ARBUSTI e CESPUGLI FIORITI

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  1. gheagabry
     
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    La SINFORINA


    Snowberry



    Symphoricarpos è un genere della famiglia delle Caprifoliaceae, noti in italiano come sinforicarpi o Sinforine. Quasi tutte sono native dell'America del Nord e del Centro America, mentre una è originaria della Cina. Sono noti anche col nome inglese di Snowberry o Waxberry.
    Arbusto a foglie caduche, può raggiungere i due metri di altezza.
    Ha portamento eretto e sviluppa ramificazioni dense e ampie, i fusti sono teneri e arcuati; la corteccia è grigio-brunastra, più chiara nei rami giovani.
    Le foglie sono lunghe 1.5–5 cm, arrotondate, bilobate alla base. La fioritura avviene all’inizio dell’estate con piccoli grappoli di fiorellini bianco-verdi, che ricordano dei fiocchi di neve, a fine estate verranno sostituite da delle bacche. I frutti sono cospicui, di 1–2 cm di diametro. Il colore rosa, o anche bianco, delle bacche del sinforicarpo (symphoricarpos, sinforina) ne fanno una pianta molto decorativa dall’estate all’autunno, quando i rami arcuati presentano, agli apici, dei grappoletti strapieni di quei deliziosi frutticini (il nome sinforicarpo deriva dal greco symphorein, e karpos, e si riferisce appunto a tale caratteristica).

    KB-1915



    Le bacche hanno il nome caratteristico di "snowberry" dovuto al fatto che una volta aperto, il frutto appare internamente come composto di una miriade di granelli di neve. E' chiamato anche ghostberry, o anche waxberry, tali denominazioni rimandano alla caratteristica delle bacche di permanere sulla pianta per molto tempo ancora dopo la caduta dell’ultima foglia e a quella di presentare una superficie cerosa. I frutti del Symphoricarpos rappresentano un cibo invernale per numerose specie animali per i quali non sono tossici.Le radici del symphoricarpos sono rizomatose, tendono, quindi, ad allargarsi sotto terra, dando origine a nuove piante; i rami, arcuati, tendono a radicare quando vengono a contatto con il terreno.
    soffici, viarianti dal bianco (S. albus) al rosa (S. microphyllus) al rosso (S. orbiculatus) sino al viola-nero (S. sinensis).
    La varietà più comune, definita Snowberry (Symphoricarpos albus) caratterizza un cibo invernale per numerose specie animali durante gli inverni, ma i suoi frutti sono considerati tossici per l'uomo. Le bacche contengono isochinolina, chelidonina, ed altre tipologie di alcaloidi. Il nome caratteristico di "snowberry" è dovuto al fatto che una volta aperto, il frutto appare internamente come composto di una miriade di granelli di neve.
    Il Sinforicarpo è solitamente coltivato come pianta ornamentale nei giardini, soprattutto nelle due varietà, S. albus var. albus, nativa dell'est del Nord America, e S. albus var. laevigatus nativa della costa del Pacifico. Quest'ultima raggiunge altezze anche di 2 metri e come tale fa frutti anche più grossi.
    Ci sono almeno 15 specie e varietà tra cui:
    Symphoricarpos albus , con piccoli fiori rosati, foglie ovate e bacche bianche e lucide, che rimangono sulla pianta fino ad inverno inoltrato.
    Symphoricarpos x chenaultii ´Hancock´, con fiori e bacche rosa.
    Symphoricarpos orbiculatus, con fiori bianchi, foglie ovate e bacche rosa-porpora che rimangono sulla pianta per tutto l´inverno.

    La pianta ha alcune proprietà officinali.La parte tossica sono i frutti, le bacche contengono infatti isochinolina, alcaloidi, chelidonina, ed altre tipologie di alcaloidi; in particolare le bacche bianche sono molto tossiche.
    L'intossicazione può avvenire per ingestione.

    snowberry_eastern_



    Edited by gheagabry1 - 3/11/2019, 17:15
     
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  2. gheagabry
     
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    L'HAMAMELIS X INTERMEDIA


    Non esiste la “prima” fioritura dell’anno, quella che trionfalmente apre il sipario e fa entrare i mille personaggi che rendono vario e appassionante il lavoro del giardiniere. Perlomeno non ne esiste una sola, perché questo è un primato che si contendono diverse specie (gli ellebori, i bucaneve, i nespoli giapponesi…) e poi perché il regno vegetale non osserva il calendario inventato dall’uomo, ma ne segue uno tutto suo, commisurato soprattutto sull’andamento climatico di ogni singolo anno. Fra i più importanti apripista, però, ne emerge uno davvero straordinario, Hamamelis, che nella stagione più cruda si avvale di due strumenti di seduzione irresistibili, i fiori e il profumo, per poi rincantucciarsi tra la primavera e l’estate ed infine esplodere nuovamente in autunno con un fogliame coloratissimo. Come in ogni famiglia che si rispetti, inoltre, anche il genere Hamamelis annovera il suo bravo membro eccentrico, H. virginiana, che invece di seguire gli ordini di scuderia preferisce dispiegare i suoi petali già a ottobre, accostando le corolle gialle alle foglie di uguale tinta, sotto le quali sembrano quasi voler giocare a nascondino.

    È un arbusto cespuglioso o un piccolo albero alto 3-5 metri, rustico, che fiorisce abbondantemente e molto resistente ai climi freddi. I rami sono tortuosi e l’aspetto ricorda molto quello del nocciolo, le foglie sono inserite alterne sui rami ed hanno il margine inciso da denti arrotondati; tutta la foglia è pelosa. In autunno il fogliame assume tonalità molto vivaci. I fiori nascono direttamente dai rami o dal tronco e si sviluppano in autunno e in pieno inverno. La corolla ha quattro petali per lo più di colore giallo o rame o rossi con lunghi petali nastriformi, talvolta prolungati, riuniti in fascetti ascellari. Il frutto è una capsula che contiene uno o due semi con la superficie nera e lucente l’interno bianco; sono commestibili come il nocciolo.
    Il fatto che questa pianta rustica fiorisce d’inverno e non soffre le gelate più intense, in passato le ha conferito il nome popolare “arbusto stregato”, anche perché i rami venivano usati dai rabdomanti.
    Fin dall’introduzione come arbusto ornamentale, avvenuta nel 1798, i vivaisti si sono dedicati all’ibridazione, da cui è nata una gamma infinita di varietà. Sono arbusti a crescita estremamente lenta e, dopo 10 anni, non raggiungono dimensioni superiori ai 3-4 metri di altezza, e pari larghezza.
    Osservati da vicino, i fiori hanno una bellezza fuori dal comune e sono composti da quattro sepali triangolari e quattro petali nastriformi, penduli. I petali contengono una sostanza oleosa che serve da antigelo: in caso di nebbia, pioggia o freddo si arrotolano per proteggersi e interrompere temporaneamente la fioritura e, alla comparsa dei primi raggi solari, si aprono nuovamente. I colori sono affascinanti ma i profumi sono ancora più sorprendenti. Da adesso fino a marzo inoltrato, l’amamelide riempie il giardino di incantevoli fragranze, da aromatiche ad agrodolci. In primavera appaiono le foglie, ovate, lunghe una decina di centimetri, dai colori cangianti dal grigioverde al verde cupo e con pagina inferiore tomentosa. In autunno, il fogliame dell’amamelide si tinge di giallo arancione e la pianta produce frutti marroni, simili a noci. Questi portasemi non maturano fino alla primavera successiva, quando si schiudono rumorosamente in quattro valve proiettando i semi fino a 10 metri di distanza!

