasformare i boschi in deserti. Dalla testa e le zampe di galletto e dal corpo squamoso, dotato di ali membranose, la Coccatrice rientra a tutti gli effetti nella famiglia delle Viverne. Una Coccatrice nasce quando un uovo deposto da un pollo di sette anni viene covato per altri nove da un rospo o da un serpente.

    Il Drago d'India si divide principalmente in due sotto-specie: il drago di palude ed il drago di montagna. Entrambe le tipologie hanno le stesse caratteristiche fisiche, cioè due zampe e due ali, il corpo gigantesco e squamoso, una coda potentissima ed una gemma piantata nella fronte, ma mentre il primo è più lento e di colore nero, il secondo è più agile e socievole, con squame dorate ed una criniera color rosso fuoco. Le uova sono grandi e dure, di color grigio elefante. Nella prima religione Vedica, Vritra (dal Sanscrito: वृत्र (Devanāgarī) o Vṛtra (IAST)) “l'avviluppatore” era un Asura (un tipo di divinità combattivo ed assetato di potere) ed anche un "naga" o possibilmente una creatura simile ad un drago, personificazione della siccità e nemico di Indra. Vṛtra è tra l'altro conosciuto nei Veda come Ahi (serpente) e si diceva avere tre teste. Nella mitologia persiana, invece, era credenza che i draghi appena nati avessero il colore degli occhi della madre. Aži Dahāka è all'origine del moderno termine persiano azhdahā o ezhdehā اژدها (Medio Persiano Azdahāg) col significato di "drago", spesso per indicare un drago sopra i vessilli di guerra. Nel linguaggio Medio Persiano viene chiamato Dahāg o Bēvar-Asp, dove l'ultima parola significa "[colui che ha] 10000 cavalli." Molti altri draghi e creature simili a draghi, tutti malvagi, sono menzionati nelle scritture di Zoroastro (Vedi Zahhāk).



    Il Dragone, gigantesca bestia serpentiforme dalla lingua triforcuta, era già famosa nella Grecia antica per la sua infinita saggezza, e spesso si diceva parlasse per bocca degli oracoli. Il mito della fondazione di Tebe contiene svariati dragoni: il dragone Pitone viveva presso una sorgente sul Parnaso, finché Apollo non lo trafisse con le sue frecce e trasformò il santuario della bestia nella sede dell'Oracolo di Delfi. L'Oracolo indicò a Cadmo dove fondare la propria città, e questi, incamminatosi presso il luogo indicatogli dall'Oracolo, si ritrovò presso una sorgente custodita da un Dragone. Sconfitta la creatura, la dea Atena disse a Cadmo di seminare i denti della bestia, e questi si tramutarono in guerrieri che iniziarono a combattersi a morte. I sopravvissuti aiutarono Cadmo a costruire Tebe. In seguito Atena diede alcuni denti del drago anche a Giasone per aiutarlo nella sua impresa alla ricerca del Vello d'Oro, sottratto ad un Dragone addormentato. Queste creature non hanno arti né ali, sono di solito giganteschi, e come i serpenti si avvolgono in spire. Le uova sono oblunghe e dorate.



    Il Drago di Giaffa, mostro marino dall'aspetto simile a quello di una balena crestata e dalla lunga coda, è stato sconfitto a colpi di spada da Perseo di ritorno verso casa con gli stivali alati, mentre il drago avanzava per divorare la propria vittima sacrificale, Andromeda, legata ad uno scoglio. A poche miglia di distanza invece si trova la tomba di San Giorgio, santo patrono inglese. I crociati che combattevano a Giaffa sostenevano che il giovane aveva domato con la lancia un drago di palude (imparentato con quello di Giaffa ma "anfibio"), salvando la ragazza vittima sacrificale del mostro, che poi fu condotto in città dove gli abitanti lo uccisero. In Italia, il santo più noto per aver ucciso un drago, tanto da venir spesso rappresentato in tale atto, è San Mercuriale, primo vescovo e patrono della città e diocesi di Forlì. Altri santi alla cui figura è accostato il simbolo del drago sono, oltre a Giorgio ed all'arcangelo Michele, San Filippo, San Silvestro, Santa Marta (vedi più in basso alla sezione Tarasco), Santa Margherita, Santa Giustina ed i santi Giulio e Giuliano, il cui drago risiedeva nelle terre del lago d'Orta. L'esegesi di tali miti sembra univocamente interpretare il drago come rappresentazione di zone paludose e malsane, mentre i vari santi vittoriosi su di esso non furono altro che accorti personaggi che guidarono la bonifica dei vari territori teatro della leggenda.


    Il Drago multiteste è, come suggerisce il nome, un drago con più teste serpentine attaccate allo stesso tronco. Il loro numero è variabile, ma di solito è di sette o nove. I primi nacquero dall'unione tra il multiteste Tifone e la donna-serpente Echidna. I figli dei due furono Chimera, dalla testa di leone e dal corpo di serpente-capra, Cerbero il cane a tre teste e l'Idra di Lerna, rettile con molte teste che verrà poi ucciso da Ercole, il quale sconfisse anche Ladone dalle cento teste e Scilla, dai tentacoli di piovra.


    Alla stessa razza appartiene il Grande Drago Rosso dell'Apocalisse dalle sette teste coronate e dalle 10 corna, cacciato dal cielo dall'arcangelo Michele ed i suoi angeli. Esistono differenti versioni del modo in cui questi draghi si riproducono: alcuni affermano che depongano uova, altri invece che, come fanno ad esempio le stelle marine, perdano volutamente una delle loro teste dalle quali svilupperà autonomamente un altro drago – al contrario invece tagliare una testa di questa creatura ne fa sviluppare al suo posto altre due. Per quanto riguarda gli arti, questo drago presenta quattro zampe e spesso un paio di ali.
    Il Mushussu, rappresentato sulla porta di Ishtar a Babilonia, è conosciuto anche col nome di Sirrush ed era il guardiano e compagno degli dei. Questo drago dall'aspetto peculiare, alto quanto un cavallo, dal collo massiccio, con zampe anteriori da leone e posteriori da aquila, risale all'origine dei tempi, quando era compagno ideale di molti dei ed era sacro al dio Marduk che sconfisse Tiamat generando dal suo corpo il cielo e la terra. Nabucodonosor in onore al dio Marduk fece rappresentare il Mushussu sulle porte già citate e lungo la Strada Sacra. Il Mushussu è sempre stato visto come un drago docile e buono, dato il suo nobile lignaggio.



