MILANO

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    Milano: la pasticceria Cova compie 200 anni

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    Di fianco alla Scala, in via Manzoni, nel lontano 1817, Antonio Cova, un soldato di Napoleone, aprì la sua prima pasticceria, con il desiderio di farne il locale più elegante della città. Diventata luogo di ritrovo per i patrioti risorgimentali – che qui si narra abbiano cospirato per organizzare le Cinque Giornate – la pasticceria è stata frequentata da artisti come Giuseppe Verdi, Giovanni Verga e Giacomo Puccini ed è stata citata da Ernest Hemingway in ben due romanzi. Nel 1950 Cova trasloca e si sposta nell'attuale sede di via Montenapoleone, anticipando la nascita del celebre Quadrilatero della Moda, dove ancora oggi si respira un'atmosfera senza tempo, tra arredi preziosi, l'originale pavimento in mosaico all'ingresso, gli specchi dorati, gli antichi stampi in pietra dei cioccolatini appesi alle pareti, i lampadari in cristallo e lo storico bancone in mogano con un ripiano di marmo con venature dorate.

    (tratto da un articolodi GIUSEPPE ORTOLANO, 15 giugno 2017, www.repubblica.it )


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    "In giro per le pasticcerie storiche di Milano.
    La pasticceria Cova è stata fondata nel 1817 da Antonio Cova ex soldato napoleonico e negli anni ha cambiato diversi nomi da caffè a offelleria a pasticceria come la conosciamo anche noi oggi. Il primo locale era ubicato in piazza Scala e potete vederne l’immagine originale sulle tazzine. Qui, come in diversi altri caffè storici della città, si è fatta la storia: i patrioti delle V giornate si davano appuntamento a questo bancone o su questi divani per discutere come vincere gli austriaci. Fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruita dove si trova adesso, in Montenapoleone 8, in un palazzo progettato dal Piermarini.

    Da brava sciuretta milanese quale sono, adoro andare da Cova a bermi un buon caffè e restare ammirata davanti alle sue vetrine. Un paio di anni fa invece, ho deciso di superare la timidezza verso questo luogo magico e mi sono accomodata al tavolo. Che splendore! Saranno stati gli alberi di Natale, il fermento che si respirava per la prima della Scala, il fatto di aver visto diversi signori un po’ agee in abiti eleganti però mi sono trovata subito catapultata in un’altra epoca fatta di eleganza, bon ton, raffinatezza. Ecco, tutto questo è la pasticceria Cova: un luogo che ha festeggiato un paio di anni fa i suoi primi 200 anni mantenendo intatti gli arredi: i divanetti blu, il tovagliato in lino chiaro, gli specchi e i lampadari.

    Chissà se i giovani stranieri seduti ai tavoli vedevano tutto questo oppure per loro era un semplice break dalla frenesia dello shopping?"



    (Ilaria Garavaglia)
     