    In natura esistono quattro specie botaniche di Hamamelis, due originarie del Nord America (H. vernalis e H. virgininana) e due dell’Asia Orientale (H. mollis e H. japonica). Dall’incrocio delle due specie orientali è stato ottenuto nel 1935 il famoso ibrido H. x intermedia


    Il nome Hamamelis origina dal greco hama e melon che significano rispettivamente “simultaneamente” e “frutto”, in riferimento alla contemporanea presenza sulla pianta di fiori e frutti. Il termine può anche derivare dal latino hamatus che significa uncinato, spigoloso, in riferimento alla forma del frutto.
    I primi a sfruttare le proprietà curative della pianta furono gli Indiani del Nord America. La tribù degli Osage usava le foglie e la corteccia per medicare ferite e piaghe, mentre quella dei Potawatomi poneva i rami sulle pietre bollenti della capanna del sudore perché i vapori lenissero la pelle. Gli Indiani usavano i rami di amamelide per costruire gli archi e come bacchette dei rabdomanti per localizzare acqua e depositi minerali. Inoltre mangiavano i semi, dal sapore simile ai pistacchi. I coloni europei osservarono i sorprendenti effetti curativi raggiunti grazie a questa pianta e la importarono in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. L’amamelide è a tutti gli effetti una pianta officinale. Le foglie e la corteccia sono impiegati in erboristeria e in omeopatia per preparare lozioni, tisane e impacchi. Ricerche eseguite recentemente hanno dimostrato che una parte filtrata dell’estratto di amamelide, contenente principalmente l’antiossidante proantocianidina, è particolarmente efficace contro il virus Herpes simplex.
    (flover.it)
     
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  3. gheagabry
     
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    Pachystachys lutea

    Pachystachys_lutea-00

    famiglia: Acanthaceae
    sinonimi: Jacobinia lutea
    nome comune: pachistachis, pachistachi

    Pachystachys_lutea-01
    la pachistachis è un piccolo arbusto sempreverde originario delle regioni subtropicali occidentali del Sudamerica, in particolare Bolivia e Perù, alta in natura fino a 150-200 centimetri, che però coltivata in vaso alle nostre latitudini raramente supera i 60 centimetri (esistono in commercio anche varietà nane o particolarmente compatte, che non superano i 25-30 centimetri). È una pianta delicata, che non sopporta temperature inferiori ai 10-15°C, utilizzata generalmente come pianta d'appartamento, ma che può trovare anche spazio in giardino come pianta annuale per macchie di colore. A +7°C la pianta perde tutte le foglie. Anche in estate non gradisce temperature eccessivamente alte, vegetando bene intorno ai 23-25°C. Essendo una pianta originaria delle foreste, gradisce posizioni luminose ma non il contatto diretto Pachystachys_lutea-02coi raggi solari, che siano ben arieggiate ma protette dalle correnti fredde, a cui è molto sensibile. Preferisce terreni ricchi e fertili, assolutamente ben drenati, ed una elevata umidità atmosferica, da mantenersi con argilla espansa tenuta costantemente umida nel sottovaso (attenzione però a fare in modo che il vaso non sia direttamente immerso nell'acqua) ed irrorazioni quotidiane alla chioma (da sospendersi durante la fioritura per non rovinare le infiorescenze). Le annaffiature devono essere abbondanti nel periodo estivo, mantenendo il terriccio costantemente umido ma non intriso d'acqua stagnante. In inverno sarà invece sufficiente una sola irrigazione settimanale. Durante la crescita potrà essere somministrato settimanalmente con le annaffiature un concime liquido per piante da fiore. La crescita della pianta è piuttosto disordinata, con foglie rade, per cui ad inizio primavera, per mantenere una forma compatta, si può provvedere ad un intervento di potatura, tagliando i rami a circa 15 centimetri dal terreno, appena sopra una foglia

    Pachystachys_lutea-03
    i fusti, dapprima teneri ed erbacei, tendono col tempo a diventare legnosi ed a spogliarsi man mano che la pianta cresce. Le foglie sono semplici, ad inserzione opposta, ovaleggianti, col margine liscio o leggermente dentato ed apice acuminato, rugose e di colore verde scuro

    Pachystachys_lutea-05

    alla sommità dei fusti lignificati si forma una vistosa infiorescenza a pannocchia, con fiori tubulosi, di colore bianco candido, circondati da appariscenti brattee di colore giallo vivo, aventi funzione vessillare. Ogni infiorescenza ha durata piuttosto breve, ma la fioritura è continua durante tutti i mesi più caldi

    fonte:http://hortusitalicus.blogspot.it





    lussy60
     
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  4. gheagabry
     
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    ACALIFA - ACALYPHA.


    Acalypha-hispida

    Classificazione, provenienza e descrizione
    Nome comune: Acalifa.
    Genere: Acalypha.
    Famiglia: Euforbiaceae.

    acalypha_hispida

    Etimologia: il nome deriva da akaléphe, termine greco usato da Ippocrate per indicare l’ortica, e fu assegnato a questo genere da Linneo a causa della somiglianza che presentano le foglie di molte specie con quelle di alcune Urticacee.
    Provenienza: paesi delle zone calde.
    Descrizione genere: genere comprendente circa 300 specie di arbusti e piante erbacee originarie delle zone calde. Presentano foglie ovate e di diverse colorazioni. Producono fiori raggruppati in infiorescenze a spiga pendula (amento) di colore rosso intenso. Sono piante da serra temperata che possono essere portate in casa in primavera e all’esterno nella bella stagione.