    Il primo a parlare del Piasa fu il prete francese Jacques Marquette. Lungo il Mississippi, nel 1673, a lui ed al suo compagno Louis Joliet, capitò di scorgere due figure grottesche su degli scogli, descrivendole in seguito come bestie “grandi come un vitello, con corna di cervo, occhi rossi, una barba da tigre ed una spaventosa espressione. La faccia sembra quella di un uomo, il corpo è coperto di squame; la coda è così lunga da circondare tutto il corpo, passando sopra la testa e tra le gambe e termina come quella di un pesce”. Una tribù di Indiani Algonchini chiamò il mostro Piasa, “l'uccello che divora gli uomini”. Pitture rupestri del mostro furono rinvenute ad Althon, nell'Illinois.
    Di tutta altra natura è invece il Serpente Arcobaleno, gigantesca serpe multicolore con creste sfarzose lungo tutto il corpo. Già seimila anni fa gli aborigeni australiani lo dipinsero come una bestia gigantesca che, strisciando sul terreno, creò monti, valli e fiumi. Aido Hwedo, invece, modellò l'Africa occidentale. Fu la prima creatura del dio Mawu ed ancora oggi secondo le tradizioni locali resta attorcigliata sul fondo dell'oceano a sorreggere il mondo. Un'altra leggenda vuole che un giorno, nel Tempo dei Sogni, un pescatore disturbò un Serpente Arcobaleno dormiente e che questi, adirato, causò il grande diluvio che sommerse la terra e distrusse villaggi. Le loro uova sono iridescenti ed a forma di goccia.

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    La Salamandra assomiglia alla sua omonima controparte reale: piccola, a quattro zampe, di forma simile ad un geco, nasconde però una saliva letale ed è invulnerabile alle fiamme. Si dice che il suo corpo sia così gelido che se si rotola nel fuoco, riesca perfino a spegnerlo. Le Salamandre inoltre producono un materiale peculiare, simile all'amianto per le proprietà ignifughe, chiamato “lana di Salamandra”. Le salamandre, a causa della loro saliva schiumosa altamente velenosa, possono portare la distruzione ad interi villaggi, avvelenando i frutti degli alberi su cui salgono o cadendo nelle pozze di acqua potabile rendendola venefica. Sono solite realizzare i loro nidi nel fuoco.


    I Draghi marini o Serpenti marini sono creature senza arti né ali che vivono in acqua, come si può evincere dal nome. Nuotano tenendo la testa crestata alta, e varie spire emergono dai flutti dietro di essi. Uno dei più famosi è quello riportato sulla mappa della Scandinavia di Olaus Magnus nel 1539: lungo 60 metri, si avvolge attorno ad una nave con un marinaio nelle fauci. Tali mostri marini sono stati avvistati sia nei mari del Nord che nell'Atlantico, ma anche nei laghi scozzesi ed in altre parti del globo.

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    Il Drago occidentale è forse il più noto e diffuso, tant'è che è probabilmente la prima immagine che ci viene alla mente sentendo la parola drago. Questo tipo di drago infatti è quanto di più classico ci possiamo aspettare: corna puntute, quattro zampe, ali membranose, aspetto da “lucertolone” e squame e scaglie su tutto il corpo, nonché l'innata capacità di sputare fuoco: questo grazie a delle ghiandole nella mascella inferiore che secernono fosforo. Quando il drago contrae queste ghiandole e spalanca la bocca, il fosforo si incendia a contatto con l'aria e la saliva emettendo la tipica fiamma. In modo simile l'insetto bombardiere può spruzzare getti bollenti sui propri predatori in natura.



    Ogni anno a Tarascona, in Francia, si celebra la vittoria degli antenati sul mostruoso Tarasco portando per le vie della città una bandiera con raffigurata la bestia. L'anfibio Tarasco, grande quanto un grosso bue, ha la testa di leone ed un corpo corazzato rigido e coperto da spuntoni, sovrastante il corpo squamoso. Ha sei zampe simili a quelle dell'orso e la coda di serpente. Il Tarasco ha come antenati il Leviatano, un mostro marino gigantesco citato nell'Antico Testamento (nel libro di Giobbe) e nell'Apocalisse, ed il Bonaso, una creatura bovina che uccideva grazie ai suoi escrementi di fuoco. Portatore di grossi danni, il Tarasco scatenò la rabbia del villaggio che invocò l'aiuto di Santa Marta. Questa si recò nel bosco e trovò il Tarrasco alle prese con la sua ennesima vittima, lo asperse con l'acqua santa, lo legò con la cintura e lo portò in città dove gli abitanti uccisero il mostro, e cambiarono il nome del paese da Nerluc a Tarascona per ricordare l'evento.
    Fafnir, il drago tedesco che custodiva l'Anello dei Nibelunghi, e che Sigfrido, nella saga dei Volsunghi, uccise e mangiandone il cuore per poter capire il linguaggio degli uccelli, era a tutti gli effetti un Verme (Wurm o Wyrm). Sempre nella mitologia nordica è possibile trovare altri di questi dragoni: Niðhöggr che cerca di distruggere il mondo rosicchiando le radici dell'albero Yggdrasill. Altro mostro serpentiforme è Miðgarðsormr, figlio di Loki e della gigantessa Angrboða, gettato da Odino nell'oceano. Miðgarðsormr è talmente grande da riuscire a circondare tutta la terra e a mordersi la coda da solo. Abbocca all'amo di Thor, mentre quest'ultimo è a pesca; dopo una cruenta lotta il dio riesce a mettere in fuga il mostro. Jormungand è predestinato ad uccidere ed a essere ucciso da Thor al momento del Ragnarök. Uno dei draghi della letteratura tradizionale germanico-norrena che maggiormente descrive lo stereotipo successivamente accolto dall'immaginario popolare e dal fantasy è quello del poema anglosassone Beowulf: si tratta di una serpe alata, che sputa fiamme e custodisce un antico tesoro. Altra caratteristica del drago nella mitologia norrena è la sua capacità linguistica. Esso è in grado di parlare tutte le lingue, di cui si serve per mentire ed ingannare. Questi draghi, mastodontici lucertoloni solitamente senza ali e dai corpi allungati e sinuosi, sono la versione britannica del drago Occidentale: hanno squame dure come l'acciaio, denti affilatissimi e come i cugini possono sputare fuoco. Un altro Verme famoso fu quello che affrontò Beowulf ormai vecchio, morendo assieme a lui. Il Verme di Lambton e il Drago di Wantley furono entrambi uccisi da cavalieri, e la collina di WormHill prende proprio il nome dal Verme di Lambton. Re Artù adottò questa razza come suo stemma, ed i Vermi diventarono simbolo araldico dei re britannici.


