SCULTORI

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  1. gheagabry
     
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    Antony Gormley

    e le statue suicide: quando l'arte sembra realtà


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    Un uomo immobile, nudo, campeggia in cima ad un grattacielo di San Paolo in Brasile. Si tratta di una scultura a grandezza naturale, anzi, una delle 31 sculture con cui Antony Gormley ha riempito gli spazi più alti della città, ponendo le statue all'ultimo piano degli skyline.

    Installazione di Antony Gormley a San Paolo... vederlo dalla strada sembra una persona reale, tanto che sono stati chiamati a intervenire i vigili del fuoco perché si pensava fosse un
    uomo in procinto di suicidarsi. L'inusuale installazione (intitolata Still Being), che aprirà ufficialmente sabato 19 maggio e proseguirà fino al 15 luglio, fa parte di un più ampio progetto che porta il nome di "Event Horizon", in cui l'artista inglese analizza il corpo umano e il suo
    rapporto con gli spazi, soprattutto quelli estesi e molto costruiti come le grandi città. Motivo per cui sceglie gli ultimi piani dei grattacieli per installare le sculture e permettere così alle sue opere
    di puntare lo sguardo verso l'orizzonte e di fissare la proliferazione di edifici di una città da 20 milioni di abitanti. 'Another Place', installazione in riva al mare. La stessa mostra venne presentata a Londra nel 2007 e lo scorso anno a New York, dove creò lo stesso identico allarme che a San Paolo (furono almeno 10 le chiamate alla polizia di richiesta d'intervento per i presunti
    suicidi) e dove la sensibilità per eventi tragici dopo l'attentato dell'11 settembre è palpabile. Il tema del suicidio, d'altronde, è di forte attualità anche per via della crisi economica che sta investendo .. Europa e Stati Uniti e in un paese con così tante differenze di status sociale come è il Brasile lo è forse ancora di più.

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    Gormley, dal canto suo, si difende asserendo che la sua intenzione non è quella di porre l'attenzione su un'azione così estrema: "La mia intenzione non è quella di spingere qualcuno al suicidio. Se la gente pensa alla morte e al suicidio è una triste riflessione dell'evoluzione".
    Laureato in antropologia, storia dell'arte e archeologia, l'artista ha passato quattro anni a studiare il tema del corpo umano, in particolare rispetto a grandi spazi fisici che lo circondano. Il suo scopo? Quello di coinvolgere gli spettatori con proiezioni e installazioni che vanno al di là di una semplice galleria al chiuso. Una sfida che, almeno in questo caso, ha delle controindicazioni.



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    Edited by gheagabry1 - 26/7/2021, 14:57
     
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  2. gheagabry
     
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    GEHARD DEMETZ

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    Non poteva che diventare scultore Gehard Demetz perché il legno è nel sangue degli altoatesini. E lui, nato a Bolzano e cresciuto in Val Gardena, ha assecondato il destino e da apprendista in bottega è diventato maestro scultore e figura di spicco nel panorama artistico contemporaneo.
    Tanti piccoli tasselli di legno, minuziosamente assemblati tra loro, che profumano di tiglio e montagna e al tatto hanno una consistenza ora morbida e levigata ora ruvida e frastagliata. Sono le sculture uscite dallo scalpello e dall’estro dell’artista altoatesino Gehard Demetz. Protagonisti indiscussi della ricerca di questo “artigiano” della Val Gardena sono sempre i bambini, anche se della spensieratezza dell’età dell’innocenza non hanno nulla. Corpi gracili, volti austeri e imbronciati, posture composte, quasi solenni: un esercito di adolescenti scolpiti nel legno di tiglio che prende sul serio la vita, un’infanzia che si porta già sulle spalle tutto il peso del destino. Perché mentire, questo non è di legno, questo è il materiale dei sogni. E i sogni sono il luogo ideale per il surrealismo scuro a salire.

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    Osservando da vicino le opere si nota che uno degli elementi più importanti dal punto di vista formale, ideale, nell’opera di Gehard Demetz è la presenza di vuoti, la mancata coincidenza, tra le varie parti sagomate che compongono l’opera. Le figure sono complete, ma sono visivamente “disturbate” da questo assemblaggio imperfetto, esattamente come avviene su uno schermo digitale quando interviene un disturbo elettronico dei pixel. Per accentuare il senso di non finito spesso il retro delle sculture è scavato, come se fossero stati asportati dei pezzi di materiale, o fossero in attesa di essere posizionati, in una sorta di costruzione a cubetti, proprio come quella dei giochi da bambini. Lo scultore racconta che è affascinato da una molteplicità di atteggiamenti di bambini e adulti. Molti loro comportamenti sembrano misteriosi, in parte indecifrabili, e indirizzano i suoi pensieri alla continua ricerca di similitudini e confronti.
    (dal web)


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    Edited by gheagabry1 - 26/7/2021, 15:13
     
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  3. gheagabry
     
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    UN SALTO NEL PASSATO...