    acalypha_wilkesiana

    Specie e varietà
    Acalypha godseffiana: originaria della Nuova Guinea, è una pianta arbustiva e cespugliosa con foglie dal picciolo corto, di forma ovato-acuminata, con margine serrato o crenato, sottolineato da una grande fascia giallastra o bianco crema. Produce fiori poco appariscenti di colore giallo-verdastro. La pianta è fondamentalmente coltivata per il fogliame.
    Acalypha hamiltoniana: questo arbusto a portamento eretto, presenta foglie vellutate di colore verde scuro, con margini giallo vivo. In estate può essere portata all’esterno.
    Acalypha hispida: proveniente dall’India e dalla Birmania, questa specie cespugliosa, che raggiunge 60-90 cm di altezza, in estate, produce infiorescenze pendule, di colore rosso scuro e molto lunghe, tanto da sembrare nastri di ciniglia. Le foglie sono grandi, lunghe fino a 20 cm., alternate, di forma obovato-acuminata, pubescenti (ricoperte da fitta e corta peluria) e con i margini crenati. Le infiorescenze sono costituite da centinaia di fiorellini rossi molto fitti e apetali; quelli maschili presentano fino a 16 stami che conferiscono all’intera infiorescenza il caratteristico aspetto piumoso. Per stimolare la pianta a produrre nuove infiorescenze è bene eliminare le vecchie quando cominciano a sbiadire. Alcune varietà presentano amenti verdi o crema.
    Acalypha hoffmanni: si differenzia dalle altre specie per le foglie talmente sottili da sembrare fili d’erba, di colore verde-rossastro.
    Acalypha sanderi: pianta arbustiva a portamento eretto. Presenta foglie dal colore verde intenso e infiorescenze di colore rosso lunghe 50 cm. Ne esiste anche una varietà con fiori bianchi.
    Acalypha wilkesiana: specie coltivate per la bellezza del fogliame che potrà essere rosso screziato di rosa e arancione nella varietà “Macrophilla” o verde oliva con margini bianco crema nella varietà “Obovata”.

    Esigenze ambientali, substrato, concimazioni ed accorgimenti particolari
    Temperatura: calda; d’inverno non inferiore a 12-15°C.
    Luce: molta luce senza sole diretto e in posizione notevolmente arieggiata.
    Annaffiature e umidità ambientale: annaffiare abbondantemente durante il periodo vegetativo; ridurre notevolmente durante l’inverno (in modo da mantenere il substrato appena umido). L’umidità ambientale dovrebbe essere elevata, incrementata con spruzzature (avendo cura di evitare le infiorescenze) per prevenire la comparsa di acari e cocciniglie (specie per l’A. godseffiana).
    Substrato: terriccio tendenzialmente acido e permeabile costituito da due terra di giardino, terra di brughiera e torba.
    Concimazioni ed accorgimenti particolari: durante il periodo vegetativo concimare ogni 15 giorni. Per migliorare la colorazione del fogliame è necessaria un’esposizione soleggiata, evitando l’esposizione al sole attraverso i vetri, per evitare i rischi di bruciature. Devono essere rinvasate ogni anno a primavera. Nelle giovani piante è bene togliere i getti laterali e potare al secondo anno per mantenere una forma armoniosa.
    Moltiplicazione e potatura
    Moltiplicazione: si moltiplica utilizzando talee di legno semimaturo tagliato sotto a un nodo (avendo cura di lasciare attaccato un pezzetto di corteccia e di legno del ramo portante) che si piantano in primavera-estate, ad una temperatura di 21-24°C, sotto copertura di plastica (avendo cura di arieggiare di tanto in tanto per evitare umidità stagnante e acqua di condensazione) che dovrà essere rimossa gradualmente a radicamento avvenuto (circa dopo un mese). Le talee di A. hispida fioriscono l’anno successivo.
    Potatura: necessaria solo per mantenere una forma regolare e ordinata. Se la pianta presenta notevoli dimensioni, risulteranno utili cimature dei nuovi germogli fino a metà della loro lunghezza.
    Malattie, parassiti e avversità
    - Ragnetto rosso: piccolo acaro che si sviluppa in ambienti caldi e secchi. Forma sottili ragnatele sui nuovi germogli e infesta la pagina inferiore delle foglie. Si previene mantenendo alta l’umidità ambientale. Si combatte con prodotti acaricidi.
    - Cocciniglie: sono parassiti che succhiano linfa alla pianta, che per reazione produce sostanze zuccherine, che la rendono soggetta all’attacco da parte di funghi e fumaggini (la pianta diventa appiccicosa e fuligginosa). Si combattono con prodotti anticoccidici o strofinando le parti colpite con un batuffolo imbevuto di acqua e alcool.
    - Foglie che cadono: probabilmente l’atmosfera è troppo secca.
     
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  5. gheagabry
     
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    IL BOSSO




    Il bosso (Buxus spp.) è noto, soprattutto, come specie da siepe caratterizzata dalle foglie lucide di colore verde brillante, che si rinnovano costantemente, e che può venire sagomata nei modi più diversi. Noto anche come 'mortella' o 'bossolo', Buxus sempervirens è il rappresentante più noto del genere, indigeno in tutto il bacino del Mediterraneo, dalle coste atlantiche della penisola iberica fino alla penisola balcanica e all'Africa boreale. In Italia è spontaneo nei terreni calcarei e sassosi, al sole ma anche nel sottobosco delle regioni montane e sub-montane delle Alpi e degli Appennini; la maggior parte delle specie proviene dall’Asia Orientale e dall’America centro-meridionale
    E' una pianta di antichissime origini, deve la sua fama alla sua caratteristica di essere un sempreverde dotato di lentissimo accrescimento e di risultare, quindi, adatto all’impiego nell’ars topiaria (sculture con le piante). Ha un portamento arbustivo che può raggiungere altezze di 2-6 metri. Il fusto si presenta basso, sinuoso, solitamente diviso e ramificato fin dalla base a formare una chioma larga ed espansa, molto densa, piuttosto bassa e regolare, conica o globosa. La corteccia nei giovani organi legnosi si presenta di colore ocra e ruvida, mentre negli organi più vecchi è nocciola-brunastra e con rilievi e costolature .
    Le specie più diffuse appartenenti alla famiglia delle Buxacee, genere Buxus, sono il Buxus sempervirens e il B. microphylla. Tuttavia, esistono molte specie differenti poco conosciute di particolare interesse botanico ed ornamentale, quali B. balearica, da piantare vicino al mare, B. papillosa, dalla tessitura leggera ed ariosa, B. harlandii, con foglie appuntite ed allungate, B. vaccinioides, che richiede terreni ricchi di nichel e di metalli pesanti, notoriamente dannosi per le piante.
    Inoltre, all’interno di ogni specie si differenzia un numero incredibile di varietà e cultivar, ciascuna con le proprie peculiarità: le foglie variegate di giallo (B. sempervirens cv ‘Argenteo-variegata’ e cv ‘Elegantissima’), oppure tendenti al colore azzurro (B. sempervirens ‘Blauer Heinz’), il portamento pendulo (B. sempervirens cv ‘Latifolia Pendula’ e cv ‘Parasol’) o tappezzante (B. sinica isularis ‘Filigree’), le dimensioni ridotte (B. microphylla ‘Compacta’)

    L’etimologia della parola Buxus deriva da un termine latino a sua volta derivante dal vocabolo greco pyksos che si considera affine a pyx, “pugno chiuso”, e a pyknos, “stretto, serrato”, con riferimento al legno durissimo e liscio, con il quale un tempo si fabbricavano le tavolette da scrittura e le pissidi, cioè coppe per la conservazione delle ostie consacrate.


    ...la storia...