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    In epoca romantica, specie in area germanica e anglosassone, cominciò a rifiorire l'interesse per la mitologia germanica. Questo interesse fu accompagnato da un moltiplicarsi di riedizioni del canto dei Nibelunghi e di sue rivisitazioni sceniche (la più importante: il ciclo drammatico-musicale L'anello del Nibelungo, di Richard Wagner). In queste la figura del Drago, sempre presente, assume progressivamente caratteristiche tipiche dell'odierno fantasy.
    Attualmente i draghi sono diventati alcuni tra i protagonisti dei romanzi e giochi di tipo fantasy. Grazie agli scritti di J. R. R. Tolkien (Lo Hobbit e Il Silmarillion) la passione per il fantasy (dalla letteratura al gioco) è largamente diffusa. In questo contesto la figura dei draghi risulta emblematica e fortemente radicata nell'immaginario collettivo. Molti scrittori di fantasy del XX e XXI secolo hanno poi scritto di draghi: Margaret Weis e Tracy Hickman ne Le Cronache di Dragonlance, Il ciclo di Death Gate e ne Il ciclo della Pietra Sovrana; Licia Troisi nei suoi libri sul Mondo Emerso e nella saga La Ragazza Drago; Markus Heitz ha parlato di draghi nella sua ora Quadrilogia Dei Nani con i libri Le cinque stirpi, La guerra dei nani e La vendetta dei nani in cui alla fine del libro appare in circostanze misteriose quello che sembra un drago. Tra i giochi il più noto è sicuramente Dungeons & Dragons, ma anche Warhammer Fantasy e Warcraft. Un drago sui generis (per la precisione un drago della fortuna, ispirato in parte alla tipologia cinese) è inoltre uno dei protagonisti del romanzo La storia infinita di Michael Ende. Anche J.K.Rowling nella saga di Harry Potter ricorre alla figura del drago, in modo particolare durante il quarto capitolo della serie, dove rubare l'uovo del drago è una delle prove del torneo Tremaghi. Oltre a questo, c'è un'altra saga dove un drago anziché essere un personaggio secondario è un protagonista. Questa è quella di Christopher Paolini nominata la saga dell'eredità che comprende Eragon, Eldest, Brisingr e un quarto libro che è ancora in fase di scrittura.
    Con un accento più fantascientifico, la scrittrice Anne McCaffrey ha dedicato un fortunato ciclo di romanzi ai Dragonieri di Pern. Sul pianeta Pern, anticamente una colonia terrestre, una casta di dragonieri cavalca veri e propri draghi, ottenuti con l'ingegneria genetica a partire da una forma di vita indigena, i quali oltre alla classica capacità di sputare fuoco possono viaggiare nello spaziotempo con il pensiero. Inoltre Alan Dean Foster (sceneggiatore di Alien) ha scritto e non ancora finito di narrare le avventure nel (Commewealth humanx) di (Flinx) ragazzo con potersi psi che ha come animaletto un minidrago alspiniano Pip. I minidradraghi hanno forma di serpenti alati dai vivaci colori molto agili e veloci nel volo arrivano dal pianeta (Alaspin) dove vengono temuti dato che il loro veleno che sputano con estrema precisione è un veleno corrosivo neurotossico sono onnivori non si possono catturare però essendo empatici primordiali - percepiscono le emozioni attorno a loro - possono decidere di instaurare un rapporto con un umano ma comunque mantengono una loro forte personalità non soggetta all'umano a cui decidono di legarsi. Pip inoltre per Flinx funziona come focalizatore per i poteri erratici psi di Flinx.

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    Una parodia dei canoni mitologici sui draghi è rappresentata dal cartone animato italiano Grisù (1975).
    C'è anche un cartone animato americano, American Dragon, che parla di Jake Long, un tredicenne che ha il potere di trasformarsi in un drago. Il suo stesso nome, Long, in cinese significa drago.
    Nel manga e anime Dragonball si parla di due draghi, Shenron e Polunga, che hanno il potere di eseudire qualsiasi desiderio. Per evocarli bisogna riunire sette sfere magiche, le Sfere del Drago appunto.
    Si deve citare inoltre Spyro the Dragon, la saga di videogiochi uscita su più piattaforme che ha come protagonista Spyro, un draghetto viola, creata da Insomniac Games con la trilogia formata da Spyro the Dragon, Ripto's Rage! e Year of the Dragon e che è poi proseguita con diversi altri capitoli pubblicati da Vivendi Games.
    In moltissimi videogiochi compaiono i draghi il cui ruolo può variare notevolmente da titolo a titolo, ecco alcuni esempi:
    In Dragon Valor si interpreta il ruolo di una dinastia di guerrieri votati alla distruzione dei draghi, questi sono esseri malvagi, veri e propri demoni infernali col solo desiderio di distruggere e uccidere.
    Nella serie di Final Fantasy i draghi sono in genere mostri casuali di alto livello, ovviamente malvagi. Alcuni però, come lo Shynryu o il Kaiser drago sono potenti Boss. Tuttavia esiste anche un drago positivo, ovvero Bahamut una creatura fiera e nobile che può essere evocato in battaglia per attaccare i nemici.
    Nella serie Pokemon i draghi rappresentano una tipologia "elementale" a parte. Sono noti per la loro forza e per la loro resistenza (sono infatti vulnerabili solo verso il ghiaccio o verso il loro tipo). Molti di loro sono creature leggendarie, come Rayquaza o Giratina, altri sono comunque molto rari. Pur non essendo necessariamente malvagi sono comunque feroci salvo eccezioni come il mansueto Dragonite.
    In Drakengard si vive l'avventura di un ragazzo che si unisce a un drago per vendicarsi degli assassini della sua famiglia. Il drago in questo gioco è presentato come una creatura violenta, superba e a tratti sadica ma non necessariamente malvagia.
    In Drakan invece si raccontano le gesta della guerriera Rynn e di Arok il drago. Pur esistendo draghi malvagi in genere sono considerati creature positive.
    In Lair, videogioco per Playstation 3, si parla di Ron, una Guardia Celeste, cioè un guerriero sacro che deve difendere il suo popolo cavalcando un drago.
    Nel gioco di carte collezionabili Magic the Gathering i draghi sono una categoria di creature, in genere appartenenti alla magia rossa. i draghi i Magic sono esseri violenti, crudeli bestiali e malvagi, vi sono comunque delle eccezioni seppur rare.
    Anche nel manga-anime-gioco di carte collezionabili Yugioh sono presenti molti draghi, che vengono identificati come esseri dai caratteri molto diversi tra loro: ci sono draghi violenti e selvaggi, ma anche draghi puri e giusti. In genere, comunque, i draghi sono tutti creature estremamente potenti. Tra i più famosi ci sono il Drago Bianco Occhi Blu, il Drago Nero Occhi Rossi, il Drago Metallico Occhi Rossi, il Drago Occhi Blu Supremo, e, tra i più recenti, il Glorioso Drago Dorato, il Drago Polvere di Stelle e molti altri. La lista è lunghissima e anche qui i draghi sono una categoria vera e propria.
    Nel gioco di carte collezionabili Duel Masters, i Draghi sono (come gli Umani) creature appartenenti alla casata del Fuoco. Essi non hanno una classe vera e propria ma sono divisi in tante "famiglie": i Dragoni Alati Corazzati, per esempio, ed anche i Dragonoidi, singolari creature metà drago e metà uomo.
    Alla figura del drago sono stati anche ispirati diversi film, tra cui ricordiamo:
    Il drago riluttante di Walt Disney (1941)
    Elliott il drago invisibile di Don Chaffey (1977)
    Il drago del lago di fuoco di Matthew Robbins (1982)
    Il volo dei draghi di Jules Bass e Arthur Rankin jr. (1982)
    Dragonheart - Cuore di drago di Rob Cohen (1996)
    Dragonheart 2 - Una nuova avventura il destino di un cavaliere . di Doug Lefler (2000)
    Harry Potter e la pietra filosofale di Chris Columbus (2001)
    Dungeons & Dragons - Che il gioco abbia inizio di Courtney Solomon (2002)
    il signore degli anelli le due torri .
    Il regno del fuoco di Rob Bowman (2002)
    il signore degli anelli il ritorno del re .
    george and the dragon .
    Harry Potter e il calice di fuoco di Mike Newell (2005)
    Eragon di Stefen Fangmeier (2006)
    Dragon Wars di Hyung-rae Shim (2007)
    percy jackson e gli dei dell ' olimpo il ladro di fulmini
    Dragon Trainer di Chris Sanders e Dean DeBlois (2010)
    l ' apprendista stregone


