LEONI..TIGRI PANTERE GHEPARDI..I FELINI..

felini nel mondo

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    Leone-africano



    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 21:11
     
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    Riana e i ghepardi del Sudafrica. Dai felini in casa alla Cheetah experience

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    Una storia, quella di Riana van Nieuwenhuizen, sudafricana di 46 anni, che ricorda i romanzi d'avventura. Nel 2007 crea il Fiela Funds Cheetah Breeding Project, una ONG ormai diventata famosa non solo in Sudafrica ma in tutto il mondo. Il suo obiettivo è quello di proteggere e sostenere i ghepardi minacciati di estinzione in tutto il continente africano.



    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 21:15
     
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    La storia nel segno del Leone




    Ercole-Eracle-Dodici-fatiche-Leone-di-Nemea-12-fatiche-di-Ercole

    Il Leone, nella mitologia greca, è anche conosciuto come il Leone di Nemea e come il fratellastro di Era. Nemea era situata nella parte a nord-est del Peloponneso, in Grecia.
    La parte finale della coda del Leone, è un'unica stella, conosciuta come la Ciocca di Berenice. Si pensa che sia stato un astrologo alessandrino, Konon, che nel 247 a.C. gli diede questo nome.
    La leggenda narra che l'uccisione del gigante Leone di Nemea da parte di Ercole, fu il primo incarico assegnatogli da Euristeo. Quando Ercole uccise il Leone, Era, così afflitta per la morte del fratellastro, decise di metterlo in cielo, tra le stelle.
    La costellazione del Leone o il segno dello Zodiaco conosciuto come Leone, era conosciuto anche nell'Antico Egitto. Se le caratteristiche tipiche del Leone sono la forza e il Sole (il quale fa risplendere il suo manto come se fosse dorato), gli antichi egizi puntarono maggiore attenzione sulla parte femminile, facendo della leonessa una divinità, Shekmet, ritenuta più forte, più abile, cacciatrice per natura.
    Il leone simboleggia il Sole, anche secondo gli antichi poeti. Secondo Plutarco era attribuito al Sole per la sua maestosa imponenza e anche perché si dice sia il solo che lo vede nascere, in quanto dorme pochissimo e con gli occhi semiaperti.
    L'uomo di scienza d'oggi, afferma che il leone è generalmente monogamo. Si dice che passi il giorno a dormire o a digerire, mimetizzato o nascosto nelle caverne, va a caccia di notte, preferendo i grandi animali erbivori piuttosto che l'uomo, diventato il suo protettore.
    Possiamo costatare come il numero 3 sia molto importante a livello simbolico in questo contesto. In un importante volume sullo zodiaco, M. Senard ci ricorda che il leone nello stendardo di Giuda occupa lo zenit dello zodiaco: all’incirca verso la parte esterna del cerchio c’è un leone disteso, sotto il quale si trovano tre leoni più piccoli che indicano tre decani del segno, quindi, avvicinandosi al centro del cerchio, troviamo un eroe che impugna e solleva uno scettro a tre punte, un cavaliere che tiene con la briglia un cavallo che scalpita e fa resistenza e infine, la testa ed il collo di un asino che si avvicina ad un cespuglio molto fitto.
    I giochi olimpici che si svolgevano nella foresta di Nemea, si organizzavano ogni tre anni. E' giusto il tempo necessario affinché ad un leone cresca una lunga e folta criniera. L'idea di forza richiama l'immagine del leone o quella di Ercole. Essendo le due immagini legate, non si può rappresentare Ercole in altro modo se non con i suoi muscoli e la pelle d'animale conquistata in occasione della sua prima fatica, come accennato prima. Occorre ricordare che Ercole è stato concepito da Giove nell’arco di tre notti e che è nato durante un fortissimo temporale. Puntando nuovamente l'attenzione sul mito di Ercole e del Leone di Nemea, Giunone (la greca Era), adirata, per far dispetto a Giove (il greco Zeus, suo sposo) gli impose delle fatiche incredibili, in particolare quella di vincere appunto il famoso Leone che terrorizzava la regione di Nemea. Ercole, in questo combattimento, non aveva un'arma sufficientemente acuminata per colpire la belva. Poté ucciderlo soltanto soffocandolo ed utilizzando gli artigli stessi dell'animale per squartarlo. La favola insiste sull’invincibilità leonina.



    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 21:28
     
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  4. gheagabry
     
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    Great-Sphinx-of-Giza-Cairo

    La sfinge è una figura mitologica appartenente tanto alla mitologia greca quanto alla mitologia egizia. Viene raffigurata come un mostro con il corpo di leone e la testa umana (androsfinge), di falco (ieracosfinge) o di capra (criosfinge).

    Il suo nome deriva dal termine greco antico che significa strangolatrice.

    Nella mitologia egizia la sfinge viene rappresentata come un leone disteso a terra. Alla testa viene attribuita la rappresentazione della figura del sovrano, ovvero il faraone.

    Nella mitologia greca - che la raffigura dotata di ali e con la testa di una donna - era stata mandata da Era, in segno di punizione, contro la città di Tebe. Insediatasi sopra una rupe sopra il monte Citerone, poneva l'enigma o sciarada a chi passava, divorando coloro che non riuscivano a venire a capo del quesito.

    L'indovinello - consistente nell'individuare quale fosse l'animale che al mattino cammina su quattro zampe, a mezzogiorno su due e alla sera con tre - ebbe la sua soluzione e la sua risposta (ovvero l'uomo perché quando è bambino ossia al mattino della vita cammina carponi con le mani per terra e quindi con quattro zampe; a mezzogiorno, nel fiore dell'età cammina con due piedi; e da vecchio, ossia al tramonto della vita, non reggendogli più le gambe è costretto a servirsi del bastone e così cammina con tre piedi) da Edipo. Sconfitta, la sfinge si dette la morte gettandosi da una rupe (anche se, secondo altre versioni della leggenda, ad ucciderla sarebbe stato lo stesso Edipo).

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    fonte wikipedia

    La Sfinge nacque da Echidna e Tifone: aveva il corpo di un leone con delle grandi ali sul dorso, la testa di una donna e la coda di serpente.

    Divenne leggendaria a causa degli oscuri indovinelli che poneva ai malcapitati che gli passavano davanti: infatti si narra che Giunone, per punire gli abitanti di Tebe, la mandò nulla strada che conduceva alla città, sottoponendo tutti coloro che vi si recavano ai suoi enigmi: la punizione per coloro che sbagliavano la soluzione era la morte per mano della Sfinge stessa, che li divorava immediatamente.

    Ma era anche scritto che se qualcuno avesse risolto esattamente i suoi enigmi, la Sfinge si sarebbe dovuta uccidere Questa sembrava una possibilità remota, finché non passò al suo cospetto Edipo



    fonte:www.bluedragon.it

    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 21:34
     
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  5. ZIALAILA
     
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    ...avete mai visto ....una ........... pantera ..... ROSA ??????
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  6. gheagabry
     
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    IL LEONE



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    Il leone (Panthera leo, Linnaeus 1758) è un carnivoro della famiglia dei Felidi. Dopo la tigre, è il più grande dei quattro grandi felini del genere Panthera. Il suo areale, esteso in tempi storici a gran parte dell'Eurasia e dell'Africa, e in tempi preistorici anche all'America del Nord, è oggi ridotto quasi esclusivamente all'Africa subsahariana; il continuo impoverimento del suo habitat naturale e il protrarsi della caccia di frodo ai suoi danni ne fanno una specie vulnerabile secondo la IUCN.


    Il leone è uno dei Felidi più imponenti. Il maschio può pesare dai 150 ai 225 kg, mentre il peso delle femmine varia dai 120 ai 150 kg. La lunghezza del corpo varia da 170 a 250 cm nei maschi e da 140 a 175 cm nelle femmine; l'altezza media al garrese è intorno ai 120 cm per i maschi e 100 cm per le femmine. La coda ha una lunghezza compresa fra 70 e 100 cm. Fatto unico per i Felidi, la coda termina con un ciuffo peloso che nasconde una punta ossea di circa 5 cm di lunghezza, la cui funzione non è nota. Oltre alla differenza di stazza, il più evidente dimorfismo sessuale è rappresentato dalla folta criniera, di cui solo i maschi sono dotati.

    Il colore della sua pelliccia varia sui toni del giallo, rossiccio e ocra, più chiaro nelle parti inferiori del corpo. La criniera varia in colore dal biondo al marrone scuro; il ciuffo al termine della coda è invariabilmente nero.

    La criniera dei maschi è un tratto che i leoni hanno acquisito probabilmente nelle fasi più recenti della loro evoluzione (vedi la sezione Storia), e che aveva probabilmente la funzione originaria di protezione dal freddo. In seguito, il volume della criniera divenne un fattore di selezione sessuale, cosa che contribuì a farne aumentare il volume a scapito della funzionalità: leoni con criniere particolarmente grandi, infatti, hanno talvolta problemi di termoregolazione. In ogni caso, quale sia lo scopo della criniera del leone è ancora un argomento dibattuto; secondo alcuni potrebbe avere (o avere svolto in passato) anche una funzione difensiva, a protezione della zona vulnerabile della gola, ma le osservazioni sperimentali non ne danno evidenza, almeno all'attuale stadio evolutivo.


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    In passato si credette che differenze nella morfologia della criniera potessero essere usate come tratto discriminante nella definizione di sottospecie del Panthera leo, come il leone berbero, il leone del Capo o il leone abissino. In seguito, venne dimostrato che il colore e le dimensioni della criniera sono influenzate da numerosi fattori ambientali, come la temperatura[8]. In particolare, le temperature fredde di alcuni zoo europei e nordamericani contribuiscono allo sviluppo di grandi criniere.

    A parità di condizioni ambientali, la morfologia della criniera è determinata da fattori genetici, dal livello di maturità sessuale e dalla produzione di testosterone. Hanno criniere di dimensioni ridotte, per esempio, i maschi castrati o quelli appartenenti a popolazioni in cui ci sono stati numerosi accoppiamenti fra consanguinei, con conseguente impoverimento genetico.