    ...IL CRISTO VELATO...UN MISTERO NELL'ARTE



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    "La pietra diventa liquida, grazie
    all'arte dello scultore, la trasparenza perfetta,
    inesistente il peso del sudario, anche perché
    in realtà, fisicamente, non c'è, eppure è
    visibile per magia ottica, per incantesimo
    della materia all'occhio. È il corpo stesso
    che genera, piegando il marmo in
    morbidissime onde, il suo velo. che lo
    separa dai viventi. Proprio questo
    miracoloso generare di leggerezza
    incorporea dalla pietra, rende alla scultura
    vita sublimata, trasformando il cadavere del
    Cristo in un sorprendente mistero. È una
    "visione". Di questo si tratta, di una
    perturbante ed ammaliante "maraviglia" che
    assorbe e sconcerta l'osservatore, rendendo
    la percezione visiva un fatto mistico.. quel corpo sublime
    che scioglie il marmo e lo ricama fino al
    merletto che si ripiega nell'angolo accanto al
    suo piede sinistro, è qualcosa di talmente
    straordinario ed ineffabile da essere divino
    nel senso più alto e trascendente della
    parola, deposta la corona di spine ed il
    chiodo e la tenaglia del martirio, è Cristo
    soltanto nel nome, è soprattutto l'uomo che
    la morte rende eroe di un'altra realtà,
    superamento eterno della materia, grazie
    all'intangibile genio dell'Arte."


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    Antonio Canova tento’ di acquistarlo senza fortuna e si dichiarò disposto a dare dieci anni della sua vita “pur di essere l’autore di un simile capolavoro!”
    Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino è veramente un’opera mirabile, poco conosciuta, ma che rientra a pieno titolo fra i più grandi capolavori della scultura mondiale. Realizzata nel 1753 da Giuseppe Sanmartino (Napoli 1720-1793) , sulla committenza di Raimondo di Sangro Principe di San Severo, nobile napoletano, ma anche alchimista, inventore e scienziato (ma anche massone!), ha dato adito nel corso dei secoli a molte discussioni in merito alla sua realizzazione. Infatti l’opera, si dice, fu realizzata dietro dettami ben precisi del Principe e sembra che non siano stati usati metodi tradizionali di scultura.
    Sorprende la sofisticatezza di esecuzione, che a dir la verità, non si rivede in altre opere del Sanmartino, ne’ precedenti ne’ seguenti al Cristo velato. Giuseppe Sanmartino fu sì scultore eccelso, ma non seppe più eguagliare l’eccellenza di quest’opera….
    E a questo punto le ipotesi sul principe alchimista prendono piede e alcuni studiosi ipotizzano che siano stati adottati dei procedimenti chimico fisici stupefacenti per l’epoca. Effettivamente osservando la scultura da vicino,si ha proprio l’impressione che il velo circondi una statua già scolpita e non esserne parte integrante. Ma come si è potuto realizzare un velo di marmo?
    Gli estimatori del Principe sostengono, grazie ad alcuni documenti ritrovati nella dimora dei San Severo, che i veli sono stati ottenuti cristallizzando una soluzione basica di idrato di calcio o calce spenta. Si sarebbe proceduto in questo modo: la statua veniva posta in una vasca e ricoperta da un velo bagnato; su questi veniva versato latte di calce diluito e sul liquido veniva versato ossido di carbonio proveniente da un forno a carbone. In questo modo si otterrebbe una precipitazione di carbonato di calcio e cioè marmo che andrebbe ad integrarsi alla statua. Ma tutto questo non è mai stato dimostrato….Di sicuro si sa che il Principe in data 16 dicembre 1752 firmò una ricevuta di pagamento per il Sanmartino,conservata presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli dove si legge: “..E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagherete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo..”.
    Tutta l’impostazione scenica della cappella è un chiaro riferimento alla simbologia massonica , società a cui il principe apparteneva e di cui ne fu Gran Maestro. La statua del Cristo è situata al centro della Cavea sotterranea, una specie di cripta,illuminata da “lampade eterne” inventate proprio da Raimondo di Sangro e studiando questo tipo di illuminazione, lo scultore esaltò le pieghe del velo che ricopre la figura del Cristo morto per accentuarne la drammaticità. In origine, infatti, la Cavea doveva essere accessibile dalla sacrestia (e non dalla navata della chiesa) e doveva rappresentare la "caverna" massonica che avrebbe contenuto il Cristo, morto, sì, ma simbolo della Resurrezione, così come a nuova vita rinasceva il "fratello" nuovo aggregato alla loggia.
    Ma osserviamo bene l’opera nei dettagli : il blocco di marmo è unico, il corpo del Cristo è adagiato su di un materasso,con il capo, reclinato leggermente da un lato, è sorretto da due cuscini, il volto e il corpo sono avvolti da un velo che aderisce perfettamente alle forme del viso e del corpo esanime del Redentore in una cascata di piegoline e risulta talmente leggero e all’apparenza intriso del sudore della morte che sembra aderire al corpo mostrandone i minimi particolari, come la contrattura del volto sfigurato dalle sofferenze, le membra martoriate, l’incavo del ventre denutrito, la piaga del costato e le lacerazioni delle mani e dei piedi. A lato dei piedi , adagiati sopra al velo si trovano gli strumenti del supplizio: la corona di spine, una tenaglia e i chiodi, uno dei quali “pizzica” il tessuto con straordinaria plasticità e realismo.
    La visita a quest’opera non lascia indifferenti neanche i più disinteressati all’arte, è qualcosa che colpisce allo stomaco in maniera indelebile, si resta affascinati e contemporaneamente spaventati da tanta sublime perfezione e non possiamo che ringraziare il Principe per averci lasciato tanta bellezza.
    Se volete ammirare questo capolavoro lo trovate a Napoli nella Cappella dei Principi di Sangro di Sansevero a Santa Maria della Pietà, o “Pietatella”, in via Francesco De Sanctis.
    (patrizia-isentieridellarte)


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    Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino.
    Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.
    Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani. La moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.
    La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.
    (museocappellasansevero)