    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 21:30
     
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    il centauro




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    Il centauro è una figura della mitologia greca, metà uomo e metà cavallo.

    Nella mitologia è quasi sempre dipinto con carattere irascibile, violento, selvaggio, rozzo e brutale, incapace di reggere il vino.
    Solitamente raffigurati armati di clava o di arco, emettevano urla spaventose.
    La figura del centauro ha origine dall'amore sacrilego fra il re dei Lapiti Issione e una sosia della dea Era, Nefele, dalla cui unione nacque, appunto, Centauro, capostipite di tutti i centauri.
    L'equino, nel II millennio a.C., non era ancora conosciuto in Grecia. Perciò è possibile supporre che questo animale, la cui importanza era davvero notevole per un popolo di nomadi migratori, fosse oggetto di culto. È anche probabile che in alcune regioni lontane, quali la Tracia o la Tessaglia, vivessero delle tribù semiprimitive che si dedicavano all'ammaestramento degli animali selvatici. Per questo si sarebbe potuta creare l'immagine di un essere mitico che univa il cavaliere alla sua cavalcatura.
    Certi centauri acquisiranno anche leggende proprie, come Chirone, Euritione, Nesso e Folo, diventando in seguito - in epoca moderna e contemporanea - personaggi tipici della letteratura fantasy.
    Sulle loro straordinarie fattezze ironizzò, nel II secolo d.C., Luciano di Samosata con i Nefelocentauri (Νεφελοκένταυροι), creature immaginarie (metà uomini e metà nuvole) da lui descritte nelle Storie vere.
    La loro particolarità è che possedevano tutti i pregi e tutti i difetti del genere umano, portati però a livelli elevatissimi, tanto che nella mitologia sono stati riservati loro ruoli completamente contrastanti: dall'estrema saggezza all'incredibile crudeltà. E tale idea perdurò nel tempo. Durante il Medioevo, l'immagine del centauro si addiceva agli eretici ed alla loro interna dissociazione che li faceva considerare metà cristiani e metà pagani. È rappresentato spesso con i capelli in fiamme, per lo più armato, soprattutto di freccia e arco. Talvolta l'obiettivo è una colomba, tal altra un cervo, entrambe figurazioni simboliche dell'anima, facili prede spesso raffigurate mentre vengono trascinate via dopo la cattura.
    Ma il vero specchio del pensiero medioevale in merito è rappresentato da Dante, che nella Divina Commedia colloca i centauri nell'inferno (Inf. XII) come custodi-giustizieri dei violenti contro il prossimo, in rapporto diretto con il loro carattere violento avuto in vita.

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    In araldica, il centauro è una figura immaginaria che corrisponde alla sua raffigurazione mitologica: essere metà uomo e metà cavallo. Normalmente è armato di una clava. La sua variante principale è il centauro sagittario, che tira con l'arco. Talora è rappresentato con due sole zampe da cavallo.
    L'immaginario araldico gli ha regalato, se non una compagna, almeno una corrispondente figura femminile, la centauressa (o centaurella).
    Nell'araldica italiana è rappresentato col capo rivolto all'indietro, l'arco in mano e nell'atto di scagliare frecce. Nell'araldica dell'Europa Orientale compare di frequente con la coda che termina a testa di serpente, verso cui pare diretta la freccia.
    Il centauro non ha un significato simbolico generalmente riconosciuto; alcune leggende lo definiscono malvagio e nefasto, capace di ogni scelleratezza (come nella leggenda delle nozze di Piritoo e Ippodamia), altre lo dipingono virtuoso e sapiente (quali furono Pholos, amico di Ercole, e Chirone, amico di Apollo e dei Dioscuri).