    La vita media dei leoni in natura arriva al massimo a circa 16 anni; in cattività può protrarsi per altri 10 anni circa. Tuttavia, per molte cause, pochi riescono ad arrivare a vivere così a lungo, specie i maschi senza branco.

    leoni sono carnivori; il fabbisogno giornaliero di carne si aggira sui 5 kg per le femmine adulte e i 7 kg per i maschi. Si nutrono principalmente di grandi mammiferi come antilopi, zebre, facoceri, gnu e bufali, ma all'occasione non disdegnano prede di taglia più piccola come lepri e uccelli. I leoni sono comunque in grado di apprendere nuove tecniche di caccia e acquisire una preferenza non istintiva per certi tipi di prede; per esempio, i leoni della zona del fiume Savuti (Botswana) sono specializzati nella caccia ai piccoli di elefante, e quelli che vivono presso il fiume Cuando (ancora Botswana) si nutrono soprattutto di ippopotami. In genere, l'attacco a prede di specie insolite è inizialmente giustificato dalla scarsa disponibilità di cibo, ma può in seguito consolidarsi come abitudine....

    I leoni vivono generalmente in branchi stanziali, formati da femmine imparentate, dai loro cuccioli, e da un maschio adulto o una cosiddetta "coalizione" di maschi adulti (fino a 8-9). I maschi che raggiungono la maturità vengono scacciati dal branco, e in genere vagano alla ricerca di un altro branco in cui imporsi sconfiggendo il maschio o i maschi dominanti. Un maschio che non riesca a imporsi su un branco diventa solitamente nomade e vagabonda anche su grandi distanze, da solo o insieme ad altri maschi.

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    Nei branchi, vi è una ripartizione dei ruoli molto più marcata che in altre specie. Se da un lato l'attività della caccia è appannaggio quasi esclusivo delle femmine, i maschi hanno un ruolo ugualmente importante. Hanno infatti il compito di perlustrare il territorio, difendere le prede catturate e proteggere il branco, specialmente i cuccioli. Questo li espone costantemente a scontri diretti contro altri leoni, iene, leopardi e ghepardi, facendo dei leoni maschi dei combattenti perfetti, modellati dalla selezione naturale. I giovani maschi, con la criniera relativamente corta, sono discreti cacciatori, anche se non validi quanto le leonesse, mentre i maschi adulti partecipano occasionalmente a battute di caccia se la preda è un animale particolarmente vigoroso, come un bufalo o una giraffa (che possono arrivare alle due tonnellate di peso). Malgrado il peso elevato, il Leone è un animale eccezionalmente agile: può salire sugli alberi, nuotare, lanciarsi nel vuoto, correre con grande rapidità (quando è lanciato, raggiunge i 75 km/h su terreni pianeggianti e percorre cento metri in quattro secondi) e spiccare balzi incredibili, fino a dodici metri in lunghezza e tre in altezza. I leoni sono però poco resistenti sulle lunghe distanze e per questo motivo, il branco si muove per gran parte della caccia in modo furtivo, accerchiando lentamente la preda, mentre l'attacco viene sferrato solo quando la distanza da coprire è ridotta (30 m o meno). La criniera sfavorisce il Leone maschio, rendendolo più visibile nella stagione secca.

    I leoni non hanno una specifica stagione degli amori; piuttosto, le coppie hanno periodi di accoppiamento, in cui spesso le femmine si astengono dalla caccia per copulare dalle 20 alle 40 volte al giorno con i maschi della coalizione.
    Maschio e femmina di leone africano (Panthera leo krugeri)

    La gestazione dura tra i cento e i centoventi giorni e la femmina partorisce una figliata composta di 1-4 piccoli, non necessariamente tutti concepiti con lo stesso padre. Le femmine di un branco sincronizzano i loro cicli riproduttivi, in modo da cooperare nell'allevamento e nell'allattamento dei giovani, che si nutrono indiscriminatamente da qualunque femmina. I cuccioli sono svezzati dopo 6-7 mesi. In natura, a causa della feroce competizione per il cibo, l'80% dei cuccioli muore entro i due anni di vita.
    Una coppia di leoni durante l'accoppiamento

    Quando un nuovo maschio (o una coalizione) prende il comando di un branco scacciando il precedente padrone (o padroni), i conquistatori uccidono spesso ogni cucciolo di età inferiore ai due anni circa, poiché le femmine non tornano a essere fertili e disponibili finché hanno piccoli da curare. Qualche volta una femmina cerca di difendere i propri piccoli dal nuovo maschio dominante, in genere invano.

    I leoni maschi raggiungono la maturità a circa 3 anni di età e sono in grado di prendere il comando di un altro branco a 4-5 anni. Cominciano a invecchiare (e a indebolirsi) a 8 anni circa. Pertanto, un maschio ha a disposizione un tempo relativamente breve per imporsi su un branco e crearsi una propria discendenza.

    Come molti altri mammiferi sociali, i leoni esibiscono un ampio spettro di comportamenti che comunicano affetto. Nei branchi di leoni a riposo è comune osservare femmine che si puliscono a vicenda il manto, cuccioli che giocano fra loro o cercando di coinvolgere gli adulti, e così via. In condizioni particolari, i leoni possono stabilire legami affettivi con individui di altre specie, incluso l'uomo. Un episodio particolarmente insolito, verificatosi in Kenya nel 2005, coinvolse una leonessa che adottò alcuni piccoli di orice (una specie normalmente predata dai leoni), allevandoli e proteggendoli anche dagli attacchi dei propri simili[15]. Una vicenda molto nota di relazione affettiva fra uomo e leone è quello narrato da Joy Adamson nel romanzo autobiografico Nata libera.

    Oggi, la maggior parte dei leoni vive nelle riserve naturali dell'Africa subsahariana. Una popolazione di poche centinaia di leoni asiatici sopravvive nella Parco nazionale del Sasan-Gir (1412 km2), nello stato dei Gujarat (India). Al fine di proteggere questa minuscola popolazione da epidemie e altri rischi ambientali, è in corso un programma di reintroduzione del leone asiatico anche nel Palpur-Kuno Wildlife Sanctuary, una riserva naturale nel vicino stato del Madhya Pradesh.

    Il numero complessivo dei leoni in natura viene oggi stimato tra i 16.000 e i 30.000 esemplari. Questi numeri evidenziano un calo drammatico dagli anni '90, quando la popolazione di leoni veniva calcolata intorno ai 100.000 esemplari. Le popolazioni rimanenti sono spesso isolate geograficamente dalle altre, cosa che aumenta ulteriormente le difficoltà di conservazione della specie.

    In tempi preistorici (fino al tardo Pleistocene) l'areale dei leoni comprendeva Africa, Eurasia, e Nordamerica. Durante l'ultima era glaciale, erano diffuse numerose specie di leoni delle caverne, come il leone delle caverne europeo e quello americano, che avevano dimensioni superiori a quelle dei leoni dei tempi moderni e storici (circa il 25% di massa corporea in più). In seguito, probabilmente in concomitanza con la scomparsa della megafauna e l'aumentare delle temperature, i leoni scomparvero dalle zone settentrionali dell'Eurasia e dal Nordamerica.

    Ancora in tempi storici (fino circa al I secolo d.C.), i leoni erano presenti in gran parte dell'Eurasia (dal Portogallo all'India) e in tutta l'Africa. Il leone scomparve da gran parte dell'Europa entro il II secolo; l'ultima popolazione europea, nel Caucaso, si spense nel X secolo. In Asia, il leone era presente nella sottospecie Panthera leo persica dalla Turchia all'India e dal Caucaso allo Yemen; iniziò a scomparire nel Medioevo, in particolare con l'arrivo delle armi da fuoco, rimanendo presente solo in alcune aree del Medio Oriente. Tra la fine del XIX secolo e i primi del XX i leoni si estinsero anche dall'Africa settentrionale e dal Medio Oriente (in Iran, l'ultimo leone fu ucciso nel 1942).


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    La progressiva riduzione dell'areale del leone si deve principalmente all'azione dell'uomo, che lo considerava una delle belve più pericolose (insieme al lupo) e lo cacciò senza tregua. Già gli antichi Greci, ma soprattutto i Romani, furono responsabili della decimazione dei leoni in Europa. Lo sviluppo delle grandi civiltà del bacino del Mediterraneo, della Mesopotamia, dell'Arabia e dell'India coincise con la sparizione progressiva dei leoni da tutte queste zone.

    Nell'Africa subsahariana il leone riuscì a sopravvivere proprio in virtù della minore diffusione delle comunità umane. Le popolazioni di leoni in questa zona iniziarono a diminuire drasticamente con l'arrivo dei coloni europei, che cacciarono i leoni dapprima per proteggere i propri insediamenti (cosa che fu la causa, per esempio, dell'estinzione del leone del Capo) e poi per sport. Il leone divenne infatti il primo dei Big Five, i "cinque grandi" animali africani che costituivano i trofei più ambiti dai cacciatori europei che si recavano in Africa subsahariana per praticare la "caccia grossa". Sebbene oggi sia una specie protetta e siano state istituite riserve naturali in molte zone dell'Africa, il leone è ancora oggetto di bracconaggio.


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    La criniera rappresenta un tratto somatico acquisito dai leoni in tempi relativamente recenti (300.000-200.000 anni fa); i leoni con la criniera coesistettero con quelli senza criniera fino a circa 10.000 anni fa sia in Europa che, probabilmente, in Nordamerica.

    Sebbene siano rari, leoni bianchi si incontrano occasionalmente a Timbavati, in Sudafrica. Il loro insolito colore è dovuto a un gene recessivo. Un leone bianco ha degli svantaggi quando va a caccia: la sua presenza può essere tradita dal suo colore, diversamente dal leone normale che si fonde perfettamente con l'ambiente circostante. I leoni bianchi nascono quasi del tutto bianchi, senza le normali macchie di camuffamento che si trovano nei cuccioli di leone. Il loro colore si scurisce gradualmente fino a diventare crema o color avorio (colore noto con il nome di biondo).

    Il leone (in particolare il leone maschio) ha sempre esercitato un grande fascino sull'uomo. In numerose culture, esso viene usato come simbolo di virtù e qualità positive come forza, fierezza, maestosità, nobiltà e coraggio. La similitudine con il leone, usata per lodare i potenti e gli eroi, è una della più usate di tutti i tempi, dall'Achille di Omero al feldmaresciallo austriaco Borojević detto il "leone dell'Isonzo". Nella cultura moderna popolare, questo ruolo simbolico del leone viene rappresentato anche da frasi di uso comune come "sentirsi un leone" (sentirsi nel pieno delle forze), "fare la parte del leone" (dominare una certa situazione) o "essere coraggioso come un leone". L'identificazione del leone con il "re degli animali" (originaria del mondo classico) arricchisce la sua immagine di ulteriori significati metaforici.