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    Chi era Giuseppe Sanmartino o Sammartino?
    Come mai questo scultore apprezzatissimo dal Canova è quasi sconosciuto?
    Nella maggior parte dei dizionari enciclopedici si leggono solo poche notizie :
    Scultore napoletano, nato nel 1720 e morto il 12.12.1793. E' ricordato per essere un costruttore di presepi e di pastori in stile veristico napoletano.
    Come scultore è definito un tecnicista aulico e accademico, conosciuto soprattutto come autore dello stupendo Cristo velato (considerato ingiustamente per molti anni da una vecchia e cieca critica, di un virtuosismo formale ispirato indirettamente al Bernini e trascurato dalla storia dell'arte). Autore di molte tombe e sculture nelle chiese napoletane, fra cui le decorazioni "Le allegorie " (1750-57) della certosa di San Martino .
    Spulciando qualche vecchia guida di Napoli si legge "...supera in perfezione quest'ultima (stava descrivendo un'altra statua presente nella cappella dove è collocata) la statua del Cristo morto del nostro Sanmartino, e non le è inferiore per per la maniera straordinaria ond'è scolpita essa è coperta da un velo da capo a piede, il quale lascia scorgere attraverso esso i muscoli e le fattezze del corpo.
    Il velo sembra essere leggermente bagnato del sudore della morte, e tutta la figura spira nobilta' e grazia" (da "La descrizione di Napoli" di Giuseppe Maria Galanti del 1829).
    Nella guida di Napoli appositamente stampata per il congresso degli scienziati in città del 1845, si legge "Ma ciò che più d'ogni altra cosa reca stupore ed ammirazione grandissima é la statua del morto Gesù adagiato su di una coltre di porfido con una finisima sindone,che negligentemente gettatagli sopra,tutte le involge le delicate membra, le quali sotto di essa traspariscono. Gli strumenti della passione vi giacciano accanto come gettati l'uno sopra l'altro, eppure tutto è conformato in un sol pezzo di bianco marmo.
    E' autore di questo stupendo lavoro il nostro Giuseppe Sammartino"
    Dalla guida sacra della citta' di Napoli di Gennaro Aspreno Galante del 1872, si legge che "A sinistra una saletta mena in ipogeo ovè il famoso Cristo morto avvolto tutto nel sudario che sembra bagnato tanto da far trasparire le fattezze del nudo corpo questo lavoro inapprezzabile é del nostro Sammartino che imitando la Flora Borghese mostrò che se è impossibile superare il greco scalpello fu pero'agevole allo scultor napolitano l'emularlo. Pure i detrattori del Sammartino cercano invano difetti in quest'opera, ma il valente artista sara' sempre sicuro del fatto suo, da che il Canova esibì qualunque prezzo per acquistar questo Cristo"
    Abile ed eccezionale scultore di un opera talmente plastica e affascinate di Cristo morto, nonostante il fatto che nel progetto originale fosse prevista la sua collocazione in una cripta sotterranea, una volta costatata la splendida esecuzione, fu sistemata proprio al centro della capella San Severo, gioiello del Settecento napoletano, dove ancor oggi fa bella mostra, nei pressi di piazza San Domenico Maggiore, nel cuore della Napoli antica.
    L'incredibile gioco del sudario, i morbidi chiaroscuri fecero sorgere le più assurde leggende circa la sua esecuzione, fino al punto di asserire che il velo fosse stato posto dopo l'esecuzione dell'opera e marmorizzato con una sostanza chimica.
    In realta' si tratta di un esempio perfetto di sottigliezza tecnica, fascino simbolico, sentimento lirico. Nell'opera dello scultore napoletano, non è evidenziata una netta distinzione tra il corpo e il velo, nel suo Cristo la carne del cadavere si confonde e si disfa nel lieve sudario e la figura raggiunge effetti d'intenso patetismo che sono d'ispirazione barocca.
    La scelta del marmo paglierino accentua nello spettatore la sensazione del pallore della morte. Si notano su questa scultura le molte influenze del barocco del Fanzago, del Bottigliero e del Vaccaro e forse proprio questa poca ispirazione al neoclassicismo dilagante al tempo della sua esecuzione, ha fatto sì che quest'opera fosse snobbata dai critici classici e romantici e dimenticata.
    Per il suo disinserimento dalle mode artistiche del tempo, fu ingiustamente messa da parte, in un mondo allora in cerca solo di novita', una delle sculture più suggestive e emozionanti di tutti i tempi.

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    Altre opere del Sanmartino:
    Statue che decorano l'annuciazione e le tombe dei fratelli Michele e Andrea Giovene nella chiesa della "Nuziatella".
    Le statue della "Sapienza" e della "Santità" dei SS. Lazzaro, Michele, Lucia, e Antonio Abate, nella chiesa dell'Annuziata
    La tomba di Filippo di Borbone nella Basilica di Santa Chiara.
    Bassorilievi a stucco nel corile dl palazzo del principe di San Severo in p.zza San Domenico.
    Due puttini del 1766 nel paliotto della chiesa di san Marcellino e Festo
    La tomba di Alessandro Falcone nella chiesa di San Domenico Soriano a piazza Dante.
    Le statue di Mosè e Aronne nella splendida chiesa dei Girolomini in via tribunali.





