ECCOMI..SONO NATO..(l'isola del neonato)

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    Quando gli occhi di un bambino vengono al mondo… Non c’è parola che lo descriva fino in fondo: Le palpebre son sipari spauriti e innocenti, dalle materne cavità acquatiche emergenti, e si levano d’un tratto tremanti, scosse da venti potenti piccoli veli sgomenti. Mostrano increduli pupille, vinta la nascita tra dubbi e faville, immenso stupore le colora fulgente iridi di fuoco divino nascente. Poesia di luce li riempie infinita L’inesauribile semplicità della vita. S’alza vibrando dal pianeta visibile, l’aurora lattea del dono invisibile Felice l’eco di ninne, di culle, di dolci nidi amor di amati canti e ancor più amati lidi.
    (dal web)


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    COME CRESCE
    Routine: è molto importante per i piccoli


    42-31328962-

    Il bimbo non calcola il passare del tempo in ore o minuti, ma in base al susseguirsi delle azioni quotidiane. Il bagnetto serale gli fa capire che presto sarà ora della nanna e il semplice gesto di allacciargli il bavaglino è per lui il segnale che la pappa sta arrivando.

    Abituare il bambino fin dalla nascita a orari regolari e a una serie di rituali che scandiscano le sue giornate lo aiuterà a capire cosa accadrà dopo e ad attenderlo con maggior serenità.

    La ripetizione dei gesti lo rassicura

    "Un bambino piccolo si sente vulnerabile: essere in grado di prevedere cosa succederà lo tranquillizza, e questo gli permette di dilazionare il soddisfacimento dei suoi bisogni", spiega Rosalinda Cassibba, professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione presso l'Università di Bari. Un neonato impara presto a riconoscere i gesti che precedono il momento della pappa: i rumori della preparazione del cibo lo aiutano ad aspettare qualche minuto anche quando ha fame. Così, come il bagnetto serale o la fiaba della buonanotte gli permettono di vivere più serenamente il momento della nanna. È utile anche far dormire il bimbo sempre nella stessa stanza: cambiare la posizione della culla può disorientarlo. "Un bambino che subisce troppi cambiamenti è un bambino sottoposto a stress", spiega l'esperta.

    Anche durante la crescita

    Ma non è solo il neonato ad avere bisogno della routine: anche dopo il primo anno di vita i ritmi della quotidianità hanno una grande importanza. "In una fase in cui cominciano a manifestarsi le prime paure, i bambini devono percepire di avere un controllo sulla realtà che li circonda. Proprio per questo, spesso sono proprio loro a mettere in atto alcuni rituali", spiega la psicologa. Dormire con lo stesso peluche, sistemare le pantofole sotto il letto sempre nello stesso modo, scegliere il libro per la fiaba della buonanotte sono azioni che permettono al bimbo di 'governare' la realtà e di vincere, quindi, alcuni timori, come quello - molto frequente - del buio. "L'apprendimento di regole e orari aiuterà il bambino anche a essere più preparato per la sua vita sociale e scolastica", sottolinea l'esperta.



    Articolo di Monica Gabrielli

     
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    AL SENO
    Vero o Falso?


    42-29071952-

    Sono numerosi i luoghi comuni sull'allattamento materno, con cui la neomamma che desidera nutrire al seno il proprio piccino, si trova a fare i conti quando nasce il suo bebé.

    Molte credenze però, nonostante siano assai diffuse, sono prive di base scientifica e rischiano di creare confusione o addirittura ingenerare inutili ansie. Vediamo insieme alcuni "modi di dire" che sono del tutto infondati, distinguendoli dalle indicazioni che al contrario sono corrette e possono aiutare a vivere al meglio l'esperienza dell'allattamento.

    Avere latte è una questione ereditaria

    FALSO

    Può capitare che la neomamma abbia dei dubbi sulle proprie possibilità di riuscita, perché la madre le ha raccontato di non aver avuto abbastanza latte per lei o i suoi fratelli. "Purtroppo molte nonne di oggi non erano riuscite ad allattare perché ai loro tempi (30 o 40 anni fa) si sosteneva l'allattamento ad orario, e la conseguenza di quegli schemi rigidi sono stati tanti fallimenti" spiega Martina Carabetta, consulente professionale in allattamento (IBCLC) presso l'ambulatorio Latte&Coccole di Roma. "Così ora ci sono neomamme che non possono affidarsi all'esperienza della generazione precedente. Ma, a parte questo, tutte le donne possono nutrire al seno indipendentemente dalla storia di allattamento delle loro madri".

    Per allattare è necessario prepararsi in gravidanza

    VERO/FALSO

    Sicuramente una cosa utile da fare é informarsi. Sono proprio le informazioni corrette che possono aiutare le future mamme a partire col piede giusto ed evitare i problemi tipici dei primi giorni, come ingorghi, difficoltà di attacco al seno, ragadi.

    È invece falsa l'idea che si debba preparare il capezzolo per allattare: non serve alcun prodotto particolare, il seno si "prepara" da sé. I tubercoli di Montgomery (quei 'brufolini' intorno all'areola che diventano più evidenti in gravidanza), sono ghiandole che secernono una sostanza emolliente e antisettica che costituisce una protezione naturale per il capezzolo.