    Oltre che in senso positivo, il leone ha colpito l'immaginario umano anche per la sua aggressività e potenziale pericolosità per l'uomo; rappresenta uno degli archetipi di fiera. A causa del restringersi del suo areale, in epoca storica fu in particolare associato con l'idea di una belva esotica; i Romani per esempio usavano l'espressione Hic sunt leones ("qui ci sono i leoni") per indicare, nelle cartine, le regioni inesplorate (e quindi pericolose).


    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 22:48
     
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  7. gheagabry
     
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    LA TIGRE



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    La tigre (Panthera tigris, Linnaeus 1758) è un mammifero della famiglia dei felidi. Con un peso che può arrivare fino a 300 kg, la tigre è il più grande dei cosiddetti "grandi felini" che costituiscono il genere Panthera (tigre, leone, giaguaro e leopardo), ed è l'unico felide moderno a raggiungere le dimensioni dei più grandi felidi preistorici. È un cosiddetto predatore alfa, ovvero si colloca all'apice della catena alimentare, non avendo predatori in natura. Oltre che dalle dimensioni notevoli, è caratterizzata dalla particolare colorazione del mantello striato che serve a "spezzare" otticamente la figura dell' animale; il disegno del mantello varia leggermente da sottospecie a sottospecie. Vi sono in cattività varianti di colore della sottospecie nominale (tigre indiana "del bengala" o Pantera tigris tigris), la più comune con strisce nere con sfondo completamente bianco.

    Antichi resti di un felino simile alla tigre sono quelli della Panthera palaeosinensi, trovati in Cina e a Giava. Questa specie era presente nel primo Pleistocene (circa 2 milioni di anni fa), ed era di dimensioni più piccole rispetto alla tigre moderna. I più antichi resti fossili di vere e proprie tigri sono datati fra 1,6 e 1,8 milioni di anni fa, e sono stati trovati a Giava. Una sottospecie oggi estinta chiamata tigre di Trinil (P. tigris trinilensis) visse circa 1,2 milioni di anni fa sempre a Giava. Non è noto con certezza quale sia la regione d'origine della tigre; certamente essa si diffuse durante il Pleistocene in gran parte dell'Asia, inclusa la Beringia (da cui però non transitò nelle Americhe), il Giappone, l'India, Sumatra, Giava e Bali. Fino all'Olocene le tigri furono diffuse anche nel Borneo.


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    Sulla base dell'analisi morfologica e filogenetica (mediante analisi molecolare) sono state distinte nove differenti sottospecie di tigre. Tre di queste si sono estinte nel XX secolo: la tigre del Caspio (P. tigris virgata), la tigre di Giava (P. tigris sondaica) e la tigre di Bali (P. tigris balica).

    Le due sottospecie più grandi sono la tigre del Bengala (P. tigris tigris) e la tigre siberiana (P. tigris altaica), i cui esemplari maschi possono raggiungere i 3,5 m di lunghezza totale comprensiva della coda e arrivare a pesare fino a 280 kg (per quanto mediamente il loro peso si assesti su valori inferiori). La tigre siberiana ha testa massiccia, pelo chiaro, spesso e lungo e zampe posteriori robuste e tozze, tutte caratteristiche fisiche frutto dell'adattamento alle rigide temperature del proprio habitat (foresta boreale e temperata mista). A rischio critico di estinzione, non ne sopravvivono più di 300-400 esemplari adulti (IUCN 1996, Siberian Tiger Project, 2005).

    La tigre reale del Bengala o indiana (Panthera tigris tigris) sopravvive in poco più di 4000 esemplari ed è di gran lunga la sottospecie più consistente. Abita in India, dove trova riparo soprattutto nelle foreste di mangrovie del delta del Gange, in quell'intrico di banchi sabbiosi, isole e isolotti che è conosciuto con il nome di "Sundarbans", ma è presente anche nel Bangladesh, in Birmania e in alcune zone del Nepal.

    La tigre della Cina meridionale (Panthera tigris amoyensis), dotata di un manto liscio con striature nere corte e larghe, un tempo era comune in tutta la parte orientale del Paese ma oggi è avvistabile soltanto nella provincia dell'Hunan. Il numero dei suoi esemplari allo stato libero è stato valutato in non più di 80 unità. Migliore è la situazione in cui si trova la tigre indocinese, la cui popolazione, poco più di un migliaio di esemplari, è distribuita prevalentemente fra la Malaysia, la Thailandia e la Birmania. Esiste anche la Tigre malese (Panthera tigris jacksoni).

    Tigre bianca non albinaLe tigri bianche sono conosciute da molto tempo. Il primo di questi felini bianchi fu scoperto verso il 1820. Una tigre bianca fu uccisa nell'Assam nel 1899; un'altra, femmina, fu uccisa nel 1909 a Orissa mentre divorava un bufalo. Dal 1909 al 1933 in India furono abbattute diciassette tigri bianche. La prima tigre bianca catturata viva fu avvistata la prima volta vicino a Rewa, nel dicembre 1915, nella giungla di Sohagpur. In quel tempo si sapeva dell'esistenza di altre due di queste fiere bianche nella zona a sud di Rewa. La famosa razza attuale di tigri bianche, di cui trentatre esemplari vivevano nel 1970, discende da un maschio bianco, catturato a Rewa il 27 maggio 1951. Questo specimen fu accoppiato ad una tigre normale, catturata nello stesso luogo il 28 novembre 1952. La prima figliata, composta di 4 piccoli, di colore normale, si ebbe il 10 aprile 1955. Una tigre femmina di questa figliata, accoppiata al padre, dette alla luce 4 piccoli di colore bianco, il 30 ottobre 1958. Ebbe così inizio la generazione delle tigri bianche. Queste tigri non sono vere albine, perché hanno strisce nere ed occhi azzurri. Esse sono affette da leucismo. Attualmente, si conoscono alcune tigri bianche che vivono in India. Si tratta di tigri incrociate con le tigri bianche degli zoo, per non perdere il gene e conservare la tigre bianca.
    Le vere albine sono rarissime. Esse sono completamente bianche, senza strisce nere ed hanno occhi rossi. Nel 1922, nel Koch Bihar, furono catturate due giovani tigri albine.




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    Tigri rosse

    Si conosce una sola tigre rossa, affetta da rufismo. Si tratta di una tigre femmina uccisa sul versante settentrionale dell'Elbaaz, nel 1928. La sua pelle, conservata al British Museum di Londra, è normalmente colorata, ma ha delle strisce brune. Essa è completamente sprovvista di pigmenti neri.

    Tigri blu
    Rappresentazione artistica di una presunta Tigre bluLa tigre maltese, o tigre blu, è una forma di colorazione non provata della tigre, segnalata in gran parte dalla provincia di Fujian Cina. Si dice che abbiano una pelliccia blu scuro a righe grigie.

    Intorno al 1910, Harry Caldwell, un missionario americano e cacciatore, si imbatterono, presumibilmente, in una tigre blu al di fuori Fuzhou. La sua ricerca è raccontata nel suo libro Blue Tiger (1924) , e dal suo compagno di caccia Roy Chapman Andrews nel suo Camps & Trails in Cina (1925, capitolo VII).

    Diversi autori ne parlano nei loro trattati, ma non è stata ancora provata la trasmissione di questo carattere, cioè non è geneticamente codificato e come tale si ritiene che le tigri di colore blu o nero descritte dagli autori H. R. Caldwell, 1924; J. C. Caldwell, 1954; Pocock, 1929, 1939; Stonor, 1964; in diverse opere, possano essere degli esemplari cromaticamente aberranti.
    Nel 1924 l'inglese B. Caldwell descrisse una tigre azzurra, uccisa presso Foukien, in Cina. Questo animale melanico aveva un pelame grigio-azzurro, molto scuro.

    Tigri nere
    Come per la Tigre blu non esistono reali prove dell'esistenza di questo tipo di colorazione, anche se è stata parecchie volte segnalata l'esistenza di tigri nere, somiglianti a pantere nere, nella giungla di Travancore. Una di esse fu uccisa nel 1895[senza fonte].

    Vari avvistamenti di tigri nere sono stati dettagliati in "The Wildlife of India" da parte di PE Gee, uno di questi risale nel settembre del 1895, quando pare sia stata avvistata una tigre di color nero, fatta dal colonnello S. Capper, la tigre scomparve nella giungla. La presenza di leopardo nero nel settore e la difficoltà di giudicare accuratamente le sue dimensioni rende questo un rapporto discutibile.

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    Non molto si sa sulle abitudini della tigre allo stato selvatico. I rari studi fin qui effettuati si riferiscono soprattutto alla sottospecie più comune, quella del Bengala. È comunque noto che questo felino, a differenza del leone, raramente si trova in spazi aperti. Le sue maggiori garanzie di successo nella caccia risiedono, infatti, nella possibilità di inseguire furtivamente la preda per poi tenderle l'agguato nel momento più opportuno. In un territorio privo di alberi il suo sgargiante mantello si staglierebbe in modo troppo evidente, mettendo sull'avviso gli altri animali; esso si confonde invece molto bene con l'ambiente nel folto della giungla o nel sottobosco in prossimità di pozze d'acqua.

    Le tigri, animali solitari, sono di norma poco disponibili a dividere il proprio territorio con altri simili. Sono stati osservati, tuttavia, occasionali incontri che non si sono conclusi con una lotta e anche casi di spartizione di una preda. È stato pure osservato che i maschi hanno un più spiccato senso di territorialità: essi tollerano le intrusioni delle femmine assai più di quelle compiute da rappresentanti dello stesso sesso, mentre le femmine sono più predisposte alla condivisione con esponenti di entrambi i sessi.

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    Le tigri marcano il territorio graffiando gli alberi, spruzzando le piste battute con urina e secrezioni prodotte da ghiandole anali e anche depositando le proprie feci in luoghi ben evidenziati. Questi segnali forniscono informazioni sul detentore del territorio e inoltre mettono sull'avviso i maschi a riguardo di femmine in calore.

    Come tutti i predatori, la tigre cerca di risparmiare al massimo le proprie energie per impiegarle nella caccia. Perciò trascorre anche l'80% del tempo riposando o dormendo. Si muove all'alba o, preferibilmente, con le luci del crepuscolo per poi cacciare, se necessario, l'intera notte. Complice l'oscurità, può percorrere grandi distanze camminando lungo i letti dei ruscelli, i sentieri e anche le strade battute dall'uomo. Quando avvista la preda, striscia in avanti tenendo il corpo quasi a livello del suolo per evitare di essere scorta. Le strisce del mantello si rivelano in quei momenti molto utili per confondere la sua immagine con le ombre proiettate dall'erba alta.


