IL GIORNALE DELL'ISOLA FELICE ... ANNO 3° ... NUMERO 014 ...

Venerdì 04 Maggio 2012

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    BUONGIORNO GIORNO... 04 MAGGIO 2012


    Edizione Giornale Anno 3° Numero 014



    RIFLESSIONI


    ... FUORI CONTROLLO …
    ... Ieri ho intitolato la mia riflessione “contraddizioni”; oggi dovrei ripetermi e segnalare l’ennesima contraddizione proposta dal nostro oramai sempre più indescrivibile mondo. Andiamo per ordine. Ieri sera il calcio ha mostrato un altro lato discutibile, censurabile del proprio cosmo. Siamo a Firenze, gara di calcio di Serie A; la squadra di casa gioca contro il Novara una gara dal sapore di spareggio in quanto entrambe, con diversa implicazione, sono invischiate nella lotta per non retrocedere in serie B. Siamo al 32’ e la la Fiorentina perdeva per 2-0 rinfocolando le speranze di salvezza del Novara e al tempo amplificando le ombre della retrocessione della squadra viola. Delio Rossi, allenatore della squadra di Firenze, ordina un cambio, fa uscire dal campo Ljajic, il giovane giocatore dopo essere uscito dal campo indirizza al suo allenatore un applauso ironico e qualche parolina. E’ una furia, Rossi si avventa sul calciatore seduto in panchina colpendolo più volte con pugni e schiaffi. Le telecamere ovviamente mandano in diretta le scene! Ancora una volta lo sport più seguito, la quinta industria per fatturato in Italia, mostra un lato vergognoso di se. Dopo calciatori che vendono partite, che usano stupefacenti e prodotti dopanti, ora anche risse tra allenatori e calciatori. Da ieri come sempre quando si tratta di calcio, si è scatenato il dibattito nazionale al quale hanno ovviamente partecipato attori, commentatori, sportivi, tuttologi, psicologi; davvero una gamma varia di interpretazioni e di commenti. Poi si lamentano che i tifosi sugli spalti sono violenti; si lamentano che nei campi di periferia genitori e giovani atleti ricorrono alle mani per risolvere questioni sportive. Mi sarebbe piaciuto sentire dai bambini il loro parere; lo sport è da sempre modello seguito dai giovani che tentano di emulare i propri campioni … di certo ieri il calcio ha dato mostra peggiore di se, fornendo ai giovani, ai ragazzi un modello davvero da condannare. Fin qui la cronaca; mi direte perché contraddizioni; oggi il tribunale sportivo ha dato la punizione al Delio Rossi; tre mesi di squalifica! Fate due conti, maggio, giugno, luglio; ad Agosto quando riprenderanno i campionati quell’allenatore potrà tornare sulla panchina ad allenare! L’ho definita contraddizione, forse avrei dovuto chiamarla in modo diverso … userò un eufemismo … “presa in giro”. Così ogni volta che nel calcio qualcuno sbaglia si trova il modo per “addomesticare” le sentenze; perché gli interpreti di quel mondo sono intoccabili e quando sbagliano c’è sempre una rete a proteggerli. Non lamentiamoci vi prego se poi a Genova gli ultras bloccano una gara, se gli hooligans fanno guerriglia urbana; non lamentiamoci perché chi è in campo non è meno violento di chi sta sugli spalti. Unica differenza; gli eroi della pedata a differenza dei comuni mortali godono di una intoccabilità a prova di qualsiasi reato .… Vi abbraccio fortissimo … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)