    Rielaborazione di un articolo tratto da artnow (da cui è nato whipart)
    Napoli. 26.02.2001 a cura di Mezzacapa (Antonio Colecchia)

    Edited by gheagabry1 - 26/7/2021, 15:28
     
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    DAMIEN HIRST

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    Martedì scorso a Ilfracombe, cittadina sulla costa occidentale dell’Inghilterra, in Devon, è stata inaugurata la nuova opera dell’artista inglese Damien Hirst, uno dei più quotati al mondo in questi anni. L’opera si chiama Verity ed è una statua di bronzo alta 20 metri, eretta di fronte al mare, raffigurante una donna incinta sezionata per metà che brandisce una spada. Sul suo sito l’artista inglese ha spiegato che Verity rappresenta “un’allegoria contemporanea di verità e giustizia”. L’opera, che resterà per 20 anni a Ilfracombe, ha già generato molte discussioni tra i residenti, divisi tra chi la ritiene una provocazione gratuita e volgare e chi crede che riuscirà ad attirare nella città molti turisti.

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    ilpost.it

    Edited by gheagabry1 - 21/1/2022, 00:33
     
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    Mongolia - Il duo di Brooklyn composto nel 1999 da Patrick McNeil e Patrick Miller ha operato in collaborazione con lo scultore mongolo Bat Munkh, nella progettazione di un’enorme scultura polimaterica.
    L’opera si basa su Eat with the wolves (Mangia con il lupo), un disegno realizzato da Faile nel 2009. Rappresenta un indiano che in testa ha una pelle di lupo, ma guardando meglio si scopre che è un uomo d’affari in pantaloni e giacca che guarda verso il cielo, intento a liberarsi dalla cravatta, la brandisce in aria a mo’ di scalpo. Con un'altezza di circa 16,5 piedi, la scultura è composta da fibra di vetro, acciaio e granito e si trova nel sito del National Garden Park a Ulan Bator, in Mongolia.

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    Come rivelano gli stessi autori in una recente intervista su Vandalog, il lupo è un animale nomade il cui culto è collegato allo sciamanesimo. L’opera fa parte della serie Lost in Shadows Glimmering, in cui Faile racconta del ritorno dei nativi americani nelle città, a riprendersi la terra che i loro avi avevano lasciato.

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    artsblog.it

    Edited by gheagabry1 - 26/7/2021, 16:42
     
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    « io volevo [...] far cementare le mie statue, una dietro l'altra, davanti al municipio di Calais, proprio nel mezzo al selciato della piazza, come una corte vivente di sofferenza e sacrificio. Sarebbe sembrato così che i miei personaggi si ergessero dal Municipio al campo di Edoardo III; e gli attuali abitanti di Calais, quasi sfiorandoli nel passare, avrebbero meglio sentito l'antica solidarietà che li lega a questi eroi. Sarebbe stato, credo, di grande effetto. Ma rifiutarono il mio progetto e mi imposero un piedistallo tanto deforme quanto inutile. Hanno sbagliato, ne sono certo. »


    AUGUSTE RODIN


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    François-Auguste-René Rodin nacque il 12 novembre del 1840 a Parigi. Suo padre, Jean-Baptiste, era un impiegato presso gli uffici di polizia della città. Rodin iniziò fin da bambino a mostrare una particolare inclinazione per il disegno e frequentò la Petite Ècole, dove studiò disegno e pittura. Lasciò la scuola nel 1857, anche in seguito alle divergenze con alcuni docenti che prediligevano la corrente neoclassica da cui Rodin si era presto emancipato sviluppando nuovi stili. Nei vent’anni successivi lavorò principalmente come artigiano e decoratore.
    In quel periodo aderì anche alla Congregazione del Santissimo Sacramento, istituto maschile di diritto pontificio concentrato principalmente sulla promozione della centralità dell’Eucarestia. Il fondatore della Congregazione, Pierre-Julien Eymard (che sarebbe poi diventato santo nel 1962), si rese presto conto delle abilità di Rodin e lo invitò a proseguire nello studio e nell’approfondimento della scultura, che gli stavano molto più a cuore delle opere della Congregazione. Rodin abbandonò l’istituto, tornò a lavorare come artigiano e intanto prese lezioni da Antonine-Louis Barye, molto conosciuto per le sue sculture di animali, che avrebbero poi influenzato il lavoro dello stesso Rodin.
    A metà degli anni Sessanta dell’Ottocento conobbe una sarta con cui avviò una relazione che durò per tutta la sua vita e con cui ebbe un figlio. Nel 1866 divenne assistente capo nello studio d’arte di Albert-Ernest Carrier-Belleuse, che realizzava e vendeva grandi quantità di oggetti d’arte. Rodin si occupava principalmente della progettazione di decorazioni per interni. Per un breve periodo fu arruolato nell’esercito per combattere la Guerra franco-prussiana, ma fu presto congedato a causa della sua forte miopia. Le ristrettezze portate dalla guerra fecero diminuire la domanda per gli oggetti d’arte e le decorazioni, cosa che portò a diverse difficoltà economiche per Rodin.