    La tigre può fare affidamento su due sensi sviluppatissimi, l'udito e la vista. Gli occhi, che le consentono di osservare anche il più piccolo movimento della preda prescelta, sono strutturati secondo le esigenze di un predatore notturno; grazie alla particolare conformazione dell'occhio, è in condizione di sfruttare i più tenui raggi di luce e di muoversi con disinvoltura nelle tenebre notturne.

    Ambienti
    Gli ambienti adatti alla tigre presentano tre caratteristiche di valore primario: abbondanza di nascondigli, che le consentano di spiare la preda senza essere vista a sua volta; prossimità con l'acqua; ricchezza di animali da cacciare. All'interno di questo tipo di habitat, il felino - come abbiamo rilevato - agisce entro i limiti di un proprio territorio.

    Il possesso di un'area è particolarmente importante per la femmina, che soltanto se ha la certezza di muoversi in un ambiente ben conosciuto e ricco di prede, può crescere i suoi piccoli con relativa tranquillità. Il problema si pone soprattutto quando essi non possono ancora seguirla nella caccia: in questa situazione, infatti, la madre deve trovare cibo a poca distanza dalla tana, così da poter tornare e allattare la prole a intervalli regolari. La progressiva crescita dei figli le consentirà poi spostamenti sempre più lunghi, ma comunque l'impegno di alimentare a sufficienza se stessa e i cuccioli resta sempre molto gravoso per la madre. Il territorio di un maschio è abitualmente tre o quattro volte più grande rispetto a quello di una femmina, e ciò si spiega col fatto che la sua pulsione riproduttiva lo stimola all'incontro con più femmine in estro.

    Le tigri compiono, all'interno dei loro territori, percorsi anche molto lunghi; questi itinerari sono disseminati di tane e nascondigli in cui riposare. Tutti i tipi di foresta costituiscono un buon habitat per la tigre del Bengala. Oltre a quelle di mangrovie, già menzionate, sul delta del Gange, essa popola le umide foreste di alberi sempreverdi dell'Assam, quelle decidue del Nepal e quelle spinose dei Ghati occidentali. Ma il predatore si sente a proprio agio anche nelle giungle ricche di alta vegetazione, nel folto delle distese di bambù, nelle paludi e nelle boscaglie. È però fondamentale che questi ambienti forniscano acqua e nascondigli in abbondanza.

    In Birmania la tigre predilige le fitte foreste subequatoriali, mentre quelle malesi e indonesiane mostrano un ottimo adattamento alla foresta pluviale. Gli esemplari della sottospecie siberiana si spostano, invece, lungo il bacino dell'Amur preferendo le foreste montane non abitate dall'uomo. Per proteggersi nei periodi più freddi, sviluppano uno strato isolante di grasso sul ventre e sui fianchi.

    Diversamente dal leone e dal leopardo, la tigre non ha l'abitudine di salire sugli alberi. Accade tuttavia che femmine con piccoli rivelino buone doti di arrampicatrici in caso di necessità: quando, per esempio, devono sottrarsi all'attacco di un branco di cani selvatici chiamati dhole. Il grande felino è ben più forte di un dhole, a cui può spezzare il cranio con un solo colpo delle enormi zampe anteriori. Ma l'aggressione di un branco, che può essere formato anche da 30 esemplari, costituisce una minaccia molto seria. Gli scontri, quando avvengono, sono improntati a estrema violenza. La tigre, assalita da tutti i lati, prima di soccombere può lasciare sul terreno una decina di avversari. I dhole talvolta, anziché uccidere il predatore, si limitano ad allontanarlo per impossessarsi di una sua preda.

    Diversamente da altri felini, la tigre è molto attratta dall'acqua, ed è facile, quando il clima è caldo, vederla immersa in fiumi o ruscelli. Nuotatrice capace di percorrere lunghe distanze, insegue le prede anche nelle grandi pozze d'acqua, da cui riemerge tenendo in bocca l'animale appena ucciso. La forza dimostrata nell'effettuare questi trasporti è sorprendente. Può trascinare in un luogo sicuro, dove cibarsi con tranquillità, un maschio di bufalo indiano del peso di circa 900 kg. Per tale impresa occorrerebbero almeno 10 uomini.

    Le tigri cacciano quello che trovano, non essendo vincolate a una dieta specializzata. Si alimentano di preferenza di cervi, cinghiali, scimmie, uccelli, ma non disdegnano neppure pesci, rane, lucertole. Gli animali vecchi e infermi si orientano su prede facili, come il bestiame domestico e, in circostanze estreme, anche sull'uomo.

    La tigre ha un fabbisogno alimentare di 3-4 tonnellate di carne all'anno. Abitualmente caccia da sola. In casi eccezionali, però - come è già stato rilevato - si sono visti due esemplari cooperare all'abbattimento di una preda molto grande.

    L'attività ha inizio di preferenza all'imbrunire. Il felino percorre, lento e silenzioso, i sentieri del proprio territorio, fermandosi talvolta per fiutare od osservare qualche traccia di possibili prede. Taluni esemplari sembrano compiere un preciso percorso, già ben delineato da marcature precedenti. La ricerca di cibo è comunque irta di difficoltà. Si è calcolato che su oltre 20 tentativi di agguato solo uno si conclude positivamente.

    La tigre, dopo aver avvistato la preda, si nasconde nell'erba alta per avvicinarla quanto più è possibile senza farsi scorgere. Perché il suo attacco abbia possibilità di successo, deve trovarsi in un raggio d'azione che non superi i 10-20 metri. Quando il momento appare opportuno, il felino balza come una molla addosso all'animale facendo leva sulle potenti zampe posteriori.

    Spesso la sua stessa mole è sufficiente a far cadere a terra la preda, che viene subito artigliata con le zampe anteriori. Successivamente la tigre affonda i denti all'altezza delle prime vertebre del collo della vittima, in prossimità del cranio. Le zampe posteriori, saldamente appoggiate al terreno, le danno il giusto equilibrio per scuotere con violenza la testa dell'animale, provocando in breve la rottura della colonna vertebrale.

    In taluni casi, la tigre attacca frontalmente puntando alla gola della preda; i denti affilati recidono vitali vasi sanguigni e anche se la giugulare non viene lesa, il felino ha forza sufficiente per trattenere la vittima nella sua morsa finché non muore per soffocamento.

    Cacciatrice dalla enorme forza, la tigre è in grado di uccidere anche animali grandi quattro o cinque volte la sua taglia, lacerando loro i tendini all'altezza delle ginocchia con le sue zampe anteriori, per renderli impotenti. Successivamente si abbatte sul loro dorso uccidendoli nel modo già descritto. Altrimenti usando la sua forza li getta a terra e li uccide. Sono stati documentati molti casi di tigri che hanno gettato al terreno bufali e gaur sei volte il loro peso.

    Dopo averla uccisa, la tigre trascina la carcassa della preda in un luogo isolato, lontano da animali spazzini come avvoltoi e sciacalli, e di preferenza in prossimità dell'acqua. Un adulto di tigre del Bengala può divorare anche 30 kg di carne in una volta sola. In seguito sentirà il bisogno di dissetarsi. Se la preda non è ancora totalmente consumata, il predatore seppellisce i resti sotto un cumulo di foglie e ritorna sul luogo diverse notti di seguito per completare il pasto. Durante questo periodo, non si allontana mai troppo dalla carcassa per difenderla dagli altri animali affamati. La voracissima tigre si nutre di qualsiasi parte della preda, compresi polmoni, reni e altri organi interni; a differenza di altri felini, continua a ripulire la carcassa anche quando la carne, con il passare dei giorni, incomincia a imputridire.

    La femmina di tigre, impegnata a portare cibo ai piccoli, li sorveglia durante il pasto e mangia soltanto quando essi sono sazi. Si è calcolato che una madre deve uccidere una volta ogni cinque-sei giorni, raggiungendo una quota annua di 60-70 prede, mentre una femmina priva di cuccioli soltanto una volta ogni otto giorni, non superando il numero annuo di 40-50 uccisioni. I cuccioli imparano a cacciare osservando la madre. La loro iniziazione comincia fin dalle prime settimane, attraverso i modelli di comportamento suggeriti dal gioco.

    La tigre tenta di evitare durante la caccia ferimenti che potrebbero renderla invalida (probabilmente in modo istintivo), ma se riesce a raggiugnere una preda, può ingaggiare lotte sanguinose, data anche la scarsa percentuale di agguati che riescono. Gli orsi labiati e i cinghiali si difendono furiosamente e talvolta hanno ucciso il predatore. In genere non caccia animali più grandi dei gaur, ma può arrivare ad attaccare rinoceronti ed elefanti adulti se necessario. La lotta con questi ultimi può durare una notte intera e c'è un solo caso certificato di uccisione, con altri possibili. I primi invece subiscono attacchi molto più di frequente. È stato documentato un caso di uccisione anche di un coccodrillo di considerevoli dimensioni[5], abbattuto però sulla terraferma. Ha ben pochi rivali, in natura, se si fa eccezione per l'uomo e per i cani selvatici radunati in branco. Le iene hanno tendenza a rubarle il pasto soltanto in sua assenza: venendo sorprese dal predatore in prossimità della carcassa, infatti, corrono il rischio di essere uccise se non si danno a precipitosa fuga.



    L'accoppiamento tra tigri è possibile in ogni stagione dell'anno. Il periodo di estro in una femmina dura, però, non più di una settimana. In questa fase essa trasmette un messaggio olfattivo che viene raccolto dal maschio di un territorio non molto distante. Questo a sua volta emette dei richiami che trovano una risposta nelle vocalizzazioni della femmina. Il rituale prevede, nel momento dell'incontro che si svolge nel denso sottobosco, che i due potenziali partner assumano una caratteristica espressione (arricciamento del naso, esposizione della lingua e labbro superiore retratto) chiamata "flehmen". Essi, poi, si abbandonano a un gioco costituito da inseguimenti simulati e violenti colpi con le zampe anteriori.

    Durante l'accoppiamento, la femmina emette grugniti misti a ruggiti mentre il maschio alterna note acute e lunghi gemiti. La durata della copulazione è molto breve, circa 15 secondi, ma l'atto viene ripetuto anche 20 volte in un giorno. La coppia rimane unita per un periodo che oscilla fra i tre e i cinque giorni. Conclusa questa fase, i partner si separano. Il maschio è perciò escluso da tutte le future cure parentali.