    Delio Rossi aggredisce Ljajic, licenziato in tronco

    Della Valle conferma il licenziamento dell'allenatore. Bruttissimo il gesto del tecnico della Fiorentina che aggredisce il serbo richiamato in panchina al 32' della gara contro il Novara. Lo staff deve intervenire per dividere i due. La gara finisce 2-2, con la rimonta di Montolivo. Scene di pura follia al Franchi di Firenze tra Delio Rossi e Adem Ljajic, mentre la partita scivola via sul 2-2 e la questione salvezza resta in bilico solo per i toscani perché i piemontesi sono matematicamente in B. A fine gara Della Valle conferma l'esonero di Rossi e si riserva di decidere domani mattina il futuro della panchina viola: "Ho parlato con Delio Rossi: è pronto a scusarsi. Ma la scelta dell'esonero è un atto dovuto, per i valori che questa società ha perseguito in questi anni. È la scelta che non avrei mai voluto prendere, ma per il gesto di Delio Rossi non ci sono giustificazioni. L'esonero è per il suo bene. È una bravissima persona. Ci sarà anche una punizione per Ljajic, perchè l'allenatore è stato provocato, anche se non doveva reagire in questo modo. Domani mattina avrete tutte le altre risposte sul futuro". Andrea Della Valle, prova poi ad abbozzare qualche giustificazione per il suo ex: "Ha accumulato tanto stress in questi mesi, dove abbiamo commesso troppi errori: anche stasera eravamo senza punte, a gennaio non sono arrivati rinforzi adeguati. Peccato perchè siamo a salvezza quasi acquisita, ci manca un punto da prendere a Lecce: speriamo di chiudere bene la stagione". PAZZIA — E' il 32' del primo tempo, la Fiorentina è sotto 2-0 e la retrocessione fa davvero paura. Il tecnico viola decide di rivoluzionare l'attacco, spento e per nulla incisivo. Fuori Ljajic dunque e dentro Olivera. Il serbo esce e mentre si avvia verso la panchina si lascia andare a un applauso polemico nei confronti di Rossi. Tra i due scoppia un reciproco scambio di insulti, che si conclude con la rabbiosa reazione del tecnico dopo un "ok" ironico del giocatore. Rossi si fionda in panchina ed esplode la rissa, tra pugni e strattoni. In mezzo si mettono gli altri componenti dello staff per sedare la furia dell'allenatore che non perdona il gesto di frustrazione di Ljajic. I nervi sono tesi, in tribuna Della Valle ha una faccia inequivocabile. Alla fine i gol di Jeda, Rigoni e la doppietta di Montolivo passano in secondo piano davanti a un gesto folle che si trascinerà dietro sicuramente degli strascichi. La foga di Rossi. (Ansa)
    I TIFOSI CON DELIO — Nel frattempo partono pesanti cori di insulti a Ljajic e applausi a Delio Rossi da parte dei tifosi della Fiorentina. "Sei uno zingaro", grida la curva Fiesole all'indirizzo del giocatore serbo, mentre al rientro in campo nella ripresa il tecnico viene accolto da cori e applausi. Da parte dell'arbitro Giannoccaro nessun provvedimento nei confronti dei due. TOMMASI:" POCO DA SALVARE" — "Purtroppo, c'è da commentare anche questa...Non è certamente un periodo fortunato per il nostro calcio". È sconfortato Damiano Tommasi, presidente del sindacato calciatori, che dalla casa a Verona ha seguito in tv l'incredibile scena. "Capisco la tensione del momento, ma perdere la bussola in quel modo non ha giustificazioni. Non è questione di sindacato: semplicemente, c'è poco da salvare di quella scena. È anche strano che venga da Delio Rossi, sempre molto equilibrato anche nelle dichiarazioni". Quanto all'applauso di Ljaijc che ha scatenato la reazione di Rossi, Tommasi ha spiegato: "Non credo sia stato quello, ci saranno stati comportamenti nel tempo. Non so giudicare da fuori, dico che della scena c'è poco da salvare". (Gazzetta dello Sport)


    Fiabe popolari di Svezia

    La principessa sulla montagna di vetro.
    C'era una volta un re che amava moltissimo la caccia, e vi si dedicava molto, traendo grande piacere nell'inseguire gli animali della foresta. Trascorreva parecchio tempo fuori, in compagnia dei suoi segugi e del suo falco e non tornava mai indietro a mani vuote. Accadde però un giorno che non riuscì a stanare la sua preda nonostante la inseguisse fin dal mattino presto, e quando ormai si fece sera e stava per abbandonare il campo per tornarsene a casa con i suoi accompagnatori, s'imbatté in uno strano nano che vagava per la foresta. Allora lo inseguì e ben presto riuscì a catturarlo; quando poté osservarlo bene, rimase parecchio stupefatto dal suo aspetto, poiché lo strano omino era piccoletto e brutto come un troll, e aveva i capelli lunghi e ispidi come il muschio. Oltretutto, il buffo omino non rispondeva alle domande che gli ponevano, e questo diede sui nervi al re, il quale era già di malumore per essere rimasto a mani vuote a caccia, e comandò ai suoi scudieri di prendere quell'uomo selvaggio e di custodirlo in un luogo sicuro, perché non potesse scappare; poi rientrò a palazzo.

