IL GIORNALE DELL'ISOLA FELICE ... ANNO 2° ... NUMERO 181 ...

Mercoledì 19 Ottobre 2011

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    BUONGIORNO GIORNO... 19 OTTOBRE 2011


    Edizione Giornale Anno 2° Numero 181


    RIFLESSIONI


    ... UN GRIDO DI ALLARME ...
    ...Che notizia! La riporto come spesso faccio in queste mattine per raccontarvi tre le tante che giornali, telegiornali e web diffondono, quelle che hanno in se un messaggio, una foto di una emoizone o di una realtà. Invecchiare, sentire sulla pelle il tempo che passa può essere vissuta in tanti modi; la serena osservazione del mutare delle cose, delle persone intorno a noi, oppure l’amarezza e a volte la disperazione per un tempo che nel suo scorrere lascia tracce indelebili insieme alla nostalgia del tempo che fugge. In questo mondo fatto troppo spesso di modelli da raggiungere, di una modernità a cui tenere il passo; in questo mondo dove il diverso, quello che non corre al passo del tempo è visto con fastidio fino alla determinazione di emarginarlo fisicamente, invecchiare non è cosa semplice. Giorni fa scrivevo che per i giovani è saltato il ponte su cui correre per crescere; quel ponte rappresentato dal valore e dall’importanza degli insegnamenti dei nonni che sono visti sempre più come fastidio perché simbolo di antiche tradizioni oramai desuete. Oggi questo articolo lancia un grido di allarme; un chiaro avvertimento e segnale della brutta strada che sta prendendo la nostra civiltà- Non smetterò mai di dire che un mondo senza passato è una civiltà senza ricordi, senza storia; è un albero senza radici che prima o poi cadrà a terra. Spero che il grido di allarme dei nosti “vecchi” sia colto e ci si muova affinchè ad essi sia restituito il rispetto, la dignità e il ruolo che ad essi compete … le basi su cui costruire il nostro e il futuro di tutti … Buon risveglio amici miei … Vi abbraccio fortissimo … Buon OTTOBRE a tutti….
    (Claudio)




    Italiani terrorizzati dalla vecchiaia, per uno su dieci la soluzione è il suicidio.
    (Adnkronos/Adnkronos Salute) - La paura di invecchiare, ovvero vivere a lungo ma male, terrorizza il 63% degli italiani. Un dato raddoppiato negli ultimi 15 anni. Solo il 41% adotta però risposte attive preparandosi con strumenti preventivi 'ad hoc'. Mentre un 9% vede come soluzione il suicidio. Il 59% inoltre non vive felicemente l'idea che gli anni trascorrano in fretta. Ben il 63% è attanagliato dall'incubo della solitudine e dell'abbandono. Infine, per il 58% la paura principale della vecchiaia è diventare dipendenti dagli altri: parenti, badanti o strutture di ricovero. E' quanto emerge dallo studio 'Gli italiani, l'invecchiamento, la perdita d'autonomia personale e la risposta attiva' condotto da Astra Ricerche e promosso da Assidai, il fondo sanitario integrativo di Federmanager, presentato oggi a Roma. La ricerca, condotta su 2.000 italiani con un età superiore ai 15 anni, ha messo in evidenza come il 60% crede che oggi gli anziani siano meno amati e rispettati rispetto al passato. Anche se le statistiche evidenziano come un italiano su sette è over 80. Inoltre il 37% degli intervistati afferma che 'vorrebbe non invecchiare o non essere invecchiato mai'. L'ansia di invecchiamento, che la ricerca dimostra essere un 'mix' di indebolimento fisico e perdita della memoria, è indicata dal 35% come la minaccia più sentita una volta in là con gli anni. La risposta degli italiani a come affronteranno i disagi della quarta età? Il 61% 'farà qualcosa o molto per prevenire l'invecchiamento'. Ma ben il 39% ha risposto che 'non fa assolutamente nulla'. Il 9% afferma 'di pensare a farla finita', ovvero al suicidio. "Gli italiani hanno un'idea abbastanza esatta dei rischi della vecchiaia - afferma Enrico Finzi, presidente Astra Ricerche - il problema è che non fanno nulla o poco per prevenirli. E' raddoppiata l'età media e ora dobbiamo confrontarci con tutta una serie di problematiche per la salute: Alzheimer, aumento delle malattie croniche e dei tumori. E quando abbiamo chiesto - prosegue il sociologo - come pensavano di evitare i disagi della quarta età, il 27% ha risposto di essere 'consapevole', ma di rinviare ogni tipo di decisione, ovvero 'quando starò male me ne occuperò'". Secondo l'indagine solo il 29% dei connazionali è certo che potrà, se non dovesse essere più autosufficiente una volta superati i 70-80 anni, ricorrere a 'un adeguato mix di diagnosi, terapie e assistenza'. Il 28% invece ipotizza di 'poter contare sui parenti o su badanti'. E il 34% si 'affiderebbe al sistema pubblico di Welfare'. E' invece il 41% ad avere iniziato a fare prevenzione e ad aver attivato una assicurazione integrativa.