    La gestazione ha una durata di 95-112 giorni, durante i quali la femmina continua ad andare a caccia fin quasi al momento del parto, che avviene generalmente di notte. Essa cerca un nascondiglio sicuro nel folto della vegetazione e dà alla luce i piccoli molto velocemente. Poi, esausta, si corica su un fianco dando inizio all'allattamento dei neonati. La cucciolata può variare da uno a sei piccoli, ma solitamente è composta da tre o quattro esemplari. In genere uno solo di essi riesce a raggiungere l'età matura. Alla nascita i cuccioli, che misurano dai 30 ai 35 cm, con una coda lunga circa 15 cm, sono ciechi e inetti, totalmente dipendenti dalla madre. Aprono gli occhi per la prima volta dopo una settimana, proprio nel momento in cui la fame spinge la femmina ad abbandonarli per la prima volta per andare a rifornirsi di cibo. La madre si allontana di notte, caccia più rapidamente che può, si ingozza e ritorna dai piccoli. Durante il giorno rimane costantemente accanto a loro. L'allattamento la impegna, inizialmente, per circa tre quarti della giornata, per ridursi progressivamente con il passare delle settimane. I denti da latte dei tigrotti spuntano alla fine della seconda settimana, i denti permanenti a un anno di età. Lo svezzamento avviene quando essi hanno cinque o sei mesi.


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    Dopo circa un mese dal parto, la madre prende l'abitudine di divorare, dopo ogni abbattimento della preda, una quantità di cibo superiore alle sue necessità. Ciò avviene perché, quando torna dai piccoli, ne rigurgita una parte predigerita affinché se ne nutrano. A partire dal terzo mese, essa porta invece ai cuccioli pezzetti di carne appena strappati dalla preda.

    Sul mantello dei neonati sono già delineate le strisce, ma il colore di fondo si manterrà più pallido, rispetto a quello degli adulti, fin verso i 6 mesi. Questa è l'età in cui la femmina porta per la prima volta i figli con sé a caccia. Dopo averli nascosti nel sottobosco, uccide una preda e poi invita i giovani ad alimentarsene prima di cibarsi a sua volta. Il comportamento della madre costituisce un modello per i futuri cacciatori.

    I figli possono rimanere accanto alla madre un paio d'anni, e probabilmente anche di più nel caso della tigre siberiana, ma i legami affettivi non si estinguono del tutto neppure dopo la separazione. I maschi sono generalmente i primi a lasciare il nucleo familiare. La madre ritorna in estro dopo il distacco dalla prole.

    Il primo compito delle tigri in fase di emancipazione è quello di delimitare un proprio territorio di caccia. Durante questa ricerca esse si trovano ad attraversare zone già occupate da esemplari adulti, che possono tollerare un rapido passaggio, ma puniscono con aggressioni le soste troppo prolungate. La non facile impresa si conclude solitamente dopo qualche mese. A quattro anni la tigre è sufficientemente matura per dare alla luce e crescere i propri figli, anche se la fase di maturazione può dirsi compiuta soltanto un anno più tardi.

    Malgrado le misure di tutela, tutte le sottospecie della tigre sono oggi in pericolo di estinzione. Si tratta di un processo in accelerazione a partire dagli ultimi due secoli. Fino alla metà del 1700, gli esemplari di questa specie erano numerosi e si spostavano agevolmente in ogni parte dell'Asia, costituendo i propri territori ovunque vi fosse abbondanza di prede. La loro popolazione complessiva superava sicuramente la cifra di 100.000 unità, di cui 40.000 erano abitatrici delle giungle indiane. Ciò si spiega facilmente se si considera che le armi allora in possesso dell'uomo sconsigliavano lo scontro con il temibile predatore.

    A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la situazione incominciò a cambiare radicalmente. Le armi da fuoco, divenute più efficienti, misero gli esponenti delle classi agiate nella condizione di fare della caccia alla tigre uno sport elitario. Contemporaneamente, l'infittirsi dei rapporti commerciali con l'Europa provocò la forte richiesta sul mercato di legname di pregio, come per esempio il mogano, che cresce nelle foreste indiane.

    La conseguente opera di deforestazione produsse effetti disastrosi sull'habitat della tigre. La sparizione degli alberi ebbe infatti ripercussioni sull'intera catena alimentare. Gli erbivori depauperati della loro fonte di cibo dovettero allontanarsi dai luoghi abituali per evitare di morire di fame. Il grande predatore, a sua volta, fu condizionato da questi spostamenti per non essere privato delle sue prede. Ciò lo costrinse a uscire dalle abituali nicchie protettive e ad avere contatti ravvicinati più frequenti con gli uomini, con contadini ed allevatori che ne divenivano preda assieme al loro bestiame domestico.

    Così la tigre divenne, per i cacciatori d'epoca vittoriana, una sorta di "status symbol". L'animale, molto temuto dalle popolazioni, costituiva un trofeo di grande prestigio per chi l'abbatteva. Gli ufficiali britannici e gli indiani appartenenti alle caste più elevate rivaleggiavano nel numero delle tigri uccise. In realtà i cacciatori non correvano molti rischi. Il rituale venatorio prevedeva che "battitori", arruolati fra la popolazione locale, si muovessero nella giungla disturbando con suoni fragorosi la tigre in modo da indirizzarla verso i cacciatori che, appostati nelle portantine fissate al dorso di elefanti non dovevano fare altro che sparare a colpo sicuro. Il risultato fu un autentico massacro ai danni della specie. Fra i potentati indiani nessuno superò il maharajah di Sarguja, il quale uccise nel corso della sua vita ben 1157 tigri.

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    Queste cifre non devono stupire. Lo sport si mescolava, allora, a criteri utilitaristici. Le autorità indiane consideravano la tigre un animale estremamente nocivo e pagavano una taglia ai suoi uccisori. Ciò stimolava a sua volta un altro mercato, quello delle pelli, che in occidente avevano quotazioni molto alte. La caccia diventava perciò un affare proficuo.

    Sarebbe tuttavia ingiusto, come già si è detto, attribuire soltanto alla caccia lo sterminio della specie. Era interesse di coloro che si dedicavano all'attività venatoria mantenere in vita una popolazione che consentisse loro di continuare a praticarla. Esistevano funzionari britannici e dignitari locali previdenti, che si preoccupavano della salvaguardia dell'habitat, avendo cura di prelevare alberi solo dove la foresta poteva agevolmente rigenerarsi. Peraltro, i coltivatori locali avevano bisogno di sempre maggiori aree coltivabili, per aumentare i raccolti e sfamare le famiglie. Questo fatto diede inizio a un tragico "circolo vizioso". La tigre, snidata dai suoi territori originari, si avvicinò ancora di più agli insediamenti umani, assumendo l'abitudine di predare il bestiame domestico. Gli agricoltori si vendicarono disseminando il terreno di esche avvelenate che fecero vittime in numero probabilmente superiore a quello causato dai cacciatori.

    Il quadro che offre la realtà del XX secolo, a partire dai primi decenni, è tragico dal punto di vista della fauna selvatica. Per fare fronte alla crescente domanda di abitazioni e di terre da coltivare, ampie zone di foresta vengono abbattute. Legname di alto pregio viene esportato e al posto degli alberi abbattuti ne vengono messi a dimora altri dalla crescita più rapida. Viene trascurato il fatto che le nuove piante non sempre costituiscono un'alimentazione adatta a soddisfare la fauna erbivora locale. Da ciò una conseguente diminuzione delle prede e dei predatori.
    Nel 1972, il governo indiano ha preso una decisione che si è rivelata forse determinante per la salvaguardia della specie: quella di condurre un'indagine sulla situazione degli esemplari superstiti. Ne è emerso un numero drammaticamente basso: solo 1800 tigri. La stessa indagine, condotta sull'intero areale asiatico della specie, ha consentito di apprendere che le sottospecie di Bali e del Caspio si erano ormai estinte e la medesima sorte era probabilmente toccata alla sottospecie di Giava. Migliore la situazione nell'isola di Sumatra, in cui si era registrata la presenza di 600 esemplari, e in Indocina, dove la popolazione era stata valutata nel numero di circa 2000 esemplari. Assai limitato, ma relativamente stabile, appariva il numero degli appartenenti alla sottospecie siberiana, abitatrice di un ambiente meno sottoposto allo sfruttamento da parte dell'uomo.

    Dopo questi rilevamenti, si è imposto il ricorso a misure drastiche per tutelare gli esemplari superstiti. Il governo indiano ha preso per primo l'iniziativa vietando la caccia alla tigre e l'esportazione delle sue pelli e accogliendo successivamente l'invito, proveniente dalle grandi organizzazioni protezionistiche, di istituire riserve che costituissero zone di rifugio e di ripopolamento della specie. Così ha preso corpo il Progetto Tigre, finanziato grazie anche a una raccolta di fondi a livello internazionale promossa dal WWF. Indira Gandhi, in quell'epoca primo ministro, si interessò personalmente alla costituzione di un comitato per il coordinamento fra tutti gli Stati dell'India. L'esempio è stato seguito da altri Paesi. Riserve sono state istituite anche entro i confini del Bangladesh, del Nepal e del Bhutan.

    Ma l'istituzione delle riserve non è di per sé bastante a garantire il futuro della specie. Là dove le popolazioni sono ridotte, il problema della variabilità genetica si impone in maniera preoccupante. L'impossibilità di incontrare, durante gli spostamenti, un vasto numero di esemplari, rende concreta la minaccia che si svolgano accoppiamenti fra consanguinei, dando vita a soggetti portatori di malattie ereditarie o addirittura di sterilità.

    Secondo le valutazioni degli scienziati, il numero necessario a garantire il mantenimento di un sano corredo genetico è di 500 esemplari. Appositi "corridoi" fra diverse riserve sono stati realizzati per favorire gli incontri fra popolazioni. Il progetto è tuttavia irrealizzabile là dove le riserve sono troppo vicine agli insediamenti umani. È infatti impossibile chiedere a coltivatori bisognosi di sfruttare al massimo ogni pezzetto di terra di sacrificare ulteriori lembi di terreno.

    Programmi di riproduzione in cattività sono in atto con la collaborazione di molti zoo. In tali programmi si è avuto cura di evitare incroci fra animali imparentati tra loro così da ottenere nuovi esemplari geneticamente affidabili. Non hanno invece alcun valore, ai fini del rinsanguamento, le tigri cosiddette "generiche", frutto di indiscriminati accoppiamenti in cattività, di cui è ormai impossibile definire l'origine.