    Pianta di antichissime origini, in Grecia era sacro alla dea madre Cibele e Ade, che proteggeva in particolar modo le piante sempreverdi, emblemi della Vita che continuava negli “inferi” dell’inverno; per questo motivo simboleggiava la perpetua Riviviscenza della natura e, in senso più ampio, l’Eternità. La capacità di autofecondarsi con discrezione (la pianta è unisessuale) ne fece un emblema di castità, mentre il suo legno duro e compatto simboleggiava fermezza, perseveranza, solidità e stoicismo, caratteri peraltro ampiamente dimostrati anche nella sua adattabilità alle condizioni colturali: il bosso non teme infatti né il caldo né il freddo, ama il sole ma può vivere all’ombra.

    Nell’antichità il legno pregiato e pesantissimo (da secco ha un peso specifico superiore a quello dell’acqua) aveva diversi utilizzi, tra cui la produzione di oggetti comuni quali fruste, pettini, flauti e tavolette da scrittura, articoli cultuali come statuette sacre e pissidi per custodire le ostie, contenitori per conservare medicamenti, detti ‘bussolotti’. Anche il suo utilizzo come arbusto o alberello ornamentale nei giardini risale a epoche remote, non soltanto in Occidente, dove i romani furono tra i primi a sagomarlo in forme topiarie a colonna, piramide, sfera e sagome di animali, ma anche in Cina e Giappone, da cui provengono svariate specie. Nei secoli successivi il bosso rimase una presenza abituale anche in prossimità delle comuni abitazioni, perché la superstizione popolare gli attribuiva il potere di allontanare il malocchio e le streghe.


    ...nei giardini...

    Il suo potenziale creativo conobbe in seguito un’enfasi particolare nei giardini barocchi francesi, dove veniva intrecciato in complesse forme geometriche dette ‘parterre de broderie’ e nei giardini rinascimentali italiani insieme al tasso. Anche il suo utilizzo come arbusto o alberello ornamentale nei giardini risale a epoche remote, non soltanto in Occidente, dove i romani furono tra i primi a sagomarlo in forme topiarie a colonna, piramide, sfera e sagome di animali, ma anche in Cina e Giappone, da cui provengono svariate specie. Nei secoli successivi il bosso rimase una presenza abituale anche in prossimità delle comuni abitazioni, perché la superstizione popolare gli attribuiva il potere di allontanare il malocchio e le streghe. Il suo potenziale creativo conobbe in seguito un'enfasi particolare nei giardini barocchi francesi, dove veniva intrecciato in complesse forme geometriche dette 'parterre de broderie' e nei giardini rinascimentali italiani insieme al tasso.
    Il suo successo come topiario focale e come elemento divisorio formale o informale, di medie o piccole dimensioni, si deve alla chioma sempreverde frondosa, fitta e minuta che lo ricopre interamente, ed è in grado di tollerare regolari potature e di mantenere a lungo la forma obbligata. Altra prerogativa fondamentale è l'estrema tolleranza a una serie di condizioni tra cui, in particolare, quantità di luce variabile dal pieno sole all'ombra. La capacità di adattamento del bosso fornisce una soluzione elegante anche nelle esposizioni a nord, o nei cortili urbani circondati da edifici che li privano dei raggi solari. Non per questo si deve pensare al bosso solo in frangenti difficili, anzi la novità maggiore nell'attuale riscoperta è forse l'estensione del suo ruolo da sfondo a protagonista, sia attraverso maestosi esemplari utilizzati come elemento arboreo-arbustivo di richiamo, sia tramite innovativi raggruppamenti in 'masse scultoree' spesso sferiche, ma anche rettangolari e geometriche, il cui effetto è tanto più dinamico quanto più le sagome appaiono nitide.


     
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  6. angelapercaso
     
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    splendido blog complimenti
     
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  7. gheagabry
     
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    CITAZIONE (angelapercaso @ 6/7/2013, 12:35) 
    splendido blog complimenti

    grazie

    La SPIRAEA


    Vasto genere di arbusti caduchi che comprende specie a portamento eretto, globoso o espanso, tutti abbastanza compatti e molto conosciuti per le fioriture ma anche per il fogliame decorativo con tonalità gialle più o meno intense. Le foglie sono in genere piccole e ovali o lanceolate, lievemente dentate. I fiori sono minuti, riuniti in dense infiorescenze o ombrelle, portati all’apice di rami flessuosi (fioriture estive), altri appaiono lungo tutto l’asse dei rami (fioriture primaverili). I colori vanno dal bianco puro al rosa chiaro e al rosa cremisi intenso. L’altezza massima è delle varietà di Spiraea arguta, ma mai oltre i 2,5 metri. E' originaria dell'Asia e dell'Europa; le specie, e le numerose varietà che ne derivano, vengono divise in due grandi gruppi: le spiree bianche, a crescita rapida, e di dimensioni che possono raggiungere i 2-3 metri di altezza, fioriscono in primavera; le specie rosa, più compatte ed a crescita più lenta delle precedenti, producono fiori di colore rosa intenso in estate ed in autunno.

    Il suo nome deriva dalla parola spira, ovviamente collegata alla forma dei suoi piccoli fiori profumati, solitamente coloro bianco crema. L’acido salicilico, sintetizzato chimicamente come “aspirina” è contenuto naturalmente solo nel salice e nella spirea. Era un fiore molto amato in passato. Tradizionalmente, oltre che per la sua ampia presenza, era chiamata “Regina dei Prati” perché molto amata dalla regina di Inghilterra Elisabetta I. Questa pianta, conosciuta sotto il nome ufficiale di Spirea ulmaria, è tipica della tradizione celtica ed anglosassone e per centinaia di anni è stata considerata un erba sacra e simbolica. Insieme alla verbena ed alla menta d’acqua fa parte della terna delle erbe sacre dei druidi. Ed in Gran Bretagna, tuttora, si usa aromatizzare vino e birra con la spirea: i suoi fiori hanno infatti un retrogusto vanigliato. In erboristeria veniva utilizzata, e talvolta ancora oggi usata, come stimolante della sudorazione ed antipiretico. Nel rinascimento veniva utilizzata con molta facilità per curare le febbri malariche e l’arteriosclerosi. Fu dimenticata per un paio di secoli da questo punto di vista, fino a che un prete di campagna francese di nome Obriot nel 1851 non la portò all’ospedale di Lione che la utilizzò contro la ritenzione idrica e la idropisia.