    ... Il tempo nel Tempo ...
    La favola della vecchiaia

    Ero appena entrata in quella galleria d’arte insieme a tanta gente, quando la mia attenzione si fermò su un quadro il cui titolo era: “Il tempo nel Tempo”, restai fortemente attratta dal titolo e solo dopo presi ad osservare con attenzione il dipinto. Si trattava di un orologio sospeso tra terra e cielo, un soggetto semplice e il significato facile da intuire, l’orologio indicava il tempo umano scandito dalle lancette, che a me diedero l’idea d’essere ferme da sempre, mentre il cielo e la terra indicavano il Tempo della Vita, un vento che non conosce sosta. “Il tempo nel Tempo”, scontato – dissi con voce interiore o per lo meno credetti di averlo detto con la mia voce di dentro, quando improvvisamente un uomo al mio fianco disse: Scontato proprio non direi, nessun dipinto è scontato. Ma da dove era uscito quell’uomo pensai, non mi ero proprio accorta della sua presenza al mio fianco, dovevo essere completamente persa nel dipinto per non averlo notato. E l’uomo come se avesse ascoltato l’intero mio dialogo di dentro, disse: A volte capita di perdersi in alcuni dipinti. Mi voltai col volto evidentemente sorpreso e l’uomo disse: Attenta in questa galleria i tuoi pensieri hanno eco, essi passano di quadro in quadro per arrivare sino al centro del mio cuore. Del tuo cuore? Eco? Ma cosa dici? Dissi preoccupata e ansimante ed improvvisamente le serrande della galleria calarono intrappolandomi in quel posto. Cosa succede? Fammi uscire! Urlai correndo verso l’uscita ormai chiusa dalla serranda, era tutto buio e la voce dell’uomo disse: Il mio nuovo dipinto avrà la tua faccia. Fammi uscire da qui! Dissi in preda ad una crisi isterica, sbattendo con forza le mani contro la serranda, speranzosa che qualcuno udisse il mio grido disperato. Non ti sentirà nessuno come vedi la galleria è vuota, ed anche la strada lo è. Ma come è possibile che la galleria sia vuota, entrava tanta gente nello stesso momento in cui ci ho messo piede io, ed ora improvvisamente non c’è più nessuno? Dissi sbraitando.


    Erano persone senza anima, a me interessavi tu. Io? Solo tu hai preso ad osservare un dipinto che non ho ancora fatto. Parli del dipinto che ritraeva l’orologio sospeso tra cielo e terra? Io l’ho visto chiaramente, come puoi dire di non averlo ancora fatto? Appunto quel quadro non l’ho ancora realizzato, ma tu lo hai visto. L’uomo prese un pennello e dei colori e mi condusse per mano attraverso il buio della galleria, sino ad una tela candida e illuminata da un tenero bagliore di luce, dicendo: Dipingiti! Ma io non so dipingere, non sono un artista. Dissi. Ogni uomo è un artista, ogni uomo dipinge quel che vede nel suo cuore, dipingi quello che tu vedi nel tuo. Presi il pennello e incominciai a dipingere un arcobaleno. Ho finito dissi nel consegnare il pennello all’uomo, e lo stesso mi disse: Guarda!
    La tela era mutata, l’arcobaleno che avevo dipinto ora si trovava sul quadro che avevo visto entrando, tra il cielo e la terra, sopra l’orologio. Ma questo è il dipinto che tu dici di non aver ancora fatto? E come ci è finito sopra il mio arcobaleno? Io l’ho disegnato su una tela bianca! Osservalo meglio. Presi a guardarlo con più attenzione e poi voltandomi verso l’uomo dissi: Strano ma ora sembra che le lancette dell’orologio si muovano. E l’uomo nel sorridermi disse: Non esiste vita scontata, portate alla luce il disegno della vostra anima e le lancette del tempo cominceranno a scorrere attraverso il tempo della Vita, perché la stessa diventi armoniosa danza, e non solo cieca speranza.
    Voi siete bambini nel tempo che hanno smesso di crescere, la scorza del vostro frutto immaturo si indurisce e avvizzisce, lasciando il frutto del vostro cuore acerbo. Il tempo del vivere avanza incoronando uomini e donne, dei bambini non cresciuti, gli stessi bambini che colti di sorpresa si riconosceranno anziani nello specchio di un vivere che sentono di non aver vissuto sino in fondo. Fate che il vostro tempo danzi in armonia col tempo della vita, affinché nel crescere fuori siate cresciuti anche dentro, solo così ci sarà armonia, e l’età che avanza invecchiandovi non vi sorprenderà. Come uomini maturi con una visione adulta, giungere alla porta di una dimensione diversa. E quando sarete giunti a quella porta, essa non vi apparirà come un grande portone a cui prostravi in attesa di giudizio, ma come un semplice uscio da varcare, nella vastissima casa della vita. La vita suona un armoniosa melodia e voi siete lo strumento che stona ogni nota, imparate a suonare la sua musica, e diverrete parte del grande concerto del vivere.
    Portate alla luce il disegno della vostra anima, e l’orologio del cuore incomincerà a segnare il tempo della vera Vita.
    Sorrisi a quelle parole, poi ripresi dalle mani del pittore il pennello, dicendo: Permetti che ci faccia un ritocchino?
    Fai pure. Disse l’uomo sorridendo. E dipinsi un bellissimo e grandissimo sole in quel cielo. E l’uomo disse: E’ qualcosa che hai scorto nel tuo cuore? No è quello che ci ho visto fuori.

    (Cleonice Parisi)





    ATTUALITA’