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    Edited by gheagabry1 - 29/1/2023, 23:12
     
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  8. gheagabry
     
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    " gli animali che vivono..una vita libera semplice ..non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi....queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini...e tuttavia continuiamo a crederci superiori agli animali"
    gandhi



    Edited by gheagabry1 - 29/1/2023, 23:13
     
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  9. gheagabry
     
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    c'è chi pensa che la nautasia buona..
    e finisce nelle fauci della tigre.

    c'è chi pensa che la natura sia malvagia...
    ed abbatte a colpi di fucile la tigre

    c'è chi pensa che la natura sia bella....
    e mette in gabbia allo zoo..la tigre

    c'e chi pensa che la natura pensi..
    e seziona il cervello della tigre

    c'è che pensa che la natura sia in pericolo...
    e faun'oasi di protezione per la tigre

    c'è chi pensa che la natura sia Dio ...
    e trova l'uomo nella tigre

    c'è chi pensa che la natura sia natura ..
    e diventa parente della tigre

    c'è chi pensa che la tigre sia la tigra...
    e lascia in pace la tigre



    antico proverbio indiano



    Edited by gheagabry1 - 17/1/2023, 23:00
     
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  10. gheagabry
     
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    IL PUMA



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    Il puma, chiamato anche coguaro o leone di montagna. È un carnivoro appartenente alla famiglia dei felidi presente in America settentrionale centrale e mediorientale .

    La parola “puma” viene dalla lingua quechua.

    puma

    Il puma è alto 70 cm al garrese, la sua lunghezza, esclusa la coda, è in media di 130 cm per i maschi e 110 cm per le femmine, cui si raggiungono tra i 66 e 78 cm di coda. Il suo peso varia dai 50 ai 70 kg circa per i maschi (ma alcuni esemplari possono arrivare anche a 120 kg) e di 35 ai 50 kg circa per le femmine. Il pelo è corto, morbido, corto, folto e dal colore uniforme e molto variabile.

    coguaro

    Le zampe anteriori hanno 5 dita, mentre quelle posteriori 4, con unghie retrattili.

    I puma sono tra gli animali più agili, potendo fare salti alti 4 metri e lunghi 10. La loro testa è piccola e tondeggiante. Nella bocca hanno 4 grandi canini e vari incisi più piccoli.

    I puma emettono numerosi richiami, che si differenziano da maschio e femmina, ma a differenza dei grandi felini, nessun ruggito. Ricercatori nordamericani descrivono il grido del puma come simile a quello dell’uomo.

    In libertà i puma possono raggiungere dai 18 ai 20 anni d’età sebbene la loro vita duri di solito un decennio



    LEOPARDO DELLA CINA






    Il japonensis di pardus di Panthera (leopardo della Cina del nord) è una sottospecie di leopardi originaria della Cina settentrionale. Questo leopardo è molto raro ed è molto difficile da vedere allo stato selvatico. Il japonensis di pardus di Panthera vive preferibilmente nelle foreste e nei prati di montagna. Come tutti i leopardi, la sua preda varia da roditori, a cervi, capre selvatiche, e maiali selvatici. Fisicamente è un leopardo di taglia media raramente raggiunge una lunghezza di 180 cm, e assomiglia molto ai giaguari, la sua pelliccia è più lunga e più scura di ogni altra sottospecie di Panthera pardus, si accoppia nei mesi di gennaio e febbraio e comunemente a tutti i leopardi i cuccioli hanno una mortalità negli adolescenti molto alta. E’ praticamente impossibile sapere quanti animali ci siano allo stato libero ma la conservazione della specie non è in forte dubbio, L’ultimo censimento fatto, più di 5 anni fa, constatò che c’erano approssimativamente 2500 esemplari di japonensis di pardus di Panthera allo stato libero. Attualmente ci sono circa un centinaio di esemplari tenuti in cattività, e facendo avere ai leopardi degli accoppiamenti fra animali geneticamente non imparentati si sta tentando di ampliare ulteriormente il numero di questi animali, che comunque non è ancora considerato a rischio di estinzione. Nella riserva dell’EFBC che si trova a Rosamond, in California, negli USA si possono vedere 9 stupendi esemplari di japonensis di pardus di Panthera, il più giovane dei quali ha circa 1 anno il più vecchio ha 18 anni.

    Edited by gheagabry1 - 29/1/2023, 17:06
     
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  11. gheagabry
     
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    Leopardo dello Sri Lanka



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    Il Panthera pardus kotiya, (leopardo dello Sri Lanka), è una sottospecie di leopardo originaria dello Sri Lanka, e nella zona viene chiamato kotiya, un termine singalese usato per nominare la tigre, mentre invece il leopardo si traduce in divya. Le zone dello Sri Lanka dove il Panthera pardus kotiya è presente sono fra le più favorevoli al mondo per vedere in libertà questi magnifici felini, perché non devono condividere il loro ambiente naturali con altri carnivori più potenti come tigri, iene e leoni, inoltre nello stato sono presenti dei parchi nazionali protetti come il parco nazionale di Wilpattu, e il parco nazionale di Yala, dove avvistarli è ancora più facile. Il Panthera pardus kotiya ha una pelliccia di colore che varia dal fulvo al giallo ruggine, chiazzato dalle caratteristiche macchie di colore quasi nero. I maschi possono raggiungere eccezionalmente un peso vicino agli ottanta chili, ma la media è sui 55 chili, mentre le femmine sono più piccole e pesano in media sui trenta chili. Il Panthera pardus kotiya vive solamente nell’isola di Sri Lanka ed è il maggiore predatore dello stato, è ancora abbastanza diffuso in tutto il paese, anche esternamente alle zone protette, e vive in molteplici tipi di ambienti, fra cui, le foreste sempreverdi, nelle zone dove regna la giungla composta da arbusti e da un habitat secco, nelle foreste sulle montagne a qualsiasi altitudine, nelle foreste pluviali e in quelle umide. Le prede che caccia in queste zone sono il cervo pomellato il sambar che è un tipo di cervo unicolore, i cervi latranti, i maiali selvatici e le scimmie a volte quando c’è scarsità di queste prede arriva ad attaccare anche i bufali. Il suo modo di cacciare è quello tipico di tutti i leopardi con l’avvicinamento silenzioso alla sua vittima, per ppoi compire uno scatto fulmineo e colpirla con un morso mortale alla gola. Anche il suo comportamento sociale è quello tipico dei leopardi con i maschi che vivono in territori più ampi dove tollerano la presenza di femmine che agiscono in spazi più ristretti, ma entrano immediatamente in conflitto se ci trovano un altro esemplare di maschio. La riproduzione del Panthera pardus kotiya può avvenire in ogni periodo dell’anno, e i cuccioli generalmente sono due. La cosa che differenzia maggiormente il Panthera pardus kotiya dalle altre sottospecie di leopardi, è che non ha l’abitudine di portare le prede uccise sugli alberi, questo è dovuto senz’altro al fatto che nell’isola non ci sono predatori in grado di sottrargli la sua preda. Nonostante sia stato oggetto per molti anni delle mire dei bracconieri, alla distruzione di gran parte del suo habitat naturale e che a causa della guerra civile, nello stato non ci sia mai stato un serio programma di conservazione della specie il Panthera pardus kotiya non sembra in condizione di rischio di estinzione, questo grazie anche alla sua notevole adattabilità ad ogni tipo di ambiente. Comunque adesso è iniziato uno studio a cura della Wilderness and Wildlife in collaborazione con il governo dello Sri Lanka per constatare effettivamente lo stato di conservazione della specie.

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    LEOPARDO

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    il Leopardo
    Panthera Pardus
    classificazione animale
    Il Panthera pardus da noi conosciuto comunemente come leopardo è uno dei più antichi appartenenti alla famiglia dei felini o felidi (Felidae) che sono una famiglia dell’ordine dei Carnivori.


    I leopardi sono i più piccoli dei quattro grandi esemplari della famiglia pantera pardus, difatti le tigri, i leoni e i giaguari hanno dimensioni maggiori. Leopardi sono anche le pantere nere che sono animali che hanno una forma di melanismo, che è un eccesso di pigmentazione nera o quasi nera della pelle. Il suo ruolo ecologico assomiglia molto a quello del coguaro in America. E assomiglia fisicamente molto al Giaguaro con cui potrebbe avere gli stessi antenati, ma sembra che la specie del leopardo sia più comune con quella dei leoni. Nei tempi antichi i Panthera pardus erano presenti nell’ Eurasia meridionale che è il termine con cui si definisce, in linea generale, la zona geografica comprendente l’Europa e l’Asia, e nell’Africa, ma ora è scomparso da molte di queste zone e al giorno d’oggi il leopardo lo si può vedere nelle zone dell’Africa partendo da l sud del deserto del Sahara fino al nord del Sud Africa, in maniera più frammentata a partendo da alcune zone meridionali dell’Arabia Saudita, proseguendo in tutta la parte del sud dell’Asia, fino All’India dove gli esemplari ritornano a essere più numerosi, e continuano a essere discretamente numerosi in tutta l’Indocina e nella zone di sud ovest della Cina,


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    In Indonesia si trovano ancora degli esemplari nell’isola di Java. La pantera pardus è ormai una specie protetta in diverse zone e il suo rischio di estinzione è piuttosto basso. Questi carnivori hanno un ottimo successo nella caccia grazie alla loro adattabilità a diversi tipi di habitat in cui riescono a trovarsi perfettamente a loro agio, e al loro metodo di cacciare opportunistico, e fatto di agguati verso una notevole varietà di prede. Il suo nome sembra derivi fin dai tempi antichi alla allora credenza che fosse un incrocio fra un leone e una pantera, e sarebbe il risultato di due parole greche unite fra di loro, léon “leone”) e párdos (”pantera maschio”), difatti il termine pantera fu attribuito a molte specie di felini come il coguaro nel nord America, giaguaro in sud America e appunto leopardo negli altri posti, infatti i primi naturalisti non distinguevano le specie dal loro mantello, ma dalla lunghezza delle code. Nel Systema Naturae di Linnaeus di cui abbiamo già parlato in —linneo, systema naturae, classificazione scientifica.— la specie era accuratamente descritta con il nome di pardus di Felis. Comunque il nome Panthera pardus adottato nella sua designazione scientifica e moderna, deriva da una parola di origina latino greca dal significato “tutti”) e “la bestia”.