    Una leggenda legata alla spirea vuole che re Alboino, re dei Longobardi, volendo conservare intelligenza e vivacità intellettuale con il passare degli anni, consumasse insieme al suo bicchiere di vino serale della “barba di capra”, nome con il quale nella zona di residenza dell’antico re, (il pavese) viene comunemente chiamata questa erba.(pollicegreen.com)
     
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  8. gheagabry
     
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    Il fiore non si vanta della sua bellezza,
    il suo profumo e le sue corolle sono il suo dono alla terra.
    (Stephen Littleword)


    LA DAPHNE


    daphne_NG9



    Il genere Daphne (o Dafne) conta circa una settantina di specie di piante erbacee suffruticose, e arbusti, originarie dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, di cui circa una decina sono presenti anche nella flora spontanea italiana; si distinguono due grandi gruppi, ovvero le dafne sempreverdi e le dafne a foglia caduca; si tratta in generale di piccoli cespugli, che vanno dalle specie nane alpine, che non superano i 10-15 cm di altezza, tappezzanti, fino alle specie più grandi, che costituiscono ampi arbusti, alti fino a 100-150 cm o anche di più. Hanno foglie ovali, alterne, sempreverdi e coriacee, o caduche; alcune specie a foglia caduca producono i fiori prima delle foglie, cosa che le rende molto appariscenti e decorative. I fiori sono piccoli, costituiti da 4 sepali, di colore rosato, giallo o verdastro, caratterizzati da un profumo intenso e gradevole; sbocciano tipicamente in racemi all’ascella fogliare, o in cime all’apice dei rami giovani; in alcune specie i fiori sbocciano invece lungo i rami. Queste piante hanno portamento ad alberello, con un corto fusto che porta una piccola chioma tondeggiante. Quasi tutte sono velenose anche se esistono alcuni usi documentati nella medicina popolare.
    (giardinaggio.it)

    daphne-plant-types-growing-



    Il nome generico di questa pianta (Daphne) lo troviamo usato per la prima volta negli scritti del medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma di nome Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa - 90 circa). Probabilmente nel nominare questa ed altre piante dello stesso genere si ricordò della leggenda di Apollo e Dafne. Il nome Daphne in greco significa “alloro” e le foglie di queste piante sono molto simili a quelle dell'alloro.

    Daphne_gni



    La dafne gnidio è una delle piante tintorie maggiormente utilizzate in Sardegna, in particolare per la tintura dell’orbace. Se ne usano le foglie o i rami, a seconda del periodo in cui si effettua la raccolta e a seconda del colore che si vuole ottenere: la gradazione che si ottiene va dal sard.giallo tenue al giallo scuro, al marrone, al verde e al nero. La pianta, per le sue proprietà antisettiche, veniva usata, oltre che per tingere, anche per disinfettare e conservare la lana. «Nel 1845 il commerciante Antonio Thorel ottenne dal governo piemontese l’esclusiva dell’utilizzo e dell’esportazione della droga tintoria di dafne della Sardegna, esclusiva che cessò dopo alcuni anni … Campioni della droga sarda furono presentati alla “Mostra di piante medicinali, aromatiche e tintorie della Sardegna” che ebbe luogo a Parma nel 1921 … Nel periodo fascista, dal 1934 in poi, vi fu in Sardegna, e in particolare a Osilo, una grande richiesta di orbace nero “sardo” per le divise fasciste, tanto che, almeno ad Osilo, si passò dall’industria familiare a quella a livello artigianale industriale» (A.D. Atzei, 2003). Nel passato per colorare di nero la maschera dei mamuthones si usava un decotto ottenuto con la Daphne Gnidium.

    Dafne-gnidio-1



    Daphne mezereum, piccolo arbusto a foglie decidue, conosciuto anche con il nome di "fiore di stecco" (poiché i fiori compaiono prima della formazione delle foglie). I fiori, molto profumati, sono di colore rosa-porpora, talvolta anche bianchi, e compaiono da marzo a maggio prima delle foglie. Le bacche sono velenose. Il nome specifico (mezereum) deriva invece da una radice araba e significa “mortale”, questo in riferimento ovviamente alla velenosità della pianta.


    Edited by gheagabry1 - 23/6/2020, 19:13
     
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    L'ALATERNO

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    L’alaterno (Rhamnus alaternus L. subsp. alaternus) è un arbusto autoctono presente su quasi tutto il territorio italiano. L’arbusto cresce fino ad una altezza di circa 5 metri, lo troviamo dal livello del mare fino a circa 700 metri di altitudine. Ha un portamento cespuglioso, con fusti ramosi dalla corteccia rossastra. Spesso viene utilizzato per rimboschire zone rupestri e aride.
    Ha fogliame sempreverde. Le foglie sono alterne o sub opposte. La lamina fogliare è coriacea, glabra, con nervatura a reticolo in rilievo su entrambe le facce, quella superiore molto brillante e di un verde scuro, l’inferiore più opaca e più chiara. Il margine varia da intero a seghettato o dentellato, l’apice è acuto.
    I frutti sono drupe (bacche) di 4-6 mm, succose e contenenti 3 semi. Sono tossiche per l’uomo. Compaiono fin dall’inizio primavera quando sono di colore verdastro, diventano poi rossiccie per passare infine al nero a piena maturazione, che avviene da luglio a settembre a seconda della latitudine, dell’esposizione e dell’andamento stagionale.
    La parola “Ramnus”, derivante dal greco “Rabdos” vuol dire “bastoncino”, riferito alla flessibilità dei suoi rami. La parola “Alaterno” invece deriva da “Alternus” e vuol descrivere la maniera alterna in cui sono poste sui rami le sue foglioline.

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    Il legno di questa pianta è molto duro, ma appena tagliato emana uno sgradevole odore, per questo l’Alaterno viene anche volgarmente chiamato “Legno Puzzo”., viene utilizzato per lavori di tornitura o ebanisteria, è di colore giallo-brunastro.

    Nell’industria dei coloranti viene utilizzato per l’estrazione dei pigmenti noti come verde vescica. Anticamente si utilizzava per tingere di giallo- oro i tessuti. C’è una tradizione terapeutica legata a questo colore, il giallo alaterno ha le stesse proprietà dei raggi ultravioletti ed era utilizzato come cromoterapia nella cura dell’ittero neonatale. In pratica si coloravano dei tessuti con i quali poi si avvolgevano i neonati che ne traevano un sicuro giovamento. Aggiungendo al giallo alaterno dei sali di rame (una volta si usavano delle monete di rame ) si ottengono delle fantastiche tonalità di verde.

    Fin dai tempi antichi, all’Alaterno erano legate alcune superstizioni e aneddoti. Si pensava che fosse in grado di annullare gli incantesimi negativi e in Sardegna e in altre regioni venivano realizzati dei bastoncini intagliati come amuleti, da indossare per proteggersi da ogni pericolo.


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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:16
     
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    "Noi alberi viviamo di piogge
    di rugiade eterne e delle brume
    dei fiumi e degli oceani
    di mattutini vapori
    e delicate nebbie...
    (Márcia Theòphilo)


    Albero della nebbia, Cotinus coggygria

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    A fargli meritare il nome con il quale è conosciuto sono i sottili e leggerissimi filamenti che proprio dalle sue drupe semilegnose si dipartono rendendo la pianta simile a un gigantesco batuffolo di cotone dai colori pastello, con tonalità che vanno dal rosa al beige.