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    Per provvedere alla propria famiglia, Rodin accettò la proposta di Carrier-Belleuse di trasferirsi temporaneamente in Belgio per svolgere alcuni lavori nell’area di Bruxelles. Rimase nel paese per circa sei anni, un periodo che si rivelò fondamentale per far conoscere la propria arte. Anche grazie ad alcuni contatti e nuovi impieghi, Rodin ebbe modo di mostrare le sue opere nei saloni d’arte e con il denaro ricavato dai propri lavori si poté permettere un viaggio in Italia nel 1875. Vide dal vero i lavori di Donatello e Michelangelo, che lo avrebbero successivamente influenzato molto per la realizzazione delle sue sculture.
    Rodin tornò a Parigi nel 1877 e dopo diverse traversie e un’accusa di plagio, nel 1880 ottenne da Carrier-Belleuse un lavoro come progettista presso la fabbrica di porcellane di Sèvres, ora guidata dal suo vecchio datore di lavoro. Grazie al lavoro di Rodin la fabbrica divenne conosciuta in tutta Europa per i suoi manufatti. Negli anni seguenti partecipò a diversi saloni d’arte parigini, ottenendo importanti contatti per promuovere e far conoscere ulteriormente le proprie opere e ottenere commissioni.
    Negli ultimi anni Rodin ottenne, con alterni esiti, un certo seguito anche negli Stati Uniti grazie all’interessamento di una curatrice d’arte di Chicago che si diede da fare per farlo conoscere sul mercato americano. Divenne molto conosciuto anche nel Regno Unito, mentre in Francia avviò anche collaborazioni con la Société Nationale des Beaux-Arts. Nell’autunno del 1917 si ammalò di influenza ed ebbe successivamente alcune complicazioni polmonari, che ne causarono la morte il 17 novembre dello stesso anno.
    Rodin ebbe un ruolo fondamentale nella scultura del diciannovesimo secolo. Abbandonando secoli di tradizione legata all’idealismo delle forme del corpo umano dell’epoca classica e alla bellezza decorativa del Barocco e del neo-Barocco, tornò all’estetica del singolo mettendo in evidenza le vere forme e la concretezza del fisico umano. Sfruttando giochi di luce e ombre, cercava di svelare la personalità dei soggetti delle sue sculture, lasciando che fossero il corpo umano, le posizioni e la tensione dei muscoli a comunicare con l’osservatore. Ai suoi modelli Rodin chiedeva spesso di muoversi nello studio, invece di assumere le classiche posizioni fisse e ferme da accademia. Faceva bozzetti in pochi minuti con la creta, che diventavano poi la base per le sue opere, realizzate di solito in bronzo.

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    Meglio di qualsiasi altra opera, le sue sculture mostrano efficacemente lo stile per molti versi unico di Rodin. Tra i suoi lavori più conosciuti e apprezzati ci sono I borghesi di Calais, Il bacio, la Maschera dell’uomo dal naso rotto, La mano di Dio e Orfeo ed Euridice. Tuttavia, Rodin è principalmente conosciuto per Il pensatore.

    La statua inizialmente avrebbe dovuto far parte di un grande portale in bronzo commissionato a Rodin per un museo d’arti decorative a Parigi, che non fu poi realizzato. Il portale avrebbe mostrato diverse scene ispirate alla Divina Commedia, tra le quali un Dante assorto nei propri pensieri davanti alle porte dell’Inferno. Il soggetto rappresentato nel Pensatore è un uomo nudo, seduto, con il mento appoggiato sul dorso della propria mano destra mentre guarda verso il basso. È ispirata alla figura del Pensieroso scolpita da Michelangelo che si trova oggi nella basilica di San Lorenzo a Firenze. Il pensatore si emancipò presto dal progetto originario, assumendo una nuova portata simbolica: l’essere umano che pensa al proprio destino e a ciò che lo attende.
    Una prima versione in gesso dell’opera fu realizzata da Rodin intorno al 1880, mentre la fusione in bronzo risale al 1902. Mostrato al pubblico due anni dopo e successivamente acquisito dalla città di Parigi, fu esposto nel 1906 all’esterno del Panthéon e successivamente trasferito in quello che sarebbe diventato il Museo Rodin. Esistono più di 20 fusioni del Pensatore distribuite nei musei di tutto il mondo dagli Stati Uniti alla Turchia. In Italia una copia è conservata presso la Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia.
    (ilpost.it)




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    La porta dell'inferno è una scultura incompiuta di Auguste Rodin, sul quale lo scultore lavorò per più di trent'anni fino alla morte. È custodita al Musée Rodin di Parigi.
    Rodin pensò ad un portale monumentale, alto più di quattro metri e mezzo, ricoperto di bassorilievi ispirati all'inferno dantesco. Il tema richiesto era infatti libero e Rodin ne approfittò per sviluppare alcuni bozzetti basati sull'opera del poeta; sul suo rapporto con il poema di Dante ebbe a dire:
    « Dante non è solamente un visionario e uno scrittore; è anche uno scultore. La sua espressione è lapidaria, nel senso buono del termine. Quando descrive un personaggio, lo rappresenta solidamente tramite gesti e pose. [...] Ho vissuto un intero anno con Dante, vivendo di nulla se non di lui e con lui, disegnando gli otto cerchi dell'inferno... »

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    Nella Porta dell'inferno sono presenti ben 180 figure dalle dimensioni variabili, le quali possono raggiungere anche il metro d'altezza. Sono riconoscibili in particolare alcuni personaggi, tra i quali l'autore della Divina Commedia, raffigurato nelle vesti del pensatore al centro del portale; tra le altre figure si scorgono il Conte Ugolino, Paolo e Francesca nonché Adamo ed Eva.[/color]



    RODIN, ROSSO e "BALZAC"