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    Un altra ipotesi è che derivi da una parola Indo-iraniana che tradotta significa “biancastro-giallo, pallido” . Il leopardo è un predatore molto agile e leggiadro. Pur essendo più piccolo di altri componenti del gruppo Panthera questo animale è capace di attaccare grandi prede, grazie al suo cranio massiccio e alle forti mandibole aggredisce la sua vittima sferrandole un potente mortale morso alla gola. In proporzione il suo corpo è lungo nei confronti delle zampe, i maschi sono notevolmente più grandi delle femmine, e arrivano a pesare novanta kg. contro i sessanta delle femmine, il massimo di lunghezza che possono raggiungere è di 190 cm con una coda di 110 cm, e un altezza alla spalla di 80 cm il cranio è massiccio, corto e largo, ma in proporzione più piccolo e leggero che negli altri grandi carnivori. Il manto del leopardo ha una tintura che varia dal giallastro al nocciola ed è più pallido sul ventre, sotto la coda, e nella parte interna delle zampe, ed è ricoperto da macchie di colore nerastro dall’aspetto irregolare. In base all’ambiente in cui vivono sia il colore che lo spessore del manto cambiano parecchio, negli habitat con una temperatura più fredda la pelliccia è più spessa, dove l’habitat è più umido la pelliccia ha un colore più bruno. Precisamente per la sua stupenda pelliccia il leopardo è stato perseguitato dai cacciatori per un lungo periodo, fino a portarlo a rischiare l’estinzione in diversi luoghi. Il mantello è caratterizzato da una colorazione variabile dal giallo al beige (più chiaro sull’addome, sotto la coda e all’interno delle zampe) e da particolari macchie nere di forma irregolare. La colorazione e lo spessore della pelliccia variano notevolmente con l’habitat colonizzato: negli ambienti con climi più freddi il manto appare più folto, mentre in quelli più umidi si ha una tendenza ad un manto più scuro. Le macchie del leopardo sono quasi circolari nelle specie dell’ africa dell’est invece negli animali che vivono nell’ Africa meridionale sono più a forma di quadrato. Proprio per la sua splendida pelliccia è stato cacciato per molto tempo, sino a condurlo, in alcune regioni, a rischio di estinzione. Le orecchie sono piuttosto piccole, nella parte posteriore sono di colore scuro e hanno una macchia bianca nel centro.


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    Per quanto riguarda il fenomeno del melanismo il colore del manto nero sembra ereditario ed è molto più sviluppato nei leopardi che vivono in zone montuose, e in foreste pluviali, per esempio nella penisola malese quasi la metà dei Panthera pardus è scuro, e questa mutazione li aiuta a mimetizzarsi nelle foreste tropicali, anche in Africa i leopardi dal manto scuro sono molto comuni negli altopiani etiopici anche in questo caso la colorazione li favorisce di molto per la mimetizzazione. Ai Panthera pardus piace molto vivere nelle praterie, nei terreni boscosi e nelle foreste .



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    Panthera pardus fusca

    Leopardo Indiano



    Il Panthera pardus fusca (leopardo indiano) è una sottospecie di leopardo originaria del subcontinente indiano che vive in Nepal, nel Bhutan, nel Bangladesh, nel Pakistan e nella Cina meridionale. Può superare i due metri di lunghezza e superare l’altezza di 65 cm alla spalla, Gli ambienti in cui vive sono le foreste decidue asciutte, in zone semi desertiche, nelle foreste pluviali tropicali, e nelle foreste di conifere anche nei pressi delle città. In queste zone il Panthera pardus fusca è il felino più diffuso, ma deve competere nel suo ambiente con molti altri grandi predatori, alcuni dei quali come i leoni asiatici, tigri del Bengala, sono molto pericolosi anche per gli esemplari adulti, e deve stare attento anche a orsi, lupi, iene e cani selvatici che se ne hanno la possibilità ne uccidono i cuccioli. Le sue prede principali sono Il sambar indiano un tipo di cervo, il Trachypithecus entellus che è una scimmia, il Pavo cristatus che è una specie di pavone, il cinghiale, il Pellet plots che è un tipo di lepre, Il sambar indiano che è un cervo uni colore, i langur che è un altro tipo di scimmia, e i maiali selvatici. In diverse zone dell’India vive a stretto contatto con l’uomo di cui attacca gli animali domestici, e diverse volte anche bambini e ragazzi, come sta succedendo nella città di Bombay all’interno della quale c’è un vastissimo parco formato da foreste in cui vivono numerosi esemplari di Panthera pardus fusca che avendo scoperto nei fanciulli e negli adolescenti che vivono nelle baracche limitrofe al parco delle prede molto facili da catturare stanno creando terrore nella popolazione, considerando che in India uccidere un leopardo è un reato molto grave, e allo scopo di alleviare il conflitto uomo-leopardo il Dipartimento delle Foreste ha allestito una serie di trappole nelle aree di conflitto, e una volta dopo aver catturato l’animale viene poi rilasciato in zone appropriate lontano dagli uomini.


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    Leopardo dell’Amur



    Il Panthera pardus orientalis (Leopardo dell’Amur) è ormai una sottospecie di leopardo che sembra destinata all’estinzione, originariamente il Panthera pardus orientalis viveva in tutta la Penisola coreana, nella Cina nordorientale, e nella Russia sudorientale, attualmente sembra che gli animali allo stato libero siano tra i 25 e i 40 esemplari che vivono nelle montagne di Sikhote-Alin situate nella Russia meridionale, è possibile che ci siano anche ancora alcuni esemplari negli altopiani di Kaema e Baekdusan nella Corea del nord, ma questo stato ne fornisce indicazioni ne collabora con le organizzazioni internazionali. Il suo nome deriva dal fiume Amur e viene chiamato anche leopardo dell’ estremo oriente o leopardo siberiano. Il Panthera pardus orientalis vive negli stessi territori della tigre siberiana, ma non entra mai in conflitto con questo grande carnivoro perché evita accuratamente di entrare nei suoi territori di caccia, come tutti i leopardi, i Panthera pardus orientalis sono cacciatori molto abili ed opportunistici. La loro dieta consiste principalmente in uova di pesce, in cervi di sika, nelle lepri, nei tassi e nei piccoli roditori. Come tutti i leopardi sono animali solitari con abitudini prettamente notturne, e vive principalmente in aree con foreste molto fitte. Il Panthera pardus orientalis ha una pelliccia più lunga e folta degli altri leopardi, per resistere nelle zone fredde in cui vive, il colore del suo manto è sull’arancio dorato ricoperto da macchie nere più grandi che nelle altre sottospecie, in estate il suo pelo è più corto sui 2 cm di lunghezza mentre arriva a una lunghezza di 7 cm nella stagione fredda e in questa stagione il suo colore diventa più tenue e si schiarisce. Quello che ha portato al rischio di estinzione del Panthera pardus orientalis è stato il bracconaggio e la distruzione del suo habitat naturale. Ultimamente è stato istituito un piano della gestione della popolazione per questa sottospecie di leopardo. Il piano consiste nella collaborazione fra gli zoo e le riserve dove ci sono ancora alcuni individui di Panthera pardus orientalis, per cercare di allevare un numero di cuccioli che possano in futuro far nascere altre generazioni in grado di ripopolare le sue zone di origine, la difficoltà maggiore per la realizzazione del piano è trovare i 100 animali che secondo le ricerche sono il numero indispensabile per poterlo effettuare.


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    leo





    Leopardo africano


    Il panthera pardus pardus (leopardo africano) è la sottospecie più comune del leopardo e non corre rischio di estinzione. Il panthera pardus pardus è un animale molto agile e aggraziato nonostante le notevoli dimensioni, ha delle zampe che in proporzione al corpo sono corte e poderose, Le sue orecchie sono corte e con una forma tondeggiante, nella parte posteriore sono nere con una macchia chiara in centro, sul muso presenta delle lunghe vibrisse con un cranio massiccio, corto e largo, ma in proporzione più piccolo e leggero che negli altri grandi carnivori, l’animale possiede dei possenti artigli retrattili e ricurvi, che gli servono sia per arrampicarsi con facilità sugli alberi che per abbattere le sue prede, la sua coda è molto lunga per favorire la stabilità dell’animale sugli alberi zone in cui si rifugia e si riposa molto frequentemente, la sua pelliccia può avere diversi tipi di colorazione, dal castano ruggine al color panna e al giallastro olivastro, ricoperto da grandi irregolari macchie nere, che sono un po’ come le impronte digitali e cioè uniche per ogni individuo, molti di essi sono soggetti a melanismo e perciò hanno un manto molto scuro in cui le macchie praticamente non si distinguono. Il panthera pardus pardus maschio può arrivare ai novanta kg. di peso, invece le femmine sono più piccole. La gestazione di una femmina di panthera pardus pardus dura poco più di tre mesi, alla fine dei quali nascono dai 2 ai 4 cuccioli, che però specialmente in questa sottospecie sono soggetti ad un alta mortalità infantile, causata da principalmente da leoni e iene che se riescono ad individuarli li uccidono immediatamente, i cuccioli aprono gli occhi una decina di giorni dopo la nascita verso i tre mesi di età iniziano a seguire la madre durante la caccia, e continuano a vivere con lei fino ai 18 24 mesi di vita, periodo in cui raggiungono anche la maturità sessuale. Come per praticamente tutte le sottospecie di leopardo i maschi si stabiliscono su un vasto territorio che può arrivare ai 70 km², all’interno del quale possono esserci territori molto più piccoli in cui agiscono le femmine, il maschio marca ripetutamente il proprio territorio usando le feci, l’urina, le secrezioni facciali e i graffi, e dentro il loro territorio non tollerano assolutamente la presenza di altri maschi della stessa specie. Per la difesa del territorio e per la conquista della femmina fra esemplari maschi di panthera pardus pardus possono scatenarsi violenti e a volta mortali scontri. Il panthera pardus pardus caccia una novantina di tipi di prede, le sue preferite sono quelle di mezza taglia, tipo le antilopi e le gazzelle di Thomson, ma in periodi di siccità, in cui queste prede scarseggiano, non esitano ad attaccare animali molto più grandi, con i quali durante lo scontro, possono riportare anche ferite mortali. Una volta catturata una preda il panthera pardus pardus deve anche pensare a difenderla dagli attacchi di altri grandi carnivori che potrebbero sottrargliela tipo i leoni, le iene e i branche di cani selvatici, per questo trascina la preda o su degli alberi oppure in boschi molto fitti, questo tipo di leopardo riesce a trascinare prede con un peso di tre volte superiore al suo. Il Panthera pardus pardus è un cacciatore prevalentemente notturno e raramente caccia prima del tramonto del sole, il suo metodo di caccia è quello tipico di tutti i leopardi, e consiste nell’avvicinarsi silenziosamente alla preda per poi con un balzo maestoso riuscire a infliggerle un potente e mortale morso alla gola con le sue portentose mandibole. I leopardi traggono gran parte dei liquidi dalle loro prede, ma devono bere per sopravvivere. Il leopardo africano vive dalle zone a sud del deserto del Sahara a quelle a nord comprese della repubblica del Sud Africa, in molteplici tipi di ambienti, essendo animali che riescono perfettamente ad adattarsi all’habitat in cui vivono.





