No status-symbol, dammi il cinque dalle mie parti dicono "bella gringo" persi nel vuoto in un limbo, animale da combattimento come Slice Kimbo giro con Slait e Valium, glock magnum, vorrei vedere morto pino scotto e i vanadium! brucia, hardcore, stay crucial. vedo nero come Sugar, rimo pesante come i Messhuggah sto tipo dopo il concerto parla troppo e mi asciuga! muovo un paese, al mio concerto è palese che la gente suda quando chiudo una barra ti porto sul fondo ho il flow barracuda . ti chiedi, ma chi cazzo è salmo? è quello che mangia gli organi quando il corpo è ancora caldo! psyco- logico . fatti un giro nel mio ciclo astronomico. io non faccio le hit, rimo da buffone faccio ego trip. ti prego ... non sapevi che ho un bagaglio culturale così grosso che non bastano due station vagon ? hey, mandami in play, salmonlebon, al mio concerto del cazzo vengo vestito più male di un rom, salmonlebon viene sempre prima della quiete, questo è il vero flow machete !
1. Hellcome! 2. Il Pentacolo 3. Narcoleptic verses part 1 4. Negative Youth 5. Demons to diamonds 6. Senza 7. L.fast & D.Young 8. Narcoleptic verses part 2 9. Death USB 10. Doomsday
La principale caratteristica degli anni Zero è stata una sostanziale mancanza di rabbia. E per rabbia non intendo non avere niente di meglio da fare tutto il giorno, se non sfasciarsi e scrivere di quanto sei sfasciato e di quanto fa schifo il mondo perché non capisce che l'autodistruzione è una figata pazzesca. E non voglio nemmeno indicare suoni tanto isterici quanto sterili, roba che a fine serata ti fa odiare l'universo perché non trovi più nessuno disposto a offrirti un cocktail.
È che è mancata una vera coscienza sottoculturale, fagocitata dalla immediata reperibilità delle informazioni garantita dai nuovi media, la classica arma a doppio taglio che taglia la testa tua e quella degli altri offrendo pari opportunità e calma piatta. Se però vieni da un'isola che fino a pochi anni fa non era nemmeno coperta tanto bene dall'Adsl, e ti trovi ad avere fotta e capacità su un meraviglioso lembo di terra che per ovvie ragioni ti isola dal resto del mondo, allora può essere che cresci con in corpo quella dose di rabbia di cui, sinceramente, c'era bisogno.
La fase uno del piano di Salmo si è conclusa con successo, il massacro sull'isola annunciato con “The Island Chainsaw Massacre” è compiuto, e nel giro di un anno il rapper di Olbia ha letteralmente invaso stereo e palchi, riuscendo a “fuggire” dalla Sardegna per spargere il verbo in tutto lo Stivale. E bada che non è che si sta parlando di uno dei soliti fenomeni 2.0, no. Salmo tira pugni sui denti con stile e consapevolezza, un po' come ha sempre fatto Kaos, impossibile – almeno per il momento – evitare i paragoni fra i due. Salmo riesce a essere fresh avendo coscienza e rispetto per tutta la faccenda, con quella fierezza un po' anni Novanta per cui uno era hip hop per via dell'attitudine, e non perché indossava gli occhiali da sole in ogni video.
Un paio di motivi, quindi, per cui “Death USB” era un lavoro attesissimo, quello che avrebbe potuto rappresentare la consacrazione o lo sputtanamento di uno dei talenti più genuini e interessanti degli ultimi dieci anni. E, per fortuna, lo sputtanamente non c'è stato. Lo street album registrato per Tanta Roba è molto più potente, più compatto ed esplosivo rispetto al precedente lavoro. È un disco coerente e ben fatto, impeccabile sia dal punto di vista delle produzioni che del rap, dieci mine pronte a esploderti nelle orecchie. Ma è anche vero che “Island Massacre” aveva molte più sfaccettature, una moltitudine di suoni che andavano a comporre una personalità musicale complessa e interessante. “Death USB” tende invece ad abusare di synth e bassi saturi, andando dietro a quello che è il suono del momento con il rischio di rimanere impigliato fra maglie distorte che rischiano di stancare presto.