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    Il primo incontro tra i due scultori è documentato da una lettera, datata 17 gennaio 1894, in cui Rodin, invitando Rosso a pranzo, gli dice anche della gioia provata il giorno in cui era andato a trovarlo: «Arrivando al vostro studio, sono stato preso da una folle ammirazione per voi... ». A consolidare la reciproca stima e amicizia ci fu anche lo scambio di un'opera: Rosso donò a Rodin una Rieuse, mentre Rodin gli regalò il Torso maschile che oggi è al Petit Palais.
    Fu un'amicizia che durò sino all'epoca in cui Rodin espose al Salon del 1898 il suo Balzac, il grande bronzo che gli era stato commissionato dalla Société des Gens de Lettres per suggerimento di Zola che ne era il presidente. Fu uno scandalo che si allargò rapidamente, anche perché finì per confondersi con l'«affaire» Dreyfus, su cui, proprio in quell'anno Zola aveva scritto il suo «J'accuse». La Société des Gens de Lettres, contro il parere di Zola che la difendeva, rifiutò l'opera, mentre il coro degli insulti e delle critiche diventava sempre più di uno scomposto clamore. La ragione era dovuta al fatto che il grande bronzo monumentale si presentava come un blocco sommario, non modellato nei dettagli. Un «feto colossale» si disse sui giornali. Non si era mai vista infatti una scultura di quelle proporzioni eseguita con modi così "approssimativi". La figura dell'autore della Commedia umana appariva infatti avvolta in un'ampia e lunga veste da camera ruvidamente informe, su cui s'affacciava l'enorme faccione del romanziere ugualmente trattato, incoronato da una capigliatura leonina, folta e disordinata.
    Lo sdegno del pubblico e della stampa nasceva dall'insolito modo di fare scultura, un modo che sembrava sbrigativo, trascurato, offensivo nei confronti della grande tradizione plastica francese. Non furono in molti i critici favorevoli, che s'accorsero anche dei motivi per cui Rodin aveva concepito ed eseguito un'opera cosiffatta. Ma qualcuno ci fu, e lo mise in chiaro. Uno di questi fu Sainte-Croix, in un articolo uscito ad apertura del Salon. Egli, nel suo `pezzo' inneggiava a Rodin, però metteva pure in chiaro ch'egli, nella sua impresa, aveva fatto fruttificare «i germi di una sorprendente rinascita» della scultura portati in Francia da «un grandissimo artista»: Medardo Rosso.
    A guardare il Balzac, in realtà, non si può fare a meno di pensare che Rodin abbia avuto più di una suggestione dalle opere di Rosso (come ad esempio dall'osservazione del Bookmaker, esposto alla mostra personale dell'italiano alla Bodinière nel dicembre 1893). Dalle sculture della sua carriera precedente, questa appare infatti decisamente diversa nella sua impostazione generale e nella maniera di risolvere la particolare scansione dei piani plastici, evitando ogni minuzioso descrittivismo.
    Ciò nonostante anche in questa scultura Rodin continuava a concepire la statua come l'aveva sempre concepita. Forse, ed è già stato fatto, se un precedente si può invocare a suo riguardo, anziché a Rosso, ci si deve piuttosto rivolgere a quelle prodigiose sculture `minori' che Daumier modellava per fissare alla brava il ricordo fisionomico dei politici da prender di mira o dei protagonisti della scena urbana.
    Rosso comunque, di tutto ciò si risentì profondamene, considerando invece il Balzac quale un affronto al suo primato innovativo, poiché il rischio era quello, data la fama e la potenza organizzativa di Rodin, di finire col passare come secondo in una vicenda in cui si considerava il primo, come dei resto era senz'altro.
    Rodin, nella sostanza, anche con la prova del Balzac, non era certamente un "impressionista". Rosso lo sapeva e ne avrebbe, più tardi, spiegato chiaramente i motivi. Lo scrisse su un giornale francese nell'ottobre del 1921 e lo ribadì con le stesse parole l'anno seguente, traducendo lo stesso testo su «Lo Spettatore».
    Ormai Rodin era morto da cinque anni, ma è a lui che Rosso si rivolge direttamente come continuando la polemica interrotta: «Voi», scrive, «non avete dato che un po' di vernice alla casa, ma con tutti i vostri sforzi non avete cambiato strada, non avete abbandonato la concezione materiale, ma siete rimasto, come sempre, all'interpretazione statuaria negazione di luce-vita; siete rimasto all'interpretazione di opere fatte perché `vi si giri attorno', perché `si tocchino con le mani' ».
    Così restava dunque Rodin e con questi caratteri restavano la sua grandezza, la sua prepotente forza espressiva, eloquente e letteraria; e così, impareggiabile, restava Medardo Rosso, che dal 1906, dalla delicata testina dell'Ecce puer, sino alla morte, non volle più metter mano sulla creta per non ripetersi, affinché la suprema grazia della sua scultura non corresse il rischio di diventare mestiere.
    (scultura-italiana.com)



    ..le opere..

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    GINO MAROTTA

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    Addio a Gino Marotta tra le figure più rappresentative dell'arte italiana del secondo dopoguerra. Era nato a Campobasso nel 1935. La moglie Isabella ha dato notizia all'ANSA, spiegando che ieri il marito "era stato colto da un infarto". Con lei anche i figli avuti dalla prima moglie Gea e Stefano che definiscono l'artista "assoluta unione tra arte e umanita".
    In questi giorni Marotta era presente con una sua personale alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma 'Relazioni pericolose' un itinerario che intende perlustrare i territori di confine tra moderno e contemporaneo. Originario di Campobasso, già nel '57-'58 è presente, insieme a pittori come Burri, Fontana, Capogrossi, Balthus, Licini e Léger, in mostre di grande rilievo internazionale come "Pittori d'oggi FranciaItalia" a Torino, "Modern Italiensk Maleri". A lui, come a pochissimi grandi artisti del XX secolo, è toccato l'onore di esporre al Louvre, nel 1969, un ciclo rappresentativo di sue opere. Ha partecipato a grandi esposizioni internazionali di interesse storico, portando il suo lavoro, il suo nome e quello dell'Italia nei più grandi Musei del mondo, da Copenaghen a Tokio, Atene, Il Cairo, Dusseldorf, Berlino, Dortmund, Amburgo, Bruxelles, Anversa, Madrid, Siviglia, Londra, Ginevra, Zagabria, Belgrado, al Museum of Modern Art di New York, alla IX Biennale Internazionale di San Paolo del Brasile, alle Esposizioni Universali di Montreal, Siviglia e Hannover (Ansa)


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    ...note biografiche...