    Una sera, mentre il re brindava e si divertiva in compagnia dei suoi fidi accoliti, il re prese in mano un corno e proruppe: "Cosa ne pensate della nostra giornata di caccia? Non siete anche voi seccati per essere tornati a casa senza preda? Non sono cose che ci succedono tutti i giorni!" E quelli risposero: "Maestà, è oltre modo vero ciò che dite, e potete star certo che al mondo non esiste uomo più abile e dodato di voi nell'arte venatoria; tuttavia non crucciatevi. In vero, una bestia l'avete catturata, ed è la creatura più brutta e bizzarra che si sia mai vista sulla terra." Il re trasse estremo compiacimento da quel discorso, e chiese consulto ai suoi prodi riguardo al prigioniero, e su come secondo loro dovesse comportarsi da quel momento in poi con lui. Ed essi risposero: "Non liberatelo per nessun motivo, ed anzi, è importante che egli rimanga confinato qui al palazzo, in modo che si sappia in ogni dove quale grande cacciatore voi siete. Ma dovete stare molto attento a che non scappi, e guardatevi bene da lui, poiché è una creatura astuta e maligna." Il re stette un attimo in silenzio, riflettendo sui consigli che aveva appena ricevuto, poi svuotò il corno ed annunciò solennemente: "Farò come dite, e garantisco fin d'ora che non sarà mai colpa mia se il nano dovesse riuscire a fuggire. Ma giuro qui, davanti a tutti voi, che se ciò accadrà per colpa di altri, il colpevole sarà punito con la morte, si trattasse anche del mio stesso figlio." Così dicendo, suonò forte il corno, in segno di solennità. Ma ciò lasciò sconcertati i suoi cortigiani, poiché non l'avevano mai sentito parlare in quel modo prima d'ora, e pensarono così che probabilmente l'alcool gli avesse dato un pò alla testa. Il giorno dopo, al risveglio, il re si ricordò immediatamente del giuramento solenne fatto la sera prima, così mandò subito a prendere del legname e tutto l'occorrente necessario per far costruire una gabbia presso il palazzo, dove avrebbe fatto rinchiudere il nano. E la gabbia venne su talmente rigida, fatta con grandi assi e chiusa da robuste serrature e sbarre così d'acciaio, da essere impenetrabile come un fortino. Solo in mezzo alla parete c'era una fessura che bastava appena per far passare i viveri al prigioniero. Quando tutto fu pronto per il trasferimento, il re fece condurre il selvaggio, che fu sbattuto in gabbia e il re conservò personalmente le chiavi; nessun altro le aveva all'infuori di lui. Da quel giorno ci fu un continuo andirivieni di curiosi che si appostavano lì solo per guardarlo, ma egli non proferì mai una sola parola, né si lamentò in nessun modo con nessuno. Trascorse un certo periodo di tempo, e il re fu costretto a partire per la guerra. La sera della partenza, fece alcune raccomandazioni alla moglie: "Mia cara, ti affido il regno e il popolo. Ma devi promettermi una cosa, che terrai ben sorvegliato il selvaggio: mi raccomando, mia cara, non lasciarlo mai scappare." La regina promise di fare del suo meglio in questa e in tutte le altre cose, e il re le consegnò le chiavi della gabbia. Poi fece salpare le sue navi, alzò le vele e andò molto lontano, in altri regni, e ovunque andasse, ne usciva vittorioso. La regina rimase sulla spiaggia a guardarlo finché riuscì a scorgere le bandiere sul mare, poi con le sue dame tornò al palazzo, dove attese pazientemente il ritorno del marito stando seduta a cucire. Il re e la regina avevano solo un figlio, un principino, ancora in tenera età, che prometteva bene. Durante la lunga assenza del padre, un giorno il bambino, mentre si divertiva giocando intorno al palazzo, capitò per caso di fronte alla gabbia del nano. Allora si mise lì seduto e tranquillo, a giocare con la sua mela d'oro. Mentre tutto contento giocava con la mela, capitò che quella si andò ad infilare nella finestrella della gabbia e finì tra le mani del nano, il quale gliela buttò fuori. Il bambino pensò che fosse proprio un giochino divertente, così gliela rilanciò per giocare, e quello gliela rilanciava. Continuarono così per un pò, finché il divertimento diventò una tragedia per il piccolo, perché il nano all'improvviso decise di tenersi la mela e non voleva più restituirgliela. Allora il bambino protestò e si disperò, ma fu inutile perché il nano gli disse: "Senti, tuo padre è stato cattivo con me, e m'ha rinchiuso qui dentro, ma se tu adesso mi liberi, io ti ridarò la tua mela." "Ma come faccio a liberarti?" rispose il bimbo, in lacrime, "Tu sei cattivo! Ridammi la mia mela! Ridammi