Ma le bombe ci sono eccome, a cominciare dal singolo “Il Pentacolo”, fotografia di Salmo nel 2012, lucido e incazzato come non mai, con metriche dinamite che si incastrano fra cassa, rullante e wobble. Stile. Potentissima “Demons to Diamonds”, con Fritz da Cat che manda un beat in bilico fra sogno e incubo, con un flauto in loop che contrasta con le liriche ruvide di Salmo. I riff di chitarra compaiono in “Narcoleptic Verses Part 2”, pezzo che circolava in rete già da un annetto buono, così come il classico beat basso e batteria di “L. Fast & D. Young” arriva da un freestyle (da paura) che aveva già generato abbondante panico su YouTube. In netto miglioramento anche En?gma, presenza fissa nei live, che se in “The Island Chainsaw Massacre” risultava ancora immaturo, ora regala dei begli incastri in “Senza”. E via così fino alla title track, con l'incedere dubstep e la dichiarazione ufficiale: “Se Marra è il king del rap io sono il king dell'hardcore”. Sicuramente la conferma di un talento, e ora le aspettative non possono che aumentare. Il massacro continua.
Quello che fa rap sul dubstep
di Enrico Piazza, rockit.it 26/03/2012
In un solo anno, un perfetto sconosciuto proveniente da Olbia è riuscito nell'impresa di rivoltare il rap italiano come un calzino. Oggi tutti conoscono Salmo, quel tizio incazzato e mascherato che ha sfruttato il web per lasciare l'isola e prendersi l'Italia. A distanza di un anno, un mixtape con la crew Machete, un nuovo album e decine di live dalla prima intervista, ci siamo ritrovati per fare il punto della situazione. Abbiamo parlato di Sardegna, di Milano, di rap, di un nuovo mixtape ancora tutto da scrivere, quindi di dubstep e di Internet. Abbiamo parlato di Salmo. Riprendiamo da dove eravamo rimasti con l'intervista precedente: concludevi dicendo che avevi perso le speranze, e che non aspettavi più che qualcuno ti venisse a prendere sull'isola. Alla fine, dopo un anno, sembrerebbe che in qualche modo ti ci abbiano tirato fuori. In qualche modo sì, diciamo che mi è andata bene. Poi non so dirti se si è trattato più di fortuna o di merito. Adesso non voglio dirti cazzate, ma di sicuro mi son dato parecchio da fare. E il resto è venuto un po' da sé.
All'improvviso, tra l'altro. Sì, è stata una cosa veramente rapidissima, infatti ancora adesso non mi rendo conto troppo bene di quello che è successo. Impatto emotivo? Mah, sai, ho passato anni a Olbia, la mia piccola città, a osservare da lontano tutte quelle situazioni affascinanti che ora invece vivo direttamente. Mi ci sono trovato in mezzo all'improvviso, tipo un sogno che si realizza. Adesso devo ancora capire bene come funziona tutta la situazione, ma in ogni caso devo dire che sono molto contento di quello che mi sta succedendo. Il fatto è che, come giustamente ricordi, non avevo grandi speranze, e se devo essere sincero non ne ho troppe nemmeno adesso. Prendo quello che viene. E considerando che la musica è diventata il mio lavoro, per ora direi che mi è andata bene. Che poi anche il passaggio geografico da Olbia a Milano è stato meno traumatico di quanto pensassi. Sono due città molto vicine dal punto di vista dello stile di vita. Olbia è sempre stata una città molto influenzata dal resto dell'Italia, probabilmente quella che in tutta la Sardegna risente maggiormente di influenze esterne. Com'è cambiata invece la tua musica nell'ultimo anno? “Death USB” sembra più studiato rispetto a “The Island Chainsaw Massacre”. In realtà è molto più spontaneo rispetto al precedente. Per il primo disco ho avuto a disposizione parecchio tempo per pensare alla musica e ai testi. Da questo punto di vista, invece, “Death USB” è un lavoro sviluppato di getto, in maniera più immediata e naturale.