    Sono infine da evitare quei trattamenti che un tempo venivano suggeriti per "rinforzare" il capezzolo, come lo sfregamento con il guanto di crine. Non solo il capezzolo non deve affatto irrobustirsi, ma lo sfregamento può irritare la cute e, se la gravidanza è giunta al terzo trimestre, c'è il rischio di stimolare l'inizio del travaglio.

    La montata lattea si manifesta con seno gonfio e dolente

    VERO/FALSO

    "Spesso sì, ma non per tutte le mamme" spiega la IBCLC. "Se la neomamma ha il suo bimbo vicino e lo può allattare tutte le volte che mostra di voler poppare, il seno solitamente si ingorga meno. Un seno gonfio e dolente non significa 'più latte' anzi, spesso è un problema perché il bambino non riesce ad attaccarsi correttamente. In quel caso, è necessario allattare più spesso e, prima della poppata fare spugnature con acqua calda e massaggi delicati per ammorbidire il seno. Si può inoltre spremere quel tanto di latte necessario per alleviare la tensione ed aiutare così il bambino a succhiare nel modo giusto. Un impacco freddo dopo la poppata, infine, aiuterà a far diminuire l'edema".

    La doppia pesata non è consigliata

    VERO

    La doppia pesata è una fonte di stress enorme per la neomamma, e oltretutto non le dice nulla di significativo. Un bambino allattato al seno non fa un numero di poppate fisso, né assume sempre la stessa quantità di latte. Come fare quindi per capire se sta mangiando abbastanza? Un bambino ben nutrito fa cacca e pipì in abbondanza: i pannolini bagnati dovranno essere 6-7 al giorno e la pipì dovrà essere chiara e inodore. Per quanto riguarda il peso, si suggerisce di controllarne l'incremento una volta alla settimana: nei primissimi mesi l'aumento di peso dovrà raggiungere e/o superare circa i 150 grammi.

    Il neonato poppa dalle 8 alle 12 volte al dì (o più)

    VERO

    "Ogni bambino allattato al seno è diverso dagli altri e ogni giorno è differente dal precedente" considera la consulente professionale. "Gli schemi rigidi fanno solo aumentare l'ansia e i timori che l'allattamento non stia procedendo bene. Mediamente comunque, le poppate variano dalle 8 alle 12 al giorno, ma spesso possono essere molte di più. Viceversa ci sono anche bambini allattati a richiesta che dopo il primo periodo fanno solo 6 o 7 poppate, ma si tratta veramente di una minoranza".

    Meglio evitare ciucci e biberon

    VERO

    "Ebbene sì" afferma la IBCLC. "In particolare nelle prime sei settimane è fondamentale offrire al bimbo solo il seno, per due motivi in particolare: che la produzione deve calibrarsi e se il seno non viene stimolato adeguatamente dalla suzione del piccolo, può regolarsi su una quantità inferiore e di conseguenza non riuscire – subito o al primo scatto di crescita- a far fronte alle necessità del bambino; e poi perché la suzione con una tettarella artificiale è completamente diversa e si rischia che il bimbo faccia confusione e non sia più capace di poppare in modo corretto. In generale l'allattamento funziona sempre perfettamente quando è 'esclusivo a richiesta', ovvero quando tutta la necessità di suzione del bambino è soddisfatta al seno, ciucci e tettarelle interferiscono negativamente con il naturale equilibrio che regola la produzione di latte".

    articolo di Giorgia Cozza

     
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    Come scegliere l’acqua giusta per il neonato

    acque-per-neonati

    I neonati hanno bisogno di bere molti liquidi durante la giornata e sebbene essi siano dati soprattutto dal latte, la scelta dell’acqua è fondamentale; ovviamente non tutte le acque sono adatte ai neonati, in quanto ce ne sono alcune più appropriate di altre.

    Nei primi mesi di vita il bambino ha bisogno di un’acqua con pochi sali minerali perché nel latte della mamma o in quello artificiale, sono già presenti le giuste dosi di minerali; l’eccessiva introduzione di sali minerali può provocare un sovraccarico di lavoro per i reni che ancora non sono del tutto maturi e quindi potrebbero non riuscire a filtrare i minerali in eccesso. In genere, per il neonato, l’acqua giusta è quella oligominerale naturale con un residuo fisso non superiore ai 140 mg/l, per questo è molto importante leggere l’etichetta sulla bottiglia dell’acqua al momento dell’acquisto. Questo tipo di acqua è indicata anche per la preparazione del latte in polvere.
    Volendo segnalare un acqua in particolare, un valido esempio è l’acqua oligominerale della Fonte S. Antonio, che nasce dal cuore delle Alpi italiane; attraverso gli strati rocciosi, l’acqua viene filtrata naturalmente, raggiungendo un ottimo equilibrio di sali minerali che le infonde un gusto morbido; inoltre, il Ministero della Salute ha riconosciuto l’acqua San Antonio ideale per la preparazione degli alimenti per neonati.


     
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    Relazione madre figlio neonato: il bonding


    Legame-300x204Il bonding, termine inglese per indicare “legame”, è un fenomeno di base presente in natura, importante non solo per la sopravvivenza fisica del bambino, che non saprebbe altrimenti cavarsela da solo, ma anche per quella mentale e per la sua crescita.