la mia mela!" "Devi fare come io ora ti dirò" disse il nano. "Và da tua madre, e dille di spazzolarti i capelli. Poi stai attento, e cerca di rubarle le chiavi che porta alla cintura, e torna qui ad aprirmi. Dopo rimetterai le chiavi al loro posto, e nessuno si accorgerà di nulla!" Il bambino stentava, ma alla fine il nano riuscì a convincerlo; così il principino fece come il nano gli aveva detto: rubò le chiavi alla mamma, la quale non si accorse di nulla, e con quelle liberò il nano. Prima di fuggire via, il nano disse al ragazzo: "Tieni, eccoti la tua mela, come ti ho promesso, e ti sono immensamente grato per il servizio che mi hai reso. Ricordati, ogni volta che ti troverai in qualche guaio, in cambio per avermi ridato la libertà, io verrò in tuo soccorso." Così detto, scappò via. Quando i servi scoprirono che il nano era era fuggito, ci fu grande agitazione. La regina mandò invano i servi in ogni strada a cercarlo, ma inutilmente. Così passò dell'altro tempo, e la regina era piuttosto turbata, perché sapeva che il re poteva tornare da un momento all'altro ed ella avrebbe dovuto giustificare con lui la fuga del selvaggio. Infatti, poco tempo dopo, il re rientrò dalla guerra a bordo delle stesse navi con le quali era partito, e una grande moltitudine di gente s'affollò alla riva per dargli il bentornato. Subito il re chiese alla moglie se aveva fatto buona guardia come le aveva ordinato, e alla fine ella dovette confessare che era scappato. Il re era furioso per la notizia datagli dalla moglie, e lo era talmente che dichiarò solennemente che avrebbe scovato il colpevole, e che sarebbe stato punito con la morte, chiunque fosse stato. Fece passare al setaccio tutta la reggia e anche i bambini dovettero testimoniare, ma nessuno sapeva niente. Dopo che furono interrogati tutti quanti, fu la volta del principino, il quale affrontò coraggiosamente le ire del padre e confessò: "Padre, so bene che quel che vi dirò vi manderà in collera con me, ma non posso nascondervi la verità: sono stato io che ho fatto scappare il nano." A queste parole mancò poco che la regina svenne, e anche tutti gli altri nella corte rimasero sconvolti nell'apprendere che il colpevole era proprio il principe, poiché tutti gli volevano bene, e tutti sperarono nella comprensione del re, ma egli, dopo una lunga pausa, proclamò: "Non sia mai che manchi alla mia stessa parola, anche se si tratta della carne della mia carne: anche se sei mio figlio, morirai come meriti." Detto questo, diede ordine di portare il principino nella foresta, e di ucciderlo, e di portare come prova della sua morte, il suo cuore. Quella sera ci fu grande dolore ovunque, a corte, e tutti cercarono in tutti i modi di intercedere per il principe presso il padre, ma egli fu irremovibile. Nonostante gli uomini del re erano addolorati per il povero principe, non poterono far altro che obbedire agli ordini, così lo portarono, come stabilito, nella foresta. Quando si furono addentrati abbastanza, videro un pastore che pascolava dei maiali, e così uno di essi disse all'altro: "Non mi sembra giusto togliere la vita al povero principino. Compriamo piuttosto un verro e prendiamo il suo cuore, così tutti crederanno che sia il suo." L'idea sembrò buona all'altro compagno, e così fecero: comprarono un verro dal pastore, portarono l'animale nel bosco, lo uccisero e presero il suo cuore. Poi pregarono il principe di andarsene per la sua strada e non tornare mai più. Il principe ringraziò la buona fortuna e il buon cuore dei cortigiani del padre, e fece come dissero, se ne andò e vagò più a lungo e più lontano che poté, e con sé aveva soltanto noci e bacche che trovava nella foresta. Dopo che ebbe camminato per un bel pò, e fu già molto lontano, giunse nei pressi di una montagna, sulla cui sommità c'era un grande abete. Gli venne allora l'idea di salire in cima per orientarsi meglio; salito su, guardò da un lato, guardò dall'altro, finché scorse a grande distanza un enorme palazzo che scintillava al sole. A quella vista si rallegrò moltissimo, e così si mise subito in cammino per raggiungerlo. Mentre camminava, incontrò per caso un ragazzo che stava arando un terreno; gli propose di fare uno scambio di vestiti e quello accettò. Così equipaggiato, raggiunse il palazzo ed entrò. Chiese lavoro, e fu preso a pascolare le bestie del re. Ogni giorno andava al pascolo con i suoi animali, e con il passar del tempo divenne grande e valoroso, tanto che in nessun luogo c'era l'uguale.