Quello che volevo dire io, è che il primo album era un mix estremo di suoni e di idee, mentre l'ultimo è molto più omogeneo, diritto, compatto. Sembra andare in una direzione ben definita. Quando mi son messo al lavoro su "Death USB", il mio obiettivo era produrre un album veramente pesante, hardcore. Ho cercato di non infilarci roba troppo melodica, e infatti all'interno del disco non c'è nulla che suoni come una hit classica italiana.
Beh, di “hit classiche italiane” mi pare non ce ne fossero nemmeno in “The Island Chainsaw Massacre”... Ovvio, però aspetta un secondo: in quell'album c'erano pezzi come “Yoko Ono” o “Il Senso dell'Odio”, che comunque risultavano abbastanza ascoltabili, radiofonici se vuoi. Ovviamente sempre rimanendo all'interno di determinati canoni musicali. Con “Death USB”, invece, volevo fare qualcosa di più ruvido.
Mi sembra però che si rischi di perdere qualcosa: se nel tuo esordio, come ti dicevo, colpiva il grande miscuglio di influenze, ora è tutto più omogeneo. Cioè - per capirci – per molti sei diventato “quello che fa rap sulla dubstep”, o comunque su un certo tipo di sonorità distorte. Ed è una roba che da noi può essere rivoluzionaria, nel resto del mondo, invece, è quasi fuori tempo massimo. Per cui la domanda vera è: non hai paura di incagliarti in qualcosa di poco duraturo? La paura c'è, ovvio, ma è inevitabilmente presente nel momento in cui cerchi di sperimentare qualcosa. Il rischio è sempre che la gente possa non capire quello che fai, o – al contrario – che ti metta immediatamente da parte dopo l'entusiasmo iniziale. Alla fine però te ne sbatti anche un po' il cazzo. Sinceramente faccio quello che mi passa per la testa, se va bene è ok, se invece va male è ok lo stesso. A me interessa lasciare qualcosa di solido, qualcosa che possa apparire come un punto fisso.
Per cui il suono attuale è solo una parentesi? Beh, io ho fatto veramente di tutto, son passato attraverso un sacco di generi musicali. Quindi non ti nego che quello che faccio al momento potrebbe non essere quello che farò fra qualche anno. La dubstep oggi la vedo un po' come il crossover agli inizi del Duemila, è il fenomeno del momento, ma non può vantare magari vent'anni di underground come l'hip hop o l'hardcore, capisci? Ha delle basi molto meno solide, è una fase di passaggio. Alla fine il rap che faccio io è ispirato alla scuola anni Novanta, e quello che cambia è solamente il tappeto sonoro. Chiaro che nel 2012 non ha più senso presentare dei beat che andavano bene quindici anni fa, non funzionerebbero. Bisogna stare un attimo al passo. Io ho sentito una cosa che mi piaceva in Inghilterra e ho provato a portarla qua. È vero che in UK o in America è già inflazionata, ma noi siamo arrivati dopo, e quindi c'è ancora un bel po' di musica da fare. E lo step successivo quale potrebbe essere? Per i progetti futuri si stava pensando a un film porno (Ride, Ndr). No va beh, per il momento sono fuori con lo street album, quindi mi toccherà fare anche un album ufficiale, anche se a dire il vero non ho ben capito quale sia la differenza fra le due cose.
Direi budget e promozione... Sì certo, si torna sempre a problemi di budget, ma quello che intendo dire, è che alla fine considero un lavoro come “Death USB” davvero poco distante da un album per così dire ufficiale. La qualità è la stessa, capisci? Ho messo la stessa passione e la stessa attitudine in questo album come in quello precedente e quello futuro. Che tra l'altro non ho ancora iniziato nemmeno a pensare e non so proprio cosa verrà fuori!