    Inizia nel periodo prenatale, si consolida dopo la nascita per proseguire fino al primo anno di vita del bambino.

    Non è un semplice processo fisico, ma avvolge la sfera emozionale, ormonale e spirituale, consentendo lo svilupparsi della relazione di attaccamento madre-bambino, elemento essenziale per le future relazioni affettive e sociali.

    I due pediatri Klaus e Kennel sono stati i primi a parlare del bonding come attaccamento genitore-MondoAnimale-300x199bambino. Nei loro studi verificarono che sia i piccoli umani che quelli animali, se accarezzati dalla madre, presentavano un maggior equilibrio fisico, mentale ed emozionale.

    Al momento della nascita, il contatto pelle a pelle, l’odore, i primi sguardi, l’ascolto della voce materna, permettono alla mamma e al bambino di conoscersi consentendo l’instaurarsi dei sentimenti di attaccamento e di accudimento.

    Un forte legame genitore-bambino, da una parte, permette una migliore risposta della madre ai bisogni del bambino, dall’altra, rafforza l’attaccamento del bambino alla figura genitoriale.

    La fase dopo il parto è il periodo più importante per stabilire un rapporto affettivo e, non a caso, proprio in questo momento vengono attivati alcuni omoni che facilitano l’instaurarsi del bonding.

    L’ossitocina, chiamato l’ormone dell’amore, predispone all’allattamento, aumenta la temperatura corporea materna per tenere caldo il bambino, induce il comportamento materno e favorisce l’innamoramento madre-bambino.
    L’adrenalina, che rende la mamma più energica, consentendole di prestare le giuste attenzioni al nascituro.
    La prolattina, che agisce sulla produzione del latte e stimola comportamenti materni di accudimento.


    PostParto-300x187Quindi, quali sono le buone pratiche, affinché si instauri il bonding?

    Contatto precoce pelle a pelle alla nascita
    Allattamento subito dopo il parto
    Contatto visivo
    MassaggioInfantile-300x251Ascolto della voce materna
    Come intervenire se il bonding non si è realizzato a causa di problemi insorti alla nascita?

    Il massaggio infantile può essere un valido strumento per attivare il processo affettivo.

    Il contatto fisico tra madre e bambino facilita l’attivazione di tutti quei processi che portano a migliorare il legame affettivo e di accudimento e che favoriscono l’innamoramento reciproco.

     
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    Moncone ombelicale: ecco come si medica


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    Tra le cure da prestare al neonato, il compito che più preoccupa le mamme alla loro prima esperienza, è la medicazione del moncone ombelicale che resta attaccato all’addome del bambino dopo che il cordone è stato reciso. Ma le cure da eseguire a casa non sono affatto complicate e vengono insegnate dal personale sanitario della struttura dove è avvenuto il parto.

    Il cordone ombelicale è un tessuto di consistenza gelatinosa, attraversato da vasi sanguigni. Subito dopo il parto, viene reciso a una distanza di pochi centimetri dall’addome del bambino. Da quel momento, inizia il processo spontaneo di ‘mummificazione’: il tessuto, a poco a poco, si secca e diventa duro e opaco.
    Di solito, il breve segmento di cordone cade spontaneamente entro una settimana o una decina di giorni dalla nascita. Durante questo periodo, a volte può sanguinare, se i vasi che lo attraversano non sono ancora perfettamente chiusi. Ma in genere si tratta solo di poche gocce di sangue: la mamma, quindi, non deve preoccuparsi.
    Quando il moncone si è staccato, sulla pelle del bebè rimane una piccola ferita, che richiede alcuni giorni di tempo per cicatrizzarsi completamente. È bene che, a questo punto, la mamma porti il bambino dal pediatra, per controllare che tutto proceda per il meglio. Una visita è necessaria anche nel caso in cui il moncone non sia ancora caduto due settimane dopo la nascita del piccolo.

    Scopo della medicazione del moncone ombelicale è prevenire infezioni o infiammazioni e favorire l’essiccamento dei tessuti. La parte più delicata, da controllare con attenzione, è la base: se i tessuti non si seccano in questo punto, il distacco avviene più lentamente.
    La medicazione deve essere effettuata un paio di volte al giorno, non di più. Il segmento di cordone va pulito accuratamente con acqua ossigenata e, poi, asciugato con una garzina pulita. Quindi dovrà essere applicata una piccola garza con alcol sul moncone, usando una fascia o una reticella. Bisogna evitare, fino alla completa cicatrizzazione, talco o saponi che potrebbero infiammare i tessuti e finché il moncone ombelicale non è caduto, il bimbo va lavato quotidianamente con una spugna imbevuta d’acqua, evitando di immergerlo completamente nella vaschetta.
    Se compaiono granulomi sulla ferita ombelicale del piccolo (‘palline’ o rigonfiamenti, ricoperti da una sottile pellicola trasparente che sanguinano facilmente quando vengono toccati), il medico potrà decidere di trattarli con applicazioni di nitrato d’argento, oppure rimuoverli con un semplice intervento ambulatoriale.
    Un altro fenomeno abbastanza frequente, che invece non richiede l’intervento del pediatra, è la fuoriuscita di un’ernia ombelicale. Nei primi giorni di vita del bambino, il tessuto fibroso che circonda l’ombelico è debole e, talvolta, non riesce a trattenere la parete muscolare, che si protende verso l’esterno formando un rigonfiamento. Ma non bisogna preoccuparsi: appena la cicatrizzazione sarà completa e il tessuto fibroso si rinforzerà, l’ernia si risolverà spontaneamente.
    Un difetto del moncone può essere il cd. ‘ombelico cutaneo’: una protuberanza della pelle all’attaccatura del cordone che rimane sporgente anche dopo la sua caduta: non costituisce in alcun modo un problema per il bambino. In generale le mamme non devono preoccuparsi se l’ombelico del loro bambino può apparire un po’ irregolare, perché di solito - con il passare degli anni - la forma si assesta e si normalizza.