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    Da Annamaria Ràulli

    "Narra una storia milanese antichissima che per un periodo Satana prese casa a Milano, al numero 3 di Corso di Porta Romana.
    Ovviamente non andava in giro con tutto l’armamentario di corna e zoccoli, ma sotto le nobili vesti di Ludovico Acerbi, marchese di Cisterna.
    Arrivato in città nel 1615 per incarico del governo spagnolo, il marchese prese casa in un palazzo del centro in corso di Porta Romana appunto, al numero 3, palazzo Acerbi, dove prese residenza per diversi anni.
    Il marchese stando alle testimonianze aveva un aspetto davvero molto inquietante e pare che amasse girare con un’imponente carrozza trainata da sei cavalli neri; egli difficilmente toglieva il cappuccio per farsi guardare in volto, sempre vestito con una livrea dorata e cappuccio con mantello, e sempre contornato e servito da donne e uomini bellissimi.
    Quando Milano fu colpita dalla peste era nel delirio più totale, piazze deserte, botteghe chiuse, le strade e i vicoli si riempirono di morti.
    ll 2 gennaio 1630 venne segnalato il primo caso di peste: si trattava di un calzolaio. Non è un caso che sovente le prime vittime erano coloro che lavoravano a diretto contatto con calzature o con oggetti quotidiani in contiguità con il suolo che, troppo spesso, mancava delle più elementari condizioni igieniche, finché nel 1632 la peste li sterminò; Milano in quegli anni aveva oltre 100mila abitanti: fu una vera strage, rimasero in 47mila.
    Ma in tutto ciò, a Palazzo Acerbi il marchese non smise mai di organizzare feste sfrenate all’insegna del lusso nel suo palazzo.
    Né lui né i suoi invitati si ammalarono mai di peste, e presto si sparse la voce che in Porta Romana fosse venuto ad abitare niente di meno che il Diavolo in persona.
    Nessuno riusciva a spiegarsi come mai tutti quelli che erano transitati in quel palazzo non si fossero ammalati.
    La storia narrata vive ancora e si potenzió ancora di più, quando successe una cosa davvero più insolita: nel 1943 epoca di bombardamenti assidui che colpirono e distrussero ogni cosa a Milano, il palazzo fu risparmiato dai bombardamenti angloamericani, senza alcuna spiegazione; i più anziani, quelli nati poco dopo la metà dell’Ottocento che avevano ancora memoria dei racconti dei loro nonni nati nel settecento, raccontano appunto che quel palazzo è stato uno dei rarissimi a non esser neanche sfiorato misteriosamente da quell'era decadente!
    A Milano come abbiamo detto, rimasero in circa 47.000, fra questi un centinaio avevano partecipato alle feste di palazzo Acerbi, l'unico luogo della citta in cui misteriosamente vi era sempre qualcosa da festeggiare e le finestre erano sempre illuminate con banchetti sfarzosi anzichè stare come tutti ai ripari dalla malattia e preoccuparsi di ció.
    Chi di notte passava per Milano trovava strade piene di morti ovunque, ma passando davanti al palazzo al numero 3 di Porta Romana poteva sentire l'allegria delle feste e della musica che echeggiava dai sontuosi saloni.
    Una storia davvero bizzarra mixata a leggende tramandate: se passate al numero 3 di Porta Romana, osservate i volti inquietanti raffigurati sotto la balconata principale, si narra che chi guarda quei mostri negli occhi non si ammalerà mai, perchè talmente è stato forte il male che vi ha alloggiato, da tener lontana la malattia.
    Con questo racconto, voglio lasciarvi una chiave di lettura visti i giorni particolari che stiamo vivendo: continuare a ballare, nonostante tutto"

     
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    "Come si può dimenticare l’arrivo a Milano? Per la prima volta vedevo cose mai viste e mai immaginate. Una stazione immensa, piena di treni, di rumori, con la tettoia ad archi che sembrava si prolungasse all’infinito, maestosa come un tempio antico. Una moltitudine di gente sempre di fretta. Poi di colpo, all’aperto, la piazza sconfinata con alberi, aiuole, tram che si incrociavano, lo scatto degli scambi nel groviglio dei binari, lo sfavillio delle scintille che si libravano dal trolley, le file dei taxi, le reclame luminose e immense. Nei primi giorni vedevo, vedevo: il Duomo, la Scala, la Galleria, i grandi magazzini, la Rinascente e l’Upim, le facciate delle banche, corso Vittorio Emanuele, corso Buenos Aires, le vie, le piazze. Com’era bella Milano"

    (Gaetano Alfetra)

     
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    "MILANO TRA STORIA E LEGGENDA"