    Sabrina: 'Io innocente, mio padre un vigliacco'.
    A Taranto l'udienza preliminare per l'omicidio di Sarah. TARANTO - Michele Misseri ha consegnato al gup Pompeo Carriere un memoriale nel quale si dichiara unico colpevole dell'omicidio di Sarah Scazzi. Il contadino di Avetrana - a quanto si è saputo - sta anche rilasciando dichiarazioni spontanee, ribadendo la sua colpevolezza. Michele Misseri ha fatto lunghe dichiarazioni spontanee nel corso delle quali ribadisce la versione fornita piu' di recente (quella secondo la quale Sarah e' morta perche' avrebbe sbattuto la testa sul compressore mentre voleva allontanarsi da lui che tentava avances) e scagiona la figlia e la moglie, addossandosi tutte le responsabilita' del delitto. Michele Misseri avrebbe accusato, per la chiamata in correita' di sua figlia Sabrina, il suo precedente difensore (prima di ufficio, poi di fiducia), l'avv.Daniele Galoppa, che - per dichiarazioni di questo genere - lo avrebbe gia' denunciato per diffamazione. Oggi Misseri pare abbia ribadito che l'avvocato lo avrebbe convinto a denunciare sua figlia, dicendo cose non vere. All'udienza non ha partecipato - come era gia' avvenuto nella prima udienza - la madre di Sarah, Concetta Serrano. Tra gli altri imputati presenti ci sono anche i due ex legali di Sabrina, Vito Russo ed Emilia Velletri, accusati di reati minori svolti nel compimento del loro incarico. SABRINA MISSERI, IO INNOCENTE E MIO PADRE VIGLIACCO - E' durata pochi minuti la dichiarazione spontanea di Sabrina Misseri, accusata dell'uccisione della piccola Sarah Scazzi, nell'udienza che si tiene dinanzi al gup di Taranto Pompeo Carriere per decidere se lei e sua madre, Cosima Serrano, debbano essere rinviate a giudizio per l'omicidio. La ragazza - a quanto si è saputo - ha proclamato la sua innocenza e ha detto che suo padre è un vigliacco per averla tirata in ballo senza che lei avesse alcuna responsabilità. A Taranto e' cominciata infatti l'udienza preliminare per l'omicidio di Sarah. In aula sono presenti Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri, entrambe accusate dell'omicidio della quindicenne avvenuto il 26 agosto del 2010. E' presente in aula anche Michele Misseri, marito e padre delle due donne. L'uomo ieri aveva annunciato ai giornalisti che oggi avrebbe presentato ai giudici un memoriale nel quale si dichiara unico colpevole dell'uccisione della nipote. L'accesso all'aula 'Alessandrini' dove si svolge l'udienza preliminare - come di norma a porte chiuse - è transennato e vigilato da alcuni carabinieri. Nell'atrio del tribunale ci sono numerosi giornalisti e operatori televisivi ma, contrariamente a quanto avvenuto nelle altre udienze, non ci sono curiosi. ZIO MICHELE: 'SABRINA HA RAGIONE, SONO VIGLIACCO' - "Mia figlia ha ragione, sono io l'unico colpevole": lo ha detto Michele Misseri parlando con i giornalisti all'uscita del tribunale di Taranto. "Ho sentito che mi ha chiamato vigliacco - ha detto - e lei ha ragione". "Sul conto di mia figlia e di mia moglie - ha continuato - non ci sono le prove".




    'Fotografandoci', 60 anni di Italia nei clic ANSA.
    Più di sessant'anni della nostra storia, scorci di vita italiana dal Dopoguerra ad oggi raccontati dall'agenzia Ansa con la mostra "Fotografandoci" al Complesso del Vittoriano di Roma, da giovedi' 20 ottobre. L'esposizione è una selezione di alcune centinaia di foto scelte tra gli oltre 4 milioni e mezzo di immagini raccolte negli archivi dell'agenzia, dagli anni '40 ad oggi, tra grandi eventi, costume, cronaca. 'Fotografandocì sarà presentata in una conferenza stampa mercoledì 19 ottobre alle ore 15.30 nella Sala Zanardelli del Complesso del Vittoriano, ingresso lato Ara Coeli. La mostra è divisa in diverse sezioni, una per ogni decennio ed ogni periodo è introdotto da un'immagine femminile simbolo di quegli anni e da un testo a firma di un testimone dell'epoca: da Anna Magnani e Giulio Andreotti per gli anni '40, alla signora della tv Nicoletta Orsomando e Alberto Arbasino per i '50, agli anni '60 con Mina e Gianni Morandi, gli anni '70 con Nilde Jotti ed Ettore Scola, gli anni '80 con Rita Levi Montalcini e Giorgio Armani, gli anni '90 con Maria Rosaria Costa vedova Schifani e Gustavo Zagrebelsky, fino al nuovo millennio con Federica Pellegrini e Carlo Azeglio Ciampi. 'Fotografandoci', rimarrà aperta fino all'11 dicembre. Questa mostra racconta sessant’anni di vita italiana attraverso gli occhi dei fotografi dell’ANSA - spiega il presidente dell'ANSA, Giulio Anselmi -: raccoglie una parte rilevante delle immagini che la più grande agenzia del Paese ha trasmesso dal 1945 a oggi per documentare il vorticoso cambiamentodel mondo. Le fotografie che vedrete, si tratti di singoli volti o di manifestazioni di massa, di tragedie o di avvenimenti sportivi, siano incise nella memoria collettiva o rinnovino emozioni dimenticate, sono particolarmente rappresentative di un periodo storico. Lo abbiamo scandito, decennio per decennio, con le figure femminili che ce ne sono apparse le icone. Come per il notiziario scritto, anche per le foto crediamo sia possibile parlare di uno stile ANSA: impegnato a rispettare la realtà senza forzature e senza eccessi di spettacolarizzazione.