     
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    Che cosa vede il neonato?

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    Il bebè è nato: eccolo tra le braccia della mamma che spalanca i suoi occhi sul mondo. Quel primo sguardo, profondo e un po' spaesato, conquista il cuore dei neogenitori e li colma di tenerezza. Ma cosa vede il piccolo quando si guarda intorno?

    Fin dalla nascita osserva mamma e papà

    Un tempo si credeva che il neonato non distinguesse praticamente nulla di quanto lo circondava. Oggi sappiamo che non è così: la vista, pur essendo il senso meno sviluppato al momento della nascita, permette al bimbo di individuare il volto dei genitori e osservarli mentre lo tengono tra le braccia. "Il neonato ha una ridotta acuità visiva, ma riesce a vedere nitidamente fino a una distanza di 25-30 centimetri, proprio quella giusta per guardare il viso della mamma mentre lo sta allattando o del papà che lo tiene tra le braccia", spiega Andrea Dotta, responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Neonatale dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

    Non distingue ancora dettagli e sfumature

    Durante le prime settimane di vita, a causa dei limiti del suo sistema visivo, il neonato distingue forme e contorni degli oggetti, ma non è ancora in grado di visualizzarne i dettagli. In questa fase, è particolarmente attratto da immagini con forme ben definite, contorni marcati e colori contrastanti (come il bianco e il nero). Sappiamo, inoltre, che non distingue bene le sfumature cromatiche, ma riesce a individuare tinte brillanti e tonalità molto accese. "La maturazione del sistema visivo prosegue nei primi mesi di vita del bimbo e si conclude entro il primo compleanno", spiega l'esperto.

    Una predilezione per i volti

    Al neonato piacciono i visi: ecco perché il suo sguardo si concentra volentieri su quello mamma. Recenti studi hanno confermato questa predilezione: si è visto, infatti, che già a poche ore dalla nascita, tra il disegno di un'immagine complessa e la sagoma di un viso (con gli occhi e la bocca ben delineati) lo sguardo del piccolo è attirato da quest'ultima. Non solo: se gli vengono proposte due figure che rappresentano l'ovale del viso, ma in una i lineamenti sono capovolti, il bebè si sofferma più volentieri e più a lungo sul modello che riproduce fedelmente la struttura del volto.



    Articolo di Giorgia E. Cozza Settembre 2012

     
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    Capire il pianto del bebè

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    Il neonato (o lattante) non sa ancora parlare. Come fa a dire a mamma e papà o a chi lo accudisce che ha fame, vuole essere cambiato, è stanco, ha una colica, ha sete, ha caldo o freddo, si sente solo o un dentino sta tagliando la gengiva? Semplice, piange.
    Meno male che il bimbo piange! Altrimenti come farebbe a comunicare a mamma e papà o a chi lo accudisce se sta bene o male? Nei primi mesi di vita spesso il pianto mette in crisi i neo genitori che non riescono a interpretarne il significato e quindi a dare una risposta adeguata ai bisogni del bambino.

    Ecco un aiuto per capire, tratto dal manuale “Prima delle parole. Comprendere il linguaggio del tuo bambino e favorirne lo sviluppo”, di Stephan Valentin, ed Urra.

    Il bambino piange, che cosa vuole?
    Il pianto del neonato la maggior parte delle volte esprime bisogni specifici: fame, sete, vuole essere cambiato, vuole il contatto con la mamma, si sente solo ecc.

    Il bambino piange per queste ragioni:

    perché ha fame.
    Perché il pannolino è sporco.
    Perché è stanco.
    Perché è malato.
    Perché ha una colica.
    Perché ha sete.
    Perché ha caldo o freddo.
    Perché si sente solo.
    Perché un dentino sta tagliando la gengiva.
    Cercare di capire il motivo del pianto da parte dei genitori nasconde un processo molto importante: vuol dire mettersi al posto del bambino e capire le sue necessità. “Questo è fondamentale per rispondere correttamente ai segnali del bambino – dice lo psicologo tedesco -. Così egli sente di esistere e che mamma e papà tengono conto delle sue necessità”.

    “Dalla nascita il bambino capisce abbastanza velocemente che il suo pianto richiama la mamma o il papà, che vengono a soddisfare i suoi bisogni. Questa esperienza – sostiene Valentin – è necessaria alla sua sopravvivenza e lo segnerà per sempre. Inizierà ad avere fiducia in se stesso e nelle proprie competenze, perché riuscirà a esprimersi e ad agire sull’ambiente esterno. Per quanto piccolo possa essere”.