    E' un arbusto o piccolo albero, a foglie caduche, originario dell'Europa; gli esemplari adulti possono ragiungere dimensioni vicine ai tre metri di altezza. Ha portamento eretto, tondeggiante, con chioma densamente ramificata e abbastanza disordinata; i rami hanno corteccia verdastra, che diventa grigia con il passare delgi anni, abbastanza liscia. Le foglie sono ovali, con picciolo molto lungo, di colore verde brillante, ma esistono numerosi cultivar con foglie rosso porpora, marrone o giallo; in primavera produce grandi infiorescenze costituite da piccoli fiorellini gialli, che in estate lasciano il posto ai frutti, drupe semilegnose circondate da una lunga peluria rosata, che rende l'infruttescenza simile ad una palla di bambagia sottile e piumosa. Tutte le sue parti sono leggermente velenose.

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    Tinge il sottobosco di diverso colore secondo la stagione: in primavera è rosa per effetto dei suoi impalpabili fiori che lo circondano di una nuvoletta simile alla nebbia ( si chiama anche albero della nebbia), d’estate, col suo verde piuttosto comune, si riposa dietro le quinte confondendosi con la vegetazione circostante, d’autunno esplode protagonista tingendo di rosso e di giallo prima il bordo e poi, come macchie d’inchiostro sfuggite dalla penna, le pagine delle sue foglie fino a dipingere ogni sua parte di rosso vivo.


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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:21
     
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    L'AKEBIA QUINATA

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    L’ Akebia quinata è una pianta rampicante, appartenente alla famiglia delle Lardizabalacee. E' originaria del continente Asiatico, ovvero della Corea, della Cina e del Giappone. Akebi è la denominazione giapponese data alla pianta, Quinata deriva dal latino "quin" cioè che possiede cinque elementi, in questo caso riferito alle cinque piccole foglioline che compongono un'unica foglia. In lingua inglese è chiamata "Vigna di cioccolato".
    L’ Akebia quinata è caratterizzata da fusti sottili e molto flessibili, di colore verde o marrone e dallo sviluppo rapido e vigoroso, cresce a 10 metri o più di altezza. La pianta possiede foglie dalla forma particolarmente allungata e palmata, dal colore verde intenso, cerose, opache e leggermente dentate ai margini, divise in cinque piccole foglie ovali, talvolta allungate; in genere le nuove foglie sono di colore rossastro.
    I fiori trilobati, delicatamente profumati con un odore esotico simile al cioccolato, che spesso spuntano a mazzetti, restando nascosti tra le foglie.

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    I frutti sono bacche dalla dimensione piuttosto ridotta, aventi al proprio interno una polpa molto morbida che contiene un elevato numero di semi. La polpa dei frutti è commestibile e dal sapore dolce e delicato.
    In Cina è uno dei più antichi rimedi della medicina tradizionale, ogni sua parte è medicalmente utile.


    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:25
     
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    Eucalyptus macrocarpa

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    E' una pianta della famiglia delle malee, un eucalipto cespuglioso che raggiunge quasi 6 metri di altezza, chiamata anche "rose of the west". Ha fusti esili che crescono da una base legnosa. I fiori sono rossi che contrastano con il colore delle foglie argento, possono raggiungere i 75 mm di diametro. Sbocciano da agosto a novembre. I semi sono scaraventati fuori dalla forza degli stami rossi.


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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:28
     
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    L'AGNOCASTO

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    L'Agnocasto è un arbusto della famiglia delle Verbenacee, diffuso nelle regioni umide mediterranee. Vitex agnus castus L. è il nome latino della pianta. Nomi volgari della droga assai diffusi in Italia sono Pepe falso (poiché i frutti maturi ed essiccati sono simili al Pepe Nero) o Pepe dei monaci. La droga è anche conosciuta internazionalmente come Chasteberry, Chaste tree, Monk’s pepper. Il suo nome deriva dalla particolare flessibilità dei suoi rami con i quali si era soliti legare i tronchi tra di loro per la realizzazione di palizzate o per la fabbricazione di panieri e cestini in generale.
    Altri sono legno casto, vitica, tremexie, malvavisco, peverar veteca, legani sbringhio marino, canapazzo, tramalice, ligara, laniu, lacanu, sammucu de arriu. In inglese lo chiamano chaste tree, in francese gattilier, in tedesco mullen, in spagnolo agnocasto. L’agnocasto spontaneo predilige zone come sterpeti o dune, ai margini delle strade, ma in special modo lungo i corsi d’acqua o dove il terreno rimane per la maggior parte del tempo fresco e umido.
    È diffuso in tutta l’Europa, senza distinzione, dalla pianura alla montagna. Rustico e resistente alla salsedine. Viene utilizzato spesso nei progetti di riqualificazione dei terreni degradati, proprio perché cresce senza problemi in substrati poveri dal punto di vista nutritivo, ma sufficientemente drenati.

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    E' un piccolo albero o grande arbusto a foglie caduche, originario dell’Europa e dell’Asia. Gli esemplari adulti raggiungono anche i 3-4 metri di altezza. Ha fusti sottili, ben ramificati, spesso rivolti verso l’alto, talvolta arcuati; il fogliame ricorda la cannabis con foglioline lanceolate, rugose, di colore verde scuro o verde grigiastro; sono opposte e caduche, lungamente picciolate e fortemente palmate. In primavera inoltrata all’apice dei nuovi rami sbocciano numerosi piccoli fiori, riuniti in pannocchie, di colore blu cielo; la fioritura continua sporadicamente fino ai freddi autunnali. Ai fiori seguono piccoli frutti tondeggianti, leggermente carnosi, che contengono alcuni semi sferici, di colore scuro. Il frutto è una drupa globosa e carnosa, di colore nero a maturità. Il seme è un nocciolo quadriloculare.

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    Il fogliame dell’ agnocasto è molto aromatico, ed anche i fiori sono profumati ed attirano le farfalle e le api che producono un ottimo miele. Esistono varietà dai fiori di colore bianco, lilla o porpora, anche se generalmente le varietà più coltivate hanno fiori azzurri.

    Questa pianta era conosciuta fin dall'antichità come pianta officinale e medicinale ed la si trova menzionata nelle opere scientifiche di Plinio il Vecchio, e ancora prima dai greci Dioscoride, Teofrasto ed Ippocrate. Quest'ultimo ne proponeva l'impiego per sanare infiammazioni ed ingrossamento della milza, mentre con un macerato di foglie curava emorragie e postumi del parto. Dioscoride invece riteneva aiutasse la guarigione dai morsi degli animali selvatici, dalle infiammazioni alla milza, dall'idropisia e dalle malattie dell'utero. Era la pianta delle sacerdotesse consacrate a Cerere, dea della fertilità. Per questo le donne del tempo era solite adornare la propria camera matrimoniale con i suoi frutti o fiori per propiziare una eventuale concepimento.
    Gli inglesi ritenevano che l'assunzione di questa pianta sopprimesse gli ardori sessuali nelle donne che ne facessero uso, tanto da chiamare la pianta 'Chaste Tree' (albero casto). Il suo nome: agnus (agnello) e castus (casto)deriva dal fatto che veniva piantato intorno ai monasteri, ai conventi e ai luoghi di culto come simbolo di purezza. I frati preparavano con le sue foglie l’aqua castitatis. Si narra, infatti, che questa pianta fosse considerata dagli antichi greci “utile per quelli che fanno voto di castità”. Anche la Chiesa pensava che mettere parti di questa pianta nelle tasche dei monaci potesse diminuire i turbamenti sessuali legati al voto di castità. I fiori venivano legati al saio e i frutti erano usati come condimento delle insalate, da qui è nato il sopranome di pepe dei monaci.
    Negli anni ’30, grazie agli studi scientifici moderni, si è scoperto che ha solamente effetti sulle donne, mentre non si riscontra alcuna azione specifica negli individui di sesso maschile.
    (www.vecchiaerboristeria.it, www.giardinaggio.it)