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    Il Centauro, creatura fantastica della mitologia greca ha le sembianze umane nella parte superiore del corpo e di cavallo in quella inferiore. Abitanti della Tessaglia, i Centauri rappresentavano i pregi e i difetti del genere umano portati ai massimi livelli. Infatti, la mitologia, da quella greca a quella medioevale, presenta queste creature a volte come estremamente sagge altre come esseri capaci di indicibili crudeltà. I Centauri, discendenti di Issione e Nefele o Era, erano noti per essere degli inguaribili ubriaconi e violentatori di donne. Questa credenza nacque da un episodio che si verificò durante le nozze tra Ippodamia e Piritoo, re dei Lapiti. Infatti questi tentarono di violentare le donne e uccidere gli uomini, ma il re e il suo amico Teseo, uccisero molti Centauri cacciandoli in seguito anche dalla Tessaglia. Non tutti i Centauri però avevano questa indole. Chirone, per esempio, era considerato uno dei centauri più saggi e i suoi insegnamenti, soprattutto quello sull’arte della guarigione, lo fanno ritenere il padre fondatore della scienza veterinaria. Durante il periodo medievale, all'immagine del Centauro era associta quella dell'eretico proprio per il fatto che la dissociazione delle sue parti anatomiche lo rendeva simile allo stato equivoco dell'eretico: per metà cristiano e per l'altra metà pagano. Il Centauro nella gran parte dei casi è raffigurato armato di un arco o di una clava intento nella caccia di prede quali colombe o cervi, animali scelti entrambi a simboleggiare la debolezza dell'anima, facile preda del male. Troviamo i Centauri citati nell'Inferno di Dante come giustizieri delle persone che hanno usato violenza verso il prossimo. La collocazione dei Centauri nell'Inferno con tale compito sta proprio a simboleggiare la loro indole violenta perseguita durante la loro vitra terrena.




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    Il centauro è una creatura arcana presente nella mitologia greca, ha le sembianze umane nella parte superiore del corpo e di cavallo in quella inferiore e vivevano principalmente in Tessaglia. Discendono dal figlio di Apollo, Centauro e Stilbe e rappresentavano i pregi e i difetti del genere umano portati ai massimi livelli.
    I Centauri nell’arte romana, sono raffigurati all’interno di Pompei nella Casa del Centauro, mentre nell’arte cristiana medievale, essi simboleggiano la natura selvaggia dell’uomo, e all’immagine del Centauro era associata quella dell’eretico a causa della dissociazione delle sue parti anatomiche che lo rendeva equivoco, per metà cristiano e per l’altra metà pagano. La mitologia, da quella greca a quella medioevale, presenta queste creature estremamente sagge altre come esseri capaci di indicibili crudeltà.
    I Centauri sono violenti, ma non tutti erano così, per esempio il Centauro Chirone, figlio di Crono e di una figlia d’Oceano, era amico degli uomini e insegnava loro le arti della guarigione, della caccia e della musica.
    Chirone fu il tutore di Asclepio, dio della medicina, di Giasone, Achille ed Eracle.
    Durante un combattimento con altri Centauri, una delle frecce avvelenare di Eracle colpì accidentalmente Chirone che era immortale, per paura di soffrire in eterno, Chirone chiese a Zeus di farlo morire. Zeus, offrì la sua immortalità a Prometeo e, per pietà, pose Chirone in cielo come costellazione del Sagittario, l’arciere, nono segno dello Zodiaco
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    chirone



    Nel mito greco Chirone era un Centauro, con il busto di un uomo e il corpo di un cavallo. Chirone era un maestro saggio, che insegnava musica, matematica, astronomia, l'arte della guerra, la medicina e tutte le altre arti e scienze ai figli e alle figlie degli dei dell'Olimpo. Era anche un guaritore particolarmente dotato. Tuttavia i centauri erano creature rozze, soprattutto sotto l'influenza dell'alcool, e facilmente si facevano coinvolgere in liti e risse selvagge. Ad un particolare banchetto di nozze al quale i centauri erano stati invitati scoppiò una rissa ed una delle frecce intinte di veleno di Ercole penetrò nella coscia di Chirone. Il succo della storia è che, sebbene Chirone fosse un magnifico guaritore, non riusciva a guarire la sua ferita nonostante i suoi ripetuti tentativi. Questa è la base del mito del guaritore ferito e della frase "Medico, cura te stesso". Dopo una grandissima sofferenza a cui Chirone non poteva sfuggire con la morte, dal momento che, come figlio di Zeus, era immortale, egli scelse di scambiare il suo posto con Prometeo, che era stato incatenato ad una roccia come punizione per aver rubato il fuoco agli a beneficio del genere umano. Questo scambio gli permise di rinunciare all'immortalità e morire. Dopo la sua morte, fu elevato al cielo come costellazione del Centauro.



    Mitologia Greca: questo mitico “animale” riprende molto dalla figura del cavallo, e questo non è affatto casuale! Il cavallo, infatti, è entrato spesso nei Bestiari, come dimostrano le figure del Pegaso, dell’Unicorno…
    Ma la grande differenza sta nel fatto che nella figura del Centauro, gli uomini cercavano proprio di identificarsi con il cavallo stesso, da sempre considerato come uno degli animali più forti ed eleganti. La leggenda narra che ebbe origine dall’unione di un figlio di Apollo, Centauro appunto, con delle bellissime cavalle. Dalla loro unione nacque una creatura con il corpo di cavallo sul cui tronco erano innestati un corpo e un volto umano. La loro particolarità è che possedevano tutti i pregi e i difetti del genere umano, portati però a livelli elevatissimi, tanto che ai centauri la mitologia ha sempre riservato ruoli contrastanti, che vanno da esseri di estrema saggezza ad altri di incredibile crudeltà.
    Una curiosità: Chirone, uno dei centauri più saggi e sapienti, è considerato come il fondatore della scienza veterinaria…

    bluedragon


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    LA CHIMERA


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    Secondo la mitologia Greca la Chimera era figlia di Tifone e Echidna. Venne allevata dal re Amissodore e per lunghi anni portò distruzione lungo le coste dell’attuale Turchia, finchè Bellerofonte, che alcuni considerano come figlio di Poseidone, riuscì con l’aiuto di Pegaso, donato da Minerva, ad ucciderla: sapendo che non sarebbero potute bastare le normali armi per sconfiggerla, Bellerofonte conficcò la pinta del suo giavellotto nelle fauci della testa di drago della Chimera, in seguito il fuoco che ne uscì sciolse il piombo della punta, uccidendo l’animale.
    La Chimera ha la parte posteriore del corpo di capra (Chimera, in greco Khimaira, significa capra) e la parte anteriore di un leone, ha grandi ali di drago, una coda con un serpente e tre teste, di una capra, di un leone e di un drago.

    Ecco alcuni riferimenti storici:


    Iliade:

    "...Era il mostro di origine divina,
    lïon la testa, il petto capra, e drago
    la coda; e dalla bocca orrende vampe
    vomitava di foco: e nondimeno,
    col favor degli Dei, l'eroe la spense..."


    Eneide:

    "...La Chimera di tre, che con tre bocche
    il foco avventa..."