    8 trucchi per calmare il neonato che piange spesso

    Come interpretare il pianto
    A volte non è facile interpretare il pianto del bambino. “Non disperate. Spesso accade semplicemente che i genitori non abbiano abbastanza fiducia nel proprio talento naturale”, sostiene Valentin. Reagire istintivamente ai segnali del bambino è una dote innata in ogni genitore”.

    E se il nostro istinto di genitori facesse cilecca? “Non abbiate paura di sbagliare, tutti i genitori sbagliano. Quello che è importante è che rispondiate ai suoi appelli (del bambino, ndr) e che gli facciate sentire che siete sempre lì – continua lo psicologo infantile – Se anche sbagliamo nel rispondere non è così importante. Anzi, gli errori, se non sono troppo frequenti, sono del tutto salutari. Aiuteranno il vostro bambino a compiere progressi nel tentativo di farsi capire.”

    Spesso anche la stanchezza gioca dei brutti scherzi e il pianto prolungato può diventare insopportabile. Come comportarsi in questi casi? “Se non ce la fate più e non sapete come calmare vostro figlio, chiedete al padre di occuparsene mentre voi riposate. Magari i vostri genitori o un’amica potrebbero occuparsi di lui per qualche ora. A volte abbiamo bisogno di respirare un po’, di ricaricare le pile,” dice Valentin.

    E se invece sentite proprio di non poter più sopportare gli strilli allora parlatene al pediatra o mettetevi in contatto con una doula, che è una figura creata apposta per aiutare le neo mamme.

    Insomma non isolatevi. Il primo passo per trovare una soluzione è sempre quello di accettare l’aiuto degli altri e di convincersi che non si è cattivi genitori perché non si riesce a calmare il proprio figlio.

    Figuratevi che in alcuni Paesi del Nord Europa (Germania, Inghilterra) stanno nascendo scuole di supporto per i genitori. Per es ad Amburgo l’associazione Menshenkind propone corsi denominati “Baby-Lese-Stunde”, ovvero corsi per ‘leggere’ il bambino. In Inghilterra invece è nata la Crying clinic per i casi urgenti.

    In queste scuole i genitori portano i bambini nelle ore in cui sono più irritabili e i terapeuti aiutano i genitori a calmarsi e a calmarli. L’esperienza dice infatti che il comportamento parentale può ridurre l’irritabilità e gli strilli del bambino: “basta che i genitori si dimostrino più sensibili e disponibili”.

    Un altro punto fermo di cui tenere conto: man mano che il bambino cresce il pianto diminuisce.

    Il picco del pianto per i bambini occidentali si ha attorno alla sesta settimana, con una tendenza ad aumentare verso la sera.

    Secondo gli studiosi, “nei primi mesi di vita la frequenza dei pianti diminuisce mensilmente del 3% mentre il contenuto informativo degli strilli aumenta del 9%”. Che cosa significa? Che il bimbo dopo i primi mesi può esprimere i suoi desideri anche in modo diverso che non con gli strilli: può sorridere, fare smorfie, lallare. Il pianto a quel punto diventa un “segno di turbamento e mancanza”.

    C’è da dire però che ci sono grandi differenze tra i bambini: ci sono bambini che piangono poco e altri che piangono anche per tre ore di seguito e più volte al giorno.

    E' anche una questione culturale
    Vi siete accorti che i bambini non occidentali piangono meno dei bambini occidentali? Come mai? Semplice, perché in molte società africane e asiatiche le mamme rispondono subito al pianto del bimbo e non si separano mai dai loro piccoli.

    Nei paesi africani e asiatici infatti il pianto notturno è spesso interpretato come il segno di un dialogo incomprensibile con il mondo degli spiriti e fa temere la follia e la morte. E’ per questo che nessuna madre africana lascerebbe mai piangere suo figlio.

    Per le madri Manali addirittura è socialmente vietato non accorrere subito quando il bambino piange.

    Le madri Kung del Botswana, inoltre, portano o tengono con se il loro bambino per circa l’80% del tempo. E rispondono rapidamente al 92% dei loro strilli, in un tempo medio di 15 secondi. Spesso poi lo allattano anche quattro volte all’ora.

    Anche in Occidente le madri sanno che è necessario rispondere al pianto del bambino. Però magari aspettano un po’, pensando che sia un bene. Rispondere subito agli strilli o ai pianti, è credenza comune, potrebbe essere pericoloso per il suo carattere.

    Da dove deriva questo modo di vedere le cose? Dal passato. Si pensi che per circa diciotto secoli, nella società occidentali gli adulti la pensavano come il cattolico inglese Richard Allestree (1766): “Il neonato è pieno di difetti e di macchie, a causa del peccato che eredita in virtù dell’atto commesso dai genitori.”.

    Nell’Europa del XIV e XV si arrivò a dire che il solo fatto che i bambini strillassero rappresentava un peccato o addirittura che erano posseduti da Satana.

    Non andava meglio nel XX secolo. Lo psicologo Valentin cita un libro intitolato “La madre tedesca e il suo primo figlio” (1934) che all’epoca fu un best seller, del medico Johanna Jaarer. Il principio base del libro era: “Lasciatelo strillare!” e non lasciatevi tiranneggiare dai figli! Alle madri si consigliava, per esempio, tra una poppata e l’altra, di lasciare il bimbo nel lettino se questi iniziava a piangere. Lo stesso valeva per la notte.