    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:43
     
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  14. gheagabry
     
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    "È la nostra pianta,
    Dio l’ha fatta per noi
    e noi la chiameremo col nome dell’ «oceano verde»
    che è la nostra casa."
    (Jonathan Turner di Jacksonville, Illinois )


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    LA MACLURA POMIFERA


    Maclura pomifera è una pianta arborea appartenente alla famiglia delle Moraceae. La pianta è conosciuta anche come melo da siepi, melo dei cavalli, moro degli Osagi e legno d'arco. E' originaria del Nord America, in un'area degli Stati Uniti centrali, dove è conosciuta come Osage orange (Arancio degli Osagi) dal nome della tribù indiana che risiedeva nella zona.
    La pianta è un piccolo albero che può raggiungere i 7-15 metri di altezza con una chioma folta ma irregolare.
    Il tronco è irregolare e tormentato, la corteccia contiene tannino ed è bruna e disseminata di dure e acuminatissime spine. Ha foglie caduche di colore verde scuro, coriacee e lucide molto simili a quelle dell'albero dell'arancio. Alterne, coriacee e acuminate, furono anche impiegate nell'alimentazione del baco da seta.
    La specie è dioica, cioè con fiori maschili e femminili su piante differenti. Le infiorescenze, sia maschili che femminili, sono sferiche del diametro di 2-3 cm. La caratteristica più curiosa della pianta è il frutto che è più propriamente una infruttescenza (sorosio) formata da un insieme di acheni ognuno derivante da un diverso ovario. È un ammasso sferico dal diametro variabile dai 7 ai 15 cm di colore variabile dal giallo al verde, di consistenza legnosa e con la superficie profondamente corrugata. Il frutto aperto rivela una polpa biancastra da cui cola un succo lattiginoso. Il frutto non è commestibile.
    Molti esemplari di questo albero si trovano in Italia, nei giardini antichi, nelle ville, nei parchi, questo perchè verso la metà dell'800 si cercò di coltivare questa pianta per utilizzarne le foglie come cibo per i bachi da seta, visto che la maclura appartiene alla stessa famiglia del gelso, le moracee. Il progetto non ebbe successo, però le piante rimasero, ormai utilizzate solo come ornamento.


    Coltivazione-Moro-degli-OsagiMeriwether Lewis la descrisse per la prima volta con il nome di «melo Osage» in una lettera del 1804 indirizzata aThomas Jefferson, cui allegò alcune talee prese da un albero del vivaio di St Louiscurato da Pierre Chouteau, un famosissimo bianco dedito al commercio con gli Indiani che cinque anni prima aveva piantato i semi della Maclura comprati da un indiano Osage venuto da una zona distante trecento miglia. In un messaggio rivolto al Congresso due anni dopo la lettera di Lewis, Jefferson accennò alla possibilità di usare quella siepe per cintare la terra.
    La Maclura fu descritta per la prima volta da Thomas Nuttall nel 1811 il quale le attribuì il nome dell'amico geologo William Maclure. Nel 1818 venne introdotta in Europa e nel 1827 fece la sua prima apparizione in Italia, dove, soprattutto in Toscana e nel Lazio ebbe una certa diffusione. Grazie alla caratteristica spinosità della pianta in passato fu spesso utilizzata per la costruzione di siepi invalicabili. Nel 1839 il professor Jonathan Turner di Jacksonville, Illinois – un predicatore dall’animo mistico e scientifico al contempo – affermò che il Creatore non poteva avere commesso l’evidente errore di creare le praterie senza un materiale per cintarle e cominciò a fare esperimenti con una pianta originaria della regione compresa tra i tratti intermedi dell’Arkansas River e del Red River. Nel 1847 Turner cominciò a propagare e vendere quella pianta, fino ad allora nota come il miglior legno da archi del Nord America – e forse di tutto l’emisfero boreale-, un albero che i cacciatori francesi di pellicce chiamavano bois d’arc e che tuttora alcuni abitanti delle Ozark Hills chiamano bodark o, rovesciando i due termini bowdark o bow wood (legno per archi). Per una sorta di strana combinazione quell’albero, mentre forniva archi e bastoni che aiutavano gli Indiani a difendere il territorio, consentiva anche ai pionieri bianchi di recintare la terra.
    Il legno particolarmente duro ed elastico era ben noto agli Indiani d'America, in particolare agli Osagi, che ne utilizzavano il legno per la costruzione degli archi, oltre che ricavarne un pigmento giallastro dalle radici, detto morina, per colorarsi il viso.


    maclura-1030x1030Pare che le palle da siepe scaccino gli insetti (a tal fine si mettono in cantina e in cucina), ma le quaglie, gli scoiattoli e i topi di bosco ne mangiano il nocciolo dopo averne bucato la spessa polpa intrisa di una linfa lattea e resinosa. Durante la grande spedizione del 1819-20 nei territori del West guidata da Stephen Long, il botanico Edwin James scrisse della linfa: «Eravamo tentati di mettercela sulla pelle dove formava una vernice sottile e flessibile che ci dava, pensavamo, una certa protezione contro le zecche». Nel 1828 Timothy Flint, probabilmente per spiegare l’effetto repellente della linfa, disse del frutto: «All’aspetto è molto attraente, ma al gusto è la mela di Sodoma».

    Il suo legno, durissimo, ma dal gradevole colore ocra e dotato di bellissime venature più scure, può essere utilizzato per creazioni artigianali pregiate o per la realizzazione di attrezzi durevoli ed è resistente agli attrezzi da taglio, al tempo e alle intemperie. Nella sua regione d'origine, il Nord America, il legno della Maclura era utilizzato dai nativi del luogo come legno per la costruzione di archi, come rimedio per congiuntiviti e infiammazioni degli occhi.