    Anche in questo caso si può ben notare come la cultura Medioevale veda questa creatura in maniera molto diversa da quella Greca: Ha in comune la testa di leone e quella di capra, però è alata e ha anche una terza testa, quella di drago; da notare che, nonostante la Chimera Greca non avesse la testa di drago sputasse comunque fuoco.
    Per quanto riguarda il comportamento della Chimera, , notiamo come siano vicine le due culture, infatti in entrambi i casi, questa bestia è portatrice di sventure e di morte.


    bludragon

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    La chimera (dal greco Χίμαιρα, chímaira, letteralmente "capra"; in latino chimaera) è un animale mitologico con parti del corpo di animali diversi. Secondo il mito greco fa parte della progenie di Tifone ed Echidna, insieme all'Idra di Lerna, Cerbero e Ortro.

    Le descrizioni variano - secondo alcune poteva sputare fuoco, aveva testa di leone, una testa di capra sulla schiena e la coda di serpente; secondo altre aveva corpo di capra, coda di serpente o di drago e testa di leone. Sputava fuoco dalle fauci e il morso della coda era velenoso.


    Lucretio, & Homero dicono, che la Chimera hà il capo di Leone, il ventre di capra, & la coda di drago, & che getta fiamme per la bocca , come racconta anco Virgilio, che la finge nella prima entrata dell’inferno. (Cesare Ripa, Iconologia, Roma 1593-1603)

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    La storia di Chimera: intrecci mitici.

    Questo maraviglioso animale, figlio di Tifone e di Echidna, ha il corpo composto di tre parti diverse - per la parte anteriore un leone, per quella centrale una capra e per quella posteriore un serpente -, e vomita fuoco dalle fauci. Secondo una tradizione (Iliade XVI, 328), era stata allevata dal re di Licia, Amisodaro, che aveva nelle sue greggi una giovane capra con questo nome. Ma Chimera danneggiava con le sue rovinose incursioni le campagne della Licia e della Caria e un altro re di Licia, Iobate o Giobate, ne ordinò l’uccisione e, su istigazione del genero Preto, ne affidò l’incarico a Bellerofonte, nella segreta speranza che fosse l’eroe a rimanere ucciso.


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    Un mostro figlio di mostri: genealogia di Chimera.

    La madre Echidna, propriamente vipera o serpente, per metà essere umano e per metà serpente, era figlia di Crisaor o, secondo altri, di Forco e di Ceto. Generò, insieme a Tifone, la maggior parte dei mostri della mitologia classica: oltre a Chimera, il cane Ortro dalle molte teste, il drago dalle cento teste che faceva la guardia ai pomi delle Esperidi, il drago della Colchide, la Sfinge, Cerbero (da cui l’appellativo "cane echidneo"), Scilla, la Gorgone, l’idra di Lerna, l’aquila che divorava Prometeo, il leone nemeo. Fu uccisa nel sonno da Argo. [Fonti: Esiodo, Teogonia ( ); Apollodoro (2.1.2); Ovidio, Metamorfosi (4.501)] Il padre, Tifone o Tifeo, è un mostro primordiale, descritto ora come bufera devastante, ora come drago o gigante che vomita fuoco. Nella versione omerica è un essere nascosto nella terra, nella regione degli Arimi, che viene debellato da Zeus con i suoi lampi (Iliade, 2.783). Esiodo invece distingue tra Tifone e Tifeo, presentandoli come due creature diverse (Teogonia, 821 ss. e 306 ss.). Tifone, ritenuto figlio di Tifeo, è rappresentato come un terribile uragano. Tifeo, invece, è presentato come figlio minore del Tartaro e di Gea, o anche della sola dea Era che l’aveva partorito senza il concorso di alcun essere maschile, indignata perché Zeus aveva messo al mondo Atena senza di lei. In questa seconda versione Tifeo sarebbe il frutto dell’ira femminile. Solitamente è presentato come un mostro alato, con cento teste, occhi terrificanti, che emette voci spaventose dalle sue cento bocche. La parte inferiore del suo corpo si avvolge in due gigantesche spirali serpentiformi. Entrato in contesa con Zeus per il dominio del mondo, fu quasi sul punto di riportare la vittoria, perché riuscì ad avvolgere il dio nelle sue spire e ad amputargli i nervi delle mani e dei piedi, relegandolo poi in una grotta della Cilicia.




    La Chimera di Ovidio


    "quoque Chimerae iugo mediis in partibus ignem,

    pectus et orae leae, cauda serpentis habebat"

    "e il monte della Chimera, il mostro coi fianchi infuocati,

    il petto e la testa di leonessa, la coda di serpe"

    Ovidio, Metamorfosi, IX, 647- 48.



    La Chimera di Notre-Dame

    È alata, è affacciata a una balaustra, si regge il mento con le mani - in una posa tipica dell’iconografia della malinconia - e sembra guardare dall’alto la città. Ma la lingua che le fa capolino tra i denti accenna al riso, allo sberleffo. Ha naso di leone, corna di capra e busto perfettamente umano.



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    Le Chimere letterarie





    "Tra queste solitudini s’imbosca

    non so s’io deggia dir femina o fera.

    Alcun non è che l’esser suo conosca

    o ne sappia ritrar l’effigie vera;

    e pur ciascun col suo veleno attosca,

    si ritrova pertutto ed è chimera,

    un fantasma sofistico ed astratto,

    un animal difforme e contrafatto."

    G.B. Marino, Adone, Canto 12 (792)





    "Ma poi trovò, nello scendere il monte,

    una strana chimera a una fonte.

    Uccise questa, che fu maraviglia,

    ché mai nessun più non v’era arrivato

    ch’affisar sol questo mostro le ciglia

    col guardo suo non l’avessi ammazzato."

    Pulci, Morgante, Cantare 25 (996)

    [È Rinaldo a uccidere il mostro.]




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    Sapete che cosa significa l’aggettivo chimerico? Qualcuno vi ha mai detto “ Ah, tu perdi il tuo tempo nell’inseguire chimere!”. In questo senso, colto e metaforico, la parola significa “sogno vano”, “illusione”, “utopia”. Ma il termine è greco, ed è legato ad antiche e fosche credenze.

    Per i Greci Chímaira era un orribile mostro con testa di leone, dorso caprino e coda di serpente .
    Racconta le sue vicende, nell’Iliade, il più antico dei poeti greci, Omero. Da lui apprendiamo che il re della Licia, Iobate, ordinò all’intrepido Bellerofonte di ucciderla perché il mostro devastava i villaggi della sua terra. E il generoso eroe riuscì con un’astuzia nella terribile impresa galoppando in groppa al cavallo alato Pegaso, egli trafisse mortalmente Chimera, raggiungendola con la punta della sua lancia a cui aveva legato un pezzo di piombo che, al contatto con l’alito ardente del mostro, si sciolse, e questo fu letale per la bestia .