    Telefonini 'covo di batteri', 1 su 6 come WC.
    (Adnkronos Salute) - Prima di fare una telefonata con il cellulare di un altro, meglio pensarci due volte. Un telefonino su sei, infatti, è un 'covo di batteri', contaminato addirittura da materiale fecale. Lo rivela una ricerca britannica, condotta in 12 città, sulla base di 390 campioni prelevati da mani e cellulari, i cui risultati sono stati diffusi alla vigilia della Giornata mondiale del lavaggio delle mani, che si celebra il 15 ottobre. Gli esperti spiegano che la ragione più probabile della presenza di batteri potenzialmente dannosi sugli apparecchi di così tante persone è il fatto di non lavarsi le mani, o almeno di non farlo bene, dopo essere andati in bagno. Lo studio, condotto da scienziati della London School of Hygiene Tropical Medicine e dalla Queen Mary University di Londra rivela anche una preoccupante tendenza - diffusa tra i britannici - a mentire sulle proprie abitudini igieniche. Infatti, benché il 95% delle persone intervistate abbia assicurato di lavare le mani col sapone quando possibile, il 92% dei telefoni e l'82% delle mani controllate ospitavano batteri. A preoccupare di più gli studiosi, il fatto che il 16% delle mani e il 16% dei telefonini fossero 'abitati' dal pericoloso E. coli, batterio di origine fecale. Proprio un tipo di E. coli, batterio associato a disturbi di stomaco anche gravi, è stato implicato nei casi mortali di intossicazione alimentare registrati in Germania nel mese di giugno. "Questo studio - spiega l'esperto di igiene Val Curtis, della London School of Hygiene Tropical Medicine - fornisce ulteriori prove del fatto che alcune persone ancora non si lavano le mani correttamente, soprattutto dopo essere andate in bagno. Spero che il timore di avere E. coli sulle mani e sui telefoni incoraggi a fare più attenzione alla toilette. Lavarsi le mani con il sapone è una cosa semplice da fare, che senza dubbio è in grado di salvare vite umane". Una ricerca scioccante - commenta Peter Barratt, Technical Manager dell'Initial Washroom Solution, che sostiene la Giornata mondiale - che dimostra l'importanza di un'igiene efficace. E' fondamentale che la gente prenda questo aspetto sul serio". I ricercatori hanno viaggiato in 12 città, prelevando 390 campioni da telefoni cellulari e mani. I test di laboratorio hanno poi svelato tipo e numero di germi in agguato. Ai partecipanti sono state anche poste delle domande sulle abitudini con acqua e sapone. Se la quota più ampia di telefoni contaminati si è registrata a Birmingham (41%), ai londinesi spetta il record di E. coli sulle mani (28%). In generale, comunque, i livelli di batteri aumentano via via che si sale verso il Nord del Paese. La città più sporca è Glasgow: qui i livelli medi di contaminazione per mani e telefonini è nove volte superiore rispetto a Brighton. E ancora, chi ha batteri sulle mani, ha il triplo delle probabilità di averli anche sul proprio cellulare. Insomma, i risultati parlano chiaro. "La gente può affermare di lavarsi le mani regolarmente, ma la scienza dimostra il contrario", dice Ron Cutler, della Queen Mary University of London. I batteri fecali possono sopravvivere sulle mani e le superfici per delle ore, soprattutto nel caso di temperature più calde e lontano dalla luce solare. Vengono facilmente trasferiti toccando maniglie delle porte, cibo e persino telefonini. E sono insidiosi: possono scatenare diarrea, mal di pancia, febbre e intossicazioni. E ogni anno 3,5 milioni di bambini sotto i cinque anni vengono uccisi da polmoniti e malattie diarroiche.


    GOSSIPPANDO


    Gossippando

    George Clooney e Stacy Keibler: prima uscita ufficiale a New York


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    GEORGE CLOONEY – Lo scapolo più invidiato di Hollywood e la sua nuova fidanzata: Stacy Keibler sono di nuovo sotto i riflettori.
    George Clooney e la sua wrestler preferita sono apparsi insieme sul red carpet del New York Film Festival, suggellando una volta di più (e a scanso di equivoci) la loro nascente storia d’amore con la prima uscita ufficiale.
    Sarà pur vero che, prima di sfilare insieme presso il prestigioso evento cinematografico della Grande Mela, il divo di E.R. e la Keibler avevano già solcato il tappeto rosso del Toronto Film Festival.
    In quell’occasione però i due erano divisi, ora invece non c’è alcun dubbio sulla loro relazione. L’attore, sempre impegnato politicamente e socialmente è arrivato mano nella mano con la sua splendida compagna che indossava un abitino nero con uno spacco a dir poco vertiginoso.
    E mentre Elisabetta Canalis fa di tutto per non finire nel dimenticatoio delle ex del sex symbol per eccellenza, arrivando a postare foto hot su Twitter, a Clooney e alla Keibler, basta una semplice passerella per incantare tutti con il loro folgorante fascino.


    (Lussy)



    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …


    Il relitto VASA


    Il Museo Vasa rappresenta allo stato attuale il museo più visitato dell’intera Scandinavia....La realizzazione del museo è strettamente connessa ad un ritrovamento eccezionale, quello del celebre relitto del galeone Vasa.
    La storia del galeone Vasa è una storia duplice: da una parte testimonia la grandezza dell’architettura navale svedese della prima metà del XVII secolo, dall’altra attesta senza ombra di dubbio l’estremo amore del popolo svedese per le sue radici, un amore testimoniato da numerose e fortunate iniziative tese alla valorizzazione del patrimonio culturale svedese. Il Vasa non era solo un galeone: era il sogno di Re Gustavo II Adolfo di Svezia.
    Dotato di 64 cannoni, il galeone rientrava perfettamente nella politica del giovane re svedese, intenzionato a potenziare il controllo del Mar Baltico e sventare di conseguenza il pericolo danese attraverso un programma di costruzione navale senza precedenti. La grandezza del Vasa è soprattutto figlia di una tecnica costruttiva di derivazione olandese ed inglese, ovvero dei due paesi che agli inizi del XVII secolo avevano una tradizione consolidata ed affermata nel campo navale. Il materiale di costruzione era legno di quercia, proveniente dall’ isola di Angso e dalla costa di Smaland. La nave misurava 69 metri, era larga 11.7 metri e alta 52, per un peso complessivo di circa 1210 tonnellate; artisti intagliatori e pittori si incaricarono di ornare riccamente la nave, spesso rappresentando in chiave simbolica i segni del potere regio.


    Ma la storia del Vasa è soprattutto la storia di un sogno di gloria infranto.
    Il 10 agosto 1628 il Vasa partì per il suo viaggio inaugurale dal porto di Stoccolma ma dopo aver percorso poche miglia si inclinò sotto una raffica di vento, l'acqua entrò dai portelli dei cannoni facendola capovolgere ed affondare nel mar Baltico. Le vittime del naufragio furono circa 50: una disfatta del genere portò in poco tempo all’apertura di un’ inchiesta regia mirata a comprendere le cause dell’affondamento, ma nessun risultato in tal senso fu mai raggiunto. Parte dei preziosi cannoni del Vasa furono recuperati nell'ottobre del 1663, attraverso l’uso di una campana subacquea, un intervento che purtroppo implicò una parziale distruzione di ponti e delle strutture sovrastanti. Il relitto fu recuperato in tutte le sue parti solo nel 1961, ed in quella occasione si trovarono più di 26.000 manufatti, tra i quali ricordiamo vasellame, cristallerie, accessori di abbigliamento, dotazione di sala e di cucina, attrezzature militari. Un vero tesoro d’informazioni per la ricerca archeologica mondiale.
    (Valentina Pascal)