    Aggiunge però Valentin: “Potrebbe sembrare che la cultura africana o asiatica sostenga maggiormente le madri nella loro capacità di rispondere ai segnali del bambino, ma non è così. Come sentirsi libere nella relazione col bambino se si teme che fantasmi e spiriti possano portargli via l’anima quando strilla? E si è forse libere se si è costrette socialmente a intervenire immediatamente se il bambino strilla?”

    D’altro canto sempre più mamme e papà occidentali utilizzano il marsupio, imitando le mamme africane. E sono sempre più numerosi i genitori che nei primi mesi di vita lasciano dormire il bimbo nella loro camera o addirittura nel loro letto.

    Conclude Valentin: “”E’ difficile sopportare tutti i giorni, come genitori, … pressioni culturali e sociali. Ma in fin dei conti voi siete gli unici responsabili del modo in cui allevate i vostri figli. Scegliete il vostro modo di rispondere alle necessità del neonato. L’importante è che vi sentiate bene in quello che fate. Sì, la cultura fa parte di noi e influenza le nostre azioni, ma non è una prigione. Tocca a noi allargare i nostri orizzonti, a noi svilupparli. La generazione successiva ne potrà così approfittare”.


    autore
    Sarah Pozzoli

     
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    I bambini imparano a parlare leggendo le labbra

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    Dai sei mesi i bambini leggono le labbra e col tempo cercano di replicare il suono, imparando a parlare. Mamme dunque avvisate: scandite bene le parole quando vi rivolgete ai vostri piccoli. Lo dice un nuovo studio Usa
    Prima di iniziare a parlare, e prima ancora di concentrarsi su quello che sentono, dall'età di circa sei mesi i bambini leggono le labbra. I piccoli si soffermano sulla bocca di chi sta parlando loro, cercando di capire che movimenti fa per esprimere quel suono, per poi provare col tempo a replicarlo per imitazione. Lo rivela un nuovo studio americano del professor David Lewkowicz, docente di psicologia alla Florida Atlantic University, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.

    Dunque prima di focalizzarsi sull'ascolto di quanto viene detto dalla mamma o da chi sta comunicando con loro, quando attraversano la fase della lallazione, i bebè prestano attenzione alle labbra dell'interlocutore e lo fanno per circa sei mesi, fino all'anno di vita, quando tornano a fissare gli occhi, come facevano intorno ai quattro mesi.

    Lewkowicz è arrivato a queste conclusioni dopo aver analizzato il comportamento di 179 bimbi dai quattro ai 12 mesi cui veniva monitorato lo sguardo mentre erano proiettati video di donne che parlavano.

    Nel lungo e impegnativo cammino che li porta a imparare a parlare, per i piccini conta sì il suono di quanto sentono, come si pensava basandosi sulle ricerche precedenti, ma è anche molto importante che le frasi siano ben enfatizzate con la bocca. Quindi, mamme, scandite bene le parole quando vi rivolgete ai vostri figli, così li aiuterete a parlare prima.

    Sempre sul principio dell'imitazione si basava uno studio tedesco di qualche tempo fa pubblicato sulla rivista Current Biology, secondo cui i bambini imparano a parlare quando sono ancora nel pancione, tanto è vero che appena nati riprodurrebbero, col pianto, le melodie tipiche del linguaggio della mamma ascoltate negli ultimi tre mesi di gravidanza.


    Antonella Laudonia

     
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    ALLATTAMENTO: il bambino succhia perché sente l’odore della madre

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    L’impulso del bambino a succhiare il latte deriva dalla percezione dell’odore materno – L’allattamento per una madre è davvero un momento magico, minuti di comunione con la propria creatura che sono per lei un privilegio unico. Ma come vive questo momento il bambino?Una ricerca promossa dal Wellcome Trust Sanger Institute coordinata da Darren Logan e descritta su ‘Current Biology’ si è interrogata proprio in proposito, arrivando a scoprire l’origine di quell’impulso che spinge il bebè ad attaccarsi al seno materno.Il merito è a quanto pare dell’odore, quello della mamma che il bambino sa percepire e che lo attira come nient’altro. L’olfatto gioca insomma da subito un ruolo chiave, pingendo il bambino a riconoscere quel mix di odori unico che lo spinge a nutrirsi.Il corpo umano è davvero una machina unica e piena di sorprese, già dai primi momenti di rodaggio.

    fonte:chedonna.it

     
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    Pianto del bebè, un richiamo irresistibile
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    È vero, un bambino non nasce con le "istruzioni per l'uso", ma forse queste istruzioni i genitori le hanno già "in dotazione". Secondo un recente studio, infatti, siamo geneticamente programmati per rispondere al pianto del bebè, e in tempi record!

    Una ricerca inglese

    A dimostrarlo scientificamente, è uno studio presentato in questi giorni in occasione del convegno annuale della "Society for Neuroscience", svoltosi a New Orleans. Un team di ricercatori di Oxford, guidati dalla dottoressa Christine Parsons, ha scoperto che l'essere umano è programmato per reagire in modo pressoché immediato al pianto di un bebè. Lo studio, che ha coinvolto un campione di 28 persone, impegnate ad ascoltare diversi tipi di urla e pianti, ha dimostrato che la reazione cerebrale di fronte al vagito di un bimbo è decisamente più rapida ed intensa.