    Ma parliamo ora del re, che era il padrone di quella reggia. Egli aveva avuto una moglie, la quale gli aveva dato un'unica figlia, una fanciulla incantevole, dolce e gentile, e chiunque avesse conquistato la sua mano, sarebbe stato fortunato. Quando la principessa compì 15 anni, aveva già un esercito di pretendenti, i quali aumentavano sempre di più. Il re, perciò, non sapeva più cosa decidere, e così, un giorno, andò da sua figlia a chiederle che scegliesse lei chi voleva sposare, ma lei non volle. Questa risposta mandò in collera il re, che disse: "Ah si? Bene, allora, visto che non vuoi sceglierti un marito, allora ne sceglierò io uno per te, ma poi non lamentarti se non dovesse piacerti!". Fece per andarsene, ma la figlia lo trattenne: "Va bene, padre, come vuoi tu; ma sappi che non accetterò uno qualsiasi, ma soltanto il cavaliere che sarà in grado di arrivare con il suo cavallo in cima alla montagna di vetro." L'idea piacque al re, e incitato dalle parole della figlia, fece emanare in tutto il regno un editto in cui si proclamava che il cavaliere che fosse riuscito nell'impresa, avrebbe avuto la principessa in sposa. Quando arrivò il giorno stabilito per la prova, la principessa fu trasportata in cima alla montagna di vetro, con grande pompa. Lì si mise seduta sul trono, sul punto più alto, con una corona d'oro sulla testa, e una mela d'oro in mano. Ai piedi della montagna erano già pronti nobili cavalieri, a bordo dei loro baldi destrieri, equipaggiati di splendide armature, che scintillavano, accecanti. E tutto intorno il popolo affluiva in grandi schiere per assistere allo spettacolo. Quando tutto fu pronto e venne dato il via, nello stesso istante i cavalieri partirono a razzo verso la salita del monte. Ma la montagna era alta, ripida, e liscia come il ghiaccio, e quindi nessuno riusciva a resistere per più di qualche passo e poi, inevitabilmente, scivolano tutti giù e finivano a terra a gambe all'aria e con l'amor proprio offeso. Da questo nasceva un terribile frastuono, i cavalli nitrivano, il popolo gridava e le armi strepitavano, tanto che si sentiva molto lontano. E poi, mentre la confusione regnava sovrana, il giovane principe era come al solito occupato con il suo bestiame. Udendo da lontano il fragore del tumulto, sedette un istante su un masso, si lasciò andare la testa fra le mani, e pianse. Pensò alla bella principessa, e a quanto avrebbe voluto essere anche lui uno di quei cavalieri. Se ne stava così pensieroso, mentre all'improvviso udì un rumore di passi, e guardando in su, vide il famoso nano che aveva liberato, stare proprio lì, ritto di fronte a lui. "Ti ringrazio ancora per quello che hai fatto per me" disse, "ma ora perché te ne stai lì tutto solo e triste?" "E come potrei non esserlo?" rispose il principe, "a causa tua sono dovuto fuggire dal regno di mio padre, che mi voleva morto, e ora, che vorrei tanto poter tentare anch'io di salire sulla montagna di vetro, e conquistare la principessa, non ho nemmeno un cavallo, né un'armatura." "Oh, se è solo di questo che si tratta," rispose il nano, "è presto fatto: ricordi, no? Tu una volta hai aiutato me, e ora io aiuterò te!" Quindi prese per mano il principe, lo portò sotto terra nella sua grotta. Gli mostrò una splendida armatura d'acciaio puro, così luminosa e brillante che spargeva una luce bluastra per tutta la stanza. E lì, accanto all'armatura, stava pronto un magnifico cavallo sellato che grattava in terra con gli zoccoli d'acciaio e mordeva il freno al punto che la schiuma bianca scorreva fino a terra. Il nano disse al principe: "Presto, preparati, e vai a tentare la tua fortuna, ci penso io, intanto, alle tue bestie." Il principe non se lo fece dire due volte, indossò l'elmo e la corazza, si mise gli speroni ai piedi e si legò la spada al fianco e con quella corazza d'acciaio si sentiva leggero come un uccellino nell'aria. Poi saltò in sella, spronò il cavallo e corse via verso la montagna. I pretendenti della principessa stavano terminando la gara e nessuno di loro aveva vinto il premio, sebbene tutti avessero fatto quello che potevano, e mentre se ne stavano lì a pensare che forse un'altra volta sarebbero stati più fortunati, improvvisamente videro un giovane arrivare a cavallo dal bosco, diretto verso la montagna, e stava in sella proprio come un cavaliere, ed era un piacere vederlo. Istantaneamente, tutti gli sguardi furono su di lui, mentre tutti bisbigliavano tra loro chiedendosi chi mai potesse essere quello strano cavaliere giunto dal nulla. Ma non ebbero molto tempo per pensare, poiché Ma non ebbero tempo di chiedere, perché appena uscito dal bosco si alzò sulle staffe, spronò il cavallo e corse come una freccia salendo la montagna di vetro. Purtroppo però non giunse in cima, e quando fu arrivato pressappoco a metà montagna, girò i tacchi e ridiscese, così fulmineamente che il fuoco sprizzava dagli zoccoli, e sparì con la stessa velocità in cui era arrivato. Ora, come è facile immaginare, ci fu grande stupore tra la folla che aveva assistito a tutta la scena, e fu parere unanime che al mondo non ci fosse cavaliere più valoroso, né un altrettanto prode destriero. Si sparse inoltre la notizia che la principessa fosse dello stesso avviso, e che ogni notte sognasse l'affascinante straniero.