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    Il legno della Maclura che gli uomini hanno ammirato per migliaia di anni, e fra i più pesanti d’America: un metro cubo allo stato naturale pesa più della metà di un metro cubo di calcare, ed è quasi altrettanto duro perché smussa rapidamente le punte da tornio e le lame da sega; inoltre, pur essendo prodigiosamente flessibile, è due volte e mezzo più resistente del legno di quercia: un arco di arancio Osage, fatto con una pianticella ben stagionata e flesso con un tendine di bufalo, può scagliare una freccia di corniolo con tanta forza da farla penetrare in un bisonte fino alle penne, e tutt’oggi alcuni arcieri considerano il suo legno superiore al celeberrimo tasso usato per gli archi inglesi. I bianchi erano disinteressati agli archi, ma coi tronchi sufficientemente dritti degli aranci Osage facevano gli assali dei carri, i mozzi delle ruote, le pulegge, i manici degli attrezzi, i pali del telegrafo, gli isolatori, i manganelli e le traversine ferroviarie: un esperimento della Pennsylvania Railroad dimostrò che le traversine di quercia, castagno e catalpa marcivano in due anni, mentre quelle di Maclura dopo venticinque anni erano ancora sane e sembravano praticamente nuove. La Maclura servi anche a costruire la chiglia e le centine di almeno un battello a vapore e il primo vagone-mensa del mondo. Il legno dell’arancio Osage, pur così duro, resistente agli insetti e imputrescibile da servire in certi casi a pavimentare le strade in blocchetti gialli, è tanto morbido ed elastico che i rabdomanti ne usano i rami a forcella per cercare l’acqua. Grazie al suo potenziale calorico, i contadini hanno insegnato ai pionieri a usare il legno e le sue radici poco profonde, arancioni come una carota lavata, per preparare certe tinture con cui ancora all’inizio del secolo si coloravano le divise grigioverdi dell’esercito. (http://giardinaggioirregolare.com, web)


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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:05
     
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  15. gheagabry
     
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    Le Banksia


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    La Banksia è un genere di piante della famiglia Proteaceae, sottofamiglia Grevilleoideae, tribù Banksieae. Si trovano in una notevole varietà di paesaggi australiani: foreste di piante sclerofille (un'associazione vegetale degli ambienti mediterranei composta da piante a portamento arboreo che si sviluppa nelle migliori condizioni di temperatura e piovosità), foreste pluviali (occasionalmente), macchia e alcuni paesaggi più aridi, ma non nei deserti australiani.
    Il genere Banksia fu descritto per la prima volta e così denominato da Carlo Linneo il Giovane nella sua pubblicazione dell'aprile del 1782 Supplementum Plantarum; da allora il nome completo per il genere è "Banksia L.f.". Il nome del genere fu scelto in onore del botanico inglese Sir Joseph Banks, che raccolse i primi campioni Banksia nel 1770, durante la prima spedizione di James Cook.
    Le Banksia crescono come alberi o cespugli legnosi. Gli alberi delle specie più numerose, B. integrifolia (Banksia di costa) e B. seminuda (Banksia di fiume), spesso crescono oltre i 15 metri di altezza, alcune fino a raggiungere anche i 30 metri.

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    Le specie di Banksia che crescono come cespugli sono solitamente erette, ma ci sono parecchie specie che sono prostrate, con i rami che crescono sulla superficie del suolo o anche al di sotto di esso.
    Le foglie di Banksia variano tra specie e specie. Le dimensioni cambiano dalle foglie strette, lunghe 1–1,5 centimetri, della B. ericifolia, alle foglie molto larghe della B. grandis (Banksia toro), che può raggiungere i 45 centimetri di lunghezza. Le foglie della maggior parte delle specie presentano margini serrati, ma alcune fanno eccezione, come la B. integrifolia. Le foglie sono solitamente disposte lungo i rami in spirali irregolari, ma in alcune specie sono ammassate insieme in verticilli. Molte specie hanno foglie giovanili e adulte diverse (ad esempio la Banksia integrifolia ha foglie giovanili grandi e serrate).
    La Banksia è la spiga floreale, un'infiorescenza allungata con un asse legnoso ricoperto di fiori attaccati a coppie e disposti ad angolo retto l'uno con l'altro. Una singola spiga generalmente contiene centinaia o anche migliaia di fiori. Non tutte le Banksia hanno una spiga floreale allungata; l' Isostylis hanno la spiga floreale ridotta a un capolino.
    I fiori sono di solito di tonalità gialla, ma esistono specie con fiori di colore arancione, rosso, rosa e viola.

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    Occasionalmente, si possono formare spighe floreali multiple (Banksia marginata e la B. ericifolia).
    Nell'invecchiare, le parti del fiore si seccano e possono assumere il colore arancione, bronzo o marrone scuro, prima di ingrigire nel corso di alcuni anni. In alcune specie, si perdono le parti dei fiori vecchi, mettendo a nudo l'asse; in altre, le parti dei fiori vecchi possono durare per molti anni. Le spighe floreali vecchie sono chiamate "coni".
    Nonostante il gran numero di fiori, solo pochi giungono alla fruttificazione e, in alcune specie, non fruttificano mai. Il frutto delle Banksia è un follicolo legnoso; consiste di due valve orizzontali che racchiudono i semi. Ogni follicolo contiene uno o due piccoli semi, ciascuno dotato di un'ala dall'aspetto cartaceo fatta a forma di cuneo, che causa la rotazione nel cadere al suolo.
    Grandi produttrici di nettare, le Banksia formano una parte vitale della catena alimentare delle aree selvagge australiane. Sono un'importante risorsa di cibo per tutte le specie di animali nettarivori, inclusi uccelli, pipistrelli, ratti, opossum, api senza pungiglione (Meliponini) e una miriade di invertebrati. Inoltre, sono di importanza economica per il florovivaismo e l'industria dei fiori recisi dell'Australia. Comunque, queste piante sono minacciate da parecchi processi, tra i quali vi sono la deforestazione, gli incendi frequenti e le malattie, cosa per cui un certo numero di specie è classificabile come specie rara e specie in pericolo di estinzione.

    Le piante di Banksia si sono adattate naturalmente alla presenza di regolari incendi boschivi nel paesaggio australiano. Anche se uccise da incendi, si rigenerano rapidamente dal seme, poichè il calore stimola anche l'apertura dei follicoli. Molte sopravvivono agli incendi, perché hanno una corteccia molto spessa che protegge il tronco dal fuoco, o perché hanno i lignotuberi, dai quali possono rispuntare dopo un incendio. In Australia occidentale, le Banksia del primo gruppo sono note come 'seminatori' e il secondo gruppo come 'sprouters'. Gli incendi boschivi non frequenti a intervalli distanziati non sono una minaccia e servono per rigenerare delle popolazioni di Banksia.

    Il legno di Banksia è di colore rossastro ed è raramente utilizzato perchè durante l'essiccamento si incurva malamente. A volte è utilizzato per scopi ornamentali nella tornitura del legno e nella produzione di boiserie. È stato anche utilizzato per produrre chiglie per piccole barche. Storicamente, il legno di alcune specie, come la B. serrata, fu impiegato per parti di gioghi e barche. I grandi "coni" o baccelli della B. grandis sono utilizzati per progetti di intaglio del legno. Sono anche tagliati a fette e venduti come sottobicchieri.
    Gli Aborigini Australiani della parte sudoccidentale succhiavano le spighe floreali per assumere il nettare e ponevano in ammollo le spighe floreali per produrre una bevanda dolce.


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    Edited by gheagabry1 - 6/1/2022, 21:12
     
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