    E’ uno dei più noti artisti italiani in campo internazionale.
    A lui, come a pochissimi grandi artisti del XX secolo, è toccato l’onore di esporre al Louvre, nel 1969, un ciclo rappresentativo di sue opere.
    Ha partecipato a grandi esposizioni internazionali di interesse storico, portando il suo lavoro, il suo nome e quello dell’Italia nei più grandi Musei del mondo, da Copenaghen a Tokio, Atene, Il Cairo, Dusseldorf, Berlino, Dortmund, Amburgo, Bruxelles, Anversa, Madrid, Siviglia, Londra, Ginevra, Zagabria, Belgrado, al Museum of Modern Art di New York, alla IX Biennale Internazionale di San Paolo del Brasile, alle Esposizioni Universali di Montreal, Siviglia e Hannover.
    Nel 1984 è stato invitato a partecipare con una Sala personale alla XLI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, dove ha esposto “Le Rovine dell’Isola di Altilia”, un’opera-ambiente di grandi dimensioni.
    A Milano è presente con numerose mostre di rilievo come la grande Antologica alla Rotonda della Besana nel 1973 e l’ormai mitica esposizione “Contatto-Arte-Città”, il primo e più significativo esempio di proposte per l’arredo urbano, alla quale su invito della Triennale di Milano parteciparono, con Gino Marotta, De Chirico, Burri, Arman, Matta, nel Parco del Palazzo dell’Arte.
    A Roma non è mai mancato alle grandi mostre organizzate dopo gli anni Cinquanta sia al Palazzo delle Esposizioni che alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

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    Da ricordare le varie Quadriennali d’Arte, la “Vitalità del Negativo”, “L’Arte Italiana degli anni ‘60” e, più recentemente, la grande mostra personale “Metacrilati” al Complesso del Vittoriano a Roma.
    E’ rappresentato nella Collezione “Artisti Italiani del XX secolo alla Farnesina” del Ministero degli Affari Esteri.
    Le sue opere di pittura e scultura sono conservate nei più prestigiosi Musei, Istituti Bancari, Collezioni private in Italia e all’Estero.
    Del suo lavoro e del suo pensiero artistico si sono occupati i più importanti critici d’Arte italiani e stranieri.
    Fa parte della Commissione Artistica Permanente presso il Ministero del Tesoro, in seno alla quale ha partecipato alla scelta delle immagini che figurano sull’Euro.
    Gli sono stati conferiti importanti premi per la scultura, la pittura, il design e il teatro.

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    Titolare della cattedra di Decorazione pittorica presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ha diretto l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. E’ accademico dell’Accademia Medicea delle Arti del Disegno di Firenze e della prestigiosa Accademia Nazionale di San Luca di Roma.
    Ha pubblicato, di recente, un libro di saggi brevi dal titolo “Rosso di Cinabro”.
    (progettoeditoriale.com)

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    MATTEO PUGLIESE

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    "L’operazione, non facile, di ibridazione intrapresa da Pugliese viene fondata sulla volontà di rispettare e soprattutto rinnovare, al tempo stesso, la trasmissione millenaria di esperienze che si invera nella tradizione artistica. A tal proposito Matteo Pugliese potrebbe senza dubbio ben condividere questa riflessione di Gustav Mahler: “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. Così l’artista salvaguarda l’essenza archetipa della modellazione e del fare demiurgico scultoreo con tutta la loro potenza simbolica ma li innerva di umori contemporanei". (Gabriele Simongini)

    I Custodi, l’esercito di guerrieri ben piantati per terra e armato fino ai denti che dentro l’armatura ci vive e che con l’armatura si identifica. Senza di essa sarebbero persi, anonimi, senza motivo d’essere.

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    Gli “Extra Moenia” ( ”fuori dalle mura“, appunto) rappresentano l’esercito di corpi in perenne movimento che questo muro lo vogliono attraversare per potersi affacciare alla nuova vita senza più barriere, senza più maschere.

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    L' esercito degli Scarabei con la dura corazza che si portano dietro con delle splendide ali; ciò che hanno di più pesante e concreto, il guscio, racchiude e protegge quanto hanno di più prezioso e delicato: le ali.