    Insomma, la chimera ( questa volta minuscolo! ) è il mostro che popola i nostri peggiori incubi, i nostri sogni più agitati. E bisogna avere il coraggio di scacciarlo trafiggendolo, anche noi, come Bellerofonte.


    Edited by gheagabry1 - 23/1/2023, 22:01
     
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    LE ARPIE




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    Secondo la mitologia Greca, le Arpie erano le figlie che Nettuno, il Dio dei mari, aveva avuto con Elettra, Tarmante e Anfitrite. La mitologia classica narra che erano state confinate nelle isole Strofadi, nel Mar Ionio, dallo stesso Giove, che se serviva a proprio vantaggio contro tutti coloro che voleva perseguitare. Ci sono differenti concezioni sul loro aspetto: secondo alcuni era terrificante, assomigliano ad un umano vecchio, con la parte inferiore del corpo e le gambe di un uccello, di cui hanno anche le ali. I capelli sono arruffati e sporchi, gli occhi neri e carichi di malvagità.
    La loro particolarità sta nel loro famoso e pericolosissimo canto: si narra infatti che tutti gli uomini che hanno ascoltato le loro nenie sono stati come ipnotizzati, perdendo il libero arbitrio e provando un incredibile senso di attrazione nei confronti di queste... attrazione che spesso portava alla morte!

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    La mitologia greca però si discosta fortemente dalla tradizione Medievale di queste creature, infatti non assomigliano ad un umano vecchio e brutto, tutt'altro! Hanno invece corpi di donne giovani e particolarmente attraenti, pur rimanendo particolarmente aggressive e malvagie, fermo restando il loro canto ammaliatore, capace di soggiogare anche l'uomo con la volontà più ferrea.

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    Ecco alcuni brani classici dove vengono descritte le Arpie:





    OMERO

    " ...ecco che le fanciulle le Arpie rapirono in aria,
    e in balia delle Erinni odiose le diedero." (Odissea, XX, 77-78)




    VIRGILIO

    "(...) Strofadi grecamente nominate
    Son certe isole in mezzo al grande Jonio,
    Da la fera Celeno e da quell'altre
    Rapaci e lorde sue compagne arpie
    Fin d'allora abitate..." (Eneide, III, 354-358)

    continua:

    "(...) Altro di queste
    Più sozzo mostro, altra più dira peste
    Da le tartaree grotte unqua non venne.
    Sembran vergini a' volti, uccegli e cagne
    A l'altre membra; hanno di ventre un fedo
    Profluvio, ond'è la piuma intrisa ed irta,
    Le man d'artigli armate, il collo smunto,
    La faccia per la fame e per la rabbia
    Pallida sempre, e raggrinzita e magra..." (Eneide, III, 361-368)




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    ARIOSTO

    "...Erano sette in una schera, e tutte
    Volto di donne avean pallide e smorte,
    Per lunga fame attenuate e asciutte
    Orribili a veder più che la morte:
    L'alaccie grandi avean deformi e brutte,
    le man rapaci, e l'ugne incurve e torte;
    Grande e fetido il ventre, e lunga coda
    Come di serpe che s'aggira e snoda..." (Orlando Furioso, XXXIII, 120)


    DANTE ALIGHIERI

    "...Ali hanno late, e colli e visi umani,
    piè con artigli, e pennuto l'gran ventre;
    fanno lamenti in su li alberi strani..." (If. XIII, 13-15)



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    Demone alato con volto di donna e corpo di uccello. Secondo la tradizione classica le arpie sarebbero tre sorelle, figlie di Taumante ed Elettra: Aelo, o Turbine, Ocipete, Dal rapido volo, Celeno, o Atra. Alle volte vengono raffigurate anche come donne con mani e piedi artigliati. Sono descritte come creature rapaci e crudeli, impetuose come la bufera; spesso vengono confuse con le Furie. Virgilio le colloca nelle isole Strofadi (Eneide 3°), Dante nella selva dei suicidi (Inferno 13°) e l'Ariosto in Etiopia (Orlando Furioso 2°). Si dice che avessero la deplorevole abitudine di piombare nel bel mezzo di un banchetto per rubare le vivande e appestare l'aria con il loro fetido odore.

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    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 22:16
     
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    CERBERO



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    Cèrbero nella mitologia greca era uno dei mostri che erano a guardia dell'ingresso dell'Ade, il mondo degli inferi. È un cane a tre teste, le quali simboleggiano la distruzione del passato, del presente e del futuro. Tutto il suo corpo era ricoperto, anziché di peli, di velenosissimi serpenti, che ad ogni suo latrato si rizzavano, facendo sibilare le proprie orrende lingue. Il suo compito era impedire ai vivi di entrare ed ai morti di tornare indietro. In realtà nell'antichità il "nudo suolo" era definito Cerbero (o "lupo degli dei") poiché ogni cosa seppellita pareva essere divorata in breve tempo.

    Il nome di Cerbero è entrato nella lingua italiana per esprimere, per antonomasia e spesso ironicamente, un guardiano arcigno e difficile da superare.

    Mostro infernale dell'antica mitologia pagana, figlio di Tifeo ed Echidna, Cerbero era un cane con tre teste e coda di serpente.
    Virgilio (Eneide, VI,471-423) ed Ovidio (Metamorfosi, IV, 450-451) lo collocano a guardia dell'Averno, per impedire alle ombre di uscire ed ai vivi di entrare. La sua cattura fu la dodicesima ed ultima fatica di Ercole.
    Fra i personaggi mitologici e poetici è quello la cui caratteristica specifica è una fame mai soddisfatta.
    Pur derivato dagli Inferi virgiliani, Cerbero assume connotati tipicamente medievali: è una fiera mostruosa non solo perchè con tre teste, ma anche per i particolari umani (barba, mani, facce) sul corpo di cane.

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    Cane a cento o a cinquanta teste, generalmente veniva rappresentato con tre teste, coda di drago e teste di serpente che correvano lungo la spina dorsale come una criniera. I morti dovevano placarlo offrendogli il dolce di miele che era stato posto nella loro tomba insieme con l'obolo per Caronte. Cerbero faceva la guardia sulla riva dello Stige; era persino terribile con i vivi che tentavano di forzare la porta degli inferi, si scagliò infatti contro Piritoo e Teseo quando cercarono di liberare Persefone. Placato da Orfeo con il suono della lira, da Enea con la focaccia preparata dalla Sibilla, fu domato solo da Ercole che lo incatenò e lo trascinò a Trezene, rimandandolo poi negli inferi. Viene posto da Dante a guardia dei golosi (Inferno VI).