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    Leopardo arabo



    Il Panthera pardus nimr (leopardo arabo) è una sottospecie del Panthera pardus, a serio rischio di estinzione che vive nelle zone montuose dell’Arabia, in alcune zone in Israele negli Emirati Arabi Uniti nello Yemen e nell’Oman. Il Panthera pardus nimr è una sottospecie di leopardo di dimensioni inferiori alle sottospecie africane e asiatiche difatti i maschi raggiungono un massimo di 30 kg. e le femmine di 20 kg., il colore della sua bella pelliccia è di un giallo chiaro che diventa più intenso nella zona del dorso, ed è ricoperto da macchie molto scure e irregolari, vive solo nelle zone montuose e caccia capre di montagna, volpi, piccoli roditori, mammiferi, uccelli e carogne, con la quasi totale estinzione del tahr che è una capra di montagna e delle gazzelle che vivevano in queste zone, il Panthera pardus nimr ha iniziato anche ad attaccare gli animali domestici, specialmente le capre, ed è entrato in un conflitto con l’uomo. Anche il leopardo arabo è un animale molto difficile da vedere, sa mimetizzarsi molto bene e mantiene il comportamento tipico della specie, cacciando prevalentemente nelle ore notturne, avvicinandosi in modo furtivo alla preda, per poi saltargli addosso con un gran balzo e ucciderla con un morso alla gola, anche per il territorio non si discostano dal modo di comportarsi tipico del leopardo, con i maschi che agiscono su un territorio molto vasto, all’interno del quale possono esserci dei territori molto più piccoli dove agiscono le femmine. gli animali di ciascun sesso non tollerano l’intrusione di altri leopardi dello stesso sesso nel proprio territorio e per questo possono scatenarsi feroci battaglie. Causa la grave minaccia di estinzione l’Arabian Leopard Trust ha iniziato un progetto di salvaguardia e conservazione della sottospecie, ma per ora i risultati sono molto deludenti e in tutta la zona Araba sembra che non ci siano presenti più di 100 esemplari, mentre una ventina dovrebbero trovarsi in Israele.




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    PANTERA NERA, Pantera pardus melas



    Classe: Mammiferi
    Ordine: Carnivori
    Famiglia: Feldi
    Dimensioni: lunghezza 95-150 cm
    Lunghezza coda 60-90 cm
    Peso: maschio 50-60 Kg
    Femmina 30-40 Kg
    Habitat: umide foreste tropicali e boschi ricchi d’acqua

    Descrizione: Il felino comunemente conosciuto come pantera nera è in realtà la varietà MELANICA del leopardo. Tale pigmentazione permette all’animale di mimetizzarsi fra le ombre della fitta vegetazione della foresta tropicale. Si tratta di un animale slanciato ed elegante, capace di arrampicarsi con destrezza sugli alberi, tra i quali trascorre gran parte della giornata. Solo al calare della notte si avventura al suolo per cacciare. Gli occhi della pantera sono tipici di un animale che conduce una vita notturna, molto grandi, con iride giallastra e pupille rotonde. La pantera può mettere a fuoco un campo più ampio di quello dell’uomo di circa il 10%. Alla luce del sole le chiazze del mantello, caratteristiche del leopardo, sono ancora visibili soprattutto sul ventre. Come tutti i felini anche la pantera ha lunghi artigli affilati retrattili in astucci cornei. Questi vengono estratti grazie ad un sistema di legamenti elastici, solo durante la caccia o quando si arrampica.
    Conservazione: specie minacciata

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    IL GHEPARDO





    Il ghepardo (Acinonyx jubatus, Schreber 1775) è un mammifero carnivoro della famiglia dei Felidi. È l'unica specie del genere Acinonyx della sottofamiglia delle Acinonychinae.



    Sottospecie
    Il ghepardo è diviso tassonomicamente in varie sottospecie, tra le quali, le più minacciate (per il rischio di estinzione) sono: il Ghepardo Asiatico (Acinonyx jubatus venaticus) ed il Ghepardo del Nordafrica (Acinonyx jubatus hecki).


    Diffusione e habitat
    Un tempo il ghepardo era diffuso in quasi tutte le regioni dell’Africa e nelle steppe dell’Asia minore e centrale, oggi è estinto in molte zone dell’India e dell’Arabia ed è attualmente seriamente minacciato anche in varie regioni dell’Africa.


    Descrizione fisica
    Un ghepardoIl suo manto, di color giallo/beige scuro con dei cerchi neri, è simile a quello di un leopardo, ma la sua struttura fisica ne fa un animale assolutamente unico. Il corpo è allungato e sottile, la testa relativamente piccola, le zampe lunghe e scattanti. Inoltre, ha gli artigli non retrattili (caratteristica unica fra i felidi) che gli consentono una miglior presa sul terreno durante i suoi inseguimenti alle prede. Mediamente la lunghezza testa-tronco è di 145-160 cm, più circa 75-90 cm di coda; l'altezza al garrese di 90 cm e pesa fra i 40 e i 65 kg. La sua struttura leggera, e le altre caratteristiche fisiche, come la spina dorsale straordinariamente flessibile -che durante la corsa il ghepardo riesce a contrarre ad arco; col distendersi della colonna vertebrale si sviluppa un’enorme forza propulsiva che, aggiunta alla spinta delle zampe, proietta il corpo in avanti- ne fanno un formidabile velocista. Il ghepardo infatti è il più veloce animale esistente sulla Terra. Quando insegue le sue prede, per lo più gazzelle, supera anche i 100 km/h. Il record cronometrato di velocità è di 120.5 km/h su un esemplare che aveva percorso 640 metri in 20 secondi. Di fatto il ghepardo è più veloce di tutte le sue prede, se si pensa che le zebre e le gazzelle più agili possono arrivare fino a 95 km/h. Però non può mantenere la sua massima velocità per più di 30/40 secondi, in quanto ha un cuore non molto grande, per questa caratteristica il ghepardo si stanca velocemente ed è costretto a rallentare o fermarsi. Perciò prede che possono tenere la massima velocità, anche se nettamente minore di quella del ghepardo, per più tempo, hanno la possibilità di battere sulla resistenza il predatore e quindi di fuggire e mettersi in salvo. Il ghepardo sorprende per la quantità e qualità dei suoni che riesce ad emettere: è infatti in grado di emettere un suono del tutto simile al miagolio e di fare le fusa.

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    Varietà: esistono alcuni esemplari di ghepardo, che, forse a causa di un inizio di melanismo, tendono ad avere nebule invece che macchie. Un tempo, si credeva che questi curiosi ghepardi fossero una sottospecie a se stante, chiamata ghepardo reale, invece oggi si tende a credere che siano semplici variazioni melanistiche.


    Comportamento
    Quasi esclusivamente diurno, il ghepardo caccia all’agguato, come gli altri felini, generalmente nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio. Quando le prede sono in gruppo numeroso il ghepardo invece cambia tattica, si avvicina ad esse camminando in piena vista, mettendo in allarme così le vittime che, disorientate ed impaurite, rimangono immobili fino alla prima reazione di fuga, è a questo punto che il ghepardo scatta fulmineamente e in poche falcate raggiunge la vittima prescelta buttandola a terra con una zampata e immobilizzandola. La lunga coda, in questa circostanza, serve in modo eccellente da timone necessario per seguire gli improvvisi cambiamenti di direzione della preda. Il ghepardo è un animale generalmente solitario, soprattutto le femmine, e, seppure solo in parte, territoriale marcando il territorio con graffi sui tronchi o segnali odorosi. A differenza degli altri felidi, il ghepardo solitamente non tende agguati, in quanto non ha bisogno di nascondersi dalle prede, poiché in ogni caso può raggiungerle in corsa. Tuttavia il ghepardo non è un corridore da lunga distanza, ma principalmente uno scattista. Ha una notevole accelerazione: da 0 a 70 km/h in due secondi e da 0 a 100 km/h in poco più di tre secondi. Una volta partito, se non riesce a raggiungere la preda, di solito abbandona l'inseguimento dopo 20 secondi. La sua velocità compensa una minore forza fisica rispetto agli altri grandi felini. Occasionalmente, infatti, questo animale può vedersi sottrarre una preda da un leone, un leopardo o un branco di iene.


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    Riproduzione
    Dopo una gestazione di circa novanta giorni, la femmina partorisce solitamente quattro o cinque cuccioli, con una lunga criniera, che resteranno con la madre fino all’età di circa due anni: durante questo periodo, oltre a proteggerli e difenderli, la madre li aiuterà ad impadronirsi delle tecniche di caccia necessarie alla cattura delle prede.


    Alimentazione
    La sua dieta comprende erbivori di piccola e media taglia, dagli impala ai facoceri, fino alle zebre.


    Rapporti con l'uomo
    Particolari i motivi per cui veniva cacciato in India dove veniva soprattutto catturato per essere addomesticato e aiutare l’uomo nelle battute di caccia. Nel Medioevo questa usanza venne introdotta anche in alcune corti europee dove però l’allevamento e il mantenimento in cattività di questi animali presentò molte difficoltà. Il ghepardo è relativamente addomesticabile, e spesso i sovrani dei paesi mediorientali antichi li allevavano nelle proprie regge. Diversi ghepardi, ad esempio, erano presenti alla corte dei sovrani di Persia. È infatti molto meno pericoloso del leopardo. Inoltre ancora oggi viene allevato e riprodotto con successo in cattività sia per essere reintrodotto sia per la caccia con il felino. (dal web)



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    Edited by gheagabry1 - 29/1/2023, 23:31
     
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