Voci parlano anche di qualcosa in ballo con Belzebass... Assolutamente. Belzebass è un duo di Bergamo di produttori e Dj di Bergamo. Spaccano tantissimo. Il problema è che girano molto più all'estero che in Italia, dove se li cagano in pochi. L'idea è quella di fare un progettino insieme e farli conoscere anche qua, perché meritano davvero. Studio e live? Sì, anche se è ancora tutto da definirsi, non abbiamo prodotto nulla di concreto al momento. Il fatto è che loro ormai fanno una roba a parte, musica pesantissima ribattezzata Clubcore, e sono così bravi come producer che hanno interpretato a modo loro anche la dubstep, facendo uscire delle robe veramente super fighe.
Ma quindi stiamo sempre parlando di dubstep? Sì, credo di sì. Ma tutto può essere. E Machete? Machete si muove e continuerà a muoversi. Ora En?gma farà un disco da solo, dato che anche in “Machete Mixtape” è stato forse uno dei più forti. E credo che anche El Raton e Dj Slait usciranno con qualche prodotto solista. La cosa figa è che sono riuscito a portare la mia squadra dalla Sardegna, ci muoviamo insieme ma ogni singolo membro ha talento, e il piano è quello di cominciare a percorrere anche strade personali. Poi siamo tutti sardi, quindi per me è una figata vera!
Ma alla fine che è 'sta “Death USB”? Prendiamola un po' alla larga, partendo dal web. Io non credo che Internet abbia ucciso la musica.
La musica no di sicuro, al massimo può aver danneggiato il mercato. Esatto. La musica, al contrario, ha ricevuto una grande spinta. Il web è il mezzo più rapido ed efficace per diffondere il proprio sound, e qualsiasi disperato può sfruttarlo. Chiunque, con Internet, ha a disposizione un veicolo per ottenere una fetta di popolarità. Leggevo di recente un'intervista a Banksy, che faceva notare come i celebri “quindici minuti” warholiani siano ormai superati. Basta connettersi per avere una fetta di celebrità potenzialmente enorme. Banksy diceva che fra un po' avremo bisogno di quindici minuti di anonimato, perché il problema di oggi è proprio l'eccesso di visibilità che chiunque può avere.
In effetti direi che il web, nel tuo caso, ha aiutato parecchio. Hai voglia. Il primo video, “Il Senso dell'Odio”, l'ho girato in camera mia, con un giradischi in mezzo alla stanza, la macchina che ci girava sopra e io che ci cantavo davanti. E ancora oggi è uno dei miei clip con più visualizzazioni, senza praticamente averci investito nulla. E quindi come si arriva a “Death USB”? Volevo appunto sottolineare il passaggio da un mezzo a un altro e da un supporto a un altro. Il vinile è stato ucciso dal tape, il tape dal CD. E ora la USB ha ucciso il CD.
Ma non era stato Internet a ucciderlo? La USB è la roba più vicina a quel mondo. Su una chiavetta USB ci metti della musica sotto forma di file. Rappresenta un passaggio, dopo la USB non c'è altro, è il supporto fisico che sta sostituendo il CD. E a questo ci ho aggiunto il concetto di “morte”, che è un po' il concept dell'album. L'immagine di me con il gatto nero in braccio che si trova nel booklet dell'album, è ripresa da “Constantine”. Nel film, il gatto rappresentava il traghettatore fra la vita e la morte, e io riprendo questa figura per indicare un passaggio da un universo all'altro. “Death USB”, appunto.
Anche dal punto di vista dell'immagine c'è stata un'evoluzione: la percezione che molti hanno oggi di Salmo è tipo “il rapper con la maschera”. All'inizio, invece, il volto coperto non sembrava un elemento così importante. Io in realtà associo la maschera a un tipo di suono. Anche guardando i video, appaio mascherato quando ci sono pezzi più aggressivi. I clip dei pezzi di rap classico, invece, li ho sempre girati a viso scoperto. Ci sono due personaggi, due sfumature. Ci prendevo gusto soprattutto all'inizio, perché quando indossi una maschera la gente non vede la tua espressione, non sa se ridi o sei incazzato nero, se sei fatto o sei preciso. Si tratta anche di un fattore teatrale, poi però ci ho preso gusto. Potrebbe essere un caso involontario di sdoppiamento della personalità.