    Passato qualche tempo, i pretendenti della principessa furono chiamati a una seconda prova. Tutto si svolse come la volta precendente, con la principessa che fu portata sul punto più alto della montagna, e fatta sedere sul trono, con la mela d'oro nella mano. Ed esattamente come l'altra volta, tutti i cavalieri presenti fallirono ancora una volta nell'impresa, finendo poco gloriosamente a gambe all'aria. Nello stesso momento, il giovane principe se ne stava al pascolo con il suo gregge, ed era triste e infelice perché avrebbe desiderato ritentare la fortuna anche lui. Ancora una volta, fu raggiunto dal nano, il quale, dopo aver ascoltato i suoi lamenti, lo condusse di nuovo nella sua botola, dove era pronta un'armatura forgiata d'argento scintillante come la luna, accompagnata da un bellissimo cavallo bianco come la neve, completamente sellato che grattava in terra con gli zoccoli d'argento e mordeva il freno, tanto che la schiuma schizzava. Di nuovo il nano invitò il principe a montare a cavallo e correre alla gara, ed egli cavalcò di gran carriera verso la montagna di vetro. Come l'altra volta, il giovane irruppe all'istante tra la folla dei pretendenti ormai sconfitti, e tutti gli sguardi furono su di lui, e subito riconobbero il prode cavaliere che la volta precedente si era così valorosamente distinto; ma egli diede loro ben poco tempo per pensare, perché corse come un razzo su per il pendio. Questa volta giunse quasi in cima, allorché fece un inchino in segno d'omaggio alla principessa, e poi girò i tacchi e ridiscese la china facendo scintillare gli zoccoli. Poi scomparve nel bosco, con la stessa velocità in cui era venuto. Gli eventi si ripeterono allo stesso identico modo anche la terza volta, eccetto per il fatto che questa volta il giovane principe, equipaggiato in una sfolgorante armatura d'oro, giunse finalmente in cima alla montagna di vetro, poi scese da cavallo, fece un profondo inchino davanti alla principessa, e dalla sua mano ricevette la mela d'oro. A questo punto, crederete forse che il nostro eroe sia rimasto sulla vetta insieme alla bella principessa? No, perché esattamente come le altre volte, egli girò i tacchi, ridiscese, e volò via nella foresta, veloce come il vento. Ciò nonostante, un tripudio di gioia si era elevato dalla folla accorsa anche quel giorno; corni e trombe risuonarono per festeggiare la riuscita dell'impresa, allorché, con grande gaudio, il re proclamò lo sconosciuto cavaliere in armatura d'oro, vincitore della gara. Ora restava sola da scoprire chi fosse il misterioso cavaliere d'oro, perché nessuno nel regno lo conosceva. Per giorni e giorni sperarono che prima o poi egli si presentasse da solo a corte, ma sfortunatamente ciò non accadde. A lungo andare, la sua assenza cominciò a innervosire e a sovreccitare il popolo, mentre la principessa stava in ansia giorno dopo giorno, e impallidiva sempre di più. Il re, impaziente, cominciò ad irritarsi seriamente per la faccenda, mentre i pretendenti mormoravano pettegolezzi. Quando sembrò che non ci fosse altro da fare, il re fece annunciare una grande assemblea al palazzo, e ogni uomo, che fosse di alto o basso lignaggio, doveva presentarsi, affinché la principessa potesse scegliere fra loro. Nessun uomo del regno esitò a presentarsi, così quel giorno ci fu una grande folla. Quando furono tutti riuniti, la principessa uscì dalla reggia con gran fasto e insieme alle sue damigelle andò in giro fra la folla. Ma sebbene cercasse ovunque, non trovava colui che cercava. Finalmente, scorse tra la folla un uomo con un gran cappello un ampio mantello grigio, alla maniera dei pastori, con il cappuccio che gli copriva interamente il volto. Ma la principessa, che lo riconobbe lo stesso, si precipitò verso di lui, gli sfilò dal volto il cappuccio, lo abbracciò e gridò, eccitata: "E' lui, è lui!" Allora la folla scoppiò in una fragorosa risata, perché era soltanto il pastorello del re; anche il re lo riconobbe, ed esclamò, in un modo non troppo allegro: "Oh Santo Cielo, tu guarda che razza di genero mi tocca!" Ma il giovane principe, avvicinatosi al re, disse: "Maestà, non datevi pena per questo, e tranquillizzatevi, poiché vostra figlia sta per sposare un uomo alla sua altezza: perché dovete sapere che in realtà io sono figlio di re." Così dicendo, si tolse il mantello, e in quell'istante, la stessa moltitudine che poco prima aveva riso di lui, ora taceva, poiché in quell'istante essi riconobbero nel giovane pastore il valoro cavaliere in armatura d'oro, che quel giorno aveva compiuto l'impresa, salendo sulla vetta della montagna di vetro, e che aveva preso la mela d'oro dalle stesse mani della principessa. E così, in tutta la sala fu un'esplosione di ammirazione e di gioia, come mai prima d'allora era successo. Il principe prese la sua amata tra le braccia, e le raccontò tutto del suo passato e della sua famiglia. Il re diede subito il via ai preparativi delle nozze, alle quali fu invitata tutta la gente del regno, compresi i pretendenti che la principessa aveva avuto fino allora. Le nozze furono celebrate con grande fasto, e fu dato un glorioso banchetto. E così, ecco come il principe aveva conquistato la bella principessa e metà del regno del padre di lei, e dopo i primi sette giorni dei festeggiamenti, il principe prese con sé la sua sposa e con lei tornò al palazzo di suo padre, dove entrambi piansero di gioia e di commozione per aver ritrovato il loro figlio che credevano perduto per sempre. Il principe e sua moglie vissero a lungo felici e contenti, ma nessuno seppe più nulla del buon nanetto.