    La belle Gigogin, l’anello del forzuto, la Zavataria


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    La piazza Mercanti, specialmente dopo il 1859, cioè dopo la ritirata definitiva degli Austriaci, venne usata per tenere spettacoli di piazza . Tra gli artisti che qui si esibirono spicca un certo Catoni: un uomo di proporzioni addirittura gigantesche; sembra che un suo dito fosse grosso come il polso di un uomo normale, ed era un suo vezzo appunto far circolare tra la folla il suo anello nuziale d’oro che era grosso come un bracciale. Pare comunque che una volta gli venne reso un anello falso: qualcuno non si era lasciato scappare l’occasione di rubare un bel po’ di oro!
    Sempre sulla piazza, dopo l’unità d’Italia, furono in voga per molto tempo i concerti della domenica pomeriggio tenuti dalle diverse Bande cittadine. E’ durante questi concerti che venivano suonate canzoni popolari giunte sino a noi come “La bella Gigogin” e “Forza Giulay” ed altre nate durante il Risorgimento.
    Pare comunque che la canzone “la bella Gigogin” nasconda qualche segreto.
    Di fatto il testo della canzone è scritto parte in italiano e parte in milanese, e già questo risulta un poco strano. La ragione di questo fatto strano sembra sia quella che nella parte del testo in dialetto, siano nascosti messaggi che gli occupanti austriaci non dovevano capire. In particolare, per esempio, le frasi “per non mangiar polenta” e “daghela avanti on passo” sembrano in effetti nascondere una ingiuria nei confronti della bandiera austriaca di colore giallo ed un invito al Piemonte a fare un altro passo per entrare finalmente in Lombardia. Sembra invece un poco inverosimile che la canzone sia stata cantata da una giovane ragazza proprio sulle barricate delle Cinque Giornate
    Del resto, sempre a questo proposito di messaggi, tutti sanno che il grido “Viva Verdi” che echeggiava all’interno del Teatro alla Scala, non era solo un omaggio al grande Maestro ma anche “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”.
    Sulla via Mercanti invece, proprio di fronte al Palazzo della Ragione, c’è il Palazzo del Collegio dei Giureconsulti, costruito verso la metà del 1500. La torre che campeggia a metà del Palazzo è invece più antica essendo stata fatta erigere alla fine del 1200 dall’allora Signore di Milano Napoleone Della Torre (a Milano meglio conosciuto come Napo Torriani).
    Oggi la torre mostra un grande orologio ma una volta, al suo posto, c’era una grande campana chiamata “Zavataria” dal nome del Podestà Zavatario Strada che l’aveva fatta collocare proprio sulla torre. La campana in effetti, oltre che dare il segnale del mezzogiorno, serviva anche per dare ogni sorta di segnale alla cittadinanza, da quelli di pericolo o di incendio, a quelli di giubilo per particolari ricorrenze. Sembra che, durante le famose Cinque Giornate del 1848, la campana suonasse talmente tanto e talmente forte che alla fine si ruppe e dovette essere rimossa."
    (Franco Casati)

     
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    MILANO TRA STORIA E LEGGENDA
    Le civiltà nascoste (quarta parte)

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    Vediamo ora come era formata la Milano romana, quali erano i suoi confini, quali i suoi monumenti più importanti e quali di questi sono arrivati fino a noi.
    La Milano romana sorgeva quasi esattamente dove è ora il centro cittadino, con una pianta pressoché quadrata (la forma quadrata è tipica del castrum romano) attraversata da due direttrici: la prima SUD-NORD, il così detto “CARDO” (o Cardine) indicava la strada che da Roma ( per la Via Flaminia e poi la Via Emilia da Rimini ) portava verso il Lago Maggiore ed il nord Europa; e la seconda EST-OVEST, il così detto “DECUMANO” che da Bergamo ( e quindi da Venezia) andava verso Mortara, Novara e Vercelli. Sono queste, il “CARDO” ed il “DECUMANO”, le due strade che si incrociavano proprio nella zona delle attuali Cinque Vie, nei pressi del FORO ROMANO, il cui lastricato è ancora oggi conservato nella Cripta della Chiesa del Santo Sepolcro e nelle Cantine della Ambrosiana.

    Sulla direttiva del decumano esisteva PORTA TICINESE e, poco vicino, in via Meravigli, sorgeva invece la PORTA VERCELLINA che apriva la strada verso il Piemonte, mentre poco oltre S.Babila c’era la PORTA ARGENTA ( o Argentea, dai milanesi chiamata porta Renza) che apriva la strada verso Venezia. Sulla direttrice del cardo invece sorgeva sull’area dell’attuale piazza Missori la PORTA ROMANA che conduceva a Roma mentre nei pressi del Castello era situata la PORTA GIOVIA che apriva la strada verso il Nord.
    Ancora adesso la strada che porta a nord è detta statale dei Giovi.
    Vediamo ora i monumenti ed i fabbricati più imponenti di questa Mediolanum.
    In Via BRISA (all’inizio di Corso Magenta) rimangono i ruderi di un antico edificio termale (noi tutti sappiamo quale predilezione avessero i romani per le terme) risalente, probabilmente, ai tempi di Costantino, cioè al IV secolo d.C.; nella vicina via ANSPERTO ( a metà di via Brisa) il campanile della Chiesa di San Maurizio, non è altro che la torre occidentale dei “Carceres” del vicino CIRCO ROMANO, ed infatti la vicina via CIRCO, alla congiunzione tra via Cappuccio e via Lanzone, ci ricorda appunto che qui esisteva la costruzione del CIRCO ROMANO. L’edificio in questione, (assieme alle le Terme Erculee vicino a san Babila), è il più imponente fabbricato dell’epoca romana: misurava infatti ben 500 metri!
    Qui occorre fare una precisazione circa i termini “Circo” ed “Anfiteatro” od “Arena” che dir si voglia.
    Il Circo era il luogo ove venivano disputate le gare delle bighe, mentre l’Arena era il luogo dei giochi con i gladiatori , con le bestie feroci e quant’altro. Le Arene sono state anche il luogo di martirio di molti cristiani.
    Del Circo romano ben pochi reperti restano al giorno d’oggi: un MURO in via TORCHIO, alcuni PILASTRI in via CIRCO, due ARCATE in via VIGNA. E non andate neppure a cercare queste poche vestigia perché non le trovereste: sono infatti tutte inserite (tranne il Campanile si intende) in giardini e proprietà private
    (Franco Casati)