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    Matteo Pugliese nasce a Milano nel 1969. Nel 1978 la famiglia si trasferisce in Sardegna dove Matteo vivrà per 12 anni. Già in questi anni emerge la passione per il disegno e la scultura, campi in cui si forma da autodidatta. Terminati a Cagliari gli studi classici ritorna a Milano per frequentare l’università. Nel 1995 si laurea in lettere moderne all’Università Statale di Milano con una tesi di critica d’arte.
    Nel 2001, spinto da alcuni amici, organizza e finanzia la sua prima mostra affittando uno spazio privato nel centro di Milano. Da lì a un anno e mezzo tiene la prima mostra “ufficiale” presso una galleria di Brera a Milano e pochi mesi dopo una personale a Bruxelles.
    Attualmente i suoi lavori sono esposti in permanenza sia in gallerie italiane che estere : Roma, Hong Kong, Londra, Bruxelles, Lugano e l’Aja . I suoi lavori sono presentati alle fiere d’arte nazionali ed internazionali di maggior rilievo tra cui ricordiamo Hong Kong Art Fair ( Hong Kong), ArtFirst (Bologna), Miart ( Milano), Arco (Madrid), Fiac ( Parigi). Negli ultimi anni alcuni suoi lavori sono stati battuti dalle principali case d’asta (Christie’s, Sotheby’s, Pandolfini) raggiungendo risultati significativi.


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    Questo colosso piacevolmente placido è l' Hippo Speranza, una rappresentazione di un ippopotamo fatto di fango. L'installazione è stata creata nel 2005 da Allora & Calzadilla , un duo di collaborazione di artisti visivi con sede a San Juan, Puerto Rico.





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    James McNabb

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    L'artista americano rivisita le città rinterpretandole sottoforma di nuove geometrie.

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    NINO ORLANDI

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    Nino è uno scultore autodidatta, che così si descrive: “Sono uno scultore autodidatta, nato a Serramazzoni nel 1946 dove attualmente vivo e ho il mio laboratorio. Fin da giovane ho coltivato la passione per la scultura, avevo diciotto anni quando ho cominciato frequentando a Castelfranco lo studio di un noto scultore dove ho imparato i primi rudimenti per plasmare la creta. Poi per motivi di tempo e lavoro ho sospeso la scultura e mi sono dedicato saltuariamente alla pittura sempre da autodidatta, e solo nel 1999 ho potuto dedicarmi a tempo pieno alla scultura scoprendo la mia forte passione per il legno.

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    Con questo materiale ho elaborato e realizzato le mie opere utilizzando le più svariale tecniche ed espressioni artistiche che il legno consente.”


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    Scultura di Chong Fah Cheong - Singapore



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    Jurgen Lingl-Rebetez

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    Lingl abbandona gli studi d'arte a Monaco di Baviera per iniziare un apprendistato come intagliatore di legno nel Master Hans-Joachim Seitfudem. Due anni dopo decide di diventare uno scultore indipendente. Molto rapidamente, la motosega, diventa lo strumento di base, per la sgrossatura.
    Con questa lama, veloce e preciso, crea un incredibile mondo animale e umano vivente. Con il coltello tradizionale effettua i contrasti più uniformi. Infine, dipinge le sue sculture con delicati colori. Il suo pennello ci stupisce per le sue chiavi impressionistiche e precise, che danno la vita a ciò che crea.

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    Ostile al non-senso sconvolgente di arte astratta, Jürgen Lingl-Rebetez rivela, oltre alla lettura molto contemporaneo, una virtuosismo commovente e sincero.

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    KIM BEATON

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    Lei lo chiama “albero Troll”, ed è un’enorme struttura alta quasi quattro metri con il volto del padre, morto di recente, dell’artista Kim Beaton (Kim Beaton Studios). Le foto della bellissima scultura hanno fatto il giro del web in pochissimo tempo. L’albero è ecologico, in quanto è composto interamente da materiali non tossici (carta, colla, pittura acrilica e legno). La scultura ha i bellissimi occhi azzurri del padre, boscaiolo del Montana che Kim ha voluto ricordare così. Kim si è valsa dell’aiuto di ben 25 volontari per costruire la scultura, alta 12 piedi, che oggi si trova al Bellagio Casino.
    Ecco come Kim ha spiegato la sua creazione: ”[Mio padre] è morto poco prima di compiere 80 anni. Una notte mi sono svegliata con un preciso disegno in testa: l’immagine di mio padre, anziano, trasformato in un albero, che se ne stava tranquillamente seduto nella foresta. Mi sono subito messa al lavoro, e in 40 minuti avevo realizzato una prima bozza della scultura. La mattina dopo ho fatto qualche telefonata, chiamando i miei amici. Nei sei giorni seguenti, mi sono procurata il materiale e ho fatto altre telefonate. Abbiamo iniziato l’8 giugno, e due settimane dopo avevamo finito”. L’incredibile scultura ha viaggiato in tutta Seattle per due anni, finché il Bellagio Casino non ha deciso di acquistarlo.
    (.curiosone.tv)


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    Edited by gheagabry1 - 21/1/2022, 20:39
     
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    Una scala infinita dall’Australia al cielo


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    “Diminish and Ascend (discesa e ascensione)” è un’installazione scultorea dell’artista David McCracken che, da certi punti di vista, si presenta come una scala senza fine. Come parte della manifestazione annuale denominata “Sculpture by the Sea” a Bondi, Australia, la scala è uno dei più accattivanti pezzi in mostra all’aperto quest’anno: permette alla mente di vagare e immaginare una fuga surreale.

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    Anche se sembra essere una lunga salita che va oltre l’atmosfera terrestre, non è niente più che un’illusione ottica. McCracken ha sapientemente realizzato opere di scultura prospettica tenendo conto degli effetti visivi associati alla simulazione della distanza.

    Costruendo una scala che diminuisce le proprie dimensioni man mano che si avvicina al suo punto più alto e più lontano dal livello di osservazione, l’artista crea l’illusione di una scala infinita verso il cielo, come se i gradini in alluminio ascendessero verso le nuvole, senza vederne la fine.





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    Edited by gheagabry1 - 21/1/2022, 00:44
     
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