    (Gunnar O. Hyltén-Cavallius e G. Stephens)

    ATTUALITA’


    Dietrich, 20 anni fa si spense voce Lili Marlene.
    Tutto è meticolosamente annotato e nulla - o quasi - è certo, nella vita e nella morte della più famosa attrice del cinema tedesco, incoronata dea e diva dal cinema di Hollywood che si spense esattamente vent'anni fa, la sera del 6 maggio 1992 nella sua casa di Parigi. Finiva in quel momento la storia di Marie Magdalene Dietrich von Lasch (SCHEDA) , nata a Shoeneberg, sobborgo berlinese, il 27 dicembre del 1901, passata alla leggenda come Marlene Dietrich, la voce di "Lilì Marlene", canzone che fu il suo canto di guerra e la sua più delicata dedica all'amatissima patria tedesca. Oggi il suo mito è inciso nella topografia della moderna Berlino, che le ha intestato la piazza più simbolica, quella proprio a cavallo del Muro, là dove ogni anno si svolgono i riti del festival del cinema, la Berlinale. Ma quando Marlene vi tornò negli anni '60 con il suo spettacolo di canzoni e monologhi che altrove aveva attirato folle da stadio, i suoi concittadini la accolsero al grido sprezzante di ''Marlene Go Home" e, anche dopo la morte, si rifiutarono a lungo di dedicarle anche una piccola viuzza nel borgo natale. Il suo fascino fu costruito sull'ambiguità sessuale e la costellazione di amanti d'ambo i sessi che ostentava come prede di caccia: tra i più celebri nel campo maschile (il codice Hays imponeva di tacere sulle relazioni omosessuali), Joseph von Sternberg, Gary Cooper, Erich Maria Remarque, Jean Gabin, Burt Lancaster, Orson Welles. I suoi ruoli furono quasi sempre legati alla musica e al canto, che aveva praticati fin da bimba pur dovendo poi smettere gli studi di violino per una dolorosa tendinite. Adorava il lusso, la sfrenatezza, la bella vita e in America si sentì amata e accolta fino al punto di prendere la cittadinanza già nel 1937 pur conservando fino all'ultimo un amore travolgente per la "sua" Germania che non era certo quella dei gerarchi nazisti, rigettati sempre con sdegno benché Hitler si dichiarasse pronto a fare follie per lei e le offrisse il ruolo di star del regime anche quando Marlene aveva già dato prova di opinioni totalmente opposte. "Se solo avessi accettato di farmi corteggiare da lui - disse una volta - magari sarei riuscita a far cambiare qualche idea anche ad Adolf". Certo fu una madre difficile ma nella biografia che le dedicò la figlia (che ne seguì le orme col nome di Maria Riva e debuttò sullo stesso set della madre in 'Shanghai Express' del 1932) emergono tratti di umanità e dolcezza celati per un dolore profondo. Curiosa, intelligente, colta, calcò le scene già dagli anni '20, sotto la guida di Max Reinhardt, scopri' il cinema, sposò l'aiuto regista Rudolf Seiber da cui ebbe l'unica figlia, Maria Elizabeth. Nel 1929 strappò il primo ruolo da protagonista in Enigma di Curtis Bernhardt e nello stesso anno fu chiamata da von Sternberg per vestire le calze a rete e il cappello a cilindro della ballerina e femme fatale Lola Lola ne L'angelo azzurro. Fu un colpo di fulmine per il pubblico mondiale, le ombre della notte dei Lunghi Coltelli e del nazismo arrembante si allungavano su Berlino, ma la diva era già salpata vero la gloria americana. A chiamarla era stato von Sternberg, ormai suo amante ufficiale, che le procurò un contratto di sette anni con la Paramount e la legò a sé per i maggiori successi da Morocco a Capriccio spagnolo (1935). Inflessibile con se e con gli altri, consapevole pigmalione di se stessa, Dietrich plasmò il suo personaggio. Così fu sofisticata Contessa Alessandra per Jacques Feyder ('37) Angelo (caduto) per Lubitsch ('37), seduttrice romantica al fianco di John Wayne (La taverna dei sette peccati, 1940), Ammaliatrice per René Clair (1941), maliarda d'alto bordo per Billy Wilder (Scandalo internazionale, 1948). Intanto era andata al fronte a far piangere i soldati tedeschi e quelli americani con la sua doppia versione di Lilì Marlene. Inseguita dalla paura di invecchiare, si mostrò grande attrice per Hitchcock (Paura in palcoscenico, 1950), rilanciò Fritz Lang (lo straordinario western noir Rancho Notorius del 1952), si concesse alla diabolica immagine costruita per lei da Wilder in Testimone d'accusa, 1957 e celebrò un monumento personale ne L'infernale Quinlan (1958) di Orson Welles che scrisse per lei il ruolo di Tanya innamorandosi all'istante della donna e del mito. Dopo l'ultimo successo in Vincitori e vinti di Stanley Kramer (David di Donatello nel 1962) si ritirò praticamente dal cinema, proseguendo invece nei tour musicali che le davano da vivere e che abbandonò solo per una rovinosa caduta che la costrinse all'infermità permanente. Maximilian Schell la ricoprì d'oro per il documentario Marlene del 1984 ma la diva pretese di non apparire mai e la sua ultima, dolente immagine pubblica resta affidata alla cinepresa di David Hemmings che la diresse in "Gigolò" (1978) a fianco di David Bowie. Nella sua casa parigina conservava oltre 300.000 cimeli della sua carriera e la sua morte, ufficialmente per arresto cardiaco, resta nel mistero come la sua vera nascita (sosteneva di essere del 1904, ma forse si calava gli anni fin da giovane).

    Toscana, sì alla cannabis antidolore.
    Somministrazione farmaci in ospedale, ma anche a casa. Sì da Consiglio Regione.
    Facilitare l'accesso in Toscana ai farmaci cannabinoidi per combattere il dolore, nelle cure palliative e anche in altri tipi di terapie. E' l'obiettivo di una legge, la prima del genere in Italia, approvata oggi a maggioranza dal Consiglio regionale della Toscana, con il voto contrario di Udc, parte del gruppo misto, e Pdl, ad accezione del consigliere Marco Taradash che ha votato in maniera favorevole, e l'astensione della Lega Nord. L'atto unifica due diverse proposte di legge e vede come primi firmatari Enzo Brogi (Pd) e Monica Sgherri (capogruppo Fds-Verdi), insieme, tra gli altri, a Pieraldo Ciucchi (Gruppo misto). Un decreto del ministro della Salute del 2007, è stato ricordato, rende possibile l'utilizzo dei principi attivi della cannabis nella terapia farmacologica, ma tali farmaci sono di difficile accesso per le procedure burocratiche richieste e perché è necessario acquistarli all'estero. Il provvedimento prevede la somministrazione dei farmaci cannabinoidi presso le strutture del servizio sanitario regionale, le Asl, e le strutture private (che erogano prestazioni in regime ospedaliero). Per garantire la continuità terapeutica è previsto che il trattamento possa proseguire anche in ambito domiciliare, dopo che il paziente viene dimesso. I farmaci sono acquisiti tramite le farmacie ospedaliere, "nei limiti del budget aziendale", e tramite le unità sanitarie locali. L'approvazione è stata salutata con un applauso da parte del pubblico in aula appartenente ad alcune associazioni.