    Una reazione immediata

    Un battito di ciglia: questo il tempo necessario affinché il pianto del neonato attivi i centri emotivi del nostro cervello, innescando una reazione immediata. Sono sufficienti cento millisecondi perché uomini e donne, indipendentemente dal fatto di essere genitori e di avere o meno esperienza con i bambini, reagiscano al pianto del bebè. Si è visto che altri lamenti, come il richiamo di un animale in difficoltà, non ottengono la stessa risposta. Il pianto del neonato, inoltre, accelera la capacità di reazione, migliorando le "prestazioni" dell'adulto chiamato a intervenire in aiuto del piccolo: i ricercatori hanno dimostrato che, con i vagiti di un bebè in sottofondo, aumentano velocità e destrezza.

    Neomamme: un aiuto dall'istinto

    La ricerca inglese può essere interpretata come un'ulteriore conferma delle competenze innate che ogni genitore possiede. Oggi le neomamme spesso si trovano sole, senza il sostegno che un tempo veniva assicurato dalla famiglia allargata, e devono fare i conti con tanti dubbi e incertezze. Ma con un po' di pazienza tutte le mamme imparano a interpretare e soddisfare al meglio i bisogni del loro bebè. Un aiuto, come abbiamo visto, arriva anche dal DNA. "Il corpo ha una sua saggezza innata, e quello della madre non è da meno... anzi!", commenta Laura Santoro, psicologa e psicoterapeuta psicosomatista a Milano. "La scienza dimostra quello che le madri sanno da sempre: il pianto del bambino provoca una reazione da parte del genitore. E, infatti, la mamma risponde a questo richiamo con un forte trasporto emotivo e in tempi rapidi. La nostra psiche e il nostro corpo - in sinergia - sono in grado di soddisfare le esigenze di sopravvivenza, benessere e tutela del bene più prezioso: il nostro bimbo". Insomma, un incoraggiamento per le neomamme a fidarsi di se stesse e a mettersi in ascolto del proprio bambino.



    Articolo di Giorgia E. Cozza Ottobre 2012

     
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    Cosa piace al bebè

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    Farsi fare le coccole, sgambettare, ballare e sentirsi al sicuro: ecco cosa il bimbo trova divertente e cosa impara divertendosi.

    Acquistare fiducia

    "Quando mi sveglio devo solo piagnucolare un po’ e la mamma arriva."

    Nei primi mesi di vita il bambino impara solo una cosa: ad avere fiducia. E questa fiducia cresce sempre un po’ di più ogni volta che i genitori reagiscono al loro bambino. Perché il bimbo sente: mi posso fidare di mamma e papà, ci sono se ho bisogno di loro. Attaccamento, la chiamano gli psicologi dello sviluppo questa sensazione che si sviluppa nei primi anni e che la persona porta con sé attraverso tutta la vita. I bambini che hanno un attaccamento sicuro sono curiosi e hanno voglia di imparare.

    Molta libertà di movimento

    "Sulla copertina leggera mi posso muovere e allungare così bene!"

    Per i bambini è il massimo riuscire a sgambettare senza vestiti ingombranti. Riescono a notare che il morbido tappeto colorato è tutta un’altra cosa rispetto al parquet. E scoprono che possono muovere il corpo in tutte le direzioni, afferrare con precisione un sonaglio, allungari e calciare la palla; oppure girarsi in modo da vedere la mamma mentre passa l’aspirapolvere. Così i bambini allenano la forza dei muscoli e la sensazione del proprio corpo: sono tutte e due cose molto importanti per imparare a sedersi, andare a carponi, gattonare e poi per imparare a camminare.

    Godersi il cibo

    "Prima non volevo prendere niente con il cucchiaio, poi ho scoperto come è bello giocare con la pappa!"

    A un anno il bambino impara a mangiare con il cucchiaio: un notevole passo in avanti! Se prima la piccola lingua doveva buttare fuori dalla bocca ogni corpo estraneo al più presto, ora le parole d’ordine sono: mettere in bocca il cucchiaio, leccare via la pappa, mandare giù. Alquanto complicato: ci vuole un po’ perché riesca. Importante: mangiare significa godere, e i bambini godono con tutti i sensi. Quindi lasciate pure che esplori la pappa con le mani: per fortuna che ci sono le lavatrici!

    Scoprire il mondo

    "Nella mia macchinina ho la vista migliore, ad esempio su Nerone, il cane dei vicini."

    I bambini sono in grado di suddividere il loro ambiente in categorie. La prima importante distinzione: le persone e le altre cose. I bambini riescono a riconoscere: le persone sanno parlare, tutto il resto fa rumori strani o è muto. A sei mesi la maggior parte dei bambini sa che quello è un uomo, questo è un animale, questo è un oggetto. Dopodiché inizia il periodo delle grida di contentezza quando passa un animale: ha le orecchie che ondeggiano e lascia penzolare la lingua fuori dal musetto, divertentissimo!

    Sentire la vicinanza

    "Dopo il riposino del pomeriggio la mamma mi tira su e mi dà tanti baci."