    Per poter meglio comprendere i motivi per i quali una grande nave come il Wasa forte di 64 bocche da fuoco, 57 metri di lunghezza tra le perpendicolari ed un albero maestro alto più di 50 metri dalla linea d'acqua, possa avere avuto una vita così breve, sarà bene rammentare a quale livello tecnico ed organizzativo erano giunti i cantieri navali dei primi anni del XVII secolo. Non esistevano ancora ne architetti navali ne regole codificate e la costruzione di una nave era affidata, qualunque ne fosse la grandezza, ad un maestro d'ascia.
    Questo provvedeva ad impostare la chiglia seguendo le indicazioni base che venivano fornite dal committente che chiedeva una nave con le caratteristiche navali e potenzialità di fuoco superiori a quelle nemiche, che spesso erano semplici indicazioni di massima.
    Sulla chiglia proseguiva edificando la nave e basandosi quasi esclusivamente sulla propria esperienza e su semplici calcoli empirici. Non esisteva ancora l'uso di disegnare le navi e calcolarle e neppure l'abitudine, venuta in uso in epoca successiva, di costruirne il modello da sottoporre all'approvazione del committente. Perciò il maestro d'ascia applicava le regole da lui conosciute per la costruzione di navi precedenti di una medesima categoria.
    Quando poi, come nel caso del Wasa, si intendeva costruire una nave più grande o più veloce delle precedenti, mancava al maestro d'ascia anche l'esperienza fatta su navi similari e doveva pertanto procedere per tentativi. Tutto ciò non deve in alcun modo sminuire la figura del maestro d'ascia il quale spesso aveva delle intuizioni sorprendenti e risolveva dei problemi costruttivi di considerevole complessità. Anzi, oggi si solleva il dubbio che un architetto o ingegnere navale possa realizzare una costruzione navale senza l'ausilio del progetto.

    E nel caso del Wasa si trattava veramente di una nave fuori del comune, considerando che nel 1637 veniva costruita in Inghilterra la Sovereign of the seas che costò una cifra notevole da costringere all'applicazione di una forte quanto impopolare tassa per il suo pagamento e che la Victory, costruita un secolo e mezzo più tardi, era lunga soltanto 10 metri più del Wasa, si avrà l'idea sufficientemente precisa delle dimensioni del Wasa rapportate alla sua epoca.
    La sua costruzione fu ordinata da Gustavo Adolfo II re di Svezia che, temendo una guerra da parte del Regno di Prussia, intendeva con questa grande nave con un elevato volume di fuoco dimostrare la propria supremazia e destare timore all'eventuale futuro nemico. Quindi il Wasa era armata con 64 cannoni di bronzo, mentre per la sua costruzione erano stati impiegati legnami della migliore qualità ricavati con l'abbattimento di 16 ettari di foreste. Il gran velaccio di maestra raggiungeva la considerevole altezza di 50 metri dalla linea di galleggiamento, che in proporzione alle case molto basse del porto di Stoccolma, proponeva uno spettacolo impressionante.
    La nave prevedeva 133 uomini di equipaggio e 300 fanti di marina. Dislocava 1400 tonnellate ed era riccamente decorata e per quell'epoca rappresentava non solo la più grande nave della flotta svedese ma anche una delle più grandi navi esistenti.

    Il varo avvenne nel pomeriggio del 10 agosto 1628 sotto lo sguardo ammirato di tutta la popolazione di Stoccolma, il Wasa salpava le sue ancore accingendosi al suo primo viaggio in mare aperto. Il Capitano di vascello Serin Hannson si accingeva alla cena soddisfatto di culminare la sua carriera al comando dell'ammiraglia della flotta di sua Maestà Re Gustavo Adolfo II mentre il Wasa randeggiava lungo il Sodermalm.
    La navigazione procedeva tranquillamente, quando all'improvviso un colpo di vento più forte fece sbandare pesantemente la nave a babordo, il primo ufficiale Erik Jonsson si precipitò sottocoperta ordinando agli uomini di spostare i cannoni di babordo a tribordo e di chiudere i sabordi inferiori. Ma era ormai troppo tardi, l'acqua iniziò ad entrare in quantità tali fino a che in un brevissimo arco di tempo il Wasa si inabissò adagiandosi su un fondale di 32 metri di profondità.
    Le imbarcazioni che sopraggiunsero poco dopo poterono recuperare soltanto pochi superstiti. Fu una sciagura enorme per il popolo svedese che con la perdita di una così grande nave vide svanire le speranze di una sicura difesa. Alcuni anni più tardi si svolse un processo per accertare le responsabilità, ma non fu provato nulla ed il comandante ed i pochi superstiti vennero assolti e lasciati liberi.

    Molti ardimentosi da ogni paese si recarono in Svezia per tentare il recupero del prezioso relitto ma ogni tentativo risultò vano. Soltanto nel 1663 un ex ufficiale dell'esercito svedese, certo Hans von Treileben, ottenne qualche risultato con la sua invenzione, che consisteva in una grande campana di piombo con all'interno una piattaforma e con questa poté immergersi usufruendo dell'aria immagazzinata all'interno della campana stessa.
    Dopo 35 anni di permanenza sul fondale il Wasa si era completamente ricoperto di detriti e fango, ma i cannoni in bronzo erano ancora intatti e Treileben tentò con la campana il recupero di questi, durante il corso di un anno oltre alla campana della nave recuperò ben 50 cannoni su un totale di 64. Successivamente a questo recupero nessuno si interessò più del recupero della nave e tutta la storia del Wasa si dimenticò fino a perdere addirittura la posizione del relitto.