    Protesi e pacemaker, 11,2 mln italiani bionici.
    Studio Censis, per 74% e' settore utile e non costo da tagliare. Sono 11,2 milioni gli italiani 'bionici', uomini e donne che utilizzano, con un netto miglioramento della qualità della vita, dispositivi medici di vario tipo, dalle protesi (come quelle al ginocchio e dell'anca) ai pacemaker. Un dato che dimostra come ai fini del miglioramento delle condizioni di vita non siano fondamentali solo farmaci e ospedali. E' quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per Assobiomedica e presentata oggi a Roma. Secondo l'indagine Censis 'Non solo ospedali e farmaci - Il valore sociale delle tecnologie biomediche e diagnostiche e delle apparecchiature medicali', sono 6,3 milioni le persone che usano tutori, plantari, busti ortopedici, ginocchiere. Circa 2,3 milioni utilizzano il lettore per la determinazione rapida della glicemia (il glucometro); 1,5 milioni si avvalgono di ausili per la mobilità personale, come stampelle, deambulatori, carrozzine, sollevatori per alzarsi dal letto; 1,3 milioni convivono con impianti per la cardiostimolazione, come il pacemaker; 1 milione, infine, utilizza apparecchi e protesi acustiche di vario tipo. E non c'è crisi che fermi la ricerca di soluzioni sempre piu' personalizzate: Il 59% di chi utilizza dispositivi medici nella vita quotidiana ha infatti potuto scegliere alcune caratteristiche fondamentali del proprio dispositivo. Questa percentuale sale al 71% tra chi usa tutori, plantari, busti ortopedici e ginocchiere. Il 69% degli italiani, inoltre, è disposto a pagare di più di tasca propria per avere un dispositivo personalizzato, adattabile alle proprie esigenze. I dispositivi medici, secondo gli italiani, aiutano dunque a vivere meglio e per questo il 74% considera i soldi pubblici spesi per acquistare tecnologie medicali come un investimento utile, e non come un costo da tagliare. Per il futuro, il 49,5% degli italiani si aspetta che i dispositivi medici aiutino a praticare terapie meno invasive, il 42% si aspetta che contribuiscano a individuare precocemente le patologie, il 36% che mettano a disposizione dei cittadini strumenti sempre più semplici che possano essere utilizzati direttamente dalle persone, il 20% che mettano a disposizione ausili sempre più personalizzati. (ANSA).


    GOSSIPPANDO


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    Victoria Beckham dimentica il figlio a casa

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    VICTORIA BECKHAM - Da una mamma stressata come Victoria Beckham che non va in vacanza da tre anni, c’era da aspettarselo. In un’intervista a Vanity Fair America, l’ex Posh Spice rivela quella volta che ha dimenticato il figlio Brooklyn a casa e del disappunto provato quando se n’è accorta.
    Le cose, secondo quanto raccontato da Victoria sono andate così: “ Sono salita sulla mia Range Rover e, dopo aver messo il seggiolino per Harper e attaccato l’iPod, mi sono diretta a scuola ma solo dopo un po’ di strada, guardando sul sedile, ho realizzato di aver lasciato Brooklyn in cucina e mi sono messa ad imprecare. Mi sono sentita una vera idiota. Così ho fatto inversione e sono tornata indietro in tutta fretta”.
    Una versiona più patinata e glamour di “Mamma, ho perso l’aereo”.


    (Lussy)



    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …


    "Strana la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai. Poi, da un giorno all'altro ti ritrovi a cinquant'anni, e l'infanzia o quel che ne resta è in una piccola scatola, che è pure arrugginita."
    (Bretodeau) [dopo aver ritrovato la scatola con i suoi "tesori"]


    IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIE



    Titolo originale Le fabuleux destin d'Amélie Poulain
    Lingua originale francese
    Paese Francia, Germania
    Anno 2001
    Durata 120 min
    Rapporto 2,35:1
    Genere commedia, romantico
    Regia Jean-Pierre Jeunet
    Soggetto Guillaume Laurant, Jean-Pierre Jeunet
    Sceneggiatura Guillaume Laurant
    Fotografia Bruno Delbonnel
    Montaggio Hervé Schneid
    Effetti speciali Alain Carsoux Duboi, Les Versillais
    Musiche Yann Tiersen
    Scenografia Aline Bonetto, Volker Schäfer, Marie-Laure Valle

    Interpreti e personaggi

    Audrey Tautou: Amélie Poulain
    Mathieu Kassovitz: Nino Quincampoix
    Rufus: Raphaël Poulain
    Lorella Cravotta: Amandine Poulain
    Serge Merlin: Raymond Dufayel, l'uomo di vetro
    Jamel Debbouze: Lucien
    Clotilde Mollet: Gina
    Claire Maurier: Suzanne
    Isabelle Nanty: Georgette
    Dominique Pinon: Joseph
    Artus de Penguern: Hipolito, lo scrittore
    Yolande Moreau: Madeleine Wallace
    Urbain Cancelier: Collignon
    Maurice Bénichou: Bretodeau
    Valerie Zarrouk: Bretodeau donna
    Michel Robin: il padre di Collignon
    Flora Guiet: Amélie a 6 anni
    Amaury Babault: Nino bambino
    André Dussolier: Voce narrante

    Premi

    4 Premi César 2002: miglior film, miglior regista, migliore colonna sonora, migliore scenografia
    3 Premi Lumière 2002: miglior film, migliore sceneggiatura, migliore attrice (Audrey Tautou)
    3 European Film Awards 2001: miglior film, miglior regista, miglior fotografia
    BAFTA alla migliore sceneggiatura originale
    Independent Spirit Awards 2002: Miglior film straniero
    Festival di Cabourg 2001: Swann d'oro al miglior regista e Swann d'oro al miglior attore (Mathieu Kassovitz)
    Kansas City Film Critics Circle Awards 2002: miglior film straniero
    Premi Goya 2002: miglior film europeo
    Premi Robert 2003: miglior film straniero non statunitense