    Coccole, tenerezze, bacini: toccando e venendo toccati i bambini conoscono il proprio corpo: un passo importante per la successiva scoperta dell’io nel secondo anno di vita. Ma le tenerezze posano anche le fondamenta per un rapporto di affetto tra genitori e figlio: molto contatto fisico comunica al bambino il messaggio più importante che i genitori gli possono dare: tu meriti di essere amato!

    Godersi i rituali

    "Ogni sera la mamma mette un CD degli uccellini e balliamo insieme per tutto il soggiorno."

    I bambini amano i rituali: soprattutto la sera sono veramente un qualcosa di magico per mostrare con dolcezza: Ora il giorno volge lentamente al termine, presto sarà ora di dormire. Particolarmente belli sono i rituali con la musica. Gli esperti di pedagogia musicale attribuiscono a melodie e ritmi un grande effetto: Si presume che rendano intelligenti, pronti al dialogo e compartecipi. Che sia vero o meno, tentar non nuoce. In ogni caso un ballo con il bimbo gli regala l’ultimo momento clou della giornata prima di andare a letto.
    fonte:nostrofiglio.it/

     
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    La durata del calo fisiologico del neonato e quando avviene il recupero

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    Il calo ponderale o fisiologico è un fenomeno normale, che si verifica in tutti i neonati nei primi 15 giorni di vita. In genere è massimo nei primi tre giorni, poi il calo complessivo massimo e tollerato è di circa il 10 percento del peso registrato alla nascita e dovrebbe essere recuperato entro le prime due settimane. Per essere più chiari, mediamente un bambino nasce di tre chili e nei primi giorni potrebbe perdere circa 300 grammi.
    Per quale motivo? Lo choc della nascita può comportare il digiuno del neonato nelle prime ore di vita, la perdita di acqua attraverso la respirazione, l’emissione delle urine, l’emissione del meconio (le prime feci), ecc. Il peso dovrebbe essere recuperato massimo nella seconda settimana di vita. Quindi ripesando il bambino dopo 10 giorni, i chili dovrebbero essere più o meno gli stessi della nascita.
    Care mamme, non preoccupatevi se il vostro bimbo perde grammi. È tutto assolutamente normale e in teoria, ormai, è una notizia abbastanza diffusa e nota anche tra le mammine alla prima esperienza. Diventa fonte di preoccupazione se invece il piccolo dopo 15 giorni ancora non mostra segno di crescita.
    Che cosa fare? Prima di tutto è bene chiamare il pediatra e chiedere un consulto. Potrebbero esserci dei fattori che impediscono al bimbo di crescere e di conseguenza acquistare peso. L’allattamento, per esempio, potrebbe non essere effettuato correttamente: magari il bambino non succhia a dovere o la mamma ha poco latte o quello che ha non è abbastanza nutriente. Tutte cose, diciamo, di normale amministrazione.

     
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    Il neonato ha il singhiozzo


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    E' un piccolo inconveniente molto comune nei primi mesi. Far passare il singhiozzo ai neonati non è poi cosi difficile. E non produce particolare fastidio al bambino

    di Valentina D'Andrea
    E’ possibile che il bambino di tanto in tanto abbia il singhiozzo (eventualità frequente anche prima del quarto mese).

    Come far passare al neonato il singhiozzo

    Attaccarlo al seno per qualche secondo, oppure offrirgli il ciuccio può bastare per risolvere il fretta l’inconveniente. Va tenuto presente che il singhiozzo, contrariamente a quello che si tende a pensare, non produce particolare fastidio al bambino.

    Cosa NON FARE per far passare al neonato il singhiozzo
    Da evitare la somministrazione di gocce di limone o di aceto (come invece prescrive una vecchia tradizione).

    (consulenza di Leo Venturelli, pediatra di famiglia, autore di numerose pubblicazioni di pediatria ambulatoriale e coautore di libri di divulgazione per genitori tra cui E’ nato un bambino, La grande enciclopedia del bambino, Da 0 a 6 anni, una guida per la famiglia)

     
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    Il neonato ha la 'testa piatta': cosa fare?

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    Plagiocefalia. Questo è il termine medico per questo tipo di deformazione del neonato. La sindrome della testa piatta del neonato può avere differenti cause. Ecco come trovare un rimedio o come prevenirla.
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    La plagiocefalia o testa piatta è provocata dalla posizione con cui il neonato viene messo a dormire. La classica posizione a pancia in su viene consigliata per paura della SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), fenomeno è conosciuto come morte in culla. Da quando l'Accademia Americana di Pediatria si è fatta avanti dando indicazioni sulla posizione del neonato nei primi mesi di vita, i casi di SIDS sono diminuiti ma sono aumentati i casi di plagiocefalia.

    Come comportarsi per prevenire la testolina piatta nel lattante?
    modifica la posizione del piccolo ogni volta che lo metti a nanna, girando la testolina prima da un lato, poi dall'altro
    non lasciarlo troppo tempo sdraiato nel lettino.
    Se siete a casa aiutalo a rinforzare i muscoli della schiena mettendolo a pancia in giù e giocando con lui.
    Se siete in giro a passeggio, fai uso di una fascia porta bebè per non costringerlo nella carrozzina.

    fonte:http://www.nostrofiglio.it/

     
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65 replies since 13/3/2011, 18:55   11279 views
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