    Il recupero del relitto del Wasa, avvenuto 300 anni dopo, è frutto di una combinazione tra la perseveranza di Anders Franzen di Stoccolma ed il caso. Franzen aveva sempre avuto la passione dei recuperi ed aveva trascorso innumerevoli ore su una lancia motore in cerca di qualche relitto. Fin da bambino rincorreva il sogno di Recuperare il relitto di una nave. Qualche anno dopo conobbe lo storico svedese Nils Ahnulnd che, durante le sue ricerche, si era imbattuto in un piccolo reperto del Wasa. Fu lui a spingere Franzen verso la ricerca di questa stupenda nave e gli indicò anche la posizione approssimativa del relitto o quella da lui presunta tale.
    Dato che il Wasa era presumibilmente affondato all'interno del grande porto di Stoccolma, all'imbocco del lago Malaren, Franzen pensò che la temperatura piuttosto fredda delle acque non avrebbe consentito la sopravvivenza alla teredine e che pertanto il relitto sarebbe stato ancora in buone condizioni. Dal 1952 al 1956 Franzen, aiutato da Per Falting capo sommozzatore della marina svedese, sondò i fondali in cerca di qualche traccia del Wasa, ma senza il minimo risultato che potesse incoraggiarlo a perseverare nelle ricerche. Soltanto nel 1956 ebbe l'accortezza di consultare una vecchia mappa del porto, da questa rilevò una grossa protuberanza del fondo in prossimità dell'isola di Beckholmsudden e, successivamente, reperì una lettera inviata dal Consiglio del Regno al Re Gustavo Adolfo II nella quale si descriveva il disastro precisando che il Wasa si inclinò per un colpo di vento a Beckholmsudden. Quindi Franzen, sempre aiutato da Falting, iniziò una serie di sondaggi sul punto dove esisteva la protuberanza scoperta sulla mappa. Dopo tre mesi di sondaggi continui recuperarono un vecchio cuneo di quercia annerito. Franzen sapeva che la quercia impiega almeno 100 anni per annerire in acqua e considerò che soltanto le grandi navi del '500 e '600 venivano costruite con legnami tanto pregiati, perciò suppose che doveva trattarsi di un componente del Wasa. Equipaggiati di attrezzatura idonea si recarono sul punto del ritrovamento del perno e Falting si immerse. Una volta immerso la visuale risultò scarsa a causa del fango rimosso, ma appena questo si depositò Falting intravide una serie di aperture quadrate disposte in fila e comunicò immediatamente in superficie la scoperta. Si trattava senz'altro di una nave da guerra perché proseguendo nell'esplorazione del relitto individuò un'altra fila di aperture quadrate e a questo punto comunicò a Franzen che era convinto che si trattasse proprio del relitto del Wasa.

    La sensazionale notizia del ritrovamento del Wasa fece il giro del mondo. Infatti fino ad allora l'unica nave più vecchia della quale si conoscevano tutti i particolari era la Victory di Nelson conservata a Portsmouth. Il Wasa lo precedeva di quasi 150 anni. Le operazioni di recupero durarono molti anni comportando spese notevoli.
    Si scavarono sei gallerie al disotto dello scafo per consentire il passaggio dei cavi di recupero e si iniziò lo spostamento del Wasa portandolo ad un livello di pochi metri di profondità, in attesa che fosse pronta un'adeguata struttura che potesse consentire il mantenimento di un alto grado di umidità necessario alla conservazione dello scafo.

    Nel grande edificio costruito all'epoca del suo ritrovamento il Wasa con la sua imponente bellezza è visitato da centinaia di migliaia di persone ogni anno che possono ammirare questa spettacolare opera prodotta dalle mani dell'uomo e oltre allo scafo anche tutti gli effetti personali compreso il servizio da tavola del comandante; una testimonianza unica di quella che era la vita dei marinai a bordo di una nave da guerra del '600... è una nave impressionante, soprattutto quando la osservi dal livello del terreno, ma l'unica maniera di conservarla bene sarebbe ributtarla in mare oppure costruirci un mega acquario attorno.
    (dal web)


    (Gabry)



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    Jujutsu
    Il Jujutsu, conosciuto anche come Jujitsu, è un'arte marziale giapponese il cui nome significa letteralmente ju: flessibile, cedevole, morbido e jutsu: arte, tecnica, pratica. Veniva talvolta chiamato anche taijutsu (arti del corpo) oppure yawara (sinonimo di ju).Il jujutsu era praticato dai bushi (guerrieri) che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri avversari provocandone anche la morte,a mani nude o con armi. Il jujutsu è un'arte di attacco e difesa personale che basa i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: HEY YO SHIN KORE DO, ovvero "il morbido vince il duro". In molte arti marziali, oltre all'equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel Ju Jitsu, invece, la forza della quale si necessita proviene proprio dall'avversario. Più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nell'applicare una determinata tecnica proprio nell'ultimo istante dell'attacco subito, con morbidezza e cedevolezza, in modo che l'avversario non si accorga di una difesa e trovi, davanti a sé, il vuoto.