    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 02:04
     
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    Tarrasque



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    Il tarrasque (o tarasque) è un mostro mitologico che, secondo la leggenda, avrebbe devastato la Provenza, una regione francese.


    Nell'iconografia popolare, il tarrasque ha sei zampe tozze e robuste, il corpo coperto da una solida corazza simile a quella di una tartaruga con sopra una cresta e vari aculei ossei. La lunga coda squamosa si conclude con una protuberanza cornea a forma di punta di lancia, mentre la testa è quella di un leone.

    La leggenda
    La leggenda vuole che la Tarrasque fosse originaria della Galazia, patria del mitico Onachus, un mostro capace di bruciare qualsiasi cosa entrasse in contatto con il suo corpo, e che proprio dall'unione tra l'Onachus e il Leviatano, fosse nata la Tarrasque. Quest'ultima giunse in Provenza, nei pressi del villaggio di Nerluc, dove imperversò nella regione uccidendone gli abitanti e devastando ogni cosa. Marta di Betania, assieme a sua sorella Maria di Betania, raggiunse le coste provenzali nel 48, in seguito alle persecuzioni in patria. Più precisamente approdarono nella zona della Camargue, nel paese attualmente chiamato Saintes-Maries-de-la-Mer.
    Qui la zona era infestata dal Tarasque, un mostro che, uscendo dalla sua tana situata nel letto del fiume Rodano, devastava le campagne. Venne ammansito da Santa Marta grazie alle Avemaria che pronunciava: ad ogni Avemaria il mostro si rimpiccioliva in dimensioni.
    Quando divenne completamente innocuo, Marta lo condusse nella città di Nerluc, che ora (in onore del Tarasque) ha preso nome Tarascon, nel cui emblema è presente l'immagine della creatura mostruosa. Qui però i cittadini terrorizzati uccisero la creatura. Ancora oggi l'uccisione del tarrasque è celebrata a Tarascon l'ultima domenica di giugno.


    Tarasque è anche il nome di un'arma contraerea francese del secondo dopoguerra.


    Edited by gheagabry1 - 22/1/2023, 02:07
     
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    Strige



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    Lo strige (anche mormos), nelle leggende dell'antica Roma era un uccello notturno di cattivo auspicio che si nutriva di sangue e carne umana come oggi addebitato al vampiro. A differenza del vampiro, però, non era ritenuto un cadavere rianimato ma un prodotto di una metamorfosi. Il nome, in greco significa "gufo", con il quale viene spesso confuso. Il nome stesso della famiglia (Strigidae) proviene da questo uccello.

    Storie della classicità

    La più antica storia registrata relativa allo strige si trovava nella perduta Ornithologia dell'autore greco Boios, che però è stata parzialmente salvata nelle Metamorfosi di Antonino Liberale. Qui si narra la storia di Polifonte e dei suoi due figli Agrios e Oreios. Costoro, puniti per atti di cannibalismo, come Licaone, vennero trasformati. Polifonte e i figli divennero strigi, un uccello da preda "che grida nella notte, senza cibo o bevanda, con la testa in giù e le estremità inferiori in alto, portatore agli uomini di guerre e conflitti civili".
    La prima citazione in lingua latina si trova in Pseudolus, di Plauto, risalente al 191 a.C.. Qui un cuoco, descrivendo una cucina dei suoi sottoposti, compara le loro azioni a quelle di strigi che smembrano una vittima dissanguata.
    Petronio Arbitro nel Satyricon li descrive come ladri di cadaveri di ragazzi, che rimpiazzano con manichini di paglia.
    Orazio, negli Epodi assegna alle strige alcune proprietà magiche: le sue piume sono un ingrediente per una pozione amorosa.
    Lucio Anneo Seneca, nel suo Hercules furens asserisce che gli strigi abitano all'esterno del Tartaro.
    Ovidio narra la storia degli strigi che attaccano il leggendario re Proca nella culla e di come vengano ricacciati con l'arbutus e placati con carne di maiale. Questo serviva a spiegare l'usanza di mangiare legumi e pancetta alle calende di giugno.
    Silio Italico, nei suoi Punica, come Virgilio con Enea nell'Eneide e prima ancora Omero con Ulisse nell'Odissea, fa discendere agli Inferi Publio Cornelio Scipione per incontare le anime e ottenere informazioni sulla guerra in corso. Silio Italico descrive gli Inferi e ne pone "a destra" un funereo albero di tasso su cui dimorano gufi, avvoltoi, arpie e "lo strige le cui ali sono macchiate di sangue".
    Anche se abbondavano le descrizioni, il concetto di strige rimaneva comunque molto vago. Il naturalista Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia, confessa di conoscerli poco. Ricorda che il loro nome viene usato come una imprecazione o una maledizione ma al di là di ciò, può solo riportare che le dicerie sul modo di nutrire i loro piccoli dovevano essere false, visto che nessun uccello, a parte il pipistrello, allatta la prole. Nel mondo antico il pipistrello era comunemente classificato come uccello. Solo Aristotele lo considerava a metà fra un uccello e una animale terrestre.

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    Medioevo

    La leggenda dello strige sopravvive nel Medioevo, come viene riportato nella Etimologia di Isidoro da Siviglia e fornì nome e caratteristiche alla strigoaicǎ rumena e alla strega italiana. Anche la shtriga albanese deriva il suo nome dallo strige ma viene descritta come capace di trasformarsi in un insetto volante.
    Una legge francese risalente al IV secolo e attribuita ad un antenato del re Clodoveo I prescrive:
    "se qualcuno dice ad alta voce di una donna che è uno strige (stryge) o una prostituta sarà condannato ad una ammenda di 2.500 denari...Se una strige ha divorato un uomo [...] sarà condannata a pagare 8.000 denari"
    Molto probabilmente però, in questo caso il termine stryge diventa un sinonimo peggiorativo di "strega", come questo appellativo si stava evolvendo nelle lingue romanze.

    Carlo Magno, re cristiano che non credeva agli spiriti malefici, condannò a morte, nei suoi capitolari, i Sassoni che avevano bruciato (per loro unico rimedio contro gli strigi) alcuni uomini e donne accusati di esserlo diventati.


    Edited by gheagabry1 - 24/1/2023, 22:21
     
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