     
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    L'ALBERO DI BAULI IN PIAZZA

    (foto andrea cherchi)

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    L'Albero dei lavoratori del mondo dello spettacolo si trova in Cadorna

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    Piazza Gae Aulenti

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    Piazza Gae Aulenti



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    cherchi_mi

    Si chiama Mr Arbitrium ed è un'opera imponente dello scultore Emanuele Giannelli

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    Spingere o sostenere?
    Mr Arbitrium è una scultura di 5,40 metri che nell'azione di spingere cela anche l'azione di sostenere, entrambe svolte con la stessa muscolatura e la stessa tensione.
    Da questa ambivalenza nasce il duplice significato dell'opera e il concetto della scultura stessa, che lascia all'osservatore la decisione finale.

    1chechi

    cherchi2

    cherchi



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    NATALE A MILANO

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    Me ricordi che a Natal faseva frécc.
    Gh'era la nev e i veder coi stell de giàss.
    Gh'era el camin
    o la stua sempr'acès
    e la pell di mandaritt a profumass.
    La letterina piéna de brillantit
    sconduda ben ben sòta el piatt del papà
    con cent promess che duraven
    men d'on dì
    on testament per l'ann
    che doeva 'rivà.
    La poesia imparada a memoria
    l'era la scusa per 'nda a troà i parent,
    ciapà cinq ghéi, on belé
    o per gloria,
    toron e ciocolat de metes sòta i dent.
    A Sant'Ambroeus andavom per i fòss
    catà la tépa
    per fà el presépi bell
    l'era ona gara a troà i tòch gròss
    per el prà e i montagn senza vedé 'l tochèll.
    Dopravom l'antracite per fa i gròtt
    e spécc per fa 'l lagh con dent i ochétt,
    i statoètt de gèss e pù nagòt
    se 'l nòno 'l ghe faseva nò i casétt.
    L'albero l'era di sciori, e pòc credent
    ma l'era alegher
    tacavom su tusscòss
    i mandaritt, nous, bomboni,fil d'argent
    el dì de Natal ghe stavom tucc adòss.
    Intorna a on taol,
    per mangià inséma l'oca,
    mostarda, panaton e acqua di pòmm
    speravom che vegniva giò la fioca
    per scaldà 'l coeur e la Gèesa la pareva el Dòmm.



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    Mi ricordo che a Natale faceva freddo.
    C'era la neve e i vetri con le stelle di ghiaccio.
    C'era il camino o la stufa sempre accesa
    e la pelle dei mandarini a profumare.
    La letterina piena di brillantini
    nascosta bene sotto il piatto del papà
    con cento promesse che duravano
    meno di un giorno
    un testamento per l'anno
    che doveva arrivare.
    La poesia imparata a memoria
    era la scusa per andare a trovare i parenti,
    prendere cinque lire, un regalo o per gloria,
    torrone e cioccolato da mettere sotto i denti.
    A Sant'Ambrogio andavamo nei fossi
    a raccogliere muschio
    per fare il presepe più bello.
    era una gara e trovare i pezzi grossi
    per prati e montagne senza far notare i pezzi.
    Usavamo l'antracite per fare le grotte
    e gli specchi per fare il lago con dentro le ochette,
    la statuine di gesso e più nulla
    se qualche nonno nen faceva le casette.
    L'albero era per i ricchi e dei poco credenti,
    ma era allegro.
    Ci appendevamo di tutto,
    mandarini, noci caramelle, fili d'argento
    e il giorno di Natale ci stavamo tutti addosso.
    Intorno a un tavolo
    per mangiare insieme l'oca,
    mostarda, panettone e vino dolce.
    Speravamo che venisse giù la neve
    per scaldarci il cuore.
    E la nostra Chiesa sembrava un Duomo.
    (Loredana Moroni)


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