    Descrizione
    Il jujutsu è un'antica forma di combattimento di origine giapponese di cui si hanno notizie certe solamente a partire dal XVI secolo quando la scuola Takenouchi produsse una codificazione dei propri metodi di combattimento. Ma certo l'origine del jujutsu è molto più antica e la definizione, durante tutto il periodo feudale fino all'editto imperiale del 1876 che proibi' il porto delle spade decretando così la scomparsa dei samurai, si attribuiva alle forme di combattimento a mani nude o con armi (armi tradizionali, cioè spada, lancia, bastone ecc.) contro un avversario armato oppure no praticate in una moltitudine di scuole dette Ryu ognuna con la propria specialità. Bastone, Sai e Nun chaku diventano armi ma nascono come semplici attrezzi da lavoro. Il bastone infatti serviva a caricare i secchi, i Sai servivano per la brace, mentre il nun chaku era un semplice strumento usato per battere il riso. Le armi erano inaccessibili ai civili e quest'ultimi si dilettarono nell'uso dei pochi strumenti che avevano a disposizione, usandoli appunto per difendersi. Si distinguevano perciò le scuole dedite all'uso del tachi, la spada tradizionale giapponese, quelle maggiormente orientate alla lotta corpo a corpo, fino alle scuole di nuoto con l'armatura, tiro con l'arco ed equitazione. Quest'ultime costituivano la base dell'addestramento del samurai, espressa dal motto Kyuba No Michi, la via (michi) dell'arco (kyu) e del cavallo (ba), che più tardi muterà nome in bushido. Una caratteristica che accomunava tutte queste scuole era l'assoluta segretezza dei propri metodi e l' eterna rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre. In un paese come il Giappone, la cui storia fu un susseguirsi di continue guerre tra feudatari, il ruolo del guerriero rivestì una particolare importanza nella cultura popolare e con esso il jujutsu. La difesa del territorio, la disputa di una contesa, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che ne hanno permesso lo sviluppo tecnico, dettato dalla necessità di sopravvivenza. Con l'instaurarsi dello shogunato Tokugawa (1603-1867) Il Giappone conosce un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del jujutsu, poiché, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, fu possibile per i vari Ryu organizzarsi e classificare i propri metodi.Anche la gente comune comincia a interessarsi e a praticare il jujutsu poiché la pratica portava un arricchimento interiore dell'individuo, data la relazione intercorrente con i riti di meditazione propri del buddismo zen. Ma la cultura guerriera era talmente radicata nella vita dei Giapponesi da spingere i samurai a combattere anche quando non ve n'era l'effettiva necessita. Ciò portava a volte all'organizzazione di vere e proprie sfide chiamate Dojo Arashi (tempesta sul dojo) in cui i migliori guerrieri si confrontavano in modo spesso cruento. La caduta dell'ultimo shogun e il conseguente restauro del potere imperiale causarono grandi sconvolgimenti nella vita del popolo: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, ora si volgevano avidamente verso la cultura occidentale che li stava "invadendo". Ciò provocò un rigetto da parte del popolo per tutto ciò che apparteneva al passato ivi compreso il jujutsu. La diffusione delle armi da fuoco fece il resto: il declino del jujutsu era in atto. Il nuovo corso vide la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato il Giappone per quasi mille anni e il jujitsu da nobile che era scomparve insieme ad essi; i numerosi dojo allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi ed i pochi rimasti erano frequentati da gente dedita a combattere per denaro, persone rozze e spesso coinvolte in crimini. Questo aspetto in particolare influenzò negativamente il giudizio del popolo nei confronti del jujutsu poiché vedeva in esso uno strumento di sopraffazione e violenza. Durante il periodo storico chiamato Restaurazione Meiji, si affermò grandemente in giappone il nuovo jujutsu ideato da Jigoro Kano con il nome di judo kodokan, che si proponeva come metodo educativo, insegnato nelle scuole come educazione fisica ed inserito nei programmi di addestramento della polizia giapponese. Ricordiamo infatti che la riunificazione del giappone portò alla formazione di forze armate statali al servizio dell'imperatore basate sul modello occidentale ma con caratteristiche autoctone. Nel dopoguerra però, a causa prima della proibizione del generale Mc.Arthur e poi della distorsione sportiva subita dal judo quando poté essere di nuovo praticato (1950), si riaffermò il jujutsu come tecnica di difesa personale accanto all' Aikido di Ueshiba. Il jujutsu si diffuse nel resto del mondo grazie a quanti, viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) nel tardo periodo feudale, lo appresero reimportandolo nel paese d'origine. Oggi è praticato un po' dovunque, con organizzazioni anche di carattere internazionale. In italia la FIJLKAM Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, possiede al suo interno un settore dedicato, sebbene esistano organizzazioni di carattere privato o promozionale (AICS, ACSI, UISP, AIJJ, ecc.) in cui il jujutsu è ben sviluppato. Nel mondo esistono molte Scuole e Federazioni che praticano Ju Jitsu, proprio per questo il governo giapponese ha da tempo istituito un ente, il Dai Nippon Butokukai (sala delle virtù marziali del grande Giappone), con la funzione di salvaguardare le arti marziali Tradizionali Giapponesi dal "possibile attacco sferrato dalla modernità e dall'avidità umana". Questo ente certifica l'effettivo collegamento tra il passato e il presente di una Scuola tradizionale, conservandone documenti e quanto altro risulti utile a certificarne l'autenticità.

    La leggenda del salice

    Esisteva un tempo, molti secoli fa, un medico di nome Shirobei Akiyama. Egli aveva studiato le tecniche di combattimento del suo tempo, comprese altre tecniche che imparò durante i suoi viaggi in Cina compiuti per studiare la medicina tradizionale e i metodi di rianimazione, senza però ottenere il risultato sperato. Contrariato dal suo insuccesso, per cento giorni si ritirò in meditazione nel tempio di Daifazu a pregare il dio Tayunin affinché potesse migliorare. Accadde che un giorno, durante un' abbondante nevicata, osservò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti che erano così rimasti spogli. Lo sguardo gli si posò allora su un albero che era rimasto intatto: era un salice, dai rami flessibili. Ogni volta che la neve minacciava di spezzarli, questi si flettevano lasciandola cadere riprendendo subito la primitiva posizione. Questo fatto impressionò molto il bravo medico, che intuendo l' importanza del principio della non resistenza lo applicò alle tecniche che stava studiando dando così origine ad uno degli stili più antichi del JuJutsu, lo Yoshin Ryu (scuola dello spirito del salice),tutt'ora esistente e che da 400 anni si tramanda tecniche di combattimento a mani nude e con armi in maniera quasi del tutto invariata. Il 19° Soke (caposcuola) è Kyoichi Inoue Munenori, e alcuni dei Kata (forme) di questa Scuola sono gli unici ad essere inseriti nel programma federale della FIJLKAM (federazione italiana judo lotta karate arti marziali).


    (Gina)



    NOVITA’ MUSICALI


    Novita' Musicali



    Ed Sheeran - Lego house

    EdSheeran

    Dopo aver realizzato cinque EP indipendenti, è arrivato il mese scorso l'album di debutto di Ed Sheeran, uno degli artisti più promettenti della scena cantautorale inglese.
    Il primo lavoro in studio di questo giovanissimo artista, intitolato semplicemente “+”, è infatti giunto in cima alle classifiche britanniche trascinato dai primi due singoli “The A Team” e “You Need Me, I Don't Need You”.

    Il suo stile Un successo così importante non poteva passare inosservato fuori dall'Inghilterra, infatti anche qui in Italia è arrivato “Lego House”, il terzo singolo estratto da “+”, la cui realizzazione è prevista per il 13 Novembre.

    “Lego House” è un brano acustico, in cui Ed Sheeran accompagna la sua voce con il solo ausilio della chitarra.
    E' una canzone intrisa di sentimento e romanticismo come molte altre nel suo genere, ma rimane comunque abbastanza apprezzabile nella sua semplicità ed è un buon mezzo per dimostrare la propria maturità artistica.
    Diciamo che è un discreto singolo (di cui tra l'altro in rete esistono diverse versioni), forse non all'altezza dei predecessori ma comunque di buona qualità, insomma, vedremo se Ed Sheeran riuscirà a confermare il successo dei primi due singoli.
    Il mio consiglio, per chi ancora non lo avesse fatto, è quello di ascoltarsi anche gli altri brani di questo artista per farsi un'idea più completa sul suo stile particolare che, vista la sua natura, in questo suo ultimo singolo non emerge molto.
    Luca Stasi


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    (Lussy)



    ... PARLIAMO DI ...


    La dama con il liocorno




    Molto singolare è la storia di un celebre ritratto, la Dama con il liocorno (olio su tela trasportata su tavola, cm 67,7 x 53,2 - Roma, Galleria Borghese), attribuito a Raffaello. Vi appare rappresentata una giovane donna, bionda e con gli occhi azzurri, davanti a una loggia che si affaccia su un vasto paesaggio; tra le braccia tiene un piccolo liocorno (o unicorno)
    Che questo sia il soggetto è stato scoperto, però, solo nel 1934-36: fino a quella data il quadro rappresentava Santa Caterina d'Alessandria, avvolta in un ampio mantello e con la ruota, simbolo del suo martirio (b). In un periodo imprecisato (forse il XVII secolo) qualcuno aveva infatti trasformato questo ritratto di dama in quello della santa. In seguito al restauro dell'opera, effettuato appunto negli anni Trenta del secolo scorso, non solo è cambiato il soggetto del quadro ma si è anche trovato un nome al suo autore: l'opera viene attribuita a Raffaello (come aveva gia ipotizzato Roberto Longhi nel 1912), che l'avrebbe eseguita a Firenze tra il 1504 e il 1508. Il liocorno, il mitico cavallo con un corno al centro della fronte, associato alla giovane dama allude alla sua castità (con questo significato compare anche sul retro del Ritratto di Battista Sforza agli Uffizi, opera di Piero della Francesca).

    Ulteriori restauri ed analisi radiografiche eseguite sul dipinto hanno dimostrato che la "Dama con l'unicorno" è solo la terza versione del dipinto originario, e che Raffaello è l'autore solo di una parte di esso.
    Le radiografie, infatti, non solo hanno evidenziato un cagnolino al di sotto del liocorno ma hanno anche permesso di comprendere che la dama è stata dipinta in due momenti diversi, e da due artisti.


    In sintesi:

    - Raffaello inizia a dipingere un Ritratto di Dama, di cui il c bellissimo Ritratto di una giovane donna a mezzo busto al Louvre deve considerarsi il disegno preparatorio. Si tratta di un'opera simile al suo Ritratto di Maddalena Strozzi agli Uffizi, e quindi di un ritratto di nozze. Raffaello dipinge la dama fino alla vita, col cielo, le colonne e il paesaggio. Ma abbandona la pittura a metà, non sappiamo perché.
    - Il quadro viene portato a termine forse da Giovanni Antonio Sogliani, che opera alcune modifiche. L'aggiunta del cagnolino, simbolo di "fidelitas" (come nel Ritratto di dama di Lorenzo Costa - Hampton Court, Royal Collection), trasforma il quadro in una Dama col cagnolino, forse una Allegoria della Castità.
    - Qualche decennio dopo il cagnolino, forse danneggiato, viene maldestramente trasformato in un liocorno, e quindi nasce la Dama con il liocorno che ogni visitatore può vedere alla Galleria Borghese.
    - In un'epoca imprecisata un ignoto pittore trasforma la Dama in Santa Caterina d'Alessandria, e in questo aspetto il quadro arriva fino al 1934-36, quando le ridipinture vengono rimosse.


    (Gabry)



    STRUMENTI MUSICALI

    LightHarp

    lightharp

    Il LightHarp utilizza proiettori, laser e sensori di luce per tracciare le stringhe virtuale attraverso lo spazio per gli artisti a suonare. lightharp2


    Lo strumento non rendere il suono in sé, ma piuttosto che controlla i computer e sintetizzatore in termini di prestazioni.
    l LightHarp dispone di un totale di 32 stringhe di luce-sensori virtuali. Queste stringhe possono giocare note distinte, i singoli campioni o di una funzione tasti come su una singola stringa. Un meccanismo di Schmitt-trigger migliora notevolmente il tempo di risposta dei sensori e riduce i ritardi esordio a meno di un millisecondo. La soglia di ritenuta del Schmitt-trigger possono essere attenuati per attivare specifiche stringhe on / off. Ciò consente l'esecuzione di glissandi modale per raga e scale asiatici. Anche se il LightHarp è stato progettato per la musica indiana, è anche in grado di eseguire in modo univoco texture ricca e densa sintesi astratta e sperimentale accordature micro-tonale. Le 32 corde sono trasponibili più di otto ottave e messa a punto di varie scale e paradigmi è controllato attraverso l'utilizzo dei controller accessorie.